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Giovanni Carrosio
Introduzione
Dalla sua origine ai giorni nostri, il movimento ambientalista è stato investito da
profondi cambiamenti, che ne hanno determinato non solo una diversa
configurazione delle forme organizzative e d’azione, ma soprattutto un
mutamento radicale nel rapporto con il sistema politico. Gli studiosi che da
tempo si occupano di tematiche legate ai movimenti collettivi, con un occhio di
riguardo nei confronti del movimento ambientalista (Della Porta, Diani, Della
Seta, Strassoldo), ritengono che sia ormai attendibile interpretare i mutamenti che
hanno investito tali movimenti nell’ambito di un diffuso processo di
istituzionalizzazione. Altri studiosi si spingono fino ad interpretare i nuovi assetti
delineatisi tra sistema politico e ambientalismo come forieri di un imminente
assetto neocorporativo. Con questo lavoro, perciò, cerco di riflettere su quale
rapporto esiste oggi tra il sistema politico e il movimento ambientalista.
Utilizzando il quadro concettuale proposto da F. Goio nell’articolo “Movimenti
collettivi e sistema politico”, per prima cosa provo a definire quali elementi sono
caratteristici di un movimento collettivo e quali di un gruppo di pressione, per
comprendere quale siano la categorie possibili per ragionare sul rapporto
esistente tra il sistema politico e il panorama ambientalista. Successivamente,
anche attraverso un breve excursus storico che ripercorra le fasi salienti
dell’ambientalismo, proverò ad individuare la categoria concettuale più consona
per delineare l’assetto attuale dei rapporti tra sistema politico e ambientalismo.
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1. I movimenti collettivi come struttura di articolazione di interessi
Osserva Goio (1981: p.5) che i movimenti collettivi e i gruppi di pressione sono
strutture di articolazione di interessi, ovvero strutture che immettono delle
domande all’interno del processo politico e che si attendono delle linee di
condotta che soddisfino le proprie aspettative.
Gli interessi dei quali i gruppi di pressione o i movimenti collettivi sono portatori
possono essere di due tipi: particolari e collettivi1. I primi sono quelli propri di un
gruppo organizzato e dei suoi membri; i secondi, gli interessi collettivi, sono
propri di gruppi sociali non organizzati, che tuttavia vengono rappresentati da
gruppi organizzati.
In questa bipartizione è difficile distinguere nettamente i due tipi di interessi.
Come delimitare il campo degli interessi in modo tale che questi appartengano
soltanto alla stretta cerchia degli appartenenti ad un gruppo organizzato? E come
dimostrare che un gruppo che persegue anche degli interessi esterni si faccia
carico di interessi collettivi?
Il problema è dato dalla nozione generica di gruppo, che non risulta abbastanza
chiara per comprendere tutte le dinamiche degli interessi predicabili, e dalla
difficoltà di definire il rapporto esistente tra gruppo e collettività
A proposito di questo, l’espediente di Darhendorf (1971: pp. 286-300) è
pertinente: egli individua una configurazione dei gruppi concentrica, tale che gli
interessi predicabili di una collettività sono gli interessi minimi per far sì che i
gruppi particolari possano perseguire i propri. La specificità degli interessi cresce
secondo una logica inversamente proporzionale alla ampiezza dei gruppi.
La collettività è il quasi-gruppo più grande del quale si possono predicare gli
interessi condivisi dal gruppo di riferimento.
Collettività
Gruppo
Quasi-gruppo
Quasi-gruppo
1Goio individua anche gli interessi generali, che non fanno capo a nessun raggruppamento riconoscibile e
che pertanto, al fine di semplificare l’analisi, tralascio.
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Gli interessi collettivi sono minimi, nel senso che sono generali, sono la
condizione minima per far sì che interessi più particolari siano perseguibili. I
gruppi di pressione, che sono gruppi o quasi gruppi portatori di interessi più
specifici e sottogruppi di collettività differenziate, perseguono interessi
particolari, legati al settore che rappresentano, ma possono attivarsi articolando
l’interesse collettivo nel momento in cui questo dovesse essere minacciato.
L’articolazione dell’interesse collettivo da parte di un gruppo di pressione è
funzionale alla garanzia di poter continuare a perseguire l’interesse particolare.
I movimenti collettivi appartengono a collettività scarsamente differenziate e
sono portatori dell’interesse minimo, collettivo.
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perseguire soltanto agendo sul potere politico e attraverso il potere politico,
conquistandolo oppure cercando di condizionarlo. In queste due situazioni siamo
sempre all'interno del primo o del secondo comportamento politico.
Per questi motivi Goio ritiene sbagliato considerare il comportamento dei
movimenti collettivi come tipico. Più proficuo è contemplare la possibilità che
esso si configuri come una modalità specifica di manifestazione (Goio 1981:
p.23) dei due comportamenti noti.
Perciò il suo ragionamento si muove indagando sul piano della politic e della
policy, della struttura del potere e del processo del potere.
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nella quale la struttura del sistema politico è instabile, il processo tende ad uscire
dai binari consueti retroagendo sulla struttura. E’ il regime politico nel suo
complesso ad essere messo in discussione.
Fig. 2: Quadripartizione delle attività di trasformazione strutturale (da Goio 1981: p. 30)
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Lo schema risultante dall’interazione dei due tipi di comportamento politico con
le dimensioni della politics e della policy è certamente ideal-tipico. Non è detto
che empiricamente un movimento persegua i suoi scopi coerentemente con la
categorizzazione ora proposta, o che persegua soltanto quegli scopi.
Il ragionamento sul primo comportamento politico non può generare dubbi
sull’esistenza di un movimento collettivo o meno. La contrapposizione tra
l’accettazione di un regime politico e perciò la volontà di esercitarne il potere e
l’opposizione ad un regime politico e la volontà di conquistare il potere per
cambiarne le regole è radicale.
Per quanto riguarda il secondo comportamento, invece, la distinzione tra
movimento collettivo e gruppo di pressione è ancora troppo sfumata. Che cosa
può distinguere nettamente un gruppo di pressione da un movimento collettivo?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo indagare le modalità tipiche in cui si
manifesta il secondo comportamento politico, ragionando sulla probabilità dei
movimenti e dei gruppi di pressione di influenzare il processo politico.
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dei valori dei quali il gruppo di pressione si fa portatore sono pienamente
compatibili con la policy, o per lo meno non antitetici, esistono dei margini di
attuabilità.
Il contrario vale per i movimenti di protesta. L’esistenza di una policy totalmente
ostile fa sì che i movimenti di protesta possano soltanto ricercare l’emissione da
parte del sistema politico di singoli outputs, che possono essere, anche se
raramente, in linea con gli interessi del movimento. Ma questa, a differenza del
rapporto gruppo di pressione – policy, è una situazione precaria, instabile,
incapace di determinare un rapporto positivo di lunga durata fra movimento e
sistema politico.
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economico di mercato con il rispetto e la salvaguardia del patrimonio
ambientale;
4. l’ultima fase, che ha inizio negli anni ’80, vede il consolidarsi del
processo di istituzionalizzazione del movimento ambientalista. Le
associazioni sorte all’interno della nuova sinistra diventano
ideologicamente meno rigide ed hanno un atteggiamento pragmatico.
Spesso esse vengono definite come “lobbies per l’ambiente”.
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collettivi. Secondo la classificazione di Goio non ritengo che tali gruppi possano
essere annoverati neppure tra i classici gruppi di pressione. Si tratta più che altro
di circoli culturali, club conservazionisti, che poco interesse hanno nell’incidere
sui processi di policy o di politic. Il loro agire non è annoverabile in nessuno dei
due comportamenti politici.
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sono inerenti all’esistenza o meno di policy allocative favorevoli (Della Porta e
Andretta 2001). Dinanzi a policy allocative favorevoli riscontreremo repertori
d’azione moderati e tipici dei gruppi di pressione, come le campagne di
comunicazione, informazione, raccolta di firme, volantinaggi. Di fronte a policy
allocative sfavorevoli saranno frequenti delle dimostrazioni radicali, come
blocchi di strade e ferrovie, occupazione di territori, fino ad episodi di violenza
con le forze dell’ordine o nei confronti di simboli riconducibili alla policy
contestata. Nella terza fase dell’ambientalismo Della Porta e Andretta riscontrano
un significativo declino delle forme radicali di protesta e l’affermarsi di forme
più istituzionalizzate.
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l’indipendenza dal sistema politico e la loro capacità di reagire di fronte a policy
sfavorevoli nonostante siano esse frutto di processi deliberativi. Della Porta e
Andretta, nel paper “National Environmental Organisations and Public Policy in
Italy”, presentato alla Conferenza della Società Italiana di Scienza Politica del
2001, si interrogano su queste dinamiche. Essi non arrivano però ad una vera
conclusione: sostenendo una certa ibridazione del sistema pluralistico con delle
pratiche neocorporative mostrano come coesistano forme di azione tipiche dei
gruppi di pressione in un modello pluralista e relazioni più definite e strutturate
tra organizzazioni ambientaliste e sistema politico, come la partecipazione alla
concertazione territoriale e persino il coinvolgimento nell’implementazione delle
politiche. Bisogna perciò leggere queste organizzazioni sotto una duplice veste:
da un lato sono attive e partecipano all’attuazione delle politiche ambientali,
accettando perciò l’esercizio e la responsabilità di portare avanti ed attuare
determinate politiche (gestione dei parchi, progetti di conservazione della
biodiversità, appartenenza alle partnerships territoriali per la partecipazione alle
iniziative comunitarie); dall’altro sono capaci di smarcarsi dal connubio con il
potere politico e di articolare interessi particolari e talvolta collettivi,
configurandosi come veri e propri gruppi di pressione.
Fatte queste osservazioni, però, Della Porta e Andretta non si pongono il
problema di capire verso quale modello si vada definendo il rapporto tra
ambientalismo e sistema politico, se la situazione attuale è destinata a rimanere
stabile e perciò ibrida, duplice, o se ci troviamo di fronte ad una fase di
passaggio, foriera di un nuovo assetto.
Per quel che mi riguarda lascio aperta la questione: il problema è di difficile
definizione e soltanto un’indagine sul campo, tenendo conto degli elementi prima
prospettati, potrebbe dare delle risposte.
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Dahrendorf R, 1971, Classi e conflitto di classe nella società industriale, Bari, Laterza
Della Porta D, Andretta M, 2001, National Environmental Organisations and Public Policy
in Italy, Paper presentato alla Conferenza della Società Italiana di Scienza Politica
Della Seta R., 2000, La difesa dell’ambiente in Italia. Storia e cultura del movimento
ecologista, Milano, Franco Angeli
Goio F, 1981, Movimenti collettivi e sistema politico, Rivista Italiana di Scienza Politica, vol.
XI, n.1
Strassoldo R, 1993, Le radici dell’erba: sociologia dei movimenti ambientali di base, Napoli,
Liguori
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