Con il wireless la comunicazione radiofonica e televisiva permette di collocare apparecchi all’interno delle
case, l’individuo non deve più recarsi al di fuori di casa per reperire la notizia, di recarsi nello spazio
pubblico. La televisione e la radio entrano nella quotidianità, non hanno bisogno di tempo dedicate ad esse
e basta. Questo porta a delle conseguenze molto serie: pagando per qualcosa (biglietto del cinema) mi
aspetto uno spettacolo importante, che ripaghi il mio tempo e denari spesi, intrattenendomi, divertendomi
o insegnandomi qualcosa. Dalla radio e dalla televisione invece ci si aspetta “compagnia”, un fondale
colorato alla vita di ogni giorno. Questo a sua volta porta a dei programmi continui che siano in grado di
intrattenere gli spettatori, e di essere riconoscibili. La riconoscibilità è aiutata, oltre ai programmi trasmessi
dal canale, anche dagli elementi paratestuali: marchi delle trasmissioni ad angolo, le scritte che scorrono
alla base, ecc... Questi elementi paratestuali, insieme alla programmazione (o palinsesto), dei canali
televisivi creano un’identità tra le tante, ormai, disponibili. Il palinsesto indica oggi la faticosa ricerca di
un’identità di rete, e di una tipologia di rapporto con il proprio pubblico, attraverso un’offerta coordinata di
prodotti audiovisivi.
Nel concetto di palinsesto troviamo due punti fondamentali: ars combinatoria, ovvero la magia
dell’assemblaggio che rende un’identità di rete più efficiente di un’altra, e in secondo luogo la forma
culturale con cui un determinato contenuto creativo viene organizzato dentro il palinsesto (perché anche
questo crea identità). L’attività di creazione nei media audiovisivi è sempre una rivisitazione, e
consequenziale rielaborazione, delle grandi, e piccole, narrative del passato: possiamo vedere il processo di
creazione come un dialogo, una relazione, tra spettatore e “autore” dove avviene uno scambio di idee e
spunti per la creatività, processo che può essere chiamato data mining (perché effettivamente è come se si
stessero “minando” delle idee, riscoprendo).
Logico pensare che l’attività del data mining sia qualcosa di nuovo e che questa novità ha portato a una
modifica alla figura dell’autore per come lo conosciamo. Oggi si pratica il benchmarking, ovvero un’analisi
sistemica dei palinsesti altrui, italiani e non, alla ricerca di soluzioni di successo da imitare, non esiste più la
figura del singolo autore che crea l’opera televisiva, oggi si va a format, si comprano delle idee già “fatte e
confezionate” che hanno avuto successo su altre emittenti, si modificano i connotati del format per
renderlo in linea con l’identità del canale e si spera che facendo così il successo sia assicurato, o meglio che
i rischi siamo limitati. Oggi l’autore deve essere una figura polivalente, duttile, capace di stare in mezzo agli
altri senza eccessivi protagonismi e litigiosità, praticando la coopetition.
L’autore, o il gruppo di realizzatori, non lavora sotto una campana di vetro: ma è figlio del suo tempo, in cui
assorbe cultura e forme espressive, lo stesso racconto o la stessa saga varia in funzione dell’epoca in cui è
stata realizzata. Inoltre, ogni serata ha una storia (e uno svolgimento) a sé. Queste differenze che si creano
sono prodotte da una serie di caratteristiche sociali dello spettacolo, e del pubblico che vi assisterà, con le
proprie aspettative e idee, oltre alla personalità del regista e alle scelte tecniche “obbligate”: indagare tutto
ciò significa mettere sotto la lente di ingrandimento queste <<caratteristiche proprie>>, il che permette di
farsi un’idea della forma culturale. Prestare bene attenzione che la forma culturale inizialmente non c’era, i
media si sono dovuti affermare e la forma culturale con loro, basta vedere la storia dei diversi media per
comprendere come siamo arrivati ad interpretare i linguaggi come vere e proprie forme culturali: il cinema
mostra un treno, la radio riproduce un concerto, la televisione sperimenta la sua espressività trasmettendo
i Giochi olimpici di Berlino. Solo dopo aver dato prova della loro efficace i media cercano di essere meno
dipendenti da eventi esterni e creano l’evento al loro interno, e quindi arriva il linguaggio proprio.
Linguaggio proprio che porta ad una maturazione dei media dove il film prendere le distanze dall’evento
che racconta, lo interpreta e non lo riproduce passivamente, la radio deve trovare il suo posto e lo troverà
con la simultaneità, smettendo di essere solamente un grammofono ma diventando un medium
conversazione e passando questa caratteristica alla televisione.
In un tempo, relativamente, breve di storia (radio novanta circa, e televisione ottanta) i due media hanno
costituito un’imponente biblioteca potenziale, solo potenziale perché difficili da reperire a causa della
deperibilità e volatilità delle emissione radiotelevisive. Radio e TV hanno disperso gran parte del loro
materiale, le emittenti private hanno sempre resistito a obblighi di conservazione permanente, troppo
dispendiosi in vincoli di costo e spazio. Questi atteggiamenti hanno portato a un complesso di inferiorità del
racconto per immagini rispetto alla letteratura scritta e stampata, solo successivamente i repertori hanno
avuto una valorizzazione economica. Oggi in televisione non si butta via nulla, si riciclano e si riutilizzano i
fuori onda e le riprese venute male, gli errori, i conduttori che si impappinano, tanto da farle diventare un
vero e proprio intrattenimento (Una Pezza di Lundini).
Così si crea un gioco di specchi in cui la tv vede sé stessa, il che rappresenta uno degli aspetti senili
(relativo alla vecchiaia) della forma culturale televisiva.
II. Comunicare
La radio e la televisione sono dei <<media>>: apparati di rilevante importanza sociale che servono a
comunicare, e che si servono di dispositivi e strumenti tecnici. Per comunicazione si intende ogni scambio
di messaggi, dotati di significato, tra individui, o gruppi di individui, che condividono un codice per
interpretarli. Esistono diversi tipi di conversazioni, la più diffusa ed elementare forma di comunicazione è
quella interpersonale <<faccia a faccia>> e che si definisce <<punto a punto>> perché va da un singolo
emittente a un unico destinatario. Solitamente nella comunicazione <<punto a punto>> emittente e
ricevente, di volta in volta, si scambiano: quando il ricevente ha la possibilità di rispondere ed interagire a
sua volta con l’emittente si parla di comunicazione interattiva. La comunicazione <<punto a punto>> è quasi
sempre a distanza, in questi casi lo strumento tecnico è determinante. Ci sono due tipi di strumenti:
<<sincroni>>, che rendono possibile una conversazione in tempo reale (telefono), e <<asincroni>> che non
hanno una conversazione in tempo reale ma necessitano tempo per il passaggio del messaggio tra
emittente e destinatario (posta). La comunicazione di massa è invece una forma di comunicazione <<uno a
molti>> o da <<molti a molti>>, solitamente caratterizzata da una differenza di potere tra chi parla e chi
ascolta, in particolar modo la <<uno a molti>> viene anche definita <<unidirezionale>> appunto perché
molte volte chi riceve il messaggio non ha, o aveva, la possibilità di rispondere a sua volta (non interattiva).
La sviluppo delle forme di comunicazione, fino ad arrivare alla comunicazione evoluta, permette che si
superino i problemi della vicinanza fisica dei comunicanti, utilizzando un’applicazione tecnologica che
riproduce e/o trasporta a distanza il messaggio. I strumenti di produzione sono i <<mezzi>>, i media; ma i
media da soli non bastano: è necessaria una rete di trasporto.
L’invenzione della scrittura può essere vista come la prima forma di industrializzazione della comunicazione,
superando i limiti della comunicazione orale. Godendo di una grande affidabilità la scrittura è un insieme
organizzato di segni attraverso i quali è possibile esprime ogni azione, pensiero, sentimento, emozione,
privati e pubblici, reali o immaginari. Con la scrittura il modo di esprimersi con le parole cambierà: il
pensiero orale sarà affiancato da una parola scritta logica, razionale, formale, che sarà considerata più
impegnativa e importante. Può essere vista come una forma di <<ingegnerizzazione del pensiero>>, che
permette di archiviare, trasportare, modificare, correggere i nostri pensieri e aiutare la nostra memoria a
mantenere dati, calcoli, formule e quantità.
Fino a pochi decenni fa, la conoscenza della scrittura era un fatto raro e riservato ai detentori del potere, la
comunicazione di massa rivolta al vasto pubblico assumeva spesso forme diverse dalla comunicazione
scritta.
Walter Benjamin introdusse negli anni Trenta il concetto di riproducibilità della tecnica: riproduzione,
grazie all’ausilio di mezzi tecnici, copie identiche di opere d’arte, o più in generale, di frutti dell’ingegno;
l’invenzione della stampa ha rappresentato un grande sviluppo della riproducibilità tecnica. Con la
riproducibilità tecnica subentra anche il concetto di <<serialità>> che definisce la produzione in serie di
oggetti tutti uguali, dal costo molto inferiore rispetto a quello che avrebbe il pezzo unico. L’invenzione della
stampa accentuò il predominio della scrittura su tutte le altre forme espressive, un predominio che
giungerà a far coincidere i libri e la cultura.
Nota bene: la posta, il telegrafo e il telefono sono <<media vuoti>> perché il “messaggio” lo deve mettere,
di volta in volta, il cliente; mentre il giornale, la radio, il cinema e la televisione sono media <<media
pieni>>, il messaggiò esiste già, questi media hanno qualcosa da dire al “cliente”; Internet è un <<media
pieno e vuoto>>, scrivo io l’email (immetto io il messaggio) ma su internet trovo sempre qualcosa, perché
mi informa, mi diverte, mi intrattiene.
L’Ottocento è caratterizzato dalla risposta che le innovazioni portano in funzione della domanda di
immagini e suoni, nascono la pianola, il grammofono e il fonografo, nel 1836 nasce la prima pubblicità su
una pagina di giornale. L’immagine si fa protagonista nella quotidianità: le immagini non si cercano più,
sono loro a cercare, in questo ambiente nasce anche la fotografia (1837) che viene visto come
“perfezionamento” del ritratto borghese, il fotografo è una spece di pittore. La fotografia arriva anche agli
amatori, nel 1888 arriva la Kodak che farà da trampolino per la crescita di utilizzo dell’immagine da parte
della massa.
Spazio pubblico: palestra nella quale si esercita il confronto tra l’opinizone pubblica, i movimenti, le forze
sociali. E’ la sfera pubblica in cui si esprimono le idee, di seguire le proprie inclinazioni nel contesto di una
società di massa.
Spazio privato: spazio per l’intimità, i sentimenti, il riposo, tipicamente centrato su uno spazio, su
un’abitazione, in cui si svolge la vita individuale che ha una sua privatezza preclusa agli altri.
Oggi come oggi è difficile parlare ancora di spazio pubblico e spazio privato per come erano stati teorizzati
da Jürgen Habermas, oggi, forse, ha più senso parlare di <<società liquida>> riprendendo il concetto di
Zygmunt Bauman: pubblico e privato sono sempre più due riferimenti di uno stesso modo di vivere, a cui i
media offrono una dimensione intermedia.
L’arrivo del cinema presenta un “nuovo modo di riprodurre la realtà”: il cinématographe permette di
raccogliere, per mezzo di una serie di fotografie istantaneee, tutti i movimenti che, in un tempo dato, si
sono succeduti davanti all’obiettivo, e di riprodurli in seguito proiettando a grandezza naturale, davanti a
una sala intera, le loro immagini su uno schermo. Il cinema ben presto si creerà un luogo per la sua
fruizione, la sala cinematografica. Con l’arrivo del sonoro il riprodurre la realtà acquista ancora più
importanza, anche perchè il sonoro rendeva il prodotto cinematografico ancora più accessibile a tutti.
Inoltre il cinema porta anche un nuovo approccio e una nuova modalità di visione perchè, se con il teatro
l’attore teatrale presenta in prima persona la prestazione artistica, la “performance” dell’attore
cinematografico viene presentata attraverso un’apparecchiatura; inoltre questa apparecchaitura permette
di avere “diversi punti di vista” della stessa scena entrando così in un’ottica <<iperrealista>> che nessun
testimone reale potrebbe avere. Il teatro è un evento rituale unico, il cinema un prodotto sintetico
composito, riproducibile tecnicamente.
Appena la radio, e le tecnologie, si svilupparono a tal punto da riuscire a mettere l’apparecchio ricevente
nelle abitazioni la radio divenne mezzo di comunicazione di massa. La trasmissione tipica della radio viene
definita broadcasting (singola stazione emittente e molte riceventi). La radio è <<piena>> perchè trasmette
continuamente parole e musica, e diventa un servizio <<a flusso>>: è disponibile in casa quabndo lo si
desidera e viene erogato finchè non si chiude il collegamento. Si tratta di una comunicazione di massa
quotidiana, abbondante e sentita come gratuita. Anche la radio è passata dall’ascolto pubblico al privato,
fino all’ascolto individualizzato.
La radio in America era vista come un affare: inizialmente si vide nella diffusione di apparecchi radio come
una miniera d’oro, quando il mercato degli apparecchi fu saturo si passò alla pubblicità interna nella
trasmissione radiofonica; si organizzò in 3 principali network: NBC, CBS, ABC, che poi diventarono anche
televisivi.
In Europa la radio si sviluppò invece come <<servizio pubblico>>, prima tra tutti la BBC, costituita nel 1926,
che aveva una precisa missione:<<educare, informare, intrattenere>>. In europa la radio era considerata un
servizio culuturale ed educativo, lo Stato erogava potenzialmente a tutti i cittadini, il tutto poi trasmesso
anche alla televisione.
Il carattere pubblico della radio, e della tv poi, europea favorì la costituzione di grandi apparati culturali
legati alla politica.
Il modello televisivo americano riprendeva caratteristiche del sistema radiofonico, fondato sulla
competizione tra più catene televisive (network), l’obiettivo di un network era quello di farlo diventare
costante e fedele, quindi prevedibile: caratteristiche che rendono più pregiato l’investimento pubblico e ne
elevano il prezzo.
La televisione europea trasmetteva in diretta grandi eventi, cerimonie , cronache di partite sportive.
L’intrattenimento era rappresentato da misurati spettacoli di varietà. L’intrattenimento era rappresentato
da misurati spettacoli di varietà, con cadenza settimanale, realizzati in grandi studi con la presenza del
pubblico, da quiz e giochi presi dal modello americano, spesso prodotti acquistando all’estero il
<<format>>.
La televisione tolse rapidamente alla radio il ruolo di medium mainstream , dal 1953 si diffonde in America
la radio in modulazione di frequenza (FM), più semplice da trasmettere e da ricevere, appena arriva l’FM
transistor dal Giappone la radio si svincola dall’obbligo di rimanere in casa: la radio diventa il primo
personal medium, il primo mezzo mobile, capace di inserirsi nella vita privata ed intima e di accompagnare
con il suo suono la vita quotidiana, non lasciando lo spettatore solo.
Si sviluppò inoltre il concetto di antenne private: la complessità culturale raggiunta dalla società rientrava a
fatica nella concezione del monopolio e nella impostazione prevalentemente nazionale.
La televisione si modificò insieme alla società , una delle modifiche più rilevante fu l’arrivo dell’Auditel,
misurazione di indici di ascolto introdotto dal 1986: ora non erano più i dirigenti del monopolio a decidere
che cosa il pubblico doveva vedere ma gli spettatori stessi; cambio di paradigma: casciuna rete cercava di
farsi scegliere e di far permanere lo spettatore sul proprio canale, possibilmente anche dopo gli spot
pubblicitari, tenendo in conto dei bassi livelli di attenzione tipici della fruizione televisiva e della pratica
dello <<zapping>>.
Il digitale modifica e dialoga profondamente con molti media del Novecento (cinema, giornale e anche la
radio per certi aspetti), l’enorme distanza sociale ed economica tra emittente e ascoltatore tende adesso a
ridursi.
Negli anni Ottanta le macchine fotografiche e videocamere diventano digitali, lasciando così più spazio
ancora all’amatorialità e facendo interessare i professionisti alle possibilità di sviluppo che dava il digitale.
La tv ci mise un po’ di più per affacciarsi completamente al digitale anche perchè inizialmente risultava
molto problematico proporre alla massa il passaggio da un’apparecchiatura all’altra: ora siamo in una fase
di abbondanza dell’offerta televisiva e di molteplicità degli editori che li offrono, tuttavia i contenuti più di
pregio sono offerti da canali a pagamento.
Il concetto di TV a pagamento nasce in america ed è molto diversa da quella generalista poichè il numero di
canali disponibili deve essere maggiore e la tv via cavo può soddisfare esigenze molto più limitate e
particolari.
Come tipologie di televisione a pagamento si svilupparono la pay-tv che si pagava come le altre utenze di
casa e la pay-per-view che fa pagare quello che si vuole vedere, per poi arrivare al VOD (Video On Demand):
siamo ai confini esterni della televisione, nessuno più ti interpella, ti intrattiene o lancia spettacoli o quiz,
ora sei di fronte a una lista, un catalogo di spettacoli di vario genere tra i quali possiamo scegliere - a
pagamento - quello che ci farà trascorrere lietamente la serata.
Dal 2006 la partecipazione degli utenti è diventata qualcosa di creativo e di crossmediale: si sviluppa una
cultura della connessione permanete (always on).
Con l’arrivo dello streaming si annulla il concetto di canale, quando guardo su Internet difficilmente passo
attraverso un canale televisivo, passo attraverso una piattaforma, e dal punto di vista televisivo ormai
siamo in un sistema composto da almeno tre livelli:
Inoltre arrivano anche le Over-the-top (OTT), nome dato dalla capacità di andare al di là dei problemi di
connettività e di strutture materiali gestite da altre partner (Netflix).
Secondo un luogo comune che tutti condividiamo, nella comunicazione riprodotta la forma perfetta è la
forma audiovisiva (audio + video), perché è la più simile all’interazione diretta (faccia a faccia). Partendo da
questo presupposto potrebbe sembrare che la radio rappresenti un “mezzo inferiore” rispetto ai media che
dispongono della forma audiovisiva, ma la vitalità propria della radio è nella sua aderenza alle speciali
caratteristiche del suono e della voce: il suono non ha il vincolo di dover rappresentare la realtà, ma di
accompagnarla; la parola descrive o commenta la realtà, non è tenuta a sostituirla. La sensazione sonora è
correlata alla sfera emotiva, evocativa, simbolica; ci richiede di immaginare ciò che solo suggerisce, ci fa
pensare. La radio appare evocativa ed espressiva, conversazionale, emozionale e confidenziale. La
comunicazione radiofonica mantiene perciò una forte impronta di comunicazione personale ( one to one), e
questo può dare spazio a formati assai specializzati.
La radio appare sempre come un segnale dell’attualità, una testimonianza della società. Per questo
l’ascolto è sempre un’esperienza sociale, anche nella forma più privata. Ovviamente si tratta di
un’esperienza sociale del tutto particolare: l’ascolto p altamente individualizzato, raramente ha
caratteristiche familiari o collettive e si svolge prevalentemente nella nostra sfera di personale privacy.
In un ambiente sociale segnato sempre più dalle differenze spesso è richiesto alla radio di esercitare una
funzione identitaria. L’uso della radio non è soltanto una colonna sonora: vuole alludere a una comune
appartenenza in modo complice e a fini promozionali. Inoltre ci fornisce buona parte delle informazioni che
ci servono per affrontare la vita sociale: funzione partecipativa.
Per di più la radio, con la possibilità di essere ascoltata privatamente (quasi di nascosto) si presta
particolarmente ad una comunicazione comunitaria e antagonista.
a) Un’idea di radio: ogni radio sviluppa un’idea di programmazione e un’idea di pubblico e tende a
fidelizzarlo, in modo da essere sentita come una interlocutrice, un’amica, un punto di riferimento.
In Europa prevale l’idea di fondare una radio quando si ha qualche cosa da dire, o un genere di
musica da far ascoltare.
b) Predisporre e assemblare i contenuti da trasmettere, nell’equilibrio che si è scelto fra musica e
parole.
c) Mandare in onda i contenuti dell’emittente (etere, satellite, internet).
d) Organizzare il proprio pubblico e promuovere la sua risposta alla nostra programmazione, cercando
di superare il carattere unidirezionale del broadcasting radiofonico (forma principale rimane lo
scambio vocale per telefono, le forme di contatto “scritte” sono state prese da social network e
posta elettronica), inoltre la radio tende alla multipiattaforma.
La digitalizzazione della radio non è ancora avvenuta definitivamente perché è un costo che non si sa bene
come recuperare e quali concreti vantaggi porterebbe all’ascoltatore.
Inizialmente la radio trasmetteva in onde media e piccole che servivano per le radio internazionali a lunga
distanza. Nel dopoguerra è arrivata l’FM (modulazione di frequenza), l’FM fu una soluzione utilizzata
inizialmente dalle radio private: impianti meno costosi, trasmissione stereofonica, frequenza relativamente
libere. Una sola frequenza non bastava, bisognava proteggere le frequenze vicine (<<di copertura>>) e altre
(<<di appoggio>>) per i coni d’ombra generati da ostacoli.
Oggi grazie ai sistemi evoluti di Rds (Radio Data System), specialmente sulle autoradio, si è risolto il grosso
problema della mancanza di segnale perché con questi moderni sistemi è possibile sintonizzarsi
automaticamente sulla migliore delle frequenze di una determinata emittente.
Rispetto alla televisione la radio ha proporzionalmente più trasmissioni in diretta per via della semplicità
produttiva e i costi contenuti, per questo motivo è possibile enunciare la seguente regola: in radiofonia
tutta la musica tende ad essere registrata e tutto il parlato tende ad essere in diretta.
Oggi si lavora con le libraries contenti migliaia di registrazioni di rumori di ogni tipo, queste servono al
regista per accompagnare e rendere più piacevole seguire la trasmissione radiofonica. In radio il regista è
rilevante ma non come nel cinema o nel teatro: la trasmissione in diretta conferisce l’ultima parola a chi sta
in studio, e il regista svolge soprattutto funzioni di coordinamento, controlla che i tempi siano rispettati,
sorveglia il lavoro del mixer. Si noti come con il passare del tempo, e con la consequenziale evoluzione del
linguaggio radiofonico, ci siano stati dei veri e propri cambiamenti di paradigmi: una volta si pensava che il
rumore <<sporcasse>> le trasmissioni, oggi si può anche ritenere come un tratto che connota l’ambiente,
conferisce un effetto di realtà.
Inutile dire che la radio ha trovato in Internet il più valido collaboratore, nonostante il mezzo abbia ancora
una diffusione analogica. Internet permette alla radio di ampliare il suo raggio d’azione, di interagire meglio
con i propri ascoltatori. Inoltre, Internet offre la possibilità, in mancanza di libertà e di censura, alla radio di
diffondersi via web e di essere un importante strumento di informazione politica.
Il webcasting scardina profondamente i confini spaziali e temporali delle radio tradizionali, superando i
limiti tecnici e legislativi dei sistemi radiofonici e allargando il raggio d’azione a qualunque emittente.
I. Prima fase: la radiotelegrafia. Mezzo vuoto di contenuti propri che si riempie di messaggi dai
soggetti comunicanti.
II. Seconda fase: il broadcasting domestico. La radio si installa nelle abitazioni, propone contenuti
sonori e parlati organizzati in un rigido palinsesto settimanale.
III. Terza fase: il transistor dei giovani. Negli anni 50 la radio viene affiancata alla TV, così, ora che
trasmette FM, diventa in Usa il medium dei giovani, largamente extradomestico e in mobilità: i
programmi sono a flusso e prevalentemente musicali.
IV. Quarta fase: la maturità della radio. Anni Ottanta, la radio si ritaglia una nicchia importante di
pubblico giovanile, di autoradio e domestico: medium ascoltato per libera scelta e non per
necessità.
V. Quinta fase: media sonori nella crossmedialità. Fase attuale. Il digitale e Internet hanno moltiplicato
la circolazione dei contenuti musicali e i modi di ascoltarli, spesso riprendendo dalla radio,
principale medium sonoro, forme di organizzazione dei contenuti e dei generi.
L’organizzazione dei contenuti in un’identità coerente è molto più importante dei singoli programmi. Con
il passare del tempo la radio ha dismesso un palinsesto ormai inefficace ed è passata al flusso: l’identità
della radio è affidata adesso a una proporzione di generi, un cocktail che si ripropone ogni ora. Il flusso ha
un inizio ma non ha una fise, permette di cominciare l’ascolto in ogni momento senza provare quella
spiacevole sensazioni di entrare a teatro in ritardo: il flusso è più congeniale a un ascolto randomico. Il
flusso è perfetto se la programmazione è prettamente musicale, se il parlato si allunga, è più complesso,
diventa una componente forte dell’identità della radio, e la struttura del flusso si attenua. Il flusso si
modifica in funzione del palinsesto, un evento palinsestuale diventa un appuntamento.
La radio di formato prendeva in considerazione una sola giornata, e si ripeteva ogni giorno allo stesso
modo. Il formato era studiato sulla nicchia, il concetto fondamentale alla base era la rotation: non era più il
pubblico a doversi adeguare agli appuntamenti fissi che il palinsesto collocava con cura nella settimana;
l’emittente gli veniva incontro ripetendo la programmazione in cicli periodici (per spingere il pubblico verso
un tema o un motivo musicale a cui l’emittente teneva, il sistema migliore era quello di ripeterlo molte
volte.)
La scelta della musica da mandare in onda (playlist) è sottratta a ogni casualità o inclinazione personale e
rispetta con grande fedeltà l’identità dell’emittente, inoltre influiscono sulla composizione delle playlist
anche l’orario della giornata, la differenza feriale/week-end, la stagione e il periodo dell’anno, il contesto
culturale esterno e il sentimento di una nazione, o di una città.
Con l’avvento della televisione (1954) il carattere principale del governo passa dalla radio alla tv, solo
l’informazione del mattino rimane saldamente presidiata dalla radio. Negli anni Settanta le radio private
diventano spesso sinonimo di <<controinformazione>>. Solo negli anni Novanta l’informazione diventerà
un capitolo importante all’interno della radiofonia privata. La radio deve difendere il suo spazio tra i
quotidiani e dall’invadenza della rappresentazione televisiva; soltanto il cinema fa fortemente riferimento
al giornalismo radiofonico, anche per motivi di complementarità scenica.
L’informazione radiofonica ha oggi dei plus: la sua carta vincente è la tempestività, la radio riesce a
raggiungere più velocemente un evento imprevisto, grazie all’utilizzo del telefono cellulare permette
un’imbattibile rapidità nei collegamenti. La radio è il mezzo più efficace per seguire le notizie nella loro
evoluzione.
La radiocronaca.
Il <<filo diretto>>, seguire in diretta senza commento un processo o un dibattito pubblico.
Il notiziario del mattino.
Il notiziario flash.
La rassegna stampa.
L’informazione di servizio.
L’inchiesta radiofonica, programma di approfondimento informativo.
Il documentario radiofonico.
L’approfondimento in rubriche.
L’approfondimento in contenitori.
Parlare in radio richiede molta attenzione: il microfono è uno strumento molto sensibile, registra e
amplifica, anche lo stato d’animo di chi parla. Inoltre bisogna sempre tener conto dell’ascolto randomico,
un ascoltatore potrebbe essersi messo in ascolto proprio in quel momento e perciò non conosce tutti gli
aspetti del problema, che ci andranno ciclicamente richiamati.
Una divisione del lavoro, avvenuta negli anni Sessanta, portò gli innovatori (e i finanziamenti) in televisione,
lasciando in radiofonia personalità autorevoli e capaci, ma intenzionate soprattutto a rappresentare la
cultura <<alta>>.
La radio si difende attraverso un’ibridazione fra i generi (metageneri), nel momento in cui si accosta al
parlato. L’uso del telefono in rubriche mandate in onda in diretta, mentre vengono prodotte, ha sostituito
buona parte dei contatti col mondo che la vecchia radio era riuscita a intrecciare. Siamo quindi in presenza
di una virtualizzazione della comunicazione radiofonica, sempre più mediata dal telefono, dagli sms,
dall’email, dai social e sempre più dominata da formati brevi. E’ in corso un9intensa esplorazione di nuovi
formati; solo alcuni avranno successo, ma tutti vanno verso la piena digitalizzazione e la moltiplicazione dei
livelli di fruizione.
Le immagini hanno una loro grammatica, delle regole per la correttezza della singola immagine, che
discendono principalmente dalla fotografia. Gli elementi più importanti dell’immagine sono: la
composizione, l’inquadratura e l’angolazione. La regola che più è nota per avere una buona composizione è
la cosiddetta regola dei terzi: oggetti collocati agli incroci di un reticolo ideale. L’inquadratura è lo spazio
visivo ripreso dall’obiettivo della telecamera, l’angolazione è il terzo elemento dell’immagine con il quale si
intende la collocazione della camera da presa: solitamente <<in piano>>, ma con possibilità <<dal basso>> e
<<dall’alto>>. Inoltre la camera può avere anche un’angolazione orizzontale: può riprendere una soggetta
frontalmente, di tre quarti, di profilo.
Con il passare del tempo le regole estetiche canoniche sono tuttavia mutate, insieme alla società: oggi delle
immagini sbilenche e poco attente alla forma possono essere sinonimo di veridicità: la soggettività del
punto di vista.
Parlando di <<sguardo in macchina>> si parla di un particolare tipo di ripresa televisiva, solitamente chi
parla guardando in camera rappresenta sé stesso, chi non guarda in camera rappresenta un altro, è un
attore che interpreta un personaggio di finzione. Lo sguardo in macchina coinvolge lo spettatore.
Inizialmente la tendenza era verso delle immagini statiche, costrette anche dalle tecnologie e dai mezzi
della prima epoca televisiva, successivamente arrivò il movimento con il carrello, poi le macchine
diventarono sempre più versatili e maneggiabili, fino ad oggi che possiamo avere punti di vista che prima
erano inediti all’uomo. Inizialmente in televisione era tassativamente proibito mostrare nelle riprese altre
telecamere, col passare del tempo divento quasi un obbligo: come se la televisione dovesse testimoniare la
sua ricerca di realtà. La televisione dice di essere una finestra sul mondo, ma poi è una finestra sulla
televisione.
Sequenza: insieme di immagini dotate di senso compiuto, che descrive un oggetto, che racconta una sua
storia. La tv esibisce una pluralità di telecamere come prova di un suo sguardo panottico, come se non le
sfuggisse nulla. Per via delle immagini dotate di senso, il montaggio, il passaggio da un’immagine all’altra,
deve essere curato con attenzione: non deve mai perdere per strada i significati della storia, se in
televisione viene mostrato qualcosa ci deve essere una buona ragione, se è una ragione provvisoriamente
occulta, il disvelamento deve essere rapido. Il montaggio in televisione è più una sequenza di punti di vista
diversi, è una fase molto creativa ma ricca di responsabilità, è molto importante anche il ritmo. Il ritmo è
anche composto dai diversi modi di unire le immagini fra loro, le transazioni d’immagine che possono
essere: la dissolvenza, lo sfumo, la tendina, l’intarsio.
Se in precedenza le industrie televisive erano principalmente nazionali, oggi con la politica del Brand le
identità televisive si propongono come sovranazionali e questo porta con sé un’articolata valorizzazione e
gestione dei diritti, che rappresenta un comparto di attività molto specializzato e promettente.
I contenuti fanno l’identità del brand: la gradevolezza dei contenuti, il loro successo, la capacità di
emozionare e di essere ricordati a lungo, di ispirare pensieri, libri, film, sono delicate alchimie che possono
essere compiute solo con grande creatività e attento studio.
Il dilemma novecentesco della televisione era il <<produrre in casa o acquistare?>>, allora si distingueva in
programmi a utilità ripetuta e a utilità istantanea.
a) Programmi a utilità ripetuta: prodotti che potevano essere mandati in onda quando si voleva, scarsi
riferimenti all’attualità: bisognava solo stare attenti agli anniversari ed evitare di mandare un film
allegro in un giorno luttuoso.
b) Programmi a utilità istantanea: trasmissioni che avevano senso solo in una mirata finestra
temporale, molto stretta. (rubrica che porta i risultati di una partita di calcio ha senso solo se dopo
la partita)
Oggi i concetti di istantanea o ripetuta sono radicalmente modificate ma rimane il dilemma del produrre in
proprio o di acquistare da terzi i prodotti. La regola di base che tiene in piedi il mondo televisivo è questa:
conviene produrre internamente programmi <<da studio>> (come notiziari, giochi, quiz, talk show), mentre
per film o prodotti seriali di finzione conviene appoggiarsi all’acquisto da terzi perché richiedono
un’indipendenza creativa, uno sforzo produttivo, un’apertura internazionale. Il modello che oggi prevale è il
<<modello HBO>>: sontuose produzioni di lunga serialità, che nulla hanno da invidiare al cinema theatrical.
Negli anni nel mondo televisivo si è sviluppata la tendenza al format. Oggi esistono numerose società che
progettano in proprio format televisivi o acquisiscono da altre società i diritti di utilizzo e di adattamento di
un’idea: un format è infatti una struttura originale esplicativa dell’idea (concept) e del meccanismo
produttivo e narrativo di un programma televisivo. Sono un modo per vendere, assieme all’idea, un servizio
di consulenza costante da parte di chi ha messo a punto il programma e può meglio intervenire con la
propria expertise per portare il prodotto al successo, questa tendenza è coerente con l’outsourcing, ovvero
la spinta di decentrare e portare all’esterno, verso fornitori in competizione tra loro, gran parte dei processi
di produzione, mantenendo nell’impresa soprattutto i centri decisionali e il marketing (ovvero i processi che
hanno i fili dell’identità del brand).
Dalla metà degli anni Settata si apre un’era dell’abbondanza televisiva nella quale i canali sono in
concorrenza l’uno con l’altro per avere ogni sera il più elevato numero di spettatori e quindi un maggior
pregio pubblicitario: se prima la domanda era cosa mandare in onda (monopolio), dagli anni Settanta in poi
è diventata come fare ascolti (concorrenza).
Nel periodo della concorrenza la principale discussione era la seguente <<come accrescere il proprio
ascolto, senza tradire l’identità di rete>>, la <<neotelevisione>> era una tv <<generalista>> che si rivolge
alla maggioranza del pubblico, l’ideale era una programmazione quotidiana che sia rivolta a tutte le età e a
tutte le categorie sociali che presumibilmente a quell’ora possono trovarsi davanti allo schermo. La
collocazione giornaliera di un contenuto è chiamata <<programmazione a striscia>> e ha rappresentato una
delle strategie della neotelevisione per rispecchiare la vita quotidiana degli spettatori.
Dal 1986 furono pubblicate le rivelazioni di ascolto curate da Auditel, società fondate dalle telvisioni
pubbliche e private e dai rappresentanti delle agenzie pubblicitarie e dagli editori di giornali: il sistema,
anche se con qualche lacuna nel corso della sua storia, funzionava, poi, post 2006, iniziò ad andare in panne
perché incapace di rappresentare con altrettanta precisione forme di ascolto diverse dal tradizionale
televisore domestico.
1. Giocare sul sicuro. Televisione che rischiava poco, aveva bisogno di molti stereotipi culturale in
modo da consentire una più facile identificazione da parte del pubblico.
2. Fare spettacolo. Il programma doveva intrattenere, dire al pubblico <<resta con noi>>, tenersi
stretto lo spettatore e allontanarlo dalla noia.
3. Riflettere i valori medi della società. Cercavano di minimizzare le possibili obiezioni del pubblico,
evitando situazioni scabrose o violente.
4. Riconoscibilità. L’emittente doveva sempre essere identificabile e riconoscibile, composta di fatti e
di persone conosciuti al pubblico, la televisione doveva far sentire lo spettatore in sintonia con i
volti incontrati sullo schermo, quello sullo schermo è <<uno di noi>>.
5. Tutelare il prime time. Il prime time è la fascia oraria dalle 20.30 alle 22.30, la più pregiata in
termini di pubblico e di pubblicità, oltre che essere il lasso di tempo più importante per l’immagine
dell’emittente e di fidelizzazione.
6. La controprogrammazione. Bisognava sfruttare i punti deboli dei concorrenti e contrastare i loro
programmi forti con altri che potessero sottrargli il pubblico.
Gli stadi successivi della neotelevisione che, alla fine, ci hanno condotto fuori da essa sono il contenitore,
il talk show, l’infotainment, la nuova fiction seriale, il reality e il talent.
La figura più importante era il presentatore, primo a comparire davanti al pubblico, assicura anche la
sintonia fine con il pubblico, seda le sue intemperanze, incoraggia l’applauso, ammortizza con la sua abilità
professionale difetti e incidenti di scena. Con il tempo il presentatore è diventato conduttore: il programma
è casa sua, è il proprietario della trasmissione, dove può <<ospitare>> altri. La conversazione del
conduttore è ricca di componenti rituali, anche perché il programma contenitore non ha per definizione un
tema specifico.
Talk: il talk è una derivazione del contenitore, prevalentemente parlato e solo tangenzialmente
spettacolare, che tipicamente prevede ospiti di varia estrazione e tonalità seduti in poltroncine e divani,
mentre il conduttore si aggira o si siede anche lui come fosse un intervistatore. Il talk procede sulla strada
della personalizzazione, esprime opinioni e tendenze e inizia a rappresentare una forma di potere e di
pressione sulle istituzioni della politica. Nei talk però non si sviscerano fino in fondo gli argomenti, si parla
invece del più e del meno: il potere del conduttore cresce perché appare come un mediatore fra la gente
comune e l’élite.
L’informazione, sia in radio che in televisione, è stata fin dall’inizio molto più di un genere: ha
rappresentato uno dei tratti costitutivi dei media elettronici, dove veniva esaltata la loro capacità di
affrontare la contemporaneità, grazie alla possibilità di una comunicazione simultanea. Il cinema è sempre
stato troppo “perfezionista” per l’informazione, per via anche dei tempi di produzione, solamente i
cinegiornali hanno svolto questa funzione ma dopo l’avvento dell’informazione televisiva sono scomparsi.
L’informazione si divide in notizie (news) e approfondimento.
Le notizie sono la trascrizione e descrizione dei fatti più importanti che avvengono ogni giorno.
L’approfondimento è la scelta di alcune di esse che vengono approfondite, discusse,
commentate.
L’informazione è principalmente relegata al Tg nella neotelevisione, che è l’ultima area di palinsesto sotto
un <<contratto di veridicità>>, in cui il pubblico ritiene fondatamente che gli eventi enunciati siano veri.
Nascono poi i canali di all news (piattaforme digitali), canali tematici dedicati all’informazione 24 ore su 24.
<<people show>>: si pone all’incrocio di due processi convergenti: la privatizzazione della sfera pubblica e
la pubblicizzazione della sfera privata. L’intimità e la confessione assumono un carattere solo formalmente
privato: in realtà tendono alla pubblicizzazione. La confessione è, teoricamente, una messa in scena di se
stessa, una mimesi (imitazione) performativa, rivolta al voyeurismo dello spettatore, che è indotto a
credere di assistere a qualcosa di segreto, spiando dall’occhio della telecamera o dal buco della serratura:
un procedimento non nuovo nella lunga storia dello spettacolo. Il talent show, dopo il game show è
un’evoluzione del reality.
Push e pull
La televisione generalista era sostanzialmente una tecnologia push, che spingeva verso uno spettatore
distratto i suoi contenuti in competizione con altre offerte. Con la pay-per-view, invece, che è una
tecnologia pull, che rende disponibili elenchi di contenuti, da cui lo spettatore preleva solo ciò che è di suo
interesse e gradimento. Il factual, tutto ciò che non è fiction, contiene rappresentazioni della realtà e
fornisce contestualmente un sapere sul mondo.
V. La fiction
La televisione ha adottato pedissequamente, per la sua fiction, le regole dello spettacolo cinematografico di
finzione, mentre nei programmi di varietà può ricorrere a quel terzo sguardo di ascendenza teatrale.
Nei telefilm i protagonisti sono senza memoria; l’episodio è concluso in sé, non c’è un ordine predefinito
delle puntate e la sequenza può essere alterata senza che nessuno se ne accorga, già negli anni Cinquanta
arrivano nella tv europea.
Le soap opera sono invece narrazioni patemiche e sentimentali dall’infinito numero di puntate, così
chiamate perché un tempo erano sponsorizzate dalle industrie dei detersivi, e sono di provenienza
radiofonica. Non importa cosa accade ma come i vari personaggi commentano l’accaduto.
Negli anni Ottanta sono comparte le sitcom americane, fortemente teatrali, brillanti, umoristiche.
I teleromanzi erano riduzioni televisive di opere letterarie in gran parte di autori italiani, ma comunque di
cultura alta. Sono oggi scomparsi, e tuttavia quell’organizzarsi in nuclei compatti, con una serialità breve, è
rimasta una caratteristica italiana che ha dato origine alle miniserie, spesso con impostazione
cinematografica (90 minuti a puntata), ancora oggi la televisione italiana ne produce molti.
Sempre all’inizio degli anni Ottanta in America le serie si erano evolute in una forma più elaborata, il serial:
vicende narrative ben più complesse e sfarzose delle soap, in cui ogni puntata (25’) è un segmento
narrativo incompiuto che va contestualizzato nell’intera serialità della serie.
Modello HBO
Per comprendere il successo dilagante della produzione internazionale dobbiamo rifarci alle origini di
questo sistema: il modello televisivo americano si stratificò in: una televisione gratuita (Abc, Nbc, Cbs, poi
arrivò anche Fox dal 1986) e una televisione a pagamento, trasportata nelle case degli utenti attraverso il
cavo telefonico, pagata con una bolletta mensile come qualunque utenza, generalmente in una situazione
di monopolio: un cable operator per ogni città, salvo le più grandi.
La serialità di HBO si concentrò su alti livelli di qualità, una lunga serialità, ricerca contemporanea del
successo di pubblico e di critica, ascendenze letterarie che risalgono fino a Dickens. Le serie televisive nello
stile HBO creavano un pubblico di fascia medio-alta che, in un ventaglio cos’ ampio di prodotti, trovava
sicuramente quello a cui appassionarsi, seguendolo fedelmente da una stagione all’altra, parlandone con
amici e colleghi, discutendone sui social network che, intanto, stavano prendendo piede: HBO diventava
così uno stile.
Insieme a questo modello si sviluppa l’idea di franchise, saga narrativa costruita attorno a un personaggio, a
una vicenda, a un interno mondo parallelo, diffusa attraverso uno sciame di media che ne prolunga nel
tempo e nello spazio il senso profondo. Il franchise è soprattutto un brand con una enorme capacità di
dilatazione rispetto a una saga immateriale che si propaga ovunque.
In Italia Sky è un oggetto alieno quando arriva, introduce il modello pay-per-view, puntando a
occupare le fasce alte della programmazione generalista con prodotti di fiction mirati, target prettamente
giovanile, non fidelizzati a pieno dalle reti in chiaro ma assai appetibili sul piano pubblicitario. E’ un pubblico
che si rispecchia in trame contemporanee, che comunque si confronta con temi attuali, assimilabili alla
modernità.