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GIURISPRUDENZA
di Michele Taruffo
Giurisprudenza
b) Creatività dell'interpretazione
Il collegamento tra giurisprudenza e interpretazione della legge consente di
individuare un problema di importanza centrale per la teoria
dell'interpretazione, e quindi anche per la funzione della giurisprudenza. Esso
concerne il rapporto in cui l'attività interpretativa si pone con il proprio oggetto
(le norme, il diritto), e verte sostanzialmente sull'alternativa se l'interpretazione
consista semplicemente ed esclusivamente nella ricognizione e nell'enunciazione
del significato proprio della norma, ovvero implichi scelte di varia natura - ma
principalmente valutative - in funzione delle quali l'interpretazione della norma
implica in realtà la creazione del suo significato da parte dell'interprete (v. Jori e
Pintore, 1988, pp. 171 s.). In modo conseguente e corrispondente, si può
distinguere tra una concezione della giurisprudenza per cui essa è soltanto
attività conoscitiva e dichiarativa del diritto già esistente (e comunque
preesistente all'interpretazione e alla decisione), e la concezione per cui la
giurisprudenza è essenzialmente attività creatrice di diritto, in quanto determina
il significato della norma nel momento in cui questa viene interpretata e
applicata, senza essere vincolata a predeterminazioni di alcun genere.
La prima concezione, legata alla teoria dell'interpretazione caratteristica del
cosiddetto formalismo interpretativo (v. Jori e Pintore, 1988, pp. 100, 172; v.
Tarello, 1974, pp. 37 ss.), è tipica della teoria più tradizionale, fondata su un'idea
rigida e statica del principio di divisione dei poteri e sull'ideologia del liberalismo
classico (v. Zippelius, 1989², p. 251), e si fonda sul presupposto che interpretare
norme significhi soltanto scoprire, per mezzo di strumenti logici e dogmatici, il
significato proprio della norma giuridica. Di conseguenza, l'attività del giurista
viene a configurarsi come esclusivamente conoscitiva di significati normativi
oggettivamente dati e preesistenti (v. § 2d), e l'attività del giudice si configura
esclusivamente come scoperta e dichiarazione del significato proprio della
norma che viene applicata per decidere la controversia (v. Fazzalari, 1984, pp. 11
ss., 45 ss.). In nessun modo, dunque, interpretazione giuridica e giurisprudenza
(dottrinale e - a maggior ragione - giudiziaria) potrebbero essere intese come
attività creative di diritto in quanto attributive di nuovi significati alle norme
giuridiche, o costitutive di significato della norma attraverso scelte valutative.
Questa concezione è assai diffusa nella cultura giuridica di vari ordinamenti, e si
fonda su una lunga tradizione storica che risale alle dottrine giuridiche
dell'illuminismo, ma è insostenibile per una serie di ragioni che qui possono
essere soltanto accennate. Per un verso, la cultura giuridica europea ha da tempo
individuato, con varietà di ragioni e in vari momenti della sua evoluzione, il
diritto giurisprudenziale come creazione della dottrina, e specialmente della
giurisprudenza dei tribunali (v. Lombardi Vallauri, 1967 e 1989, pp. 2, 4; v.
Mengoni, 1990⁴, p. 448; v. Cappelletti, 1984, pp. 3 ss.). La negazione della
creatività della giurisprudenza sembra dunque non tener conto di uno degli
aspetti fondamentali dell'esperienza giuridica moderna (v. Zippelius, 1989², pp.
250 s.).
Per altro verso, la teoria dell'interpretazione si fonda generalmente e con poche
eccezioni, benché con varia intensità e diverse manifestazioni, su uno scetticismo
interpretativo (v. Jori e Pintore, 1988, p. 171) che è l'esatto opposto del
tradizionale formalismo positivistico, e che mostra come l'interpretazione della
norma sia essenzialmente il frutto di scelte di varia natura (semantiche,
linguistiche, metodologiche, ideologiche), e quindi come il risultato
dell'interpretazione non sia mai dato a priori, e sia invece sempre dipendente
dall'attività interpretativa. In sostanza, è l'interprete che con le proprie scelte
determina, e quindi crea, il significato che attribuisce alla norma (v. Bigiavi,
1989, p. 51; v. Bulygin, 1992, pp. 12 ss., 26 ss.; v. Lombardi Vallauri, 1989, pp. 2
ss.; v. Tarello, 1980, pp. 61 ss., e 1974, pp. 329 ss., 389 ss., 411 ss., 475 ss.; v.
Zippelius, 1989², pp. 247 ss.). Questo orientamento di teoria dell'interpretazione
può essere assunto in modo più o meno radicale, sicché la dimensione creativa
dell'interpretazione della legge può essere intesa come esclusiva e
onnicomprensiva (v. ad esempio Lombardi Vallauri, 1989, pp. 3 ss.), o come un
aspetto importante e sempre presente, ma non tale da escludere che la norma
possa avere un 'nucleo certo' di significato (v. Jori e Pintore, 1988, p. 172).
Rimane tuttavia indubbio che l'attività interpretativa consiste sempre (anche o
soltanto) di scelte attraverso le quali l'interprete determina (in tutto o in parte) il
significato della norma sottoposta a interpretazione.
Se si tiene adeguato conto di tutto questo, conseguenze rilevanti debbono essere
tratte in ordine alla natura e alla funzione della giurisprudenza. Quanto alla
giurisprudenza dottrinale, appare incontestabile che l'attività del giurista-
interprete è inevitabilmente intessuta di scelte culturali, metodologiche e
ideologiche, tali per cui l'aspetto conoscitivo e assertivo della scienza giuridica
non è separabile dall'aspetto creativo e precettivo di essa (v. Tarello, 1974, pp.
367 ss., 425 ss., 488 ss.). Quanto alla giurisprudenza dei tribunali, appare non
meno evidente che l'attività del giudice - di interpretazione-applicazione della
legge - è a sua volta irriducibilmente fondata su scelte di varia natura, non
diverse nella sostanza da quelle del giurista teorico ma più ricche e articolate, e
più legate ai fatti, ai valori e agli interessi coinvolti nella controversia che deve
essere decisa. Non a caso si parla di diritto vivente per indicare appunto la
giurisprudenza delle corti (v. Mengoni, 1990⁴, pp. 447, 449). Molteplici ragioni
legate all'evoluzione della cultura giuridica, ma soprattutto ai grandi mutamenti
sociali e politici intervenuti nel nostro secolo, hanno provocato la crisi
irreversibile dei tradizionali modelli di giudice e di amministrazione della
giustizia (v. Tarello, 1974, pp. 475 ss.). All'immagine del giudice bouche de la loi,
cara a Montesquieu e al formalismo positivista, si è ormai da tempo sostituito un
modello di giudice come problem-solver, come operatore sociale e politico e
garante dei diritti dei cittadini, che svolge la sua opera creando diritto e
compiendo le scelte necessarie a una reale ed effettiva amministrazione della
giustizia (v. Cappelletti, 1984; v. Mengoni, 1990⁴, pp. 445 ss.). Si tratta di una
grande trasformazione che tocca tutti i sistemi ed è coessenziale alla formazione
e allo sviluppo della società moderna (v. Cappelletti, 1984, pp. 19 ss., 99 ss.).
Essa produce numerosi problemi, essenzialmente in termini di legittimazione
democratica dei giudici che creano diritto (v. Cappelletti, 1984, pp. 82 ss.) e di
controllo sul loro operato, ma ciò non toglie che la funzione creativa svolta dalla
giurisprudenza delle corti sia un dato ineliminabile dell'esperienza giuridica e un
fattore decisivo di evoluzione del diritto.
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