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LA CLASSICITÀ: SOLUZIONI PER UN’ECOLOGIA MODERNA?

Anche in relazione al mediatico evento “Expo-2015”, democrazia, tolleranza,


universalità del diritto, inclusione sociale e giuridica non sono gli unici modelli positivi di
convivenza sociale per i quali siamo debitori verso la civiltà di Roma antica. Infatti, in
considerazione dell’attenzione che ai problemi dell’ambiente è doverosamente rivolta in
questi anni, non si può non osservare come le civiltà antiche si siano sforzate di
elaborare un modello di uomo armonicamente inserito nella natura e il cui progresso
materiale e intellettuale non si traducesse in danno per l’ambiente.

La consapevolezza che l’eredità del mondo romano, quale recupero e


valorizzazione del sapere storico, è in grado di favorire anche una migliore e salutare
convivenza tra l’uomo e l’ambiente naturale, le cui problematicità sono oggi giunte a un
livello critico, può divenire - su un piano anche pedagogico - lo strumento per affrontare
con maggiore consapevolezza e lungimiranza le future responsabilità di cittadini.

Poiché gli antichi non potevano ragionare in termini di risorse energetiche


alternative (a loro, addirittura, le risorse energetiche tradizionali, legno e carbone,
apparivano inesauribili!), la classicità non può interpretarsi se non da una parte come
invito a evitare l’abuso delle risorse naturali, tale da minare e sconvolgere gli assetti
della natura, dall’altra quale monito a usare correttamente e armonicamente le risorse
che la natura quotidianamente mette a disposizione dell’uomo.

Lo spreco o, meglio, gli sprechi rappresentano il fil rouge che attraversa l’attuale
società, preda della tendenza allo smoderato consumismo, che può diventare malattia
e distruggere le persone che ne sono affette, ma non solo. È ormai un clichè
l’ammonimento a non “sprecare”, e nonostante ciò il vizio dello spreco, spesso anche
inconsciamente, condiziona la vita di ogni giorno: non si tratta solo delle cose materiali,
ma anche di quelle più “preziose”, che non si trovano in vendita, e che sono gettate vie
senza neanche accorgersene. I beni senza prezzo monetario, infatti, sono spesso
scarsamente considerati, poiché si trascura stoltamente che costituiscono un
patrimonio di enorme valore! L’uomo in questo modo compie azioni sconsiderate, che
portano all’annientamento della salute, del corpo e, perché no, anche della mente.
Bisogna, dunque, trattare questo tema evitando vacui moralismi e con il razionalismo e
la lucidità di una logica che apre le porte per un nuovo stile di vita che non sia
all’insegna dello sperpero e della civiltà dell’eccesso. In altre parole, la “nostra
classicità” può diventare arma bianca di persuasione attraverso la proposta di
insegnamenti e di exempla per persone che hanno e debbono avere la forza morale di
compiere una scelta necessaria e civile.

Oggi, l’ecologia comincia ad avere un ruolo notevole nella soluzione di molti


problemi della società moderna. Sapere quali sono i meccanismi di funzionamento di
un ecosistema non ha più solo un valore conoscitivo, bensì consente di predire anche
quali saranno gli effetti degli interventi umani sugli ecosistemi. Ciò, al contempo,
comporta il crescere della coscienza che l'ambiente naturale deve essere preservato o,
perlomeno, armonizzato con l'azione dell'uomo. Diventa sempre più necessario
integrare ecologia ed economia, due discipline che erano spesso contrapposte
nell'immaginario collettivo, poiché per lungo tempo si sono sviluppate in maniera
sostanzialmente indipendente. Tuttavia, ciò era – forse (!) – giustificabile fino a qualche
decennio fa dalla piccola scala in cui operava l'uomo: era sostanzialmente “lecito”
considerare da una parte la natura come un serbatoio inesauribile di risorse e un
ricettacolo infinito di rifiuti, e dall'altra l'uomo come una piccola fonte di disturbo per il
normale funzionamento di molti ecosistemi. Invece, negli ultimi decenni l’impatto
dell'uomo sulla natura che lo circonda è diventato sempre più profondo. La spinta
fondamentale è venuta dall'enorme crescita demografica che ha visto la popolazione
umana passare da un miliardo e duecento milioni di persone nel 1850 agli attuali 7,2
miliardi di persone.

Pertanto, non si può ignorare, e i nostri governanti dovrebbero ben saperlo, che
le scelte di consumo e di acquisto possono, e forse debbono, essere pensate in stretta
connessione anche con i valori “spirituali” come il benessere, la giustizia sociale,
l’equità, l’ambiente e la sua salvaguardia. In questo modo si potranno suggerire nuove
pratiche che rispettino anche l’ambiente. La coscienza ecologica non può né deve
apparire anti-umana e come un rifiuto dei piaceri della vita, anzi tutt’altro! La Natura è
da sempre generosa con l’Uomo e rispettare i limiti di questa generosità dovrebbe
renderci soddisfatti: è “semplicemente” – per così dire – una questione di equilibrio e di
misura di tutte le cose, è la capacità di godere e vivere bene in un mondo più sano e
solidale, più coeso e vivibile. L’economia senza pragmatica etica, infatti, ha
conseguenze disastrose. La crisi che ci costringe a fare scelte può rivelarsi
un’opportunità per cambiare modelli di vita e di società.
L’impronta ecologica del nostro Paese è tra le più alte nella regione del
Mediterraneo ed è cresciuta esponenzialmente negli ultimi cinquant’anni. Se tutti
vivessimo così, servirebbero quattro pianeti: “dal 1961 al 2008 il deficit ecologico
dell’Italia è cresciuto del 230% … e con un’ulteriore crescita incredibile dal 2008 a oggi:
+ 150%”, si legge nel rapporto del Global Footprint Network. Siamo in rosso. Anche il
WWF lancia l’allarme: in Italia si consumano troppe risorse e il modus vivendi
dell’italiano medio è insostenibile per l’ambiente dello stivale. Tra le nazioni del
Mediterraneo solo la Francia (con il 21% del debito ecologico totale) si comporta
peggio dell’Italia (18%); al terzo posto segue la Spagna (con il 14%). Le tre maggiori
economie che sia affacciano sul bacino del Mediterraneo ne stanno letteralmente
prosciugando le risorse: aria, cibo, energia, rifiuti, e in tutti questi settori siamo oltre il
limite consentito della natura.

L’IMPREVEDIBILE REGIME DEI FIUMI


«Quid ergo?» inquit «Si perpetuae sunt causae quibus flumina oriuntur ac fontes,
quare aliquando siccantur, aliquando quibus non fuerunt locis exeunt?»

Apud nos solet evenire ut, amisso canali suo, flumina primum refundantur, deinde
quia perdiderunt viam faciant. Hoc ait accidisse Theophrastus in Coryco monte, in
quo post terrarum tremorem nova vis fontium emersit. Qui alias quoque causas
intervenire opinatur, quae aut revocent aquas aut cursu suo deiciant et avertant. Fuit
aliquando aquarum inops Haemus, sed, cum Gallorum gens a Cassandro obsessa in
illum se contulisset et silvas cecidisset, ingens aquarum copia apparuit, quas
videlicet in alimentum suum nemora ducebant. Quibus eversis, umor, qui desiit in
arbusta consumi, superfusus est.

Idem ait et circa Magnesiam accidisse. Sed, pace Theophrasti dixisse liceat, non est
hoc simile veri, quia fere aquosissima sunt quaecumque umbrosissima. Quod non
eveniret, si aquas arbusta siccarent. Deinde succisae arbores plus umoris desiderant:
non enim tantum id quo vivant, sed quo crescant trahunt.

Idem ait circa Arcadiam, quae urbs in Creta insula fuit, fontes et rivos substitisse,
quia desierit coli terra, diruta urbe. Postea vero quam cultores receperit, aquas
quoque recepisse. Causam siccitatis hanc ponit, quod obduerit constricta tellus, nec
potuerit imbres inagitata transmittere. Quomodo ergo plurimos videmus in locis
desertissimis fontes?

Seneca, Naturales quaestiones, III 11,31

E allora si dovrebbe riflettere con attenzione su alcuni anche banali interrogativi:


a che cosa serve far crescere lo stipendio di un cittadino, se la città in cui vive è
martoriata da traffico e smog? Che cosa se ne fa di un’auto più grande e lussuosa, se
non si ha il carburante per farla circolare? A che cosa serve cambiare beni di consumo
a ritmo forsennato, se si è sommersi dalla spazzatura? Non possiamo restare ancora
in silenzio e soprattutto inermi. E questi interrogativi – per rispondere sulle orme della
classicità – possono trovare un valido invito alla riflessione anche nelle parole che
Seneca rivolge a Lucilio nell’Epistula 90: “La natura non ci ha imposto niente di

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«Che accade?» uno chiede «Se le cause per le quali i fiumi e le sorgenti si generano sono costanti, per
quale motivo qualche volta sono in secca, qualche altra volta sgorgano in luoghi nei quali prima non
c’erano?»
Da noi accade di solito che, perduto il proprio alveo, i fiumi in un primo momento straripino,
successivamente, poiché hanno perduto il loro corso, se lo creino (di nuovo). Teofrasto sostiene che ciò
era accaduto sul monte Corico, sul quale, dopo un terremoto, scaturì dal nulla una gran quantità di
sorgenti. Egli è dell’opinione che possano intervenire anche altre cause che facciano sgorgare le acque
oppure che le distolgano dal loro corso e le indirizzino altrove. Un tempo, l’Emo era povero d’acqua, ma,
quando una popolazione gallica, assediata da Cassandro, trovò riparo su quel monte e ne abbatté i boschi,
comparve una grande massa d’acqua, che evidentemente le foreste trattenevano come propria fonte di
nutrimento. Abbattuti gli alberi, l’acqua, che aveva smesso di essere utilizzata per le piante, dilagò in
superficie.
Ancora Teofrasto dice che il medesimo fenomeno si verificò anche intorno a Magnesia. Ma, con buona
pace di Teofrasto, questa spiegazione non è verosimile, perché tutte le località più ombreggiate sono per
lo più anche le più ricche d’acqua. Ciò non accadrebbe, se gli alberi prosciugassero le acque. Peraltro, gli
alberi recisi hanno più bisogno di acqua: infatti, non assorbono soltanto ciò che serve loro per vivere, ma
anche quanto serve per ricrescere.
Lo stesso Teofrasto racconta che ad Arcadia, che era una città sull’isola di Creta, quando la città fu
distrutta le sorgenti e i ruscelli si arrestarono, perché la terra aveva smesso di essere coltivata; invece,
dopo che riebbe i suoi contadini, riacquistò anche le acque. Egli individua questa causa della siccità: il
fatto cioè che la terra, compattatasi, si indurì e così, non essendo più smossa, non era più in grado di
lasciar scorrere le acque piovane. E allora, come potremmo vedere molteplici sorgenti nei luoghi più
desolati?
gravoso, niente da ricercare con fatica; fin dalla nascita abbiamo avuto tutto a portata
di mano… “ e ancora: “Sufficit ad id natura quod poscit” (“la natura basta a soddisfare i
suoi bisogni”).

La società, dunque, non può continuare a muoversi in una visione miope e


predatoria che privilegia il profitto immediato e incosciente rispetto a una crescita
sostenibile ed equilibrata.

Mutuando dal messaggio contenuto in un romanzo (ormai datato ma attuale)


dal titolo “Il giardino segreto” della scrittrice anglo-americana Burnett, che può
intendersi come “parafrasi” dei nostri classici, l’uomo non può né deve sprecare,
dimenticare, buttare via! “Il giardino segreto”, piccola e potente fortezza della natura,
conserva, fa rinascere, trattiene, impedisce lo spreco e ciò che oggi si suole definire la
“rottamazione”.

La sostenibilità non è né può essere un concetto astratto: è qualcosa che


prende forma nella coscienza e comincia nella vita quotidiana, è anche una forma di
“Cittadinanza attiva”!

LICEO VITTORIA COLONNA

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