Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
La teoria generale del negozio giuridico di Betti e la classificazione dei fatti giuridici.
Nel tracciato di una teoria generale dei fatti giuridici e nell’inserimento al suo interno
della figura specifica del negozio giuridico sta la dimensione transtemporale in cui Betti
colloca lo studio della figura negoziale: è questo, notoriamente, il metodo adottato
dalla sistematica, pandettistica e postpandettistica, in Germania. Nell’ambito del fatto
giuridico in senso lato vengono distinti i fatti giuridici in senso stretto dagli atti giuridici
e, all’interno di quest’ultimi, gli atti leciti dagli atti illeciti. Il fatto giuridico ( in senso
stretto) è differenziato dall’atto giuridico ( in senso lato) secondo il criterio
volontaristico: l’atto, diversamente dal fatto, impegna nella valutazione giuridica la
coscienza e la volontà dell’autore. Ma qui viene introdotta una prima variante: secondo
Betti, ciò che rileva per il diritto non sono la coscienza e la volontà che in concreto
accompagnano e determinano l’atto, ma la coscienza che di solito lo accompagna e la
volontà che normalmente lo determina. Se della tradizione classica permane
dichiaratamente la impostazione volontaristica del percorso che conduce al negozio
giuridico, si evidenziano nello stesso tempo segni di cedimento ad istanze
oggettivistiche. Questa coesistenza di spinte contraddittorie si rileva nella sua effettiva
portata ripercorrendo l’itinerario seguito da Betti, muovendo dal concetto di atto e
dalla sua distinzione rispetto al fatto, alla figura del negozio giuridico. Isolato l’atto dal
fatto, Il passo ulteriore è compiuto utilizzando la distinzione proposta da Francesco
Carnelutti tra atti ad evento fisico e atti ad evento psichico, a seconda che l’effetto di
cui l’atto è causa, abbia natura materiale o invece natura intellettiva. All’interno degli
atti ad evento psichico vengono ricavate la specie della dichiarazione comunicativa e poi
ancora la sottospecie della dichiarazione precettiva. Il modello ultimo, propriamente
negoziale, risulta identificato coniugando la componente strutturale della precettività
( conservativa dell’insegnamento classico nella configurazione del negozio come specie
dell’atto) con la componente funzionale dell’autoregolamento di interessi ( innovativa
rispetto a quell’insegnamento allorchè introduce, come caratterizzante il negozio, il
momento spurio, in quanto compare per la prima volta per la definizione del negozio
mentre non è presente nella definizione dell’atto, dell’interesse). La distinzione tra atto
e fatto è parallela alla distinzione tra soggetto e oggetto. Come il soggetto introduce
nella nozione dell’oggetto i fattori della vita e della coscienza, così, parallelamente,
nella nozione fatto, l’atto introduce i fattori della vita umana e della coscienza
spirituale. Tuttavia, questo parallelismo non è perfetto, perché vita e umanità da un
verso, coscienza e volontà dall’altro, non sono la stessa cosa. L’umanità fa valere le sue
istanze giuridiche ancora prima della vita, nella realtà fisica e materiale di cui è fatta
l’esistenza dell’individuo e la coesistenza nella comunità; e, naturalmente, ancora
prima della volontà, come dimostra la situazione dei soggetti incapaci di volere. D’altra
parte, secondo una classificazione psicologica, la coscienza si distingue nelle tre
direzioni del sentimento, della conoscenza e della volontà. Perciò la volontà è
sempre coscienza, ma non sempre la coscienza è volontà. L’atto introduce nel fatto la
volontà che è la coscienza concentrate nella volontà. In tutto ciò si manifesta una
asimmetria se si riflette che la volontà come fonte degli atti umani sta alla base del
mondo pratico dell’uomo e che il mondo giuridico è essenzialmente un mondo pratico,
costituito soprattutto dalle attività e volontà dei soggetti umani. Ma questo generico
ruolo del volere nella dinamica della vita umana e sociale, come non comporta che il
diritto sia spiegabile in termini di volontà, non implica nemmeno che la fenomenologia
dei fatti giuridici faccia perno sul fattore psichico del volere. È ovvio che l’atto giuridico
non è il solo fatto specificamente umano che sia giuridicamente rilevante. Il diritto
accorda effettiva rilevanza a fatti che non sono volontari e nondimeno sono specifici
dell’uomo.
I metodi di classificazione dei fatti giuridici e il criterio assiologico pratico.
Tra il fatto e l’effetto esiste sempre e necessariamente un rapporto di conformità. Se il
diritto dispone l’effetto in relazione ad un fatto non può che trovare in quest’ultimo il
referente per la determinazione dell’effetto. Esiste, dunque, una relazione di
corrispondenza tra i due termini. L’effetto è essenzialmente destinato ad adeguare
l’intervento del diritto alla situazione di interesse inerente al fatto. La relazione di
corrispondenza rispecchia l’adeguamento di un determinato effetto ad una determinata
situazione di interesse portata dal fatto giuridico. La vera nota caratteristica del negozio
sta in un peculiare atteggiarsi degli effetti che la legge attribuisce all’attività dei
privati. Ciò che conta è l’esistenza di atti a cui la legge non fa seguire il proprio effetto
se questo effetto non sia già prefigurato nella struttura interna degli atti medesimi.
L’effetto muta in funzione del mutare del fatto; il termine “funzione” ha qui il suo
stretto senso logico-matematico di rapporto di corrispondenza definita tra due insiemi di
valori variabili . l’esistenza del nesso funzionale non è messa in forse dalla circostanza
che il campo di variabilità dei valori sia chiuso dentro limiti determinati. Quella sfera di
efficacia dell’atto che sconfina dal campo di variazione concomitante tra ciò che le parti
stabiliscono e ciò che stabilisce la legge, è la sfera degli effetti inderogabili. Ove ogni
corrispondenza mancasse, verrebbe a mancare anche la figura del negozio. Qual è il
tipo speciale di corrispondenza che si rinviene nel negozio giuridico? A quale
elemento della fattispecie negoziale attinge il diritto per dare un contenuto ai suoi
effetti? Alla volontà. La volontà di programmare la condotta sulla quale il diritto
modella l’effetto; l’atto in quanto manifestazione di volontà, si caratterizza per ciò che
rivela “ il paradigma delle conseguenze giuridiche”. La volontà negoziale non è della
legge ma del soggetto che pone in essere il negozio ed al legislatore spetta soltanto di
prevederla come ipotesi di verificazione possibile. Vi sono ipotesi negoziali in cui
l’effetto segue senza fondarsi su un contenuto di volontà conforme, ma non hanno
intaccato il principio della esistenza di un rapporto di tipica corrispondenza. Si è
supposto che il rapporto di corrispondenza tra fatto ed effetto, non essendo fondato
sulla volontà, debba essere quanto meno fondato sulla dichiarazione in quanto puro
fatto di linguaggio e con esclusione di qualsiasi riferimento a contenuti volontaristici. Si
prospetta così la tesi che ogni efficacia di tipo negoziale debba ricondursi alla
componente dichiarativa. Si confrontano due significati oggettivi: il significato
oggettivo della dichiarazione ( o della manifestazione) normativa e il significato
oggettivo della dichiarazione ( o manifestazione) negoziale. Evidentissimo rilievo ha
l’oggettività del linguaggio come fonte diretta di efficacia giuridica se si guarda, anziché
agli atti, agli oggetti in cui il linguaggio prende corpo, cioè ai documenti anziché alle
dichiarazioni. Le dichiarazioni, come atti e serie di atti ( processi) temporalmente
definiti, accusano più presto il loro limite nel tempo, e sono poi difficili a ricostruire
nella loro esatta entità. Invece i documenti sono pezzi di vita spirituale cristallizzata e
solidificata, congiunti a una materia stabile, e così meno esposti alla sorte di involuzione
nel tempo di quanto non siano le persone e gli atti spirituali. Appunto per la loro
maggiore stabilità e durata, i documenti sono più idonei ad esprimere e a significare
socialmente interessi di enti e di istituzioni, di gruppi e di collettività, interessi che si
legano a valori sociali stabili e duraturi, trascendenti la vita dei soggetti fisici. Il
crescente uso di crescenti tipologie di comunicazione enfatizza l’oggettività e
l’autonomia del documento sia rispetto alla volontà sia rispetto alla dichiarazione orale,
facendo emergere la tendenza ad uno modalità di formalizzazione prevalentemente
documentale. L’interpretazione non è soltanto di natura oggettiva, ma di natura
oggettivo-formale, attestata all’aspetto linguistico e semantico. Tuttavia l’effetto si
conforma al da là della dichiarazione, all’interesse sostanziale cui la dichiarazione fa
riferimento. L’effetto è essenzialmente destinato ad adeguare giuridicamente l’interesse
e solo in quanto quest’ultimo si rispecchia nella dichiarazione, quest’ultima, a sua volta,
è in grado di rispecchiare l’effetto. Qui sta la chiave di tutto il problema: la direzione,
l’ampiezza, i limiti, infine la stessa essenza del rapporto di conformità quando collega a
determinate classi di fatti determinate classi di effetti. Come l’effetto rappresenta il
valore giuridico in concreto, così il fatto denota il valore pregiuridico cui il diritto
intende accordare tutela. Il valore giuridico concreto trova sempre il suo sostegno in un
valore pregiuridico, di portata individuale o sociale, che risulta meritevole di tutela.
Espressione di questo principio è la norma, posta in materia contrattuale, dall’art. 1322
c.c.
Questo rapporto è dunque un rapporto tra valori. Il significato che si ricerca nella
dichiarazione negoziale per identificare gli effetti del negozio giuridico è sì un
significato oggettivo ma, in quanto determinato dalle parole come meri simboli, va
integrato con note aggiuntive tratte dall’interesse reale, può assumere più precisamente
un significato “oggettivo sostanziale”.
I fatti da soli non costituiscono mai valori giuridici e, il diritto, pone come sue proprie,
esigenze storicamente condizionate. Vi è sempre tra fatto ed effetto una relazione di
significato giuridico determinato e positivamente definibile. I tipi del collegamento tra
fatto ed effetto hanno sempre rilevanza per il giurista. Solo mediante la loro analisi e
definizione si è in grado di ricostruire la fisionomia degli istituti giuridici. Questa
fisionomia è adeguatamente caratterizzata tra i valori giuridici concreti e le situazioni e
gli interessi di fatto da cui questi valori sono storicamente condizionati e determinati.
La teoria sostenuta che vede nella norma un rapporto di valori, vuole offrire una
interpretazione più adeguata di dell’idea di fatto giuridico che è ogni situazione del
mondo esterno in cui emergono e si manifestano valori individuali o collettivi che, a
causa della loro rilevanza sociale, sono tema di valutazione giuridica. Il criterio
assiologico-pratico qui delineato necessita di due ordini di integrazioni. La prima
integrazione deriva dalla distinzione tra fatti rivelatori di interessi pratici e fatti
incidenti su interessi pratici. Negli uni si manifestano e si affermano direttamente le
situazioni di interesse, sicchè in essi emerge dall’interno in forma immediata il valore
che il diritto prende in considerazione; negli altri, invece, non si evidenzia direttamente
alcuna situazione di interesse, sicchè la ragione della loro rilevanza, per il diritto non
può che essere indiretta e va cercata all’esterno, negli interessi sui quali essi
interferiscono ( esempi: il negozio ed il fatto naturale. L’uno perché manifesta dal suo
interno i valori che il diritto assume e fa propri, gli interessi che il diritto stima
meritevoli di tutela e capaci di attingere già nella loro dignità pratica la loro energia
giuridica. Il fatto naturale al contrario, è inespressivo perché non è in grado di suggerire
quali nuove esigenze si siano prodotte in conseguenza del suo verificarsi ed in qual senso
esse premano per essere realizzate, sicchè una sua considerazione isolata non potrà
neppure dirci se si tratta di un fatto giuridicamente rilevante). Il fatto diventa giuridico,
solo all’interno di un più esteso contesto in cui, oltre ad esso, figurano gli interessi con
cui l’evento viene ad interferire.
Nei fatti incidenti su interessi non è il solo accadimento che ha rilevanza giuridica e
capacità di produrre effetti per il diritto, ma la fattispecie complessiva, nella quale il
fatto considerato si inerisce accidentalmente, e che nella totalità di aspetti naturali e
umani esprime quell’interesse che il fatto da solo non è in grado di rivelare. L’effetto
giuridico corrisponderà all’interesse considerato preminente. È, dunque, al contenuto
della fattispecie nella sua complessività e non al contenuto del fatto nella sua semplicità
fenomenica che il diritto adegua l’effetto. Di qui l’esigenza di tenere ben distinti i
concetti di fatto giuridico e fattispecie giuridica.
Il fatto rivelatore di interessi non si limita a introdurvi l’interesse di cui è diretto
portatore, ma interferisce anche con interessi giuridici esterni, causandone mutamenti
che il diritto dovrà considerare nel disporre l’effetto. L’interesse rivelato è la
componente dominante ma non il fattore esclusivo della situazione di interesse alla
quale il diritto commisura la situazione giuridica effettuale. In ciò trova il suo
fondamento la teoria dei piani di interesse, interni ed esterni al fatto giuridico
negoziale e si afferma la distinzione tra fatto giuridico e fattispecie giuridica, nonché
tra elementi semplici della fattispecie e fattispecie complessa. La seconda integrazione
risponde ad esigenze essenzialmente metodologiche. Ogni classificazione di fenomeni
giuridici, con la suddistinzione in categorie, classi, figure, muove dalla dimensione
fenomenologica per approdare alla dimensione assiologica. La sua utilità si misura dalla
capacità di ogni articolazione di rappresentare tipologie di valori giuridici di varia
estensione e, correlativamente, dalla sua attitudine a identificare problematiche
giuridiche uniformi e soluzioni normative unitarie. La classificazione mostra così la sua
utilità scientifica e pratica, favorendo l’assetto razionale del diritto positivo.
La distinzione tra fatti (in senso stretto) e atti ( in senso ampio) e la più appropriata
distinzione tra eventi e comportamenti.
Le proposte classificatore suggerite da Betti riguardano la distinzione di massima generalità
all'interno della categoria primaria Dei fenomeni giuridici temporali: la distinzione, cioè, tra fatto
e atto. Cardini di questa contrapposizione sono sempre i fattori spirituali della coscienza e della
volontà. Questa impostazione incontra molteplici difficoltà. La prima difficoltà sta nel modello del
negozio giuridico, e più propriamente questo nome della volontà in cui la tradizione dogmatica
soleva riporre l'essenza del negozio. Ma quale volontà? E. Zitelman aveva dimostrato come la
volontà potesse assumere rispetto all'atto due modalità diverse e presentarsi o come volontà
dell'atto Inteso nella sua materialità e oggettività (volontà del comportamento o volontà
immediata) o anche come volontà degli effetti che l'atto, per le potenzialità di cui per sua natura è
dotato, produce nell'ambito esterno, materiale o immateriale (volontà dell'evento o volontà
mediata). Perché ci sia la volontà mediata, che si aggiunge alla volontà immediata arricchendola e
rendendola più complessa, la situazione causata dall'atto nell'ambiente esterno deve formare
oggetto della rappresentazione e dell'intento dell'agente e fare parte del contenuto previsionale e
intenzionale dell'atto: la volontà acquista così una dimensione spaziale più estesa rispetto a quella
della sola volontà immediata, in quanto coinvolge insieme allo spazio del comportamento in sé, lo
spazio dell'ambiente esterno nel quale l'atto spiegato I suoi effetti. Nessuno effettiva estensione,
invece, per la dimensione temporale. Sicchè l'evento è già presente nell'atto nei modi della
previsione per quanto concerne la conoscenza e nei modi della intenzione relativamente alla
volontà. È perciò che la dottrina distingue la volontà dell'atto nella sua materialità e attualità dalla
volontà del contenuto dell'atto, che è anch'essa una volontà attuale ma riguarda le componenti
immateriali, previsionali e intenzionali Dell'atto medesimo. Una distinzione che, facendo leva sul
momento temporale e sul divario tra il presente il futuro della volontà,è meglio espressa
terminologicamente dalla contrapposizione tra una volontà attuosa è una volontà programmatica.
Ebbene, proprio in forza di questa distinzione, sistema generale della fattispecie è stato articolato
dalla dogmatica classica e tre concetti fondamentali: negozio, atto, fatto. Quando L'effetto giuridico
presuppone una contenuto di volontà conforme si ha il negozio; quando, invece, per l'esistere
dell'effetto il contenuto di volontà conforme diventa rilevante ma rimane necessaria la volontà di un
definito atteggiamento esteriore del corpo umano, si ha l'atto; quando, infine, l'effetto prescinde da
qualunque volontà, sia del contenuto sia del comportamento, si ha il mero fatto. Questa
classificazione non riusciva dimostrare che le figure diverse dal negozio avessero giuridicamente
una propria specifica rilevanza autonoma e fossero in grado di fare da sostegno a istituti o gruppi
di istituti indipendenti e a sistemi unitari di principi e di norme. Non lo ha provato neppure Betti, il
cui discorso ci dice che il fatto non è atto ma non ci dice nulla di cosa sia il fatto in sé, lasciando
così in ombra il fondamento della sua rilevanza giuridica. Ciò spiega perché egli riconduca al fatto
accadimenti così lontani tra loro da essere irriducibili ad unità quali gli eventi della natura e le
iniziative materiali dell'uomo ( per Betti costituiscono fatti e non atti la semina e la piantagione
perché a comportare l'acquisto da parte del proprietario del terreno sono i fatti naturali del
germogliare e del radicarsi delle piante nel fondo e non la volontà di chi ha seminato o piantato;
ma Betti considera anche fatti l'accessione e la specificazione in base all'osservazione che conta il
risultato dell'operare umano e non la coscienza e la volontà che possono guidare l'iniziativa
dell'uomo). È di tutta evidenza, però, che nulla possono avere in comune del diritto accadimenti
che fenomenologicamente stanno tra di loro a distanza incolmabile, perché i problemi sociali e
giuridici che pongono i fatti dell'uomo sono sempre necessariamente diversi da quelli causati dagli
eventi della natura. Il secondo ordine di difficoltà riguarda l'estensione e la delimitazione della
classe dei fatti giuridici in senso stretto, costituito dei fatti naturali, da quei fatti cioè che si
producono divina natura operante piuttosto che humana natura operante ( eventi che accadono
nella natura senza partecipazione dell'uomo e che tuttavia fanno parte del mondo umano perché
incidono su interessi umani). L'orientamento dottrinale, tendente a fare coincidere la classe del
fatto giuridico in senso stretto con il fenomeno del fatto naturale, eccede quando include nella
classe del fatto naturale eventi della esistenza fisica organica dell'uomo (nascita, crescita, morte)
Sulla base dell'osservazione superficiale che l'uomo condivide con la realtà a lui esterna le
componenti materiali della propria natura Bíofisica. La profonda diversità dei problemi sociali Gigi
di cui sono causa, rispettivamente, gli eventi materiali della natura ambientale gli eventi materiali
della natura umana, si ripercuote inevitabilmente nelle soluzioni giuridiche ha prestate dalla gita e
dal diritto. Di qui la necessità di isolare una distinte figure di eventi giuridici che accolga tutte e solo
le vicende relative alla vita materiale dell'uomo. L'eccesso riguarda, dunque, la nozione di fatto
naturale. Tuttavia la diversificazione tra fatto della natura e fatto della vita materiale dell'uomo fa
apparire come un difetto la configurazione del fatto giuridico perché, quella configurazione, non
considera affatto due interi gruppi di accadimenti che a titolo diverso rientrano nella medesima
classe di accadimenti di cui fanno parte i fatti naturali ed i fatti vitali: il gruppo dei fatti della vita
spirituale dell'individuo (fatti di coscienza) e il gruppo dei fatti dello spirito oggettivo delle società
singole e della società universale degli uomini (fatti socio-culturali). Gli Uni e gli altri per entrare
nella dimensione oggettiva della Giuridicità debbono emergere sul piano oggettivo della socialità.
Al terzo ordine di difficoltà dei nota la classe dell'atto come disegnata nella costruzione di Betti. È
prospettata una complessa articolazione fenomenologica Che si svolge molteplici sottospecie: la
dichiaratività, la comunicatività, la precettività, la autoregolamentazione di interessi. Coscienza e
volontà sono assunte da Betti come costanti possibili dell'atto e non come suoi caratteri universali,
sicché si resterebbe nell'ambito dell'atto anche se in concreto uno di essi o entrambi mancassero o
fossero viziati.queste ipotesi, infatti, rientrerebbero nella regola statistica e dovrebbero quindi
restare senza conseguenze apprezzabili sulla validità e sull'efficacia dell'atto. E invece non sempre
così. La patologia di fattori spirituali dell'atto a volte si traduce in forme di patologia giuridica. L'atto,
quale atteggiamento cosciente e volontario del soggetto, come non esaurisce
fenomenologicamente l'ambito delle iniziative dell'organismo umano, non lo esaurisce neppure
giuridicamente. Lato rappresenta solo una specie di una categoria più generale, la categoria del
comportamento: egualmente sul piano giuridico occorre definire una corrispondente categoria
generale, la categoria del comportamento giuridico, che include nel suo ambito sia le mere
iniziative biofisiche dell'uomo, incapaci per loro natura di varcare la soglia della coscienza, sia alle
più complesse iniziative umane nelle quali, alla componente biofisica di base si associa una
componente biopsichica, dalla quale il comportamento è tratto a valicare la soglia della coscienza
(atto giuridico). La nozione comune di fatto deve estendersi fino a comprendere oltre ai fatti
naturali, i fatti della vita materiale, i fatti della vita spirituale ed i fatti socio-Culturali. La nozione
comune di atto, a sua volta, va ulteriormente generalizzata in modo che nel suo ambito trovino
posto sia le mere iniziative biofisiche dell'uomo sia le iniziative più complesse, costituite da fattori
biofisici e da fattori Biopsichici. Dal fatto, dunque, all'evento; dall'atto al comportamento. Si delinea
così la distinzione tra eventi e comportamenti. Il quadro teorico che si è venuto a delineare
trascende da fenomeni giuridici temporali e si proietta sullo stesso concetto di diritto positivo. Nei
fatti di vita trova la sua origine del fenomeno dell'interesse. L'interesse, infatti, sta in rapporto
necessario con i fenomeni dell'esistenza dell'uomo, ed i fatti di vita rappresentano la dinamica
dell'esistenza umana. L'interesse estende il suo raggio di influenza su qualunque accadimento con
cui entra in rapporto con i fatti naturali e con i fatti socio-culturali. Ed entra soprattutto in rapporto
con il comportamento umano, che costituisce il veicolo primario con cui le esigenze dell'uomo,
trapassano nella dimensione oggettiva della giuridicità. Dunque, fatto di vita, situazione di
interesse e comportamento costituiscono nozioni strettamente complementari: nessuna di esse
potrebbe essere compresa a fondo senza le altre due.
Dalla distinzione tra atti ad evento fisico ed atti ad evento psichico alla più corretta
distinzione tra comportamenti attuosi e comportamenti significanti.
dovendo procedere a una radicale reimpostazione della classificazione nella cornice
della categoria dei comportamenti, la prima distinzione che occorre fissare è quella tra
comportamenti attuosi e comportamenti significanti. Sono attuosi i comportamenti che
causano immediatamente e attualmente una trasformazione delle situazioni di interesse
giuridicamente rilevanti, e piu specificamente i comportamenti che ne producono una
immediata e attuale realizzazione o una immediata e attuale lesione. Essi si esauriscono
nella realtà presente e non lasciano al diritto altra scelta se non quella di accettare e
garantire giuridicamente la trasformazione realizzata o invece quella di disapprovarla e
intervenire giuridicamente per rimuoverla o porvi altrimenti rimedio. Sono
caratteristicamente attuosi i comportamenti materiali ( la coltivazione di un fondo, la
costruzione di un edificio, la distruzione di un documento, l’omicidio, ecc) e i
comportamenti immateriali ( la creazione di un’opera artistica, la calunnia, l’ingiuria,
la diffamazione, ecc). la realtà trasformata è immateriale, ma non per questo meno
reale della realtà materiale. entrambe le figure hanno in comune il carattere della
efficacia trasformatrice della realtà e si distinguono per il dato variabile del diverso
campo di realtà trasformato. La nota fondamentale è,dunque, costituita dalla realtà
piuttosto che dalla materialità. Questi comportamenti si presentano di solito nella forma
di atti quando per loro natura esigono una qualche partecipazione della coscienza e
della volontà. Sono per opposizione inattuosi quei comportamenti che, pur condividendo
con i comportamenti attuosi l’appartenenza al mondo reale, non causano attualmente e
immediatamente la realizzazione o la lesione di un interesse giuridico. In conformità alla
distinzione tra fatti rivelatori di interessi pratici e fatti incidenti su interessi pratici, a
fronte dei comportamenti che incidono direttamente sulla situazione di interesse
causandone la realizzazione o la lesione, stanno i comportamenti che si limitano a
rivelarne l’esistenza. Nei fatti rivelatori, la situazione di interesse figura nel
comportamento in quanto il comportamento vi fa riferimento. Questo riferimento È
null'altro se non il fenomeno della significazione. Di conseguenza i comportamenti inattuosi si
presentano nel diritto nella veste di comportamenti significanti, segni di situazioni ad essi esterne:
di solito distinte nel tempo perché riferite al passato o al futuro, sempre coincidenti spazialmente
perché contenute nel comportamento che le significa. Alla base dei comportamenti inattuosi sta
pure l'idea generale di manifestazione. La significazione ricorre quando un fatto immediatamente
sensibile manifesta un altro fatto non immediatamente sensibile, sicché la percezione sensibile del
primo determina la presentazione del secondo. In questo senso generale, la manifestazione
include in sé la dichiarazione, che è anch'essa un fatto manifestativo di una situazione diversa è
adesso distinta. Ma in un senso più ristretto la manifestazione si contrappone la dichiarazione, in
quanto si avvale di segnali che annunziano la esistenza e la realtà della situazione di fatto esterna,
mentre la dichiarazione utilizza i simboli del linguaggio, che della situazione di fatto esterna non
sono in grado di annunziare nè l'esistenza nè la realtà ma unicamente di evocarne l'idea. I segni
che figurano nelle manifestazioni sono segnali. Nelle dichiarazioni figurano ,invece segni evocativi,
quali sono soltanto i segni del linguaggio, cioè simboli veri e propri. In entrambe le forme il
comportamento significante e doppiamente oggettivo: è oggettivo-materiale per la componente
biofisica del comportamento, ed è oggettivo-immateriale per la componente ideale significato. La
situazione significata è dunque la situazione di interesse in funzione della quale il diritto prende in
considerazione il comportamento significante. La manifestazione ha valore di fronte alla legge in
quanto denuncia interessi umani meritevoli di tutela giuridica. Una dichiarazione non può valere,
nonostante il suo operato morfologico, come manifestazione in senso giuridico. Il significato che
può giuridicamente rilevare nel comportamento significante deve consistere in un interesse pratico,
in un valore normativo della condotta. La rilevanza giuridica di un comportamento significante
consiste perciò nel fatto che esso segnala o simboleggia una situazione di vita che diviene di
massima situazione giuridica cioè opportunamente adattata dal diritto. . si è in presenza di un
atto significante, dunque, se il significato è rilevante, produce cioè conseguenze
giuridiche per il campo del diritto positivo. Non lo è nel caso opposto. Dichiarazione in
senso giuridicamente rilevante è ogni enunciato in cui venga significato qualcosa che equivale
praticamente ad una situazione giuridica completa: ogni dichiarazione, dunque, il cui significato,
vale a dire il fenomeno che l'atto simboleggia, è un equivalente diretto o indiretto della situazione
concreta. Egualmente diretto: cioè una fattispecie donde, attraverso norme che la prevedono, la
situazione giuridica è scaturita. Negli equivalenti si debbono quindi distinguere gli equivalenti diretti
e indiretti delle situazioni giuridiche: cioè i programmi ed i fatti. I programmi di attività soggettiva in
cui le situazioni si concretano ed i fatti giuridici da cui esse derivano in forza delle norme.
Dichiarazioni di programmi o, meglio ancora ,dichiarazioni programmatiche le une ,dichiarazione di
fatti o ,meglio ancora ,dichiarazioni di scienza le altre. La conseguenza finale di queste riflessioni è
che non sono efficaci, mere evocazioni simboliche Del tutto astratte dal loro significato pratico
reale, anche per questo lato è opportuno considerare il fenomeno simbolico dichiarativo e il
fenomeno inferenziale manifestativo come niente altro che due momenti ,distinti ma
complementari, di una figura essenzialmente umanitaria che è la manifestazione in senso ampio.
è lecito parlare ormai di manifestazione e di dichiarazione come equipollenti. Ed anzi,
daremo la preferenza alla voce dichiarazione.
Atto reale.
il fenomeno dell’atto reale nasce dall’esigenza volta a liberare l’istituto negoziale,
divenuto classico e egemonico, dalle figure di atti che un più attento esame rivelava
sprovviste delle caratteristiche ritenute essenziali al concetto di negozio. Sono sorte
diverse teorie riguardanti il fenomeno dell’atto reale, ed è opportuno esaminarle.
L’autonomia individuale.
Sul piano individuale la libertà si atteggia come pretesa dell’uomo di governare il
proprio destino, ponendo da sé le mete da raggiungere e imponendo a sé la disciplina
per realizzarle. Autodeterminazione e autodisciplina compongono nella loro
associazione il fenomeno dell’autonomia. L’autonomia individuale appartiene alla
morale individuale. Tuttavia la vita sociale è un regime di convivenza, nel quale la
vita di ciascuno si svolge accanto alla vita degli altri e la vita individuale è condotta
per una parte assai estesa come vita comune. Ciò è causa di vantaggi aggiuntivi
rispetto alla vita individuale, ma anche di aggiuntivi condizionamenti. Lo strumento
più alto e più efficace che la società offre ai suoi componenti è rappresentato dal
sistema complessivo della cultura sociale, all’interno del quale sta il sistema
culturale del diritto. Perciò l’idea di una pretesa individuale a conseguire effetti
giuridici di contenuto conforme alle regole programmate per la realizzazione degli
interessi individuali costituisce un vantaggio. Però, ai vantaggi aggiuntivi fanno
riscontro condizionamenti aggiuntivi. Essi assommano a due vincoli giuridici
fondamentali: la compatibilità degli interessi individuali con gli interessi individuali
degli altri componenti della società (proportio hominis ad nomine); la compatibilità
del sistema di interessi individuali col sistema degli interessi comuni ( communio
vitae). In questi limiti ha la sua base l eteronomia sociale, che nell’ ambito del
diritto si atteggia come eteronomia giuridica. Entrambi gli insiemi di regole,
dell’autonomia individuale e dell’eteronomia sociale, risultano doppiamente
condizionati ognuno all’esistenza ed ai sistemi di interessi dell’altro. L autonomia
individuale è condizionata all’eteronomia sociale in quanto essa senza le norme del
diritto non conseguirebbe il potenziamento di cui ha necessità per rendere più sicura
la realizzazione delle sue regole e degli interessi che la sostanziano. L’autonomia
individuale condiziona l’eteronomia sociale per almeno due ordini di ragioni date da
una posizione morale ( la coscienza spirituale dell’individuo, nella sua incoercibile
libertà resta giudice ultimo delle azioni da compiere) e da una posizione giuridica
( essa ed essa soltanto può evidenziare socialmente quegli interessi individuali che,
nella ricerca di una loro più estesa e più efficace realizzazione, hanno dato origine
alla formazione della società e che, a società formata, hanno sempre conservato un
largo spazio nel sistema culturale del diritto). Eteronomia sociale e autonomia
individuale costituiscono dunque fenomeni universali del diritto.