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RICCARDO MORRI: DA ALVITO ALLA CAMPAGNA ROMANA.

VIAGGI DI BRACCIANTI E
IMPRENDITORI TRA ‘800 E ‘900.
Prefazione.
Tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi anni del Novecento l’agricoltura italiana è stata caratterizzata
da spostamenti dettati da esigenze stagionali, infatti la differenza di clima tra le aree montane e quelle di
pianura determina lo sfasamento dei cicli stagionali e dà quindi la possibilità di partire per prestare, in
determinate stagioni, lavoro lontano da casa. Questi spostamenti determinano la possibilità di integrazione
tra territori diversi. Nell’Italia centro-meridionale possono essere individuati due circuiti: il primo interessa
Marche, Umbria, Abruzzo e le aree montuose del Lazio e da qui arriva la manodopera per i lavori agricoli e
di allevamento necessarie nella Campagna e nell’Agro Romano, mentre il secondo coinvolge la Campania,
che raccoglie le genti provenienti da Abruzzo, Puglia, Basilicata e Calabria. Gli spostamenti avvenivano a
piedi e per compagnie, gruppi cioè che scendevano dalle colline o dalle montagne per cercare ulteriori mezzi
di sussistenza e che, se non trovavano possibilità nel lavoro agricolo, si mettevano in viaggio come
girovaghi, suonatori ambulanti o figurinai, cioè davano pronostici per il futuro attraverso delle carte pescate
da un uccellino. In questo scenario si colloca la vicenda migratoria che ha avuto origine dal Comune di
Alvito, nella Valle di Comino, quindi nel Regno di Napoli, che ha portato moltissime persone presso la
Campagna Romana; si è calcolato che tra il 1871 e il 1936 un terzo della popolazione si era assentata dalla
città originaria. Studiare un tale fenomeno ovviamente comporta capacità di controllo ed elaborazione delle
fonti statistiche, bibliografiche, archivistiche, ecc., e Morri ha raggiunto risultati significativi, considerando
che da Alvito sono partite anche persone con capacità imprenditoriali che hanno segnato l’inizio di forti
cambiamenti, per esempio Domenico Lanza ebbe il merito di introdurre l’aratro con bilanciere monovomere,
in grado di dissodare i suoli dell’agro romano, particolarmente duri dato che sono costituiti da polveri
vulcaniche. I Borghese avevano già fatto arrivare dalla Scozia la prima trebbiatrice a vapore, mentre i
Rospigliosi avevano già cominciato ad usare la falciatrice; l’innovazione contribuì, ovviamente, alla
modernizzazione della produzione agricola e al cambiamento del paesaggio, non solo con le opere di
dissodamento e bonifica, ma anche portando alla sostituzione del latifondo cerealicolo e pascolativo con
colture intensive e specializzate. L’emigrazione da Alvito porta però a chiedersi perché arrivare a Roma e
non a Napoli; per rispondere a questo interrogativo bisogna andare oltre i numeri e comprendere piuttosto il
comportamento umano, il modo di sentire il luogo, la coscienza degli individui, quindi privilegiare il
soggetto e non l’oggetto, il luogo e non lo spazio geografico. Infatti Alvito intratteneva con Roma rapporti
come le vendite dei prodotti agricoli, allevamento e artigianato. La ricerca di Morri considera anche questi
fattori, spiega quindi i rapporti tra la popolazione e il territorio che hanno contribuito a imprimere segni
particolari al territorio stesso.
Introduzione. Le numerose testimonianze sull’impiego di lavoratori stagionali nelle tenute romane sono
numerose e ribadiscono l’importanza delle migrazioni presso la Campagna Romana, che accolse non solo
braccianti ma anche imprenditori provenienti dal Lazio, dall’Abruzzo, dal Molise, dalla Marche e
dall’Umbria. Solo raramente però, nell’analisi dei dati migratori, ci si è soffermati sulle diverse aree di
provenienza dei migranti, soprattutto in considerazione del Lazio e dei cosiddetti ciociari, la cui importanza
viene spesso sottovalutata. Eppure proprio dalla provincia di Frosinone e in particolare da Alvito proveniva
Domenico Lanza, conferito del titolo di Cavaliere del lavoro; oltre lui, sono proprio coloro che provenivano
da Alvito ad essere i protagonisti dei movimenti migratori e delle trasformazioni che hanno interessato la
Campagna Romana. Fonti archivistiche, letterarie e iconografiche hanno consentito di ricostruire, oltre al
contesto di arrivo, quello di partenza e di stabilire che non solo nella Campagna Romana, ma anche in altre
aree intorno alla capitale la presenza ciociara è stata abbondante .A motivare la presenza di così tanti
migranti a Roma possono intervenire vari fattori, documentati da decine di opere; per esempio si potrebbe
pensare tale spostamento come la conseguenza dei tentativi di miglioramento del territorio cercando di
debellare spopolamento, malaria e paludi per ottimizzare lo sfruttamento dei territori, oppure per la sue
caratteristiche fisiche, igienico-sanitarie o l’assetto economico. Quindi attraverso questa molte di domande e
fonti Morri conduce la propria ricerca per chiarire in quale ambito e contesto si è scelto di muoversi.
Capitolo 1: Il fenomeno delle migrazioni stagionali nella sua dimensione storica, sociale ed economica.
Pur uscendo unificata dalle guerre d’indipendenza a livello politico, il processo di industrializzazione
continua a risentire della frammentazione preunitaria e continuerà a risentirne per vario tempo; era
soprattutto a Napoli, nel Milanesee nel Genovese che erano nati apparati industriali, mentre la rete
ferroviaria, che si era rivelata fondamentale nello sviluppo economico di altri Paesi sia perché favoriva il
trasporto delle merci che la velocità delle comunicazioni, in Italia era ancora molto arretrata, inoltre la stessa
agricoltura rimarrà arretrata nonostante le riforme varate nel periodo compreso l’unità e il regime
mussoliniano, fortemente autarchico. L’arretratezza economica e le pessime condizioni economiche di chi
contava sul lavoro agricolo contribuivano a non far scemare il problema delle migrazioni, il cui studio non
fu di facile approccio, soprattutto per motivazioni di ordine politico, infatti si era incerti se assecondare o
limitare gli spostamenti per una questione di ordine pubblico; tale soluzione è quella adottata dal fascismo,
che chiuse i confini, limitando gli spostamenti interni alla regolarizzazione, cioè al popolamento di zone
disabitate. L’inchiesta Jacini del 1884 mette in risalto le condizioni di arretratezza economica
dell’agricoltura italiana e le pessime condizioni di vita dei suoi addetti, chiarendo in questo modo il contesto
in cui si svolgevano le migrazioni stagionali. Le rilevazioni dell’Ufficio del Lavoro indicarono sei aree di
meta di fenomeni di immigrazione stagionale, ovvero:1. I paesi delle risaie del bassopiano padano, come
Vercelli, Novara e Pavia;2. Le sedi della bachicoltura e della cerealicoltura, come Brescia, Cremona,
Mantova e Verona; 3. La pianura grossetana per la raccolta di olive, il taglio dei boschi e al preparazione del
carbone;4. La Campagna romana per la cerealicoltura e la transumanza;5. Le Puglie per cerealicoltura,
viticoltura e raccolta delle olive;6. La Basilicata, per la mietitura nei mesi estivi. Era quindi soprattutto la
Campagna romana ad accogliere coloro che cercavano lavori legati alla pastorizia e all’agricoltura,
provenienti da Marche, Umbria, Abruzzo, Lazio meridionale e Campania, organizzati in compagnie e poi in
sottogruppi in base alle attività svolte nei tre tipi di azienda diffusi nella Campagna, ovvero:• L’azienda del
campo, legata alla coltivazione della terra;• L’azienda del procoio, legata all’allevamento bovino ed equino;•
L’azienda della masseria, legata all’industria ovina. Per le condizioni di vita e di lavoro in cui si trovavano
questi soggetti, per loro era praticamente necessario muoversi da una parte all’altra, mantenendo condizioni
di vita precarie e in stato nomade o seminomade a seconda di una circolarità legata alla stagionalità. Per
studiare i fatti si può fare riferimento a un arco di tempo compreso tra il 1871 e il 1936,cioè il primo
censimento del Regno d’Italia con capitale Roma e l’ultimo censimento prebellico; il processo di
modernizzazione delle campagne trova una prima risposta solo dopo il primo decennio del 20 secolo,
quando vengono meno le difficoltà legate alla frammentazione italiana preunitaria. Infatti sembra crescere la
piccola proprietà contadina e si verifica una sorta di transazione dalle zone montane a quelle di pianura e
collina. Nel Lazio ciò avviene in maniera graduale nell’arco di 60 anni e mantenendo comunque come fulcro
principale il territorio intorno a Roma; le migrazioni interne con queste caratteristiche cessano con la Prima
guerra mondiale, che muta in generale la società, mentre dopo la Seconda guerra mondiale cambiano
radicalmente le migrazioni, le mete di destinazione, la lunghezza dei percorsi e la durate degli spostamenti.
Pur non rappresentando l’unico fulcro migratorio del Lazio, la Valle di Comino ha una serie di
caratteristiche che sono state fondamentali affinché l’attenzione si concentrasse sugli individui residenti in
questa zona del Lazio, poiché avendo una connotazione agricola piuttosto spiccata, da questo comune
emigrarono contadini e pastori. A incidere in particolare sull’interesse a investigare sui flussi provenienti da
questa valle anche il fatto questa zona è stata considerata prima provincia di Caserta e solo successivamente
provincia di Frosinone, quindi sospesa tra due regioni comunque importanti nell’ambito della fornitura di
manodopera agricola. Data l’ampiezza del periodo cronologico, sono stati considerati i registri di stato civile
del solo comune di Alvito, il cui nucleo originale risale all’11 secolo ma che si sviluppò pienamente nel 16
secolo; tra il 16 e il 17 secolo infatti è il Cardinale Tolomeo Gallio, e poi i suoi successori, a prendere il
possesso del ducato di Alvito; egli era una figura di rilievo nello Stato pontificio, in quanto era stato
segretario personale di Papa Pio IV, quindi rappresenta anche un elemento di coordinazione tra lo Stato della
Chiesa e quei territori del Lazio. Nel 1861 Alvito, pur essendo il secondo comune per popolazione per
comune della Valle di Comino, rimane ai margini della crescita economica e produttiva, contribuendo a
mantenere viva la tradizione migratoria verso la Campagna Romana; per meglio definire questi spostamenti
temporanei sarebbe utile definire al meglio i percorsi compiuti da questa gente, ma ciò deve essere ancora
fatto. Si è parlato di Campagna Romana perché limitare l’ambito di riferimento prima al solo Agro Romano
e poi ai limiti amministrativi del Comune di Roma risultò insufficiente dato che si è registrata la presenza di
abitanti di Alvito anche in zone al di fuori di questi confini; c’è inoltre da dire che vari fattori avevano inciso
sulla carenza di popolazione, e quindi di manodopera, in quella zona, ovvero l’eccessiva pressione fiscale
esercitata dallo Stato pontificio, oltre che le precarie condizioni di vita a causa della malaria. Lo sviluppo
sociale ed economico di questi territori dunque sembrava essere impedito quasi per natura; nel frattempo si
andava costituendo, a scapito della masse contadine, il patrimonio fondiario della borghesia. Di lì a poco
anche il verificarsi del cosiddetto fenomeno della sovrappopolazione artificiale delle campagne, poiché il
mancato impiego nell’industria causò l’eccessiva quantità di manodopera agricola favorendo non solo
l’emigrazione verso l’estero ma anche i flussi migratori interni, non solo di contadini ma anche di
imprenditori.
Capitolo 2: La valle di Comino. Dai censimenti condotti tra gli anni 1861-1936 si registrano delle
differenze tra l’andamento demografico dei comuni della Valle di Comino e del Circondario di Sora, uno dei
5 della zona. Infatti si registra un calo in entrambe, ma molto più contenuto nel Circondario, mentre nella
Valle e soprattutto ad Alvito il calo è notevole e si aggrava tra il 1921 e il 1936 a causa del parallelo
processo di spopolamento, mentre il Circondario dimostra capacità di contenimento più spiccate; inoltre
negli anni precedenti il ’21 la popolazione aumenta costantemente, un dato che a primo impatto potrebbe
risultare sorprendente considerando che parallelamente aumentava anche l’emigrazione verso l’estero, che
aveva però carattere temporaneo e ostacolato, talvolta, dalle nascite. Il Comune di Alvito è dotato di una
buona vitalità demografica, ha un buon indice di natalità e il fenomeno di emigrazione estera rimane sempre
molto contenuto; all’esodo infatti si preferiva la possibilità di migrazioni stagionali, dunque ecco
l’importanza degli spostamenti verso la Campagna Romana che rimarrà fondamentale fino alla Prima guerra
mondiale. Calcolando la differenza tra la popolazione di diritto e quella esistente sarebbe possibile compiere
una stima delle persone assenti, ma ciò risulta difficile per l’arco cronologico qui considerato; riguardo
Alvito, qui la popolazione assente cresce con costanza fino al 1911 e continua, registrando un ampio numero
di partenze proprio per Roma e occupando la prima posizione tra i bacini di manodopera del Circondario di
Sora. Riscontrare tali movimenti anno per anno è stato possibile grazie alla consultazione delle fonti
archivistiche di stato civile, essendo le uniche fonti raccolte con sistematicità prima della statistica ufficiale;
è stato comunque difficile tracciare una stima delle migrazioni temporanee, poiché esse non implicano un
cambio di residenza e quindi non lasciano tracce nei registri anagrafici. Sono comunque stati provati i
rapporti tra Alvito e la Campagna Romana attraverso prove documentarie che hanno permesso anche di
ripercorrere idealmente il viaggio compiuto verso le varie tenute di Roma soprattutto da uomini, anche se
talvolta, in alcuni periodi dell’anno, si assisteva allo spostamento di interi nuclei familiari, condizionati a
volte anche dalla periodicità nella celebrazione dei matrimoni e delle nascite. I primi atti presi in
considerazione sono quelli relativi al matrimonio; essi sono piuttosto semplici, tengono l’annotazione dei
matrimoni celebrati mese per mese, con indicazioni relative all’età e alla condizione professionale tanto dei
novelli coniugi che dei genitori di entrambi. Inoltre poiché ad Alvito vigeva l’endogamia (sposare un
membro dello stesso gruppo sociale) si poteva trascurare l’ipotesi che gli uomini cercassero altrove una
donna o che le donne cercassero il proprio marito altrove, pur avendo considerato anche il luogo di nascita e
provenienza dei coniugi. Sono stati poi presi in considerazione gli atti di nascita ed appaiono più complessi,
avendo anche una sezione relativa ai bambini nati in altri comuni ma da genitori residenti ad Alvito. Inoltre
riguardo le informazioni relative alla periodicità delle migrazioni stagionali non si possono trovare
informazioni precise nei diversi autori; nell’opera di Sombart sembra di poter ritrovare una lettura più lucida
dei transiti, ponendo anche una distinzione netta tra braccianti e mietitori; la partenza si fa risalire a
settembre mentre i ritorni agli inizi di giugno. Gli atti di matrimonio sono stati ritrovati in condizioni a volte
pessime, quindi per alcuni anni, quattro in particolare, è stato impossibile raccogliere i dati necessari, ma le
lacune possono considerarsi riassorbite nell’analisi del trend generale senza incidere particolarmente sui
risultati ottenuti; si è cominciato dall’analisi delle variazioni dei matrimoni per anno lungo il periodo
considerato per cercare di mettere in evidenza eventuali discontinuità, nella valutazione delle variazioni
annuali bisogna inoltre tener conto delle diverse fasi della produzione agricola, che conosce un aumento dei
prezzi alla fine degli anni Settanta dell’800 e poi una crisi, inoltre dopo la Prima guerra mondiale viene
frenata l’immigrazione verso gli Stati Uniti e il 1929 anche da una scossa molto forte con la crisi finanziaria
internazionale, mentre nel Lazio si assiste al passaggio all’economia moderna. Un condizionamento a livello
locale fu invece dato dall’alluvione del 1875 e dall’epidemia di febbre malarica, furono anche prese misure
contro la grande proprietà assenteista per migliorare la produttività dei territori attraverso interventi, anche
di bonifica ed estensione del latifondo per favorire l’aumento dei flussi dei lavoratori stagionali. Anche se
solo con le riforme avviate dal regime fascista si avranno delle svolte significative nella gestione di questo
territorio, alcune innovazioni saranno introdotte proprio da un contadino di Alvito poco prima dello scoppio
della Prima guerra mondiale. Si possono evidenziare cinque fasi nella lettura della variazione dei matrimoni
contadini:▲ Fase di crescita tra il 1869 e il 1873, pur essendoci degli anni di vuoti infatti si può avanzare
tale ipotesi a partire dagli atti di nascita;▲ Fase di stabilità o di cresciuta contenuta fino al 1898, anche se la
popolazione di Alvito aumenta sensibilmente;▲ Fase di crescita netta tra il 1898 e il 1911;▲ Calo tra il
1911 e il 1923, a causa della fine della crescita economica e della Prima guerra mondiale, si tende a risalire
nel 1925;▲ Tendenza continua al calo. Nella considerazione dei matrimoni per mese di celebrazione invece
si pensava che il più alto numero sarebbe coinciso con le esigenze stagionali, invece non è così. Infatti le
partenze si verificano tra maggio ed ottobre, i ritorni tra agosto e settembre oppure dicembre e febbraio, dato
che giugno e luglio erano dedicati alla raccolta del fieno e alla mietitura del grano mentre tra ottobre e
dicembre si procedeva alla semina e alla preparazione del terreno. I matrimoni dovrebbero concentrarsi a
marzo, ma non è così. Inoltre per il periodo compreso tra il 1926 e il 1935 ci si deve confrontare con una
diminuzione degli spostamenti stagionali; tale periodo è inoltre l’unico per cui esistono delle statistiche
basate su rilevazioni sistematiche delle migrazioni periodiche e stagionali interne. Nella storia dei
movimenti verso la Campagna Romana è ancora Alvito a rivestire un ruolo fondamentale, arrivando a
contare 500 emigrati l’anno, in maggioranza uomini, tutti diretti verso Roma, in questo periodo favoriti
anche dal cambiamento dei contratti di lavoro, prima limitari ai 30 giorni circa ma che cominciano ora a
prolungarsi talvolta diventando permanenti, richiedendo dunque un insediamento stabile nella regione. Va
specificato che il fatto che le donne non partissero con gli uomini non sembra dipendere dall’offerta di
lavoro, poiché le donne che rimanevano erano contadine e braccianti proprio come gli uomini che partivano,
ma probabilmente tale differenza era data dalla diversità del ruolo maschile e femminile all’interno della
società tradizionale; per far fronte all’assenza degli uomini comunque le donne dovevano svolgere attività
rurali anche molto dure, come arare i campi, raccogliere la legna, allevare il bestiame e questo spesso
nuoceva alla loro salute e gli stessi medici locali erano preoccupati per questo, quindi le migrazioni
influivano anche sulla salute della popolazione, aggravata dal fatto che gli uomini spesso lavoravano in zone
malsane e quindi contraevano e diffondevano la malaria anche nei loro paesi d’origine. Il ruolo svolto dalle
donne, che talvolta si dedicavano anche alla preparazione di pasti o al lavoro di balie e domestiche, svolto in
queste occasioni fu comunque loro di aiuto nella modificazione del loro ruolo, finendo per essere coinvolte
in processi che difficilmente vedevano il coinvolgimento delle donne nella loro epoca. La connotazione al
maschile dei flussi migratori presso la comunità di Alvito emerge anche dal fatto che non erano i padri a
registrare all’anagrafe del proprio comune di residenza la nascita del figlio e questo poteva avvenire per
cinque ragioni:1. Il bambino era stato abbandonato, veniva quindi registrato da chi lo aveva trovato;2. Il
bambino era nato fuori dal matrimonio e non riconosciuto, quindi veniva registrato dalla madre; 3. Il padre
era malato al momento della nascita o morto durante la gestazione;4. Il padre era in carcere o sotto le armi;5.
Il padre era assente per lavoro. In questi ultimi tre casi veniva registrato dalla levatrice; risulta inoltre che i
figli dei contadini erano più numerosi dei figli di altre figure professionali, ma perché la comunità contadina
di Alvito era molto più definita; si registra inoltre dal 1874 una crescita costante che arriva ai 150 nati annui,
mentre con la Prima guerra mondiale si ritorna a livelli molto più bassi, anche a causa della febbre malarica
del 1879-1880, alle emigrazioni vero l’estero e agli eventi bellici. Nel frattempo aumenta anche il numero
dei padri assenti e diminuiscono poi le emigrazioni; non si sa ancora se la diminuzione dell’emigrazione e
delle nascite fossero collegate ma un’ipotesi è che le minori possibilità di reddito potessero limitare la
volontà riproduttiva, così come la migrazione potrebbe essere una conseguenza della nascita di un figlio e
quindi del bisogno di denaro. Comunque è evidente il legame tra Alvito e la Campagna Romana, che si
rafforza ulteriormente quando Roma diventa capitale del nuovo Stato italiano, dato che a partire dal 1870
comincia l’espansione dell’agricoltura romana e ovviamente questo produce un ulteriore stimolo all’offerta
di lavoro e manodopera agricola, tendenza che si arresta e si inverte circa negli anni Venti del Novecento.
Capitolo 3: Alvitani e ciociari nella campagna romana. Data la vastità del territorio romano risulta molto
difficile riconoscere le tracce di contadini, braccianti e allevatori reclutati dagli affittuari stagionalmente,
anche perché essi non avevano specializzazione e quindi tendevano a mescolarsi. È inoltre complicato
risalire alle diverse zone in cui si riversavano questi flussi all’interno di Roma, anche se si usano le fonti
statistiche ufficiali; tra gli anni Venti e Trenta furono tantissimi i lavoratori giunti a Roma, anche se il loro
numero calò sostanzialmente nell’ultimo periodo. Quindi stabilire la distribuzione dei migranti stagionali è
piuttosto complesso e incerto, anche se attraverso le rilevazioni censuarie si può distinguere il numero di
coloro che al momento della rilevazione abitavano stabilmente in città o erano temporaneamente presente; si
rileva inoltre che la popolazione residente è in numero inferiore a quella presente, che utilizza tra l’altro
abitazioni temporanee. Sin dall’inizio del Novecento le istituzioni mediche e non avevano posto particolare
attenzione sulle condizioni di vita ed igienico-sanitarie dei lavoratori stagionali, per esempio il dottor
Postempski presentò i resoconti delle campagne di distribuzione del chinino per curare o prevenire la
malaria e, pur essendo ovvio che sarebbe stato impossibile raggiungere tutti i lavoratori, attraverso queste
rilevazioni si può giungere a una prima stima delle quote dei lavoratori presenti nelle varie tenute, evincendo
che essi erano sempre la maggioranza rispetto al personale perennemente addetto. Le stazioni sanitarie della
Campagna Romana si occupavano inoltre di recapitare presso il comune di residenza dei genitori, in questo
caso Alvito, l’atto di nascita del bambino nato al di fuori di tale comune così che questo veniva
correttamente registrato; infatti c’era la necessità di controllare non solo di monitorare le diverse affezioni
endemiche, ma anche le condizioni economiche dei migratori per fornire loro assistenza, per esempio i
medici si occupavano dell’assistenza al parto ed erano proprio loro a compilare i certificati di nascita.
Essendo qui menzionata la tenuta presso la quale i genitori erano impiegati al momento si è potuta avanzare
una serie di considerazioni riguardo la distribuzione di contadini di Alvito a Roma e che, talvolta, gli
spostamenti non erano temporanei. La complessità del territorio dell’Agro Romano è testimoniata dalla carta
realizzata da Pompeo Spinetti; è una grande carte divisa in 4 fogli, corredata dall’elenco di 437 tenute e dei
proprietari, riportando anche le zone nelle quali sarebbero dovute avvenire le prime operazioni di bonifica;
in 89 delle tenute rappresentate nacquero bambini da genitori residenti ad Alvito; le nascite, particolarmente
concentrate tra il 1875 e il 1906, a volta portarono alla formazione di nuclei di un certo peso, anche se dopo
il periodo indicato c’è un calo consistente. Inoltre si manifesta la tendenza a spostarsi più nei pressi della
città, forse alla ricerca di maggiori opportunità di lavoro. Importante è quindi la valutazione della condizione
professionale di coloro che partivano; da Alvito non si trovano particolari specializzazioni, per lo più
braccianti e contadini, solo raramente artigiani. Ciò ha anche spiegato come sia stato possibile il fiorire di
attività e mestieri prima assenti nella stessa Alvito, in quanto l’aumento delle partenze verso Roma creò le
premesse per una maggiore vitalità economica locale e per le modifiche, sostanziali, del paesaggio della
Campagna Romana che vide come protagonisti proprio gli alvitani, grazie ai legami tra il loro paese e la
capitale. Il paesaggio della Campagna Romana e i suoi ciociari sono stati i protagonisti di numerosi
cataloghi e quadri di produzione verista, con lo scopo cioè di testimoniare quella realtà. Non a caso
solitamente rappresentano i lavoratori occupati in diverse attività, quali la mietitura, la semina, la
vendemmia; ricchi di particolari, danno anche informazioni riguardo la vita dei contadini, il loro modo di
vestire per esempio e quindi l’attinenza alla storia del costume. Inevitabile quindi parlare della ciocia, una
calzatura artigianale contadina elemento di distinzione, anche se poiché i confini della Ciociaria mutano
storicamente e la scarpa si diffonde non è possibile identificare una comunità attraverso quel solo dettaglio.
Anche la fotografia rappresenta una testimonianza importante, così come la letteratura. Nell’estratto di
William Story infatti si legge dell’attività che i contadini svolgevano, delle loro partenze e dei ritorni, mentre
il sonetto di Pascarella racconta della ricerca di un morto, a testimonianza delle condizioni precarie che
attanagliavano le Campagne.
Capitolo 4: Le trasformazioni nel paesaggio della campagna romana all’inizio del 20 secolo attraverso
la storia di Domenico Lanza. Ulteriore aiuto alla ricerca può essere dato dalle interviste, pur essendo un
terreno piuttosto insidioso considerando la sovrapposizione tra passato e presente, tra racconti e
testimonianze che possono compromettere la veridicità delle affermazioni del testimone e dei suoi ricordi,
anzi bisogna proprio riuscire a distinguere i racconti, magari dei propri nonni o genitori, dalle testimonianze.
Poiché gli atti di nascita contengono una sezione contenente le indicazioni sui genitori e sulle tenute in cui
questi lavoravano, oltre che la loro condizione professionale, è stato possibile stabilire in quali aree fosse
maggiore la presenza dei contadini di Alvito e di evidenziare i legami di alcune famiglie o individui con gli
spostamenti stagionali verso la Campagna Romana. La ricerca è stata limitata a poche tenute dislocate lungo
via Tiberina, ovvero il Procojo Vecchio e i Due Casini, per ottenere risultati più precisi. Tali tenute
appartennero per molto tempo alla famiglia Boncompagni, che erano stati signori del Ducato di Sora e
avevano permutato i loro beni con altri ricadenti nello Stato pontificio e questo già mette in rilievo il legame
tra Lazio meridionale e Campagna Romana; il principe Boncompagni è ancora proprietario della tenuta del
Procojo e potrebbe conservare documenti relativi al periodo e al fenomeno in esame nell’archivio di
famiglia, ma ciò non è possibile per la tenuta dei Due Casini. Si ha maggior fortuna conducendo la ricerca
riguardo alcune famiglie di Alvito, come i Lanza, mercanti di campagna designati come coloro che
dirigevano i lavori e che quindi potevano rappresentare una garanzia d’impiego per i propri compaesani o
comunque un punto di riferimento; Maria Teresa Lanza, nipote di Domenico Lanza, ancora gestisce le
tenute di Falcognana e Tragliata; per la prima non esistono nei registri tracce della presenza di lavoratori
provenienti da Alvito, per la seconda il contrario. È emerso dai documenti che oltre ad essere la famiglia
attiva nell’acquisto delle tenute, Domenico era stato, prima di diventare proprietario, mercanti di campagna
e quindi affittuario dei Boncompagni nelle tenute del Procojo Vecchio e dei Due Casini. Questo testimonia
la tendenza dei proprietari terrieri di non gestire direttamente le aziende e permette di avanzare l’ipotesi che
la presenza dei Lanza costituisca la premessa per l’arrivo degli alvitani in quella zona. L’attività di
Domenico Lanza, riscontrata in questi documenti, è risultata fondamentale nella modifica del paesaggio e
degli assetti produttivi della Campagna Romana; per i suoi meriti fu anche insignito del titolo di Cavaliere
del Lavoro e nella cartella relativa al premio si trovano, oltre ad alcune informazioni biografiche, anche
informazioni riguardo la sua opera di imprenditore, bonificatore, proprio quella che li valse il titolo,
dissodamento e sperimentatore. Egli comincia la sua attività con l’affitto dei terreni dei Boncompagni nel
1881 e proprio in quel periodo cominciato le nascite dai genitori di Alvito; c’è però da dire che i Lanza non
impiegavano nelle loro tenute quote eccessive di compaesani tendendo ad assumere coloro che già
lavoravano nei terreni acquisiti. Nel 1861 però il nonno di Domenico aveva creato una società ad Alvito con
i suoi due figli che aveva come compito principale quello di condurre gli operai a lavorare nella Campagna
Romana; i fratelli Lanza cominciano con un’operazione decisa ma basata su una spesa piuttosto limitata,
infatti solitamente gli affittuari di campagna non effettuavano investimenti consistenti per migliorare la
produttività dei terreni dato il rischio di perdita. Da un’iniziale enfiteusi perpetua, per la quale ci si impegna
a migliorare la terra di un altro proprietario in cambio di un canone annuo in denaro, Lanza passa poi ad
acquistare definitivamente tali territori sui quali continua comunque ad esercitare la sua attività di
sperimentatore; infatti nella tenuta di Falcognana, oltre a un intervento di bonifica, egli conduce altri 28
interventi relativi alla costruzione di centri agricoli, dotazione di acqua potabile, costruzione di stalle e
fienili e realizzazione di strade interne per favorire la comunicazione. Inoltre, a dispetto della consuetudine
che vedeva i pastori e gli operai vivere in grotte o abitazioni temporanee in quanto raramente i rifugi erano
offerti dai conduttori delle aziende, Domenico dà il via alla costruzione di abitazioni stabili per gli impiegati,
delle quali oggi non è rimasta molta traccia dato che sono stati riadattati a scopi funzionali, ma allora
contribuirono alla modificazione del paesaggio della Campagna. Realizzò anche magazzini per il grano e per
le macchine agricole, intervenne per la manutenzione degli argini del Tevere, con canali di scolo e per lo
sviluppo dell’allevamento equino.
Viene però ricordato soprattutto per il dissodamento in profondità dei terreni della Falcognana per
aumentarne la produttività e passar quindi da uno sfruttamento estensivo a uno intensivo; il territorio della
tenuta, chiamato cappellaccio, era infatti particolarmente duro per la sua componente vulcanica per essere
dissodato attraverso aratri semplici, quindi egli si rivolse alla ditta Fowler per ottener un aratro apposito.
Tale fatto è fondamentale sia perché è uno dei primi esempi concreti di economia capitalistica, cioè con
investimento a rischio per migliorare l’assetto produttivo, e inoltre diminuiscono i tempi necessari di lavoro
creando un risparmio da destinare ad altri investimenti. Le tecniche di lavorazione introdotte da Lanza
subiscono un arresto con la Prima guerra mondiale, quando le sue macchine vengono requisite per il traino
dei pezzi di artiglieria al fronte. Ciò nonostante è evidente come l’azione di questo imprenditore abbia
influenzato in maniera definitiva la trasformazione del paesaggio delle campagne intorno a Roma.
Conclusioni. È quindi evidente come gli uomini e le donne di Alvito abbiano influenzato il cambiamento
del paesaggio e dell’economia della Campagna Romana, ci sono prove non solo negli atti di matrimonio e di
nascita ma anche nelle fonti iconografiche e letterarie che testimoniano anche la discontinuità di questo
processo, influenzato da eventi macroscopici come la guerra e le emigrazioni verso l’estero. Ovvio che
accanto ai lavoratori fu importante l’azione degli imprenditori che, oltre a consolidare il legame tra Roma e
Alvito, ebbero i mezzi e la determinazione di credere in un cambiamento radicale attraverso l’innovazione e
il rischio, come abbiamo visto con Domenico Lanza.

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