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E.

Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore,


Milano, 1983, pagg. 284-285

Il compito del filosofo, lo scopo della sua vita di filosofo: una scienza universale del mondo, un
sapere universale, definitivo, un universo delle verità in sé attorno a mondo, al mondo in sé. Che
dire di questo scopo e della possibilità di raggiungerlo? È possibile cominciare con una verità – con
una verità definitiva? Una verità definitiva, una verità attraverso cui io possa enunciare qualcosa su
un essente in sé, nella certezza indubitabile di enunciare qualcosa di definitivo? Se io dispongo già
di verità “immediatamente evidenti”, è possibile che da esse ne possano derivare mediatamente
altre. Ma io dispongo veramente di queste verità? È possibile che un essente in sé sia per me tanto
indubitabilmente certo in un'immediata esperienza, che io possa, mediante concetti descrittivi
immediatamente adeguati all'esperienza e al suo contenuto, enunciare immediate verità in sé? Ma
che dire di tutte le esperienze del mondano, di tutto ciò che io ho in una certezza immediata, che è
nella spazio- temporalità? Tutto ciò è certo, ma questa certezza può modalizzarsi, può diventare
dubbia, può trasformarsi lungo il processo dell'esperienza, in apparenza: nessun enunciato
sperimentale immediato mi dà un essente in sé; mi dà soltanto un che di supposto con certezza,
che lungo la mia vita di esperienza deve verificarsi. Ma la mera conferma, costitutiva della
concordanza dell’esperienza reale, non esclude la possibilità dell’apparenza. […] L'esperienza,
l'esperienza della comunità e le vicendevoli rettifiche, come del resto la propria esperienza
personale e le proprie auto-rettifiche, non eliminano la relatività dell’esperienza, che è relativa
anche in quanto esperienza della comunità; perciò tutti gli enunciati descrittivi sono
necessariamente relativi e tutti i passaggi conclusivi pensabili, sia quelli deduttivi sia quelli induttivi
sono relativi. Come può il pensiero produrre altro che verità relative? L'uomo della vita quotidiana
non è privo di ragione, è un essere pensante, […] ha una lingua, può compiere descrizioni, passaggi
conclusivi e interroga la verità, verifica, argomenta e decide razionalmente – ma l’idea di “verità in
sé” ha un senso per lui?

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