Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Rubbettino
© 2011 - Rubbettino Editore
88049 Soveria Mannelli
Viale Rosario Rubbettino, 10
TEL (0968) 6664201
www.rubbettino.it
Progetto Grafico:
Ettore Festa, HaunagDesign
Indice
Introduzione
2. Il prodotto
3. Il lavoro
4. La produttività
Appendici
Riferimenti bibliografici
Introduzione
1.1. La popolazione
All’epoca del primo censimento unitario, effettuato nel 1861, l’Italia,
con 25,8 milioni di abitanti3, era uno dei paesi più popolosi d’Europa:
al quinto posto nel continente dopo la Russia, la Germania, la
Francia e l’impero austro-ungarico4.Per densità di abitanti, l’Italia era
seconda soltanto al Belgio e ai Paesi Bassi e stava alla pari con
l’Inghilterra e l’Irlanda. Se si eccettua la Campania, che è sempre
stata la regione più densamente popolata del paese, ieri come oggi,
la densità era superiore nel Nord (Fig. 1)5. Al di sotto della media
nazionale, di 85 abitanti per km2, l’unica regione settentrionale era il
Veneto. Tutte le altre erano regioni del Mezzogiorno6. Nel complesso
la densità a In questo, come nei grafici seguenti in questo Capitolo,
la retta verticale indica il valore medio dell’Italia. Il coefficiente di
variazione delle densità regionali è 0,44. Il coefficiente di variazione
è una misura della dispersione dei valori intorno alla media e, quindi,
delle differenze dei singoli casi regionali rispetto alla media italiana (il
cui valore è scritto a fianco della linea verticale). Riporteremo il
coefficiente di variazione in nota ai grafici seguenti su base regionale
e ne discuteremo i valori.
Fonte: Appendice 3.2.
FIGURA 1
Densità della popolazione nelle regioni italiane nel 1861 (abitanti per
km2)
Nord era di 91 abitanti per km2, mentre a Sud era di 77. Una
differenza stimabile fra 10 e 20 abitanti per km2 in più nel Nord
rispetto al Sud era esistita anche in epoche precedenti, almeno da
quando disponiamo di dati relativamente attendibili per stimare la
popolazione italiana, e cioè dal xvi secolo7.
Nelle regioni del Mezzogiorno vivevano, nel 1861, 9,5 milioni di
abitanti. A Nord erano ben 16,3 milioni8. Gli abitanti del Sud erano
allora il 37 per cento della popolazione italiana. Da quella data non ci
sono stati cambiamenti di rilievo nel peso relativo delle due parti del
paese9. Al censimento del 2001 la popolazione del Sud era il 36 per
cento; più o meno come 140 anni prima.
1.2. L’urbanizzazione
Parlando di divari economici nell’Ottocento e prima, un indicatore
fondamentale è sempre stato considerato l’urbanizzazione. Quanti
più sono gli abitanti urbani rispetto al totale, tanto più sviluppati sono
i settori dell’industria e dei servizi e tanto più avanzato è un paese.
Così si pensa. Anche il settore agricolo deve essere più sviluppato in
un’area con elevata urbanizzazione, perché la popolazione
contadina, oltre che se stessa, deve nutrire un numero elevato di
abitanti che non lavorano la terra e vivono nelle città. L’agricoltura
deve, perciò, essere più produttiva. Ragionando in questi termini e
considerando come urbano (nell’Ottocento) un centro di almeno
5.000 abitanti, allora l’area più avanzata di tutto il mondo risulterebbe
la Sicilia, con 66 abitanti urbani su 100 sia nel 1800 che nel 1861.
Proprio così! Per un confronto, si tenga presente che in Inghilterra, il
paese con l’economia più sviluppata, il tasso di urbanizzazione era
allora di meno di 50 abitanti su 100; in Europa nel suo complesso
sfiorava i 2010. L’Europa, in media, era, dunque, tre volte meno
urbanizzata della Sicilia. Ragionando negli stessi termini, il
Mezzogiorno era assai più avanzato del Nord. Nel 1861, per quanto
meno esteso e con meno abitanti del Nord, il Sud aveva il doppio di
centri urbani. Aveva l’unica grande capitale, Napoli, che contava
320.000 abitanti nel 1800 e 420.000 nel 1861; mentre Roma ne
aveva rispettivamente 153 e 188. Il tasso d’urbanizzazione, sempre
calcolato considerando come città i centri con più di 5.000 abitanti,
era del 43 per cento11. Nel Centro-Nord l’urbanizzazione, in calo
rispetto al tardo Medioevo, ristagnava intorno al 17-18 per cento12
(Tab. 1).
TABELLA 1
Numero di città, abitanti urbani, popolazione e urbanizzazione (%)
nel 1800 e 1861 nel Centro-Nord e nel Mezzogiorno
I dati si riferiscono ai centri abitati con almeno 5.000 abitanti.
Fonte: database in www.paolomalanima.it. Per il 1811 si veda anche
MARTUSCELLI, La popolazione del Mezzogiorno nella statistica di Re
Murat.
TABELLA 2
Forza lavoro occupata nel settore secondario in base ai censimenti
del 1861, 1871 e 1881 (% della forza lavoro complessiva)
2.1. La statura
Da tempo gli storici utilizzano i dati sulla statura delle popolazioni del
passato per cogliere differenze di sviluppo economico e in
particolare nel livello dei consumi alimentari. Si sa, infatti, che il
nutrimento nei primi anni di vita influenza decisamente la statura
degli individui22. Anche la struttura genetica di una popolazione23 o il
tipo di dieta hanno, però, la loro influenza sulla statura, a quanto
scrivono gli specialisti di antropometria storica, e non solo, dunque,
la disponibilità di prodotti.
FIGURA 2
Statura delle reclute per regione nel 1879-83
Il grafico si riferisce alle stature delle reclute negli anni 1879-83 e
quindi ai nati approssimativamente negli anni 1859-63. Il coefficiente
di variazione è, in questo caso, molto basso, uguale a 0,01. La figura
può ingannare! Come si vede, infatti, le differenze regionali nella
statura divergono di pochi centimetri e, quindi, la dispersione intorno
alla media è molto bassa.
Fonte: SVIMEZ, Un secolo di statistiche italiane. Nord e Sud 1861-
1961, p. 70.
Gli Italiani nati intorno alla metà dell’Ottocento non erano più bassi
dei loro contemporanei spagnoli o portoghesi. Erano più bassi delle
popolazioni dell’Europa centro-settentrionale24. La statura delle
reclute del 1871, nate, quindi, intorno al 1851, era in Italia di 162,4
cm. Le reclute del 1879-83, nate nel 1859-63, erano un po’ più alte:
165,2 cm25. Le regioni meridionali si trovavano tutte al di sotto della
media italiana, con la Sardegna (che, tuttavia, presenta differenze
genetiche rispetto al resto del paese) all’ultimo posto. Il Veneto era al
primo posto, con le reclute più alte, sia nel 1871 che negli anni
successivi. Non pare, tuttavia, che il Veneto si trovasse, dal punto di
vista nutrizionale, in una posizione privilegiata rispetto ad altre
regioni del nuovo stato26 (Fig. 2). La polenta era il nutrimento di base
di gran parte della popolazione. La pellagra, che deriva proprio da
un’alimentazione povera di vitamine del gruppo B, basata sul mais,
ne era la conseguenza. Il rapporto sulla pellagra, pubblicato nel
1880, rivelava la diffusione della malattia nelle campagne dell’Italia
centro-settentrionale. Dei 100.000 contadini affetti dalla malattia, la
maggior parte viveva in Lombardia, Veneto, Emilia27. Il mal della
rosa, come anche veniva chiamata la pellagra, era assente nel
Mezzogiorno dove, per ragioni climatiche (la scarsa umidità nel
periodo estivo), il mais era poco diffuso. Era, però, presente la
malaria, che funestava, in particolare, le coste centro-
meridionali28.Nel 1881 la mortalità per malaria, in tutto il paese, era
di 50 persone all’anno su 100.000. La maggior parte abitava nel
Mezzogiorno29.
In Italia, dal 1861 la statura media è aumentata sensibilmente. Le
ricostruzioni di Brian A’Hearn e Giovanni Vecchi, mostrano come
l’incremento, misurato per gli iscritti alla leva degli anni 1861 e 1980,
sia stato di 11,6 cm30. Il divario tra Centro-Nord e Mezzogiorno nella
statura (che nel 1861 era di 3,2 cm) è rimasto più o meno invariato,
diminuendo di appena 4 millimetri. Sebbene l’aumento nel tempo
della statura media sia indubbiamente connesso ai progressi nel
benessere, le differenze nella statura possono, tout court, essere
assunte come indicatori delle differenze nei livelli di sviluppo
economico? È necessaria cautela! Il caso del Friuli Venezia Giulia
può essere esemplificativo. In Friuli, l’altezza media era (ed è)
significativamente superiore a quella delle altre regioni. Nel 1861, la
statura media dei militari del Friuli sopravanzava quella della più
sviluppata Lombardia di 2,4 cm. Nel 1980, la differenza era
aumentata lievemente, passando a 2,8 cm. Tra le due regioni non
esiste alcun divario economico.
FIGURA 3
La mortalità nel primo anno di vita per regione negli anni 1874-75
(per mille)
Il coefficiente di variazione è, in questo caso, assai basso: 0,08.
Fonti: FELICE, I divari regionali in Italia sulla base degli indicatori
sociali (1871-2001). Si vedano anche le serie dal 1861 al 2011 in
ATELLA, FRANCISCI, VECCHI, Salute, pp. 73-130 e p. 422, Tab. 7. Dal
1863 al 2007 serie della mortalità anche in SVIMEZ, 150 anni di
statistiche italiane: Nord e Sud 1861-2011, pp. 96-8.
Un’elevata mortalità infantile è quasi sempre, ma non sempre,
associata con una bassa speranza di vita, o aspettativa di vita alla
nascita (il numero di anni che, in media, l’individuo vivrà). In Italia la
speranza di vita nel 2009 era di più di 80 anni; fra le più elevate al
mondo. Nel 1871 era di soli 33 anni (Fig. 4). Il livello italiano era
ancora quello tipico delle società tradizionali prima dell’Ottocento.
Nel caso dell’Italia la correlazione inversa fra elevata mortalità
infantile e speranza di vita negli anni ’70 dell’Ottocento è bassa. La
Sicilia, con elevata mortalità infantile, presenta una speranza di vita
piuttosto alta, mentre il Lazio, con mortalità infantile inferiore alla
media, era all’ultimo posto, in Italia, per la speranza di vita, con soli
29 anni.
FIGURA 4
Speranza di vita alla nascita per regione nel 1871
Il coefficiente di variazione è di 0,08.
Fonti: FELICE, I divari regionali in Italia base degli indicatori sociali
(1871-2001). Si vedano anche le serie dal 1861 al 2011 in ATELLA,
FRANCISCI, VECCHI, Salute, pp. 73-130 e p. 420, Tab. 5. Si vedano
anche i dati per regione dal 1901 al 2010 in SVIMEZ, 150 anni di
statistiche italiane: Nord e Sud 1861-2011, pp. 93-5.
2.3. L’analfabetismo
Un indicatore assai importante del grado di sviluppo di un paese è
costituito dall’alfabetismo. Anche sotto questo profilo, l’Italia nel suo
insieme si trovava, nei primi decenni dopo l’Unità, in una posizione
arretrata rispetto ad altri paesi europei. Nel 1871, circa il 70 per
cento della popolazione italiana poteva venire definita come
analfabeta. Nell’impero austriaco gli analfabeti erano allora meno del
30 per cento, in Prussia il 12, in Belgio e Francia si superava di poco
il 30. Peggio dell’Italia, quanto a istruzione, si trovavano il Portogallo,
la Spagna, buona parte dell’Europa orientale e l’impero russo, in cui
l’analfabetismo superava l’80 per cento (e, in alcune sue regioni,
anche il 90)34.Nel 1861, alla data del primo censimento (in cui si
rilevò anche il grado d’alfabetizzazione)35, nel complesso dell’Italia,
un elevato livello di alfabetizzazione caratterizzava le province al
confine con le frontiere franco-svizzere. Da quest’area avanzata,
l’analfabetismo cresceva procedendo verso Sud. Nel Centro le città
erano relativamente alfabetizzate, ma non le campagne. Nel Regno
di Napoli36, eccezion fatta per poche città come L’Aquila, Sulmona,
Teramo e, in misura minore, Chieti, l’analfabetismo imperava. Delle
25 province del Mezzogiorno, 22 avevano un tasso
d’alfabetizzazione inferiore al 10 per cento. L’analfabetismo
dominava nelle due isole maggiori e superava i livelli del Meridione
della penisola.
FIGURA 5
Tasso di analfabetismo per regione nel 1871 (%)
3.1. I salari
Gli indicatori relativi al reddito pro capite, all’aspettativa di vita e
all’istruzione vengono spesso combinati a formare quello che viene
definito come Indice di sviluppo umano41. Di indici di sviluppo umano
ne esistono decine, costruiti con criteri diversi. Di solito la
graduatoria dei paesi del mondo sulla base dell’indice di sviluppo
umano non è molto diversa da quella sulla base del prodotto pro
capite42. Nel caso delle regioni d’Italia all’indomani dell’Unità gli
indicatori sociali e gli indicatori economici presentano numerose
differenze. Sono queste differenze che vogliamo ora esaminare.
Per le economie del passato, i redditi che conosciamo meglio
sono i salari. Purtroppo, però, una ricerca approfondita sui salari in
Italia per regione all’epoca dell’Unità manca ancora del tutto.
Sarebbe importante per individuare le differenze esistenti fra regioni.
Quello che al momento sappiamo non ci permette se non di cogliere
ordini di grandezza molto grossolani.
Per il periodo precedente l’Unità è più agevole documentare la
tendenza dei salari nelle due parti del paese che le differenze di
livello (Figg. 6 e 7)43. Nel Settecento i salari diminuirono in
agricoltura e nell’industria, sia nel Nord che nel Sud, confermando
una tendenza verso il basso che fu comune a tutta Europa (o quasi,
in quanto l’Inghilterra costituisce una parziale eccezione). Mentre,
però, nella media europea, i salari aumentarono a partire dal terzo
decennio dell’Ottocento, in Italia essi rimasero stazionari su livelli
bassi fino ai due primi decenni dopo la formazione dello stato
unitario, sia a Nord che a Sud. Nel complesso, fra l’inizio del
Settecento e l’Unità, i salari reali si ridussero della metà. In realtà è
possibile che i salari a giornata si siano ridotti, ma che le famiglie
abbiano contenuto la caduta del reddito familiare con un aumento
dell’impegno lavorativo. Le donne soprattutto dovevano lavorare di
più nel 1861 che nell’anno 1700. Di solito, nelle economie arretrate,
quando il reddito dei lavoratori maschi si riduce, anche le donne
entrano nel mercato del lavoro. Probabilmente aumentò anche il
lavoro minorile. Si verificò anche in Italia una «rivoluzione
industriosa»44, motivata dal bisogno di mantenere i livelli di vita,
mentre il salario reale a giornata, per l’aumento dei prezzi, perdeva
potere d’acquisto.
FIGURA 6
Salari reali nell’industria a Nord e a Sud 1700-1861 (1700=1)
FIGURA 7
Salari reali nell’agricoltura a Nord e a Sud 1700-1861 (1700=1)
Fonte: MALANIMA, An Age of Decline. Product and Income in
Eighteenth-Nineteenth Century Italy.
Come si vede nei grafici, mentre sono diversi gli andamenti annui,
condizionati dalle vicende locali dell’agricoltura e dei prezzi, i trend
sono più o meno gli stessi. All’Unità, i salari reali di muratori o di
braccianti non rivelano l’esistenza di grandi differenze fra Nord e
Sud. Un maestro muratore guadagnava a Milano 2 lire al giorno nel
1861. A Napoli riceveva 40 grana. In entrambi i casi il salario
giornaliero corrispondeva a circa 9 grammi d’argento. Sappiamo che
i salari nell’industria e nell’agricoltura cominciarono ad aumentare
dai primi anni Ottanta dell’Ottocento, contemporaneamente all’avvio
della crescita moderna dell’economia (Fig. 8). Tuttavia, agli inizi del
Novecento, i salari in Italia erano ancora bassi, se confrontati con
quelli di altri paesi dell’Europa settentrionale sulla via
dell’industrializzazione. Nel 1905, i salari nell’industria erano il 40 per
cento di quelli della Gran Bretagna, e poco più della metà di quelli di
Belgio, Francia e Germania. Erano il 30-35 per cento di quelli degli
Stati Uniti. La situazione era di poco migliorata nel 191345.
FIGURA 8
Salario reale per ora di lavoro in Italia 1861-1913 (lire del 1861)
FIGURA 9
La produzione agricola pro capite in Italia dal 1861 al 1913 (lire
1911)
Fonti: FEDERICO, Le nuove stime della produzione agricola italiana, e
FEDERICO, L’agricoltura italiana: successo o fallimento?, p. 113, che
riporta un analogo grafico, ai confini dell’epoca, mentre questo nella
Figura 9 è ai confini attuali.
Temperature, precipitazioni, natura dei terreni sono
profondamente diversi a Nord dell’Appennino – e cioè in Europa – e
a Sud – e cioè in Africa –. Anche i rendimenti della terra sono
diversi. Quelli del grano, ad esempio, erano, fra il 1815 e il 1880, di
5-9 quintali per ettaro nel Nord, di 4-8 nel Centro e di 3-7 nel Sud54.
Le differenze nelle rese dei cereali forniscono, però, una
testimonianza imperfetta sul grado di produttività di un’agricoltura. Le
differenze fra Nord e Sud diventano assai minori se, oltre ai cereali,
teniamo conto anche degli altri prodotti della terra. Olivi, viti, piante
d’agrumi, gelsi, erano, infatti, assai diffusi nel Mezzogiorno. Dal
prodotto di queste piante dipendeva la ricchezza di regioni come la
Puglia, la Campania e la Sicilia55.
Tuttavia è dal valore della produzione agricola pro capite che
dipendono gli effettivi consumi della popolazione. E se dividiamo la
produzione aggregata, così come di recente è stata ricostruita, per la
popolazione, allora le cose cambiano rispetto a quanto siamo soliti
pensare. Guardiamo la Figura 10! Vediamo in questo diagramma
l’effetto che ha sul prodotto agricolo regionale quella differenza di 14
abitanti per km2 di cui si è parlato all’inizio di questo capitolo.
In lire del 1911, nel 1891 il prodotto agricolo pro capite nel Nord è
di 201 lire, mentre nel Sud è di 23456. Se poi guardiamo alle diverse
regioni, scopriamo che la Lombardia, dotata di tanti terreni fertili, ma
anche densamente popolata, si trova in penultima posizione quanto
a prodotto agricolo per abitante, mentre la Puglia, insieme
all’Umbria, si trova in prima posizione e la Sardegna in seconda.
Tutte le regioni del Mezzogiorno, eccetto la Campania (fertilissima,
ma popolatissima), si trovano al di sopra della media nazionale,
insieme a quelle del Centro, mentre quelle del Nord si trovano al di
sotto.
FIGURA 10
Il prodotto agricolo pro capite in Italia per regione nel 1891 (lire 1911)
FIGURA 11
La produttività del lavoro in agricoltura nel 1911 (lire 1911)
TABELLA 3
Superficie agraria e forestale, seminativi, popolazione e abitanti per
km2 di superficie agraria e forestale e per seminativi nel 1861
FIGURA 12
La produzione industriale pro capite in Italia dal 1861 al 1913 (lire
1911)
FIGURA 13
Il prodotto industriale pro capite in Italia per regione nel 1871 (lire
1911)
FIGURA 14
Il prodotto del settore terziario pro capite in Italia per regione nel
1891 - (lire 1911)
TABELLA 4
Prodotto pro capite in Italia e nei paesi dell’Europa occidentale nel
1870
FIGURA 15
Divari regionali nel prodotto industriale pro capite rispetto alla media
nazionale nel 1871 e 1911 (%)
Fonti: elaborazione dei dati di FENOALTEA, La crescita industriale
delle regioni d’Italia dall’Unità alla Grande Guerra: una prima stima
per gli anni censuari, e FENOALTEA, L’economia italiana dall’Unità alla
Grande Guerra.
È difficile pronunciarsi sul divario nel prodotto pro capite nei tre
decenni dall’Unità al 189178. Dato che nel 1891 il divario era
modesto e stava crescendo, è possibile che nel 1861, nelle due aree
del paese, il livello del prodotto pro capite fosse lo stesso.
L’esistenza di una differenza nel costo della vita di un 15 per cento
per quell’epoca annullerebbe i divari calcolati da vari autori. D’altra
parte, a quell’epoca, la produzione industriale, che generò la
differenza fra Nord e Sud, non era decisamente maggiore nelle
regioni settentrionali (in termini pro capite).
Come si è visto, gli indicatori sociali o socio-economici, come la
statura, la mortalità infantile e la speranza di vita, indicavano un
leggero vantaggio a favore del Nord. Nel caso dell’alfabetizzazione,
pur con tutte le cautele che abbiamo ricordato, il vantaggio era più
forte. Si è notato, però, che gli indicatori sociali e gli indicatori
economici non sono la stessa cosa. Ne vogliamo un esempio? Oggi
gli indicatori sociali presi in esame in questo capitolo sono molto
simili a Nord e a Sud79. Ne dobbiamo dedurre che anche i redditi
medi degli abitanti delle due parti del paese sono molto simili?
Sappiamo che non è così.
1. ABULAFIA, The Two Italies. Sui secoli preunitari si veda, tuttavia, la
ricostruzione sintetica di VITOLO, MUSI, Il Mezzogiorno prima della questione
meridionale, che propone una visione «più dinamica nel tempo di quanto non si
tenda a credere» (p. X).
2. CAFAGNA, Nord e Sud. Non fare a pezzi l’unità d’Italia, p. 36. Un divario
economico fra Nord e Sud prima dell’Unità è stato sostenuto anche da ECKAUS, Il
divario Nord-Sud nei primi decenni dell’Unità; ECKAUS, L’esistenza di differenze
economiche tra Nord e Sud d’Italia al tempo della Unificazione; ESPOSTO,
Estimating Regional Per Capita Income: Italy, 1861-1914; ESPOSTO, Italian
Industrialization and the Gerschenkronian “Great Spurt”.
3. Nei confini attuali. Si veda l’Appendice 3.
4. LIVI BACCI, La popolazione nella storia europea.
5. Grafici a barre, come quello della Figura 1, suggeriscono in maniera immediata
l’esistenza di un divario regionale rispetto alla media dell’Italia, rappresentata dalla
linea verticale. Altri grafici simili a questo sono riportati nel corso di questo
capitolo. In ogni caso le regioni sono disposte in ordine decrescente dell’indicatore
preso in considerazione.
6. Sulle densità per regione si veda l’Appendice 3.2.
7. MALANIMA, L’economia italiana, Appendice I.
8. Si veda il primo censimento unitario: MAIC, Statistica del Regno d’Italia.
Popolazione. Censimento generale al 31 dicembre 1861; integrato con le aree non
ancora comprese nel Regno. Si vedano i dati regionali nell’Appendice 3.
9. Nonostante l’emigrazione dal Sud verso il Nord dopo la Seconda guerra
mondiale. Dell’emigrazione si parlerà nel Capitolo 3.
10. Per i confronti su scala europea, si veda MALANIMA, Urbanisation 1700-1870.
11. Si vedano anche le considerazioni sull’urbanizzazione meridionale di
BEVILACQUA, Breve storia dell’Italia meridionale dall’Ottocento a oggi, p. 10.
12. La lieve differenza fra questo tasso di urbanizzazione e quello presentato, per
il Centro-Nord, in MALANIMA, Urbanisation and the Italian Economy during the
last Millennium, dipende dalla diversa definizione di Centro-Nord, che, in questo
volume, include il Lazio (nell’articolo citato il Lazio è escluso). Si veda anche
MALANIMA, Italian Cities 1300-1800. A Quantitative Approach.
13. Si vedano le considerazioni sui centri urbani meridionali di BENIGNO, Assetti
territoriali e ruralizzazione in Sicilia.
14. SALVEMINI, Prima della Puglia. Terra di Bari e il sistema regionale in età
moderna.
15. Questo tema è al centro del Capitolo 3, a cui si rimanda per maggiori dettagli.
16. Come rilevato anche da ECKAUS, Il divario Nord-Sud nei primi decenni
dell’Unità, p. 223 e, dopo di lui, anche da ZAMAGNI, A Century of Change.
17. Si veda soprattutto FENOALTEA, L’economia italiana, pp. 217 ss.
18. I contadini maschi si sottoponevano al pendolarismo per raggiungere le terre
da coltivare. Per le donne rimanere lontane da casa per lunghi periodi non era
possibile (né era socialmente ammissibile).
19. Si veda la nota all’Appendice 4.
20. Come si vedrà nel Capitolo 3.
21. Sul tema degli indicatori sociali nei decenni postunitari si veda TONIOLO,
VECCHI, Nel secolo breve il lungo balzo del benessere degli Italiani; e anche
VECCHI, Il benessere dell’Italia liberale (1861-1913).
22. Per l’Italia in generale, il tema della nutrizione è esaminato in VECCHI,
COPPOLA, Nutrizione e povertà in Italia, 1861-1911 e SORRENTINO, VECCHI,
Nutrizione, pp. 3-36.
23. Sulle differenze genetiche fra Nord e Sud si veda il bell’articolo di PIAZZA,
L’eredità genetica dell’Italia antica.
24. REIS, How Poor was the European Periphery before 1850?
25. ARCALENI, La statura dei coscritti italiani delle generazioni 1854-1976. In
prospettiva di lungo periodo è anche lo studio di FEDERICO, Heights, Calories
and Welfare: a new Perspective on Italian Industrialization, 1854-1913.
26. Come mostrò BERENGO, L’agricoltura veneta dalla caduta della Repubblica
all’Unità.
27. MAIC, La pellagra in Italia. 1879. La pellagra era meno diffusa nel Centro,
anche se la «semplice polenta di farina di granturco, il più delle volte senza sale»,
costituiva spesso, anche in questa parte dell’Italia, «il vitto ordinario di questa
povera gente» (JACINI, Atti della Giunta per l’Inchiesta agraria, xi, I, Provincie di
Roma e Grosseto, pp. 787-88). Sulla pellagra si veda soprattutto DE BERNARDI,
Il mal della rosa.
28. BONELLI, La malaria nella storia demografica ed economica d’Italia.
29. ATELLA, FRANCISCI, VECCHI, Salute, p. 88.
30. A’HEARN, VECCHI, Statura.
31. REIS, How Poor was the European Periphery.
32. Come si è visto nel precedente par. 1.3. e come si vedrà più ampiamente nel
Capitolo 3.
33. ISTAT, Tendenze evolutive della mortalità infantile in Italia.
34. È sempre assai utile, come introduzione al tema, il bel libro di CIPOLLA,
Istruzione e sviluppo, da cui sono riprese alcune informazioni riportate in queste
pagine.
35. Riprendiamo questi dati, relativi al primo censimento unitario, da SALL-MANN,
Les niveaux d’alphabétisation en Italie au XIXE siècle, pp. 201 e passim (si veda
in particolare l’utile Appendice al volume).
36. Si vedano, in particolare, gli studi di LUPO, “Tra le provvide cure di Sua
Maestà”. Stato e scuola nel Mezzogiorno tra Settecento e Ottocento, sul Regno di
Napoli e di VIGO, “... quando il popolo cominciò a leggere“. Per una storia dell
alfabetismo in Italia, su tutta Italia.
37. ZAMAGNI, Istruzione e sviluppo economico. Il caso italiano 1861-1913.
38. SVIMEZ, Cento anni di statistiche sulle regioni d’Italia, p. 151.
39. CIPOLLA, Istruzione e sviluppo, p. 7.
40. CIPOLLA, Istruzione e sviluppo, p. 9.
41. Come è stato fatto da FELICE, I divari regionali, e, prima di lui, da FEDERICO,
TONIOLO, Italy, ed ESPOSTO, Estimating Regional per Capita Income: Italy,
1861-1914.
42. DANIELE, La crescita delle nazioni. Fatti e teorie, p. 40.
43. Sarebbe più interessante paragonare il livello dei salari anziché il trend, come
nei due grafici. Un confronto del livello dei salari reali richiederebbe la costruzione
di due indici dei prezzi basati sullo stesso paniere. Per il Sud non sono ancora a
disposizione serie tali da permettere la costruzione di un indice con paniere uguale
a quello usato per la serie relativa al Nord. C’è poi il fatto, importante, che a Nord
era diffusissimo il mais nell’alimentazione, mentre a Sud il consumo di mais era
eccezionale. Il mais aveva un prezzo pari a circa la metà di quello del grano.
Costruendo per il Nord un indice dei prezzi contenente il mais, il potere d’acquisto
dei salari settentrionali risulterebbe superiore (ma mangiando polenta tutti i giorni
invece di pane, si gode effettivamente di una migliore qualità di vita?).
44. Si tratta dell’espressione resa nota da DE VRIES, The Industrious Revolution
and the Industrial Revolution, e DE VRIES, Industrious Revolution. Consumer
Behavior and the Household Economy 1650 to Present.
45. I dati che precedono sono ripresi da ZAMAGNI, An International Comparison
of Real Industrial Wages, 1890-1913: Methodological Issues and Results, pp. 118-
19.
46. Come risulta dai dati raccolti da ZAMAGNI, Industrializzazione e squilibri
regionali in Italia. Bilancio dell’età giolittiana, Appendice B, pp. 233-35. Si veda
anche SVIMEZ, 150 anni di statistiche italiane: Nord e Sud 1861-2011, p. 495,
dove sono riportati i salari orari minimi di maestri muratori per regione nel 1910.
47. ARCARI, Le variazioni dei salari agricoli in Italia dalla fondazione del Regno al
1933; e FEDERICO, Le nuove stime della produzione agricola italiana, 1860-1910.
48. Come si può vedere, è soprattutto la revisione del prodotto agricolo nazionale
per regione (che ci dà un prodotto agricolo pro capite nel Mezzogiorno superiore
del 15 per cento circa a quello del Nord nel 1891), che modifica il rapporto relativo
Nord-Sud in termini di prodotto pro capite.
49. NITTI, Scritti politici, p. 147.
50. Sul tema si veda in particolare la ricostruzione di GALASSO, Passato e
presente del meridionalismo.
51. FORTUNATO, La questione meridionale e la riforma tributaria.
52. CUBONI, I problemi dell’agricoltura meridionale.
53. Parole simili a quelle di Cuboni usava nello stesso anno 1909 FORTUNATO, Il
Mezzogiorno e lo Stato Italiano. Discorsi politici (1880-1910), p. 404.
54. PORISINI, Produttività e agricoltura: i rendimenti del frumento in Italia dal 1815
al 1822, p. 24.
55. Come ha messo in rilievo TINO, Le radici della vita. Storia della fertilità della
terra nel Mezzogiorno (secoli XIX-XX), pp. 52 ss. e passim, che ha rivisto il tema
della povertà naturale del Mezzogiorno, su cui esiste un’ampia bibliografia. Sul
tema si vedano, ad esempio, i saggi di ROSSI DORIA, Scritti sul Mezzogiorno.
56. Una conclusione che contrasta con quella di ECKAUS, Il divario Nord-Sud nei
primi decenni dell’Unità, p. 224, il quale affermava che «il Nord aveva un margine
di almeno il 20 per cento in più rispetto al Sud nella produzione pro capite in
agricoltura» e che «nel complesso sembrerebbe plausibile una differenza del 15-
20 per cento nel reddito pro capite» a favore del Nord.
57. Si vedano FEDERICO, Ma l’agricoltura meridionale era davvero arretrata?, p.
321, ZAMAGNI, Le radici agricole del dualismo italiano, ESPOSTO, Estimating
Regional per Capita Income, FELICE, Divari regionali, p. 132. Federico riporta le
stime precedenti di Zamagni e Esposto nella Tav 1 del suo articolo.
58. Questa stima e quella successiva relativa al Sud sono riprese da SVIMEZ, Un
secolo di statistiche italiane, p. 18.
59. CAFAGNA, Profilo della storia industriale italiana, p. 285.
60. CAFAGNA, Nord e Sud nella storia dell’Unità d’Italia, p. 49.
61. BATTISTINI, Seta ed economia in Italia. Il prodotto 1500-1930, p. 307.
62. A. DELL’ACQUA, Annuario Statistico del Regno d’Italia per l’anno 1865,
Milano 1865, p. XXXV.
63. Come si precisa nella premessa all’Appendice 1, il rilievo dei servizi sul
prodotto aggregato calcolato da Fenoaltea è diverso dal nostro.
64. LUZZATTO, L’economia italiana dal 1861 al 1894, pp. 7-9.
65. SVIMEZ, Un secolo di statistiche italiane. Nord e Sud 1861-1961, p. 477.
66. ECKAUS, L’esistenza di differenze economiche tra Nord e Sud.
67. MALANIMA, The Long Decline of a Leading Economy.
68. CAFAGNA, Nord e Sud, p. 190.
69. Anche se sono vere le violenze e i misfatti, compiuti dai governi post-unitari a
danno del Sud, raccontate con partecipazione da APRILE, Terroni e da GUERRI, Il
sangue del Sud.
70. CAFAGNA, Nord e Sud, p. 191. Anche CIOCCA, Ricchi per sempre?, pp. 93
ss. considera il divario fra Nord e Sud come un carattere della storia italiana
precedente alla crescita moderna del paese.
71. ZAMAGNI, Comments on the Paper by Emanuele Felice, p. 81.
72. Il libro di ZAMAGNI, Industrializzazione e squilibri regionali in Italia, si riferisce
proprio al periodo che precede la Prima guerra mondiale.
73. In FELICE, Il valore aggiunto regionale, il divario fra Nord e Sud è, nelle due
stime presentate, intorno al 10 per cento. Si veda anche FELICE, Divari regionali e
intervento pubblico, p. 124. In CIOCCA, Ricchi per sempre?, p. 22, il divario Nord-
Sud nel 1891 è del 20 per cento.
74. AMENDOLA, VECCHI, Costo della vita, e Tabb. 23, 24, 25, pp. 436-37.
75. AMENDOLA, VECCHI, Costo della vita, p. 411.
76. AMENDOLA, VECCHI, Costo della vita, p. 407, scrivono che, durante il
ventennio fascista, «per consumare lo stesso paniere di beni al Nord occorreva
spendere circa il 15 per cento in più che al Sud».
77. Come si nota nel Capitolo 2, par. 4.3., è possibile che i divario fra i prezzi del
Nord e quelli del Sud si sia manifestato all’epoca del divario economico. In un
paese povero, i prezzi dei generi di consumo sono più bassi che in un paese ricco.
78. In BRUNETTI, FELICE, VECCHI, Reddito, pp. 220-34 viene proposta una
ricostruzione del Pil regionale, presentato nelle Tabb. 15 e 16, pp. 428-29. Il
divario Nord-Sud, che non tiene conto delle differenze nei prezzi, viene stimato in
circa un 15 per cento. Le informazioni fornite alla p. 234 sui metodi di elaborazione
sono sommarie.
79. Come mostra FELICE, I divari regionali in Italia sulla base degli indicatori
sociali (1871-2001).
2. Il prodotto
FIGURA 1
Squilibri regionali e livello di sviluppo nei paesi dell’Ocse nel 2005 (1)
Il grafico illustra la relazione tra il Pil pro capite in dollari USA (parità
di potere d’acquisto) e l’indice di Theil (indice del grado di squilibrio
tra le regioni) nell’anno 2005. Gli assi del grafico sono centrati sul
valore mediano.
Fonte. IUZZOLINO, I divari territoriali di sviluppo in Italia nel confronto
internazionale.
FIGURA 2
Squilibri regionali e livello di sviluppo nei paesi dell’Ocse nel 2005 (2)
Il grafico illustra la relazione tra Pil pro capite in dollari USA, a parità
di potere d’acquisto, e l’indice di Theil (indice del grado di squilibrio
tra le regioni) nell’anno 2005. Nel calcolo dell’Indice di Theil di
ciascun paese è stata esclusa la regione più ricca. Gli assi del
grafico sono centrati sul valore mediano.
Fonte:IUZZOLINO, I divari territoriali di sviluppo in Italia nel confronto
internazionale.
2. LA CRESCITA DELL’ITALIA
FIGURA 3
Pil e Pil pro capite in Italia 1861-2010 (1861=1)
TABELLA 1
Tassi di crescita medi annui del Pil, della popolazione e del Pil pro
capite 1861-2010 (%)
FIGURA 4
Il consumo pro capite di energia in Italia 1800-1911 (in Gigajoules)
Come mostra la Figura 4, sino alla fine del secolo il profilo dei
consumi, pur soggetto a un’ampia volatilità, non mostrava alcun
trend crescente. È dal 1880 che esso cresce decisamente. Con
l’avvio della crescita si compie la transizione energetica, cioè il
passaggio dalle fonti energetiche tradizionali a quelle fossili,
necessarie per sostenere lo sviluppo dell’industria. Fino alla fine
dell’Ottocento, fonti di tipo vegetale (la legna da ardere e il cibo per
gli uomini e animali da lavoro) e acqua e vento, fornivano la quasi
totalità del’energia utilizzata. L’industrializzazione aumenta il
consumo di combustibili fossili, che passano dal 7 per cento dei
consumi totali nel 1861 al 27 per cento nel 1900 (Tab. 2).
TABELLA 2
Consumi energetici 1861-2000 (%)
FIGURA 5
Tassi medi annui di crescita del Pil aggregato e pro capite, 1951-
2010 (%)
Se si eccettuano gli anni delle due guerre mondiali, per i quali, come
s’è detto, le stime sono assai incerte, si osserva come il processo di
convergenza nei confronti delle nazioni più sviluppate si compia
soprattutto tra gli anni Cinquanta e Settanta. In quella fase, l’Italia
colma rapidamente il divario di partenza, raggiungendo livelli di
reddito analoghi – o di poco inferiori – a quelli delle altre grandi
economie europee.
TABELLA 3
Pil per settori 1861-2009 (%)
Fonte: Appendice 1.1.
CARTINA 1
I divari regionali nel Pil pro capite 1891 e 1911
(media nazionale = 100)
CARTINA 2
I divari regionali nel 1936 e nel 1951
(media nazionale = 100)
3.5. La convergenza
Nonostante la struttura produttiva nazionale fosse ormai dualistica,
con l’industria concentrata al Nord, nella seconda metà degli anni
Cinquanta si avviò un processo di convergenza tra le due aree. Alla
base di questo processo vi furono diversi fattori, tra cui:
1. l’accelerazione della crescita economica dell’Italia e il
conseguente cambiamento strutturale;
2. la massiccia emigrazione Sud-Nord;
3. le politiche d’intervento straordinario.
Nei primi anni Cinquanta, l’Italia era ancora in una situazione di
relativo ritardo. Godeva pertanto del vantaggio dei late-comer: bassi
costi di produzione e la possibilità di compiere un balzo tecnologico
adottando le tecniche delle economie più avanzate. L’ampio bacino
di forza lavoro disoccupata, specialmente al Sud, garantiva bassi
livelli salariali che rendevano competitive le merci italiane. Questi
fattori strutturali, insieme con l’aumento della domanda interna ed
estera furono decisivi per il boom economico che si avviò alla fine di
quel decennio. L’adesione al Mercato unico europeo favorì le
esportazioni che, nel periodo 1958-63, crebbero a un tasso annuo
prossimo al 16 per cento47. I tassi di risparmio e d’investimento
furono altissimi, mentre i consumi pubblici e privati aumentarono
considerevolmente.
L’espansione della produzione industriale accrebbe la domanda di
lavoro. Ciò determinò una riallocazione settoriale e geografica della
manodopera, dall’agricoltura all’industria e dal Sud al Nord. Il
cambiamento strutturale fu rapido e radicale. Tra il 1951 e il 1971, la
forza lavoro nel settore primario in Italia passò dal 44 al 17 per
cento: un calo di oltre 5 milioni di occupati48. Al Sud, come al Nord, la
contrazione del settore agricolo fu imponente. Il passaggio di forza
lavoro da un settore a bassa produttività (agricoltura) a uno a elevata
produttività (industria) alimentò la crescita economica49. Nelle regioni
povere, dove la forza di lavoro sottoccupata in agricoltura è
maggiore, la riallocazione settoriale tende a produrre più elevati
guadagni di produttività. Così fu anche in Italia. Il cambiamento
strutturale fu un potente fattore di convergenza economica
regionale50.
Per avere un’idea delle relazioni tra cambiamento strutturale e
crescita si guardi la Figura 7. Sull’asse orizzontale si riportano le
quote dell’occupazione agricola (rispetto a quella industriale) e, su
quello verticale, i tassi di crescita regionali nel periodo 1951-71. Il
legame tra le due variabili è molto forte: le regioni che nel 1951
avevano una maggiore quota di occupati in agricoltura, cioè un più
alto potenziale di cambiamento strutturale, nei vent’anni seguenti
crebbero più velocemente di quelle più industrializzate.
FIGURA 7
Struttura occupazionale e crescita economica (1951-71)
FIGURA 8
L’accumulazione nel Mezzogiorno 1951-2005
Investimenti fissi lordi industriali nel Mezzogiorno in percentuale del
Centro-Nord. Calcoli su valori ai prezzi costanti.
Fonte: SVIMEZ, L’evoluzione macro-economica del Mezzogiorno e
del Centro-Nord, 1951-2009.
TABELLA 5
Spesa per l’intervento straordinario nel Mezzogiorno 1951-1998
CARTINA 3
I divari regionali nel Pil pro capite 1973 e 2010
(media nazionale = 100)
FIGURA 9
Divari regionali 1891-2010
FIGURA 10
Divari regionali e Pil pro capite 1891-2010
FIGURA 11
Pil pro capite nel Sud e nel Centro-Nord 1861-2010
(Indice 1861=1)
FIGURA 12
Popolazione e Pil del Sud rispetto all’Italia 1861-2010 (%)
FIGURA 13
Il divario di sviluppo Nord-Sud 1861-2010 (%)
Pil pro capite del Sud in percentuale di quello del Nord. Poiché la
dimensione iniziale del divario Nord-Sud è incerta, per gli anni 1861-
1900 si riporta una banda di possibili valori. L’ampiezza della banda
passa dal 10 per cento nel 1861 a zero nel 1900 (si veda
l’Appendice 1.3.).
Fonti: Appendici 1.2. e 1.3.
TABELLA 6
Il Pil pro capite e il divario Nord-Sud aggiustato
per il costo della vita 1923-2010
TABELLA 7
Indice di sviluppo umano delle regioni italiane, 1891-2001
Rispetto all’indice dell’Italia = 100. I confini delle regioni sono quelli
dell’epoca.
Fonte: FELICE, Divari regionali e intervento pubblico, p. 153.
Nel corso del Novecento le differenze regionali si riducono
notevolmente. Nel 1938, l’indice di sviluppo umano era il 90 per
cento di quello medio nazionale; era il 95 per cento nel 1971 mentre,
nel 2001, lo scarto tra il valore del Mezzogiorno e quello dell’Italia
era di appena 4 punti percentuali. È interessante notare come
l’andamento del Pil pro capite e degli indicatori dello sviluppo umano
rivelino andamenti opposti. Mentre il divario Nord-Sud nei redditi pro
capite si è ampliato nel tempo, quello nello sviluppo umano si è
ridotto. Le differenze fra i due indici non sono di poco conto.
FIGURA 14
Pil pro capite e sviluppo umano in 18 nazioni
e nel Mezzogiorno, 1871
In Italia, all’epoca dell’Unità, due terzi della forza lavoro era attiva
nell’agricoltura. Dell’altro terzo, una metà era occupata nell’industria
e l’altra nei servizi. La grande maggioranza della popolazione in età
da lavoro svolgeva qualche attività; spesso, più d’una.
La crescita moderna dell’Italia, dal 1880 in avanti, introdusse
importanti modifiche nel mercato del lavoro. Su due in particolare
soffermeremo la nostra attenzione in questo capitolo:
1. la diminuzione relativa della forza lavoro rispetto alla popolazione;
il declino, cioè, del tasso di attività o tasso di partecipazione;
2. il cambiamento nella struttura della forza lavoro, vale a dire nella
sua distribuzione fra le diverse occupazioni. Il numero degli
occupati in agricoltura diminuì da fine Ottocento in termini relativi,
mentre si accresceva l’occupazione nell’industria e nei servizi.
L’Italia ha attraversato, in un secolo e mezzo, tre fasi di sviluppo
economico:
1. la fase pre-industriale, che è durata fino al 1880 circa;
2. la fase industriale, dal 1880 al 1970-80;
3. la fase post-industriale, in cui si trova dagli anni 1970-80.
1. POPOLAZIONE E LAVORO
TABELLA 1
Popolazione (in migliaia) (P), forza lavoro (L) (in migliaia), tasso di
partecipazione (L/P)(%) e indici (con base 1 nel 1861) 1861-2001
I dati sulla popolazione si riferiscono alla popolazione presente (cioè
i residenti meno gli emigrati e più gli immigrati) e ai confini attuali
dell’Italia. I dati sulla forza lavoro, tratti dai censimenti, e quindi
anche il tasso di partecipazione, sono inferiori, a partire dal 1981,
rispetto a quelli tratti dalle rilevazioni delle forze di lavoro (come
spiegato nel successivo par. 1.3. e nella nota all’Appendice 4).
Fonti: Appendici 3.1. e 4.1.
Sul movimento demografico e sull’offerta di lavoro, l’emigrazione
ha esercitato un ruolo importante5. Dal 1861 al 1985 sono emigrati
dall’Italia 26 milioni di abitanti; una cifra equivalente a tutta la
popolazione del paese nel 1861. Questa emigrazione non fu sempre
permanente. La perdita di popolazione fu, nel complesso, di 8
milioni. Quanto alla cronologia, l’emigrazione fuori dell’Italia
raggiunse il suo massimo fra il 1890 e la Prima guerra mondiale;
diminuì fra le due guerre; riprese dal 1946 al 1970; poi si ridusse e,
infine, cessò del tutto. Dall’inizio del xxi secolo, l’Italia è diventata un
paese d’immigrazione.
Questo flusso d’emigrazione interessò tutte le regioni, ma fu
considerevole dal Sud, dalle Isole e dal Nord-Est (il Veneto e l’Emilia
Romagna). Fu più modesto dal Nord-Ovest (Piemonte, Lombardia e
Liguria) e dal Centro (Toscana, Umbria, Marche e Lazio)6. Dal
momento che, come di solito accade, la maggior parte degli emigrati
erano maschi in età da lavoro, l’influenza sull’offerta complessiva di
manodopera fu ragguardevole. In valore assoluto, l’offerta di lavoro
fu dunque inferiore a quanto avrebbe potuto essere.
La prima fase di emigrazione prese inizio intorno al 1880. Da
allora alla Prima guerra mondiale emigrarono dall’Italia 13,5 milioni
d’individui; in larga prevalenza (l’80 per cento) maschi7. Il deficit
migratorio fu di 4 milioni. Le regioni la cui emigrazione superò l’8 per
mille annuo della popolazione furono il Veneto, le Marche, gli Abruzzi
e Molise, la Basilicata e la Calabria. In valore assoluto, le regioni in
cui l’emigrazione superò i 10.000 individui all’anno furono il
Piemonte, la Lombardia, il Veneto, la Toscana, gli Abruzzi e Molise,
la Campania, la Calabria e la Sicilia. Se l’emigrazione è correlata
con difficili condizioni economiche nelle aree di partenza, come si
vede queste aree non furono soltanto le regioni meridionali. I paesi
verso cui gli emigrati italiani si diressero furono, all’inizio, in larga
prevalenza paesi mediterranei ed europei (per il 72 per cento).
Tuttavia, nella prima fase dell’emigrazione italiana, le Americhe
andarono aumentando d’importanza come zone d’immigrazione
dall’Italia. Alla vigilia della Prima guerra mondiale, verso le Americhe
si dirigeva il 45 per cento degli emigranti italiani (mentre nei primi
anni Ottanta erano il 30 per cento).
È vero che l’allontanamento di adulti in età da lavoro impoverisce
di capacità produttive il paese da cui i migranti si allontanano. D’altra
parte, come notava Francesco Saverio Nitti fra Otto e Novecento,
per un paese con elevata densità demografica rispetto alle risorse
disponibili, e, quindi, povero, come l’Italia, la riduzione della
pressione demografica ha più effetti positivi che negativi8.
Soprattutto quando i lavoratori emigrati inviano i redditi, guadagnati
in altri paesi, alle famiglie che abitano ancora nel paese d’origine9.
TABELLA 2
Forza lavoro (L) e Unità di lavoro (Ula) nel Nord, nel Sud e in Italia
(migliaia), e indici (base 1 nel 1951), 1951-2001
2. IL TASSO DI PARTECIPAZIONE
TABELLA 3
Percentuale della popolazione in età da lavoro sulla popolazione
totale (P15-64/P) (col. 1) e percentuale della forza lavoro sulla
popolazione in età da lavoro (L/P15-64) (col. 2) 1861-2001
Fonti: Appendice 4 per la forza lavoro e dati ISTAT (Sommari e
Annuari, vari anni). Si veda anche SVIMEZ, 150 anni di statistiche
italiane: Nord e Sud 1861-2011, p. 59, Tab. 9, che, pur con
differenze, rivela un simile trend. Si vedano, per un confronto, anche
i dati in BATTILANI, FAURI, Mezzo secolo di economia italiana 1945-
2008, p. 256.
Se fino ad ora la popolazione in età da lavoro è cresciuta in termini
relativi, non sarà così in futuro25. Tenendo conto della forte caduta
nel tasso di fertilità e di una pur rilevante immigrazione, che potrà
compensare in parte tale caduta, gli scenari relativi ai prossimi
decenni non sono confortanti. Il tasso di partecipazione potrebbe
cadere di qualche punto percentuale a causa dell’aumento
considerevole del numero di anziani e vecchi rispetto alla
popolazione in età da lavoro. Nel 2002 c’erano in Italia 3,55 individui
in età da lavoro per ogni ultra-sessantacinquenne. Verso la metà del
xxi secolo il rapporto potrebbe scendere a 1,30-1,70. Ogni lavoratore
italiano si troverebbe gravato di un peso supplementare26.
Se scomponiamo la forza lavoro totale per gruppi di età e sesso,
scopriamo che la forza lavoro maschile, nelle età da 25 a 44 anni, è
rimasta stabile, mentre è diminuita nei gruppi fra 45 e 64 e
soprattutto in quelli da 14 a 2427.
Il tasso di attività italiano, calcolato rispetto alla popolazione in età
da lavoro (15-64 anni), è basso, in confronto con quello di altri paesi
dell’Unione Europea. «Dalle statistiche comparate – ha scritto
Pierluigi Ciocca – risulta come pochi Italiani lavorino e quelli che lo
fanno lavorino poco»28.
TABELLA 4
Forza lavoro (L) sulla popolazione in età da lavoro (P15-64) nel 2002
e 2009 in alcuni paesi dell’Europa occidentale (%)
Fonte: European Economic Statistic, 2010, Eurostat.
Le differenze fra il tasso di partecipazione in Italia e in altri paesi
europei venivano rilevate già negli anni Settanta del secolo scorso
da Giorgio Fuà. A suo giudizio, l’entità della flessione del tasso di
attività nel nostro paese costituiva una vera e propria «anomalia»,
per i suoi «livelli eccezionalmente bassi»29. È possibile che la bassa
partecipazione che caratterizza l’Italia possa derivare da forme di
lavoro occulto o «alla macchia», come notava Fuà nello studio
appena citato. Anche ammettendo che l’entità della forza lavoro sia
sottostimata di qualche punto percentuale, con dati più attendibili
l’Italia potrebbe raggiungere alcuni altri paesi mediterranei quali la
Grecia e la Spagna, ma non i paesi più a Nord (rispetto ai quali la
differenza è troppo forte).
XXI secolo, la disoccupazione è stata del 5-8 per cento nel Centro-
Nord e del 15-20 per cento nel Sud e Isole.
FIGURA 1
Unità di lavoro (Ula) in Italia, Nord e Sud dal 1951 al 2001 (migliaia)
Fonte: Appendice 4.9.
FIGURA 2
Tasso di partecipazione (in Ula rispetto alla popolazione) in Italia, nel
Centro-Nord e Sud-Isole dal 1951 al 2009 (%)
Fonti: Appendice 4.9 (per le Ula) e 3.1. (per la popolazione). Poco
diversi sono i dati sulle unità di lavoro in SVIMEZ, 150 anni di
statistiche italiane: Nord e Sud 1861-2011, p. 440 (Tab. 3).
TABELLA 6
Tasso di partecipazione (L/P) nel Nord e nel Sud dal 1861 al 2001
(%)
TABELLA 7
Forza lavoro maschile rispetto alla popolazione maschile (Lm/Pm) e
forza lavoro femminile rispetto alla popolazione femminile (Lf/Pf) nel
Centro-Nord e nel Sud 1861-2001
Fonti: DANIELE, MALANIMA The Changing Occupational Structure in
Italy 1861-2001, e Appendice 4.
FIGURA 3
Forza lavoro per settore di attività (%) 1861-2001
TABELLA 8
Composizione della forza lavoro per settore economico 1861-2001
(%)
Fonte: Appendici 4.6.-4.8
TABELLA 9
Occupazione per settore di attività in alcuni paesi dell’Unione
Europea nel 2010 (%)
Fonte: WOZOWCZYK, MASSARELLI, European Union Labour Force
Survey-Annual Results 2010, Eurostat.
TABELLA 10
Percentuale della forza lavoro maschile e femminile sulla forza
lavoro nei settori primario (Lma/La e Lfa/La), secondario (Lmi/Li e
Lfi/Li) e terziario (Lms/Ls e Lfs/Ls) 1861-2001
Fonte: Appendice 4.
Conviene, a questo punto, seguire l’andamento di ogni settore in
maniera cronologica, distinguendo il Nord e il Sud.
Si vedrà che, mentre all’avvio dell’industrializzazione le differenze
Nord-Sud nella partecipazione della forza lavoro erano modeste o
inesistenti, in seguito, con l’industrializzazione, le cose andarono
diversamente.
4. DALL’AGRICOLTURA
ALL’INDUSTRIA E AI SERVIZI
4.1. L’agricoltura
Come si vede dal grafico (Fig. 5), alla fine dell’Ottocento non vi era
una vera differenza fra la percentuale di forza lavoro occupata in
agricoltura nel Nord e nel Sud del paese. In entrambi i casi si era
intorno al 65 per cento. In termini relativi, la forza lavoro in
agricoltura diminuì nel Nord sin dall’inizio del Novecento (anche se in
termini assoluti aumentò fino al 1921). A
FIGURA 5
Quota della forza lavoro nel settore primario a Nord e a Sud 1861-
2001
FIGURA 6
Salari annui nell’agricoltura e nell’industria dal 1950 al 1990 (migliaia
di lire del 1951)
Fonte: ROSSI, SORGATO, TONIOLO, I conti economici italiani, pp. 44-5.
Nell’articolo di Rossi, Sorgato, Toniolo, da cui sono tratti i dati dei
salari (vedi Fonte), vengono riportate le retribuzioni lorde per unità di
lavoro nell’agricoltura, industria e servizi. Si tratta di valori medi per
occupato in milioni di lire correnti. Nel grafico le retribuzioni sono
state espresse in lire 1951.
FIGURA 7
Percentuale del prodotto industriale sul Pil dal 1861 al 2010
FIGURA 9
Salario reale a giornata nell’industria e nell’agricoltura 1860-1913
(lire 1911)
Per l’industria si tratta del salario di lavoratori non qualificati e, per
l’agricoltura, del salario dei braccianti.
Fonte: FENOALTEA, Production and Consumption in post-Unification
Italy, pp. 290-91.
CARTINA 2
Quota della forza lavoro nel settore secondario nel 1951 e 2001
(media nazionale = 100)
4.4. I servizi
La transizione dell’Italia verso la sua fase post-industriale,
conformemente a quanto stava accadendo in altre economie
avanzate, comportava il passaggio verso attività caratterizzate da
più bassi tassi di crescita76. Finiva l’epoca della riduzione dei divari
che era stata generata dagli elevati tassi di sviluppo del Pil tipici
della fase industriale. Il cammino verso la convergenza, che
caratterizza l’approccio neoclassico allo sviluppo, non tiene conto a
sufficienza del cambiamento strutturale77 che accompagna lo
sviluppo e del passaggio da attività con elevati livelli di produttività,
nella fase industriale, ad attività con livelli di produttività assai
modesti, nella fase post-industriale78.
Per quanto riguarda la quota della forza lavoro del Mezzogiorno
nel settore dei servizi, un divario Nord-Sud non c’è mai stato (Fig.
11). La percentuale dei servizi sul totale della forza lavoro era di
poco inferiore al 20 per cento alla fine dell’Ottocento. Il livello del 20
per cento fu superato, sia a Nord che a Sud, alla vigilia della
Seconda guerra mondiale. Vi fu una lieve superiorità del Nord per
qualche decennio, presto colmata dal Mezzogiorno, che di slancio
superò il Nord alla fine del xx secolo. Per quanto riguarda i servizi,
specialmente quelli improduttivi, il Mezzogiorno non ha mai avuto
niente da invidiare al Nord79. Gli aiuti provenienti dai governi centrali
per la costruzione delle infrastrutture e dell’industria negli anni
Sessanta e Settanta, e i flussi di trasferimenti pubblici a sostegno dei
redditi e dell’occupazione, ebbero, insieme alle conseguenze
positive che abbiamo ricordato, anche conseguenze perverse e
perniciose, quali il clientelismo locale e la proliferazione del terziario
improduttivo. Tra gli effetti perversi dell’intervento straordinario a
favore del Mezzogiorno vi fu quello di aver consegnato «al ceto
politico locale uno strumento tanto potente al fine di controllo della
società quanto inefficace nel promuovere lo sviluppo»80.
FIGURA 11
Quota della forza lavoro nel settore terziario a Nord e a Sud 1861-
2001
TABELLA 11
Forza lavoro nei servizi nel Nord e Sud (migliaia) nel 2006 e valori
percentuali.
Fonte: elaborazione CNEL (www.cnel.it) su dati ISTAT.
4.5. La specializzazione
Lo sviluppo economico si accompagnò, come si è visto, con radicali
cambiamenti nella composizione dell’occupazione. Nel Nord
l’industria assunse un peso via via crescente, mentre al Sud fu
l’agricoltura ad avere un peso comparativamente maggiore. Dopo il
1911, le differenze divennero nette. La Figura 12 illustra tali
differenze attraverso un indicatore che misura – per i due settori – il
grado di «specializzazione relativa» dell’economia regionale. Una
regione è considerata «specializzata» in un settore economico se la
quota di occupazione in quel settore è maggiore della media
nazionale.
FIGURA 12
Indice di specializzazione economica per settori. Nord e Sud, 1861-
2001
Le due curve di ogni grafico indicano la maggiore specializzazione
delle due sezioni del paese nei tre settori di attività (il Sud è più
specializzato nell’agricoltura, meno nell’industria, e al pari del Nord
nei servizi).
Fonti: DANIELE, MALANIMA, The Changing Occupational Structure in
Italy 1861-2001 (dove questo tema della specializzazione è più
ampiamente esaminato e la costruzione dei grafici analizzata) e
Appendice 4.
I grafici mostrano come l’economia del Sud sia relativamente
specializzata nell’agricoltura e quella del Nord nell’industria.
Un’analisi più dettagliata della composizione dell’occupazione
mostra come nel Sud siano le attività economiche spazialmente
vincolate ad avere un peso comparativamente maggiore: oltre
all’agricoltura, costruzioni e servizi non di mercato. Si tratta di attività
la cui localizzazione dipende dalla disponibilità di risorse fisse (come
la terra) e dalla distribuzione geografica della popolazione. Al
maggior peso occupazionale dell’agricoltura e delle costruzioni
corrisponde, al Sud, una minore produttività. Il peso dell’occupazione
nei servizi pubblici è spiegato, più che da ragioni economiche, da
motivazioni politiche e sociali: questo comparto ha assorbito una
quota della forza lavoro in eccesso, supplendo alla debolezza
strutturale della domanda di lavoro da parte del settore privato.
Di converso, sono i comparti a localizzazione non vincolata, in
primis quello manifatturiero, a pesare meno nella struttura
occupazionale e produttiva meridionale. Si tratta di quelle attività la
cui localizzazione è determinata, innanzitutto, da fattori economici:
prossimità a mercati ampi; infrastrutture; costo dei fattori,
produttività, capitale umano... da quei fattori, cioè, che determinano
la struttura dei vantaggi competitivi delle regioni e in cui il Sud si
trova, storicamente, in una situazione di relativo svantaggio.
1. Al tema della pluriattività nella società italiana pre-moderna furono dedicati due
numeri della rivista «Istituto Alcide Cervi Annali», 11, 1989, el2, 1990. A questi
numeri si rimanda per un approfondimento del tema.
2. TONIOLO, VECCHI, Italian Children at Work, 1881-1961; e anche
CINNIRELLA, TONIOLO, VECCHI, Lavoro minorile.
3. Come si vedrà nella successiva Tabella 6 (col. 5).
4. Si vedano i dati essenziali sulla popolazione italiana contemporanea in DEL
PANTA, LIVI BACCI, PINTO, SONNINO, La popolazione italiana dal Medioevo a
oggi. Per un esame dei cambiamenti demografici dal 1861 si veda DE SANTIS,
Due secoli di storia della popolazione italiana.
5. I dati sull’emigrazione sono tratti da ISTAT, Sommario di statistiche storiche
italiane 1861-1955 e ISTAT, Sommario di statistiche storiche dell’Italia 1861-1975.
Utili ricostruzioni di carattere complessivo sono: BIRINDELLI, Le migrazioni con
l’estero; DEMARCO, La formazione dell’Italia economica contemporanea, pp. 179-
264.
6. Si vedano i dati dell’emigrazione per regione in MONTI, Il Mezzogiorno nel
mondo, p. 42.
7. Riprendiamo queste e le successive informazioni sulla prima fase
dell’emigrazione italiana da DI COMITE, L’emigrazione italiana nella prima fase del
processo transizionale.
8. NITTI, Scritti politici, pp. 108 ss.
9. Si vedano le serie delle rimesse in MONTI, Il Mezzogiorno nel mondo, p. 78.
10. Si avvertirà esplicitamente quando si utilizzeranno dati diversi da quelli dei
censimenti della popolazione.
11. Tre lavori importanti sul tema delle forze di lavoro in Italia, da noi utilizzati, già
erano fondati sui dati dei censimenti: VITALI, Aspetti dello sviluppo economico
italiano alla luce della ricostruzione della popolazione attiva; VITALI, La
popolazione attiva in agricoltura attraverso i censimenti italiani (1881-1961); e
ZAMAGNI, A Century of Change.
12. Si veda ISTAT, Annuario statistico italiano, il volume del 2010 (Cap. 9) e, più in
generale gli Annuari ISTAT del 2000-10.
13. Le serie delle unità di lavoro sono riportate nell’Appendice 4.9.
14. Talora per tasso di partecipazione o di attività s’intende il rapporto della forza
lavoro con la popolazione in età da lavoro, e cioè fra 15 e 64 anni di età. Qui si
usano le due espressioni come risultati del rapporto fra forza lavoro e popolazione
totale.
15. Come si vedrà fra poco, ciò vale per la forza lavoro nel suo complesso, ma
non per la forza lavoro maschile, che era superiore al numero degli abitanti maschi
nella classe di età da 15 a 64 anni (come si è detto nel precedente par. 1.1.).
16. DE VRIES, Industrious Revolution, sottolinea i cambiamenti nell’intensità
lavorativa. Nella sua interpretazione, questi cambiamenti non dipendono, tuttavia,
da un peggioramento dei livelli di vita.
17. Questo problema è discusso in MALANIMA, The Long Decline of a Leading
Economy, Appendix 1. La cifra di 4.000 ore lavorative all’anno «dalla remota
antichità fino alla fine del secolo scorso» (l’Ottocento), proposta da FOURASTIÉ,
La produttività, p. 42 sembra troppo elevata.
18. ZAMAGNI, An International Comparison of Real Industrial Wages, 1890-1913,
p. 113.
19. Consideriamo le ore di luce per anno come il limite massimo di impegno
lavorativo in una economia agricola.
20. Queste inchieste sono state esaminate da FEDERICO, Contadini e mercato:
tattiche di sopravvivenza.
21. FEDERICO, La struttura industriale.
22. Le stime Eurostat relative alla Comunità Europea nel 2000 sono di circa 1.700
ore e sono 1.690 nel 2009: European Economie Statistic, 2010, Eurostat.
23. SOLOW, Il mercato del lavoro come istituzione sociale.
24. Gli aspetti demografici sono discussi, con riferimento alle differenze Nord-Sud,
in DI COMITE, IMBRIANI, Struttura per età della popolazione e mercato del lavoro
nel Mezzogiorno d’Italia. In particolare viene esaminata la struttura della forza
lavoro in relazione alle vicende della transizione demografica nelle due sezioni del
paese.
25. DE SANTIS, Due secoli di storia della popolazione italiana, p. 67.
26. BIJAK, KUPISZEWSKA, KUPISZEWSKI, SACZUK, KICINGER, Population
and Labour Force Projections for 27 European Countries, 2002-2052; e SACZUK,
Labour Force Participation Scenarios for 27 European Countries.
27. FUà, Occupazione e capacità produttive: la realtà italiana, p. 15.
28. CIOCCA, Eeconomia italiana: un problema di crescita, p. 5
29. FUà, Occupazione e capacità produttive, p. 19.
30. SYLOS LABINI, La condizione del Mezzogiorno, p. 23.
31. Si è discusso il problema nel Capitolo 1.
32. DI COMITE, IMBRIANI, Struttura per età della popolazione e mercato del
lavoro nel Mezzogiorno d’Italia, p. 492.
33. Si vedano i dati in NOVACCO (a cura di), Per il Mezzogiorno e per l’Italia.
34. Si vedrà oltre come questa caduta del tasso di partecipazione negli anni
Sessanta e Settanta sia da attribuirsi all’abbandono del settore primario da parte di
tanti lavoratori e soprattutto alla diminuzione forte della partecipazione femminile.
Le donne che abbandonavano l’agricoltura solo di rado trovavano occupazione
nell’industria, che è rimasta sempre in prevalenza maschile. Il tema venne
esaminato, in un saggio del 1982, da DI COMITE, IMBRIANI, Struttura per età
della popolazione e mercato del lavoro nel Mezzogiorno d’Italia.
35. European Economie Statistic, 2010, Eurostat.
36. MALANIMA, The Long Decline of a Leading Economy.
37. Questi dati sono basati sulle serie delle Appendici 1 e 4.
38. è questo l’approccio al cambiamento strutturale dal lato della domanda
proposto da CLARK, The Conditions of Economie Progress.
39. Sotto il profilo sociale, concetto di società post-industriale fu introdotto nel
1974 da BELL, The Corning of Post-industrial Society. Dal punto di vista
economico è ancora importante il punto di vista espresso da BAUMOL,
Productivity Policy and the Service Sector.
40. A questa fase della storia economica italiana è dedicato l’articolo di
MALANIMA, The Long Decline of a Leading Economy.
41. Si vedano i dati sul prodotto pro capite in euro 2010 nell’Appendice 1.1. (la
stima arrotondata di 2.000 euro del 2010 si riferisce all’Ottocento).
42. Sull’avvio dell’industrializzazione italiana si veda soprattutto FENOALTEA, La
crescita industriale delle regioni d’Ltalia dall’Unità alla Grande Guerra;
FENOALTEA, Lo sviluppo dell’industria dall’Unità alla Grande Guerra.
43. Se prendiamo le unità di lavoro, invece dei lavoratori nei censimenti (come
abbiamo fatto nella Tabella 4), la fase industriale è durata ancora meno.
44. Vi è, tuttavia, qualche differenza fra i dati ISTAT e quelli Eurostat (su cui è
basata la successiva Tabella 9).
45. Assai utile su questo tema: BREITENFELLNER, HILDEBRANDT, High
Employment with Low Productivity?
46. Almeno nei dati Eurostat che sono riportati nella Tabella 9. I dati ISTAT per lo
stesso periodo sono di poco superiori.
47. Si veda la precedente Tabella 7 (col. 2 e 4).
48. Si veda anche l’Appendice 1.
49. Si veda, comunque, quanto si è detto nel Capitolo 1, par. 1.3. e nella nota
all’Appendice 4, e cioè che si è tenuto conto della sovraregistrazione
dell’occupazione nell’industria nelle regioni meridionali e che si è corretta in base a
ZAMAGNI, A Century of Change: Trends in the Composition of the Italian Labour-
Force, 1881 -1981.
50. Sul tema si ritornerà più ampiamente nel Capitolo 4.
51. Come sottolineato da KINDLEBERGER, Lo sviluppo economico europeo e il
mercato del lavoro.
52. Si veda, sulla forza lavoro durante questa fase, CHIAVENTI, I censimenti
industriali italiani 1911-1951: procedimenti di standardizzazione.
53. A questo tema fu dedicato il lavoro di ZAMAGNI, Industrializzazione e squilibri
regionali in Italia.
54. Su questa fase dell’economia italiana, si veda soprattutto NARDOZZI, Miracolo
e declino. LItalia tra concorrenza e protezione. Sul tema dei cambiamenti nella
forza lavoro si veda anche CAINELLI, STAMPINI, Appendice 1. Problemi di
standardizzazione a livello provinciale dei consimenti industriali italiani: 1951-1991;
CAINELLI, STAMPINI, I censimenti industriali in Italia (1911-1991).
55. Si veda soprattutto ANTONELLI, BARBIELLINI AMIDEI, GIANNETTI, GO-
MELLINI, PASTORELLI, PIANTA, Innovazione tecnologica e sviluppo industriale
nel secondo dopoguerra.
56. GIANNETTI, PASTORELLI, Il sistema nazionale di innovazione negli anni
Cinquanta e Sessanta.
57. Al tema dell’emigrazione dal Sud verso il Nord e agli effetti benefici che il
flusso migratorio poteva avere per l’economia del Mezzogiorno dedicò attenzione
in varie occasioni V. Lutz negli anni ’50. Si veda in particolare LUTZ, Alcuni aspetti
strutturali del problema del Mezzogiorno, e LUTZ, Una revisione critica della
dinamica di sviluppo del Mezzogiorno.
58. Il modello di LEWIS, Economie Development with Unlimited Supply of labour,
sull’offerta illimitata di manodopera fu applicato al caso italiano da
KINDLEBERGER, Lo sviluppo economico europeo e il mercato del lavoro.
59. Come è stato richamato e discusso da CAPASSO, CARILLO, DE SIANO,
Migration Flows, Strutural Change and Growth Convergence ed anche CAPASSO,
CARILLO, VINCI, Nuove teorie della crescita e dualismo.
60. Eccettuati i dati relativi all’Italia, gli altri sono ripresi da KINDLEBERGER, LO
sviluppo economico europeo e il mercato del lavoro, p. 83.
61. Secondo i calcoli presentati da TEMPLE, Structural Change and Europe’s
Golden Age.
62. LEPORE, La valutazione dell’operato della Cassa per il Mezzogiorno, pp. 291
e 297.
63. RITROVATO, I divari regionali nel Mezzogiorno nei primi venti anni
dell’intervento straordinario, p. 571.
64. GIANNOLA, Il Mezzogiorno nell’economia italiana.
65. BEVILACQUA, Breve storia dell’Italia meridionale dall’Ottocento a oggi, p. 101.
66. ORAZIANI, l’economia italiana 1945-1970. Introduzione, p. 33.
67. VASTA, Italian Export Capacity.
68. PADOVANI, Le scelte della ricostruzione nel Sud d’Italia, e PADOVANI, Aspetti
della struttura industriale del Mezzogiorno.
69. La polarizzazione dell’industria nel triangolo fra Torino, Milano e Genova
diviene evidente quando consideriamo che in quest’area dove viveva meno di un
quarto della popolazione italiana operava il 58 per cento delle società e vi si
trovava il 55 per cento della potenza installata: CARACCIOLO, Il processo
d’industrializzazione.
70. Si veda CONTI, SFORZI, Il sistema produttivo italiano; BRUSCO, SABA, Per
una storia dei distretti industriali italiani dal secondo dopoguerra agli anni novanta.
71. DEL MONTE, GIANNOLA, Istituzioni economiche e Mezzogiorno, p. 71. Gli
effetti redistributivi dell’occupazione nel settore pubblico sono esaminati, fra gli
altri, da ALESlNA, DANNINGER, ROSTAGNO, Redistribution through Public
Employment: the Case of ltaly.
72. DEL MONTE, GIANNOLA, Istituzioni economiche e Mezzogiorno, pp. 60-1.
73. GIANNOLA, Il Mezzogiorno nell’economia italiana, p. 612.
74. A questo proposito è ancora molto importante il saggio di CAFAGNA, La
questione delle origini del dualismo economico italiano. Per quanto si riferisca al
periodo post-unitario, permette anche d’inquadrare le relazioni Nord-Sud nel
periodo successivo.
75. Si vedano, comunque, i rilievi fatti nel Capitolo 2, 3.7.
76. Per l’Unione Europea nel suo complesso, si veda BREITENFELLNER, HILDE-
BRANDT, High Employment with Low Productivity? p. 117.
77. Si veda, tuttavia, PACI, PIGLIARU, Strutural Change and Convergerne.
78. I metodi con cui viene stimato il prodotto del settore terziario nel Pil, basato per
molti settori sugli stipendi degli occupati, può suggerire una crescita della
produttività nel terziario anche quando non ve ne è nessuna.
79. Il tema è affrontato e discusso in DEL MONTE, GIANNOLA, Il Mezzogiorno
nell’economia italiana, pp. 343 e ss.
80. DEL MONTE, GIANNOLA, Istituzioni economiche e Mezzogiorno, p. 71.
81. Si veda il lavoro di ALESINA, DANNINGER e ROSTAGNO, Redistribution
Through Public Employment: The Case of ltaly.
82. WOLLEB EWOLLEB, Divari regionali e dualismo economico, p. 98.
83. Inoltre, in molti servizi, il calcolo del prodotto è effettuato sulla base del salario
che i dipendenti percepiscono (anche se un aumento dei salari nei servizi può non
significare affatto un aumento dell’utilità dei consumatori di servizi).
4. La produttività
L’aumento del prodotto pro capite nel secolo e mezzo dopo l’Unità è
derivato principalmente dal progresso delle tecniche e dalla più
ampia dotazione di beni capitali di cui si sono avvalsi i lavoratori nei
campi, nelle fabbriche, negli uffici. Grazie a migliori tecniche e a
maggiori beni capitali, ogni lavoratore è stato capace di produrre
assai più di quanto non producesse prima. Delle due variabili chiave
del recente processo di sviluppo, le conoscenze tecniche sono state
più importanti dei beni capitali.
L’avvio della crescita ha segnato in Italia una forte discontinuità.
Fino all’Ottocento inoltrato, nell’economia italiana, come nelle altre
economie agrarie pre-moderne, sia le conoscenze che i beni capitali
a disposizione dei lavoratori crescevano lentamente; di solito più
lentamente della popolazione. La capacità di produrre, e cioè la
produttività, aveva, perciò, la tendenza a diminuire. Con essa
diminuiva il reddito medio degli abitanti. È solo dall’Ottocento che in
Italia, come in altri paesi dell’Europa prima e del mondo poi, la
capacità produttiva ha cominciato a crescere più rapidamente della
popolazione.
Dopo avere visto nei due capitoli precedenti l’andamento del
prodotto e della forza-lavoro, possiamo, a questo punto, esaminare i
cambiamenti nella produttività. Si è già visto come l’aumento della
capacità produttiva abbia determinato, in una sua prima fase, il
divario economico fra Nord e Sud e come, in seguito, la diffusione
delle conoscenze e delle strutture produttive moderne abbia
coinvolto aree sempre più ampie e più lontane dai poli in cui la
crescita si era concentrata all’inizio. Tuttavia, quando questo
processo di crescita della capacità produttiva ha cominciato a
procedere assai più lentamente di prima (dal decennio 1970-80), la
convergenza del Mezzogiorno verso i livelli di reddito del Nord si è
interrotta e si è verificato anzi un nuovo arretramento in termini
relativi. I divari regionali hanno, dunque, descritto in Italia una curva
simile ad una U rovesciata: l’ineguaglianza regionale è dapprima
aumentata; si è poi ridotta. Il percorso della U rovesciata è rimasto,
però, incompleto, dal momento che, a partire dalla metà degli anni
Settanta, i divari sono nuovamente aumentati. Nel caso dell’Italia la
U rovesciata somiglia molto di più a una S rovesciata che a una
parabola.
TABELLA 1
Il contributo del capitale, del lavoro e della produttività totale dei
fattori( PTF) alla crescita del Pil in Italia dal 1861 al 2007
I numeri tra parentesi nella seconda riga dall’alto indicano stime
diverse delle quote dei fattori capitale e lavoro sul prodotto
aggregato. Le quote dei fattori sono usate per ponderare i tassi di
crescita dei fattori. Nella tabella si usano valori diversi (nelle coll. 2-3
e in quelle 5-6). Nella parte della tabella con i valori percentuali, si
stima il contributo percentuale del capitale, del lavoro e della PTF alla
crescita del Pil.
Fonti: per il capitale: ROSSI, SORGATO, TONIOLO, I conti economici
italiani: una ricostruzione statistica, 1890-1990; ERCOLANI, La
documentazione statistica di base. Per il lavoro: Appendice 4.
FIGURA 1
La produttività del lavoro in Italia dal 1861 al 2010 (lire 1911)
Fonti: le fonti del grafico sono le stesse delle Appendici 1.1. e 4.1.
TABELLA 2
Tassi annui di crescita della produttività del lavoro dal 1861-2007 (%)
FIGURA 2
Tassi annui di crescita della produttività del lavoro dal 1900 al 2010
Nel grafico si riporta la variazione percentuale di un anno sul
precedente. Sono esclusi i dati relativi agli anni della Prima e
Seconda guerra mondiale.
Fonti: Appendici 1.1. e 4.1.
Come già visto nel Capitolo 1, la produttività del lavoro in
agricoltura era superiore nel Sud ancora alla vigilia della Prima
guerra mondiale. È questa la ragione per cui la produttività del lavoro
nei tre settori congiunti è maggiore nel Mezzogiorno nei primi
decenni dopo l’Unità (Fig. 3). Allora l’industrializzazione del paese
non era ancora iniziata e, dato il peso determinante dell’agricoltura, il
livello della produttività del lavoro nel suo complesso era superiore
nel Mezzogiorno. All’inizio del nuovo secolo, tuttavia, le due curve,
relative al Nord e al Sud, s’intersecano. Nel periodo che segue, il
vantaggio del Nord si consolida.
FIGURA 3
La produttività del lavoro nel Nord e nel Sud dal 1861 al 2007 (lire
1911)
Nel grafico, i valori sull’asse verticale sono in logaritmi. I dati sono
per decennio.
Fonti: Appendici 1.1. e 4.1.
TABELLA 3
Variazioni annue del divario Sud-Nord nel prodotto pro capite (Dy),
nella produttività del lavoro (Dp) e nel tasso di attività (Do) 1861-
2007 (%)
2.2. La periodizzazione
Abbracciando tutto il lungo periodo dal 1861 al 2007, vediamo (nella
riga 5) che il Sud ha perso terreno rispetto al Nord, in termini di Pil
pro capite, arretrando ogni anno dello 0,40 per cento. A questo
arretramento ha contribuito sia l’occupazione che la produttività. La
produttività ha contribuito di più. Possiamo commentare l’andamento
dei valori della Tabella 3 facendo riferimento ai diversi periodi:
1. 1861-1911: nel primo mezzo secolo di vita unitaria (riga 1), i valori
si discostano di poco da quelli relativi ai 150 anni di storia unitaria
nel loro complesso (riga 5). Il Sud è arretrato rispetto al Nord sia
in termini di produttività, sia per il più basso tasso di attività. È
l’epoca in cui l’industria, che si afferma in alcune regioni del Nord,
con la sua alta produttività del lavoro, genera un sempre più
elevato divario nella produttività complessiva del lavoro nel Nord
rispetto al Sud16;
2. 1921-1936: l’epoca del fascismo (riga 2) è quella in cui
l’arretramento del Sud rispetto al Nord è maggiore (al tasso annuo
dell’1,5 per cento). L’arretramento del Mezzogiorno è assai forte
sia nella produttività (che diminuisce dell’1 per cento all’anno), che
nell’occupazione (che diminuisce di un mezzo punto percentuale
all’anno). Dato che nel Nord il settore industriale, più produttivo
dell’agricoltura, si va rafforzando e che nel Sud l’agricoltura
continua ad essere il settore dominante, la produttività del sistema
economico del Nord si allontana sempre di più da quella del Sud.
La differenza in termini di produttività è forte. Su questo
arretramento può avere svolto la sua influenza la politica contro
l’emigrazione da parte del fascismo e le leggi Usa di contenimento
dell’immigrazione negli anni ’20. La popolazione del Sud era il 35
per cento della popolazione italiana nel 1921 e il 37 per cento nel
1951. Dai dati elaborati nella Tabella 3, si potrebbe riassumere il
cambiamento avvenuto fra la Prima e la Seconda guerra
mondiale, dicendo che il Mezzogiorno si riempie di disoccupati e
che chi lavora è poco produttivo (i due fenomeni sono legati nel
senso che, quando l’offerta di lavoro è in esubero rispetto al
capitale disponibile, la produttività del lavoro è bassa);
3. 1951-1981: i trenta anni fra il 1951 e il 1981 (riga 3) sono l’epoca
in cui il Mezzogiorno guadagna mezzo punto percentuale all’anno
rispetto al Nord nel Pil pro capite. Questo progresso in termini
relativi deriva completamente da guadagni nella produttività. Il
tasso di attività relativo del Sud rispetto al Nord rimane più o
meno invariato. Nel Sud arriva l’industria moderna. Dal Sud la
forza lavoro emigra verso Nord. La popolazione del Mezzogiorno
è il 37 per cento del totale del paese nel 1951 ed è il 35 per cento
trenta anni dopo17. Nel 1971 si raggiunge di nuovo un divario del
Sud rispetto al Nord uguale al 65 per cento (il Pil pro capite nel
Sud è, cioè, il 65 per cento di quello del Nord, come nel 1930).
Quaranta anni di divario sono stati riassorbiti. Ma questa parziale
convergenza non prosegue. Infatti
4. 1981-2007: negli anni fra il 1981 e il 2007 (riga 4), si ritorna
indietro fino al livello anteriore alla Seconda guerra mondiale.
Intorno al 2010, il Pil pro capite del Sud è circa il 60 per cento di
quello del Nord, come nel 1930.
FIGURA 4
Relazione tra ineguaglianze regionali e sviluppo
Nel grafico, al crescere del reddito pro capite nazionale, il grado di
ineguaglianza tra le regioni, misurato da un qualche indice di
squilibrio (sull’asse delle ordinate), aumenta. Raggiunto il massimo
per un certo livello di reddito x, le ineguaglianze cominciano a ridursi.
Si verifica, cioè, convergenza nei redditi pro capite regionali.
FIGURA 5
I divari regionali in Spagna 1860-2008
Nel grafico, i divari regionali sono calcolati attraverso la deviazione
standard del Pil pro capite di 17 Comunità Autonome rispetto
all’indice Spagna = 100.
Fonti: per gli anni 1860-1975, MARTÍNEZ-GALLARAGA, New Estimates
of Regional GDP in Spain, 1860-1930; per gli anni 1995 e 2008
elaborazioni su dati Instituto Nacional de Estadistica.
Nel caso della Gran Bretagna, invece, lo squilibrio regionale dalla
fine dell’Ottocento a oggi è, tutto sommato, basso e in riduzione
dopo il 1911. Nei trenta anni dopo il 1970, tuttavia, il divario è andato
aumentando, anche se si mantiene modesto27. L’ipotesi di
Williamson non sembra verificata, perlomeno nella parte in cui
prevede una riduzione delle disuguaglianze al crescere dei livelli di
reddito nazionali.
La relazione ad U capovolta può sembrare dunque incompleta,
nel senso che essa si riferisce a un’epoca limitata del processo di
sviluppo nazionale, quella esaminata da Williamson, che consentiva
di individuare una tendenza alla convergenza.
È possibile, infatti, che alla riduzione degli squilibri succeda una
fase diversa, in cui gli squilibri regionali aumentano di nuovo. Questa
ipotesi trova conferme in alcune esperienze nazionali, come quelle
esaminate dall’economista Orley Amos, che mostrano come
l’evoluzione dei divari regionali segua non due, ma tre fasi:
divergenza, convergenza, divergenza28.
FIGURA 6
Relazione fra ineguaglianza regionale e Pil pro capite dell’Italia,
1891-2009
Il grafico riporta sull’asse verticale l’indice di disuguaglianza
regionale di Williamson e, su quello verticale, il Pil pro capite
dell’Italia (in euro 2010, in logaritmi).
Fonti: Appendici 1 e 2.
FIGURA 7
Tassi di variazione annui del prodotto industriale 1950-2010 (%
rispetto all’anno precedente)
Fonti: Appendice 1 e 4.
3. SOCIETÀ, ISTITUZIONI,
GEOGRAFIA
3.3. La geografia
A nostro parere esiste un fattore che, pur non rappresentando certo
la causa ultima e fondamentale, può contribuire, insieme con altre, a
offrire una spiegazione della formazione del divario Nord-Sud.
Questo fattore, spesso trascurato nelle analisi, è la geografia. Il Sud
era ed è distante dai principali mercati. Era ed è distante dai grandi
paesi più sviluppati, dalle aree economicamente centrali d’Europa.
La distanza geografica del Sud è stata accresciuta da croniche
carenze infrastrutturali e da una orografia difficile, che ha a lungo
rallentato le comunicazioni e gli scambi anche all’interno dello stesso
Mezzogiorno.
La distanza dai grandi mercati disincentiva la localizzazione
industriale. Come mostrano i modelli della «nuova geografia
economica», la localizzazione industriale è un processo che tende
ad autoalimentarsi: la presenza di imprese aumenta la dimensione
del mercato e ciò attrae altre imprese, in un circolo virtuoso. In
questo processo, si forma e si consolida la distanza tra aree
industrializzate e aree periferiche. Al Sud, la localizzazione
industriale non ha mai offerto convenienze maggiori che al Nord. La
peculiare geografia dell’Italia, un paese «troppo lungo», contribuì
certamente a determinare la perifericità economica del Sud. La
geografia fu un fattore tra i tanti, non certo l’unico. Lo svantaggio
localizzativo si cumulò ad altri. Un crescente divario di produttività,
una persistente mancanza d’infrastrutture, presenza di criminalità,
carenze socio-istituzionali, politiche economiche non sempre
efficienti. A fronte di ciò, non vi furono convenienze tali da rendere i
benefici della localizzazione industriale maggiori dei costi. Una volta
avviato, il meccanismo del dualismo economico si autoalimentò.
La Rivoluzione Industriale e l’industrializzazione sono avvenute in
Inghilterra e poi nell’Europa occidentale. Se fossero avvenute in
Africa, le cose, per il nostro Mezzogiorno (e non solo per il nostro
Mezzogiorno!), sarebbero certamente state diverse. Ma così non fu!
Attualmente, tuttavia, il processo dell’industrializzazione non è finito
e tanti paesi stanno attraversando la fase industriale. Questi paesi
sono la Cina, l’India, ma anche quelli del Mediterraneo che
circondano il nostro Mezzogiorno (in Africa settentrionale e nel
Vicino e Medio Oriente). Da questi paesi vengono merci (soprattutto
dalla Cina), ma anche lavoratori (dall’Africa settentrionale) che
immigrano in Italia, e proviene anche domanda di merci e servizi. In
questi paesi la transizione verso la modernità e lo sviluppo sta
continuando. Il Mezzogiorno può essere coinvolto in questi
cambiamenti più di quanto non possa esserlo il Nord.
1. Il tema è al centro del lavoro di DANIELE, La crescita delle nazioni.
2. Per un confronto fra i dati della Tabella 1 con la contabilità della crescita
elaborata in altri studi relativi all’Italia, si veda l’utile Tabella 1.4. in CIOCCA, Ricchi
per sempre?, p. 23.
3. In numerosi calcoli della PTF si tiene conto del grado d’istruzione dei lavoratori.
La L della nostra tabella, dovrebbe includere, seguendo questo metodo di calcolo,
non solo le unità di lavoro fisico o le ore lavorate, ma anche le capacità dei
lavoratori. Il grado d’istruzione, in questo caso, non sarebbe più compreso nella
PTF (come invece risulta nel nostro calcolo). Trattando nella Tabella 1 un periodo
di 150 anni circa e non essendo disponibili dati accurati sulle ore lavorate da ogni
unità di lavoro e sul grado d’istruzione, abbiamo dovuto semplificare il
procedimento ed effettuare i calcoli sul numero complessivo degli addetti.
Assumendo che, nel corso del tempo, anche i tempi di lavoro si siano ridotti,
l’apporto del lavoro risulterebbe ancora minore, rispetto a quello indicato nella
Tabella.
4. Per un calcolo della contabilità della crescita in questo primo periodo, tenendo
conto anche delle risorse naturali, si veda: MALANIMA, Alle origini della crescita in
Italia 1820-1913.
5. Questa periodizzazione, che verrà seguita anche nelle pagine seguenti,
corrisponde a epoche importanti nella storia dell’economia italiana. Essa dipende,
tuttavia, anche dalla disponibilità delle fonti da utilizzare (come i censimenti nel
primo anno di ogni decennio, che sono serviti per costruire le serie della forza
lavoro nell’Appendice 4). Si è preferito escludere la crisi iniziata nel 2008.
Prendendo i valori dell’anno 2010 per il Pil, il lavoro e il capitale, i risultati per
l’ultimo periodo preso in considerazione sarebbero inferiori.
6. Su questa fase della storia economica italiana si veda soprattutto ANTONELLI,
BARBIELLINI AMIDEI, Innovazione tecnologica e mutamento strutturale
dell’industria italiana nel secondo dopoguerra.
7. Con riferimentoagli anni 1981-2000, il tema è discusso da BRANDOLINI,
CIPOLLONE, Multifactor Productivity.
8. Qui usiamo indifferentemente le espressioni di produttività del lavoro e prodotto
per addetto. In realtà una stima più soddisfacente della produttività del lavoro
sarebbe data dal rapporto fra il prodotto (totale o di un settore) e le ore totali di
lavoro svolte. Dato che per l’intero periodo qui esaminato una stima della
produttività del lavoro, intesa come prodotto per ora lavorata, non è possibile, ci
limitiamo al rapporto fra il prodotto e gli occupati (e cioè al prodotto per addetto).
9. Come si può vedere confrontando la Tabella 2, riga 5, con la Tabella 1, riga 5, il
saggio di crescita del Pil, del 2,37 per cento, è stato superiore a quello della
produttività del lavoro, del 2 per cento. Quest’ultimo è stato, però, superiore a
quello del Pil pro capite, che è stato dell’1,8 per cento.
10. Com’è effettivamente accaduto nell’industria.
11. Come si vede nella successiva Figura 7 in questo stesso Capitolo.
12. DE MEO, Redditi e produttività in Italia (1951-1966), p. 65.
13. Anche in questo caso, teniamo conto della produttività per addetto e non,
come sarebbe più corretto avendo dati attendibili, della produttività per ora
lavorata.
14. Esempio: se Y/L è uguale a 20 e la forza lavoro è uguale al 40 per cento della
popolazione (0,40), il Pil pro capite Y/P è uguale a 8 (20•0,40=8).
15. Infatti anche il tasso di diminuzione o aumento del prodotto pro capite del Sud
rispetto a quello del Nord (e cioè il divario in termini di Pil pro capite), deve
risultare uguale alla somma dei divari Sud-Nord nella produttività e nel tasso di
attività. Una presentazione più ampia di questo metodo è riportata in DANIELE,
MALANIMA, Il prodotto delle regioni e il divario Nord-Sud in Italia, pp. 290-91.
16. L’entità del divario Nord-Sud nel 1911 fu ben chiarito da ZAMAGNI,
Industrializzazione e squilibri regionali in Italia.
17. Si vedano i dati dell’Appendice 3.1.
18. Come fanno GUISO, SAPIENZA, ZINGALES, Long Term Persistence.
19. Si veda LYNN, In Italy, North-South Differences in IQ predict Differences in
Income, Education, Infant Mortality, Stature, and Literacy, e la replica di DANIELE,
MALANIMA, Are People in the South less Intelligent than in the North?
20. KUZNETS, Economic Growth and Income Inequality.
21. Si vedano anche, con riferimento al Mezzogiorno, le interessanti
considerazioni di PIGLIARU, Il ritardo economico del Mezzogiorno: uno stato
stazionario?
22. WILLIAMSON, Regional Inequality and the Process of National Development.
23. BARRIOS, STROBL, The Dynamics of Regional Inequalities.
24. Per il caso francese, COMBES, LAFOURCADE, THISSE, TOUTAIN, The Rise
and Fall of Spatial Inequalities in France; per quello statunitense, KIM, Economic
Integration and Convergence.
25. DAVIES, HALLET, Interactions Between National and Regional Development.
26. La deviazione standard, o scarto quadratico medio, misura il grado di
variabilità (dispersione) di un insieme (popolazione) di dati. Con riferimento agli
squilibri regionali, tanto maggiore è la deviazione standard, tanto maggiore sarà la
dimensione degli squilibri stessi. Ne consegue che una diminuzione della
deviazione standard segnala un processo di convergenza nei redditi pro capite
regionali.
27. CRAFTS, Regional GDP in Britain 1871-1911: Some Estimates, pp. 54-64.
28. AMOS, Unbalanced Regional Growth and Regional Income Inequality.
29. WILLIAMSON, Regional Inequality and the Process of National Development,
p. 28.
30. Con riferimento agli Usa, si veda NORDHAUS, Who’s Afraid of a Big Bad Oil
Shock?, e NORDHAUS, A Retrospective on the Postwar Productivity Slowdowns.
31. KALDOR, Le cause del basso saggio di sviluppo economico del Regno Unito,
p. 220.
32. Questo stesso problema era già stato discusso da FOURASTIÉ, La
produttività, all’inizio degli anni ’50.
33. Al proposito si veda il saggio di FABRICANT, Productivity in the Tertiary
Sector.
34. Come sottolineato da NORDHAUS, Baumol’s Diseases: a Macroeconomic
Perspective. Conferma la prospettiva di Nordhaus con riferimento all’Europa e
anche all’Italia HARTWIG, Testing the Baumol-Nordhaus Model with Eu Klems
Data.
35. Si veda il classico studio di PUTNAM, La tradizione civica nelle regioni italiane.
36. Per i pregiudizi e gli stereotipi sui meridionali si vedano, per esempio,
PETRACCONE, Le “due Italie”, e DICKIE, Darkest Italy.
37. LYNN, In Italy, North-South Differences in IQ predict Differences in Income,
Education, Infant Mortality, Stature, and Literacy.
38. Si vedano, tra gli altri, CENTORRINO, OFRIA, Criminalità organizzata e
produttività del lavoro nel Mezzogiorno, PERI, Socio-Cultural Variables and
Economia Success e, per gli effetti sugli investimenti esteri, DANIELE, MARANI,
Organized Crime, the Quality of Local Institutions and FDI in Italy.
39. NUZZO, Un secolo di statistiche sociali.
40. BANFIELD, Le basi morali di una società arretrata.
41. Per uno studio sulle regioni europee si veda, per esempio, TABELLINI, Culture
and Institutions: Economie Development in the Regions of Europe.
42. Per una comparazione tra Italia e Spagna si veda lo studio di BOLTHO, Why
do Some Regional Differentials Persist and Others do not?
43. Si veda COSTABLLE, Istituzioni e sviluppo economico nel Mezzogiorno.
Appendici
LE FONTI E L’ELABORAZIONE
1.Il Prodotto interno lordo dell’Italia (1861-2010)
1.1 Il Pil dell’Italia
1.2 Il Pil del Nord e del Sud (prezzi 1911)
1.3 I margini d’incertezza (1861-1900)
3. La popolazione (1861-2001)
3.1 La popolazione presente per regione
3.2 La densità demografica per regione (abitanti per km2)
4. Il lavoro (1861-2009)
4.1 La forza lavoro (1861-2001)
4.2 La forza lavoro. Settore primario (1861-2001)
4.3 La forza lavoro. Settore secondario (1861-2001)
4.4 La forza lavoro. Settore terziario (1861-2001)
4.5 Il tasso di partecipazione (1861-2001)
4.6 Settore primario rispetto alla forza lavoro totale
4.7 Settore secondario rispetto alla forza lavoro totale
4.8 Settore terziario rispetto alla forza lavoro totale
4.9 Le unità di lavoro (1951-2009)
LE FONTI E L’ELABORAZIONE
Nel periodo di cui ci occupiamo in questo volume, i confini dell’Italia
nel suo complesso e delle regioni sono cambiati. Tutte le serie
presentate si riferiscono all’Italia nei confini politici attuali e alle
regioni (o aggregazioni di regioni, come l’Abruzzo, che comprende il
Molise) nei confini attuali. Nel Nord o Centro-Nord (CN) sono incluse
le regioni dalle Alpi fino al Lazio compreso (e cioè Piemonte – con
Val d’Aosta –, Lombardia, Veneto – con Friuli Venezia Giulia e
Trentino Alto Adige –, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche e
Lazio); nel Sud o Sud-Isole (si) sono incluse tutte le altre regioni
(Abruzzi con Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e
Sardegna).
Per gli anni 1861-1913, le serie del prodotto interno lordo pro
capite e aggregato (Appendici 1.1.e 1.2.) sono quelle presentate in
MALANIMA, An Age of Decline. Product and Income in Eighteenth-
Nineteenth Century Italy, e in MALANIMA, The Long Decline of a
Leading Economy. Le fonti su cui queste serie sono basate sono
costituite dalle due serie di G. Federico per l’agricoltura (FEDERICO,
L’agricoltura italiana: successo o fallimento?,e FEDERICO, Le nuove
stime della produzione agricola italiana, 1860-1910; le serie sono ai
confini dell’epoca) e di S. Fenoaltea per l’industria (FENOALTEA, La
crescita industriale delle regioni d’Italia; FENOALTEA, La formazione
dell’Italia industriale, FENOALTEA, Lo sviluppo dell’industria dall’Unità
alla Grande Guerra; le serie sono ai confini del 1911). Entrambe le
serie (per l’agricoltura e per l’industria) sono state rielaborate per
tenere conto dei confini attuali dell’Italia. La stima del settore
terziario è basata sulla ricostruzione di V. Zamagni per gli anni 1891
e 1911 (nell’ambito della revisione della contabilità nazionale
promossa dalla Banca d’Italia) (I conti economici dell’Italia). Per i
metodi seguiti nell’elaborazione dei dati per i tre settori, si veda I
conti economici dell’Italia 1, REY, VITALI (a cura di); 2, FEDERICO,
FENOALTEA, MAROLLA, ROCCAS, VITALI, ZAMAGNI, BATTILANI, REY (a
cura di); 3, FEDERICO, FENOALTEA, BARDINI, ZAMAGNI, BATTILANI, REY
(a cura di), CARRERAS, Un ritratto quantitativo dell’industria italiana,
presenta un’utile rassegna delle elaborazioni dei conti nazionali
italiani. I dati sui servizi negli anni 1861-1911 sono interpolati in base
alla percentuale dei servizi sul totale nel 1861 in MADDISON, A
Revised Estimate of Italian Economic Growth, 1861-1989, e nel
1891 e del 1911 in I conti economici dell’Italia. Per ricostruire il
prodotto del settore terziario, si è assunto, come valore per il 1861,
quello del 27 per cento proposto nel saggio di MADDISON,A Revised
Estimate of Italian Economic Growth; e, per il 1891 quello di V.
Zamagni in I conti economici dell’Italia. I valori intermedi fra le due
date sono stati interpolati.
La presente serie del prodotto interno lordo pro capite per gli anni
1861-1913 è molto simile a quella presentata da Fenoaltea
(FENOALTEA, La crescita economica dell’Italia postunitaria e
FENOALTEA, The Growth of the Italian Economy, 1861-1913) (si veda
la successiva Fig. 4).
La serie del Pil pro capite nell’Appendice 1.1. e quella di Fenoaltea
differiscono soltanto nella parte iniziale per il diverso rilievo dei
servizi. Nella serie di Fenoaltea il peso dei servizi sul totale è del 35
per cento nel 1861 e del 37 nel 1911; nella serie riportata
nell’Appendice 1.1. è del 27 per cento nel 1861 e del 38 nel 1911.
Sui servizi si veda anche BATTILANI, The «Bel Paese» and the
Transition to a Service Economy. Per i primi 50 anni dopo l’Unità, la
ripartizione del Pil per settore di attività è tutt’altro che certa, salvo
per gli anni benchmark (1891 e 1911),in I conti economici dell’Italia.
Per la ripartizione del Pil per settore di attività nel periodo successivo
si sono usati i dati ISTAT,dei Sommari di statistiche storiche, e degli
Annuari (per il periodo dopo il 1985).
La serie complessiva del prodotto interno lordo fra il 1861 e il 2004
era stata presentata in DANIELE, MALANIMA,Il prodotto delle regioni e il
divario Nord-Sud in Italia (1861-2004). Dal 1913 al 1950 la serie
precedente del Pil pro capite (e quella presentata nelle successive
Appendici 1.1. e 1.2.) riprende i tassi di variazione annua da
MADDISON,A Revised Estimate of Italian Economic Growth. Si è
tenuto conto della revisione dei conti nazionali per il 1938 e il 1951 in
I conti degli Italiani. La serie di CARRERAS, FELICE, L’industria italiana
dal 1911 al 1938: ricostruzione della serie del valore aggiunto e
interpretazioni per il settore industriale presenta differenze con le
precedenti serie dell’ISTAT quanto alla struttura del settore industriale
per branche di attività, ma non differisce dai nostri risultati se non
marginalmente. Sia gli anni della Prima che quelli della Seconda
guerra mondiale, richiederebbero una revisione approfondita (che al
momento non è ancora stata fatta).
Per il periodo 1952-1969 la serie segue quella elaborata da ROSSI,
SORGATO, TONIOLO,I conti economici italiani: una ricostruzione
statistica, 1890-1990 . Dal 1970 la serie segue quella dell’ISTAT.
Per consentire confronti internazionali, specialmente con
MADDISON,The World Economy: Historical Statistics, la serie viene
presentata anche in dollari internazionali 1990 a parità di potere
d’acquisto. La nostra serie e quella di Maddison differiscono per il
periodo 1861-1913, mentre sono quasi identiche per il periodo che
segue il 1913 (Fig. 1).
FIGURA 1
Due serie del Pil pro capite 1861-2004 ($ internazionali 1990 Geary-
Khamis PPA)
FIGURA 3
Due serie del Pil pro capite 1910-1950 (euro 2010)
La curva A (più spessa) è la nostra, riportata nelle Appendici 1.1. e
1.2.; la curva B è quella in BRUNETTI, FELICE, VECCHI, Reddito, p. 427,
Tab. 14.
FIGURA 4
Tre serie del Pil pro capite 1861-1913 (lire 1911)
La curva A (più spessa) è la nostra, riportata nelle Appendici 1.1. e
1.2.; la curva B è quella in BRUNETTI, FELICE, VECCHI, Reddito, p. 427,
Tab. 14.
Abbreviazioni:
P popolazione presente;
L forza lavoro totale;
La forza lavoro nel settore primario;
Li forza lavoro nel settore secondario;
Ls forza lavoro nel settore terziario.
Appendice 4.1.
La forza lavoro (1861-2001), L (migliaia)
Appendice 4.2.
La forza lavoro. Settore primario (1861-2001), La
(migliaia)
Appendice 4.3.
La forza lavoro. Settore secondario (1861-2001), Li
(migliaia)
Appendice 4.4.
La forza lavoro. Settore terziario (1861-2001), Ls
(migliaia)
Appendice 4.5.
Il tasso di partecipazione (1861-2001), L/P (%)
Appendice 4.6.
Settore primario rispetto alla forza lavoro totale, La/L
(%)
Appendice 4.7.
Settore secondario rispetto alla forza lavoro totale,
Li/L (%)
Appendice 4.8.
Settore terziario rispetto alla forza lavoro totale, Ls/L
(%)
Appendice 4.9.
Le unità di lavoro (1951-2009) (migliaia)
Riferimenti bibliografici
ABULAFIA D., The Two Italies. Economic Relations between the Norman Kingdom
of Sicily and the Northern Communes, Cambridge University Press, Cambridge
1977.
A'HEARN B., AURIA C., VECCHI G., Istruzione, in G. VECCHI, In ricchezza e in
povertà. Il benessere degli Italiani dall’Unità a oggi, Il Mulino, Bologna 2011 pp.
159-208.
ALAMPI D., LOZZI M., Qualità della spesa pubblica nel Mezzogiorno: il caso di
alcune spese decentrate, in L. CANNARI (a cura di), Banca d'Italia, Roma
2009.
ALESINA A., DANNINGER S., ROSTAGNO M.V., Redistribution through Public
Employment: the Case of Italy, National Bureau of Economic Research
(NBER), working paper, n. 7387, 1999.
AMATORI F., COLLI A., Impresa e industria in Italia. Dall’Unità a oggi, Marsilio,
Venezia 2003.
AMENDOLA N., SALSANO F., VECCHI G., Povertà, in G. VECCHI, In ricchezza e
in povertà. Il benessere degli Italiani dall’Unità a oggi, Il Mulino, Bologna 2011,
pp. 271-317.
AMENDOLA N., VECCHI G., Costo della vita, in G. VECCHI, In ricchezza e in
povertà. Il benessere degli Italiani dall’Unità a oggi, Il Mulino, Bologna 2011 pp.
391-413.
AMENDOLA N., VECCHI G., AL KISWANI B., Il costo della vita al Nord e al Sud
d'Italia dal Dopoguerra a oggi. Stime di prima generazione, in «Rivista di
Politica Economica», 70, 4-6, 2009, pp. 3-34.
AMOS O.M. Jr., Unbalanced Regional Growth and Regional Income Inequality in
the latter Stages of Development, in «Regional Science and Urban
Economics», 18, 4, 1988, pp. 549-66.
ANTONELLI C., BARBIELLINI AMIDEI F., Innovazione tecnologica e mutamento
strutturale dell'industria italiana nel secondo dopoguerra, in C. ANTONELLI, F.
BARBIELLINI AMIDEI, R. GIANNETTI, M. GOMELLINI, S. PASTORELLI, M.
PIANTA, Innovazione tecnologica e sviluppo industriale nel secondo
dopoguerra, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 1-334.
APRILE P., Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli Italiani del Sud
diventassero meridionali, Piemme, Milano 2010.
ARCALENI E., La statura dei coscritti italiani delle generazioni 1854-1976, in
«Bollettino di Demografia Storica», 29, 1998, pp. 23-60.
ARCARI P.M., Le variazioni dei salari agricoli in Italia dalla fondazione del Regno
al 1933, in «Annali di statistica», vi, 36, 1936, pp. 1-754.
ATELLA V., FRANCISCI S., VECCHI G., Salute, in G. VECCHI, In ricchezza e in
povertà. Il benessere degli Italiani dall'Unità a oggi, Il Mulino, Bologna 2011, pp.
73-130.
BAGNASCO A., Tre Italie. La problematica territoriale dello sviluppo italiano, il
Mulino, Bologna 1977.
BAIROCH P., International Industrialization Levels from 1750 to 1980, in «Journal
of European Economic History», XI, 2, 1982, pp. 269-333.
BANFIELD E. C., Le basi morali di una società arretrata, il Mulino, Bologna 2008
[ed. ingl. 19581].
BARBAGALLO F., Mezzogiorno e questione meridionale (1860-1980), Guida,
Napoli 1980.
BARRIOS S., STROBL E., The Dynamics of Regional Inequalities, in «Regional
Science and Urban Economics», 39, 5, 2009, pp. 575-91.
BATTILANI P., The «Bel Paese» and the Transition to a Service Economy, in
«Journal of Modern Italian History», 15, 2010, pp. 21-40.
BATTILANI P., FAURI F., Mezzo secolo di economia italiana 1945-2008, Il Mulino,
Bologna 2010.
BATTISTINI F., Seta ed economia in Italia. Il prodotto 1500-1930, in «Rivista di
Storia Economica», n.s., XXIII, 2007, pp. 283-318.
BAUMOL W.J., Productivity Policy and the Service Sector, in R.P. INMAN (ed.),
Managing the Service Economy, Cambridge University Press, Cambridge
1985, pp. 301-17.
BELL D., The Coming of Post-industrial Society. A Venture in Social Forecasting,
Heinemann, London 1974.
BENIGNO F., Assetti territoriali e ruralizzazione in Sicilia, in F. BENIGNO, Ultra
pharum. Famiglie, commerci e territori nel Meridione moderno, Donzelli, Roma
2001, pp. 43-56.
BERENGO M., L'agricoltura veneta dalla caduta della Repubblica all'Unità, Banca
Commerciale Italiana, Milano 1963.
BEVILACQUA P., Breve storia dell’Italia meridionale dall’Ottocento a oggi,
Donzelli, Roma 1993.
BIANCHI P., La rincorsa frenata. L’industria italiana dall’unità nazionale
all’unificazione europea, il Mulino, Bologna 2002.
BIJAK J., KUPISZEWSKA D., KUPISZEWSKI M., SACZUK K., KICINGER A.,
Population and Labour Force Projections for 27 European Countries, 2002-
2052: Impact of International Migration on Population Ageing, in «European
Journal of Population», 23, 2007, pp. 1-31.
BONELLI F., La malaria nella storia demografica ed economica d'Italia: primi
lineamenti di una ricerca, in «Studi storici», 1966, pp. 659-87.
BOLTHO A., Why do Some Regional Differentials Persist and Others do not? Italy
and Spain Compared, 1950-2000, in «Rivista di Storia Economica», XXVI, 1,
2010, pp. 3-34.
BIRINDELLI A. M., Le migrazioni con l'estero. Chiusura di un ciclo e avvio di una
nuova fase, in E. SONNINO (a cura di), Demografia e società in Italia, Editori
Riuniti, Roma 1989, pp. 189-225.
BRANDOLINI A., CIPOLLONE P., Multifactor Productivity and Labour Quality in
Italy, 1981-2000, Banca d’Italia, Temi di discussione, 442, 2001.
BREITENFELLNER A., HILDEBRANDT A., High Employment with Low
Productivity? The Service Sector as a Determinant of Economic Development“,
in «Monetary Policy & the Economy», Österreichische Nationalbank (Austrian
Central Bank), 2006, 1, pp. 110-35.
BRIPI F., CARMIGNANI A., GIORDANO R., La qualità dei servizi pubblici in Italia,
in «Questioni di economia e finanza», n. 84, Banca d’Italia, Roma 2011.
BRUNETTI A., FELICE E., VECCHI G., Reddito, in G. VECCHI, In ricchezza e in
povertà. Il benessere degli Italiani dall'Unità a oggi, Il Mulino, Bologna 2011, pp.
209-34.
BRUSCO S., PABA S., Per una storia dei distretti industriali italiani dal secondo
dopoguerra agli anni novanta, in F. BARCA (a cura di), Storia del capitalismo
italiano dal dopoguerra ad oggi, Donzelli, Roma 1997, pp. 265-333.
CAFAGNA L., La questione delle origini del dualismo economico italiano, in L.
CAFAGNA, Dualismo e sviluppo nella storia d’Italia, Marsilio, Venezia 1989, pp.
187-220.
CAFAGNA L., Profilo della storia industriale italiana, in L. CAFAGNA, Dualismo e
sviluppo nella storia d’Italia, Marsilio, Venezia 1989, pp. 281-322.
CAFAGNA L., Nord e Sud. Non fare a pezzi l'unità d’Italia, Marsilio, Venezia 1994.
CAFAGNA L., Nord e Sud nella storia dell’Unità d’Italia, in «Rivista giuridica del
Mezzogiorno», XXV, 2011, pp. 49-67.
CAFIERO S., Storia dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno (1950-1993),
Piero Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2000.
CAINELLI G., STAMPINI M., Appendice 1. Problemi di standardizzazione a livello
provinciale dei censimenti industriali italiani: 1951-1991, in IDSE-CNR,
Trasformazioni strutturali e competitività dei sistemi locali di produzione.
Rapporto sul cambiamento strutturale dell’economia italiana, Franco Angeli,
Milano 1999, pp. 285-309.
CAINELLI G., STAMPINI M., I censimenti industriali in Italia (1911-1991). Problemi
di raccordo ed alcune evidenze empiriche a livello territoriale, in «Rivista di
Storia Economica», 2, 2002, pp. 217-42.
CAMPIGLIO L., Il costo del vivere. Nord e Sud a confronto, Il Mulino, Bologna
1996.
CANNARI L., CHIRI S., La bilancia di parte corrente Nord-Sud (1998-2000), in L.
CANNARI, F. PANETTA (a cura di), Il sistema finanziario e il Mezzogiorno.
Squilibri strutturali e divari finanziari, Cacucci, Bari 2006.
CANNARI L., IUZZOLINO G., Le differenze nel livello dei prezzi al consumo tra
Nord e Sud, in «Questioni di Economia e Finanza», n. 49, Banca d’Italia, 2009.
CAPASSO S., CARILLO M.R., DE SIANO R., Migration Flows, Structural Change
and Growth Convergence: a Panel Data Analysis of the Italian Regions,
Dipartimento di studi economici (DES), Università di Napoli “Parthenope”,
Discussion paper, n. 7, 2011.
CAPASSO S., CARILLO M.R., VINCI S., Nuove teorie della crescita e dualismo:
un nuovo schema interpretativo per lo sviluppo del Mezzogiorno, in M.R.
CARILLO, B. MORO, E. PAPAGNI, S. VINCI (a cura di), Dualismo, nuove
teorie della crescita e sviluppo del Mezzogiorno, Il Mulino, Bologna 2008, pp.
31-61.
CARACCIOLO A., La grande industria nella Prima guerra mondiale, in A.
CARACCIOLO (a cura di), La formazione dell’Italia industriale, Laterza, Bari
1969, pp. 163-219.
CARACCIOLO A., Il processo d’industrializzazione, in G. FUÁ (a cura di), Lo
sviluppo economico in Italia, vol. 3, Franco Angeli, Milano 1978 pp. 104-90.
CARDINI A., Il miracolo economico italiano (1958-1963), il Mulino, Bologna 2006.
CARMIGNANI A., GIACOMELLI S., La giustizia civile in Italia: i divari territoriali, in
«Questioni di economia e finanza», n. 40, Banca d'Italia, Roma 2009.
CARRERAS A., Un ritratto quantitativo dell’industria italiana, in F. AMATORI, D.
BIGAZZI, R. GIANNETTI, L. SEGRETO (a cura di), Storia d’Italia. Annali 15,
L’industria, Einaudi, Torino 1999, pp. 179-272.
CARRERAS A., FELICE E., L’industria italiana dal 1911 al 1938: ricostruzione
della serie del valore aggiunto e interpretazioni, in «Rivista di Storia
Economica», 3, 2010, pp. 285-334.
CENTORRINO M., OFRIA F., Criminalità organizzata e produttività del lavoro nel
Mezzogiorno: un’applicazione del modello “Kaldor-Verdoorn”, in «Rivista
Economica del Mezzogiorno», 1, 2008, pp. 163-88.
CHIAVENTI R., I censimenti industriali italiani 1911-1951: procedimenti di
standardizzazione, in «Rivista di Storia Economica», 1, 1987, pp. 119-51.
CICCARELLI C., FENOALTEA S., Through the Magnifying Glass: Provincial
Aspects of Industrial Growth in Post-Unification Italy, in «Quaderni di Storia
Economica», Banca d’Italia, n. 4, 2010.
CICCOTTI E., Mezzogiorno e Settentrione d’Italia, in E. CICCOTTI, Sulla
questione meridionale. Scritti e discorsi, Ed. Moderna, Milano 1904 [18981].
CINNIRELLA F., TONIOLO G., VECCHI G., Lavoro minorile, in G. VECCHI, In
ricchezza e in povertà. Il benessere degli Italiani dall’Unità a oggi, Il Mulino,
Bologna 2011, pp. 131-58.
CIOCCA P., L’economia italiana: un problema di crescita, 44° riunione scientifica
annuale Società Italiana degli economisti, Salerno 2003.
CIOCCA P., Ricchi per sempre? Una storia economica d’Italia (1796-2005), Bollati
Boringhieri, Torino 2007.
CIPOLLA C.M., Istruzione e sviluppo. Il declino dell’analfabetismo nel mondo
occidentale, UTET, Torino 1971.
CIPOLLA C.M., Storia facile dell’economia italiana dal Medioevo a oggi, Garzanti,
Milano 1996.
CLARK C., The Conditions of Economic Progress, Macmillan, London 1940.
COHEN J., FEDERICO G., Lo sviluppo economico italiano, 1820-1960, Il Mulino,
Bologna 2001.
COMBES P.-P., LAFOURCADE M., THISSE J.-F., TOUTAIN J.-C., The Rise and
Fall of Spatial Inequalities in France: a Long-Run Perspective, in «Explorations
in Economic History», 2011, pp. 243-71.
CONTE L. DELLA TORRE G., VASTA M., The Human Development Index in
Historical Perspective: Italy from Political Unification to the Present Day,
Working Paper, n. 491, Dipartimento di Economia Politica, Università di Siena,
2007.
CONTI S., SFORZI F., Il sistema produttivo italiano, in P. COPPOLA (a cura di),
Geografia politica delle regioni italiane, Einaudi, Torino 1997, pp. 278-33.
COSTABILE L. (a cura di), Istituzioni e sviluppo economico nel Mezzogiorno, il
Mulino, Bologna 1996.
CRAFTS N., Regional GDP in Britain, 1871-1911: Some Estimates, in «Scottish
Journal of Political Economy», 52, n°. 1, pp. 54-64.
CUBONI G., I problemi dell’agricoltura meridionale, in «Rassegna
contemporanea», II, 5, 1909, pp. 145-52 [ristampa in Antologia della questione
meridionale, a cura di B. Caizzi, Edizioni di Comunità, Milano 1950, pp. 81-92].
D’ANTONIO M., L’economia del Mezzogiorno dopo la fine dell’intervento
straordinario, in «QA Rivista dell’Associazione Rossi-Doria», 2, 2002, pp. 45-
64.
DANIELE V., La crescita delle nazioni. Fatti e teorie, Rubbettino, Soveria Mannelli
2008.
DANIELE V., MALANIMA P., Il prodotto delle regioni e il divario Nord-Sud in Italia
(1861-2004), in «Rivista di Politica Economica», 97, 2007, pp. 267-315.
DANIELE V., MALANIMA P., Are People in the South less Intelligent than in the
North? IQ and the North-South Disparity in Italy, in «Journal of Socio-
Economics» (in stampa).
DANIELE V., MALANIMA P., The Changing Occupational Structure in Italy 1861-
2001. A National and Regional Perspective (in stampa).
DANIELE V., MARANI U., Organized Crime, the Quality of local Institutions and
FDI in Italy: a Panel Data Analysis, in «European Journal of Political
Economy», 27, 1, 2011, pp. 132-42.
DAVIES S., HALLET M., Interactions Between National and Regional
Development, Hamburgisches Welt- Wirtschafts-Archiv (HWWA), Discussion
Paper 207, 2002.
DE BERNARDI A., Il mal della rosa. Denutrizione e pellagra nelle campagne
italiane tra ‘800 e ‘900, Franco Angeli, Milano 1984.
DE BONIS R., ROTONDI Z., SAVONA P. (a cura di), Sviluppo, rischio e conti con
l’esterno delle regioni italiane. Lo schema di analisi della “pentola bucata”,
Laterza, Roma-Bari 2010.
DE MEO G., Redditi e produttività in Italia (1951-1966), in «Annali di Statistica», s.
VIII, 20, 1967, pp. 1-207.
DE SANTIS G., Due secoli dì storia della popolazione italiana, in p. CIOCCA, G.
TONIOLO (a cura di), Storia economica d’Italia, vol. 3, Laterza, Roma-Bari
2003, pp. 39-70.
DE VITI DE MARCO A., la questione meridionale (1903), in A. DE VITI DE
MARCO, Un trentennio di lotte politiche, Giannini, Napoli 1994 [19291]
DEL MONTE A., GIANNOLA A., Il Mezzogiorno nell’economia italiana, Il Mulino,
Bologna 1978.
DEL MONTE A., GIANNOLA A., Istituzioni economiche e Mezzogiorno. Analisi
delle politiche di sviluppo, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1997.
DEL PANTA L., Livi BACCI M., PINTO G., SONNINO E., la popolazione italiana
dal Medioevo a oggi, Laterza, Roma-Bari 1996.
DEMARCO D., la formazione dell’Italia economica contemporanea e i suoi
problemi. Finanza pubblica, società rurale, emigrazione, tenore di vita, Esi,
Napoli 2003, pp. 179-264.
DI COMITE L., L’emigrazione italiana nella prima fase del processo transizionale,
in «Giornale degli economisti e Annali di Economia», 1983, pp. 507-17.
DI COMITE L., IMBRIANI C., Struttura per età della popolazione e mercato del
lavoro nel Mezzogiorno d’Italia, in «Mezzogiorno d'Europa», 1982, 4, pp. 489-
97.
DICKIE J., Darkest Italy. The Nation and the Stereotypes of the Mezzogiorno,
1860-1900, Palgrave Macmillan, New York 1999.
ECKAUS R.S., L’esistenza di differenze economiche tra Nord e Sud d’Italia al
tempo della Unificazione, in «Moneta e credito», 51, 1960, pp. 347-72.
ECKAUS R.S., Il divario Nord-Sud nei primi decenni dell’Unità, A. CARACCIOLO
(a cura di), la formazione dell’Italia industriale, Laterza, Bari 1969, pp. 223-43.
ERCOLANI P., La documentazione statistica di base, in G. FUÀ (a cura di), Lo
sviluppo economico in Italia, vol. 3, Franco Angeli, Milano 1969, pp. 380-460.
ESPOSTO A.G., Estimating Regional Per Capita Income: Italy, 1861-1914, in
«Journal of European Economic History», XXVI, 1997, pp. 585-604.
ESPOSTO A.G., Italian Industrialization and the Gerschenkronian “Great Spurt”: a
Regional Analysis, in «Journal of Economic History», 1992, 52, pp. 553-62.
EUROSTAT, Regional Yearbook 2010, Bruxelles, Eurostat 2010.
FABRICANT S., Productivity in the Tertiary Sector, in «National Bureau Report»,
10, 1972.
FEDERICO G., Contadini e mercato: tattiche di sopravvivenza, in «Società e
storia», 10, 1987, pp. 877-913.
FEDERICO G., Heights, Calories and Welfare: a New Perspective on Italian
Industrialization, 1854-1913, in «Economics and Human Biology», 2003, 1, pp.
289-308.
FEDERICO G., L’agricoltura italiana: successo o fallimento?, in P. CIOCCA, G.
TONIOLO (a cura di), Storia economica d’Italia, vol. 3, Laterza, Roma-Bari
2003, pp. 99-136.
FEDERICO G., La struttura industriale, in R. GIANNETTI, M. VASTA (a cura di),
L’impresa italiana nel Novecento, Il Mulino, Bologna 2003, pp. 41-88.
FEDERICO G., Le nuove stime della produzione agricola italiana, 1860-1910, in
«Rivista di Storia Economica», n.s., XIX, 2003, pp. 359-82.
FEDERICO G., Ma l’agricoltura meridionale era davvero arretrata?, in «Rivista di
Politica Economica», 97, 2007, pp. 317-40.
FEDERICO G., MALANIMA P., Progress, Decline, Growth: Product and
Productivity in Italian Agriculture, 1000-2000, in «Economic History Review»,
LVII, 3, 2004, pp. 437-64.
FEDERICO G., TONIOLO G., Italy, in R. SYLLA, G. TONIOLO (a cura di), Patterns
of European Industrialization: the Nineteenth Century, Routledge, New York
1991, pp. 197-217.
FELICE E., Il reddito delle regioni italiane nel 1938 e nel 1951. Una stima basata
sul costo del lavoro, in «Rivista di Storia Economica», XXI, 2005, pp. 3-30.
FELICE E., Il valore aggiunto regionale. Una stima per il 1891 e per il 1911 e
alcune elaborazioni di lungo periodo (1891-1971), in «Rivista di Storia
Economica», XXI, 2005, pp. 273-314.
FELICE E., Divari regionali e intervento pubblico, Il Mulino, Bologna 2007.
FELICE E., I divari regionali in Italia sulla base degli indicatori sociali (1871-2001),
in «Rivista di Politica Economica», 97, 2007, pp. 359-406.
FENOALTEA S., La crescita industriale delle regioni d’Italia dall’Unità alla Grande
Guerra: una prima stima per gli anni censuari, in «Quaderni dell’Ufficio
Ricerche Storiche», Banca d’Italia, n. 1, 2001.
FENOALTEA S., Production and Consumption in post-Unification Italy: New
Evidence, New Conjectures, in «Rivista di Storia Economica», n. s., XVIII, 3,
2002, pp. 251-98.
FENOALTEA S., Lo sviluppo dell’industria dall’Unità alla Grande Guerra: una
sintesi provvisoria, in P. CIOCCA, G. TONIOLO (a cura di), Storia economica
d’Italia, vol. 3, I, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 137-94.
FENOALTEA S., La formazione dell’Italia industriale: consensi, dissensi, ipotesi, in
«Rivista di Storia economica», n.s., XIX, 2003, pp. 341-58.
FENOALTEA S., The Growth of the Italian Economy, 1861-1913: Preliminary
Secondgeneration Estimates”, in «European Review of Economic History», 9,
2005, pp. 273-312.
FENOALTEA S., La crescita economica dell’Italia postunitaria: le nuove serie
storiche, in «Rivista di Storia Economica», XXI, 2005, pp. 91-121.
FENOALTEA S., L'economia italiana dall’Unità alla Grande Guerra, Laterza,
Roma-Bari 2006.
FENOALTEA S., I due fallimenti della storia economica: il periodo post-unitario,
«Rivista di Politica Economica», 97, 2007, pp. 341-58.
FERRARA B., Nord-Sud. Interdipendenza di due economie, Franco Angeli, Milano
1976.
FORTUNATO G., Il Mezzogiorno e lo Stato Italiano. Discorsi politici (1880-1910),
Vallecchi, Firenze 1926.
FORTUNATO G., La questione meridionale e la riforma tributaria in G.
FORTUNATO, Il Mezzogiorno e lo Stato Italiano. Discorsi politici (1880-1910),
Vallecchi, Firenze 1926, pp. 309-22.
FOURASTIÉ J., La produttività, Garzanti, Milano 1956 [ed. francese 19521].
FRIEDMANN J. Regional Development Policy: a Case Study of Venezuela, MIT
Press, Cambridge MA and London 1966.
FUÀ G., Occupazione e capacità produttive: la realtà italiana, Il Mulino, Bologna
1976.
GALASSO G., Passato e presente del meridionalismo, Guida, Napoli 1978.
GIANNETTI R., Tecnologìa e sviluppo economico italiano (1870-1990), Il Mulino,
Bologna 1998.
GIANNETTI R., PASTORELLI S., Il sistema nazionale di innovazione negli anni
Cinquanta e Sessanta, in C. ANTONELLI, F. BARBIELLINI AMIDEI, R.
GIANNETTI, M. GOMELLINI, S. PASTORELLI, M. PIANTA, Innovazione
tecnologica e sviluppo industriale nel secondo dopoguerra, Laterza, Roma-Bari
2007, pp. 595-792.
GIANNOLA A., Il Mezzogiorno nell’economia italiana. Nord e Sud a 150 anni
dall’Unità, in «Rivista Economica del Mezzogiorno», XXIII, 2010, pp. 593-630.
GIUNTA A., L’incoerenza attuativa della Nuova politica regionale, in «QA Rivista
dell’Associazione Rossi-Doria», 2, 2010, pp. 159-68.
GRAZIANI A. (a cura di), L’economia italiana 1945 -1970, (con la collaborazione di
G. De Vivo), Il Mulino, Bologna 1972.
GUERRI G. B., Il sangue del Sud, Mondadori, Milano 2010.
GUISO L., SAPIENZA P., ZINGALES L., Long Term Persistence, Chicago GSB,
Research Paper n.° 08-11.
HARTWIG J., Testing the Baumol-Nordhaus Model with Eu Klems Data, in
«Review of Income and Wealth», 2011 [pubblicato on line 2010].
HIRSCHMAN A. O., La strategia dello sviluppo economico, La Nuova Italia, Roma
1968 [ed. ingl. 19581].
I conti economici dell’Italia, vol. 1, G. REY E O. VITALI (a cura di); vol. 2, G.
FEDERICO, S. FENOALTEA, M. MAROLLA, M. ROCCAS, O. VITALI, V.
ZAMAGNI, P. BATTILANI, G. REY (a cura di); vol. 3, G. FEDERICO, S.
FENOALTEA, C. BARDINI, V. ZAMAGNI, P. BATTILANI, G. REY (a cura di),
Laterza, Roma-Bari vol. 1, 1991; vol. 2, 1992; vol. 3, 2002.
ISTAT, Annuario statistico italiano, ISTAT, Roma (annate diverse).
ISTAT, Sommario di statìstiche storiche dell’Italia 1861-1975 ISTAT, Roma 1976.
ISTAT, Sommario di statistiche storiche italiane 1861-1955, ISTAT, Roma 1958.
ISTAT, Sommario di statistiche storiche italiane 1861-1985, ISTAT, Roma 1985.
ISTAT, Tendenze evolutive della mortalità infantile in Italia, in «Annali di
Statistica», VIII, 29, 1975.
ISTAT, UNIONCAMERE, ISTITUTO G. TAGLIACARNE, Le differenze nel livello
dei prezzi al consumo tra i capoluoghi delle regioni italiane. Anno 2009, ISTAT,
Roma 2010.
IUZZOLINO G., I divari territoriali di sviluppo in Italia nel confronto internazionale,
in Mezzogiorno e politiche regionali, Banca d’Italia, Roma 2009.
JACINI S., Atti della Giunta per l’Inchiesta agraria, XI, I, Provincie di Roma e
Grosseto, Roma 1883.
KALDOR N., Le cause del basso saggio di sviluppo economico del Regno Unito,
in N. KALDOR, Equilibrio, distribuzione e crescita, Einaudi, Torino 1984 [ed.
ingl. 19661]
KIM S., Economic Integration and Convergence: U.S. Regions, 1840-1987, in
«Journal of Economic History», 58, 1998, pp. 659-83.
KINDLEBERGER C.P., Lo sviluppo economico europeo e il mercato del lavoro,
Etas Kompass, Milano 1968 [ed. ingl. 19671].
KRUGMAN P., Geografia e commercio internazionale, Garzanti, Milano 1995 [ed.
americ. 19911].
KRUGMAN P., Increasing Returns and Economic Geography, in «The Journal of
Political Economy», 99, 3, 1991, pp. 483-99.
LA SPINA A., La politica per il Mezzogiorno, Il Mulino, Bologna 2003.
LEONARDI R., Coesione, convergenza e integrazione nell’Unione europea, Il
Mulino, Bologna 1998.
LEPORE A., La valutazione dell’operato della Cassa per il Mezzogiorno, e il suo
ruolo strategico per lo sviluppo del Paese, in «Rivista giuridica del
Mezzogiorno», XXV, 2011, pp. 281-317.
LEWIS W.A., Economic Development with Unlimited Supply of Labour, in A.N.
AGARWALA, S.P. SINGH (eds.), The Economics of Underdevelopment,
Oxford, Oxford University Press 1963, pp. 400-49 [ed. ingl. 19541].
LIVI BACCI M., La popolazione muove la frontiera dello sviluppo, in Libertà e
benessere: l'Italia al futuro, Confìndustria, Centro Studi, 2010, pp. 87-110.
LIVI BACCI M., La popolazione nella storia europea, Laterza, Roma-Bari 1998.
LUCAS R.E., Some Macroeconomics for the 21st Century, in «Journal of Economic
Perspectives», 14, 1, 2000, pp. 159-68.
LUPO M., «Tra le provvide cure di Sua Maestà». Stato e scuola nel Mezzogiorno
tra Settecento e Ottocento, Il Mulino, Bologna 2005.
LUTZ V., Una revisione critica della dinamica di sviluppo del Mezzogiorno, in
«Mondo economico», 44, 1960, pp. 19-25.
LUTZ V., Alcuni aspetti strutturali del problema del Mezzogiorno: la
complementarietà dell’emigrazione e dell’industrializzazione, in «Moneta e
credito», 56, 1961, pp. 447-53.
LUZZATTO G., L’economia italiana dal 1861 al 1894, Einaudi, Torino 1968.
LYNN R., In Italy, North-South Differences in IQ Predict Differences in Income,
Education, Infant Mortality, Stature, and Literacy, in «Intelligence», 38, 2010,
pp. 93-100.
MADDISON A., A Revised Estimate of Italian Economic Growth, 1861-1989, in
«Banca Nazionale del Lavoro Quaterly Review», 1991, pp. 225-41.
MADDISON A., The World Economy: Historical Statistics, Oecd, Paris 2003.
MAIC, La pellagra in Italia. 1879, Tipografia Cenniniana, Roma 1880.
MAIC, Statistica del Regno d’Italia. Popolazione. Censimento generale al 31
dicembre 1861, Tipografia Letteraria, Firenze 1866.
MAIC, Statistica del Regno d’Italia. Popolazione. Censimento 31 dicembre 1871,
Regia Tipografia, Roma 1876.
MALANIMA P., Italian Cities 1300-1800. A Quantitative Approach, in «Rivista di
Storia Economica», XIV, 1998, pp. 91-126.
MALANIMA P., L’economia italiana. Dalla crescita medievale alla crescita
contemporanea, Il Mulino, Bologna 2002.
MALANIMA P., Urbanisation and the Italian Economy during the last Millennium, in
«European Review of Economic History», 9, 2005, pp. 97-122.
MALANIMA P., Alle origini della crescita in Italia 1820-1913, in “Rivista di Storia
Economica”, n.s., XXII, 2006, pp. 306-30.
MALANIMA P., An Age of Decline. Product and Income in Eighteenth-Nineteenth
Century Italy, in «Rivista di Storia Economica», n.s., XXI, 2006, pp. 91-133.
MALANIMA P., Energy Consumption in Italy in the 19th and 20th Centuries,
ISSMCNR, Napoli 2006.
MALANIMA P., Urbanisation 1700-1870, in s. BROADBERRY, K. O’ROURKE (a
cura di), The Cambridge Economic History of Modern Europe, I, Chap. 10,
Cambridge University Press, Cambridge 2010, vol. 1, pp. 236-64.
MALANIMA P., The Long Decline of a Leading Economy. GDP in Central and
Northern Italy 1300-1913, in «European Review of Economic History», 15,
2011, pp. 169-219.
MALANIMA, Transizione energetica e crescita in Italia, 1800-2010, (in corso di
stampa in Studi in memoria di Salvatore Vinci), disponibile in
www.paolomalanima.it.
MALANIMA P., ZAMAGNI V., 150 Years of the Italian Economy, 1861-2010, in
«Journal of Modern Italian Studies», 15, 2010, pp. 1-20.
MARTUSCELLI S., La popolazione del Mezzogiorno nella statistica di Re Murat,
Guida, Napoli 1979.
MONTI S., Il Mezzogiorno nel mondo. Flussi e riflussi migratori, Loffredo, Napoli
1989.
MYRDAL G., I paesi del benessere e gli altri, Feltrinelli, Milano 1962 [ed. ingl.
19571].
NARDOZZI G., Miracolo e declino. L’Italia tra concorrenza e protezione, Laterza,
Roma-Bari 2004.
NITTI F.S., Nord e Sud. Prime linee di una inchiesta sulla ripartizione territoriale
delle entrate e delle spese dello Stato in Italia, Roux e Viarengo, Torino 1900.
NITTI F.S., Scritti politici, in R. NIERI, R.P. COPPINI (a cura di), Feltrinelli, Milano
1980.
NORDHAUS W.D., Who’s Afraid of a Big Bad Oil Shock?, Brookings Panel on
Economic Activity. Special Anniversary Edition, September 2007.
NORDHAUS W.D., Baumol’s Diseases: a Macroeconomic Perspective, in «The
B.E. Journal of Macroeconomics», 8, 1, 2008, article 9.
NORDHAUS W.D., A Retrospective on the Postwar Productivity Slowdowns,
mimeo, Yale University, August, 2011.
NOVACCO N. (a cura di), Per il Mezzogiorno e per l’Italia. Un sogno ed un
impegno che dura da 60 anni, Il Mulino, Bologna 2007.
NUZZO G., Un secolo di statistiche sociali:persistenza o convergenza tra le regioni
italiane?, in «Quaderni dell’Ufficio Ricerche Storiche», n. 11, Banca d’Italia,
Roma.
O'BRIEN P., PRADOS DE LA ESCLOSURA L., Agricultural Productivity and
European Industrialization, in «Economic History Review», 51, 1992, pp. 514-
36.
OECD, European Economic Statistic, 2010, Eurostat, Bruxelles 2010.
PACI R., PIGLIARU F., Structural change and convergence: an Italian Regional
Perspective, in «Structural Change and Economic Dynamics», 8, 1997, pp.
297-318.
PACI R., SABA A., The Empirics of Regional Economic Growth in Italy, 1951-1993,
in «Rivista Internazionale di Scienze Economiche e Commerciali», 45, 1998,
pp. 515-42.
PADOVANI R., Aspetti della struttura industriale del Mezzogiorno, in «Nord e
Sud», 1979.
PADOVANI R., le scelte della ricostruzione nel Sud d’Italia, in G. MORI (a cura di),
La cultura economica nel periodo della ricostruzione, Il Mulino, Bologna 1980.
PERI G., Socio- Cultural Variables and Economic Success: Evidence from Italian
Provinces 1951-1991, in «Topics in Macroeconomics», 4, 1, 12, 2004.
PETRACCONE C., Le ’due Italie’. La questione meridionale tea realtà e
rappresentazione, Laterza, Roma-Bari 2005.
PESCOSOLIDO G., Unità nazionale e sviluppo economico in Italia 1750-1913,
Laterza, Bari-Roma 2007.
PIAZZA A., L’eredità genetica dell’Italia antica, in «Le Scienze», 278, 1991, pp. 62-
9.
PIGLIARU F., Il ritardo economico del Mezzogiorno: uno stato stazionario?, in
«Rivista dell’Associazione Rossi-Doria», 2009, 3, pp. 113-39.
PORISINI G., Produttività e agricoltura: i rendimenti del frumento in Italia dal 1815
al 1822, in «Archivio dell’Unificazione Italiana», XX, 1971.
PRITCHETT L., Divergence, Big Time, in «Journal of Economic Perspectives», 11,
3, 1997, pp. 3-17.
PUGLIESE A., Mezzogiorno, meridionalismo ed economia dello sviluppo. La teoria
dello sviluppo dagli anni della rinascita a quelli degli equilibri multipli, Liguori,
Napoli 2007.
PUTNAM R. D., La tradizione civica nelle regioni italiane, Mondadori, Milano 1993.
REIS J., How Poor was the European Periphery before 1850?, in S. PAMUK, J.G.
WILLIAMSON (a cura di), The Mediterranean Response to Globalization before
1850, Routledge, London and New York, 1999, pp. 17-44.
RICOLFI L., Il sacco del Nord. Saggio sulla giustizia territoriale, Guerini e
Associati, Milano 2010.
RITROVATO E., I divari regionali nel Mezzogiorno nei primi venti anni
dell’intervento straordinario, in «Rivista Economica del Mezzogiorno», XXIII,
2010, pp. 569-89.
ROSSI N., Mediterraneo del Nord. Un’altra idea del Mezzogiorno, Laterza, Roma-
Bari 2006.
ROSSI N., SORGATO A., TONIOLO G., I conti economici italiani: una
ricostruzione statistica, 1890-1990, in «Rivista di Storia Economica», n.s., X,
1993, pp. 1-47.
ROSSI N., TONIOLO G., Catching-up or Falling Behind? Italy’s Economic Growth,
1895-1947, in «Economic History Review», 51, 1992, pp. 537-63.
ROSSI DORIA M., Scritti sul Mezzogiorno, Einaudi, Torino 1982.
SACZUK K., Labour Force Participation Scenarios for 27 European Countries,
CEFMR Working Papers, 5/2004.
SALLMANN J-M., Les niveaux d’alphabétisation en Italie au xixe siècle, in
«Melanges de l’Ecole Française de Rome. Italie et Meditérranée», 101, 1989,
pp. 183-337.
SALVEMINI B., Prima della Puglia. Terra di Bari e il sistema regionale in età
moderna, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Puglia, Einaudi,
Torino 1989, pp. 5-218.
SARACENO P. L’unificazione economica italiana è ancora lontana, il Mulino,
Bologna 1988.
SCARLATO M. Lo sviluppo del Mezzogiorno: come superare lo stallo?, Working
paper n. 112, Dipartimento di Economia, Università Roma Tre, 2010.
SEN A., Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia,
Mondadori, Milano 2000 [ed. ingl. 19991].
SOLOW R.M., Il mercato del lavoro come istituzione sociale, Il Mulino, Bologna
1994 [ed.americ. 19901].
SORRENTINO M., VECCHI G., Nutrizione, in G. VECCHI, In ricchezza e in
povertà. Il benessere degli Italiani dall’Unità a oggi, Il Mulino, Bologna 2011,
pp. 3-36.
STADERINI A., VADALÀ E., Bilancio pubblico e flussi redistributivi interregionali:
ricostruzione e analisi dei residui fiscali nelle regioni italiane, in Mezzogiorno e
politiche regionali, Banca d’Italia, Roma 2009.
SVIMEZ, Cento anni di statistiche sulle regioni d’Italia, SVIMEZ, Roma 1961.
SVIMEZ, Un secolo di statistiche italiane. Nord e Sud 1861-1961, SVIMEZ, Roma
1961.
SVIMEZ, I conti del Centro-Nord e del Mezzogiorno nel ventennio 1970-1989, Il
Mulino, Bologna 1993.
SVIMEZ, I conti economici delle regioni italiane 1970-1988, Il Mulino, Bologna
2000.
SVIMEZ, L’evoluzione macroeconomica del Mezzogiorno e del Centro-Nord, 1951-
2009, Documentazione sul sessantennio, SVIMEZ, Roma 2006.
SVIMEZ, 150 anni di crescita, 150 anni di divari: sviluppo, trasformazioni, politiche,
Relazione presentata al Convegno “Nord e Sud a 150 anni dall’Unità d’Italia”,
Roma, Camera dei Deputati, 30 maggio 2011.
SVIMEZ, 150 anni di statistiche italiane: Nord e Sud 1861-2011, Il Mulino, Bologna
2011.
SYLOS LABINI P., La condizione del Mezzogiorno vista da un economista,
Quaderno 8 di Informazioni SVIMEZ. Collana Saraceno, n. 1.
TABELLINI G., Culture and Institutions: Economic Development in the Regions of
Europe, in «Journal of the European Economic Association», 8, 4, 2010, pp.
677-716.
TEMPLE J., Structural Change and Europe’s Golden Age, CEPR, Discussion
Paper Series, n.° 2861, 2001.
TINO P., Le radici della vita. Storia della fertilità della terra nel Mezzogiorno (secoli
XIX-XX), XL edizioni, Roma 2010.
TONINELLI P. A., Il processo di industrializzazione: tipologie e modelli, in P. A.
TONINELLI, a cura di, Lo sviluppo economico moderno. Dalla rivoluzione
industriale alla crisi energetica, Marsilio, Venezia 2006.
TONIOLO G., Storia economica dell’Italia liberale 1850-1918, Il Mulino, Bologna
1988.
TONIOLO G., VECCHI G., Italian Children at Work, 1881-1961, in «Giornale degli
Economisti e Annali di Economia», 3, 2007, pp. 401-27.
TONIOLO G., VECCHI G., Nel secolo breve il lungo balzo del benessere degli
italiani, in L. PAOLAZZI (a cura di), Libertà e benessere: L’Italia al futuro,
Centro Studi Confindustria, Roma 2010, pp. 15-59.
TRIGILIA C., Sviluppo senza autonomia. Effetti perversi delle politiche nel
Mezzogiorno, Il Mulino, Bologna 1994.
UNIONCAMERE, 1963-69, I Conti Economici Regionali, 1963-70, Franco Angeli,
Milano 1972.
VASTA G., Italian Export Capacity in the Long-Term Perspective (1861-2009): A
Tortuous Path to Stay in Place, in « Journal of Modern Italian Studies», 15, 1,
2010, pp. 133–56.
VECCHI G., COPPOLA M., Nutrizione e povertà in Italia, 1861-1911, in «Rivista di
Storia Economica», n.s., XIX, 2003, pp. 383-401.
VECCHI G., Il benessere dell’Italia liberale (1861-1913), in P. CIOCCA, G.
TONIOLO (a cura di), Storia economica d”Italia, vol. 3, I, Laterza, Roma-Bari
2003, pp. 71-98.
VIESTI G., Mezzogiorno a tradimento. Il Nord, il Sud e la politica che non c’ê,
Laterza, Roma-Bari 2009.
VIGO G., “... quando il popolo cominciò a leggere”. Per una storia dell’ alfabetismo
in Italia, in «Società e storia», 6, 1983, pp. 803-28.
VITALI O., La popolazione attiva in agricoltura attraverso i censimenti italiani
(1881-1961), Istituto di Demografia, Roma 1968.
VITALI O., Aspetti dello sviluppo economico italiano alla luce della ricostruzione
della popolazione attiva, Istituto di Demografia, Roma 1970.
VITOLO G., MUSI A., Il Mezzogiorno prima della questione meridionale, Le
Monnier, Firenze 2004.
VRIES J. DE, The Industrious Revolution and the Industrial Revolution, in «Journal
of Economic History», 54, 1994, pp. 249-70.
VRIES J. DE, Industrious Revolution. Consumer Behavior and the Household
Economy 1650 to Present, Cambridge University Press, Cambridge 2008.
WILLIAMSON J., Regional Inequality and the Process of National Development; a
Description of the Pattern, in «Economic Development and Cultural Change»,
13, 1965, pp. 3-84.
WOLLEB E., WOLLEB G., Divari regionali e sviluppo economico, il Mulino,
Bologna 1990.
WOZOWCZYK M., MASSARELLI N., European Union Labour Force Survey-
Annual Results 2010, Eurostat, Bruxelles 2011.
WU Y., Comparing Regional Development in China, Research Paper n. 2008/13,
UNU-WIDER, United Nations University, 2008.
ZAMAGNI V., Le radici agricole del dualismo italiano, in «Nuova Rivista Storica»,
59, 1972, pp. 55-99.
ZAMAGNI V., Industrializzazione e squilibri regionali in Italia. Bilancio dell’età
giolittiana, Il Mulino, Bologna 1978.
ZAMAGNI V., Istruzione e sviluppo economico. Il caso italiano 1861-1913, in G.
TONIOLO, L’economia italiana 1861-1940, Laterza, Roma-Bari 1978, pp. 137-
78.
ZAMAGNI V., A Century of Change: Trends in the Composition of the Italian
Labour-Force, 1881-1981, in «Historical Social Research», 44 1987, pp. 36-97.
ZAMAGNI V., An International Comparison of Real Industrial Wages, 1890-1913:
Methodological Issues and Results, in P. SCHOLLIERS (a cura di), Real
Wages in 19th and 20th Century Europe. Historical and Comparative
Perspective, Berg, New York-Oxford-Munich 1989.
ZAMAGNI V., Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dell’Italia
(1861-1981), il Mulino, Bologna 1990.
ZAMAGNI V., Comments on the Paper by Emanuele Felice, in «Journal of Modern
Italian Studies», 15, 2010, pp. 81-3.
Finito di stampare nel mese di ottobre 2011
da Rubbettino Industrie Grafiche ed Editoriali
per conto di Rubbettino Editore Srl
88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)
Saggi. Economia
Ultimi volumi pubblicati