DELL’ESECUZIONE PENALE
visti dall’Osservatorio Carcere dell’Unione delle Camere Penali Italiane
Pacini
Questo libro è stato ideato, curato e redatto dai componenti l’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere
Penali Italiane, composto dagli Avvocati:
ISBN 978-88-6995-047-6
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Gloria Giacomelli
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Un’ idea, un concetto,
un’idea finché resta un’idea
è soltanto un’astrazione...
Frase di autore anonimo, letta sul muro di un carcere e citata dal Ministro della Giustizia alla
cerimonia conclusiva degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale.
(Roma, Rebibbia 18 / 19 aprile 2016)
INDICE
Introduzione.................................................................................................... » 21
L’Osservatorio Carcere U.C.P.I.(il titolo dei capitoli corrisponde al nome dato al Tavolo
a cui ha partecipato il componente del direttivo dell’Osservatorio)
1. Spazio della pena. Architettura e carcere-città
di Simone Giuseppe Bergamini....................................................................... » 43
2. Donne e carcere
di Gianluigi Bezzi........................................................................................... » 47
3. Minorità sociale, vulnerabilità, dipendenza
di Fabio Massimo Bognanni........................................................................... » 53
4. Mondo degli affetti e territorializzazione della pena
di Giuseppe Cherubino.................................................................................... » 55
5. Lavoro e formazione
di Roberta Giannini........................................................................................ » 59
6. Istruzione, Cultura e Sport
di Davide Mosso............................................................................................... » 61
7. Misure e Sanzioni di Comunità
di Ninfa Renzini.............................................................................................. » 69
8. Esecuzione Penale: esperienze comparative e Regole Internazionali
di Cinzia Simonetti.......................................................................................... » 71
9. Operatori penitenziari e formazione
di Gabriele Terranova..................................................................................... » 83
10. Trattamento. Ostacoli normativi alla individualizzazione
del trattamento rieducativo
di Riccardo Polidoro........................................................................................ » 87
11. Processo di reinserimento e presa in carico territoriale
di Renato Vigna............................................................................................... » 95
12. Organizzazione e Amministrazione dell’Esecuzione Penale
di Franco Villa................................................................................................. » 103
PREFAZIONE
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Prefazione
Andrea Orlando
Ministro della Giustizia
11
PREFAZIONE
Che l’incontro del 18 e 19 aprile nel carcere romano di Rebibbia non costi-
tuisse l’evento conclusivo degli Stati generali dell’esecuzione penale, lo dimostra
questa bellissima iniziativa editoriale. Le relazioni finali dei Tavoli tematici e del
Comitato scientifico che in quella sede sono stati presentati, infatti, non volevano
costituire un frutto, ma un seme. Gli Stati generali fallirebbero lo scopo se non
andassero oltre se stessi. Ciò non significa, naturalmente, ignorare le difficoltà po-
litiche e culturali, che si frappongono al pieno dispiegamento degli effetti del loro
ambizioso progetto. Perché le soluzioni propugnate richiedono democratica condi-
visione; le parole d’ordine, ascolto sociale: il seme ha bisogno di terra accogliente.
E temo che questa terra accogliente sinora (mi concedo il conforto dell’avverbio)
ancora non ci sia.
Gli Stati generali muovevano da una diagnosi e da un’idea.
La diagnosi. Era doveroso chiedersi come mai, dopo aver introdotto ben qua-
rant’anni fa uno degli ordinamenti penitenziari più avanzati del mondo, fossimo
giunti a subire una condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo
(sent. 8 gennaio 2013, Torreggiani contro Italia), per violazione dell’art. 3 C.e.d.u.
(divieto di tortura). Come mai il Parlamento stesse discutendo un disegno di legge
delega intitolato «Modifiche (...) all’ordinamento penitenziario per l’effettività rie-
ducativa della pena», quando la nostra Costituzione da quasi settant’anni pretende
che le pene tendano alla rieducazione del condannato. Come mai oggi l’aratro
della riforma insistesse sostanzialmente sugli stessi solchi aperti dalla legge peni-
tenziaria di quarant’anni fa. Domande ineludibili, se si voleva evitare che il nuovo
a cui si intendeva lavorare facesse la fine del vecchio. Ebbene, sembra difficilmente
contestabile che la quarantennale storia del nostro ordinamento penitenziario stia
a dimostrare che qualsiasi riforma meramente legislativa è destinata a rimanere
in gran parte inattuata, se non vi sono persone e luoghi che sappiano accoglierla
(non basta, ammoniva il sen. Gozzini, versare vino nuovo in otri vecchi). Stia a
dimostrare soprattutto che, se non si riesce a contrastare la diffusa convinzione
che il carcere sia l’unica risposta alle paure del nostro tempo e la corrispondente
tendenza politica – elettoralmente molto redditizia – ad affrontare ogni reale o sup-
posto motivo di insicurezza sociale ricorrendo allo strumento, meno impegnativo e
più inefficace, dell’inasprimento della repressione penale e della restrizione delle
possibilità di graduale reintegrazione del condannato nel consorzio civile, ogni
innovazione normativa resterà precariamente esposta a “scorrerie legislative” di
segno involutivo e “carcerocentrico”. “Scorrerie” giustificate dal potere politico con
indifferibili esigenze di tutela della collettività, ma in realtà motivate dall’intento
di procacciarsi facile consenso, esibendo “muscolarità normativa” per affrontare
l’emergenza di turno.
L’idea. Se si voleva dunque evitare che anche la riforma legislativa in corso
finisse sul telaio di Penelope, bisognava battere strade nuove. Gli Stati generali
sull’esecuzione penale hanno inteso appunto far ricorso ad un approccio metodo-
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
14
Prefazione
tasso di carcerazione produca più sicurezza sociale, essendo vero al contrario che
l’espiazione extracarceraria della pena riduce notevolmente il tasso di recidiva.
Come sia miope la convinzione che la vittima del reato riceva tanto più rispetto
e risarcimento morale, quanto più ciecamente afflittiva sia la pena per il suo so-
praffattore. Come sia importante promuovere un’assunzione di responsabilità del
colpevole che lo sospinga a condotte materialmente e psicologicamente risarcitorie
nei confronti di chi il torto ha subito. Come sia socialmente proficuo (sia in termini
economici, che di minor recidiva) ricorrere, quando ne maturino i presupposti, alle
misure di comunità per proiettare l’autore del reato in una dimensione di riparato-
ria operosità. Come la giustizia riparativa non sia un modo di abdicare al compito
di rendere giustizia, ma un tentativo di sostituire al grossolano rammendo con cui
la pena riduce lo strappo del tessuto sociale provocato dal reato una paziente e
delicata opera di ritessitura dei fili relazionali tra il reo, la vittima e la società.
Dobbiamo purtroppo riconoscere che sino ad ora è mancato questo supporto
dei mezzi di informazione, indispensabile affinché penetri nell’opinione pubblica
un diverso modo di percepire il senso e il fine della pena. È possibile, ed anzi
fortemente auspicabile, che l’enorme lavoro “istruttorio” degli Stati Generali par-
torisca innovazioni legislative ed organizzative, ma il libro della riforma sarebbe
facilmente scompaginato dalla prima folata emergenziale, se non potesse contare
sulla robusta rilegatura di un sentire sociale nuovo e sintonico. Per questo, ed op-
portunamente, Riccardo Polidoro nel suo contributo ripete con forza che nessuno
stabile obbiettivo sarà conseguito «senza una campagna d’informazione», senza che
« si coinvolgano le scuole, le università, si entri nelle case con l’immenso potere dei
mass media ». I segnali, va detto, non sono incoraggianti. Già non erano mancati
indizi inquietanti, puntualmente sottolineati nelle pagine che seguono: dal silenzio
dei mass media rispetto ad eventi simbolicamente e “pedagogicamente” istruttivi
(come l’impeccabile lavoro svolto da circa cento detenuti all’expo di Milano) alla
chiassosa risonanza suscitata da un fatto che avrebbe dovuto, invece, essere accom-
pagnato da un rispettoso silenzio (l’idea di chiamare Adriano Sofri a coordinare il
Tavolo dedicato a “Cultura e carcere”). Ma è ciò che è accaduto in occasione delle
giornate di presentazione del lavoro degli Stati generali ad essere sintomaticamen-
te preoccupante. L’incontro a Rebibbia annoverava un parterre (il Presidente della
Repubblica, alcuni Ministri, i Presidenti delle Commissioni giustizia di Camera e
Senato, il vicepresidente del Csm, la Commissaria per la giustizia della Commis-
sione europea, il Procuratore nazionale antimafia, la Presidente della Rai ed altre
autorevolissime personalità), che da solo avrebbe garantito larga risonanza me-
diatica all’evento anche se il tema fosse stato “La dieta mediterranea”. Salvo rare
eccezioni, invece, l’evento è rimasto, per così dire, al centro della disattenzione
generale, a causa della sostanziale indifferenza dei mass media. Le ragioni di tale
disinteresse verosimilmente dipendono dalle regole che attualmente governano il
mondo dell’informazione e dalla specificità del tema carcere. Da sempre la notizia
mediaticamente appetibile è una cattiva notizia; oggi deve anche superare un certo
livello di decibel emotivi per essere letta o ascoltata. Persino i siti di previsione
meteorologica ricorrono a locuzioni allarmistiche (ciclone Spartacus, Nerone, Pop-
pea, la morsa del maltempo, codice rosso per la protezione civile) per annunciare
normali peggioramenti del tempo, pur di attirare l’attenzione. L’Osservatorio di
Pavia ha effettuato, su commissione dell’ordine nazionale dei giornalisti, un’analisi
di alcuni programmi di intrattenimento o a metà tra informazione e intrattenimento
15
GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
16
Prefazione
corruzione delle parole può provocare ci riporta all’evento conclusivo degli Stati
generali, da cui abbiamo preso le mosse.
Com’è noto, i provvedimenti di urgenza con cui si cercò di porre rimedio all’u-
stionante condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, vennero disinvoltamen-
te etichettati dai mezzi di informazione con il termine “svuotacarceri”. Il “messaggio”
mediatico, diretto a suscitare ansiosa attenzione, ha spacciato l’idea di una sorta di
cieco “sversamento” nella società del pericoloso contenuto dei penitenziari. In real-
tà, soltanto i condannati che si fossero dimostrati più meritevoli e meno pericolosi
avrebbero potuto fruire di misure alternative o di contenute anticipazioni di libertà,
e ciò – come studi criminologici, esperienze comparative e dati statistici attestano
– avrebbe semmai indotto un significativo abbattimento dell’indice di recidiva. Ma,
nell’odierna informazione fast-food, le parole-concetto contano più della realtà che
rappresentano e ne segnano in qualche modo il destino: la tossina della mistificazio-
ne, una volta inoculata nelle vene mediatiche, non conosce antidoto efficace. L’ansia
collettiva trovò ovviamente non disinteressati paladini in Parlamento: i condannati di
cui all’art. 4-bis ord. penit., ancorché meritevoli della liberazione anticipata “ordina-
ria”, dovevano essere esclusi dal supplemento di premialità costituito dalla liberazio-
ne anticipata “speciale”. Cionondimeno, i provvedimenti “svuotacarceri” del 2014 de-
terminarono una diminuzione della popolazione penitenziaria di circa 15000 unità.
Ebbene, il Ministro dell’interno Angelino Alfano, intervenendo all’incontro di Rebib-
bia, ha dichiarato che il tasso di criminalità, anche nelle sue manifestazioni più gravi
(omicidi), nel 2015 è risultato il più basso dall’inizio del secolo. Una buona ragione
per insistere nel ricorso alle alternative al carcere, concluderebbe la logica; nessuna
ulteriore apertura, ha concluso con il ministro Alfano la politica, «perché la gente non
capirebbe». Non potrebbe essere rappresentato in modo più plastico il circuito per-
verso che si instaura a seguito di un certo modo di rappresentare allarmisticamente il
fenomeno criminale e la problematica carceraria. Non più la fisiologica circolarità de-
mocratica di una società che si dà le regole attraverso i propri rappresentanti politici
e che poi, informata di come viene amministrata giustizia, sollecita il potere politico
ad introdurre i cambiamenti eventualmente ritenuti necessari; ma una società che,
condizionata da una rappresentazione mediatica allarmistica ed emotiva, invoca scel-
te securitarie avendo presente la giustizia “percepita” e non quella reale. Lo specchio
dell’informazione giudiziaria, rimandando una realtà distorta ed ansiogena, induce
cambiamenti o resistenze al cambiamento sulla base di presupposti fuorvianti.
Per tradursi in un profondo cambiamento dell’esecuzione penale il grande
lavoro di analisi e di proposte svolto dagli Stati generali ha bisogno, dunque, non
solo di una forte determinazione politica, ma soprattutto di una “rieducazione
dell’opinione pubblica”, come icasticamente da tempo auspica Riccardo Polidoro.
Nessuna importante novità legislativa farà mai presa sulla realtà, infatti, se prima le
ragioni che la ispirano non avranno messo radici nella coscienza civile del Paese.
È necessario che gli operatori dell’informazione prendano consapevolezza
dell’importantissimo ruolo che sono chiamati a svolgere e della loro conseguente,
enorme responsabilità culturale. In questa prospettiva, stiamo cercando di organiz-
zare seminari di aggiornamento permanente per giornalisti giudiziari che, replican-
do il “metodo Stati generali”, mobilitino professionalità diverse per una proficua
contaminazione di conoscenze e di esperienze.
Sempre in un’ottica di crescente sensibilizzazione dell’opinione pubblica, sa-
rebbe auspicabile che si riuscissero a moltiplicare le occasioni in cui la collettività
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
Glauco Giostra
Coordinatore del Comitato Scientifico degli Stati generali dell’Esecuzione penale
Ordinario di Procedura Penale
presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università la “Sapienza”
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PREFAZIONE
Gli Stati Generali dell’Esecuzione penale sono stati pensati, voluti e convocati
con grande determinazione dal Ministro della Giustizia, On. Andrea Orlando, nella
consapevolezza che la condizione del detenuto non si possa esclusivamente ridurre
ad una questione di metri di ampiezza della cella.
La sentenza Torreggiani ha tuttavia aperto una riflessione sul carcere e sulla
pena detentiva che non poteva certo essere posta nel dimenticatoio. Chi sbaglia, e
persino chi è in attesa di giudizio, non viene considerato per ciò che è: un essere
umano. La vergogna del sovraffollamento e del degrado in cui versa la stragrande
maggioranza degli istituti di pena era ignorata e trascurata da tutti. Le battaglie
dell’Unione delle Camere Penali Italiane e dei Radicali poco considerate.
È triste constatare che il risveglio delle coscienze sia stato determinato dal
richiamo dell’Europa. Ma tant’è. Meglio tardi che mai.
La volontà di cambiare atteggiamento verso la situazione carceraria era, però,
tutta da verificare. Il nostro Paese doveva, infatti, necessariamente attenersi, per
evitare condanne pesanti anche sotto il profilo patrimoniale, alle indicazioni prove-
nienti dalla Corte di Strasburgo in merito alle condizioni minime di dignità dell’ese-
cuzione e della permanenza in carcere, ma per nulla scontato era il desiderio della
politica di affrontare un tema che non determina consenso elettorale.
Parlare di lavoro, studio, sport, affettività, maternità in carcere, salute e disagio
psichico, sembrava e sembra complicato in un Paese disattento anche ai moniti
del Papa, che ha voluto più volte insistere sul significato della pena, evidenziando
come questa non possa mai tradursi in vendetta sociale e non debba mai allonta-
narsi dalla funzione rieducativa.
L’iniziativa, dunque, è stata accolta dall’Unione delle Camere Penali Italiane
positivamente, anche per la predisposizione di diciotto tavoli che dovevano appro-
fondire ogni aspetto dell’esecuzione penale.
Non abbiamo, però, trascurato di ribadire che gli intenti sarebbero stati traditi,
qualora alle parole e alle elaborazioni non fossero seguiti i fatti. Abbiamo, altresì,
segnalato le contraddizioni di chi ritiene finalmente giusto e corretto adeguare l’i-
dea di pena ai principi costituzionali e poi difende il 41 bis o l’ergastolo ostativo;
o ancora pensa che, pur se una persona è in fin di vita, non debba essere sottratta
al carcere duro.
Ora si tratta di essere operativi, consci delle difficoltà rese evidenti anche dalla
giornata conclusiva degli Stati Generali dell’Esecuzione penale, nella quale tutti
hanno inteso offrire il proprio contributo, comprese le più alte cariche dello Stato,
senza che vi fosse corrispondente interesse da parte dei media.
Questo fa comprendere come la nostra società sia, purtroppo, ancora imper-
meabile non solo a ragioni umanitarie e di rispetto della dignità delle persone
ristrette, ma anche alle indicazioni statistiche e scientifiche che dimostrano come
il carcere produca solo recidiva e, dunque, anche costi sociali, mentre le misure
alternative e gli approcci risocializzanti allontanano dal crimine.
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
Beniamino Migliucci
Presidente Unione Camere Penali
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INTRODUZIONE
L’espressione “Stati Generali” , nasce per la prima volta nel 1302, quando Fi-
lippo il Bello prese tale inziativa per chiedere alle forze sociali la distinzione tra
potere spirituale e temporale, mettendo sotto accusa papa Bonifacio VII. Ma è con
la Rivoluzione Francese, che il termine assunse una vera e propria valenza politica,
quando nel 1789 fu convocata l’assemblea che raccoglieva tutte le forze istituzio-
nali: clero, nobiltà e terzo stato.
In epoca contemporanea il termine è molto usato e non ha sempre un signifi-
cato politico. Conserva il suo significato di riunione aperta a tutti gli enti portatori
di interessi rispetto ad una precisa tematica.
Gli “Stati Generali dell’Esecuzione Penale”, voluti dal Ministro della Giustizia
Andrea Orlando, rappresentano la prima esperienza del genere in materia. Hanno
coinvolto circa duecento esperti, quali componenti dei diciotto Tavoli tematici, mo-
tivati solo dalla grande passione per una battaglia giusta quanto impopolare.
Per ragioni di spazio, non è stato possibile pubblicare le relazioni finali dei
Tavoli e quella conclusiva del Comitato Scientifico, comunque disponibili sul sito
del Ministero della Giustizia, ma ci è sembrato giusto menzionare i partecipanti,
quale ringraziamento – anche a nome dell’Unione Camere Penali Italiane – per il
lavoro svolto.
Comitato di esperti
Comitato di esperti per predisporre le linee di azione degli “Stati generali
sull’esecuzione penale”
[d.m. 8 maggio 2015 e d.m. 9 giugno 2015 di costituzione e integrazione del Comi-
tato degli esperti]
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
Tavoli di lavoro
Elenco pubblicato sul sito del Ministero della Giustizia
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Introduzione
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
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Introduzione
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
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Introduzione
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
Riccardo Polidoro
Responsabile “Osservatorio Carcere” dell’Unione Camere Penali Italiane
1. L’iniziativa
L’essenza e il valore politico degli “Stati Generali dell’Esecuzione Penale”, ri-
salta con estrema chiarezza, nelle parole pronunciate dal Ministro della Giustizia,
Andrea Orlando, nell’annunciare l’iniziativa:
L’articolo 27 della nostra Costituzione stabilisce che le pene non possono con-
sistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla riedu-
cazione del condannato. … un principio che ripetiamo spesso ma non possiamo
dire che abbia ancora trovato la sua piena applicazione. Le sentenze della Corte
di Strasburgo ce lo hanno ricordato e l’esperienza quotidiana di chi con difficoltà
opera ogni giorno negli Istituti ce lo testimonia.
Per questo ho voluto avviare il percorso che abbiamo chiamato Stati Generali
dell’esecuzione penale: sei mesi di ampio e approfondito confronto che dovrà por-
tare concretamente a definire un nuovo modello di esecuzione penale e una mi-
gliore fisionomia del carcere, più dignitosa per chi vi lavora e per chi vi è ristretto.
Gli Stati Generali devono diventare l’occasione per mettere al centro del dibattito
pubblico questo tema e le sue implicazioni, sia sul piano della sicurezza collettiva
sia su quello della possibilità per chi ha sbagliato di reinserirsi positivamente nel
contesto sociale, non commettendo nuovi reati.
L’articolazione che abbiamo previsto avverrà attraverso 18 tavoli tematici a
cui contribuiranno innanzitutto coloro che operano nell’esecuzione penale ai di-
versi livelli, dalla polizia penitenziaria agli educatori, agli assistenti sociali, a chi
ha compiti amministrativi o di direzione e di coordinamento del sistema. Contri-
buiranno inoltre anche tutti coloro che studiano questo sistema o che di esso si
occupano su base volontaria, secondo una specificità del nostro Paese molto ap-
prezzata dai nostri partner europei.
La nostra ambiziosa scommessa è che attraverso gli Stati Generali su questi
temi si apra un dibattito che coinvolga l’opinione pubblica e la società italiana
nel suo complesso, dal mondo dell’economia, a quello della produzione artistica,
culturale, professionale.
I lavori degli Stati generali procederanno in parallelo al percorso della legge
delega in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzio-
natorio e alla riorganizzazione dell’amministrazione penitenziaria e dell’esecu-
zione penale esterna. Una coincidenza che permetterà di arricchire di contenuti la
delega e di progetti le nuove articolazioni. La sfida è quella di vedere affermato al
termine di questo lavoro comune un modello di esecuzione della pena all’altezza
dell’articolo 27 della nostra Costituzione: non solo per una questione di dignità e
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
di diritti ma anche perché ogni detenuto recuperato alla legalità significa maggiore
sicurezza per l’intera comunità.
È la prima volta, dall’entrata in vigore dell’Ordinamento Penitenziario del 1975,
che un Ministro della Giustizia indica la strada per giungere finalmente al rispetto
della Legge in quell’area buia e troppe volte dimenticata, della detenzione in Italia.
Le sue parole hanno una valenza politica enorme. Si chiede e si vuole un ef-
fettivo cambiamento, attraverso un approccio diverso, che tenga conto dei principi
costituzionali e delle indicazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Sono circa duecento le persone che, convocate, hanno composto i diciotto
Tavoli. Scelte tra operatori penitenziari, magistrati, avvocati, docenti, garanti, rap-
presentanti della cultura e dell’associazionismo civile. Nove, quelle che fanno parte
del Comitato di Esperti con il compito di raccogliere e uniformare quanto prodotto
da ciascun Tavolo.
Una forza lavoro, dunque, imponente e qualificata a cui vengono assegnati i
temi principali che interessano l’esecuzione penale.
Una “macchina da guerra”, perché in un certo senso si era chiamati a dirimere
il conflitto storico tra diritto e prassi, davvero fenomenale. Il compito assegnato era
quello di scrivere e spesso riscrivere le regole dell’esecuzione penale in Italia. “Ri-
scrivere” perché, su alcuni temi, l’ordinamento e il regolamento penitenziario sono
già molto chiari e quello che manca è solo la concreta applicazione delle norme.
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Gli Stati generali dell’Esecuzione Penale
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
cioè che non protestano per le condizioni in cui vengono reclusi. Far comprende-
re, dunque, che è necessario investire maggiori risorse umane ed economiche per
consentire un effettivo trattamento individualizzato, offrendo a chi è recluso un
percorso di recupero che gioverà a lui, ma anche alla società.
Potrà mai comprendere il cittadino l’ulteriore sconto di pena di un giorno ogni
dieci di reclusione, per quei detenuti che sono stati o sono sottoposti a trattamenti
disumani o degradanti?
Alla totale mancanza d’informazioni, corrisponde, pertanto, anche un sistema
schizofrenico, che, se da un lato rende ancora più difficile l’avvicinamento dell’o-
pinione pubblica alle problematiche della detenzione, dall’altro indigna coloro che
da tempo vorrebbero il rispetto delle norme in materia.
Che Stato è quello che ha una pena illegale e incerta? Che “tortura” i detenuti
e li risarcisce? Che da trenta anni non riesce a istituire il delitto di “tortura”, come
da tempo ci viene chiesto dal Consiglio d’Europa? Che non è in grado di promuove-
re percorsi rieducativi e si assicura l’ordine nelle carceri, riducendo la pena inflitta?
Che non garantisce il diritto alla salute? Che toglie la libertà, ma, allo stesso tempo,
oltraggia la dignità, bene non disponibile?
Gli Stati Generali hanno rappresentato un momento fondamentale per l’auspi-
cato cambiamento, ma sia chiaro che senza una campagna d’informazione sull’im-
portanza del rispetto dei principi costituzionali e delle norme in materia di de-
tenzione, alcun obiettivo si raggiungerà. Si coinvolgano le scuole, le università,
si entri nelle case con l’immenso potere dei mass media. Le buone intenzioni del
Ministro dovranno tenere conto soprattutto di questo, altrimenti gli Stati Generali
sull’Esecuzione Penale null’altro avranno rappresentato che l’ennesimo incontro
tra persone, tutte d’accordo su quei principi di diritto che continueranno a non
trovare applicazione. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e ci auguriamo che il
Ministro sappia riappropriarsi della bussola per condurre, finalmente, la malridotta
barca della Detenzione in Italia verso il porto della Legalità.
3. L’obbligo
L’auspicio dell’Unione Camere Penali Italiane non può che essere quello di
vedere, finalmente, realizzate le proposte che, da tempo, fanno parte del suo pro-
gramma politico.
Va fatta, pertanto, un’analisi obiettiva della reale possibilità che quanto elabo-
rato dai Tavoli degli Stati Generali possa trovare concreta applicazione.
Il Governo e, in particolare il Ministro della Giustizia, hanno affrontato il tema
dell’esecuzione penale, perché costretti dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo. Quindi non una scelta politica, ma un obbligo nei confronti dell’Europa.
Tale circostanza induce a ritenere che il percorso del reale cambiamento con-
tinuerà ad essere in salita. Potremo dire “una salita assistita”. Assistita dall’Europa.
L’enorme apparato degli Stati Generali, costituito investendo pochissime ri-
sorse e facendo affidamento sulla passione civile dei partecipanti, ha consentito al
nostro Paese di dimostrare al Consiglio d’Europa la volontà di un’effettiva riforma.
Ma non vi è ancora un chiaro impegno politico in tal senso.
Alcuni dei temi affidati ai Tavoli degli Stati Generali sono, infatti, già ben discipli-
nati nell’Ordinamento Penitenziario vigente e avrebbero solo bisogno di trovare ap-
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Gli Stati generali dell’Esecuzione Penale
plicazione. Altri, invece, che reprimono i diritti fondamentali dei detenuti e che sono
entrati a far parte dell’Ordinamento sull’onda emotiva dell’emergenza dovuta alla
criminalità organizzata, dovrebbero essere oggetto di una concreta e doverosa azio-
ne riformatrice. Ma i segnali che giungono dal Parlamento vanno in senso contrario.
E, nel nostro Paese, il vento avverso può spirare per molti anni, se non per sempre.
La violazione contestata all’Italia, con la citata sentenza Torreggiani, è relativa
all’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, intitolato «Divieto della
Tortura» e prevede che “nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trat-
tamenti inumani o degradanti”. L’Italia, nel 1988, ha ratificato la Convenzione delle
Nazioni Unite contro la Tortura del 1984, ma, nonostante siano passati circa trenta
anni e vi siano stati numerosi impegni internazionali da parte dei nostri Governi, il
delitto di tortura non esiste ancora nel nostro Paese.
«La carcerazione» – hanno scritto i Giudici di Strasburgo – «non fa perdere al
detenuto i benefici dei diritti sanciti dalla Convenzione. Al contrario, in alcuni casi
la persona incarcerata può avere bisogno di una maggiore tutela proprio per la vul-
nerabilità della sua situazione e per il fatto di trovarsi totalmente sotto la responsa-
bilità dello Stato. In questo contesto, l’art. 3 pone a carico delle autorità un obbligo
positivo che consiste nell’assicurare che ogni persona sia detenuta in condizioni
compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della
misura non sottopongano l’interessato ad uno stato di sconforto, né ad una prova
d’intensità che ecceda il normale livello di sofferenza inerente alla detenzione e
che, tenuto conto delle esigenze pratiche della reclusione, la salute e il benessere
del detenuto siano assicurati adeguatamente».
L’Italia è stata destinataria di un provvedimento c.d. “pilota”, che affronta le
problematiche strutturali del pessimo funzionamento del sistema penitenziario ita-
liano, con riferimento anche alle numerose procedure pendenti in materia e a
quelle che sarebbero giunte. In poche parole, la Corte Europea, sommersa dagli
innumerevoli ricorsi provenienti dai detenuti italiani, si è vista costretta a “chiudere
la porta” per interrompere il flusso continuo di atti e a censurare le modalità di ese-
cuzione della pena, indicando al Paese membro di seguire la strada di procedure
di risarcimento interne.
La sentenza fa riferimento alla situazione di sette persone, tra cui il Torreggia-
ni, detenute per alcuni mesi negli istituti di Busto Arsizio e Piacenza. Censura la
mancanza di superficie vitale, in quanto rinchiusi in celle con pochissimo spazio
a testa, la mancanza di acqua calda per lunghi periodi, l’illuminazione e la ventila-
zione insufficienti.
Con la sentenza CEDU, l’Italia è stata investita da un obbligo di risultato. Un
dovere di ottemperare per fare fronte ad una emergenza interna, costituita dal
mancato rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e dalla necessità di risarcire il
danno a chi ha subìto la violazione di tali diritti.
In merito al primo punto, il richiamo dell’Europa è un invito all’ossequio di
norme interne già esistenti, che non trovavano concreta applicazione. L’articolo 6
dell’Ordinamento Penitenziario, infatti, disciplina le condizioni in cui devono vive-
re i detenuti, che sono quelle indicate dalla Corte. È previsto, infatti, che «i locali
nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza
sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro
e la lettura; areati, riscaldati ove le condizioni climatiche lo esigono e dotati di ser-
vizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale. I detti locali devono essere tenuti
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
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Gli Stati generali dell’Esecuzione Penale
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
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Gli Stati generali dell’Esecuzione Penale
È altresì vero che, nel caso di specie, non era l’azione di un detenuto che an-
dava diffusa, ma un percorso tracciato dal Governo per modificare un segmento
rilevante della Giustizia in Italia. Non un fatto di cronaca, dunque, ma politico. Un
evento che poteva e doveva interessare l’opinione pubblica.
Le ragioni del silenzio si possono solo ipotizzare. Ci potrebbe essere stato un
deficit di comunicazione da parte del Ministero ovvero un totale disinteresse dei
media.
Entrambe le possibilità, destano preoccupazione. Nel primo caso, l’insufficien-
te divulgazione da parte della fonte ministeriale, indicherebbe una chiara volontà
di agire senza destare allarme nell’opinione pubblica, impreparata a recepire il pur
dovuto cambiamento. Nel secondo, la volontà di non pubblicare la notizia dimo-
strerebbe un colpevole disinteresse da parte dei media.
Dopo la manifestazione di chiusura degli Stati Generali, tenutasi presso l’Isti-
tuto di Rebibbia a Roma, il 18 e 19 aprile scorso, la seconda ipotesi è certamente
la più attendibile.
Va riconosciuto al Ministro Andrea Orlando di avere fatto il possibile per ac-
cendere i riflettori sui lavori dei 18 Tavoli e su quanto andava programmato per l’
indispensabile riforma del sistema penitenziario. La presenza del Presidente della
Repubblica Sergio Mattarella, del Presidente Emerito Giorgio Napolitano, di ben 4
Ministri, del Lavoro, della Sanità, dell’Istruzione e dell’Interno, oltre a quella dell’at-
trice Valeria Golino e l’intervento in video del comico Checco Zalone, non sono
bastati ad avere la giusta e dovuta rilevanza mediatica. È stata proprio l’ironia di
Zalone a far comprendere la volontà del Ministro di usare tutti i mezzi possibili –
anche impropri –per attirare l’attenzione sull’evento: «… Sono stato contattato dal
Ministro Orlando per partecipare a questo evento. Purtroppo non posso essere lì.
Ne ricevo tante di richieste di partecipazione ad eventi. Questo Ministro mi è stato
simpatico, per telefono devo dire, perché mi ha detto che sta tentando di parlare
di detenzione, di problemi legati alla detenzione, nelle trasmissioni televisive, ma
non se lo caga nessuno, perché dice che non fa audience e quindi gli chiudono le
porte…».
Di porte chiuse ne deve avere avute effettivamente molte il Ministro della
Giustizia, perché dal novembre del 2014, quando, per la prima volta, lanciò la
formidabile idea degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, la rilevanza mediatica
è stata del tutto irrisoria, rispetto all’importanza politica dell’argomento. La stessa
cerimonia inaugurale del 19 maggio 2015, presso l’Istituto di Bollate, alla presenza
di moltissime autorità e di tutta la dirigenza dell’Amministrazione Penitenziaria,
non ebbe un solo rigo sui maggiori quotidiani, né fece notizia che, contemporanea-
mente, mentre il Ministro annunciava l’iniziativa, alla vicina Expò, ben 100 detenuti
lavoravano tutti i giorni per poi far rientro, in serata, nelle loro celle.
L’onore della cronaca è stato raggiunto solo con la nomina di Adriano Sofri,
quale coordinatore di uno dei Tavoli, quello relativo alla “cultura in carcere”. Si è
dato spazio ad un’ingiustificata polemica da parte di coloro che non avevano gra-
dito quella presenza in un’iniziativa ministeriale. Discussione che ha coinvolto i
media per alcuni giorni, fino a costringere Sofri a rinunciare.
L’Unione Camere Penali Italiane manifestò immediatamente solidarietà ad
Adriano Sofri, mostrando preoccupazione per le contestazioni mosse. Il dibattito
pubblico che s’intendeva finalmente promuovere sulla detenzione in Italia non po-
teva fare a meno delle voci di coloro che sono stati effettivamente ristretti in carce-
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
re. La scelta del Ministro si rivelava opportuna, in quanto ricadeva su una persona
da tutti riconosciuta – al di là delle idee manifestate – come giornalista e scrittore
e che, negli anni del carcere, aveva continuato a collaborare con importanti testate
giornalistiche e a scrivere libri. Chi meglio di lui avrebbe potuto dare un contri-
buto effettivo e concreto, alla luce della sua lunga esperienza detentiva? I giudizi
espressi sulla sua nomina, che praticamente si concretizzavano nella condanna a
morte del pensiero di un uomo di cultura, ritenendo che egli – addirittura dopo
aver scontato la pena – non poteva esprimere le sue idee e contribuire al richiesto
rinnovamento, erano in aperto contrasto con la strada che s’intendeva percorrere.
Strada, dunque, buia per volere dei media che preferiscono parlare alla “pan-
cia” degli italiani, invece di nutrire il loro cervello, contribuendo in modo determi-
nante al corto circuito legislativo e delle prassi – anche contra legem – che vede
protagonisti giornali, tv, opinione pubblica e politici.
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Gli Stati generali dell’Esecuzione Penale
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
senza preavviso, per capire le reali condizioni in cui sono ristretti i detenuti. Si
è soffermato su una frase letta sulle mura all’interno di un carcere: «il carcere è
un ozio senza riposo, dove le cose facili sono rese difficili da cose inutili». Questa
frase, a suo avviso, riguardava alcuni dei tratti essenziali del sistema penitenziario.
Faceva comprendere che oltre a sconfiggere il sovraffollamento era necessario
andare oltre. Da qui l’idea degli Stati Generali, per una discussione e un confronto
tra persone che operano nel carcere e altre per le quali il carcere è oggetto delle
loro ricerche, dei loro studi, delle loro riflessioni. Un dibattito aperto alla società
nelle sue molteplici articolazioni. Gli Stati Generali rappresentano – ha continuato
Orlando – un’iniziativa unica, per dimensione della riflessione, per ampiezza di
visione, per ambizione. La detenzione in Italia – ha riferito il Ministro – costa quasi
3 miliardi di euro, ma genera tassi di recidiva tra i più alti d’Europa. L’articolo 27
della Costituzione prevede una pena umana, finalizzata al recupero della persona
condannata. Gli Stati Generali hanno l’ambizione d’indicare una strada convincen-
te, per evitare il rischio dell’illusione che le norme bastino da sole. Le norme fun-
zionano se sorrette da adeguati moduli organizzativi, sostenuti da un’omogenea e
innovativa impostazione culturale. Per tale ragione ai Tavoli non si è discusso solo
di norme, ma si è partiti dalle buone prassi. Si è ragionato in concreto su come uti-
lizzare risorse umane e finanziarie in modo intelligente, su come integrare le reti,
che si strutturano intorno al carcere, con il territorio circostante. Ricordare a tutti
che il carcere fa parte della società e sul carcere finiscono con lo scaricarsi, in modo
più o meno deformato, le contraddizioni della società stessa. Fare in modo che la
società si occupi di come funzioni il sistema penitenziario. Con gli Stati Generali
si chiede maggiore attenzione alle problematiche legate alla detenzione, anche
se occuparsi di questi temi – ha evidenziato Orlando – non porta voti, non rende
celebri, raramente suscita simpatia. … necessario sconfiggere le convinzioni errate
aumentate dalla demagogia. La prima è che basti dire carcere per generare sicurez-
za. Va affermato, invece, che un carcere che preveda trattamento individualizzato e
l’utilizzo integrato di pene alternative, non è un regalo ai delinquenti, come grida-
no spesso gli imprenditori della paura, è invece, l’intelligente investimento di una
società che decide di non consegnare al carcere la funzione di scuola di formazione
della criminalità. I problemi del carcere, sono i problemi della società. I due mondi
non sono separati. Non sarà mai il carcere la soluzione dei problemi che la socie-
tà non riesce a risolvere. Un carcere che sia in grado di chiedere un’assunzione
di responsabilità in termini di lavoro, d’impegno, di scuola, è un carcere che non
corrisponde soltanto ad un’esigenza educativa del detenuto, ma corrisponde so-
prattutto ad un’esigenza di sicurezza della società, perché quell’individuo restituito
alla società, dopo un periodo di mera segregazione, inevitabilmente sarà uguale,
se non peggiore di quando è entrato. Il punto di riferimento, dunque, deve essere
il momento del ritorno all’esterno, se vogliamo che gli interventi riformatori siano
efficaci, se vogliamo che la reclusione non sia soltanto una parentesi afflittiva del
tutto scollegata ed indifferente ai percorsi individuali e sociali dell’autore del reato.
… questo il principale cambio di prospettiva da realizzare, anche concretamen-
te, spostando risorse dal funzionamento ordinario, al trattamento e all’esecuzione
penale esterna. Viviamo, certo, un momento di grave giustificata preoccupazione
per la sicurezza individuale e collettiva. Ma è proprio in queste circostanze che la
politica è chiamata ad usare coraggio e responsabilità. Il carcere è ineliminabile,
come unica forma di pena nel percorso trattamentale per determinati reati, sopra-
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Gli Stati generali dell’Esecuzione Penale
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1. SPAZIO DELLA PENA. ARCHITETTURA E CARCERE-CITTÀ
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Spazio della pena. Architettura e carcere-città
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
da destinare proprio alle misure alternative, all’interno delle quali realizzare unità
residenziali con adeguati servizi, per coloro i quali trascorrono ormai poco tempo
reclusi, ma che hanno quotidiane e continue relazioni con l’esterno. In particolare
ci si riferisce a strutture ubicate nel centro urbano, riducendo così le enormi diffi-
coltà di collegamento e connessione con i luoghi di lavoro che oggi rappresentano
un ulteriore ostacolo nella concessione delle stesse misure alternative. Organizzan-
do gli spazi in forme di autogestione da parte degli ospiti (siano di esempio i molti
casi esteri in cui ciò accade) si potrebbe dare una spinta importante al processo di
reinserimento nella vita civile dei detenuti.
Il lavoro è ormai riconosciuto come lo strumento più efficace per il reinseri-
mento nella società, alla misura alternativa al carcere in se stessa è indispensabile
affiancare luoghi di vita che contribuiscano a questo processo.
In conclusione appare evidente come per l’applicazione delle misure alterna-
tive il modello non possa e non debba essere quello carcerario, bisogna pensare
ad una tipologia abitativa che privilegi il senso di comunità e di condivisione di
spazi e di cose.
Appare, dunque, fondamentale la distinzione tra istituti destinati all’esecuzione
penale e alla custodia cautelare, tra istituti destinati alla residenza di chi gode di
semilibertà immaginando forme abitative diverse; così come la creazione di nuovi
spazi per le camere detentive, i soggiorni, le mense, le cucine autogestite, gli spazi
per il lavoro, lo studio e le attività sportive. Bisogna creare anche fisicamente un
ponte tra dentro e fuori, tra l’intra moenia, la famiglia ed il mondo esterno.
Queste riflessioni sono strettamente legate al tema della localizzazione. Tutte
le ipotesi avanzate portano a dire che gli istituti destinati a ospitare forme alter-
native di detenzione devono essere in città, a contatto con la vita quotidiana delle
persone libere, a contatto con il mondo del lavoro, dell’istruzione, con tutti quegli
ambiti attraverso i quali il detenuto possa sentirsi ancora parte di una comunità
civile.
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2. DONNE E CARCERE
Gianluigi Bezzi
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Donne e Carcere
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Donne e Carcere
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
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3. MINORITÀ SOCIALE, VULNERABILITÀ, DIPENDENZA
Considerata l’eterogeneità delle materie affidate, sono stati offerti, alla piattafor-
ma telematica del tavolo 4, tutti i lavori che sul punto hanno compiuto l’U.C.P.I e il
suo Osservatorio Carcere, nonché gli esiti delle iniziative da questi organismi intra-
prese volte a contrastare, tra l’altro, l’allarmante fenomeno dell’autolesionismo e dei
suicidi nelle carceri italiane, l’uso eccessivo delle psicoterapie farmaceutiche tra i ri-
stretti, il mancato recupero dei tossicodipendenti e la insufficiente prevenzione delle
dipendenze, il potenziamento dell’esecuzione penale esterna, in uno all’ampliamento
della soglia d’ingresso alle pene alternative alla detenzione in carcere, anche come
mezzo di deflazione delle minorità sociali sopravvenute nel regime intramurario.
Impegni tutti questi tesi ad affrontare, ad esempio, le principali cause di males-
sere, di autolesionismo, ma anche di rancore e odio verso sé stessi, che spingono
fino alla fantasia e al gesto effettivo del suicidio.
Tra questi sicuramente spiccano l’inerzia e l’impotenza che, a loro volta sono
generate da una comprovata sensazione di marginalità, di abbandono, difficoltà a
progettare, difficoltà a individuare, impiegare e valorizzare le proprie risorse.
Nell’ambito di questa cornice problematica, grazie anche al prezioso contri-
buto offerto dal dott. Angelo Aparo – esperto in psicologia presso la 1° Casa di
Reclusione di Milano Opera, sono state considerate varie proposte:
- aumentare il numero degli operatori interni (educatori e psicologi), nonché in-
tensificare la frequenza di contatti fra operatore e detenuto, così da potere de-
dicare maggiore attenzione ai percorsi individuali, intensificare i colloqui con
i nuovi giunti, avere incontri più regolari e affidabili fra detenuto e psicologo,
avere dei tempi più a misura d’uomo nel monitoraggio dei progressi verso l’o-
biettivo.
- permettere, già poco dopo l’ingresso in carcere, l’accesso del detenuto alle atti-
vità trattamentali;
- favorire l’autonomia del detenuto, anche mediante l’incremento di opportunità
lavorative, così da ridurre quel parassitismo verso i familiari e l’istituzione che,
a sua volta, comporta un’ulteriore autosvalutazione della persona, ovvero con-
ferma l’immagine negativa che il detenuto ha di solito del proprio rapporto col
mondo;
- favorire più in generale la collaborazione e il sostegno reciproco tra detenuti;
- implementare la figura del peer support (N.d.R. uno specialista Peer Support è
una persona con esperienza significativa di vita alterata che lavora per aiutare le
persone con dipendenza chimica, disturbo mentale o abusi domestici e di altre
problematiche simili. A causa della loro esperienza di vita, queste persone han-
no una esperienza che la formazione professionale non può replicare o ripro-
durre) o come agente di supporto e di training per detenuti nuovi, giunti e/o più
giovani, o la predisposizione di un Centro ascolto per un primo accoglimento
delle problematiche di altri detenuti;
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
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4. MONDO DEGLI AFFETTI E TERRITORIALIZZAZIONE DELLA
PENA
Giuseppe Cherubino
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
ciò, invero, costituisce un risultato non disprezzabile ove solo si consideri come,
all’interno del tavolo si agitassero le diverse anime del mondo accademico, istitu-
zionale, della magistratura e dell’avvocatura e, infine ma non ultimo, dell’associa-
zionismo.
Non si è trattato, come immaginabile, di una “passeggiata di salute”, vi sono
stati scontri anche “aspri” tra le diverse anime ma, penso di poterlo dire, alla fine
ne siamo usciti compatti sviluppando, senza retorica, una sincera e leale amicizia
tra tutti i partecipanti il che, a dire il vero, risulta ancora più inspiegabile ove solo
si consideri che il contatto tra noi è stato sempre e solo “virtuale”.
Una premessa di metodo che ha contraddistinto il Tavolo nel perseguimento
degli obiettivi era, ed è stata, che «…. i componenti del tavolo considerano il diritto
all’affettività come un diritto umano fondamentale…».
È apparso subito chiaro che, tale assunto di principio, non avrebbe trovato
piena e sicura affermazione come diritto dei detenuti, sino a quando il Legislatore
non interverrà, riformandole, su quelle norme dell’Ordinamento Penitenziario che
escludono dai benefici alcune categorie di detenuti o che prevedono per essi il
regime speciale di detenzione di cui all’art. 41-bis.
Sotto il profilo pratico il gruppo si è mosso, in una prima fase, acquisendo
i dati numerici della popolazione carceraria, al fine di consentirci di sapere non
tanto il numero dei detenuti (quanti stranieri, madri, padri fossero al momento
ristretti), quanto di sapere in che misura e, in quale modalità, i diritti che noi inten-
devamo garantire fossero già stati assicurati agli stessi.
In quest’ottica, su proposta di Rita Bernardini, subito accolta da tutti, si è predispo-
sto un questionario (prassi, peraltro nota a noi appartenenti all’osservatorio carcere) da
inviare a tutti i Direttori degli Istituti di pena che, con grande sorpresa di tutti, hanno
immediatamente risposto restituendo il questionario all’attenzione del tavolo.
Si è passato, quindi, alla specifica trattazione dei temi assegnati così suddivisi:
1. assicurare la vicinanza territoriale dei detenuti ai propri familiari;
2. umanizzare gli incontri dei detenuti con le persone (familiari e non) ammesse ai
colloqui;
3. consentire un maggiore e più agevole uso dei colloqui e delle visite, dei permes-
si, delle telefonate, delle videochiamate e della corrispondenza,
4. assicurare il diritto alla sessualità e, comunque, visite prolungate senza controllo
visivo e/o auditivo con i familiari e le persone anche minori ammesse ai collo-
qui;
5. assicurare i diritti dei minori nel rapporto con i propri genitori detenuti o arre-
stati;
6. agevolare, intensificandoli, i rapporti con il mondo esterno, gli enti locali, il vo-
lontariato.
Si è proceduto all’assegnazione, per singoli componenti, delle varie tematiche
ed al sottoscritto, insieme al Dott. Carmelo Cantone, è stata assegnata la materia
relativa “AI COLLOQUI” e alle “TELEFONATE E CORRISPONDENZA”.
Gli elaborati dei sottogruppi, tutti ridiscussi in seno al Tavolo, hanno portato
all’elaborazione delle proposte e degli articolati che costituiscono, in uno, le pro-
poste da inserire nel progetto di riforma dell’ordinamento penitenziario.
Il risultato conseguito dal tavolo, che potrà essere oggetto di verifica nella
lettura degli elaborati allegati, mi porta a formulare delle considerazioni personali
sull’esperienza vissuta.
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Mondo degli affetti e territorializzazione della pena
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5. LAVORO E FORMAZIONE
Roberta Giannini
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
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6. ISTRUZIONE, CULTURA E SPORT
Davide Mosso
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
Entrambi se ne stanno chiusi nella cella in un reparto per cd. comuni. A far
niente tutto il giorno. O quasi. Uno per qualche ora fa lo scopino.
Però l’art. 95 della legge sugli stupefacenti (D.P.R. 309/90) dispone: «La pena
detentiva nei confronti delle persone che hanno commesso reati perché tossico-
dipendenti deve essere svolta in istituti idonei per lo svolgimento di programmi
terapeutici socio – riabilitativi».
Non dovrebbero allora stare in una sorta di comunità terapeutica interna al
carcere?
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Istruzione, cultura e sport
E forse che non ce n’è una, cosa più unica che rara, proprio a Torino, il cd.
reparto Arcobaleno?
Peccato però che i posti siano, mal contati, cento.
E che i tossicodipendenti – lo è circa un terzo di chi è in carcere – qui siano
tra i 350 e i 400.
E 17.000 in Italia.
Non si può però neppure pretendere troppo.
E che sarà mai? La norma, già presente nella prima legge in materia, ha poi
solo….41 anni.
All’uscita incrocio uno degli avvocati che più si occupano a Torino di diritto
carcerario.
Compirà settantacinque anni a luglio. Anche oggi è venuto per parlare con una
decina di persone.
Combattente di lunga data delle aule di giustizia, ha partecipato alla fondazione
della Camera penale Torinese, preso parte come difensore d’ufficio al “processo Br”
a Torino segnato dall’uccisione del presidente dell’Ordine avvocato Fulvio Croce.
Manda, per conoscenza anche a me ed alla camera penale, le lettere che di
tanto in tanto trasmette al direttore di questo o quell’altro carcere per lamentare il
trattamento di suoi assistiti.
Gli chiedo: «Nino cosa ne pensi degli Stati generali?»
Mi risponde: «Ma quali? Quelli della Rivoluzione Francese?»
Uscito dal carcere vado a trovare un giovane detenuto in esecuzione della
pena presso il domicilio. Fine pena luglio 2016.
Arrestato il 5 novembre 2015, reato una violazione dell’art. 624 bis c.p., patteg-
giati 8 mesi all’udienza direttissima.
Era ai domiciliari, raggiunto dal definitivo è stato arrestato il 5 febbraio. Vi è
rimasto 20 giorni, fin quando il magistrato di Sorveglianza gli ha applicato la cd.
“Alfano – Severino”.
Anche nel suo caso, prima dell’ingresso alle “Vallette” (soprannome del carcere
torinese) avevo fatto segnalazione a direzione sanitaria e matricola. Di trattarsi di
persona giovane ed alla prima carcerazione. Affetta da sindrome ansiosa – depres-
siva con crisi di panico. Allegati i certificati medici.
È stato trasferito dalla sezione nella cui cella stava rinchiuso 22 ore al giorno –
fatte salve le due ore d’aria – in un’altra a celle aperte solo dopo che ho inviato mail
al direttore (e per conoscenza ai garanti di Torino, Piemonte e del nuovo ufficio
nazionale diretto da Mauro Palma) lamentando la situazione.
È vero, ho atteso una decina di giorni a trasmetterla. Sono stato sadico. Intanto
però questo dà, a chi vuol vedere, modo per comprendere (sulla pelle degli altri
e chiedo ancora scusa al mio assistito) l’effetto che fa la differenza tra la teoria –
norme di diritto penitenziario, proclami del ministro, massimi principi degli stati
generali – e l’azione.
Secondo tempo (note scritte dopo chi mi era arrivato l’invito per l’evento con
cui il ministro della giustizia aveva scelto di finire gli Stati generali dell’esecuzione
penale. La due giorni – pomeriggio del 18 e giornata del 19 aprile – in cui presen-
tare i documenti conclusivi dell’iniziativa).
Intanto che scorro i nomi di coloro che si alterneranno sul palco dell’audito-
rium del carcere di Rebibbia mi si affaccia una domanda.
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
O meglio, si riaffaccia la stessa domanda che fece capolino nella mia mente
quando seppi che avrei fatto parte di quest’iniziativa.
Inaugurata il 19 maggio 2015 nel carcere di Bollate, iniziata effettivamente
nella prima metà di luglio con conferenze, alle quali ho partecipato in video, base
logistica l’ufficio al ministero a Roma del coordinatore del tavolo, Mauro Palma.
Ma quanti di costoro parleranno di carcere avendolo davvero visto un carcere
in vita loro? Quanti sono entrati in un carcere e quand’anche fossero entrati quanto
è il tempo che ci hanno trascorso all’interno?
E quanti carceri avranno visto? Con quante persone che in carcere ci stanno
veramente hanno parlato?
Perché ho l’impressione che, Riccardo Polidoro, Rita Bernardini e pochi altri
a parte, i relatori parleranno di qualcosa che è loro, in concreto, del tutto ignoto.
Valendo peraltro, ritengo, anche per Polidoro e Bernardini ciò che vale per me.
Per quanto in carcere ci vada da 25 anni quasi ogni settimana, sia stato in
decine di carceri, ed in ospedali psichiatrici e case di lavoro, ed abbia raccolto i
resoconti di persone detenute in ogni parte d’Italia.
Il fatto cioè che il carcere continui ad essere un mondo comunque lontano
perché la conoscenza di un fatto presuppone di averne fatto esperienza e noi per
fortuna non siamo mai stati reclusi e, ci auguriamo, di non esserlo.
Il pensiero che a ragionare di carcere e pena nei 18 tavoli degli Stati generali
si siano trovate persone che per la gran parte di carcere vero sanno poco o nulla
peraltro è strettamente legato ad un altro.
Alla mia personale idea che in fondo, ad aver mosso l’iniziativa, sia stato l’inten-
to di buttar fumo negli occhi all’Europa, così da potersi dire che in Italia la ricetta
per un carcere dignitoso è stata trovata e da far chiudere la procedura d’infrazione.
Insomma: «le sentenze del 2009 e del 2013 della Corte Europea dei diritti uma-
ni hanno dispiegato i loro effetti. E, tranquilli, ora l’Italia ha una politica peniten-
ziaria degna di un Paese civile».
Spero di essere smentito dai fatti.
E che quindi, dopo che il ministro avrà terminato i lavori con l’intervento alle
18,30 del 19 aprile “Il punto di arrivo degli Stati generali ed il loro sviluppo”, avre-
mo altro che i miliardi di parole delle migliaia di pagine prodotte in quest’anno.
Avremo davvero un carcere civile.
Che poi altro non è che il carcere in cui le regole scritte da oltre 40 anni sono
effettive e non carta straccia.
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Istruzione, cultura e sport
coordinati da una persona che in carcere c’è stata, e che avendo finito di scontare
la sua pena avrebbe dovuto essere rieducata e comunque reintegrata nella società
civile (oltre che essere già di suo un autorevole esponente del mondo culturale ita-
liano), il brillante ministro non è nemmeno riuscito a rispondere, a chi gli chiedeva
conto del fatto che si dessero dei soldi pubblici ad un condannato, che la parteci-
pazione ai tavoli non era retribuita.
Ha abbozzato che: … si… insomma… se n’era parlato di Sofri… nulla però
era deciso…
Come sia andata a finire la vicenda lo sappiamo.
Quanto il suo comportamento sia stato coerente con ciò che già andava di-
cendo e continua a dire sul cambiamento culturale del paese sui temi del carcere e
della pena si commenta da sé.
C’è da riconoscere però che qualche segnale nuovo lo ha lanciato nei giorni
che hanno preceduto l’evento di Rebibbia.
Sua infatti la decisione, giusta e civile, di non prorogare il regime di 41 bis per
un noto capo mafia che pare sia in uno stato di vita pressoché vegetativo… Ah no,
chiedo scusa, mi dicono che mi sono sbagliato… il 41-bis al sig. Provenzano è stato
prorogato…
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
Chi è in carcere è davvero una persona o non è forse piuttosto, per comincia-
re nel linguaggio di tanti tra gli stessi operatori di giustizia – giudici ed avvocati,
agenti di polizia penitenziaria e direttori di carceri – solo e soltanto il detenuto?
Continuando nella lettura delle norme si può vedere che l’art. 13 precisa: «Il
trattamento deve rispondere ai particolari bisogni della personalità di cia-
scun soggetto».
E l’art. 15 individua in: «Istruzione, lavoro, religione, attività culturali,
ricreative e sportive, agevolazione dei contatti con il mondo esterno e la fa-
miglia» l’essenza del trattamento.
Elenco e rubrica degli articoli e delle norme della legge in questione, del suo
regolamento (in ultimo del 2000) e delle raccomandazioni europee sulla detenzio-
ne potrebbe proseguire.
Occuperebbero però molto spazio ed è perciò più semplice rinviare sul punto
alle 10 pagine, da 96 a 106, che vi dedica il rapporto finale del mio tavolo.
Ciò che invece è forse più interessante è vedere l’attuazione delle norme.
Prendiamo ad esempio il lavoro.
L’ultimo comma del citato articolo 15 conclude: «ai fini del trattamento riedu-
cativo… al condannato è assicurato il lavoro».
Orbene il 29 febbraio scorso erano detenute 52.846 persone (a fronte di 49.500
posti, cfr. Ministero giustizia, D.a.p., sezione statistica).
Quante occupate in un’attività lavorativa?
Premesso che dati sul punto più aggiornati di quelli della relazione 2014
sull’attuazione delle disposizioni di legge relativa al lavoro in carcere non si è riu-
sciti a trovarli (ma ritenendosi la situazione non granché cambiata nel frattempo)
possiamo dire poco più di uno su quattro.
Posto che nel 2014 furono 14.550 le persone detenute che svolsero un lavoro
in carcere.
Delle quali peraltro si ignora un dato tutt’altro che secondario.
E cioè il numero di ore che le vedeva quotidianamente impegnate.
Laddove invece è noto che per 10.185 di costoro il lavoro consistette nell’im-
pegnativa attività di scopini, spesini e portavitto.
Niente di malissimo, verrebbe comunque da dire, se la gran parte dei restanti
38.000 o giù di lì, fossero costantemente impegnati nelle attività formative, cultura-
li, ricreative e sportive di cui alla legge.
Il fatto però è che l’attività che più impegna coloro che stanno in carcere è
un’altra: fare un bel niente.
Lo attestano le esperienze della gran parte delle persone che ho assistito in
questi anni.
E ne è cartina di tornasole l’istituto della liberazione anticipata, detrazione di
quarantacinque giorni ogni sei mesi di pena.
Prevista per chi da prova di partecipazione all’opera di rieducazione (art. 54
o.p.) la sua interpretazione letterale ha avuto vita assai breve.
Ai primi provvedimenti che riconoscevano lo sconto di pena per «aver aderito
positivamente al programma di trattamento» si sono ben presto succeduti quelli per
i quali essa consegue allo starsene buoni e quieti.
La spiegazione?
Trattamento individualizzato non vuole dire niente perché nella pratica non esiste.
La grandissima parte delle persone in carcere si sveglia quando vuole; sta in
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Istruzione, cultura e sport
una cella avendo a disposizione per sé, fino alla primavera 2014, neanche tre metri
quadrati; ove rimanere chiusa anche 22 ore; vive aspettando, chi ce li ha, i familiari
che per qualche ora in un mese verranno a far visita.
Stupisce se in questi luoghi brutti, sporchi, maleodoranti, allocati fuori dai luo-
ghi abitati, in questi spazi che non sono tali, in questo tempo che scorre nell’ozio,
si diffondono malattie e depressione, si alimentano i vizi, si sviluppano i semi che
genereranno nuovi comportamenti devianti una volta usciti da lì?
E se pur il quadro dal 2014 ad oggi si è leggermente modificato perché, grazie
alla Corte Europea per l’appunto, ora i tre metri quadrati cadauno ce li hanno tutti.
E se pur il tempo in cella è un po’ meno perché, grazie alla commissione mini-
steriale presieduta da Mauro Palma, si è previsto che le celle restino aperte per otto
ore al giorno (regime peraltro, ma che strano vero?, anche questo non rispettato
e comunque fieramente avversato per cominciare da tanta parte del personale di
polizia penitenziaria) la sostanza però non è cambiata.
Se poi almeno tutto questo si limitasse ai costi delle condanne della Corte
Europea.
Ed invece no.
Gli studi in materia indicano in una cifra compresa tra i 150 ed i 250 euro la
spesa al giorno per persona detenuta (di cui peraltro giusto 4 o 5 per l’interessato)
Ogni anno, dunque, il sistema penitenziario ci costa sui 3 miliardi di euro.
A fondo perduto.
Anzi a perdere: visto che sette persone su dieci di lì a non molto, in carcere ci
torneranno di nuovo.
Per concludere
Se voi foste il sindaco e/o l’assessore alla viabilità di una città in cui gli au-
tomobilisti passano con il rosso, stendono i pedoni sulle strisce, parcheggiano in
doppia fila, vanno contromano ecc. ecc. fareste gli stati generali del traffico o man-
dereste i vigili a sorvegliare, fare le multe, ritirare le patenti?
Come avrete capito.
In un Paese che ha sulla carta regole penitenziarie in linea con quelle di un
normale Paese civile ma nella sostanza quotidianamente, sistematicamente e scien-
tificamente disattese e non applicate, al punto da essere condannato da un Giudice
nemmeno nazionale per trattamento disumano e degradante), voi come rimedio fare-
ste gli Stati generali dell’esecuzione penale per “favorire un cambiamento culturale”?
O non mandereste piuttosto per intanto i “vigili” a farle rispettare?
Perché l’ordinamento penitenziario, e solo 40 anni fa, ha istituito una figura,
il magistrato di Sorveglianza, alla quale ha affidato il compito di vigilare perché le
regole penitenziarie siano rispettate (art. 69 o.p.).
L’Italia ha già dunque i suoi Garanti per le persone private della libertà per-
sonale.
I magistrati di Sorveglianza.
Ciò nonostante si è avvertito il bisogno di crearne altri.
Qualcuno di grazia me ne può spiegare il motivo?
E qualcuno ancora può dirmi chi siano stati, nomi e cognomi per favore, i re-
sponsabili delle condanne all’Italia della Corte Europea dei diritti umani?
67
GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
Da parte mia credo che la vera rivoluzione culturale del carcere passi attraver-
so poche linee guida concrete da applicarsi immediatamente.
A partire dalla stesura di un Regolamento interno, uguale per tutti gli istituti di
pena, che venga messo a disposizione di chi entra in carcere. Com’è previsto per
legge. E come invece non avviene.
Dalla valorizzazione, registrandole fin dal momento dell’immatricolazione, del-
le capacità personali positive (lavorative, culturali, sportive) di cui chiunque entri
in carcere è in ogni caso dotato.
Credo poi che 3 miliardi di euro all’anno, a tanto ammontando suppergiù il
costo del carcere in Italia, richieda che ad occuparsi del D.a.p. non siano, o quan-
tomeno non siano soltanto, magistrati (spesso e volentieri dell’ufficio del pubblico
ministero) e burocrati del ministero della giustizia ma bensì manager bravi e pre-
parati.
Ed infine penso che se il sig. Orlando avesse avuto il minimo di coraggio, che il
ruolo rivestito gli imponeva, di difendere la nomina del sig. Adriano Sofri a compo-
nente degli Stati generali (“magari” invitando anche il sig. Mario Calabresi a farne
parte) e di non rinnovare il regime 41 bis al sig. Provenzano, allora sì che avrebbe
contribuito a dare il la a quel mutamento culturale del Paese rispetto ai temi del
carcere e della pena che a parole sembrano stargli tanto a cuore.
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7. MISURE E SANZIONI DI COMUNITÀ
Ninfa Renzini
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
Con il coinvolgimento della Società civile sarà possibile stabilire percorsi re-
sponsabilizzanti e idonei a ricostruire il patto di cittadinanza, favorendo anche
percorsi di giustizia riparativa e risocializzante.
È stato affrontato, infine, il tema delle norme.
Per meglio agevolare la realizzazione degli obiettivi, è stato previsto di modi-
ficare la normativa inerente il lavoro dei condannati.
Il Tavolo ha proposto una riorganizzazione normativa, sia della L. 354/1975
che della L. 689/1981, armonizzandole con le norme del codice penale e proces-
suale penale.
Tra le proposte, anche quella che l’Unione Camere Penali da sempre chiede: la
rivisitazione dell’art. 41 bis e l’abrogazione del 4 bis della L. 354/1975.
Ed ancora il potenziamento e l’introduzione della Sorveglianza Elettronica,
nell’ottica anche questa più volte sottolineata dall’Unione Camere Penali e dall’Os-
servatorio Carcere, di limitare o ridurre l’uso della detenzione carceraria.
Con l’auspicio che quanto contenuto nelle proposte elaborate e meglio espli-
cate nella relazione finale possa avere una rapida applicazione.
I componenti del Tavolo, e NON solo, auspicano di aver costruito il diritto alla
speranza per dare speranza alle persone private della libertà.
70
8. ESECUZIONE PENALE:
ESPERIENZE COMPARATIVE E REGOLE INTERNAZIONALI
Cinzia Simonetti
Nella mia vita professionale ho potuto constatare che, se è vero che spesso la
solitudine di un avvocato non ha confini, quella di un avvocato che si occupa di
esecuzione penale è assoluta e infinita.
Così, l’idea di poter finalmente mettere nero su bianco e denunciare i difetti
intollerabili di un sistema che non funziona è stata la mia prima sensazione quando
Riccardo Polidoro, il Collega Responsabile dell’Osservatorio Carcere dell’U.C.P.I.,
mi ha comunicato che avrei fatto parte di uno dei Tavoli organizzati nell’ambito
degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale.
Ho avuto la sensazione netta che fosse giunto il momento di restituire quanto
da me ricevuto nel corso di tanti anni occupati a tutelare i diritti di chi è privato
della libertà.
Credo molto nel “movimento circolare” dell’esistenza di ciascuno di noi, quella
ciclicità che ci fa sentire parte integrante di un gruppo, di un sistema, nel mio caso
di una società.
Ho affrontato il mio impegno con la consapevolezza che quella sarebbe stata
un’ottima occasione per poter contribuire a cambiare il “sistema” dall’interno, tra-
lasciando le mille battaglie quotidiane combattute in trincea da noi Avvocati che,
purtroppo, lasciano spesso in bocca il sapore della solitudine conseguente all’im-
popolarità del tema penitenziario.
Dopo l’entusiasmo iniziale ho percepito che qualcosa non andava; nel Parla-
mento, lo stesso Parlamento che aveva conferito al Ministro della Giustizia la de-
lega per la riforma dell’Ordinamento Penitenziario e delle leggi ad esso collegate,
ci si avviava a emanare norme in assoluto contrasto con la ratio che a tanto aveva
finalmente portato. Si parlava di aumento del termine prescrizionale, di aumento
di pene per taluni reati che altro riguardo, secondo me, avrebbero richiesto e, con
il passare dei giorni, mi domandavo sempre più se il mio impegno avrebbe potuto
portare a qualche sperato risultato.
Contemporaneamente a ciò, il coordinatore del mio Tavolo, il Professor
Francesco Viganò, convocò la prima riunione telematica del gruppo nel corso
della quale, dopo le rimostranze di ciascun componente per quanto stava ac-
cadendo in Parlamento, si decise, concordemente, di procedere con il lavoro
assegnato.
Ho subito percepito che con i componenti del mio Tavolo di lavoro, il n. 14,
avrei collaborato volentieri e, come unico rappresentante dell’avvocatura, avevo
avuto la fortuna di potermi considerare in buona compagnia.
Le prime impressioni furono via via rafforzate nel corso delle tante riunioni a
cui ho partecipato, tant’è vero che mai uno scontro vi è stato tra i componenti del
mio Tavolo e tutte le proposte avanzate tramite il report finale sono state unanime-
mente condivise.
71
GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
Ciò non implica, tuttavia, il fatto che fin dall’inizio della trattazione di ciascun
argomento tutti siano partiti dalle stesse posizioni, anzi, vi assicuro che non è stato
così.
Il lavoro impagabile del nostro Coordinatore ha fatto sì che l’opera di sintesi
emersa alla fine dei lavori del gruppo sia stata frutto di un confronto serrato che,
opportunamente, ha proceduto a non tralasciare alcun aspetto del problema, fosse
anche quello da tutti noi detestato dell’invarianza economica con cui eravamo co-
stretti a fare i conti!
Il tema di ricerca del nostro Tavolo, “Esecuzione penale: esperienze com-
parative e regole internazionali” era tra i più complessi perché non ci si poteva
limitare a riportare la propria esperienza professionale ma bisognava riferirsi al
contesto europeo in chiave comparata su tutti i punti oggetto di delega, logica
necessità dettata dalle recenti condanne riportate dal nostro Paese presso la Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo, vero motivo per il quale tale iniziativa, a parer mio
è stata intrapresa.
La vastità dei temi assegnati al Tavolo ha implicato in prima battuta un’opera di
selezione degli argomenti da trattare. A questo fine, si è cercato di individuare, tra
le tematiche oggetto della legge delega, quelle sulle quali un intervento riformatore
appariva più urgente.
Nell’elaborazione delle proposte ci si è ispirati a un duplice criterio: da un lato,
l’attenzione alle indicazioni provenienti dalle fonti internazionali (di hard e soft
law) in materia sanzionatoria, dall’altro, lo studio delle esperienze e delle prassi
‘virtuose’ di ordinamenti vicini a quello italiano.
Quanto all’oggetto delle proposte, si sono tenuti in considerazione due piani
diversi: quello delle misure alternative e quello dell’esecuzione intramuraria. Sot-
to il primo profilo, tutti i membri del Tavolo si sono trovati concordi nel ritenere
che l’orizzonte entro il quale occorre muoversi, in un’ottica di riforma del sistema
sanzionatorio, sia quello della riduzione del terreno oggi occupato dalla pena de-
tentiva.
Studi nazionali e internazionali corroborano, infatti, l’assunto secondo cui tale
pena è, tra tutte, quella economicamente più costosa e assieme quella meno idonea
a ridurre il rischio di recidiva dei condannati.
Nell’auspicio di una riforma del sistema sanzionatorio che introduca, già a livel-
lo di pene principali, sanzioni non detentive, il Tavolo si è impegnato – nell’ambito
del suo mandato – a formulare proposte per il potenziamento e il miglioramento
delle misure alternative. In questo senso, sono state elaborate proposte finalizza-
te, da un lato, a garantire il contenimento del rischio di recidiva del condannato
durante l’esecuzione della misura, e dall’altro a individualizzare il contenuto delle
misure, al fine di impostare un percorso realmente risocializzativo e in grado di
realizzare un’efficace funzione di prevenzione speciale nel lungo periodo.
Quanto invece al piano dell’esecuzione intramuraria, lo scopo che si è avuto
di mira, sempre in ossequio alle indicazioni provenienti dalla normativa sovra-
nazionale, è stato quello di garantire un’esecuzione rispettosa dei diritti fonda-
mentali della persona, favorendo, altresì, nella misura più ampia possibile, il
mantenimento dei legami tra detenuto e società (in questo senso si vedano le
proposte sull’introduzione delle visite familiari e sugli incontri di coppia, nonché
sul trattamento delle detenute madri). Il tutto nella consapevolezza che, para-
dossalmente, l’apertura del carcere all’esterno ‘aumenta la sicurezza’, riducendo
72
Esecuzione penale: esperienze comparative e regole internazionali
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
Essendomi occupata per molti anni delle misure di sicurezza per gli imputabili,
ho chiesto e ottenuto di approfondire l’argomento, riferendomi ai sistemi penali
europei che tale previsione contengono, conferendo il seguente contributo al lavo-
ro del gruppo.
74
Esecuzione penale: esperienze comparative e regole internazionali
in modo sommario, rapido ed efficace di tutti quegli uomini e quelle donne che il
regime riteneva non più portatori di una dignità umana, ma reificava e, all’uopo,
custodiva.
Solo nel 1953 in Germania si accese il dibattito sull’umanizzazione della cu-
stodia di sicurezza che sfociò nell’inserimento delle misure di sicurezza dell’inter-
namento in un istituto in cui potesse essere attivato un trattamento socio-terapico
quando nel 1969 si procedette alla riforma del codice penale.
Tuttavia tale recepimento fu solamente fittizio giacché lo stato tedesco non
possedeva idonee strutture necessarie per l’attuazione del novellato istituto.
Nel 1998 il legislatore tedesco valorizzando il successo della social-terapia
inserì di nuovo tale principio, prevedendo la comminazione di tale particolare
programma di trattamento a detenuti che evidenziassero problemi di carattere psi-
chico e antisociale.
È stato ampliato l’utilizzo della custodia di sicurezza nonostante l’evidente
negativa contrapposizione con le tutele costituzionali, e nel tempo, la loro conno-
tazione afflittiva si è affermata sempre di più.
Su sollecitazione dell’influsso negativo che alcuni gravi fatti di cronaca hanno
esercitato sulla popolazione e alla conseguente domanda di sicurezza e punizione,
è stata valorizzata la custodia di sicurezza che, fino all’anno 1998, era comminata
in misura non superiore a 10 anni. In risposta di tale spinta populista è stato eli-
minato detto limite decennale e riconosciuta l’adesione delle misure di sicurezza ai
principi costituzionali tedeschi.
Attraverso tortuosi e problematici passaggi, si è giunti fino all’attuale siste-
ma che prevede l’applicazione delle misure agli imputabili rigorosa ed imperniata
sull’attualità della prognosi che possa fungere da rimedio nei riguardi dei colpevoli
di gravissimi reati, ma tale pronuncia può avvenire fino al termine dell’esecuzione
della pena detentiva.
Tale estensione del rimedio si aggiunge a quanto era già previsto nel nucleo
dell’istituto della custodia di sicurezza che prevede, quindi, che oltre all’evidenza
della prognosi negativa ed a quella della riserva sulla stessa, anche la possibilità
di pronunciarsi sul punto a seguito di emergenze che intervengano durante la car-
cerazione.
A tale riguardo va evidenziato come nel 2007 sia stato ulteriormente reso
applicabile il rimedio, con la previsione anche nei casi in cui il giudice non abbia
in precedenza disposto in tal senso, pur conoscendo tutti gli aspetti del caso, e,
pertanto, potendo applicare la misura contestualmente alla condanna. Tale appli-
cazione prende il nome di “custodia postuma”.
A questo punto è evidente come sia di vitale interesse che tale strumento re-
chi con sé le sue stesse limitazioni e preveda un campo applicativo decisamente
ristretto ma, nonostante ciò, implica delle ripercussioni riguardo al trattamento dei
detenuti che vedono rallentare le loro opportunità in maniera assolutamente non
condivisibile.
Il sistema tedesco, in questo modo, ha visto raddoppiare i casi di persone
sottoposte alla misura custodiale, e ciò è stato determinato dalla deriva populi-
sta che ha alzato i toni del dibattito, deviandolo dall’alveo naturale del confronto
scientifico, spostando avanti la linea di azione e prevenendo come motivo di ap-
plicazione della misura custodiale la sola eventualità della commissione di un fatto
antigiuridico.
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
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Esecuzione penale: esperienze comparative e regole internazionali
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
può essere vagliato, e per nessuna ragione, il discorso del pericolo generico della
reiterazione del comportamento antigiuridico.
Solo ed esclusivamente l’art. 5 lett. a) CEDU prevede che possa essere inflitta
una misura di sicurezza, sempre che questa sia connessa alla comminazione di una
condanna.
Ciò posto è assolutamente evidente come sia contraria a tale norma l’applica-
zione di una misura di sicurezza ex post, slegata dall’imminenza della pronuncia
sul merito.
A tale riguardo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo delinea le condizioni
indefettibili per l’applicazione delle misure di sicurezza che prevedono, oltre alla
giurisdizione del giudice penale del processo di merito, anche l’assoluta gravità
della sanzione, data la particolare afflittività delle misure detentive, la predisposi-
zione di programmi trattamentali personalizzati e distanti da quelli previsti per i
detenuti, data la possibilità di affrancamento della misura da parte degli internati,
diversamente da chi è chiamato a scontare una pena.
Pertanto, secondo la Corte, la misura custodiale rappresenta una punizione
addizionale e la sua imposizione per fatti slegati dalla sua comminazione a tale
riguardo disobbedisce al dettato l’art. 7 CEDU, non essendo prevedibili dal reo le
conseguenze delle sue azioni devianti.
Evidenziare tale aspetto vale a dire opporsi alla previsione della sanzione in-
condizionata, sempre e comunque, della misura custodiale che, intesa in tal modo,
altro non è che una detenzione vera e propria mascherata da misura atta al gradua-
le reinserimento del condannato, nella piena contrapposizione al dettato normativo
comunitario.
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Esecuzione penale: esperienze comparative e regole internazionali
in debito conto il calcolo degli interessi, male applicando il calcolo dell’utilità con-
seguita dalla sicurezza dei consociati e dal rispetto dei diritti costituzionalmente
orientati e garantiti.
Con questa pronuncia la Corte Costituzionale Federale, pur esprimendosi in
senso sfavorevole all’applicazione retroattiva della misura custodiale non preclude,
come avrebbe fatto bene a fare, l’applicazione contestuale della misura custodiale
con la pena propriamente detta.
Il bilanciamento degli interessi, stando così le cose, ne risente profondamente
e vistosamente confligge con la ratio sottesa all’art. 7 della CEDU.
La misura custodiale trova la sua ragion d’essere solo nel fatto che essa è de-
terminata dalla necessità di comprimere i diritti costituzionalmente tutelati al fine
di consentire al soggetto di compiere un percorso di progresso ed affrancamento
dal proprio stato, grazie a sostegni terapeutici individualizzati.
Pertanto, acquisito il dato della possibilità di applicare la misura custodiale
solo in presenza di un particolare personalità del soggetto e dell’interesse alla si-
curezza dei consociati, questa non avrà ulteriormente ragion d’essere una volta che
l’internato sarà dichiarato “socialmente guarito”.
A sostegno di ciò la Corte tedesca ha trovato fondamento nella richiamata de-
cisione della Corte europea laddove questa aveva affermato la necessità di riferirsi a
un principio concreto di bilanciamento e di comparazione tra i beni oggetto di tutela.
La ragione dell’applicazione delle misure custodiali va, definitivamente, fatta
risiedere nell’unica eventualità costituzionalmente plausibile e, cioè, nel caso che
il soggetto presenti un disturbo psichico che ne faccia prognosticare la futura per-
petrazione di gravi delitti a scapito della società, ma ciò deve assolutamente essere
applicato solo in funzione della sua riabilitazione.
Qualora tale indefettibile requisito dovesse mancare o venir meno, la misura
in corso di applicazione risulterebbe incostituzionale, data la compressione per
motivi non plausibili di un bene di alto valore costituzionale come quello della
libertà personale.
Ciò posto è assolutamente evidente come siano davvero residuali i casi di
applicazione della misura di sicurezza attualmente in Germania, anche grazie alle
decisioni della sua Corte Costituzionale.
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
Viepiù, quello che salta agli occhi è la differenza tra le normative vigenti nei tre
Paesi europei vagliati e il nostro sistema nel quale la misura di sicurezza è destinata
anche a chi si renda colpevole di reati di minore spessore criminale.
Il nostro impianto normativo di basa più propriamente sulla frequenza nel
tempo e, ovviamente, sulla reiterazione del comportamento antigiuridico, e molte
volte prescinde dall’effettiva carica offensiva che le azioni recano con sé. La gravi-
tà non viene considerata elemento essenziale per l’applicazione di una misura di
sicurezza nel nostro ordinamento che, quindi, è troppo spesso destinata a persone
appartenenti alle fasce sociali degradate.
Ad avviso di chi scrive, il destino confacente alle misure di sicurezza è quello della
loro abrogazione, dal momento che nessun beneficio può essere tratto dalla loro per-
manenza nel nostro ordinamento giuridico. Auspicando che ciò avvenga anche per gli
altri Paesi europei data la viralità con cui certe worst practices espandono il loro raggio
di azione e a tale riguardo si auspica una più vigorosa posizione della CEDU.
Il loro totale fallimento ne è l’assoluta riprova. Inoltre, non si comprende come
siano ancora plausibili, particolarmente se intese in questo senso e nei confronti
degli ultimi anelli della catena sociale, considerato l’assoluto insuccesso della loro
efficacia dimostrato nel corso di decenni.
Non si ravvisa l’ulteriore necessità della loro permanenza nel nostro ordina-
mento giuridico, dato lo sviluppo sociale e democratico del nostro Paese che non
necessita affatto di creare sacche di contenimento delle persone emarginate. L’e-
marginazione deve essere sfidata con ben altri argomenti e affrontata con strumenti
degni di uno Stato civile.
Il lavoro, l’assistenza sociale, la frequenza, magari obbligatoria, di strutture ben
corredate da figure specialistiche potranno ampiamente sostituire la coercizione, l’an-
nientamento della personalità, la prostrazione e lo smembramento di interi nuclei fa-
miliari che sempre seguono alla comminazione di una misura di sicurezza detentiva.
Le misure di sicurezza detentive sono lo scenario della non normalità, la per-
manenza forzata in stabilimenti penali in cui il lavoro manca, l’essere condannati
a questa misura anche se non si è abili al lavoro stride con i principi della nostra
carta costituzionale e incrosta le esistenze umane in una stagnazione e in un impa-
ludamento della capacità di reagire a ciascuno stimolo di recupero.
L’odissea delle porte girevoli dell’ergastolo bianco può e deve essere interrotta
con un coraggioso gesto di umanità e di coscienza politica nella piena osservanza
della Costituzione della Repubblica Italiana.
Se la pena, che con il codice Rocco aveva solo carattere retributivo, e ospitava
al suo interno il sistema denominato del doppio binario, con l’avvento della Co-
stituzione ha mutato la sua finalità in quella rieducativa, all’esito della espiazione
della condanna si presupporrebbe che il consociato sia stato recuperato, o che nei
suoi riguardi si sia comunque svolto un programma trattamentale tale che ne abbia
mutato il profilo delinquenziale.
Se, viceversa, questo non è accaduto durante l’espiazione della pena detentiva,
come potrà avvenire durante la sottoposizione ad una misura di sicurezza?
Avvalorare tale eventualità equivarrebbe a dire che non vi è cura del soggetto
privato della libertà da parte dello Stato.
E come potrebbe mai darsi che questa cura, fino ad ora inesistente o insuffi-
ciente o inadeguata possa essere di pronta fruizione durante l’internamento che si
presuppone essere di durata relativamente breve?
80
Esecuzione penale: esperienze comparative e regole internazionali
La risposta a tale domanda è che ciò non potrà mai essere attuato secondo i
termini in cui attualmente alla misura si da corso, non secondariamente per motivi
di carattere economico, non essendo disponibili risorse umane che seguano da
presso il percorso individuale dell’internato e non essendovi un trade d’union tra
chi assiste il detenuto durante la misura (assistenti dell’area trattamentale e dell’UE-
PE) con gli assistenti sociali che, operando nei territori dove l’internato fa ritorno
una volta dichiarata scemata la sua pericolosità sociale, non portano avanti l’opera
di chi ha, seppure con mezzi scarsissimi, lavorato per il recupero del soggetto in-
ternato.
Nel nostro Paese questo avviene in maniera molto più marcata che nel resto
d’Europa e in questo modo vengono messi in disparte concetti fondamentali delle
democrazie europee, come l’idea che la pena deve mirare al reinserimento sociale
del reo; per non parlare del fatto che si finirebbe per infliggere condanne sulla base
di reati potenziali: è assai dubbio che si tratti di norme coerenti con le Carte Co-
stituzionali delle singole nazioni e degli stessi principi europei. Ma di questi tempi
– si sa – si bada più alla sostanza che alla forma, e se una legge è anticostituzio-
nale la si approva lo stesso, magari sotto forma di decreto, in modo da cominciare
subito ad applicarla, prima che intervengano gli eventuali ricorsi.
Oggi è indifferibile una netta volontà politica che sia scevra di condizionamen-
ti elettorali, e che si imponga con forza nell’ottica della certezza che il carcere non
crea maggiore sicurezza per la società ma è un inesauribile serbatoio di criminalità,
fatto di cui la collettività deve opportunamente essere informata senza timore di
impopolarità.
81
9. OPERATORI PENITENZIARI E FORMAZIONE
Gabriele Terranova
83
GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
84
Operatori penitenziari e formazione
dagine penale, nonché il §60.2 delle Regole Minime per il trattamento dei detenuti
dell’ONU, che vieta di affidare alla Polizia il controllo sulla probation).
Nei contributi dei componenti del tavolo, è stato poi giustamente rimarcato
che l’auspicio di un rilevante rafforzamento del sistema dell’esecuzione penale
esterna costituisce oggetto di precise linee di indirizzo del Consiglio d’Europa.
Per prima la Raccomandazione (92)16 alla regola 22 afferma: «Per fare in modo
che le sanzioni e le misure applicate nella comunità siano delle alternative credibili
alle pene detentive di breve durata, è opportuno assicurare una loro efficiente ap-
plicazione, in particolare: realizzando l’infrastruttura richiesta per l’esecuzione e il
controllo di queste sanzioni comunitarie, in particolare al fine di dare assicurazioni
ai giudici e ai procuratori sulla loro efficacia: e mettendo a punto e applicando
tecniche affidabili di previsione e di valutazione dei rischi nonché strategie di su-
pervisione, al fine di identificare il rischio di recidiva del delinquente e garantire la
protezione e la sicurezza del pubblico».
Successivamente, la Raccomandazione (2010)1 del Consiglio d’Europa in ma-
teria di probation ha ribadito ed introdotto alcuni principi molto importanti. La
regola 10, in particolare, ricorda che «i servizi di probation beneficiano di uno
status e di un riconoscimento adeguato alla loro mission e sono dotati di risorse
sufficienti». Più precisamente, in materia di organizzazione e personale alla regola
18 si precisa che «la struttura, lo status e le risorse dei servizi di probation devono
corrispondere al volume dei compiti e delle responsabilità che ad essi sono affidati
e devono riflettere l’importanza del servizio pubblico che assicurano».
Alla regola 21 si aggiunge che «i servizi di probation devono agire in maniera
tale da guadagnare la credibilità degli altri organi di giustizia e della società ci-
vile per lo status ed il lavoro svolto dal loro personale. Le autorità competenti si
sforzano di agevolare il raggiungimento di tale scopo, fornendo risorse adeguate,
facendo in modo che il personale sia selezionato e assunto in maniera mirata,
correttamente remunerato e posto sotto l’autorità di una direzione competente«.
Ancora più esplicita risulta la regola 33 che prescrive: «La remunerazione, i
benefici sociali e le condizioni di impiego del personale devono essere in rapporto
con lo status della professione e devono corrispondere alla natura gravosa del la-
voro, per permettere di assumere e conservare in servizio il personale competente»
(estratto dall’elaborato della Dott.ssa Silvana Mordeglia).
85
GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
86
10. TRATTAMENTO. OSTACOLI NORMATIVI
ALLA INDIVIDUALIZZAZIONE DEL TRATTAMENTO
RIEDUCATIVO
Riccardo Polidoro
87
GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
mente, non solo proposte normative, ma anche veri e propri articolati che potesse-
ro essere una concreta fonte per le necessarie e dovute riforme nella materia che
ci era stata assegnata.
Devo, pertanto, ringraziare tutti i miei compagni di viaggio che, motivati da
quella passione civile che è il vero ed unico motore che giustifica tanto impegno,
hanno condiviso intensi momenti di confronto per un risultato finale che ritengo
– ove vi sia effettivamente la volontà politica – possa contribuire ad eliminare o
comunque ad attenuare gli effetti di norme indegne di un Paese civile.
Nell’invitare il lettore a consultare la relazione finale del Tavolo, reperibile, uni-
tamente alle altre, sul sito del Ministero della Giustizia, propongo parti della stessa
al fine di far immediatamente comprendere l’attività svolta e le proposte avanzate.
I lavori hanno preso avvio dallo studio attento del pensiero di quanti, nelle
commissioni di studio (in modo particolare le Commissioni “Giostra” e “Palazzo”,
oltre alla “Commissione Mista” istituita dal C.S.M.) e nel dibattito dottrinale cristal-
lizzatosi nel “Working Paper”, voluto da Glauco Giostra, hanno offerto un contribu-
to di idee e di proposte riformatrici della disciplina penitenziaria.
Muovendo da tali solide fondamenta dogmatiche l’impegno del Tavolo ha svi-
luppato una proposta organica di riforma dell’ attuale disciplina del c.d. “dop-
pio binario” penitenziario e della collaborazione con la giustizia, contenuta negli
artt. 4-bis e 58-ter della legge di Ordinamento Penitenziario. Da qui, l’analisi ha
toccato i temi del c.d. “ergastolo ostativo”, della liberazione anticipata, dell’isola-
mento detentivo, dei permessi, delle preclusioni normative all’accesso ai benefici
penitenziari stratificatesi nelle disposizioni della legge n. 354/75, per aprirsi, infine,
a più ampie prospettive di revisione costituzionale, in materia di indulto e “amnistia
impropria”. Pur nell’attento e doveroso rispetto delle competenze assegnate dalla
delega ministeriale ai lavori del Tavolo, non è, infine, mancato un riferimento alle
possibili direttrici di una rivisitazione della disciplina inerente al regime detentivo
speciale (il c.d. “carcere duro”) racchiusa nella disposizione dell’art. 41-bis dell’Or-
dinamento Penitenziario.
Sul piano dell’apertura all’esterno e del dialogo con l’opinione pubblica sulle
tematiche affrontate dai lavori, è stato condiviso il progetto dell’ “Osservatorio Car-
cere” dell’Unione Camere Penali italiane, inteso a sensibilizzare i cittadini sull’im-
portanza del trattamento rieducativo delle persone detenute e sulla stessa riforma
voluta dal Ministro della Giustizia, che negli Stati Generali trova un passaggio fon-
damentale del suo progressivo inverarsi.
È stata, altresì, assicurata la partecipazione di componenti del Tavolo ad alcuni
momenti salienti di confronto con realtà europee simili alla nostra (visita ad alcuni
istituti penitenziari spagnoli), con la società civile e le istituzioni, attraverso conve-
gni e incontri che hanno contribuito a far maturare in una platea più ampia di quel-
la degli “addetti ai lavori” la coscienza della necessità di una profonda revisione del
nostro sistema di esecuzione penitenziaria accrescendo il consenso sugli obiettivi
posti dal Ministro della Giustizia ai lavori degli Stati Generali, i cui risultati, nella
loro concreta attuazione, dipenderanno in molta parte dal grado di condivisione
che sugli stessi sarà possibile raggiungere.
Nella prospettiva del superamento degli ostacoli normativi alla piena attuazio-
ne del trattamento rieducativo individualizzato, il Tavolo ha elaborato una proposta
per ri-orientare secondo Costituzione l’attuale regime ostativo alla concessione dei
benefici penitenziari e delle misure alternative alla detenzione.
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Trattamento. Ostacoli normativi alla individualizzazione del trattamento rieducativo
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
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Trattamento. Ostacoli normativi alla individualizzazione del trattamento rieducativo
norme penali di favore: categoria nella quale rientra anche la previsione normativa
di una causa di estinzione della pena (sentenza n. 394/2006).
Ferma restando una riserva di legge rinforzata in materia, la relativa iniziativa
legislativa andrebbe imputata al solo Governo (trattandosi di strumenti di politica
attiva e risolvendo così, alla radice, il problema dell’ambito temporale di efficacia
dell’atto di clemenza), conservando nell’orbita della riserva d’assemblea l’intera
sua discussione ed eventuale approvazione (nella logica della clemenza collettiva
quale prerogativa politica del Parlamento da esercitarsi sotto il massimo controllo
pubblico possibile).
È altresì necessario che il ricorso allo strumento legislativo della clemenza
collettiva sia subordinato alla sussistenza di presupposti («situazioni straordinarie
o ragioni eccezionali»), rimessi alla valutazione del Legislatore ma la cui ricorrenza
sia debitamente motivata mediante un apposito preambolo alla legge. In questo
modo il contenuto materiale dell’atto normativo di clemenza (la selezione dei reati
inclusi nel provvedimento, l’arco temporale di operatività della clemenza, le sue
eventuali condizioni d’efficacia) sarebbe costretto entro una trama unitaria obbli-
gatoriamente coerente con i presupposti, le motivazioni in preambolo ed il vincolo
costituzionale di scopo (individuabile – come già detto – nel fondamento e nei
limiti dell’intervento punitivo dello Stato).
Così tratteggiato, il rinnovato assetto costituzionale renderebbe realistico un
controllo di legittimità sugli atti di clemenza collettiva, sia ex ante (ad opera del
Capo dello Stato in sede di promulgazione della relativa legge), sia ex post (ad ope-
ra della Corte costituzionale, in sede di sindacato incidentale delle leggi di amnistia
e indulto), attraverso la verifica dell’esistenza di un nesso di coerenza interno al
percorso legislativo che approda a misure di clemenza collettiva.
È necessario, infine, ridimensionare i quorum richiesti per l’approvazione del-
le leggi di amnistia e indulto: ad esempio prevedendo la maggioranza assoluta nel-
la sola votazione finale, oppure anche per ogni singolo articolo della legge. Nella
logica della clemenza generale quale strumento di politica attiva, è preferibile la
prima soluzione che – pur mantenendo la necessità di un consenso comunque qua-
lificato – chiama in causa la responsabilità politica della maggioranza parlamentare
ed ha, inoltre, il pregio di eliminare i complicati problemi derivanti dall’applicazio-
ne alle votazioni intermedie di un quorum qualificato se richiesto per ogni singolo
articolo di legge.
Si è ritenuto opportuno intervenire, sia pure senza la produzione di un arti-
colato in quanto l’argomento era oggetto del lavoro di un altro Tavolo, anche sulla
disciplina del regime detentivo speciale contenuta nell’art. 41-bis, Ordinamento
Penitenziario. Si è osservato che la rubrica dell’articolo “Situazioni di Emergen-
za”, rende evidente che la norma dovrebbe trovare applicazione esclusivamente in
tali eccezionali occasioni. Il concetto di eccezionalità è ben sviluppato nel testo:
al comma 1, si legge «In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di
emergenza …», al comma 2: «Quando ricorrano gravi motivi di ordine pubblico
e di sicurezza pubblica…». Il comma 2, introdotto dal d.l. 8 giugno 1992, n.306,
convertito dalla l. 7 agosto 1992, n.356, fu giustificato dalla eccezionale emergenza
originata dalla strage di Capaci del 23 maggio 1992. Il “41-bis” nasce, quindi, come
istituto eccezionale e provvisorio, con una scadenza temporale fissata alla data
dell’8 agosto 1995. Sarà poi prorogato fino al 31 dicembre 2002, per divenire, con
la legge n.279/2002, un istituto definitivamente stabilizzato.
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
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Trattamento. Ostacoli normativi alla individualizzazione del trattamento rieducativo
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11. PROCESSO DI REINSERIMENTO E PRESA IN CARICO
TERRITORIALE
Renato Vigna
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
crementare la loro conoscenza del mercato del lavoro con il coinvolgimento dell’U-
niversità (vedi infra).
- Percorsi di formazione congiunta di tutti gli attori della rete dell’esecuzione pe-
nale
- Linee di indirizzo per l’attivazione di master di I e II livello per dirigenti degli
UEPE.
- Linee di indirizzo per la predisposizione di corsi di formazione continua da ac-
creditare presso il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali e dai
rispettivi Ordini regionali a cui possano partecipare gli operatori UEPE e gli altri
operatori sociali.
Obiettivo 6: Ricognizione delle disponibilità del terzo settore e del privato so-
ciale all’accoglienza delle persone in misura alternative o a fine pena
- Predisposizione in collaborazione con la rete delle Camere di commercio di un
progetto di ricerca nazionale sulla disponibilità a collaborare con l’amministra-
zione penitenziaria da parte dei soggetti economici sul modello della ricerca/
azione svolta in occasione della costruzione del carcere di Bolzano
- Piano di raccolta dati a livello nazionale sulle disponibilità di accoglienza attra-
verso le reti delle cooperative, delle associazioni del privato sociale e del terzo
settore
- Predisposizione di una campagna informativa per gli operatori economici in
merito alle condizioni e alle facilitazioni sulle attività produttive negli istituti
penitenziari.
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Processo di reinserimento e presa in carico territoriale
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
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Processo di reinserimento e presa in carico territoriale
Per come già anticipato, tra i più significativi esempi di risultati ottenuti at-
traverso la politica di collaborazione tra amministrazione penitenziaria e terzi im-
prenditori vi è quello che è stato sperimentato dalla Provincia di Bolzano, la quale
(primo caso nella storia della nostra repubblica) ha realizzato un penitenziario in
partnership con un privato. Si tratta di un opera che dispone di 220 posti (nella
quale tuttavia risultano allocati solo 87 detenuti), di vetrate per il sole, di ampi
spazi di socialità e di uno stadio; dunque a Bolzano è stata realizzata una struttu-
ra che risulta addirittura sovra-dimensionata rispetto alle esigenze dello specifico
territorio.
Di questo carcere purtroppo se ne è parlato e se ne continua a parlare poco,
pur essendo questa la prima Casa Circondariale italiana realizzata con il sistema del
partenariato pubblico-privato (Ppp), ovvero di un sistema in cui il pubblico impo-
sta e detta linee guida ed obiettivi, ed il privato si occupa di eseguirle.
Da ciò, però si può agevolmente comprendere che semmai esistesse un ade-
guata forma di collaborazione tra Enti Pubblici e Camere di Commercio Italiane e
se queste specifiche istituzioni iniziassero finalmente a dialogare con costruttiva
proficuità con i vari esperti in materia di ordinamento penitenziario e soprattutto
con coloro che assiduamente e con amorevole competenza praticano da esperti gli
istituti di pena, si potrebbe ottenere (esattamente per come già accaduto a Bolza-
no) che al privato venga assegnata non solo la fase della c.d. costruzione di nuove
strutture, ma che lo stesso si vada ad occupare anche della gestione di diversi tra
i c.d. servizi essenziali. Ovviamente è inutile precisare in questa sede che giammai
potrebbero mai essere assegnati ad un privato quelli inerenti la sicurezza, che do-
vrebbero rimanere in capo al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e
tantomeno quelli sanitari, che come per legge rimarrebbero affidati alle Asp.
In ogni caso, e sempre prendendo spunto dal perfettamente riuscito espe-
rimento di Bolzano, si potrebbe studiare e progettare un modello di carcere più
moderno che tale dovrebbe risultare, non sotto il profilo estetico ma piuttosto sul
piano che i servizi disponibili assumerebbero in chiave giuridico-sociale, e su quel-
lo tecnico – economico – finanziario.
A questo scopo toccherebbe ovviamente ampliare le responsabilità del privato
che oltre a dover risultare una figura imprenditoriale più che affidabile, rimarrebbe
soprattutto in quanto questo tipo di operazioni inevitabilmente sottoposto a vincoli
di segretezza in quanto collegato a piani di sicurezza strategica.
Esistono già degli articolati studi sullo specifico argomento, proiettati ad ot-
tenere risultati sia in chiave di umanizzazione del detenuto (controllato) e delle
guardie penitenziarie (controllanti), che in chiave di realizzazione di tutti gli spazi
utili ai fini della socialità e dell’interazione con il mondo esterno.
Sicchè, potremmo affermare che proprio da questi studi ne è derivato che per
ottenere il reinserimento sociale dei detenuti, occorre coinvolgere quanto più pos-
sibile i detenuti stessi, incoraggiando il loro inserimento nelle cooperative sociali,
soprattutto in quelle già presenti sul territorio nel quale si trova allocato il carcere
che li ospita.
In altre parole se è vero che bisogna fare di tutto perché l’esperimento ri-
uscitissimo di Bolzano non rimanga il primo ed ultimo caso di “carcere italiano
costruito dai privati, occorre voltare decisamente pagina, pur mantenendo fede
al principio della impossibilità di affidare al privato servizi inerenti la sicurezza, e
rammentando che tra le esperienze internazionali più devastanti vi è quella degli
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
Stati Uniti, dove essendo stato creato anche su questo fronte un vero e proprio
business oggi in nome del necessario profitto non è più ammissibile alcuna dimi-
nuzione del numero dei detenuti.
Gli italiani esperti del settore per fortuna, su questo versante hanno altri sproni
e coltivano progetti specifici tra i quali (uno per tutti) piace ricordare l’iniziativa
dell’osservatorio nazionale Carcere dell’UCPI (Unione Camere Penali Italiane) la
quale, già da tempo promuove una politica finalizzata allo svuotamento delle strut-
ture penitenziarie fondata anche sullo slogan “PIÙ braccialetti MENO Carcere”.
Da quanto precede ne deriva l’esistenza di un vero e proprio piano di raccolta
dati a livello nazionale sulle disponibilità di accoglienza attraverso le reti delle co-
operative, delle associazioni del privato sociale e del terzo settore.
Lo scopo è quello di individuare la mossa politica più proficua che consenta
allo stato di continuare a garantire la sicurezza sociale e di ridurre il rischio di
condotte recidivanti, e che nel contempo determini un radicale rinnovamento dei
sistemi di rieducazione e di reinserimento dei condannati a pena detentiva.
Come anzidetto, si potrebbero ad esempio creare dei piani di raccolta dati a
livello nazionale per consentire la conoscenza in tempo reale e magari grazie alla
rete, di quelle che risultano le disponibilità all’accoglienza ed al reinserimento so-
ciale dei detenuti, delle persone in esecuzione penale esterna e/o degli ex detenuti,
da attuarsi mediante l’inclusione lavorativa presso cooperative, private associazioni
e presso il c.d. terzo settore.
A questo proposito potrebbe istituirsi un apposita struttura presso ognuna
delle regioni italiane, affidandone il coordinamento all’Ufficio del Garante Regio-
nale per i diritti dei detenuti (ovviamente implorando le Regioni che ancora non
lo avessero fatto di designarne uno e di dotarlo delle specifiche funzioni previste
dalla vigente normativa) e la vigilanza sugli atti compiuti ai preposti Uffici regionali
del DAP.
Su questa banca dati andrebbero a confluire tutte le attestazioni di disponi-
bilità prestate dalle suddette cooperative, associazioni private ed organizzazioni
c.d. del terzo settore, delle quali ai fini della applicazione di determinati benefici
dovrebbe tenere conto caso per caso ogni singolo UEPE come anche ogni singolo
Tribunale o singolo Magistrato di Sorveglianza.
Proprio a tal proposito non va dimenticato che sia la Legge n.354 del 26 luglio
1975 che introdusse le c.d. “Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzio-
ne delle misure privative e limitative della libertà”, che le ulteriori e varie norme
attuative dell’articolo 27 della Costituzione italiana, devono essere costantemente
applicabili in regime di opportuna combinazione sia con le regole penitenziarie
approvate in campo europeo nel gennaio 2006 che con ogni altra norma derivante
dal diritto internazionale.
Ciò, pertanto rende tutt’altro che facile l’effettivo godimento dei diritti umani
da parte di tutti i soggetti che si trovino in stato di detenzione.
Dunque, nel chiaro intento di mantenersi rispettosi di questo complesso di
regole bisognerebbe preoccuparsi di adottare, in costante collaborazione con l’am-
ministrazione penitenziaria, tutte le misure aventi carattere sanitario, sociale e isti-
tuzionale previste dalla normative nazionali e da quelle europee.
In altre parole occorrerebbe istituire un sistema integrato di interventi in cui
enti territoriali, istituzioni dello Stato, aziende sanitarie, organismi del terzo settore,
del mondo dell’associazionismo e del volontariato concorrano tutti al perseguimen-
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Processo di reinserimento e presa in carico territoriale
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12. ORGANIZZAZIONE E AMMINISTRAZIONE
DELL’ESECUZIONE PENALE
Franco Villa
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
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Organizzazione e amministrazione dell’esecuzione penale
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GLI STATI GENERALI DELL’ESECUZIONE PENALE
centro penitenziario delle strutture dedicate per queste categorie di detenuti, come
peraltro previsto anche dal nostro ordinamento dagli artt. 95 e 96 DPR 309/90,
disposizioni rimaste in larga parte inattuate. Coloro che sono inseriti nel secondo
e terzo grado, trascorrono l’intera giornata fuori dalle celle (che ospitano uno, mas-
simo due detenuti) nelle quali fanno rientro soltanto per dormire. All’esterno della
cella pongono in essere le attività previste dal programma di trattamento e quindi
principalmente il lavoro, lo studio, le attività ricreative e quelle sportive. Durante
il giorno le celle sono chiuse, salvo per un’ora e mezza dopo il pranzo, ed i pasti
devono essere necessariamente consumati nella sala mensa. Contrariamente rispet-
to a quanto succede nelle nostre carceri si è compreso dunque che l’incremento
della socializzazione tra i detenuti è direttamente proporzionale alla sicurezza e al
rispetto delle regole di convivenza tra detenuti e tra questi e il personale di vigilan-
za. Tanto che all’interno delle carceri spagnole la sicurezza è garantita da personale
civile disarmato e solo lungo il perimetro della struttura vi è un controllo di polizia.
Particolarmente sentito è il tema dell’affettività e nell’ambito della struttura
penitenziaria vi sono delle stanze adibite agli incontri intimi (visitas ìntimas). Du-
rante tali incontri i detenuti possono avere rapporti sessuali con il proprio coniuge
o convivente, senza alcun controllo da parte del personale di vigilanza, due volte al
mese e per la durata di un’ora e mezza. Tali visite si aggiungono a quelle familiari
e di convivenza per le quali sono previste strutture che consentono alla persona
ristretta di relazionarsi con la famiglia ed in particolare con i figli minori in stanze
all’uopo arredate e non nelle sale colloqui.
Le strutture penitenziarie visitate sono organizzate in moduli, particolarmente
funzionali da un punto di vista architettonico e in ottimo stato di manutenzione.
A tal proposito particolarmente interessante da un punto di vista giuridico è il
sistema utilizzato dalla Comunità Autonoma Catalana per realizzare il centro peni-
tenziario Lledoners visitato dalla delegazione italiana. Infatti la Comunità ha ceduto
ad una società privata il terreno sul quale quest’ultima ha realizzato la struttura e,
a fronte di tale impegno finanziario e della manutenzione ordinaria e straordinaria
del carcere, l’Ente deve corrispondere un canone mensile per trent’anni, decorsi i
quali il penitenziario ritorna di proprietà pubblica.
Per quello che maggiormente riguarda il perimetro tematico del nostro tavolo,
è importante sottolineare come la Secretarìa General de Instituciones Penitenciaria
(l’equivalente del nostro Dap) dipenda dal Ministero degli Interni, così come dallo
stesso ministero dipende, per il tramite della Secretarìa General, l’Organismo Auto-
nomo de Trabajo Penitenziario y Formaciòn para el Empleo (TPFE). Quest’ultimo è
un ente statale di diritto pubblico che ha il compito di formare, dare occupazione
e reinserire coloro che hanno avuto una esperienza detentiva. Analoga organiz-
zazione denominata Cire è stata istituita in Catalogna la cui sede è stata visitata
dalla delegazione grazie all’ospitalità della direttrice Paola Sancho Carles. Credo sia
importante sottolineare che in quella occasione si è appreso dalla direttrice che il
Cire sostanzialmente si autofinanzia mediante la vendita del lavoro alle imprese o
direttamente attraverso la vendita dei prodotti ai privati, posto che lo stato eroga
finanziamenti soltanto per un 10% del bilancio.
La scelta di creare un ente autonomo che si occupa del lavoro dei detenuti
trova un fondamento normativo nell’art. 26 delle legge penitenziaria spagnola che
individua nel lavoro l’elemento fondamentale del trattamento. L’efficacia di tale
soluzione organizzativa è dimostrata dai numeri, posto che nel 2014 i detenuti che
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Organizzazione e amministrazione dell’esecuzione penale
hanno lavorato all’interno dei centri di detenzione spagnoli sono stati 12.436, sen-
za contare coloro che hanno lavorato all’esterno. Peraltro diversamente che nelle
nostre strutture detentive le cucine sono gestite totalmente dai detenuti con un
risparmio notevole dell’amministrazione.
Il TPFE e il Cire collaborando con le associazioni di imprenditori, sindacati e
camere di commercio hanno creato una connessione tra il mondo dell’impresa e
quello penitenziario. A questo deve aggiungersi la creazione di un ufficio di collo-
camento specifico per detenuti al fine di rendere effettivo il reinserimento di coloro
che hanno già espiato la pena.
Ma qual è la convenienza delle aziende nell’impiegare personale detenuto?
Innanzitutto i suddetti enti consentono alle aziende di utilizzare per lo svolgimento
dell’attività produttiva degli spazi appositamente realizzati all’interno del carcere,
con notevole risparmio in termini di canoni di locazione dei capannoni da parte
degli imprenditori. In secondo luogo, nella maggior parte dei casi è lo stesso ente
che retribuisce i lavoratori ristretti e questo determina che l’imprenditore non deve
preoccuparsi di questioni attinenti ai contributi e agli ulteriori oneri previdenziali.
Il terzo e decisivo motivo riguarda il costo del lavoro il quale è decisamente com-
petitivo posto che la retribuzione del lavoratore ristretto è parametrata al salario
minimo interprofessionale pari a circa 3 euro all’ora, decurtato del 20%. Tale retri-
buzione base nella maggior parte dei casi viene integrata dai premi di produzione
che vengono erogati in funzione del numero di prezzi prodotti, per cui normal-
mente si ha una retribuzione a cottimo, con una retribuzione media che oscilla tra
i 450 e i 500 euro mensili.
Come ho detto prima anche la formazione del personale detenuto è appannag-
gio del TPFE e del Cire e anche in questo campo i risultati sono particolarmente
significativi. Ad esempio a fronte di una popolazione carceraria della Catalogna di
circa 9.000 unità il Cire ha formato 3.852 detenuti nel 2014. Da tale dato si evince
che, oltre alla scolarizzazione base che coinvolge soprattutto la popolazione carce-
raria extracomunitaria, vi sono stati importanti investimenti in formazione profes-
sionale finalizzata all’impiego delle persone ristrette all’interno del carcere ovvero
al reinserimento di coloro che hanno già espiato la pena.
In conclusione appare evidente come nel sistema spagnolo vi sia una maggio-
re effettività dell’aspetto della rieducazione della pena previsto dall’art. 25 comma
2 della loro Costituzione (l’omologo del nostro art. 27) e che tale finalità venga per-
seguita essenzialmente attraverso il lavoro che in Catalogna occupa addirittura il 50
per cento dei detenuti a fronte del nostro misero 4%. Il successo di tale impostazio-
ne è evidenziato dal tasso di recidiva che è di poco superiore al 30%. Tale effettività
riguarda anche la pena perché non sono previsti meccanismi analoghi rispetto alla
nostra liberazione anticipata né misura alternative per coloro che devono espiare
pene superiori ai due anni di reclusione, salvo la liberazione condizionale che co-
stituisce il quarto livello.
Ovviamente vi sono degli ambiti dell’esecuzione della pena dove la legisla-
zione italiana è notevolmente più evoluta. Mi riferisco in particolare alla assoluta
indifferenza della legislazione spagnola rispetto alla tematica dei bambini in car-
cere. … vero infatti che esistono delle unidades de madre che sono delle strutture
dedicate alle madri con i loro bambini (una delle quali è stata visitata dalla nostra
delegazione), ma le madri detenute possono accedere a tali strutture solo se ven-
gono inserite nel tercer grado. In caso contrario possono scegliere se tenere il
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Organizzazione e amministrazione dell’esecuzione penale
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Finito di stampare anno 2016
presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore Srl.
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