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Atto reale e negozio giuridico

La teoria generale del negozio giuridico di Betti e la classificazione dei fatti giuridici.
Nel tracciato di una teoria generale dei fatti giuridici e nell’inserimento al suo interno
della figura specifica del negozio giuridico sta la dimensione transtemporale in cui Betti
colloca lo studio della figura negoziale: è questo, notoriamente, il metodo adottato
dalla sistematica, pandettistica e postpandettistica, in Germania. Nell’ambito del fatto
giuridico in senso lato vengono distinti i fatti giuridici in senso stretto dagli atti giuridici
e, all’interno di quest’ultimi, gli atti leciti dagli atti illeciti. Il fatto giuridico ( in senso
stretto) è differenziato dall’atto giuridico ( in senso lato) secondo il criterio
volontaristico: l’atto, diversamente dal fatto, impegna nella valutazione giuridica la
coscienza e la volontà dell’autore. Ma qui viene introdotta una prima variante: secondo
Betti, ciò che rileva per il diritto non sono la coscienza e la volontà che in concreto
accompagnano e determinano l’atto, ma la coscienza che di solito lo accompagna e la
volontà che normalmente lo determina. Se della tradizione classica permane
dichiaratamente la impostazione volontaristica del percorso che conduce al negozio
giuridico, si evidenziano nello stesso tempo segni di cedimento ad istanze
oggettivistiche. Questa coesistenza di spinte contraddittorie si rileva nella sua effettiva
portata ripercorrendo l’itinerario seguito da Betti, muovendo dal concetto di atto e
dalla sua distinzione rispetto al fatto, alla figura del negozio giuridico. Isolato l’atto dal
fatto, Il passo ulteriore è compiuto utilizzando la distinzione proposta da Francesco
Carnelutti tra atti ad evento fisico e atti ad evento psichico, a seconda che l’effetto di
cui l’atto è causa, abbia natura materiale o invece natura intellettiva. All’interno degli
atti ad evento psichico vengono ricavate la specie della dichiarazione comunicativa e poi
ancora la sottospecie della dichiarazione precettiva. Il modello ultimo, propriamente
negoziale, risulta identificato coniugando la componente strutturale della precettività
( conservativa dell’insegnamento classico nella configurazione del negozio come specie
dell’atto) con la componente funzionale dell’autoregolamento di interessi ( innovativa
rispetto a quell’insegnamento allorchè introduce, come caratterizzante il negozio, il
momento spurio, in quanto compare per la prima volta per la definizione del negozio
mentre non è presente nella definizione dell’atto, dell’interesse). La distinzione tra atto
e fatto è parallela alla distinzione tra soggetto e oggetto. Come il soggetto introduce
nella nozione dell’oggetto i fattori della vita e della coscienza, così, parallelamente,
nella nozione fatto, l’atto introduce i fattori della vita umana e della coscienza
spirituale. Tuttavia, questo parallelismo non è perfetto, perché vita e umanità da un
verso, coscienza e volontà dall’altro, non sono la stessa cosa. L’umanità fa valere le sue
istanze giuridiche ancora prima della vita, nella realtà fisica e materiale di cui è fatta
l’esistenza dell’individuo e la coesistenza nella comunità; e, naturalmente, ancora
prima della volontà, come dimostra la situazione dei soggetti incapaci di volere. D’altra
parte, secondo una classificazione psicologica, la coscienza si distingue nelle tre
direzioni del sentimento, della conoscenza e della volontà. Perciò la volontà è
sempre coscienza, ma non sempre la coscienza è volontà. L’atto introduce nel fatto la
volontà che è la coscienza concentrate nella volontà. In tutto ciò si manifesta una
asimmetria se si riflette che la volontà come fonte degli atti umani sta alla base del
mondo pratico dell’uomo e che il mondo giuridico è essenzialmente un mondo pratico,
costituito soprattutto dalle attività e volontà dei soggetti umani. Ma questo generico
ruolo del volere nella dinamica della vita umana e sociale, come non comporta che il
diritto sia spiegabile in termini di volontà, non implica nemmeno che la fenomenologia
dei fatti giuridici faccia perno sul fattore psichico del volere. È ovvio che l’atto giuridico
non è il solo fatto specificamente umano che sia giuridicamente rilevante. Il diritto
accorda effettiva rilevanza a fatti che non sono volontari e nondimeno sono specifici
dell’uomo.
I metodi di classificazione dei fatti giuridici e il criterio assiologico pratico.
Tra il fatto e l’effetto esiste sempre e necessariamente un rapporto di conformità. Se il
diritto dispone l’effetto in relazione ad un fatto non può che trovare in quest’ultimo il
referente per la determinazione dell’effetto. Esiste, dunque, una relazione di
corrispondenza tra i due termini. L’effetto è essenzialmente destinato ad adeguare
l’intervento del diritto alla situazione di interesse inerente al fatto. La relazione di
corrispondenza rispecchia l’adeguamento di un determinato effetto ad una determinata
situazione di interesse portata dal fatto giuridico. La vera nota caratteristica del negozio
sta in un peculiare atteggiarsi degli effetti che la legge attribuisce all’attività dei
privati. Ciò che conta è l’esistenza di atti a cui la legge non fa seguire il proprio effetto
se questo effetto non sia già prefigurato nella struttura interna degli atti medesimi.
L’effetto muta in funzione del mutare del fatto; il termine “funzione” ha qui il suo
stretto senso logico-matematico di rapporto di corrispondenza definita tra due insiemi di
valori variabili . l’esistenza del nesso funzionale non è messa in forse dalla circostanza
che il campo di variabilità dei valori sia chiuso dentro limiti determinati. Quella sfera di
efficacia dell’atto che sconfina dal campo di variazione concomitante tra ciò che le parti
stabiliscono e ciò che stabilisce la legge, è la sfera degli effetti inderogabili. Ove ogni
corrispondenza mancasse, verrebbe a mancare anche la figura del negozio. Qual è il
tipo speciale di corrispondenza che si rinviene nel negozio giuridico? A quale
elemento della fattispecie negoziale attinge il diritto per dare un contenuto ai suoi
effetti? Alla volontà. La volontà di programmare la condotta sulla quale il diritto
modella l’effetto; l’atto in quanto manifestazione di volontà, si caratterizza per ciò che
rivela “ il paradigma delle conseguenze giuridiche”. La volontà negoziale non è della
legge ma del soggetto che pone in essere il negozio ed al legislatore spetta soltanto di
prevederla come ipotesi di verificazione possibile. Vi sono ipotesi negoziali in cui
l’effetto segue senza fondarsi su un contenuto di volontà conforme, ma non hanno
intaccato il principio della esistenza di un rapporto di tipica corrispondenza. Si è
supposto che il rapporto di corrispondenza tra fatto ed effetto, non essendo fondato
sulla volontà, debba essere quanto meno fondato sulla dichiarazione in quanto puro
fatto di linguaggio e con esclusione di qualsiasi riferimento a contenuti volontaristici. Si
prospetta così la tesi che ogni efficacia di tipo negoziale debba ricondursi alla
componente dichiarativa. Si confrontano due significati oggettivi: il significato
oggettivo della dichiarazione ( o della manifestazione) normativa e il significato
oggettivo della dichiarazione ( o manifestazione) negoziale. Evidentissimo rilievo ha
l’oggettività del linguaggio come fonte diretta di efficacia giuridica se si guarda, anziché
agli atti, agli oggetti in cui il linguaggio prende corpo, cioè ai documenti anziché alle
dichiarazioni. Le dichiarazioni, come atti e serie di atti ( processi) temporalmente
definiti, accusano più presto il loro limite nel tempo, e sono poi difficili a ricostruire
nella loro esatta entità. Invece i documenti sono pezzi di vita spirituale cristallizzata e
solidificata, congiunti a una materia stabile, e così meno esposti alla sorte di involuzione
nel tempo di quanto non siano le persone e gli atti spirituali. Appunto per la loro
maggiore stabilità e durata, i documenti sono più idonei ad esprimere e a significare
socialmente interessi di enti e di istituzioni, di gruppi e di collettività, interessi che si
legano a valori sociali stabili e duraturi, trascendenti la vita dei soggetti fisici. Il
crescente uso di crescenti tipologie di comunicazione enfatizza l’oggettività e
l’autonomia del documento sia rispetto alla volontà sia rispetto alla dichiarazione orale,
facendo emergere la tendenza ad uno modalità di formalizzazione prevalentemente
documentale. L’interpretazione non è soltanto di natura oggettiva, ma di natura
oggettivo-formale, attestata all’aspetto linguistico e semantico. Tuttavia l’effetto si
conforma al da là della dichiarazione, all’interesse sostanziale cui la dichiarazione fa
riferimento. L’effetto è essenzialmente destinato ad adeguare giuridicamente l’interesse
e solo in quanto quest’ultimo si rispecchia nella dichiarazione, quest’ultima, a sua volta,
è in grado di rispecchiare l’effetto. Qui sta la chiave di tutto il problema: la direzione,
l’ampiezza, i limiti, infine la stessa essenza del rapporto di conformità quando collega a
determinate classi di fatti determinate classi di effetti. Come l’effetto rappresenta il
valore giuridico in concreto, così il fatto denota il valore pregiuridico cui il diritto
intende accordare tutela. Il valore giuridico concreto trova sempre il suo sostegno in un
valore pregiuridico, di portata individuale o sociale, che risulta meritevole di tutela.
Espressione di questo principio è la norma, posta in materia contrattuale, dall’art. 1322
c.c.
Questo rapporto è dunque un rapporto tra valori. Il significato che si ricerca nella
dichiarazione negoziale per identificare gli effetti del negozio giuridico è sì un
significato oggettivo ma, in quanto determinato dalle parole come meri simboli, va
integrato con note aggiuntive tratte dall’interesse reale, può assumere più precisamente
un significato “oggettivo sostanziale”.
I fatti da soli non costituiscono mai valori giuridici e, il diritto, pone come sue proprie,
esigenze storicamente condizionate. Vi è sempre tra fatto ed effetto una relazione di
significato giuridico determinato e positivamente definibile. I tipi del collegamento tra
fatto ed effetto hanno sempre rilevanza per il giurista. Solo mediante la loro analisi e
definizione si è in grado di ricostruire la fisionomia degli istituti giuridici. Questa
fisionomia è adeguatamente caratterizzata tra i valori giuridici concreti e le situazioni e
gli interessi di fatto da cui questi valori sono storicamente condizionati e determinati.
La teoria sostenuta che vede nella norma un rapporto di valori, vuole offrire una
interpretazione più adeguata di dell’idea di fatto giuridico che è ogni situazione del
mondo esterno in cui emergono e si manifestano valori individuali o collettivi che, a
causa della loro rilevanza sociale, sono tema di valutazione giuridica. Il criterio
assiologico-pratico qui delineato necessita di due ordini di integrazioni. La prima
integrazione deriva dalla distinzione tra fatti rivelatori di interessi pratici e fatti
incidenti su interessi pratici. Negli uni si manifestano e si affermano direttamente le
situazioni di interesse, sicchè in essi emerge dall’interno in forma immediata il valore
che il diritto prende in considerazione; negli altri, invece, non si evidenzia direttamente
alcuna situazione di interesse, sicchè la ragione della loro rilevanza, per il diritto non
può che essere indiretta e va cercata all’esterno, negli interessi sui quali essi
interferiscono ( esempi: il negozio ed il fatto naturale. L’uno perché manifesta dal suo
interno i valori che il diritto assume e fa propri, gli interessi che il diritto stima
meritevoli di tutela e capaci di attingere già nella loro dignità pratica la loro energia
giuridica. Il fatto naturale al contrario, è inespressivo perché non è in grado di suggerire
quali nuove esigenze si siano prodotte in conseguenza del suo verificarsi ed in qual senso
esse premano per essere realizzate, sicchè una sua considerazione isolata non potrà
neppure dirci se si tratta di un fatto giuridicamente rilevante). Il fatto diventa giuridico,
solo all’interno di un più esteso contesto in cui, oltre ad esso, figurano gli interessi con
cui l’evento viene ad interferire.
Nei fatti incidenti su interessi non è il solo accadimento che ha rilevanza giuridica e
capacità di produrre effetti per il diritto, ma la fattispecie complessiva, nella quale il
fatto considerato si inerisce accidentalmente, e che nella totalità di aspetti naturali e
umani esprime quell’interesse che il fatto da solo non è in grado di rivelare. L’effetto
giuridico corrisponderà all’interesse considerato preminente. È, dunque, al contenuto
della fattispecie nella sua complessività e non al contenuto del fatto nella sua semplicità
fenomenica che il diritto adegua l’effetto. Di qui l’esigenza di tenere ben distinti i
concetti di fatto giuridico e fattispecie giuridica.
Il fatto rivelatore di interessi non si limita a introdurvi l’interesse di cui è diretto
portatore, ma interferisce anche con interessi giuridici esterni, causandone mutamenti
che il diritto dovrà considerare nel disporre l’effetto. L’interesse rivelato è la
componente dominante ma non il fattore esclusivo della situazione di interesse alla
quale il diritto commisura la situazione giuridica effettuale. In ciò trova il suo
fondamento la teoria dei piani di interesse, interni ed esterni al fatto giuridico
negoziale e si afferma la distinzione tra fatto giuridico e fattispecie giuridica, nonché
tra elementi semplici della fattispecie e fattispecie complessa. La seconda integrazione
risponde ad esigenze essenzialmente metodologiche. Ogni classificazione di fenomeni
giuridici, con la suddistinzione in categorie, classi, figure, muove dalla dimensione
fenomenologica per approdare alla dimensione assiologica. La sua utilità si misura dalla
capacità di ogni articolazione di rappresentare tipologie di valori giuridici di varia
estensione e, correlativamente, dalla sua attitudine a identificare problematiche
giuridiche uniformi e soluzioni normative unitarie. La classificazione mostra così la sua
utilità scientifica e pratica, favorendo l’assetto razionale del diritto positivo.

La distinzione tra fatti (in senso stretto) e atti ( in senso ampio) e la più appropriata
distinzione tra eventi e comportamenti.
Le proposte classificatore suggerite da Betti riguardano la distinzione di massima generalità
all'interno della categoria primaria Dei fenomeni giuridici temporali: la distinzione, cioè, tra fatto
e atto. Cardini di questa contrapposizione sono sempre i fattori spirituali della coscienza e della
volontà. Questa impostazione incontra molteplici difficoltà. La prima difficoltà sta nel modello del
negozio giuridico, e più propriamente questo nome della volontà in cui la tradizione dogmatica
soleva riporre l'essenza del negozio. Ma quale volontà? E. Zitelman aveva dimostrato come la
volontà potesse assumere rispetto all'atto due modalità diverse e presentarsi o come volontà
dell'atto Inteso nella sua materialità e oggettività (volontà del comportamento o volontà
immediata) o anche come volontà degli effetti che l'atto, per le potenzialità di cui per sua natura è
dotato, produce nell'ambito esterno, materiale o immateriale (volontà dell'evento o volontà
mediata). Perché ci sia la volontà mediata, che si aggiunge alla volontà immediata arricchendola e
rendendola più complessa, la situazione causata dall'atto nell'ambiente esterno deve formare
oggetto della rappresentazione e dell'intento dell'agente e fare parte del contenuto previsionale e
intenzionale dell'atto: la volontà acquista così una dimensione spaziale più estesa rispetto a quella
della sola volontà immediata, in quanto coinvolge insieme allo spazio del comportamento in sé, lo
spazio dell'ambiente esterno nel quale l'atto spiegato I suoi effetti. Nessuno effettiva estensione,
invece, per la dimensione temporale. Sicchè l'evento è già presente nell'atto nei modi della
previsione per quanto concerne la conoscenza e nei modi della intenzione relativamente alla
volontà. È perciò che la dottrina distingue la volontà dell'atto nella sua materialità e attualità dalla
volontà del contenuto dell'atto, che è anch'essa una volontà attuale ma riguarda le componenti
immateriali, previsionali e intenzionali Dell'atto medesimo. Una distinzione che, facendo leva sul
momento temporale e sul divario tra il presente il futuro della volontà,è meglio espressa
terminologicamente dalla contrapposizione tra una volontà attuosa è una volontà programmatica.
Ebbene, proprio in forza di questa distinzione, sistema generale della fattispecie è stato articolato
dalla dogmatica classica e tre concetti fondamentali: negozio, atto, fatto. Quando L'effetto giuridico
presuppone una contenuto di volontà conforme si ha il negozio; quando, invece, per l'esistere
dell'effetto il contenuto di volontà conforme diventa rilevante ma rimane necessaria la volontà di un
definito atteggiamento esteriore del corpo umano, si ha l'atto; quando, infine, l'effetto prescinde da
qualunque volontà, sia del contenuto sia del comportamento, si ha il mero fatto. Questa
classificazione non riusciva dimostrare che le figure diverse dal negozio avessero giuridicamente
una propria specifica rilevanza autonoma e fossero in grado di fare da sostegno a istituti o gruppi
di istituti indipendenti e a sistemi unitari di principi e di norme. Non lo ha provato neppure Betti, il
cui discorso ci dice che il fatto non è atto ma non ci dice nulla di cosa sia il fatto in sé, lasciando
così in ombra il fondamento della sua rilevanza giuridica. Ciò spiega perché egli riconduca al fatto
accadimenti così lontani tra loro da essere irriducibili ad unità quali gli eventi della natura e le
iniziative materiali dell'uomo ( per Betti costituiscono fatti e non atti la semina e la piantagione
perché a comportare l'acquisto da parte del proprietario del terreno sono i fatti naturali del
germogliare e del radicarsi delle piante nel fondo e non la volontà di chi ha seminato o piantato;
ma Betti considera anche fatti l'accessione e la specificazione in base all'osservazione che conta il
risultato dell'operare umano e non la coscienza e la volontà che possono guidare l'iniziativa
dell'uomo). È di tutta evidenza, però, che nulla possono avere in comune del diritto accadimenti
che fenomenologicamente stanno tra di loro a distanza incolmabile, perché i problemi sociali e
giuridici che pongono i fatti dell'uomo sono sempre necessariamente diversi da quelli causati dagli
eventi della natura. Il secondo ordine di difficoltà riguarda l'estensione e la delimitazione della
classe dei fatti giuridici in senso stretto, costituito dei fatti naturali, da quei fatti cioè che si
producono divina natura operante piuttosto che humana natura operante ( eventi che accadono
nella natura senza partecipazione dell'uomo e che tuttavia fanno parte del mondo umano perché
incidono su interessi umani). L'orientamento dottrinale, tendente a fare coincidere la classe del
fatto giuridico in senso stretto con il fenomeno del fatto naturale, eccede quando include nella
classe del fatto naturale eventi della esistenza fisica organica dell'uomo (nascita, crescita, morte)
Sulla base dell'osservazione superficiale che l'uomo condivide con la realtà a lui esterna le
componenti materiali della propria natura Bíofisica. La profonda diversità dei problemi sociali Gigi
di cui sono causa, rispettivamente, gli eventi materiali della natura ambientale gli eventi materiali
della natura umana, si ripercuote inevitabilmente nelle soluzioni giuridiche ha prestate dalla gita e
dal diritto. Di qui la necessità di isolare una distinte figure di eventi giuridici che accolga tutte e solo
le vicende relative alla vita materiale dell'uomo. L'eccesso riguarda, dunque, la nozione di fatto
naturale. Tuttavia la diversificazione tra fatto della natura e fatto della vita materiale dell'uomo fa
apparire come un difetto la configurazione del fatto giuridico perché, quella configurazione, non
considera affatto due interi gruppi di accadimenti che a titolo diverso rientrano nella medesima
classe di accadimenti di cui fanno parte i fatti naturali ed i fatti vitali: il gruppo dei fatti della vita
spirituale dell'individuo (fatti di coscienza) e il gruppo dei fatti dello spirito oggettivo delle società
singole e della società universale degli uomini (fatti socio-culturali). Gli Uni e gli altri per entrare
nella dimensione oggettiva della Giuridicità debbono emergere sul piano oggettivo della socialità.

Al terzo ordine di difficoltà dei nota la classe dell'atto come disegnata nella costruzione di Betti. È
prospettata una complessa articolazione fenomenologica Che si svolge molteplici sottospecie: la
dichiaratività, la comunicatività, la precettività, la autoregolamentazione di interessi. Coscienza e
volontà sono assunte da Betti come costanti possibili dell'atto e non come suoi caratteri universali,
sicché si resterebbe nell'ambito dell'atto anche se in concreto uno di essi o entrambi mancassero o
fossero viziati.queste ipotesi, infatti, rientrerebbero nella regola statistica e dovrebbero quindi
restare senza conseguenze apprezzabili sulla validità e sull'efficacia dell'atto. E invece non sempre
così. La patologia di fattori spirituali dell'atto a volte si traduce in forme di patologia giuridica. L'atto,
quale atteggiamento cosciente e volontario del soggetto, come non esaurisce
fenomenologicamente l'ambito delle iniziative dell'organismo umano, non lo esaurisce neppure
giuridicamente. Lato rappresenta solo una specie di una categoria più generale, la categoria del
comportamento: egualmente sul piano giuridico occorre definire una corrispondente categoria
generale, la categoria del comportamento giuridico, che include nel suo ambito sia le mere
iniziative biofisiche dell'uomo, incapaci per loro natura di varcare la soglia della coscienza, sia alle
più complesse iniziative umane nelle quali, alla componente biofisica di base si associa una
componente biopsichica, dalla quale il comportamento è tratto a valicare la soglia della coscienza
(atto giuridico). La nozione comune di fatto deve estendersi fino a comprendere oltre ai fatti
naturali, i fatti della vita materiale, i fatti della vita spirituale ed i fatti socio-Culturali. La nozione
comune di atto, a sua volta, va ulteriormente generalizzata in modo che nel suo ambito trovino
posto sia le mere iniziative biofisiche dell'uomo sia le iniziative più complesse, costituite da fattori
biofisici e da fattori Biopsichici. Dal fatto, dunque, all'evento; dall'atto al comportamento. Si delinea
così la distinzione tra eventi e comportamenti. Il quadro teorico che si è venuto a delineare
trascende da fenomeni giuridici temporali e si proietta sullo stesso concetto di diritto positivo. Nei
fatti di vita trova la sua origine del fenomeno dell'interesse. L'interesse, infatti, sta in rapporto
necessario con i fenomeni dell'esistenza dell'uomo, ed i fatti di vita rappresentano la dinamica
dell'esistenza umana. L'interesse estende il suo raggio di influenza su qualunque accadimento con
cui entra in rapporto con i fatti naturali e con i fatti socio-culturali. Ed entra soprattutto in rapporto
con il comportamento umano, che costituisce il veicolo primario con cui le esigenze dell'uomo,
trapassano nella dimensione oggettiva della giuridicità. Dunque, fatto di vita, situazione di
interesse e comportamento costituiscono nozioni strettamente complementari: nessuna di esse
potrebbe essere compresa a fondo senza le altre due.

Dalla distinzione tra atti ad evento fisico ed atti ad evento psichico alla più corretta
distinzione tra comportamenti attuosi e comportamenti significanti.
dovendo procedere a una radicale reimpostazione della classificazione nella cornice
della categoria dei comportamenti, la prima distinzione che occorre fissare è quella tra
comportamenti attuosi e comportamenti significanti. Sono attuosi i comportamenti che
causano immediatamente e attualmente una trasformazione delle situazioni di interesse
giuridicamente rilevanti, e piu specificamente i comportamenti che ne producono una
immediata e attuale realizzazione o una immediata e attuale lesione. Essi si esauriscono
nella realtà presente e non lasciano al diritto altra scelta se non quella di accettare e
garantire giuridicamente la trasformazione realizzata o invece quella di disapprovarla e
intervenire giuridicamente per rimuoverla o porvi altrimenti rimedio. Sono
caratteristicamente attuosi i comportamenti materiali ( la coltivazione di un fondo, la
costruzione di un edificio, la distruzione di un documento, l’omicidio, ecc) e i
comportamenti immateriali ( la creazione di un’opera artistica, la calunnia, l’ingiuria,
la diffamazione, ecc). la realtà trasformata è immateriale, ma non per questo meno
reale della realtà materiale. entrambe le figure hanno in comune il carattere della
efficacia trasformatrice della realtà e si distinguono per il dato variabile del diverso
campo di realtà trasformato. La nota fondamentale è,dunque, costituita dalla realtà
piuttosto che dalla materialità. Questi comportamenti si presentano di solito nella forma
di atti quando per loro natura esigono una qualche partecipazione della coscienza e
della volontà. Sono per opposizione inattuosi quei comportamenti che, pur condividendo
con i comportamenti attuosi l’appartenenza al mondo reale, non causano attualmente e
immediatamente la realizzazione o la lesione di un interesse giuridico. In conformità alla
distinzione tra fatti rivelatori di interessi pratici e fatti incidenti su interessi pratici, a
fronte dei comportamenti che incidono direttamente sulla situazione di interesse
causandone la realizzazione o la lesione, stanno i comportamenti che si limitano a
rivelarne l’esistenza. Nei fatti rivelatori, la situazione di interesse figura nel
comportamento in quanto il comportamento vi fa riferimento. Questo riferimento È
null'altro se non il fenomeno della significazione. Di conseguenza i comportamenti inattuosi si
presentano nel diritto nella veste di comportamenti significanti, segni di situazioni ad essi esterne:
di solito distinte nel tempo perché riferite al passato o al futuro, sempre coincidenti spazialmente
perché contenute nel comportamento che le significa. Alla base dei comportamenti inattuosi sta
pure l'idea generale di manifestazione. La significazione ricorre quando un fatto immediatamente
sensibile manifesta un altro fatto non immediatamente sensibile, sicché la percezione sensibile del
primo determina la presentazione del secondo. In questo senso generale, la manifestazione
include in sé la dichiarazione, che è anch'essa un fatto manifestativo di una situazione diversa è
adesso distinta. Ma in un senso più ristretto la manifestazione si contrappone la dichiarazione, in
quanto si avvale di segnali che annunziano la esistenza e la realtà della situazione di fatto esterna,
mentre la dichiarazione utilizza i simboli del linguaggio, che della situazione di fatto esterna non
sono in grado di annunziare nè l'esistenza nè la realtà ma unicamente di evocarne l'idea. I segni
che figurano nelle manifestazioni sono segnali. Nelle dichiarazioni figurano ,invece segni evocativi,
quali sono soltanto i segni del linguaggio, cioè simboli veri e propri. In entrambe le forme il
comportamento significante e doppiamente oggettivo: è oggettivo-materiale per la componente
biofisica del comportamento, ed è oggettivo-immateriale per la componente ideale significato. La
situazione significata è dunque la situazione di interesse in funzione della quale il diritto prende in
considerazione il comportamento significante. La manifestazione ha valore di fronte alla legge in
quanto denuncia interessi umani meritevoli di tutela giuridica. Una dichiarazione non può valere,
nonostante il suo operato morfologico, come manifestazione in senso giuridico. Il significato che
può giuridicamente rilevare nel comportamento significante deve consistere in un interesse pratico,
in un valore normativo della condotta. La rilevanza giuridica di un comportamento significante
consiste perciò nel fatto che esso segnala o simboleggia una situazione di vita che diviene di
massima situazione giuridica cioè opportunamente adattata dal diritto. . si è in presenza di un
atto significante, dunque, se il significato è rilevante, produce cioè conseguenze
giuridiche per il campo del diritto positivo. Non lo è nel caso opposto. Dichiarazione in
senso giuridicamente rilevante è ogni enunciato in cui venga significato qualcosa che equivale
praticamente ad una situazione giuridica completa: ogni dichiarazione, dunque, il cui significato,
vale a dire il fenomeno che l'atto simboleggia, è un equivalente diretto o indiretto della situazione
concreta. Egualmente diretto: cioè una fattispecie donde, attraverso norme che la prevedono, la
situazione giuridica è scaturita. Negli equivalenti si debbono quindi distinguere gli equivalenti diretti
e indiretti delle situazioni giuridiche: cioè i programmi ed i fatti. I programmi di attività soggettiva in
cui le situazioni si concretano ed i fatti giuridici da cui esse derivano in forza delle norme.
Dichiarazioni di programmi o, meglio ancora ,dichiarazioni programmatiche le une ,dichiarazione di
fatti o ,meglio ancora ,dichiarazioni di scienza le altre. La conseguenza finale di queste riflessioni è
che non sono efficaci, mere evocazioni simboliche Del tutto astratte dal loro significato pratico
reale, anche per questo lato è opportuno considerare il fenomeno simbolico dichiarativo e il
fenomeno inferenziale manifestativo come niente altro che due momenti ,distinti ma
complementari, di una figura essenzialmente umanitaria che è la manifestazione in senso ampio.
è lecito parlare ormai di manifestazione e di dichiarazione come equipollenti. Ed anzi,
daremo la preferenza alla voce dichiarazione.

Atto reale.
il fenomeno dell’atto reale nasce dall’esigenza volta a liberare l’istituto negoziale,
divenuto classico e egemonico, dalle figure di atti che un più attento esame rivelava
sprovviste delle caratteristiche ritenute essenziali al concetto di negozio. Sono sorte
diverse teorie riguardanti il fenomeno dell’atto reale, ed è opportuno esaminarle.

L’atto reale come atto non negoziale.


Un primo orientamento assegna all’atto reale l’etichetta di atto non negoziale e, quindi
, in contrapposizione con il negozio giuridico sotto alcuni aspetti che sono dati:
a) Dal concetto diverso della “componente volontaristica”.
b) Dalla contrapposizione degli effetti (ex voluntate per il negozio giuridico ed ex
lege per l’atto reale, in quanto, il primo consiste nella prospettazione di una
diretta corrispondenza degli effetti volontari del negozio all’interesse del
soggetto, e degli effetti legali dell’atto reale alle finalità del legislatore).
Queste contrapposizioni considerano l’atto reale, a differenza del negozio giuridico,
come un atto non negoziale.

L’atto reale come realizzazione di volontà.


L’assunto che gli effetti dell’atto reale sono di natura legale mentre hanno carattere
volontario gli effetti del negozio giuridico e la negazione che l’atto reale costituisca una
forma di autoregolamento di interessi e possa rientrare nell’ambito dell’autonomia
privata, devono essere portati a chiarimento.
a) Senza dubbio l’atto reale lecito è già una realizzazione di interessi mentre l’atto
negoziale è soltanto un progetto da realizzare. È per ciò che l’atto reale si
inquadra nella categoria dei comportamenti attuosi e il negozio giuridico nella
categoria dei comportamenti programmatici. Non vi può essere atta realizzativo
di interessi che non sia preceduto da un disegno operativo. Bisogna riconoscere
che l’atto reale lecito pone al diritto l’esigenza di un regolamento giuridico nuovo
ed in secondo luogo che in questo regolamento si rispecchia in larga misura
l’interesse dell’autore dell’atto nella sua attualità e nella sua tensione verso il
futuro. E così. Per questo aspetto, ciò che si constata è una profonda affinità tra
le due figure, perché entrambi gli atti sono il frutto di un orientamento
intenzionale dei soggetti e tendono a produrre effetti conformi ai loro interessi.
Questa affinità spiega perché tra i giuristi vi sia disparità di vedute sulla
collocazione di alcuni atti ( es. l’occupazione, il pagamento, la negotiorum
gestio, ecc).
b) Il profilo degli interessi configura gli effetti giuridici come una variabile
indipendente dalla fattispecie nell’atto reale e una variabile dipendente dal
contenuto dell’atto nel negozio giuridico. Totale libertà della legge, nel primo
caso, e totale vincolo nel secondo. Di qui la qualificazione degli effetti dell’atto
reale come effetti legali e degli effetti dell’atto negoziale come effetti volontari.
Alla libertà del legislatore corrisponde un vincolo del soggetto nell’atto reale ed
al vincolo del legislatore una libertà del soggetto nell’atto negoziale. Questa tesi
configura gli effetti dell’atto reale e gli effetti dell’atto negoziale come
rispondenti a scopi opposti, rispettivamente del legislatore e dell’autore
dell’atto. L’obiezione a tale tesi attiene alla posizione del legislatore ed alle
alternative “vincolo-libertà” e “scopi legali-scopi volontari” . l’interesse del
legislatore è l’interesse fondamentale della comunità alla regolamentazione
giuridica di ogni possibile interesse pratico che gli accadimenti della vita sociale,
provengano essi dagli individui o invece dalla stessa società, vanno evidenziando;
ed è presente in tutte le norme del sistema giuridico, qualunque sia il fatto
evidenziante, e perciò sia nell’atto reale come nel negozio giuridico. La posizione
del legislatore non è mai tutta libertà né mai tutta vincolo; gli interessi che esso
persegue non sono mai tutti della società né mai tutti dell’autore dell’atto. Esiste
un vincolo generale che lega il legislatore nel suo compito di dettare l’effetto
giuridico. L’effetto è sempre il risultato di una valutazione degli interessi che il
fatto fa emergere al livello della giuridicità ed in questo senso comporta la
subordinazione del diritto al fatto. Quella componente di libertà non può mai
mancare in ogni valutazione di interessi umani e in ogni presa di posizione sulla
loro tutela giuridica.
c) L’interesse è rimesso al libero apprezzamento dell’agente nell’atto reale non
diversamente da come avviene nel negozio giuridico. L’ordinamento giuridico,
prima di riconoscerlo, sottopone sempre l’interesse manifestato ad una propria
valutazione, sia di meritevolezza sia di compatibilità con altri interessi giuridici
interferenti e concorrenti. E questo atteggiamento è identico nell’atto reale e
nell’atto negoziale. Variano soltanto i criteri di adeguamento. Ma questa
variazione è dovuta alla diversità del momento in cui, nell’atto di esistenza
dell’interesse, si verifica l’intervento della legge. Nel negozio giuridico la legge
interviene sul progetto di realizzazione dell’interesse. Il suo, dunque, è un
intervento in prevenzione, che si avvale di strumenti giuridici preventivi
( validità-invalidità, efficacia-inefficacia, opponibilità-inopponibilità). Nell’atto
reale la legge interviene a realizzazione compiuta e deve perciò utilizzare
strumenti di adeguamento successivo: distributivi, compensativi, indennizzati.
Tali strumenti possono essere limitativi del regolamento realizzato dal soggetto ,
ma si tratta di limitazioni che sono presenti anche nell’atto negoziale e che
nell’atto reale sembrano di maggior peso solo perché intervengono quando
l’interesse è, non soltanto autoregolato, ma anche autorealizzato.
d) Conclusione: non si vede perché debba negarsi che l’atto reale costituisca un
fenomeno di autonomia privata alla stessa stregua dell’atto negoziale. Betti
contesta questa assimilazione facendo riferimento al profilo della volontà. Betti
non nega che nell’atto reale ricorrano coscienza e volontà, ma ritiene che rilevino
“ in misura assai più debole e in maniera più schematica che nel negozio
giuridico”. Una differente rilevanza della volontà nei due tipi di atto è
incontestabile, ma essa dipende esclusivamente dalla circostanza che nell’atto
reale la volontà è attuosa e nel negozio è programmatica. La volontà attuosa
porta l’interesse a farsi presente nella forma immediata e diretta della
realizzazione, che compendia e incorpora in sé stessa anche il programma
decisionale del soggetto. Di fronte all’interesse realizzato la volontà perde il suo
significato pratico e giuridico.

L’atto reale come realizzazione di interessi.


Il primo passaggio teorico è costituito dal rapporto tra atto reale e comportamento. A
costituire il secondo passaggio vale il rapporto tra atto reale e la classe specifica del
comportamento attuoso, mentre il terzo e ultimo passaggio si svolge interamente
all’interno del comportamento attuoso e porta a isolare l’atto reale dai
comportamenti attuosi da esso differenti. Il primo concetto che incontra la teoria
dell’atto reale è dunque quello di comportamento. Il concetto giuridico di
comportamento comprende ogni possibile iniziativa, esteriormente apprezzabile e
socialmente riconoscibile, del corpo e dell’organismo dell’uomo, orientata verso un
dato risultato. La configurazione oggettiva del comportamento non esclude la
rilevanza degli eventi soggettivi correlati e di quell’orientamento soggettivo che è
estraneo al concetto di comportamento ma che può assumere rilevanza giuridica in
fenomeni importanti. Riportato al concetto generale di comportamento, l’atto reale,
in quanto iniziativa del soggetto nel mondo esteriore ed oggettivo della realtà
giuridica, ottiene una prima essenziale individuazione ed una prima corretta
collocazione nella sistematica dei fatti giuridici. Sotto il primo profilo, l’atto reale va
definito come comportamento attuoso libero. Libero rispetto all’ambiente fisico;
rispetto alle leggi vitali dell’organismo; libero moralmente, cioè frutto di una
spontanea determinazione dell’autore. Quando l’orientamento soggettivo è richiesto
dalla legge, vengono in applicazione gli strumenti giuridici per la verifica della sua
esistenza ( interpretazione soggettiva) e della sua regolarità ( capacità di agire e
vizi del volere). Il passo ulteriore sta nel confronto dell’atto reale con la species del
comportamento di tipo attuoso. In questa specificazione l’atto reale si presenta
caratterizzato, oltre che dalla esteriorità e dalla oggettività, dalla sua attitudine ad
incidere attualmente ed effettivamente sulla realtà giuridicamente rilevante. Ma non
vi è, neppure, totale coincidenza tra comportamento attuoso e atto reale. Sono
comportamenti attuosi ma non atti reali gli atteggiamenti generali e diffusi che
assume il soggetto nel contesto della vita sociale fuori da ogni specifico rapporto con
persone o cose determinate. Queste figure di comportamento ricorrono
frequentemente nella realtà del diritto ed in essa assumono ruoli di non secondaria
importanza. Esemplifica efficacemente l’ipotesi di comportamenti attuosi diversi
dall’atto reale la condotta, espressione riassuntiva dei modi con i quali il soggetto si
comporta socialmente e dei valori ai quali impronta il suo tipo di vita. Essa, tra
l’altro, è assunta dal diritto come condizione di operatività di vari istituti. Di
maggiore importanza pratica e dogmatica, resta però quel comportamento attuoso
più definito e concentrato che, assunto verso persone e cose determinate, prende la
veste giuridica dell’atto reale. Atto reale è da considerare in prima risultati e di
opere. Esso trasforma il mondo reale, facendolo passare da una certa situazione
anteriore a una certa situazione posteriore nuova. L’attività del soggetto per fare
passare la realtà da una situazione anteriore alla situazione posteriore causa un
qualche mutamente nei beni e nelle persone sicchè, intervenuta l’attività ne
risultano variati la condizione o lo stato.

Le figure fondamentali di atto reale.


È di preminente importanza verificare se l’attività sia realizzatrice o invece lesiva di
interessi e valori. Alle due ipotesi corrispondono le figure dell’atto reale lecito e
dell’atto reale illecito. Quando è realizzatrice di interessi e valori, l’attività è
produttiva di una nuova utilità per un qualche soggetto o per la comunità. Nel caso
più definito la nuova utilità si concreta in un nuovo bene e l’atto reale si presenta
come atto produttivo ovvero quando il nuovo bene appartiene alla cultura
immateriale, come atto creativo. Ma la nuova utilità assume anche altre forme. Può
atteggiarsi come godimento ed eventualmente come consumo che sta all’estremo
opposto della produzione di un nuovo bene; può costituire l’oggetto di atti che
valgono a fissarla, determinando il tipo della fruizione assegnata alla cosa dalla
destinazione alla utilità, sia nel diritto privato ( dest. A pertinenza, a servitù, ecc) sia
nel diritto pubblico ( destinazione dei beni demaniali); può inerire ad attività che,
come nella consegna della cosa, comportano la circolazione materiale della
ricchezza, con la traslazione e lo spostamento immediato ed attuale dei beni.
Quando, invece, l’attività è lesiva di interessi e valori viene tendenzialmente e
normalmente astratta nella sfera dell’illecito tranne che, nell’atto lesivo si associno
aspetti di utilità. In questi casi, il diritto deve procedere ad una ponderazione tra gli
interessi lesi e gli interessi realizzati e la soluzione avrà soprattutto di mira la
conservazione dell’utilità realizzata e opererà con criteri compensativi agendo con i
due strumenti, dell’attribuzione dell’utilità ad uno dei soggetti e dell’attribuzione di
un indennizzo all’altro soggetto (es. nel diritto privato: la specificazione e
l’accessione. Nel diritto pubblico: l’occupazione acquisitiva). Un secondo criterio
che riguarda il punto di incidenza dell’atto reale, che può essere o il soggetto o
l’oggetto( la coabitazione nei rapporti coniugali), la persona o la cosa ( il possesso,
la detenzione, l’occupazione). Un terzo criterio fa riferimento alla circostanza, se la
situazione reale sulla quale opera il comportamento ha natura materiale ( come
nella costruzione su suolo altrui) ovvero natura immateriale ( come nella creazione
di un bene di cultura).

La teoria del negozio giuridico.


Il negozio giuridico nel quadro degli atti programmatici.
La dichiarazione viene suddivisa usualmente in tre classi: dichiarazione di
sentimento,di conoscenza e di volontà. Quest’ultima è, a sua volta, ripartita in due
sottotipi, a seconda che la volontà dichiarata sia attuosa o, invece, programmatica.
La prima forma l’atto reale, la seconda l’atto programmatico. Da questa prospettiva
strutturale-volontaristica, l’atto reale si contrappone all’atto programmatico perché
realizza integralmente l’intento del soggetto anziché limitarsi a progettarne la
realizzazione. Spostando l’angolo di osservazione alla prospettiva funzionale-
assiologica la distinzione tra attuosità e pro grammaticità si atteggia diversamente.
Programmazione o attuazione sono fenomeni distinti ma complementari rispetto
all’interesse giuridico, al quale entrambe si riferiscono. Ma, mente l’attuazione è
sempre giuridicamente rilevante, non sempre lo è la programmazione. Perché lo sia
occorre il concorso di almeno tre condizioni: che sussista,anzitutto, un tempo della
programmazione diverso dal tempo della realizzazione; che la programmazione si
renda oggettivamente evidente mediante un atto distinto da quello della
realizzazione; che il diritto disciplini e regoli distintamente l’atto della
programmazione rispetto all’atto della realizzazione. Quando si riscontrano tutte e
tre le suddette condizioni si è certamente in presenza di un atto programmatico.
Quando è presente solo qualcuna di esse ricorre il fenomeno dell’atto reale.
L’atto programmatico è una figura di portata generale ( natura esemplarmente
programmatica ha l’atto dei pubblici poteri che genera le norme legali di cui è
composto l’ordinamento giuridico. La stessa natura posseggono il provvedimento
amministrativo e la sentenza dei giudici, soprattutto quando producono effetti
giuridici innovativi, come programmi dell’azione umana). Nell’ambito del diritto
privato avanza da tempo la sua pretesa ad una posizione di eminenza il negozio
giuridico ( come l’istituto privatistico fondamentale). Il negozio giuridico, non
essendo in grado di realizzare gli interessi giuridici ma solo di evidenziarli e di
prospettarne la realizzazione, trova la sua collocazione tra gli atti programmatici, la
cui caratterizzazione sta, appunto, nella predisposizione dei modi e dei mezzi di
realizzazione dell’interesse. Poiché i soggetti che pongono in essere il negozio
giuridico, al pari del legislatore, dell’amministratore e del giudice per gli atti
programmatici di rispettiva competenza, non hanno altro mezzo per la realizzazione
dell’interesse giuridico se non l’azione umana, anche la programmazione negoziale
consiste in modalità e regole dell’agire degli uomini. Questo è il significato della
configurazione del negozio come esercizio dell’autonomia privata e come atto
giuridico che trova il suo tratto essenziale nella normatività.
Il negozio giuridico quale atto normativo: premesse alla distinzione fra
autoregolamento di interessi e autonomia individuale.
Se è chiaro che il negozio giuridico, in quanto atto programmatico, è un atto
normativo, resta da stabilire di che normatività si tratta. La normatività negoziale
veniva intesa, allo stesso modo della normatività legislativa, come disposizione di
regole giuridiche. Meno originale è la tesi che configura la normatività giuridica
dell’atto negoziale come una normatività indiretta. L’effetto negoziale è il prodotto
della legge, ma la legge è vincolata a modellarlo sul contenuto del regolamento
negoziale. È la legge che detta l’effetto, ma è il regolamento negoziale che ne
determina il contenuto. In entrambe le tesi, tra autoregolamento negoziale e
autonomia negoziale, vi è uno stretto rapporto di correlazione. Ciò che varia è il
modo di rappresentare questa correlazione. L’autoregolamento degli interessi è
sempre il prodotto diretto della iniziativa privata, ma l’autonomia privata, in quanto
programmazione delle regole di azione destinate a realizzare il regolamento degli
interessi, può essere interpretata o come potere diretto di porre le regole giuridiche
di realizzazione o invece come potere indiretto, di stabilire il contenuto delle regole
giuridiche di realizzazione dettate dalla legge. Entrambi i concetti esigono un
maggiore approfondimento. Betti configura l’autoregolamento come insieme di
norme che il soggetto pone a se stesso per regolare un proprio interesse, senza
rendersi conto della diversità delle problematiche che fanno capo a ciascuno dei due
concetti.

L’autoregolamento degli interessi.


Quale fenomeno pratico della vita umana e sociale, il regolamento di interessi, va
inteso come processo di attivazione delle esigenze dell’uomo, articolato nei due
momenti fondamentali, della determinazione degli interessi da portare a
realizzazione e della determinazione dei mezzi e dei modi per realizzarli.
Relativamente al primo momento, gli interessi, in quanto valori precostituiti alla vita
futura presentano sempre una certa indeterminazione, la quale costituisce un’aporia,
un impedimento allo svolgersi della vita spirituale verso i propri fini, e che perciò
deve essere eliminata. L’indeterminazione non è altro che una presa di conoscenza.
Per un secondo aspetto, l’indeterminazione ha un vero e proprio carattere
oggettivo. Gli interessi precostituiti non bastano a determinare le azioni e gli oggetti
capaci a soddisfare la vita futura. Si presenta la necessità di un’integrazione. Questa
necessità oggettiva di integrazione e predeterminazione ulteriore degli interessi,
dimostra che in ogni iniziativa programmatica e negoziale è presente un compito
preliminare incentrato sulla fissazione della situazione di interesse alla cui
realizzazione l’iniziativa è destinata. In quanto preliminare, la determinazione
dell’interesse entra nel contesto dell’atto programmatico che precede la disposizione
realizzativa, nella quale sono indicati i mezzi ed i modi per la realizzazione
dell’interesse. Le regole della determinazione operano nell’atto programmatico
come nell’atto reale operano le regole della realizzazione: come regole attuate e
non come regole da attuare. Poiché la realizzazione dell’interesse non può avvenire
che con la trasformazione della situazione reale esistente e poiché tale
trasformazione non si può verificare senza l’azione dell’uomo, le regole della
realizzazione non possono essere se non regole di azione proiettate nel futuro.

L’autonomia individuale.
Sul piano individuale la libertà si atteggia come pretesa dell’uomo di governare il
proprio destino, ponendo da sé le mete da raggiungere e imponendo a sé la disciplina
per realizzarle. Autodeterminazione e autodisciplina compongono nella loro
associazione il fenomeno dell’autonomia. L’autonomia individuale appartiene alla
morale individuale. Tuttavia la vita sociale è un regime di convivenza, nel quale la
vita di ciascuno si svolge accanto alla vita degli altri e la vita individuale è condotta
per una parte assai estesa come vita comune. Ciò è causa di vantaggi aggiuntivi
rispetto alla vita individuale, ma anche di aggiuntivi condizionamenti. Lo strumento
più alto e più efficace che la società offre ai suoi componenti è rappresentato dal
sistema complessivo della cultura sociale, all’interno del quale sta il sistema
culturale del diritto. Perciò l’idea di una pretesa individuale a conseguire effetti
giuridici di contenuto conforme alle regole programmate per la realizzazione degli
interessi individuali costituisce un vantaggio. Però, ai vantaggi aggiuntivi fanno
riscontro condizionamenti aggiuntivi. Essi assommano a due vincoli giuridici
fondamentali: la compatibilità degli interessi individuali con gli interessi individuali
degli altri componenti della società (proportio hominis ad nomine); la compatibilità
del sistema di interessi individuali col sistema degli interessi comuni ( communio
vitae). In questi limiti ha la sua base l eteronomia sociale, che nell’ ambito del
diritto si atteggia come eteronomia giuridica. Entrambi gli insiemi di regole,
dell’autonomia individuale e dell’eteronomia sociale, risultano doppiamente
condizionati ognuno all’esistenza ed ai sistemi di interessi dell’altro. L autonomia
individuale è condizionata all’eteronomia sociale in quanto essa senza le norme del
diritto non conseguirebbe il potenziamento di cui ha necessità per rendere più sicura
la realizzazione delle sue regole e degli interessi che la sostanziano. L’autonomia
individuale condiziona l’eteronomia sociale per almeno due ordini di ragioni date da
una posizione morale ( la coscienza spirituale dell’individuo, nella sua incoercibile
libertà resta giudice ultimo delle azioni da compiere) e da una posizione giuridica
( essa ed essa soltanto può evidenziare socialmente quegli interessi individuali che,
nella ricerca di una loro più estesa e più efficace realizzazione, hanno dato origine
alla formazione della società e che, a società formata, hanno sempre conservato un
largo spazio nel sistema culturale del diritto). Eteronomia sociale e autonomia
individuale costituiscono dunque fenomeni universali del diritto.

Il nesso fra autoregolamento degli interessi e autonomia individuale.


L’autoregolamento di interessi è un fenomeno pregiuridico e tale resta fino a quando
l’autonomia giuridica individuale non lo porta nell’ambito della giuridicità,
evidenziandolo socialmente sia quanto agli interessi da realizzare sia quanto ai mezzi
e ai modi programmati per la sua realizzazione. L’autonomia giuridica individuale,
venendo a contatto con l’eteronomia giuridica sociale, nel condurre
l’autoregolamento entro la sfera della giuridicità lo sottopone ad un processo
giuridico di adattamento quanto agli interessi e ad un processo giuridico di
adeguamento quanto alle regole di realizzazione. L’autonomia giuridica individuale
non può configurarsi come potere dell’individuo di introdurre i propri interessi nel
sistema degli interessi sociali e giuridici, e come potere di introdurre le proprie
regole di realizzazione nel sistema della regole di azione dell’ordinamento giuridico.
Tuttavia deve egualmente riconoscersi nell’autonomia giuridica individuale un potere
di incidenza, quanto agli interessi e quanto alle regole di realizzazione,
sull’ordinamento giuridico da parte dell’individuo. L’autonomia giuridica individuale
si atteggia diversamente a seconda che si sia in presenza di un atto reale o invece di
un atto programmatico. Nel caso dell’atto reale l’autonomia giuridica individuale si
specifica come potere del soggetto di mettere in esecuzione i modi e i mezzi
adottati per la realizzazione del suo sistema di interessi, salvo a dovere subire le
rettifiche ed i rimedi imposti dal diritto a conclusione del processo di adeguamento
degli effetti giuridici al sistema complessivo di interessi coinvolto dal
comportamento. Nell’atto programmatico l’autonomia giuridica individuale si
specifica,invece, nel potere di formulare ed evidenziare, ancor prima di attuarlo, il
programma di realizzazione dell’interesse, affinchè l’assistenza del diritto
accompagni nel suo corso la stessa attività realizzativa. è legittimo considerare
l’autonomia individuale come uno strumento giuridico fondamentale per la tutela del
valore etico-giuridico fondamentale della libertà dell’individuo nella vita sociale e
giuridica. ( etico nella sua origine, ma anche e necessariamente giuridico nella sua
attuazione perchè l’autonomia individuale non sarebbe in grado di muovere i
meccanismi della giuridicità se non facesse essa stessa parte dell’ordinamento). Deve
essere chiaro che l’autonomia individuale, nella sua veste giuridica, non può essere
intesa nel senso che venga riconosciuta all’individuo anche la scelta, se lasciare la
sua programmazione fuori del diritto affidandone l’attuazione alla forza morale
dell’impegno e alle regole del costume, ovvero introdurla nel campo sociale della
giuridicità. Il fenomeno dell’autonomia non è esclusivo del diritto privato, ma trova
applicazione anche nel diritto pubblico, nell’ambito del quale esistono centri
molteplici di interessi ai quali è riservato uno specifico spazio giuridico ad un
autonomo campo di evidenziazione e di realizzazione ( l’autonomia parlamentare, gli
atti normativi ed i provvedimenti con i quali si esercita l’autonomia del governo,
ecc).

Ritorno alla distinzione fra comportamenti programmatici e comportamenti


attuosi.
L’applicazione al diritto privato delle due categorie generale dei comportamenti
programmatici e dei comportamenti attuosi, conduce alla identificazione delle due
classi del negozio giuridico e dell’atto reale. Se sulla figura dell’atto reale la dottrina
non ha acceso polemiche, non così è avvenuto per la figura del negozio giuridico. Da
un verso si contesta la validità scientifica del concetto, giudicato come un’arbitraria
astrazione priva di quella aderenza alla realtà che solo al contratto potrebbe essere
riconosciuta (attualità effettiva). Dall’altro verso se ne esalta l’importanza,
configurando il negozio giuridico, come un sistema normativo originario o come un
ordinamento autonomo che la legge può soltanto recepire. Queste posizioni non
rendono giustizia alla figura negoziale. Il negozio giuridico è un modello
rappresentativo fissato con i simboli del linguaggio e con gli strumenti apprestati alla
logica. Se poi il concetto di negozio giuridico non appare riflettere le profonde
trasformazioni dell’esperienza giuridica attuale, la responsabilità non è del fenomeno
ma del modello proposto per rappresentarlo. Dall’altro verso il negozio giuridico
assolve un compito insostituibile perchè raccoglie la vasta e variegata fenomenologia
degli atti programmatici del diritto privato.

Il dimensionamento dogmatico dell’istituto negoziale.


La dogmatica classica configurava il negozio giuridico come un prodotto della
volontà. Questa impostazione è ancora presente nel pensiero di Betti. Riportato il
fenomeno negoziale nella cornice del comportamento, non si incontra difficoltà
alcuna ad impostarne una interpretazione oggettivistica. La interpretazione
oggettivistica sposta il fulcro del negozio giuridico dal momento soggettivo della
volontà al momento oggettivo dell’interesse. Tuttavia il negozio giuridico, che è
indissolubilmente legato alle esigenze superiori dell’uomo, entra in stretto rapporto
con la dimensione specificamente umana della spiritualità. E si apre così il capitolo
delle relazioni, nell’ambito del fenomeno negoziale, tra le componenti oggettive del
comportamento e dell’interesse e le componenti spirituali della coscienza e della
volontà. Al centro della fattispecie negoziale sta la dichiarazione, nella quale è
contenuta la programmazione di risultati e di opere. Il diritto in linea di principio non
accorda rilevanza e tutela a mere programmazioni. Il sistema normativo del diritto
consiste nell’assistere i soggetti nella realizzazione di quelle esigenze di vita che
appaiono socialmente meritevoli di riconoscimento e sostegno. Solo se questa
valutazione risulta positiva, la programmazione assume rilevanza per il diritto e si
traduce nelle situazioni giuridiche che l’accompagnano verso la realizzazione. Questa
esigenza umana costituisce la causa del negozio giuridico. Causa negoziale è
l’interesse umano per la cui realizzazione è predisposta una programmazione di
risultati e di opere. Una volta costituito, l’interesse acquista una sua oggettività che
può renderlo insensibile alle anomalie del processo di formazione dell’atto da cui è
stato generato e, per contro, può presentare anomalie sue proprie, indipendenti da
ogni legame con la volontà. È per ciò che si distinguono, nel regolamento giuridico
del negozio, le irregolarità riguardanti il volere dalle irregolarità relative alla
causa. Per quanto riguarda le prime se la volontà è inesistente o viziata, ciò non può
non avere prodotto conseguenze sull’interesse denunziato nella dichiarazione
negoziale. Nel rapporto tra anomalie della coscienza e della volontà ed anomalie
dell’interesse, queste ultime una posizione preminente, correlativamente al ruolo di
gran lunga più importante che spetta all’interesse rispetto agli altri elementi della
fattispecie negoziale, e invalidano il negozio anche se coscienza e volontà siano
presenti o indenni da vizi. Per contro, vicende patologiche riflettenti il volere
possono non pregiudicare la sorte del negozio giuridico quando non siano in grado di
mettere in forse la esistenza medesima dell’interesse complessivo rappresentato nel
negozio. è da tenere in conto che il negozio giuridico si presenta anzitutto nel suo
aspetto oggettivo ed esteriore di comportamento e che il risalimento agli
antecedenti soggettivi della coscienza e della volontà comporta la necessità per il
diritto di dosare con grande prudenza il peso dei valori individuali che spingono a
dare rilievo giuridico ai fattori soggettivi della coscienza e della volontà. Le ragioni
della struttura portano a implicazioni rigide sia nella ricerca del significato del
negozio in quanto comportamento significante, e così ad escludere altri criteri
ermeneutici che non siano quelli della interpretazione oggettiva, sia in tema di
efficacia negoziale, non potendo trovare giustificazione effetti giuridici che siano del
tutto difformi dal contenuto della volontà dichiarata.

La configurazione del negozio giuridico come atto programmatico di fronte ai


problemi: a. dei negozi di attuazione; b. delle dichiarazioni di volonta’ non
negoziali.
La riconduzione del negozio giuridico nell’alveo dell’atto programmatico si deve
misurare con due difficoltà. Esse sono rappresentate dalle ipotesi dottrinali dei
negozi di attuaizone e delle dichiarazioni di volontà non negoziali. Se tali ipotesi
fossero confermate, risulterebbe: da una parte che esistono negozi giuridici non
programmatici e, dall’altra parte, che esistono atti programmatici che non sono
negozi giuridici. Nel negozio di attuazione si verificherebbe la concentrazione, in un
unico atto, della formulazione e dell’attuazione del regolamento di interessi, con la
conseguenza che non vi sarebbe nè spazio giuridico nè tempo giuridico per la
programmazione. Esempi richiamati dai sostenitori della figura dei negozi di
attuazione costituiscono tutte modalità manifestative della dichiarazione negoziale.
Lo sono caratteristicamente le ipotesi ricomprese sotto l’etichetta delle
dichiarazioni tacite: di accettazione dell’eredità , di revoca del testamento, e
simili. La c.d. forma tacita non e’ altro che una delle due possibili modalità della
dichiarazione nel senso lato di comportamento significante: una dichiarazione per
segnali anzichè una dichiarazione per simboli linguistici. Ma il problema non riguarda
la forma della dichiarazione negoziale, quanto invece il fenomeno sostanziale della
concentrazione, nel medesimo atto, della prospettazione del regolamento di
interessi e della sua realizzazione. Un’obiezione radicale si oppone all’idea di un
negozio giuridico nel cui contesto si concentrino programmazione e realizzazione del
regolamento di interessi. Se davvero nel medesimo atto si verificasse una tale
concentrazione non si sarebbe in presenza di un atto programmatico e di un negozio
giuridico ma di un atto reale. Il carattere proprio dell’atto reale e’ appunto di essere
realizzativo nell’interesse e con esso del relativo regolamento e programma. Al fine
di aggirare l’obiezione, che l’accorpamento di esecuzione e manifestazione del
medesimo atto conduca la fattispecie sotto il paradigma dell’atto reale, Campagna
ricorre all’accorgimento di considerare rilevante l’intento solo nel caso del negozio e
irrilevante nel caso dell’atto reale. L’itinerario dogmatico così disegnato è
certamente ingegnoso ma esige incisive rettifiche e sostanziali integrazioni. Allara,
poiche’ la norma giuridica è una modalità assiologica dell’azione, non vi può essere
effetto giuridico che non esiga, per realizzarsi, di tradursi nel fare; e, a sua volta,
non può esistere un fare che, consistendo in un comportamento dell’uomo, non
presenti una componente di natura fisica ed organica, e perciò materiale. La realtà
dell’effetto giuridico, che è sempre una realtà immateriale nel momento in cui
l’effetto sorge, si atteggia sempre come realtà materiale nel momento in cui
l’effetto trova la sua attuazione. Materiale è l’osservanza di un dover-fare. Lo è
anche quando l’adempimento del dovere si atteggi come comportamento omissivo,
perché l’omissione è un atteggiamento del corpo e dell’organismo dell’uomo. Ma
materiale è pure l’esercizio del poter-fare, che consiste sempre in un
comportamento umano. Può variare il modo con cui si presenta nella dichiarazione
negoziale il riferimento al programma di azioni deputate al risultato cui tende il
negozio. Il riferimento può essere diretto o indiretto, oppure in parte diretto o in
parte indiretto. È diretto quando la dichiarazione negoziale annunzia le azioni
esecutive del programma in essa prefigurato. È , invece, indiretto se la dichiarazione
negoziale si appoggia a una preesistente situazione giuridica nella quale si era
tradotto un preesistente programma di azioni. Questa seconda ipotesi ricorre nei
negozi ad efficacia modificativa od estintiva, il cui programma di azioni si innesta,
modificandolo o estinguendolo, nel programma di azioni dal quale è scaturita la
situazione giuridica modificata o estinta. La terza ipotesi, di un riferimento in parte
diretto e in parte indiretto al programma di azioni, ricorre nei casi in cui la
dichiarazione negoziale si fraziona in più dichiarazioni parziali, di cui una od alcune
soltanto contengono il riferimento diretto al programma di azioni mentre l’altra o le
altre ne sono prive. In ogni atto negoziale, dunque, il riferimento al programma di
azioni è necessario e con esso si deve misurare l’azione realizzatrice. Il medesimo
atto appartiene a due momenti negoziali differenti: alla fattispecie negoziale per la
sua valenza programmatica e manifestativa dell’interesse che presiede alla
programmazione; all’effetto negoziale per la cui valenza esecutiva del programma e
realizzativa dell’interesse. Si rende evidente la sua fragilita’ teorica. La realizzazione
del programma negoziale non sta nella fattispecie del negozio giuridico ma nella
situazione giuridica che ne costituisce l’effetto. La caducazione del diritto
rinunziato, la liberazione dal vincolo contrattuale o societario da cui si sia receduti,
il consolidamento della efficacia del negozio convalidato, sono tutti effetti giuridici
che subentrano dopo che si sono esaurite le fattispecie della rinunzia, del recesso,
della convalida. La realizzazione non fa parte dell’atto ma dell’effetto. In secondo
luogo, l’effetto giuridico consiste sempre in una modalità giuridica dell’azione e
l’azione, in quanto comportamento umano, ha una necessaria componente di
materialità.
a. Ogni effetto giuridico è costituito da una modalità assiologica dell’azione umana,
nelle alternative generali del dovere e del potere, corrispondenti alle modalità
assiologiche generale della necessità e della possibilità.
b. La dimensione temporale di ogni effetto giuridico si scandisce in due fasi ( quella
in cui si costituiscono il dovere o il potere di azione; e quella in cui il dovere
viene osservato e il potere esercitato).
c. Vi è un tempo della nascita dell’effetto nella sua potenzialità e prospetticità.
La vicenda normativa si articola, dunque, in tre fasi e in tre tempi diversi: la fase ed il
tempo del fatto giuridico, che coincidono con la formazione ed il completamento della
fattispecie; la fase ed il tempo dell’effetto giuridico, che iniziano al completamento
del ciclo di formazione del fatto giuridico; la fase ed il tempo della realizzazione
dell’effetto giuridico, che è quello della realizzazione dell’interesse giuridico. Nel
tempo della realizzazione è sempre presente la materialità che del comportamento
costituisce la base fondamentale. Va considerato un ulteriore profilo che riguarda il
rapporto tra autonomia giuridica individuale ed eteronomia giuridica sociale.
L’ipotesi dei negozi di attuazione si risolve nell’isolamento di un gruppo di negozi,
programmatici come tutti gli altri negozi e nei quali: la dichiarazione programmatica
assume la forma manifestativa del comportamento concludente; la realizzazione del
programma non richiede la collaborazione di terzi nè può essere ostacolata da
opposizioni altrui.
Quanto all’ipotesi degli atti programmatici non negoziali, bisogna riallacciarsi ad una
distinzione tra dichiarazione di volontà negoziali e dichiarazioni di volontà non negoziali.
La volontà si atteggia necessariamente come volontà programmatica che è il tipo di
volontà caratterizzata dal negozio giuridico. Ne consegue che il criterio differenziale
deve stare fuori sia dalla dichiarazione sia dalla volontà. Non resta, allora, che riporlo in
quello che, come sappiamo, è il nucleo sostanziale di ogni fatto giuridico: nella
situazione di interesse da cui muove la dichiarazione e nel tipo di efficacia che vi
corrisponde. Deve trattarsi di un interesse che il diritto ha già conosciuto, valutato e
reso giuridicamente efficace; e tuttavia suscettibile di sviluppi interni che debbono
essere determinati e concretizzati in una programmazione complementare ( es. figura
dell’intimazione. L’apparente contraddittorietà, tra il contenuto programmatico della
dichiarazione dell’intimante e la incapacità dell’intimazione di costituire un nuovo
effetto conforme al proprio contenuto, spiega la perplessità della dottrina nella
collocazione dell’intimazione tra le dichiarazioni negoziali e tra le dichiarazioni non
negoziali. Ma , in realtà, non esiste alcun aspetto contraddittorio. Presupposto
indeclinabile della validità e della efficacia della intimazione è la preesistenza giuridica
dell’obbligazione. Essa produce effetti giuridici del tutto conformi all’interesse
manifestato dal dichiarante).

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