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Ambientalismo e sistema politico

paper non pubblicato, 2006

Giovanni Carrosio

Introduzione
Dalla sua origine ai giorni nostri, il movimento ambientalista è stato investito da
profondi cambiamenti, che ne hanno determinato non solo una diversa
configurazione delle forme organizzative e d’azione, ma soprattutto un
mutamento radicale nel rapporto con il sistema politico. Gli studiosi che da
tempo si occupano di tematiche legate ai movimenti collettivi, con un occhio di
riguardo nei confronti del movimento ambientalista (Della Porta, Diani, Della
Seta, Strassoldo), ritengono che sia ormai attendibile interpretare i mutamenti che
hanno investito tali movimenti nell’ambito di un diffuso processo di
istituzionalizzazione. Altri studiosi si spingono fino ad interpretare i nuovi assetti
delineatisi tra sistema politico e ambientalismo come forieri di un imminente
assetto neocorporativo. Con questo lavoro, perciò, cerco di riflettere su quale
rapporto esiste oggi tra il sistema politico e il movimento ambientalista.
Utilizzando il quadro concettuale proposto da F. Goio nell’articolo “Movimenti
collettivi e sistema politico”, per prima cosa provo a definire quali elementi sono
caratteristici di un movimento collettivo e quali di un gruppo di pressione, per
comprendere quale siano la categorie possibili per ragionare sul rapporto
esistente tra il sistema politico e il panorama ambientalista. Successivamente,
anche attraverso un breve excursus storico che ripercorra le fasi salienti
dell’ambientalismo, proverò ad individuare la categoria concettuale più consona
per delineare l’assetto attuale dei rapporti tra sistema politico e ambientalismo.

Movimenti collettivi e sistema politico: quattro elementi intepretativi


L’obbiettivo di Goio è quello di comprendere quale locus i movimenti collettivi
occupano all’interno di una teoria integrata del processo e della struttura politica.
Per individuare questo spazio egli utilizza il continuo parallelo tra movimenti e
gruppi di pressione, categoria concettuale, quest’ultima, a sé, ma per certi versi
affine a quella dei movimenti. Il ragionamento proposto si muove su quattro
punti denotativi e connotativi dei movimenti:
1. i movimenti collettivi come struttura di articolazione di interessi;
2. il senso dell’agire politico dei movimenti collettivi;
3. la portata del cambiamento: i movimenti collettivi e la struttura del potere
politico;
4. la probabilità di influenzare il potere politico.

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1. I movimenti collettivi come struttura di articolazione di interessi
Osserva Goio (1981: p.5) che i movimenti collettivi e i gruppi di pressione sono
strutture di articolazione di interessi, ovvero strutture che immettono delle
domande all’interno del processo politico e che si attendono delle linee di
condotta che soddisfino le proprie aspettative.
Gli interessi dei quali i gruppi di pressione o i movimenti collettivi sono portatori
possono essere di due tipi: particolari e collettivi1. I primi sono quelli propri di un
gruppo organizzato e dei suoi membri; i secondi, gli interessi collettivi, sono
propri di gruppi sociali non organizzati, che tuttavia vengono rappresentati da
gruppi organizzati.
In questa bipartizione è difficile distinguere nettamente i due tipi di interessi.
Come delimitare il campo degli interessi in modo tale che questi appartengano
soltanto alla stretta cerchia degli appartenenti ad un gruppo organizzato? E come
dimostrare che un gruppo che persegue anche degli interessi esterni si faccia
carico di interessi collettivi?
Il problema è dato dalla nozione generica di gruppo, che non risulta abbastanza
chiara per comprendere tutte le dinamiche degli interessi predicabili, e dalla
difficoltà di definire il rapporto esistente tra gruppo e collettività
A proposito di questo, l’espediente di Darhendorf (1971: pp. 286-300) è
pertinente: egli individua una configurazione dei gruppi concentrica, tale che gli
interessi predicabili di una collettività sono gli interessi minimi per far sì che i
gruppi particolari possano perseguire i propri. La specificità degli interessi cresce
secondo una logica inversamente proporzionale alla ampiezza dei gruppi.
La collettività è il quasi-gruppo più grande del quale si possono predicare gli
interessi condivisi dal gruppo di riferimento.

Collettività

Gruppo

Quasi-gruppo

Quasi-gruppo

Fig. 1: la configurazione dei gruppi secondo Darhendorf

1Goio individua anche gli interessi generali, che non fanno capo a nessun raggruppamento riconoscibile e
che pertanto, al fine di semplificare l’analisi, tralascio.

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Gli interessi collettivi sono minimi, nel senso che sono generali, sono la
condizione minima per far sì che interessi più particolari siano perseguibili. I
gruppi di pressione, che sono gruppi o quasi gruppi portatori di interessi più
specifici e sottogruppi di collettività differenziate, perseguono interessi
particolari, legati al settore che rappresentano, ma possono attivarsi articolando
l’interesse collettivo nel momento in cui questo dovesse essere minacciato.
L’articolazione dell’interesse collettivo da parte di un gruppo di pressione è
funzionale alla garanzia di poter continuare a perseguire l’interesse particolare.
I movimenti collettivi appartengono a collettività scarsamente differenziate e
sono portatori dell’interesse minimo, collettivo.

2. Il senso dell’agire politico dei movimenti collettivi


In base a quanto sopra affermato, si tenderebbe ad esaurire i criteri di distinzione
tra movimenti e gruppi di pressione affermando che i movimenti collettivi vanno
distinti dai gruppi di pressione per il grado di articolazione degli interessi.
Riconosciamo pertanto un movimento collettivo nel momento in cui gli interessi
da esso predicabili sono di carattere minimo, generale. Ma questo non è
sufficiente per comprendere se ci troviamo veramente di fronte ad un movimento
collettivo. Bisogna indagare weberianamente il senso dell’agire politico e l’idea
di cambiamento perseguita, ovvero l’atteggiamento nei confronti del potere
politico.
Distinguere i partiti politici dai gruppi di pressione secondo questi parametri è
semplice. I partiti politici vogliono esercitare il potere politico (il così detto
primo comportamento politico). Il potere è prima di tutto un fine e poi un mezzo
per perseguire il cambiamento. I gruppi di pressione, invece, vogliono incidere
sui contenuti delle decisioni politiche (il secondo comportamento politico). Per
loro il potere non è un fine ma soltanto un oggetto di attivazione.
La domanda che si pone Goio (1981: p.15) è se il primo o il secondo
comportamento dell’agire politico possano connotare anche i movimenti
collettivi. O meglio, se esista un terzo comportamento politico tipico dei
movimenti collettivi o se i movimenti collettivi non esprimano un
comportamento proprio, ma una particolare modalità del primo o del secondo
comportamento.

3. La portata del cambiamento: i movimenti collettivi e la struttura del


potere
Lo scopo dell'agire politico è il cambiamento. Questo vale per i partiti, per i
gruppi di pressione come per i movimenti collettivi. Differenti sono il metodo di
conseguire il cambiamento e la sua portata. Perciò da sé il cambiamento non
costituisce un terzo tipo di comportamento politico. Il cambiamento si può

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perseguire soltanto agendo sul potere politico e attraverso il potere politico,
conquistandolo oppure cercando di condizionarlo. In queste due situazioni siamo
sempre all'interno del primo o del secondo comportamento politico.
Per questi motivi Goio ritiene sbagliato considerare il comportamento dei
movimenti collettivi come tipico. Più proficuo è contemplare la possibilità che
esso si configuri come una modalità specifica di manifestazione (Goio 1981:
p.23) dei due comportamenti noti.
Perciò il suo ragionamento si muove indagando sul piano della politic e della
policy, della struttura del potere e del processo del potere.

2.a Il processo del potere e la struttura del potere


In “Potere politico e stato” Stoppino individua due aspetti attraverso i quali la
politica si estrinseca: il processo del potere e la struttura del potere.
Il processo del potere implica tutti gli aspetti inerenti il comportamento degli
attori, le fasi decisionali, le elezioni, la formazione degli schieramenti, le attività
di politcs e di policy.
La struttura del potere è invece il regime politico, ovvero quell'insieme di
condizionamenti strutturali che condizionano in modo permanente le attività di
politics e di policy. Il regime politico controlla il processo politico attraverso tre
sue componenti essenziali: i valori politici dominanti, che determinano gli scopi
dell'azione di chi detiene il potere; le regole del gioco politico, che prescrivono i
comportamenti legittimi e non, ovvero costruiscono un sistema tale da
considerare prevedibili e compatibili con il sistema determinati comportamenti;
le strutture organizzative del potere politico, cioè le modalità di esercizio del
potere politico.
I valori, le regole e le strutture sono perpetrati dai gruppi politici più forti e dai
gruppi politicamente influenti all'interno del sistema. Il regime politico è
sostenuto dai gruppi politici e dai gruppi politicamente influenti in quanto esso,
così configurato, è ideale per la salvaguardia delle loro posizioni e prospettive di
potere.
I partiti e i gruppi di pressione sono degli attori legittimi all'interno del sistema
politico, ovvero i loro orientamenti e valori di fondo sono del tutto compatibili
con il regime politico, che riconosce i loro obbiettivi. Non mettono in discussione
la struttura del potere politico e i valori politici dominanti, tant'è vero che
l'alternanza di forze politiche differenti non crea un mutamento radicale delle
strutture attraverso le quali si esercita il potere. Perciò si può affermare che i
partiti politici ed i gruppi di pressione si esauriscono nel processo politico.
I movimenti collettivi, invece, si collocano nell'intersezione tra il processo e la
struttura. Se i partiti e i gruppi agiscono all'interno di una situazione politica
normale, i movimenti collettivi operano nella dimensione della politica di crisi,

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nella quale la struttura del sistema politico è instabile, il processo tende ad uscire
dai binari consueti retroagendo sulla struttura. E’ il regime politico nel suo
complesso ad essere messo in discussione.

2.b Tra politics e policy


Il processo del potere nel suo complesso è la risultante dell'interazione tra il
primo comportamento politico con il secondo. Per ogni comportamento è
possibile individuare un aspetto di politics ed uno di policy.
Considerando il primo comportamento, ovvero la volontà di esercitare il potere
politico e la considerazione del potere politico come fine e come mezzo, la
politics è lotta per la conquista del potere politico, mentre la policy è l'esercizio
del potere. Prendendo in considerazione, invece, il secondo comportamento, cioè
la volontà di incidere sul potere politico senza conquistarlo, la politics è l'attività
relativa all'influenza sul potere politico e la policy è l'ottenimento di decisioni
politiche favorevoli, l'esercizio di influenza sul potere politico.
Al primo comportamento politico così esplicitato possiamo attribuire i
movimenti politici. L’oggetto della loro azione è rappresentato dalla struttura
organizzativa del potere politico e dalle regole del gioco relative alla lotta per il
potere politico. Il loro intento è il cambiamento delle regole del gioco e della
struttura organizzativa del potere politico.
Al secondo comportamento politico sono attribuibili, invece, i movimenti di
protesta. Solitamente i movimenti di protesta tendono ad incidere sul campo dei
valori politici dominanti e sulle regole del gioco per esercitare maggiore
influenza sul sistema politico.
POLITICS POLICY

I comport. Cambiamento delle regole del gioco Cambiamento della struttura


relative alla lotta per il potere pol. organizzativa

Cambiamento delle regole del gioco Cambiamento dei valori


II comport. relative alle attività di influenza sul politici dominanti
potere politico

Fig. 2: Quadripartizione delle attività di trasformazione strutturale (da Goio 1981: p. 30)

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Lo schema risultante dall’interazione dei due tipi di comportamento politico con
le dimensioni della politics e della policy è certamente ideal-tipico. Non è detto
che empiricamente un movimento persegua i suoi scopi coerentemente con la
categorizzazione ora proposta, o che persegua soltanto quegli scopi.
Il ragionamento sul primo comportamento politico non può generare dubbi
sull’esistenza di un movimento collettivo o meno. La contrapposizione tra
l’accettazione di un regime politico e perciò la volontà di esercitarne il potere e
l’opposizione ad un regime politico e la volontà di conquistare il potere per
cambiarne le regole è radicale.
Per quanto riguarda il secondo comportamento, invece, la distinzione tra
movimento collettivo e gruppo di pressione è ancora troppo sfumata. Che cosa
può distinguere nettamente un gruppo di pressione da un movimento collettivo?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo indagare le modalità tipiche in cui si
manifesta il secondo comportamento politico, ragionando sulla probabilità dei
movimenti e dei gruppi di pressione di influenzare il processo politico.

4. La probabilità di influenzare il potere politico


Definita la policy come una condotta generale e stabile nel tempo avente per
oggetto varie problematiche inerenti una determinata area di intervento, essa si
differenzia dall’output per generalità e durata. L’output è, infatti, una decisione
singola, precisa, avente per oggetto un unico problema. La policy, secondo
Eulau, ha dei tratti propri e riconoscibili e, pur essendo un insieme di output, non
è detto che questi siano ad essa immediatamente riconducibili.
Una policy è sempre costituita da outputs e da criteri decisionali. I criteri
decisionali modellano gli outputs filtrando gli inputs ed indicano come gli inputs
filtrati nel sistema politico devono essere trattati. Anche gli outputs retroagiscono
sui sistemi decisionali: incoraggiano la formulazione di inputs simili a quelli
divenuti outputs e scoraggiano la formulazione di quelli che i criteri decisionali
hanno bloccato e non sono mai divenuti outputs.
Osservando gli outputs è facile comprendere quale genere di domande possono
avere successo nel processo di formazione decisionale, e la retroazione degli
outputs sugli inputs fa capire il carattere stabile e poco incline al mutamento della
policy.
Partendo da questi presupposti diviene più chiara la differenza fra gruppi di
pressione e movimenti di protesta. E’ l’esistenza di una policy allocativa
favorevole il criterio minimo per decidere della natura di un gruppo di domanda
(Goio 1981: p.38).
Pertanto qualifichiamo come gruppo di pressione quel gruppo che, data una certa
policy, ha una considerevole probabilità di raggiungere i propri scopi. La sfera

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dei valori dei quali il gruppo di pressione si fa portatore sono pienamente
compatibili con la policy, o per lo meno non antitetici, esistono dei margini di
attuabilità.
Il contrario vale per i movimenti di protesta. L’esistenza di una policy totalmente
ostile fa sì che i movimenti di protesta possano soltanto ricercare l’emissione da
parte del sistema politico di singoli outputs, che possono essere, anche se
raramente, in linea con gli interessi del movimento. Ma questa, a differenza del
rapporto gruppo di pressione – policy, è una situazione precaria, instabile,
incapace di determinare un rapporto positivo di lunga durata fra movimento e
sistema politico.

Ambientalismo e sistema politico: un rapporto di potere stabilizzato?


Stando al quadro concettuale ora descritto, la prima domanda che mi pongo è
quanto a ragione, oggi, possiamo definire l’ambientalismo in Italia come
movimento. Per cercare di individuare la categoria più consona all’interno della
quale inserire l’ambientalismo, propongo un breve excursus storico del
movimento ambientalista dalla sua genesi ai giorni nostri, nel tentativo di
comprendere le dinamiche evolutive del rapporto tra ambientalismo e sistema
politico e il delinearsi della situazione attuale.
Individuo quattro fasi che caratterizzano la nascita e l’evoluzione delle diverse
sensibilità ambientaliste (Della Porta e Andretta 2001, Strassoldo 1993):
1. la fase del conservazionismo elitario, che possiamo inquadrare
cronologicamente tra il 1890 e il 1960. Sull’onda dell’estetica romantica
dei parchi e del paesaggio, nascono le prime associazioni legate alla difesa
dell’ambiente. Queste associazioni non percepiscono e diffondono la
questione ambientale, ma interpretano culturalmente il problema
dell’estinzione di specie animali e vegetali;
2. tra il 1962 e il 1973 possiamo individuare la fase dell’ecologia politica,
nella quale vi è una presa di coscienza di massa della questione
ambientale. Viene percepito il problema ambientale come risultante
dell’assetto politico-economico e pertanto viene messa in discussione
l’organizzazione politica ed economica della società. I gruppi
ambientalisti si legano alla protesta del ’68 ed ai gruppi della nuova
sinistra libertaria (Della Porta e Andretta 2001) e questo fa sì che non vi
sia uno sviluppo autonomo consistente del movimento ecologista;
3. la terza fase (fino ai primi anni ’80) è transitoria. C’è
un’istituzionalizzazione dei valori ambientali, che vengono percepiti
anche all’interno delle istituzioni nazionali ed internazionali. Si fa strada
l’idea di sviluppo sostenibile, che sottende la compatibilità del sistema

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economico di mercato con il rispetto e la salvaguardia del patrimonio
ambientale;
4. l’ultima fase, che ha inizio negli anni ’80, vede il consolidarsi del
processo di istituzionalizzazione del movimento ambientalista. Le
associazioni sorte all’interno della nuova sinistra diventano
ideologicamente meno rigide ed hanno un atteggiamento pragmatico.
Spesso esse vengono definite come “lobbies per l’ambiente”.

Dalla schematica ricostruzione cronologica della genesi e dell’evoluzione del


movimento ambientalista emergono alcune questioni importanti al fine di
individuare la categoria concettuale all’interno della quale inserire il panorama
ambientalista odierno.
Inserendo quel che emerge dal quadro cronologico nella tabella proposta da Goio
nelle conclusioni del suo articolo cerco di trarre le conclusioni rispondendo alle
domande di partenza.

PROCESSO CAMBIAMENTO STRUTTURA


POLITICO POLITICA

PRIMO Partiti politici Movimenti degli anni ’60 e ’70 di


COMPORTAMENTO derivazione marxista classica

SECONDO Ambientalismo Movimenti ambientalisti anni ’60 e ’70.


COMPORTAMENTO istituzionalizzato Ecologia politica. Sinistra libertaria.

Fig. 3: Quadripartizione degli attori in base al tipo di comportamento ed alla modalità di


interazione con il sistema politico

Nella prima fase, quella conservazionista, abbiamo la presenza di gruppi di


persone, spesso appartenenti a classi medio - alte della società, che articolano
degli interessi particolari: la creazione di un orto botanico, la difesa di una specie
vegetale o animale. Le preoccupazioni di questi gruppi non mettono
minimamente in discussione il sistema politico, ma si trovano ad agire di fronte a
policy favorevoli. Si tratta di gruppi che articolano prettamente interessi
particolari, per i quali non sono nemmeno necessari degli interessi minimi,

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collettivi. Secondo la classificazione di Goio non ritengo che tali gruppi possano
essere annoverati neppure tra i classici gruppi di pressione. Si tratta più che altro
di circoli culturali, club conservazionisti, che poco interesse hanno nell’incidere
sui processi di policy o di politic. Il loro agire non è annoverabile in nessuno dei
due comportamenti politici.

Nella seconda fase, che vede l’emergere dell’ambientalismo come fenomeno di


massa, nasce la così detta ecologia politica. Si tratta di una corrente ambientalista
di ispirazione marxista, che interpreta la crisi ecologica come necessaria
conseguenza del sistema di produzione capitalistico. Questa corrente si inserisce
all’interno dei gruppi della nuova sinistra e, pur non essendo mai autonoma da
essi, riesce per un certo periodo di tempo a conquistare una certa egemonia nel
panorama ambientalista. La sua peculiarità rispetto ai gruppi marxisti ortodossi è
data da una concezione libertaria del socialismo e dal rifiuto della “conquista del
palazzo”, ovvero una diffidenza nei confronti dell’esercizio del potere politico al
fine di cambiare i rapporti economici e sociali. Pertanto, in questa fase, tenderei a
considerare l’ambientalismo come movimento di protesta. Intento del movimento
ambientalista è quello di incidere sulle decisioni politiche cercando di cambiare
la struttura della politica. Non mi pare che venga ricercato l’esercizio del potere,
ma il movimento agisce sopra il potere, cercando di influenzarlo. Le
rivendicazioni sono molto distanti dalla policy, sono espressione di interessi
minimi, generali difficili da integrare in un sistema ostile. E’ poco probabile che
il potere politico possa essere influenzato dal movimento di protesta, ma è
possibile che talvolta siano usciti dal processo politico degli output favorevoli per
il movimento.

La terza fase è transitoria. L’associazionismo ambientalista tende ad assorbire le


spinte movimentiste ed inizia a strutturarsi un rapporto costante tra associazioni
ambientaliste e sistema politico. Il sistema politico inizia ad avere una certa
sensibilità nei confronti delle tematiche ambientaliste e pertanto le policy
iniziano ad essere più favorevoli per il movimento ambientalista. Il movimento di
protesta comincia a diventare una rete di gruppi di pressione. Gli interessi
diventano particolari, nel senso che le associazioni ambientaliste rivendicano
piccole questioni compatibili o non antitetiche con la policy. Questi gruppi sono
però sempre attenti ad articolare l’interesse collettivo qualora questo fosse
minacciato (si veda la questione del nucleare e la saldatura del movimento
pacifista con l’ambientalismo nella vicenda di Comiso). Un fattore ulteriore e
rilevante rispetto a quelli già delineati nella comprensione del rapporto esistente
tra movimenti ambientalisti e sistema politico in questo periodo può essere la
caratteristica dei repertori d’azione. È ormai assodato che i repertori d’azione

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sono inerenti all’esistenza o meno di policy allocative favorevoli (Della Porta e
Andretta 2001). Dinanzi a policy allocative favorevoli riscontreremo repertori
d’azione moderati e tipici dei gruppi di pressione, come le campagne di
comunicazione, informazione, raccolta di firme, volantinaggi. Di fronte a policy
allocative sfavorevoli saranno frequenti delle dimostrazioni radicali, come
blocchi di strade e ferrovie, occupazione di territori, fino ad episodi di violenza
con le forze dell’ordine o nei confronti di simboli riconducibili alla policy
contestata. Nella terza fase dell’ambientalismo Della Porta e Andretta riscontrano
un significativo declino delle forme radicali di protesta e l’affermarsi di forme
più istituzionalizzate.

La quarta fase dell’ambientalismo: istituzionalizzazione o assetto


neocorporativo?
Nell’ultima fase, che interessa anche i giorni nostri, abbiamo un pieno
riconoscimento da parte delle istituzioni internazionali delle tematiche
ambientaliste (almeno a livello formale). La probabilità delle associazioni
ambientaliste di perseguire i propri fini diventa molto alta, grazie a delle policy
allocative favorevoli. Il processo è duplice: da un lato c’è un’apertura politica ed
un riconoscimento delle questioni ambientali, dall’altro un approccio moderato
delle associazioni ambientaliste ed un deciso ridimensionamento delle
rivendicazioni e della posta in gioco. La programmazione europea, a partire dai
primi anni ’90, ha facilitato l’interazione tra associazioni ambientaliste e sistema
politico attraverso la promozione di pratiche concertative territoriali. Un requisito
fondamentale per la partecipazione ai programmi europei dedicati alla
conservazione dell’ambiente ed allo sviluppo sostenibile (Agenda 2000, Leader+,
Natura 2000) era ed è quello della partnership territoriale. Le forme
raccomandate dalle istituzioni europee per far sì che il principio di partnership
venga rispettato sono la partecipazione degli attori locali alla definizione delle
policy tramite processi decisionali il più possibile inclusivi, pertanto forme di
concertazione e di mediazione attraverso le quali giungere a prospettive
condivise.
L’interrogativo che nasce dall’analisi della quarta fase è se l’ambientalismo
diventi a tutti gli effetti una rete di gruppi di pressione che esercita la propria
influenza all’interno di un sistema compiutamente pluralistico, oppure se siamo
di fronte ad una istituzionalizzazione così marcata delle forme concertative (patti
territoriali, Agenda 2000, Leader, ecc. ) tale che si vada strutturando un sistema
di interazione neocorporativo.
Per comprendere queste dimensioni ci vorrebbe uno studio sul campo, che
consideri le forme organizzative delle associazioni ambientaliste, il loro livello di
professionalizzazione, le modalità di partecipazione alla definizione delle policy,

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l’indipendenza dal sistema politico e la loro capacità di reagire di fronte a policy
sfavorevoli nonostante siano esse frutto di processi deliberativi. Della Porta e
Andretta, nel paper “National Environmental Organisations and Public Policy in
Italy”, presentato alla Conferenza della Società Italiana di Scienza Politica del
2001, si interrogano su queste dinamiche. Essi non arrivano però ad una vera
conclusione: sostenendo una certa ibridazione del sistema pluralistico con delle
pratiche neocorporative mostrano come coesistano forme di azione tipiche dei
gruppi di pressione in un modello pluralista e relazioni più definite e strutturate
tra organizzazioni ambientaliste e sistema politico, come la partecipazione alla
concertazione territoriale e persino il coinvolgimento nell’implementazione delle
politiche. Bisogna perciò leggere queste organizzazioni sotto una duplice veste:
da un lato sono attive e partecipano all’attuazione delle politiche ambientali,
accettando perciò l’esercizio e la responsabilità di portare avanti ed attuare
determinate politiche (gestione dei parchi, progetti di conservazione della
biodiversità, appartenenza alle partnerships territoriali per la partecipazione alle
iniziative comunitarie); dall’altro sono capaci di smarcarsi dal connubio con il
potere politico e di articolare interessi particolari e talvolta collettivi,
configurandosi come veri e propri gruppi di pressione.
Fatte queste osservazioni, però, Della Porta e Andretta non si pongono il
problema di capire verso quale modello si vada definendo il rapporto tra
ambientalismo e sistema politico, se la situazione attuale è destinata a rimanere
stabile e perciò ibrida, duplice, o se ci troviamo di fronte ad una fase di
passaggio, foriera di un nuovo assetto.
Per quel che mi riguarda lascio aperta la questione: il problema è di difficile
definizione e soltanto un’indagine sul campo, tenendo conto degli elementi prima
prospettati, potrebbe dare delle risposte.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Dahrendorf R, 1971, Classi e conflitto di classe nella società industriale, Bari, Laterza

Della Porta D, Andretta M, 2001, National Environmental Organisations and Public Policy
in Italy, Paper presentato alla Conferenza della Società Italiana di Scienza Politica

Della Seta R., 2000, La difesa dell’ambiente in Italia. Storia e cultura del movimento
ecologista, Milano, Franco Angeli

Diani M, 1988, Isole nell’arcipelago. Il movimento ecologista in Italia, Bologna, Il Mulino

Eulau H, Prewitt K, 1973, Labyrinths of Democracy: Adaptations, Linkages, Representations,


and Policies in Urban Politics, Indianapolis, Bobbs-Merrill

Goio F, 1981, Movimenti collettivi e sistema politico, Rivista Italiana di Scienza Politica, vol.
XI, n.1

Stoppino M, 1968, Potere politico e stato, Milano, Giuffrè

Strassoldo R, 1993, Le radici dell’erba: sociologia dei movimenti ambientali di base, Napoli,
Liguori

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