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RIASSUNTO G.

MELIS - LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO

INDICE

Parte 1. I PRINCIPI GENERALI


Capitolo 1: Introduzione. ...................................................................................................... 2
Capitolo 2: Prestazioni imposte, tribute e riserva di legge .................................................. 2
Capitolo 3: Il principio di capacità contributiva .................................................................. 6
Capitolo 4: L’efficacia nel tempo delle norme tributarie ................................................... 10
Capitolo 5: Interpretazione, elusione fiscale ed analogia .................................................. 12
Capitolo 6: L’efficacia della norma tributaria nello spazio ................................................ 15
Capitolo 7: Le fonti interne del diritto tributario ................................................................ 17
Capitolo 8: Le fonti europee ed internazionali del diritto tributario ................................. 27
Capitolo 9: I soggetti passivi ............................................................................................. 32
Capitolo 10: L’obbligazione tributaria e le sue vicende modificative ed estintive ............ 36

Parte 2. L’ATTUAZIONE DEL TRIBUTO


Capitolo 11: I moduli attuativi dell’obbligazione tributaria ............................................... 37
Capitolo 12: La dichiarazione, la sua liquidazione e i controlli formali ............................ 42
Capitolo 13: L’attività istruttoria ........................................................................................ 45
Capitolo 14: I metodi di accertamento .............................................................................. 47
Capitolo 15: L’avviso di accertamento. L’accertamento parziale ed integrativo .............. 49
Capitolo 16: L’autotutela, gli interpelli e gli istituti deflattivi del contenzioso tributario .. 52
Capitolo 17: La riscossione e il rimborso............................................................................ 59
Capitolo 18: Le sanzioni tributarie ..................................................................................... 63
Capitolo 19: La giurisdizione, gli atti impugnabili e l’oggetto del processo tributario ..... 67

Parte 3. LE IMPOSTE SUI REDDITI


Capitolo 20: Presupposto, soggetti passivi e determinazione IRPEF ................................ 71

Capitolo 21: Le altre categorie reddituali ........................................................................... 74

Capitolo 22: L’IRES: principi generali ............................................................................... 84

Parte 4. L’IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO


Capitolo 23: Lineamenti della disciplina dell’IVA ............................................................... 8

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 1


PARTE 1: I PRINCIPI GENERALI
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE

Il diritto tributario si configura come una “disciplina orizzontale”, nel senso che si rivolge a rapporti e
situazioni per lo più già disciplinati altrove, cioè già filtrati dall’esperienza giuridica, in un rapporto di
dipendenza infraistituzionale e ricorre ai tradizionali strumenti del diritto amministrativo, processuale, penale
ecc., al fine di assicurare l’attuazione della pretesa tributaria.

Secondo il Giannini, il diritto tributario è stato tradizionalmente inquadrato nell’ambito del diritto pubblico, e
in particolare, del diritto amministrativo, identificandosi come “quel ramo del diritto amministrativo che
espone i principi e le norme relative all’imposizione e alla riscossione dei tributi e analizza i conseguenti
rapporti giuridici tra gli enti pubblici e i cittadini”.
Oltre che con il diritto amministrativo e il diritto privato, il diritto tributario ha numerosi punti di contatto
anche con altre branche dell’ordinamento:

• quanto al diritto costituzionale, vi sono nella Costituzione numerose norme che interessano il fenomeno
tributario. Ad esempio, l’art. 23 Cost. che contiene il principio di riserva di legge, l’art. 53 Cost. che
contiene il principio di capacita contributiva, art. 2 e 3 Cost., relativamente al dovere di solidarietà e
principio di uguaglianza, art. 14 Cost., che tutela la sfera personale del cittadino, e quindi, anche del
contribuente, l’art. 25 Cost. in tema di riserva di legge penale, art. 41 Cost., in tema di liberta di iniziativa
economica, art. 75 Cost., che vieta il referendum in materia tributaria, art. 81 Cost., che disciplina la legge
di bilancio;
• quanto al diritto europeo;
• quanto al diritto internazionale, trovano applicazione in materia tributaria sia le consuetudini internazionali
(seppur rare), sia le convenzioni internazionali soprattutto in materia di imposte sul reddito e sul
patrimonio;
• quanto al diritto penale;
• quanto al diritto sanzionatorio tributario amministrativo.

CAPITOLO 2. PRESTAZIONI IMPOSTE, TRIBUTI E RISERVA DI LEGGE

Nel nostro ordinamento non esistono definizioni legislative né del tributo né delle sue sottospecie come
l’imposta, la tassa e il contributo. Sicché la sua ricostruzione è di fonte dottrinale e giurisprudenziale.
Al fine di precisare la nozione di tributo, si ritiene utile muovere dalla classificazione delle entrate dello
Stato.
Nell’attuale contesto storico, le principali fonti di entrata per il finanziamento della spesa pubblica – diverse
da quelle tributarie – sono rappresentate da:

A. Entrate c.d “di diritto privato”, dove lo Stato amministra il proprio patrimonio, anche dismettendolo,
svolgendo attività economiche o partecipa al capitale di determinati soggetti che svolgono attività
economiche, e comportandosi alla stregua di un qualsiasi operatore privato (iure privatorum).

Esempi di entrate di diritto privato:


• Le vendite del patrimonio pubblico;
• Le emissioni di titoli di Stato (BOT, CCT, etc…);
• I giochi, le scommesse ed i concorsi pronostici;
• Le tariffe dei servizi pubblici

A. Entrate c.d. “di diritto pubblico” dove lo Stato agisce mediante il proprio potere autoritativo (iure imperii)
per procacciarsi le entrate.

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Esempi di entrate di diritto pubblico:
• I canoni di concessione;
• I proventi delle attività di monopolio (es.: tabacchi);
• I proventi delle sanzioni penali ed amministrative;
• I prestiti forzosi (es.: art. 12, l. n. 243/1993);
• Le espropriazioni per pubblica utilità;
• I contributi previdenziali.

La fondamentale differenza tra le entrate fiscali e le altre entrate è rappresentata dalla assoluta mancanza di
corrispettività tra prelievo fiscale e l’erogazione dei servizi resi dalla pubblica Amministrazione.

In sostanza, il tributo viene definito come un’obbligazione avente ad oggetto una prestazione di regola
pecuniaria a titolo definitivo o a fondo perduto (differenziandosi, sotto tale profilo, dal prestito forzoso),
coattiva e nascente dalla legge al verificarsi di un presupposto di fatto che di regola non ha natura di
illecito.
Infine il tributo realizza il concorso alla spesa pubblica (art.53 Cost.) ed il suo gettito è destinato a finanziare
lo Stato e gli altri enti pubblici. Non è tributo una prestazione imposta il cui creditore non sia un ente
pubblico, ma un soggetto di diritto privato. È dunque rilevante che il gettito sia attribuiti allo Stato o ad altri
enti pubblici, non è rilevante lo scopo per il quale è istituito; infatti un tributo può essere istituito per fini
fiscali (procurare un’entrata) o per fini extrafiscali (es. dazi protettivi). Il tributo, nel disegno costituzionale,
non deve semplicemente procurare entrate allo Stato, perché il finanziamento delle pubbliche spese è, a sua
volta, un mezzo per il raggiungimento dei fini sociali fissati dalla Costituzione.
Vi possono essere anche tributi con destinazione specifica, detti tributi di scopo o tributi parafiscali (es.
tributo a carico delle imprese che operano in un dato settore il cui gettito viene utilizzato dall’ente per
finanziare attività che giovino alle imprese di quel settore). I comuni possono deliberare l’istituzione di
imposte di scopo destinate alla parziale copertura delle spese per la realizzazione di opere pubbliche.

La Corte Costituzionale ha affermato che i criteri cui far riferimento per qualificare come tributari alcuni
prelievi consistono:
1) nella doverosità della prestazione;
2) nella mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti;
3) nel collegamento di detta prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto
economicamente rilevante.

In generale, la Corte costituzionale ha evidenziato in più occasioni che l’art. 23 Cost. (“nessuna prestazione
personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”) è rispettato quando la legge
definisce i criteri direttivi, i limiti e i controlli idonei a contenere la discrezionalità dell’ente impositore
nell’esercizio del potere che gli viene attribuito, affinché tale potere non si trasformi mai in arbitrio.
Segnatamente, devono essere fissati con legge:

1. il presupposto del tributo, inteso come atto o fatto al cui verificarsi è dovuto il tributo, rispetto al quale la
legge deve rigidamente prestabilirne il contenuto.
2. i soggetti passivi, intesi come coloro cui detto atto o fatto è riferibile.
3. la base imponibile del tributo, attinente alle regole di misurazione della capacità contributiva e l’aliquota,
che trova applicazione una volta misurato il presupposto per calcolare l’importo dovuto.

La giurisprudenza costituzionale adotta una nozione di tributo più ampia di quella tradizionale, infatti è una
nozione che comprende anche i contributi previdenziali e sanitari. Con riguardo all’art. 75 Cost. che vieta il
referendum abrogativo delle leggi tributarie, la Corte costituzionale afferma che la nozione di tributo è
caratterizzata dalla ricorrenza di due elementi essenziali: da un lato l’imposizione di un sacrificio economico
individuale realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio; dall’altro la destinazione del
gettito allo scopo di apprestare i mezzi per il fabbisogno finanziario necessario a coprire le spese pubbliche.

In conclusione, sono considerate tributarie tutte le prestazioni imposte in via coattiva senza il consenso

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dell’obbligato purché non rappresentino il corrispettivo sinallagmatico di una prestazione dell’ente
impositore e siano destinata a finanziare le spese pubbliche in genere o una determinata spesa pubblica.

CLASSIFICAZIONE DEI TRIBUTI: imposte, tasse, contributi e monopoli fiscali

Il termine “tributo” indica un genus comprendente imposte, tasse e contributi a cui taluni aggiungono i
monopoli fiscali. La distinzione tra imposte e tasse corrisponde alla distinzione della scienza delle finanze
che collega le entrate al tipo di spese pubbliche che servono a finanziare. Essendovi spese pubbliche
indivisibili e spese pubbliche divisibili, le entrate destinate a finanziare le spese indivisibili sono imposte,
quelle destinate a finanziare spese divisibili sono tasse.

L’imposta è il tributo per eccellenza. È infatti dovuta dal soggetto passivo al verificarsi di un determinato
presupposto ad esso riferibile che non presenta alcuna specifica relazione con una determinata attività
dell’ente pubblico.
Si pensi ad esempio al possesso di un reddito o di un patrimonio oppure al consumo di un bene. Il solo fatto
di essere titolari di tali indici di capacità contributiva, comporta l’obbligo di pagare l’imposta.
In considerazione di tale natura “acausale”, l’imposta viene anche definita un’obbligazione di riparto, poiché
il contribuente viene chiamato, quale membro della collettività, a partecipare alla spesa pubblica sulla base di
indici di riparto espressivi di forza economica.
Le imposte sono direttamente connesse ad una funzione di solidarietà (art. 2 Cost.), nel senso che in essa si
riscontra non solo un rapporto di carattere “verticale” (Stato - contribuente), ma anche di carattere
“orizzontale”, tra i contribuenti stessi. Sicché, se la spesa pubblica deve essere ripartita tra i contribuenti, la
minore imposta pagata da un soggetto comporta una maggiore imposta in capo ad un altro. Ciò significa non
solo che è fondamentale una corretta ripartizione della spesa pubblica, ma anche che lo Stato non può
rinunciare all’imposta nei confronti di un determinato consociato, perché altrimenti aumenterebbe l’imposta
dovuta dagli altri.
Dalla funzione di riparto si ricava così il c.d. “principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria”, nel
senso che l’Amministrazione finanziaria non ha la facoltà di scegliere, esercitando poteri discrezionali, se
prelevare o meno una determinata imposta, essendo tenuta ad esigere l’imposta se dovuta in base alla legge.
Questo principio deve peraltro confrontarsi con la creazione, nel corso del tempo, di istituti che consento di
raggiungere nella fase di attuazione del tributo (accertamento, riscossione e processo) degli “accordi” tra
Fisco e contribuente il cui effetto è quello di ridurre la maggiore imposta oggetto di accertamento nei
confronti del contribuente.

La tassa si distingue dall’imposta perché il suo presupposto è un atto o un’attività pubblica, ossia
l’emanazione di un provvedimento o la fruizione di un bene o servizio pubblico riguardanti un determinato
soggetto. Vi sono tasse collegate all’emanazione di atti o provvedimenti amministrativi (es. tasse sulle
concessioni governative), tasse collegate ad un’attività pubblica (es. tasse per iscrizione a ruolo delle cause
civili e amministrative) e tasse collegate alla fruizione di un bene pubblico (es. occupazione di spazi
pubblici) o di un servizio pubblico (es. rifiuti). La tassa è un istituto di confine essendo essa prossima da un
lato ai proventi di diritto pubblico di natura non tributaria (es. prezzi pubblici, tariffe, canoni) e dall’altro ai
corrispettivi di diritto privato (cd. entrate patrimoniali). La distinzione tra servizi pubblici alla cui prestazione
è collegato il pagamento di una tassa e servizi pubblici per i quali è dovuto il pagamento di un corrispettivo
(prezzo, tariffa, canone, ecc.) non dipende dalla natura del servizio: una medesima attività amministrativa
può essere assunta come presupposto di una tassa o come presupposto di proventi di altra natura, di diritto
pubblico o privato. Ciò che distingue la tassa dall’entrata di diritto privato è il suo regime giuridico: la
prestazione imposta coattivamente è una tassa; se ha base contrattuale ha natura privatistica. Nella tassa, non
vi è rapporto di sinallagmaticità, o di corrispettività, tra prestazione pecuniaria e attività pubblica, ma un
rapporto di correlatività. Nell’ambito della finanza locale, proventi aventi natura di tassa o di imposta,
possono essere sostituiti con proventi di natura non tributaria (es. i comuni possono con regolamento
escludere l’imposta sulla pubblicità e prevedere il pagamento di un canone). Infine, il contributo unificato
per le spese degli atti giudiziari ha natura di tassa. Il canone televisivo invece è un’imposta.

Gli elementi costitutivi della tassa, che la differenziano dall’imposta, sono in particolare due:

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1. la circostanza che essa è provocata dalla domanda o dal comportamento del soggetto
2. lo scambio di utilità che si realizza

Per quanto riguarda il primo elemento, il pagamento della tassa è di regola determinato da una domanda del
soggetto volta ad ottenere quel determinato servizio o quella determinata attività. Talvolta, tuttavia, può
trattarsi di un'attività semplicemente provocata dal comportamento del soggetto, come accade ad esempio per
le tasse giudiziarie poste a carico dell’imputato che venga condannato in un processo penale.

Per quanto riguarda lo scambio di utilità, il soggetto destinatario riceve normalmente un vantaggio
(beneficio) individuale dall’espletamento di una determinata attività o servizio.

APPROFONDIMENTO: la TARSU, ad esempio, è dovuta anche laddove l’abitazione non sia utilizzata,
ma potenzialmente in grado di usufruire di quel servizio. Tale prestazione è così ritenuta dovuta per la sola
circostanza che esiste un servizio istituito nel comune, di cui si può fruire indipendentemente dalla utilità
concreta per il soggetto del servizio.

Pertanto, la tassa è si correlata ad un servizio e/o attività pubblica, ma non costituisce un vero e proprio
corrispettivo nell’ottica dei rapporti sinallagmatici di stampo privatistico.

Qual è, quindi, il fine pratico della distinzione tra imposta e tassa?


Secondo alcuni la distinzione riguarderebbe la natura del servizio, nel senso che si avrebbe una tassa soltanto
quando si tratti di attività proprie dello Stato che esercita un potere autoritativo. Nelle restanti ipotesi, in cui
quei medesimi servizi che lo Stato si assume potrebbero essere resi anche dal privato, si sarebbe in presenza
di un rapporto obbligatorio bilaterale e di un corrispettivo di diritto privato.
Secondo altri il discrimine è da imputare alla concreta disciplina giuridica del rapporto.
Laddove vi sia un contratto, si tratterebbe di vedere se esso preveda l'applicabilità di norme di diritto privato,
nel qual caso si sarebbe in presenza di corrispettivi di diritto privato; ove ciò non accada, si sarebbe, invece,
in presenza di una tassa, dovendo pertanto trovare applicazione la disciplina propria delle obbligazioni
tributarie.

Il contributo o tributo speciale si colloca in un livello intermedio tra la figura dell’imposta e della tassa,
ricollegandosi, come per la tassa, allo svolgimento da parte dell’ente pubblico di una determinata attività o
realizzazione di un’opera (ad es. l’urbanizzazione, la bonifica, ecc.), tuttavia svolta nei confronti di una
determinata collettività qualificata (e non di un singolo soggetto), e tenendo conto, come per l’imposta, dello
specifico vantaggio (ad es. l’incremento del valore dell’immobile) pervenuto al contribuente, di talché la
misura del contributo verrebbe determinata in ragione differenziata dell’arricchimento che deriva a ciascun
membro della collettività e, dunque, in misura diversa a seconda del vantaggio ritratto.
Nel diritto tributario è denominato contributo (o tributo speciale) quel particolare tipo di tributo che ha come
presupposto l’arricchimento che determinate categorie di soggetti ritraggono dall’esecuzione di una opera
pubblica destinata alla collettività in modo indistinto. Sono inoltre denominati contributi le prestazioni
dovute a determinati enti (associazioni, consorzi, ecc.) per il loro funzionamento;
Taluni includono tra le entrate tributarie anche quelle derivanti dai monopoli fiscali.

Per quanto riguarda, infine, i monopoli fiscali, la loro caratteristica è quella di consentire allo Stato, per
effetto della riserva monopolistica, di fissare il prezzo del bene o del servizio in misura superiore a quello
che sarebbe stato fissato in condizioni di libera concorrenza, così traducendosi in sostanza in una entrata per
lo Stato.
In sostanza, riservano la commercializzazione di un certo bene allo Stato garantendo ad esso il percepimento
di un prezzo maggiore di quello che sarebbe generato dal libero mercato.

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I PRINCIPI DEL DIRITTO TRIBUTARIO – Capacità contributiva e altri principi costituzionali e
comunitari.

Sezione Prima: Principi Costituzionali

Art. 2 Cost.: - Principio di solidarietà


“La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni
sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale”.

Art. 3 Cost.: - Principio di uguaglianza


“Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge…”
“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la
libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana …”

APPUNTI: Il principio di uguaglianza implica che devono essere trattate allo stesso modo situazioni uguali.
Se sono differenziate deve valere un principio di proporzionalità.

Il principio di uguaglianza impone di adottare uguali criteri di tassazione in situazioni analoghe.


Il principio di uguaglianza, correttamente inteso, deve essere tuttavia coniugato con quello di
proporzionalità, che impone di trattare in modo congruamente differenziato le situazioni disuguali.
Pertanto, il principio di uguaglianza deve essere applicato in armonia con quello di «capacità contributiva»
stabilito dall’art. 53 Cost.

CAPITOLO 3. IL PRINCIPIO DI CAPACITÀ CONTRIBUTIVA

Art. 53 Cost. - Principio di capacità contributiva


L’art. 53, comma 1, Cost., disciplina il principio di capacità contributiva, considerato vera e propria “norma
cardine” dell’intero sistema tributario, in forza del quale “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche
in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Tale articolo è rivolto al legislatore, in quanto da una parte sancisce la funzione solidaristica del concorso
alle spese pubbliche, testimoniata anche dalla collocazione della norma nel Titolo dedicato ai “rapporti
politici” e dunque, in tale prospettiva, la legittimità costituzionale dell’imposizione; e dall’altra, esprime la
funzione garantista della capacità contributiva e costituisce sia l’indispensabile presupposto (e limite)
dell’imposizione, nel senso che solo chi ha capacità contributiva può essere tenuto a concorrere alle
pubbliche spese, sia il parametro dell’imposizione medesima, nel senso che l’ammontare del prelievo
tributario deve essere commisurato alla capacità contributiva del singolo.
È ulteriormente rivolto al contribuente, in quanto nell’espressione “sono tenuti” può rinvenirsi la doverosità
del concorso necessario per la stessa sopravvivenza dello Stato, nell’ottica di un rapporto anche orizzontale
“tra contribuenti” e non solo meramente verticale “Stato - contribuente”.

Cosa deve intendersi quindi per capacità contributiva?


L’obbligazione tributaria è un’obbligazione monetaria e, quindi, in ogni caso vi deve essere un collegamento
con un fatto economico, un fatto cioè che esprime “forza economica”: si pensi ad esempio al reddito, al
patrimonio, ai consumi, ai trasferimenti ecc.

Non ogni forma di capacità economica costituisce tuttavia capacità contributiva, in quanto occorre
considerare il principio dell’esenzione del c.d. “minimo vitale”, nel senso che non può formare oggetto di
prelievo tributario quel minimo di capacità economica necessario a soddisfare le esigenze primarie

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dell’individuo: da qui, dunque, una non identità tra “capacità contributiva” e “capacità economica”, non
manifestando le situazioni al di sotto o pari al minimo vitale tout court capacità contributiva.
Il “principio del minimo vitale” si afferma come riconoscimento della preminenza dei valori fondamentali
dell’individuo o, in un’ottica più generale, del suo nucleo familiare, sostanziandosi in tal caso nelle c.d.
“detrazioni per carichi di famiglia”.

In riferimento alla capacità contributiva quale limite al potere impositivo, sussistono infatti ad oggi due
differenti teorie:
1) quella che individua il principio di capacità contributiva quale limite assoluto alle scelte del legislatore;
2) quella che individua il principio di capacità contributiva quale limite relativo alle scelte del legislatore;

Secondo i sostenitori della teoria della capacità contributiva quale limite assoluto, sono espressivi di capacità
contributiva quei fatti o quelle situazioni che rivelano direttamente od indirettamente l’esistenza di una
ricchezza in capo al contribuente. Il reddito, il patrimonio, i consumi sono indici di capacità contributiva,
perché sono indici da cui direttamente o indirettamente si desume la ricchezza dei singoli. Un prelievo può
esistere solo laddove vi sia ricchezza, laddove vi sia una fonte economica.
Tale tesi, connessa all’art. 2 Cost., identifica la capacità contributiva con la titolarità di situazioni giuridiche
soggettive a contenuto patrimoniale, scambiabili sul mercato, che consentano in sé di estinguere
l’obbligazione tributaria.

I sostenitori della teoria della capacità contributiva come limite relativo, invece, ragionano nella logica
dell’art. 3 Cost., sposando un’ottica meramente distributiva. Essi ritengono che siano espressivi di capacità
contributiva tutti quei fatti o quelle situazioni che siano in grado di “modificare la posizione” del consociato
all’interno dell’ordinamento e che quindi possano essere soggetti passivi d’imposta anche coloro che
pongono in essere presupposti socialmente rilevanti, purché espressivi di una capacita differenziata
economicamente valutabile.
L’art. 53 Cost. avrebbe quindi una funzione di riparto e si limiterebbe ad “imporre criteri distributivi equi e
ragionevoli, che possono essere anche fatti non patrimoniali, purché naturalmente rilevabili e misurabili in
denaro, senza che il presupposto contenga necessariamente in se la disponibilità economica per far fronte
all’obbligazione tributaria.

Tali tesi sono anche strettamente connesse al rapporto tra l’art. 53 Cost. e il “diritto di proprietà”.
Secondo la teoria della capacità contributiva come limite assoluto, l’art. 53 Cost. non può comprimere il
diritto di proprietà dell’individuo, ma costituisce un limite al potere d’intervento del legislatore tributario per
tutelare il diritto di proprietà stesso. Conseguentemente, l’imposta non potrebbe mai avere carattere
espropriativo o comunque eccessivamente pregiudizievole per il diritto di proprietà. Esisterebbe dunque un
limite massimo all’imposizione tributaria, nel senso che una determinata capacita contributiva, anche per
effetto del concorso di imposte di diversa natura, non dovrebbe superare una “quota” del reddito complessivo
del soggetto (talvolta identificata nel 50% del reddito complessivo, sulla base di una, non univoca,
giurisprudenza della Corte costituzionale tedesca) pena una vera e propria “natura espropriativa del
prelievo”.
Secondo i sostenitori della capacità contributiva come limite relativo, la proprietà non è un diritto naturale
intoccabile che preesiste all’intervento statale, bensì costituisce frutto di un riconoscimento dello Stato,
dovendo dunque i diritti di proprietà “cedere” rispetto agli obiettivi solidaristici dell’ordinamento
costituzionale.

La posizione della Corte costituzionale, in merito, è stata nel corso del tempo oscillante, anche se parrebbe
potersi individuare un progressivo spostamento vero la tesi della capacita contributiva come limite
“relativo”.

Il discorso sul rapporto tra l’art. 53 Cost. e gli altri principi costituzionali va tuttavia ampliato.
Per quanto riguarda i rapporti con gli artt. 2 e 3 Cost., esso costituisce rispettivamente una proiezione del
solidarismo e del principio di uguaglianza.

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L’art. 2 Cost. richiede, infatti, a carico dei consociati l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale.
L’art. 3 Cost. sancisce, invece, il principio di eguaglianza, distinto in eguaglianza formale e sostanziale. Il
principio di eguaglianza formale vuol dire che non siano ammesse discriminazioni in base a sesso, razza,
lingua, religione, opinioni politiche, condizioni sociali e personali. Il principio di eguaglianza sostanziale,
invece, chiarisce che è compito dello Stato rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che
impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

Quanto al principio di eguaglianza formale, esso impone, infatti, di trattare in modo uguale situazioni uguali
e in modo disuguale situazioni diverse, dovendosi prevedere trattamenti fiscali differenziati per ricchezze
diverse.
In altre parole, è legittimo un prelievo maggiore su una capacità contributiva maggiore ed uno minore su una
capacita contributiva minore. L’accertamento di tale differenziazione spetta al legislatore, con l’unico limite
della ragionevolezza della scelta operata, intesa come obbligo di coerenza e di non contraddittorietà.

Quanto al principio di eguaglianza sostanziale, lo Stato può utilizzare la leva fiscale per cercare di
promuovere e migliorare la situazione dei propri consociati, correggendo gli squilibri sociali dovuti a
situazioni sperequate di partenza (c.d. “azioni positive”), in un’ottica definibile di “giustizia redistributiva”.

1. L’art. 53 Cost. utilizza il pronome “tutti”, senza ulteriore specificazione, così distinguendosi dall’art. 25
dello Statuto albertino che, individuando specificamente il referente soggettivo, disponeva che “Essi (i
regnicoli) contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro avere, ai carichi dello Stato”.
Il termine “tutti” evidenzia il principio di “universalità del tributo”, che deve colpire, al verificarsi dei
presupposti, tutti i soggetti indipendentemente dalla loro cittadinanza.
La capacita contributiva deve riguardare il “singolo contribuente”.
Da qui l'illegittimità costituzionale del cumulo familiare dei redditi, che prevedeva l’imputazione al marito
dei redditi della moglie, pur non potendone il primo disporre. (sentenza 179/1976).

Il principio di universalità del tributo implica che sono obbligati a contribuire ai bisogni della spesa
pubblica, tutti i soggetti (persone fisiche o giuridiche) che operano nel territorio dello Stato, residenti e non
residenti, senza discriminazioni di età, sesso, religione, appartenenza politica, e simili.
Sarebbero perciò incostituzionali eventuali norme tributarie che determinassero la misura degli obblighi
fiscali in base a parametri quali lo stato civile o l’appartenenza politica o religiosa.

Ai fini I.R.P.E.F. ed I.R.E.S. i soggetti residenti sono tenuti al pagamento del tributo su tutti i redditi,
ovunque prodotti; i non residenti, sui redditi prodotti in Italia.

I criteri tradizionalmente elaborati a tal riguardo sono principalmente tre:


1) Il criterio del corrispettivo (o del beneficio), secondo cui il tributo è dovuto in proporzione ai benefici che
si possono trarre dalla corrispondente spesa; Il tributo è quindi dovuto, secondo una soglia di solidarietà, in
base all’appartenenza alla collettività.
2) Il criterio del sacrificio: uguale; proporzionato all’utilità conseguita dalla propria ricchezza; minimo;
1) La capacità contributiva.

Con sentenza del 4 giugno 1964, n. 45, la Corte Cost. ha tuttavia superato questa impostazione originaria,
affermando che l’art. 53 Cost. costituisce una norma «precettiva» e definendo la capacità contributiva come:
…«l’idoneità economica del contribuente a corrispondere la prestazione coattiva imposta».
La capacità contributiva si può desumere da vari indici, quali:
- Il patrimonio;
- Il reddito;
- Il risparmio;
- La spesa per consumi o per investimenti;
- I trasferimenti di ricchezza; es. l’imposta di registro, cioè intesa come un imposta sugli atti, ad esempio un

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atto di trasferimento di un immobile, atto di fusione, una sentenza (un atto giudiziario).
- Le rendite finanziarie.

Come si determina la capacità contributiva? La capacità contributiva si può desumere anche da indici
forfettari (come le rendite catastali) o da elementi presuntivi (come gli «studi di settore»).
Ogni presunzione deve essere relativa in quanto deve permettere al soggetto la possibilità di fornire la prova
contraria.
Una norma tributaria che ponesse una presunzione assoluta sarebbe incostituzionale, perché contraria al
principio di capacità contributiva (cfr. Corte Cost., n. 200/76 e n. 103/91).
Appaiono altresì contrarie al principio di capacità contributiva le norme tributarie che impongano sanzioni
improprie (come le norme che impedivano la deduzione dei costi non registrati o dei costi sostenuti
nell’esercizio di attività illecite).

Il principio di progressività.
Dall’art. 53 Cost. si evince altresì che la ricchezza cui viene commisurato il prelievo deve essere “effettiva”.
Secondo la Corte costituzionale, non può infatti essere considerata sufficiente una capacità meramente
fittizia o apparente.
L’art. 53 comma 2, Cost. dispone che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Un’imposta si definisce progressiva quando il suo ammontare aumenta in modo più che proporzionale al
crescere dell’imponibile. La progressività può essere assicurata intervenendo sia sull’aliquota, sia sulla base
imponibile.
Si tratta di un principio che indica la funzione non solo contributiva del sistema tributario, bensì anche
redistributiva e dunque costituisce, sotto tale profilo, un’ulteriore declinazione da un lato della funzione
solidaristica dell’art. 53 Cost. e dall’altro del principio di eguaglianza in quanto finalizzato, nella fattispecie,
a correggere gli squilibri sociali.
Inoltre, il principio di progressività indica che il sistema tributario non ha solo lo scopo di fornire mezzi
finanziari allo Stato, ma anche funzioni per il raggiungimento dei fini di giustizia sociale fissati dalla
Costituzione.

Esso si manifesta in diversi modi:


- mediante l’istituzione di imposte a carattere progressivo (come l’I.R.P.E.F., che prevede l’applicazione di
aliquote di imposta crescenti per fasce di reddito crescenti);

APPUNTI: Nell’ordinamento tributario si distinguono imposte fisse, proporzionali e progressive. L’imposta


fissa è dovuto in forma uguale da parte di chiunque (es; le accise sui carburanti). Sono proporzionali le
imposte che si ottengono moltiplicando l’aliquota ad una determinata ricchezza (es; l’IVA poiché è dovuta
in ragione di un’aliquota applicata al prezzo di un prodotto). L’imposta è progressiva quando l’aliquota
cresce al crescere della ricchezza sottoposta al prelievo fiscale (es; l’IRPEF, imposta sui redditi delle
persone fisiche).

- mediante la differenziazione delle aliquote per le imposte sui consumi, e quindi mediante la previsione di
aliquote più basse per i consumi diretti a soddisfare esigenze primarie, e di aliquote più alte per i consumi
che soddisfano bisogni voluttuari; mediante l’applicazione di maggiori imposte sulle attività considerate
più remunerative (ad es., applicazione dell’I.R.A.P. sulle sole attività organizzate in forma di impresa, e
non pure sulle attività di lavoro).

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 9


CAPITOLO 4. L’EFFICACIA NEL TEMPO DELLE NORME TRIBUTARIE

Il primo aspetto attiene ai limiti alla retroattività di un tributo, inteso come possibilità di assumere a
presupposto di imposta un fatto espressivo di capacità contributiva manifestatosi in periodi di imposta
antecedenti quello dell’introduzione della norma.
A tal riguardo, l’art. 11 delle Preleggi fissa il principio di irretroattività delle leggi, affermando che “la
legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. Tuttavia, essendo norma di legge
ordinaria, soccombe dinanzi a leggi speciali di pari rango: i limiti della retroattività dei tributi devono essere
rinvenuti quindi in fonti sovraordinate, ossia le norme costituzionali.

Quando nel 1991 il legislatore introduce la tassazione delle plusvalenze derivanti da indennità di esproprio
(riferite al triennio precedente all’introduzione della fattispecie normativa) la corte Costituzionale nel 1994,
chiamata a verificarne la legittimità, si espresse sottolineando che:
- il termine triennale è tale da far ragionevolmente presumere che la capacità contributiva espressa dal
fatto indice sussista ancora al momento in cui si eleva quest’ultimo, retroattivamente, a presupposto
d’imposto.
- Il sistema dell’imposta sui redditi consentiva al contribuente di prevedere ragionevolmente
l’introduzione di una tassazione sull’indennità di esproprio.
L’argomento della prevedibilità tuttavia fu ampiamente criticato, in quanto l’ordinamento è improntato su
una tassazione del c.d. reddito prodotto, ossia si fa riferimento a incrementi patrimoniali che derivano da
una fonte produttiva, intesa quale fonte suscettibile di riprodurre quei redditi nel tempo (ad es. l’affitto di un
immobile, il frutto di un capitale). Solo alcune ipotesi confinano nelle fattispecie di reddito entrata, inteso
come qualsiasi incremento patrimoniale del contribuente anche di carattere straordinario e fortuito, cui è
ascrivibile l’indennità di esproprio. Inoltre non si può pretendere che il contribuente regoli i propri
comportamenti su presunte scelte future (ed in quanto tali imprevedibili) del legislatore, come vorrebbe
invece il criterio della prevedibilità.

In altri ordinamenti la retroattività è valutata sotto il più ben incisivo profilo della tutela dell’affidamento
nella certezza del diritto.
Tale principio trova un importante riferimento sia nel diritto europeo che nella giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell’uomo.
- Quanto al diritto europeo, la Corte di Giustizia ha ripetutamente affermato che i principi di certezza
del diritto e di tutela del legittimo affidamento costituiscono principi generali dell’ordinamento
giuridico europeo, e ciò implica l’obbligo del rispetto di tali principi da parte delle istituzioni europee
e degli stati membri.
- Quanto alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, essa ha affermato che seppur in astratto al potere
legislativo sia possibile regolare la materia civile con norme a portata retroattività, in realtà il principio
della prevalenza del diritto e la nozione del processo equo si oppongono a tale possibilità, salvo motivi
di interesse generale.
Sono principi fatti propri dalla Corte Costituzionale che si è riservata di valutare se un intervento del
legislatore con efficacia retroattiva sia giustificato da motivi di interesse generale.

2-Lo Statuto del Contribuente, retroattività e principio dell’affidamento.


Alla base dell’art. 3 dello Statuto dei diritti del contribuente (L. 212/2000) vi è proprio il principio
dell’affidamento. Secondo tale norma, salvo le norme di interpretazione autentica, le disposizioni tributarie
non hanno effetto retroattivo. Per i tributi periodici, le modifiche introdotte si applicano solo al periodo
d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni relative.
La norma, in termini perentori, vieta sia la retroattività propria che quella impropria.

L’art. 1 dello Statuto stabilisce che le disposizioni dello stesso possono essere derogate solo se
espressamente previsto e mai da leggi speciali poiché:
1. Sono espressive di principi costituzionali. (ma non possono fungere da parametro di costituzionalità)
2. Hanno natura di principi generali dell’ordinamento

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 10


6- Norme procedimentali e principio del “tempus regit actum”.
Le disposizioni tributarie possono appartenere alla categoria delle norme sostanziali, procedimentali o
processuali.
1) Le norme sostanziali a loro volta possono classificarsi in
a. Impositrici: vale il principio secondo cui si applicano quelle vigenti al momento in cui si
verifica il presupposto d’imposta.
b. Sanzionatorie: viene in rilievo l’attuale antigiuridicità del comportamento. L’art. 3 d.lgs.
472/1997 stabilisce al comma 2 che “nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un
fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile”. Al comma 3
afferma invece che “Se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione
e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica quella più favorevole
(favor rei)”.
c. Agevolative

2) Norme procedimentali sono quelle che regolano la fase attuativa dinamica dell’attuazione del tributo.
In presenza di norme procedimentali, vige il principio “tempus regit actum”, ossia si applica il
regime normativo in vigore nel momento in cui viene compiuto quel determinato atto o attività
(principio opposto a quello delle norme sanzionatorie).

3) Norme processuali sono quelle che regolano il contenzioso dinanzi ai giudici tributari.

7- Decreti legge non convertiti ed efficacia nel tempo


Infine va rilevato che secondo l’orientamento della giurisprudenza dominante, l’emendamento sostitutivo o
soppressivo del decreto legge in sede di conversione configura una conversione parziale del decreto
medesimo. Tali emendamenti determinano la perdita di efficacia ex tunc della diposizione eliminata e
l’entrata in vigore ex nunc della nuova disposizione dalla data di entrata in vigore della legge di conversione.
Ad esempio nel caso in cui un decreto legge preveda una maggiore aliquota dell’IVA, sulla cui base siano
state emesse determinate fatture, e la legge di conversione non abbia mantenuto la detta disposizione, la
maggiore aliquota dovrà considerarsi mai esistita. Il prestatore del servizio allora dovrà rettificare le fatture
emesse con lo strumento della nota di servizio.

CAPITOLO 5. INTERPRETAZIONE, ELUSIONE FISCALE ED ANALOGIA NEL


DIRITTO TRIBUTARIO

1- L’interpretazione nel diritto tributario e l’art. 12 Preleggi.


Il dibattito di origine antichissime sull’interpretazione e sulle condizioni di applicabilità dei canoni
interpretativi (letterale, teleologico, sistematico) non si è rivelato nel corso degli anni appagante. A volte si è
constatata l’inadeguatezza strutturale dell’interpretazione letterale nel processo ermeneutico, altre volte si è
sostenuta la necessità di andare oltre la testualità ma senza validamente sostenere questa tesi con argomenti
forti o principi metodologici. Altre volte, ancora, non si è andato oltre l’affermazione secondo la quale le
disposizioni tributarie si interpretano come le altre, secondo l’art. 12 Preleggi.
In realtà quest’ultima tesi non risolve il problema perché l’art. 12 Preleggi non disciplina il processo
interpretativo e non funziona, di fatto, come canone c.d. di “secondo livello” al fine di orientare la scelta
interpretativa del “primo livello” (letterale, teleologico e sistematico) nell’ipotesi in cui la loro applicazione
conduca a risultati contrastanti.
Inoltre l’art. 12 non pare idoneo ad impedire che il problema interpretativo possa rivestire caratteri peculiari
nelle singole branche del diritto. Il rapporto tra lettera, scopo e sistema può ben assumere connotazioni
differenti da branca a branca, pertanto non occorre confondere l’unitarietà del processo di comprensione del
diritto con le specifiche modalità che potranno caratterizzare la ricerca della soluzione nel caso concreto a
livello di principi metodologici.

2- L’argomento letterale.
Il profilo “testuale” dell’interpretazione è stato rivalutato nel corso degli anni, come testimonia lo

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 12


3. Vi è il principio di fissità, secondo cui la modifica deve essere prevista espressamente e mai da leggi
speciali.
Ma non potendo fungere da parametro di costituzionalità non possono costituire un valido argine al potere
legislativo per la retroattività propria e impropria.
Pertanto, per censurare norme tributarie retroattive non resta che invocare l’art. 53 Cost. in merito al
requisito dell’attualità della capacità contributiva.

3-Attualità e imposte anticipate.


Il problema dell’attualità coinvolge anche le norme che vanno a colpire una capacità contributiva futura.
Ci si riferisce alle c.d. “anticipazioni d’imposta”. Infatti il contribuente è tenuto in corso d’anno al
pagamento di acconti che sono commisurati all’anno precedente.
Seppur intese legittime dalla Corte Cost. le anticipazioni (essendo possibile ottenere il rimborso per il
contribuente in sede di conguaglio), deve ritenersi ugualmente legittima la possibilità di omettere di versare
(o versare in misura inferiore) gli acconti ove ritenga che in quel periodo non realizzerà la stessa capacità
contributiva dell’anno precedente.

4-Norme di interpretazione autentica.


Ai sensi dell’art. 3, co. 1, dello Statuto, le norme di interpretazione autentica rappresentano un’eccezione al
divieto di retroattività. L’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta solo in
casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come interpretazione autentica quella che proviene dallo
stesso autore del precetto oggetto di interpretazione.
Nel caso in cui però la norma dia un significato ulteriore e diverso rispetto a quelli accolti in precedenza, e
quindi non corrisponda la forma con la sostanza, la Corte Costituzionale non ha mutato il suo orientamento,
non più teso a dichiararne l’incostituzionalità sic et simliciter.
Nelle ultime pronunce della Corte, pur ribadendo la necessità che norme innovative non vengano qualificate
come interpretative al solo fine di rendere retroattive, ha inteso rivalutare il principio dell’affidamento, inteso
più come sindacato di ragionevolezza sulla retroattività della norma.
Ne consegue che la legge tributaria innovativa soggiace ai medesimi vizi di incostituzionalità di una legge
retroattiva non interpretativa, sicché la Corte sarà tenuta a verificarne il rispetto, oltre che dei principi
costituzionali, anche del principio generale di ragionevolezza (divieto di disparità trattamento, tutela
dell’affidamento, coerenza e certezza dell’ordinamento giuridico.
Tuttavia la Corte afferma che con qualsiasi significato voglia attribuirsi alla norma, si tratta di norma
retroattiva a tutti gli effetti (retroattività reale) e come tale soggetta ai limiti della retroattività.
Comunque sia, l’interpretazione scelta dal legislatore dovrà comunque assumere a presupposto un fatto che
sia manifestazione di capacità contributiva.

5-Le sentenze della Corte Costituzionale e la teoria dei rapporti esauriti.


Se la corte Costituzionale dichiara un tributo incostituzionale in quanto non espressivo di capacità
contributiva, il diritto al pagamento della giusta imposta va comunque contemperato con quello relativo
alla certezza dei rapporti giuridici, ossia con quei principi e norme che presiedono all’attuazione del
tributo. Pertanto, l’inutile spirare dei termini per ottenere il rimborso, la definitività di un atto impositivo per
la sua mancata impugnazione nei termini, oppure il passaggio in giudicato di una sentenza sfavorevole al
contribuente, determinano la nascita di “rapporti esauriti” tali da precludere la ripetizione del tributo
pagato.
La Corte Costituzionale, con una recente sentenza (c.d. robin hood tax) ha introdotto un’eccezione nel caso
in cui gli effetti temporali delle dichiarazioni di illegittimità costituzionale possano determinare un grave
impatto su altri principi costituzionali. Da un lato, nell’equilibrio di bilancio art. 81 Cost. che verrebbe
violato dall’obbligo di rimborso di somme rilevanti, richiedendosi una manovra fiscale aggiuntiva; dall’altro,
negli artt. 2 e 3 Cost., ricadendo inevitabilmente tali maggiori oneri sulle fasce più deboli, o anche negli artt.
3 e 53 Cost avvantaggiando il rimborso su quegli operatori che abbiano traslato sui propri clienti
l’imposizione dichiarata costituzionalmente illegittima. Tuttavia, si dimostra in questo modo che la tutela del
singolo contribuente sia recessiva rispetto alle esigenze dell’art. 81 Cost. in sede di bilanciamento tra principi
costituzionali.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 11


sviluppo del dibattito sulla c.d. tecnica legislativa, volto a mettere in evidenza l’importanza della
formulazione legislativa nel processo ermeneutico.
Lo Statuto dei diritti del contribuente pone alcune regole di tecnica legislativa tributaria, destinare a regolare
l’attività di normazione della materia.
Inoltre è emersa anche l’attenzione con riferimento alla questione linguistica. Agli inizi degli anni ’80
venne infatti nominata una commissione per semplificare le istruzioni dei modelli di dichiarazione dei
redditi.
L’interpretazione letterale è quel significato che l’enunciato esprime sulla base delle regole linguistiche,
sia di tipo semantico (significato delle parole), sia di tipo sintattico (posizione e relazione tra parole).
Al significato lessicale può accompagnarsi un significato letterale-enunciativo (significato nel contesto
dell’enunciato) o un significato letterale-testuale (tiene conto delle convenzioni che presiedono alla
formazione dei testi).
Il significato letterale può richiedere il ricorso ad altri metodi dell’interpretazione: sia nei casi di ambiguità
(una parola, più significati) che nel caso di vaghezza comune (non si è certi se il fatto in questione sia
nell’estensione della norma). Una problematica in materia fiscale può nascere da due casi:
- Il rinvio in forma esplicita: può esprimersi mediante una presupposizione o rinvio vero e proprio. La
presupposizione può avere ad oggetto nozioni giuridiche o extragiuridiche. In caso di rinvio vero e
proprio quando viene designata la corrispondente fonte normativa, frequenti nel diritto tributario.
- Rinvio in forma implicita: l’enunciato utilizza un vocabolo tecnico che appartiene i) allo stesso
documento normativo ii) allo stesso settore disciplinare iii) ad altro settore disciplinare.
Tuttavia l’assegnazione di un significato diverso deve ritenersi una eccezione e non una mera fisiologica
funzione del riferimento al contesto.

3- L’argomento teleologico e l’elusione fiscale.


L’argomento teleologico sulla diversa funzione del concetto nel diritto tributario potrà soprattutto svolgere
due funzioni:
1) Precisare il significato del termine adottato laddove lo stesso, nella sua branca di origine, sia oggetto di
una pluralità di interpretazioni.
2) Assegnare al termine o concetto un significato diverso da quello che esso assume nella propria branca
di origine (in tal caso l’interprete che vorrà discostarsi dal nucleo significante di riferimento dovrà
fornire un’argomentazione convincente).
Per significato della legge si intende quello soggettivo che si stabilisce attraverso la precostituita volontà del
legislatore storico oppure quello oggettivo secondo il quale il contenuto della legge sta nella legge stessa e
nelle sue parole, quale senso oggettivo indipendente dalle intenzioni del legislatore storico?
Ad oggi si preferiscono le teorie oggettive: non bisogna interpretare le norme con l’animo del legislatore del
passato, ma attuare un’interpretazione conforme al presente.
L’argomento teleologico si collega strettamente alla funzione dello scopo nel (e del) diritto tributario.
Prima secondo l’indirizzo della Corte, lo scopo era di procurare i maggiori introiti possibili per procedere ad
un’applicazione sostanzialistica del diritto tributario e per realizzare una vera eguaglianza tra contribuenti.
Ma in realtà l’acquisizione del gettito è il motivo della legge e non lo scopo. In realtà lo scopo è la
tassazione del c.d. “equivalente economico”, non già nel senso di consentire al Fisco qualsiasi forma di
prelievo anche arbitrario, quanto invece di assicurare che, una volta individuato in sede legislativa il
fenomeno economico tassabile, l’interprete dovesse assegnare alla norma tributaria la massima “estensione”
possibile in modo da assicurare l’imposizione di tutto ciò che si configurava come “economicamente
equivalente” a quanto previsto come tassabile dal legislatore.
Accanto allo scopo della legge tributaria in generale può esservi anche una specifica finalità perseguita dalla
norma tributaria (ad es. i tributi di indirizzo o le norme anti-elusive).
Il fenomeno elusivo ha alla sua base un comportamento del contribuente che tenta di aggirare un determinato
presupposto di imposta facendo nascere, tramite una diversa configurazione giuridica della fattispecie un
diverso presupposto con lo scopo di attenuare o eliminare l’onere fiscale connesso al presupposto.
Una forma di aggiramento si ha anche allorché il comportamento del contribuente si configura come
“reazione” dinanzi ad una situazione legislativa che gli preclude determinati vantaggi tributari. Attraverso
l’utilizzo di determinate fattispecie negoziali, il contribuente mira ad ottenere quei vantaggi. Oppure con il
travestimento del reddito comportamento volto ad evitare l’insorgenza di qualsiasi presupposto.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 13


L’elusione è diversa dall’evasione: con l’evasione non si aggira un presupposto, ma si nasconde un
presupposto già verificatosi.
Ci sono 3 approcci di lotta all’elusione.
1) Affrontare il problema dal lato della disposizione normativa elusa, facendovi rientrare in via
ermeneutica la fattispecie elusiva.
2) Contrastare la fattispecie elusiva in base a principi e istituti generali dell’ordinamento ad es. l’abuso
del diritto, la frode alla legge oppure di ricorrere a disposizioni tributarie “di chiusura”, oppure
ancora di ricorrere ad espresse disposizioni antielusive generali o speciali
3) Indagare sul negozio tra le parti per verificare se sia possibile qualificarlo diversamente da quanto
fatto dalle parti.
Sin quando si è in grado di ricondurre la fattispecie posta in essere dal contribuente all’interno delle norme
teoricamente eluse non vi è elusione in senso proprio.

Tuttavia in tali fattispecie, la Corte ha precisato che la fonte del principio antiabuso va rinvenuta negli stessi
principi costituzionali. Però ha precisato che:
- Il Fisco deve verificare l’esistenza di un vantaggio fiscale che costituisca lo scopo predominante ed
assorbente dell’operazione posta in essere;
- Il Fisco deve inoltre provare il disegno elusivo e le modalità di alterazione degli schemi negoziali
classici
- Il contribuente deve allegare l’esistenza di valide ragioni economiche alternative di reale spessore che
giustifichino operazioni così strutturate.
L’amministrazione finanziaria è quindi tenuta ad una prova rigorosa.

4- L’argomento sistematico.
Ad un primo livello si pone il profilo sistematico-testuale, quale idea che gli enunciati contenuti nei testi
legislativi siano in relazione l’uno con l’altro, compongano un testo, in modo conforme ad una concezione
della legge come “norme espresse dal voto”
Ad un secondo livello si pone il profilo sistematico-concettuale relativo all’utilizzo in fase decisoria delle
teorie dogmatiche degli istituti giuridici. Esiste un sistema dei concetti nello studio del diritto tributario-
Ad un terzo livello il profilo del sistema-principi, ossia la conformità delle norme ai principi del diritto,
dove occorre verificare se e quali direttive possano derivare dall’interprete medesimo.
In merito agli interessi, vi è da un lato l’interesse del Fisco e più specificamente l’interesse alla riscossione
dei tributi, di importanza vitale per il corretto funzionamento dello stato. Dall’altro l’interesse del
contribuente ad essere tassato secondo legge, ossia che la prestazione sia imposta attraverso un
procedimento predeterminato e che essa sia collegata ad un presupposto economico.

5-L’analogia e le norme impositive.


Il problema attiene alla delimitazione dei confini esistenti tra interpretazione, da un lato, e analogia legis e
analogia juris, dall’altro lato.
Riguardo ai confini, sono state ampliate le possibilità ermeneutiche riservate all’interprete; il ricorso sempre
più frequente a clausole generali tende a ridurre l’applicazione del ragionamento analogico.
La dottrina ha affrontato il problema sotto molti punti di vista:
- La riserva di legge, facendovi discendere un divieto di analogia legis
- Struttura norme tributarie, non potendo esse trovare applicazione al di fuori di date situazione
concrete ben determinate
- Principio di tassatività delle fattispecie impositive
- Completezza dell’ordinamento giuridico tributario ora nella prospettiva della norma generale
esclusiva (tutti i comportamenti non compresi dalla norma particolare sono regolati da una norma
generale esclusiva, ossia la regola che implicitamente esclude tutti i comportamenti non rientranti
nella norma particolare.) ora in quella dello spazio giuridico vuoto (il diritto è composto da norme
imperative limitative della libertà, pertanto ove non disciplina la norma permangono spazi di libertà
residui).
La teoria generale afferma invece che la completezza dell’ordinamento può essere raggiunta solo tramite un

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 14


espresso divieto di analogia ad oggi mancante nel diritto tributario.

6- L’analogia e le norme diverse da quelle impositive


Per quanto attiene all’integrazione analogica delle norme di agevolazione si suole distinguere tra:
- Esclusioni: le norme di esclusione sono quelle che escludono dall’ambito di applicazione di un tributo
una particolare fattispecie ma viene specificato per chiarezza, dal momento che già in sé quella
fattispecie non rientrerebbe nel presupposto applicativo di quel tributo. Più che di agevolazione, si
parla di delimitazione negativa della sfera di applicazione della norma impositiva.

- Esenzioni: le norme di esenzione sono invece le vere e proprie norme di agevolazione in senso stretto,
in assenza delle quali la fattispecie che ne forma oggetto rientrerebbe a pieno titolo nel presupposto
del tributo. Tali norme assumono natura derogatoria.
Il problema dell’interpretazione analogica delle norme di agevolazione ruota da sempre sulla natura
eccezionale che ad essa si è intesa attribuire.
L’art. 14 Preleggi vieterebbe per le norme eccezionali l’analogia e non anche l’interpretazione estensiva. Dal
noto brocardo latino singularia non sunt extendenda: in presenza di norme eccezionali, prevale l’argomento
a contrario su quello analogico.
Ciò non toglie la necessità di valutare caso per caso, ai fini dell’integrazione analogica, la rispondenza delle
norme di agevolazione a determinati principi, dai quali estrapolare la ratio, quella ragion sufficiente che ne
consenta l’applicazione a fattispecie simili a quelle direttamente regolate.

CAPITOLO 6. L’EFFICACIA DELLA NORMA TRIBUTARIO NELLO SPAZIO

1-L’efficacia della norma tributaria nello spazio e la territorialità c.d. “in senso formale” ed “in senso
materiale”.
Il tema implica 3 ordini di problemi: a) determinazione dello spazio nel quale la legge esplica in generale la
propria efficacia, b) territorialità in senso formale, c) territorialità in senso materiale.
a) La legge tributaria esplica la propria efficacia in tutto il territorio (inteso in senso politico) dello Stato.
Può accadere che certe parti del territorio siano escluse dalla nozione di territorio doganale o di
territorio ai fini dell’IVA. Oppure può accadere che l’ambito di applicazione di alcune norme sia
limitato a porzioni del territorio (come avviene per i tributi locali).

b)Con l’espressione territorialità in senso formale (anche detta territorialità della potestà
amministrativa d’imposizione) si fa riferimento all’esigenza che l’attività amministrativa di attuazione
del tributo si confronti con i limiti di diritto internazionale che presiedono all’esercizio di poteri
pubblici. L’attuazione di un tributo può comportare attività di tipo istruttorio (accesso, verifica e
ispezione) nel territorio di un altro stato. Ma esiste un principio di non collaborazione tra Stati , nel
senso che altri Stati potrebbero legittimamente sottrarsi alla realizzazione sul proprio territorio dei
crediti tributari di Stati esteri.
Il tema ha avuto un impulso con l’emanazione nel 1988 dell’OCSE (Organizzazione per la
Cooperazione e lo Sviluppo Economico) del c.d. “codice di condotta” in esito al lavoro sulla lotta ai
paradisi fiscali (tax heavens) e ai regimi fiscali “preferenziali dannosi”. Mentre inizialmente i paradisi
fiscali furono ritenuti quelli con livello di imposizione nullo o irrilevante, nel 2001 fu introdotta una
nuova concezione basata sul grado di cooperazione dello Stato nei confronti delle Amministrazioni
degli altri Stati e sul grado di trasparenza dei regimi fiscali, al fine di ottenere l’impegno ad
assicurare la massima trasparenza e un effettivo scambio di informazioni.
Per l’OCSE lo scambio può considerarsi effettivo se si verificano 3 circostanze:
1) Disponibilità dell’informazione, ossia quando è possibile identificare i proprietari di società o
comunque i soggetti coinvolti in altri enti.
2) Appropriato accesso all’informazione che si ha quando le autorità fiscali dello Stato richiesto
dispongono di mezzi adeguati per reperirle e fornirle allo Stato richiedente.
3) Esistenza di un meccanismo di scambio di informazioni che si verifica quando lo scambio è
effettuato su richiesta, laddove le informazioni siano ragionevolmente rilevanti per lo stato

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 15


richiedente.
Sulla base di questi principi è stata attivata una procedura di rating volta a valutare l’efficacia
complessiva del sistema adottato dalla singola giurisdizione. Pare ormai impossibile affermare
l’esistenza di un principio di non collaborazione tra Stati ai fini dell’accertamento, in quanto si è
compreso che l’elusione e l’evasione riducono il gettito degli Stati, ledendo le politiche di crescita e
di tutela dei diritti sociali.
Sul fronte internazionali esistono strumenti convenzionali per la risoluzione delle problematiche
relative all’accertamento ed attuazione del tributo:
- Convenzione multilaterale sulla mutua assistenza amministrativa ai fini fiscali (firmata a
Strasburgo il 25 gennaio 1988, firmata da sessanta Stati)
- Verifiche simultanee, ossia simultanee attività ispettive da parte di più amministrazioni di stati
diversi.
- Assistenze alla riscossione, che prevede che gli Stati contraenti possano prestarsi reciproca assistenza
nella riscossione di crediti tributari.

c) Con la territorialità in senso materiale ci si riferisce alla determinazione dell’ambito spaziale del
presupposto di imposta in sede di creazione della norma impositiva.
Anche qui vi è un quadro ricostruttivo disomogeneo, ora ritenendosi inesistente qualsiasi limite di
diritto internazionale alla potestà impositiva tributaria, ora sostenendosi la necessità della sussistenza
nella norma impositrice pur sempre di un criterio di collegamento effettivo di tipo soggettivo o
oggettivo.
Trattandosi del principio di capacità contributiva, si è visto che con riferimento al nostro ordinamento,
il fondamento del principio di “territorialità” debba rinvenirsi nell’uso del pronome “tutti” di cui
all’art. 53 Cost. e nel collegamento con l’art. 2 Cost., nel senso che sono tenuti a concorrere alla
spesa pubblica tutti e solo coloro in capo ai quali è rinvenibile un dovere solidaristico per essere in
qualche modo parte della collettività chiamata a contribuire. Ne deriva che un tributo che dovesse
assumere a presupposto un fatto che sia privo di qualsiasi collegamento con il nostro territorio
risulterebbe, prima ancora che in violazione del diritto internazionale, in violazione dell’art. 53 Cost.

2-I criteri di collegamento personali e reali


Premesso nel paragrafo precedente che l’imposizione di un determinato fatto economico si fondi su di un
ragionevole criterio di collegamento, bisogna comprendere in cosa consiste tale criterio.
Ci sono due tipologie di criteri di collegamento: quelli di natura personale e quelli di natura reale.
Ogni tributo ha specifiche caratteristiche in relazione ai criteri di collegamento e di territorialità.
Riguardo alle imposte sui redditi, da un lato vi è il criterio di natura personale della residenza fiscale, in
cui la localizzazione del presupposto d’imposta avviene guardando alla collocazione riferita o al rapporto
del soggetto con l’ordinamento (ad es. cittadinanza) oppure a quello con il territorio dello Stato.
Dall’altro vi è quello di natura reale del luogo di produzione del reddito, in cui tale localizzazione avviene
guardando il territorio in cui il legislatore assume essersi verificato il presupposto d’imposta (norme di
localizzazione del reddito.
Sotto il profilo internazionale i criteri sono il principio del reddito mondiale (che trova fondamento nel
criterio della residenza fiscale – assoggettamento dei soggetti residenti a tassazione di tipo personale per i
redditi ovunque prodotti) e il principio della fonte che trae origine dal criterio del luogo di produzione del
reddito e attribuisce rilevanza a quei soli redditi che, sulla base di un apposito sistema normativo di
individuazione del luogo, vengono localizzati nel territorio dello Stato.
Da segnalare che i due principi sono stati e sono tuttora oggetto di un lungo dibattito in merito alla
preferibilità dell’uno anziché dell’altro.
I sistemi impositivi moderni non si limitano a disciplinare la sola dialettica tra principio della residenza e
principio della fonte. In ormai numerosi ordinamenti è presente, per i soggetti fiscalmente residenti, un
articolato “sottosistema” relativo ai rapporti che codesti soggetti intrattengono al di fuori dei confini
nazionali.

3- La doppia imposizione internazionale

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 16


La diversità tra i concetti residenza o tra i criteri di collegamento reali utilizzati possono determinare
fenomeni di doppia imposizione internazionale.
La doppia imposizione internazionale può infatti derivare da tre tipologie di “conflitto”
- Dal conflitto residenza-fonte, quando una situazione di fatto sia assunta quale presupposto dei tributi
in uno stato sulla base di criterio soggettivo e nell’altro stato sulla base di criterio oggettivo.
- Dal conflitto residenza-residenza, se soggetto considerato residente in più Stati.
- Dal conflitto fonte-fonte, quando una medesima fonte di reddito viene localizzata in più Stati,
indipendentemente dalla residenza del soggetto.

Siamo in presenza, in questi casi, di ipotesi di doppia imposizione giuridica, nel senso che è lo stesso
reddito in capo al medesimo soggetto a formare oggetto di un doppio prelievo.
Possono aversi ipotesi di doppia imposizione economica, quando la medesima imposizione coinvolge lo
stesso reddito in senso economico ma in capo a soggetti diversi.
Riguardo al profilo della doppia imposizione internazionale di tipo giuridico, esistono meccanismi per la
relativa eliminazione, che possono essere:
- unilaterali (se previsti da ordinamenti interni): si applicano ai conflitti residenza/fonte, e possono
essere di due tipi: esclusione (o esenzione) dall’imponibile interno dei fatti extraterritoriali tassati
all’estero, oppure il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero.
- oppure bilaterali o multilaterali (se previsti da convenzioni):
Il nostro ordinamento utilizza quale sistema unilaterale contro la doppia imposizione giuridica
internazionale il c.d. “credito per le imposte pagate all’estero”, in quanto conforme ad un sistema che si
propone di realizzare la personalità e la progressività dell’imposizione sui redditi e indifferente la circostanza
che il reddito sia stato prodotto in Italia o anche (o addirittura esclusivamente) all’estero.

Gli ordinamenti interni non possono invece risolvere il conflitto residenza/residenza perché se due Stati
considerano allo stesso tempo un soggetto fiscalmente residente nei rispettivi territori, nessuno dei due ha
l’obbligo di rinunciare in via unilaterale alla propria residenza fiscale.
Gli strumenti utilizzati per la risoluzione di queste problematiche di doppia imposizione sono le convenzioni
internazionali in materia di imposte sul reddito o sul patrimonio, ossia trattati che consentono di ripartire
la potestà impositiva tra lo Stato della residenza e lo Stato della fonte. Tali trattati hanno le seguenti norme:
- articoli che definiscono l’ambito di applicazione soggettivo, oggettivo o territoriale
- norme di definizione (imposte sul reddito, sul capitale, traffico internazionale, autorità competente,
residente di uno stato contraente, stabile organizzazione)
- norme che ripartiscono il potere impositivo tra gli Stati (norme di ripartizione). Le convenzioni
possono alternativamente: a) assegnare il diritto di imposizione al solo stato di residenza b) al solo
stato della fonte c) prevedere un diritto di tassazione concorrente tra lo stato della fonte e Stato della
residenza.
- C.d. norme bilaterali contro la doppia imposizione
- A) Norme sulla procedura amichevole, strumento di carattere internazionale finalizzato a risolvere i
conflitti che derivano dall’interpretazione o dall’applicazione della convenzione B) principio di non
discriminazione C) norme volte ad attuare il principio alla potestà amministrativa d’imposizione.

CAPITOLO 7. LE FONTI INTERNE DEL DIRITTO TRIBUTARIO

Art. 97 Cost.
“I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buono
andamento e l’imparzialità della amministrazione”.
L’art. 97 della Costituzione impone che l’attività di accertamento e di riscossione delle imposte sia
improntata a criteri di: legalità, efficienza, trasparenza, non discriminazione.

Il divieto di referendum abrogativo in materia tributaria (art. 75 Cost.)


“Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie […]”

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 17


Il divieto di introduzione di nuovi tributi con la legge di bilancio (art. 81 Cost.)
“Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi […]”

La finanza locale ed il riparto della potestà legislativa tra Stato e Regioni in materia fiscale: (Art. 117,
secondo comma, Cost.)
“Lo Stato ha competenza esclusiva nelle seguenti materie […]”

Sistema tributario dello Stato (Art. 117, terzo comma, Cost.)


“Sono materie di legislazione concorrente quelle relative al coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario”

Art. 116 Cost.: “il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Sudtirol e la Valle
d’Aosta/Vallee d’Aosta dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi
statuti speciali adottati con legge costituzionale. La Regione Trentino-Alto Adige/Sudtirol è costituita dalle
Province Autonome di Trento e di Bolzano”.

Art. 119 Cost.:


“I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di
spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli
economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome.
Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazione al gettito
di tributi erariali riferibili al loro territorio.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore
capacità fiscale per abitante”.

LE FONTI INTERNE DEL DIRITTO TRIBUTARIO (TESAURO scelto per MAGGIORE SEMPLICITÀ
DATO L’ARGOMENTO NON TROPPO COMPLESSO E CHE NON RICHIEDE UN NECESSARIO
APPROFONDIMENTO)

1. La riserva di legge
L’art. 23 Cost. dispone che nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base
alla legge. Riservando al Parlamento il potere di disporre in materia di entrate, l’art. 23 Cost. riproduce un
principio classico delle democrazie liberali (no taxation without representation). Al principio espresso
nell’art. 23 Cost. la dottrina tradizionale e la giurisprudenza costituzionale attribuiscono la funzione di
tutelare la libertà e la proprietà dei singoli nei confronti del potere esecutivo. Ma la riserva di legge, oltre che
garanzia per i singoli, è espressione di democrazia.

I problemi esegetici (interpretativi) posti dall’art. 23 sono essenzialmente tre: nozione di legge; nozione di
base legislativa; nozione di prestazione imposta. A) Il termine legge è assunto nell’art. 23 Cost. per indicare
non soltanto la legge statale ordinaria ma anche gli atti aventi forza di legge e cioè i decreti-legge e i decreti
legislativi. Anche le leggi regionali (e provinciali per Trento e Bolzano) soddisfano il precetto dell’art. 23
Cost. La riserva di legge non impedisce che in materia tributaria possano esservi fonti comunitarie. Il
problema di conciliare le norme comunitarie in materia tributaria con la riserva di legge nazionale posta
dall’art. 23 riguarda in particolare i regolamenti comunitari che sono direttamente applicabili. La Corte
costituzionale ha affermato che, con l’adesione al trattato CE, l’Italia ha operato una limitazione della
propria sovranità pienamente legittimata dall’art. 11 Cost. il che comporta una deroga alle norme
costituzionali sia in materia di potestà legislativa che in materia di riserva di legge.
B) Le riserve di legge sono assolute se la disciplina di una determinata materia è rimessa solamente alla
legge; sono invece relative se la legge può limitarsi a disciplinare le linee fondamentali della materia,
rimettendone il completamento a norme di rango non legislativo. La riserva dell’art. 23Cost. è una riserva
relativa. È richiesta infatti soltanto una base legislativa. Ciò significa che non è necessario che la prestazione

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 18


imposta sia regolata interamente dalla legge ma la legge deve avere un contenuto minimo al di sotto del
quale la riserva non è rispettata.
4In primo luogo va precisato che la riserva di legge non riguarda tutti i tipi di norme tributarie, ma solo
quelle di diritto sostanziale. Oggetto della riserva di legge sono solo le norme impositrici, le norme cioè che
definiscono i soggetti passivi, l’an e il quantum del tributo. Sono oggetto di riserva di legge anche le norme
che dispongono esenzioni o agevolazioni. L’art. 23 Cost. non riguarda perciò le norme sull’accertamento e la
riscossione.
In particolare, la legge deve fissare la base imponibile e l’aliquota. La Corte costituzionale reputa rispettato
l’art. 23 Cost. se la legge indica la misura massima dell’aliquota o fissa criteri idonei a delimitare la
discrezionalità dell’autorità amministrativa.
D’altra parte, in generale, quando sono in gioco i diritti individuali di libertà economica (art. 41 Cost.) , la
legge non può attribuire un potere all’esecutivo senza predeterminare criteri atti a guidarne e vincolarne la
discrezionalità. C) L’art. 23 concerne le prestazioni personali e patrimoniali imposte. La categoria delle
prestazioni patrimoniali imposte è più ampia del concetto di tributo. Vi sono prestazioni imposte in senso
formale vale a dire imposte con un atto autoritativo i cui effetti sono indipendenti dalla volontà del soggetto
passivo. La Corte ha ritenuto che l’art. 23 Cost. si applica anche alle imposizioni in senso sostanziale, ossia a
prestazioni di natura non tributaria e aventi funzione di corrispettivo quando per i caratteri e il regime
giuridico dell’attività resa sia pure su richiesta del privato appare prevalente l’elemento dell’imposizione.
Una prestazione è imposta nei casi in cui una obbligazione pur nascendo da un contratto costituisca
corrispettivo di un servizio pubblico che soddisfi un bisogno essenziale e sia reso in regime di monopolio.
Sono stati considerati prestazioni imposte ad esempio i canoni per l’uso di beni demaniali, le tariffe elettriche
e telefoniche, le tariffe per l’assicurazione obbligatoria delle auto, le tariffe dei servizi resi dai vigili del
fuoco.
In definitiva la Corte considera compresi nell’art. 23 Cost. non solo i tributi ma anche i corrispettivi di fonte
contrattuale in tutti i casi in cui via siano dei profili autoritativi nella disciplina delle contrapposte prestazioni
ed in particolare quando il corrispettivo è fissato unilateralmente ed al privato è rimessa solo la libertà di
richiedere o meno la prestazione.

2. Le leggi tributarie dello Stato


Fonti del diritto tributario sono principalmente le leggi e gli altri atti aventi valore di legge. Nessuna
peculiarità presentano la formazione e l’approvazione delle leggi ordinarie dello Stato, quando contengono
norme tributarie: si applicano gli artt. 70 ss. Costi., ma le leggi tributarie non possono essere approvate con la
legge di bilancio ((art. 81 Cost.) questo perché il costituente ha inteso conversare a tale strumento normativo
il carattere di legge cd. formale di mera approvazione del bilancio predisposto dal Governo, con cui
l’esecutivo è autorizzato a dare esecuzione alle leggi finanziarie sostanziali che disciplina quindi tributi e
spese) e non possono essere abrogate con referendum popolare (art. 75 Cost.).
Le disposizioni legislative che contengono “aiuti di Stato” (tra cui le leggi che hanno per oggetto esenzioni o
agevolazioni tributarie) devono essere notificate alla Commissione europea.

2.1 Lo Statuto dei diritti del contribuente.


Importanti disposizioni in materia di leggi tributarie sono contenute nello Statuto dei diritti del contribuente
(l. 27/07/2000 n.212); si tratta di disposizioni di varia natura e contenuto, ma tutte qualificate come principi
generali dell’ordinamento tributario che possono essere derogate o modificate solo espressamente. In
materia di fonti, nello Statuto vi sono 4 importanti enunciati: 1) L’autoqualificazione delle disposizione dello
statuto come attuative della Costituzione; 2) Il valore di tali norme come principi generali dell’ordinamento
tributario; 3) Il divieto di deroga o modifica delle norme dello Statuto in modo tacito; 4)Il divieto di deroga o
modifica attraverso leggi speciali. Lo Statuto si pone come una legge tributaria generale. È comunque una
legge ordinaria e quindi le sue norme non invalidano le leggi che non le rispettano.

2.2 I decreti-legge.
La funzione legislativa spetta la Parlamento ma il Governo può emanare decreti con forza di legge, ossia
decreti-legge e decreti legislativi. I decreti-legge sono provvedimenti provvisori con forza di legge che
possono essere adottati dal Governo in casi straordinari di necessità ed urgenza. I decreti legge hanno

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 19


efficacia dal giorno della pubblicazione e perdono efficacia (ex tunc) se non sono convertiti in legge entro 60
giorni dalla pubblicazione. Il legislatore può disciplinare retroattivamente i rapporti giuridici sorti da decreti
legge non convertiti (art.77 Cost.).
Del decreto legge vi è un uso frequente in materia tributaria. Le ragioni dell’uso sono tante: ad esempio se si
istituisce o si aumenta un tributo sui consumi è necessario un provvedimento celere, non preannunciato, per
evitare l’accaparramento dei generi colpiti. Sino al 1996 il Governo usava abitualmente l’emanazione dei
decreti legge per ovviare con tale strumento alla lungaggine delle procedure parlamentari. Sovente i decreti
legge non erano convertiti ed il Governo li reiterava; la Corte costituzionale ha però censurato tale prassi. Da
allora è divenuto più frequente il ricorso alla legge delega.
Secondo l’art. 4 dello Statuto dei diritti del contribuente non si può disporre con decreto-legge l’istituzione di
nuovi tributi né prevedere l’applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di contribuenti.

2.3 I decreti legislativi


Secondo l’art. 76 Cost. il Parlamento può delegare al Governo l’esercizio della funzione legislativa con
determinazione dei principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e per oggetti definitivi. Il
ricorso frequente in materia tributaria della legge delega deriva dalla circostanza che le norme tributarie mal
si prestano ad essere elaborate e discusse in sede parlamentare a causa del loro elevato tecnicismo. La
riforma tributaria del 1971 è stata attuata appunto con una legge delega (l. 9/10/1971 n.825) cui sono seguiti
numerosi decreti delegati. La fase finale di quella riforma è costituita dall’emanazione dei testi unici, in
forma di decreti delegati, tra cui il Testo unico delle imposte sui redditi (d.p.r. 22/12/1986 n. 917). Con
decreto delegato, in base alla l.07/04/2003 n.80, è stata riformata la tassazione dei redditi delle società (Ires)
ed è stato modificato il Tuir.

2.4 I testi unici.


Il testo unico non è un tipo di fonte ma un testo normativo caratterizzato da un particolare contenuto ossia la
riunificazione di norme contenute in più testi. Dal punto di vista formale, possiamo avere testi unici
contenuti in leggi, in decreti legislativi o in regolamenti; dal punto di vista del contenuto, i testi unici
possono essere meramente compilativi o innovativi. La legge delega del 1971 per la riforma tributaria aveva
attribuito al Governo il potere di emanare: decreti legislativi per l’attuazione della riforma; decreti legislativi
con disposizioni integrative e correttive; infine, testi unici, contenenti le norme della riforma e le norme
previgenti rimaste in vigore con la possibilità di apportare le modifiche necessarie per il coordinamento delle
diverse disposizioni e per eliminare ogni contrasto con i principi e criteri direttivi delle delega. Tra i Testi
unici vigenti, oltre al TUIR, vi sono il Testo unico dell’imposta di registro (d.p.r. 26/04/86 n.131), delle
imposte ipotecaria e catastale (d.lgs. 31/10/90 n.347) e dell’imposta sulle successioni e donazioni (d.lsg.
31/10/90 n.346).

1. I regolamenti governativi e la delegificazione


La produzione di norme astratte e generali può essere compiuta anche dal Governo e da altre autorità
amministrative con atti regolamentari. Tali atti sono subordinati alle leggi, quindi non possono essere in
contrasto con norme di legge; se sono contrari alla legge sono illegittimi e possono essere annullati dal
giudice amministrativo e disapplicati dagli altri giudici (giudice ordinario e giudice tributario). I regolamenti
non sono oggetto di giudizio di costituzionalità; se contrari a norme costituzionali sono annullati o
disapplicati come nel caso in cui sono contrari alla legge. La potestà regolamentare non è disciplinata dalla
Costituzione ma da una legge ordinaria e cioè dalla L. 400/1988. Nel comma 1 dell’art. 17 di tale legge sono
innanzitutto disciplinati i regolamenti governativi che sono deliberati dal Consiglio dei Ministri dopo aver
sentito il parere del Consiglio di stato; dopo essere stati sottoposti al visto e alla registrazione della Corte dei
conti sono emanati con decreto del Presidente della Repubblica e pubblicati nella Gazzetta ufficiale. Tali
regolamenti disciplinano: a)l’esecuzione delle leggi e dei d.lgs. (regolamenti esecutivi); b) l’attuazione e
l’integrazione delle leggi e dei d.lgs. recanti norme di principio (regolamenti attuativi e integrativi); c)
materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge , sempre che non si tratti di
materie comunque riservate alla legge (regolamenti indipendenti); d) l’organizzazione e il funzionamento
delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge (regolamenti organizzatori); e)
l’organizzazione del lavoro e i rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti. Nei casi indicati sopra il Governo
dispone di una potestà regolamentare generale esercitabile anche senza specifica autorizzazione legislativa.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 20


Il comma 2 dell’art. 17 contempla i regolamenti delegati attraverso i quali trova attuazione il fenomeno della
c.d. delegificazione. Secondo tale disposizione il Governo è titolare di una potestà esercitabile previa
autorizzazione legislativa nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge per le quali le leggi
determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti con
effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari (regolamenti delegati, che quando abrogano norme di
legge, sono detti regolamenti delegificanti). Dato che il diritto tributario è oggetto di una riserva relativa di
legge, possono aversi in tale materia: a) Regolamenti esecutivi che possono essere emessi anche in assenza
di apposita norma autorizzativa; b) Regolamenti delegati o delegificati che possono essere emessi in base ad
una norma espressa.
I regolamenti attuativi e integrativi non sono ammissibili in diritto tributario per le materie coperte da riserva
di legge; in tali materie, una norma di legge che si limiti ad indicare solo dei principi, e non la disciplina
dell’art. 23 Cost., non potrebbe essere integrata o attuata da un regolamento; i regolamenti in esame, dunque,
possono essere ammessi solo per quella parte della disciplina di un tributo che non è coperta da riserva di
legge- inoltre, nelle materie non coperte da riserva di legge non sono ammessi i regolamenti indipendenti.

3.1 I regolamenti ministeriali


I regolamenti ministeriali sono adottati nelle materie di competenza di un singolo ministro quando la legge
espressamente conferisca tale potere. Se la materia è di competenza di più ministri sono adottati regolamenti
interministeriali. I regolamenti ministeriali sono adottati con decreto ministeriale quelli interministeriale con
decreto del Presidente del consiglio. I regolamenti ministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle
dei regolamenti governativi e debbono essere comunicati al presidente del Consiglio dei ministri prima della
loro emanazione. Anche i regolamenti ministeriali ed interministeriali sono adottati previo parere del
Consiglio di stato, sono sottoposti al visto ed alla registrazione della corte dei conti e sono pubblicati nella
Gazzetta ufficiale. Esempi di regolamenti ministeriali in materia tributaria sono: il decreto di aggiornamento
dei valori catastali; il decreto che fissa le quote di ammortamento; il redditometro; la white list dei Paesi che
non sono paradisi fiscali.

4. Il riparto della potestà legislativa tra Stato e regioni


A) Le norme costituzionali in materia di potestà legislativa contenute nel titolo V della costituzione sono
state modificate dalla legge costituzionale 3/2001. Secondo il titolo V della Cost. la potestà legislativa è
ripartita tra stato e regioni. Lo stato ha potestà legislativa esclusiva nelle materie indicate nel comma 2
dell’art. 117. Allo Stato è attribuita in via esclusiva la potestà di disciplinare il sistema tributario dello Stato e
di stabilire i principi fondamentali del sistema tributario complessivo. La potestà legislativa regionale assume
due connotazioni: è potestà concorrente e potestà residuale. Nelle materie di legislazione concorrente la
potestà legislativa delle regioni trova un limite nei principi fondamentali fissati da leggi dello Stato. Nella
competenza legislativa residuale ricadono le materie che non sono riservate alla competenza esclusiva dello
Stato. Le regioni hanno potestà legislativa concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica e
del sistema tributario, hanno inoltre potestà legislativa in materia di tributi regionali e locali, nell’ambito dei
principi stabiliti dalla legge statale di coordinamento (art.119 Cost.). Pur dopo la riforma del 2001 il nostro
resta un ordinamento unitario. Allo Stato è riservata la fissazione dei principi fondamentali nelle materie di
legislazione concorrente ed il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario complessivo.
Allo stato è affidata in via esclusiva la perequazione delle riserve finanziarie (art.117 Cost.). Le regioni e gli
enti locali sono infatti finanziati da compartecipazioni ai tributi erariali da un fondo perequativo e da misure
di finanza straordinaria.
B)La giurisprudenza costituzionale ha negato l’immediata operatività della nuova normativa in materia
tributaria ritenendo in sostanza che continuano ad operare le norme abrogate fino a che non sia data
attuazione al nuovo art. 119 con le norme di coordinamento e con norme transitorie che regolamentino il
passaggio dal vecchio al nuovo sistema. Permane, dunque, la competenza statale sui tributi regionali
disciplinati da leggi statali, e conservano valore le leggi statali che disciplinano i tributi regionali e locali,
secondo il precedente sistema delle fonti.

4.1 La competenza legislativa in materia di tributi regionali


A) L’art. 117, nel ripartire la potestà legislativa tra Stato e regioni, non menziona espressamente la disciplina
dei tributi regionali e locali. E secondo la Corte costituzionale ciò non vuol dire che si tratta di materia

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 21


attribuita alla competenza regionale residuale. In effetti, la disciplina dei tributi regionali è competenza
legislativa regionale non in quanto residuale, ma in quanto strumentale rispetto alle funzioni materiali
attribuite alle regioni.
La riserva di legge in materia di prestazioni imposte ex art. 23 non è solo riserva di legge statale, ma riserva
statale e regionale. La potestà legislativa regionale in materia tributaria è ammessa dall’art. 23 che è da
coordinare con l’art. 119 comma 2 a norma del quale le regioni stabiliscono ed applicano tributi ed entrate
propri in armonia con la costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario. Anche le regioni quindi dispongono di potestà legislativa in materia tributaria ma entro i
principi del coordinamento statale.
B) La legge 42/2009 recante Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119
Cost. prevede tre tipi di tributi regionali: 1. Tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui
gettito è attribuito alle regioni; le regioni, con propria legge, possono modificare le aliquote e disporre
esenzioni, detrazioni e deduzioni nei limiti e secondo criteri fissati dalla legislazione
statale e nel rispetto della normativa comunitaria;

2. Addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali; le regioni, con propria legge, possono introdurre
variazioni percentuali delle aliquote delle addizionali e possono disporre detrazioni entro i limiti fissati dalla
legislazione statale;
3. Tributi propri istituti dalle regioni con proprie leggi in relazione a presupposti non assoggettati ad
imposizione erariale.

4. 2 La competenza legislativa in materia di tributi locali


A) In materia di tributi locali non vi è una riserva espressa a favore dello Stato o delle regioni, ma soltanto la
riserva di legge ex art. 23. Possono esservi quindi locali creati e disciplinati da leggi statali e tributi locali
creati e disciplinati da leggi regionali. Sia le regioni, sia gli enti locali stabiliscono ed applicano tributi
propri. Ma il termine stabilire ossia disciplinare ha valenza diversa secondo che sia riferito alle regioni o agli
enti locali. Le regioni sono dotate di potestà legislativa; esse quindi possono disciplinare compiutamente, in
via primaria, i tributi propri. Gli enti locali, invece, non avendo potestà legislativa devono operare nel
rispetto della riserva di legge. Essi possono disciplinare con regolamento i tributi propri, ma in via
secondaria, con norme attuative o integrative delle norme primarie contenute in leggi statali o regionali.
La legge statale o regionale deve avere un contenuto minimo da definire secondo l’interpretazione
consolidata dell’art. 23. La legge deve disciplinare almeno le caratteristiche basilari del tributo nei suoi
profili soggettivi ed oggettivi demandando l’ulteriore disciplina alla fonte secondaria espressione
dell’autonomia dell’ente locale.
Il coordinamento riguarda due oggetti distinti: la finanza e i tributi. In materia tributaria, lo Stato ha il
compito di fissare i principi del coordinamento del sistema tributario complessivo (formato da fiscalità
statale e sub-centrale), per cui il coordinamento fiscale affidato allo Stato significa coordinamento del
sistema tributario statale con i sistemi tributari degli enti sub-centrali. La regione, a sua volta, coordina il
sistema tributario regionale e locale, nell’ambito del coordinamento fissato dallo Stato. Nella nostra
Costituzione non vi è la ripartizione dei tipi di tributi riservati allo Stato centrale e dei tipi di tributo riservati
agli enti sub-centrali. Ciò significa che lo Stato ha il compito di indicare quali oggetti imponibili e quali tipi
di tributi sono riservati allo Stato; a quali compartecipano gli enti sub-centrali ; quali invece sono i tributi che
possono essere oggetto di legislazione regionale. B) La legge delega per l’attuazione del titolo V, in tema di
autonomia tributaria degli enti locali, dispone tra l’altro che la legge di coordinamento: 1) individua i tributi
proprio dei comuni e delle province, anche in sostituzione o trasformazione di tributi già esistenti e anche
attraverso l’attribuzione agli stessi comuni e province di tributi o parti di tributi già erariali; ne definisce
presupposti, soggetti passivi e basi imponibili; stabilisce le aliquote di riferimento per tutto il territorio
nazionale; 2)disciplina uno o più tributi propri comunali che attribuisca all’ente la facoltà di stabilirli e
applicarli in riferimento a particolari scopi quali la realizzazione di opere
pubbliche e di investimenti pluriennali nei sevizi sociali ovvero il finanziamento degli oneri derivanti da
eventi particolari (es. flussi turistici); 3) disciplina uno o più tributi propri provinciali che, valorizzando
l’autonomia tributaria, attribuisca all’ente la facoltà di stabilirli e applicarli in riferimento a particolari scopi
istituzionali;
4)prevede che le regioni, nell’ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, possano istituire nuovi

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 22


tributi dei comuni, delle province e delle città metropolitane nel proprio territorio, specificando gli ambiti di
autonomia riconosciuti agli enti locali;
5)prevede che gli enti locali, entro i limiti fissati dalle leggi, possano disporre del potere di modificare le
aliquote dei tributi loro attribuiti da tali leggi e introdurre agevolazioni.

5. I regolamenti delle regioni, delle province e dei comuni


Le regioni hanno potestà regolamentare generale (con esclusione delle materie appartenenti alla potestà
legislativa esclusiva dello Stato) e possono dunque emanare regolamenti anche in materia tributaria. Il D.
Lgs. 446/1997 disciplina in via generale la potestà regolamentare generale delle province e dei comuni
stabilendo che tale potestà può avere per oggetto le entrate tributarie. Ma, data la riserva di legge ex art. 23
Cost., gli enti locali non possono disporre in materia di fattispecie imponibili, soggetti passivi ed aliquota
massima. Inoltre, i regolamenti regionali e degli enti locali devono rispettare i vincoli degli art. 117 e 119
Cost.

6. Le convenzioni internazionali
L’art. 117 Cost. subordina la potestà legislativa statale e regionale al vincolo derivanti dagli obblighi
internazionali; pertanto è incostituzionale la norma di legge che si pone in contrasto con norme di
convenzioni internazionali. Le convenzioni internazionali in materia tributaria riguardano i dazi e la doppia
imposizione dei redditi, dei patrimoni e delle successioni. Le convenzioni internazionali in materia tributaria
riguardano, inoltre, la collaborazione tra autorità fiscali di Stati diversi, la lotta all’evasione e all’elusione
fiscale internazionale ecc. Di regola le norme delle convenzioni in quanto norme speciali prevalgono sulle
norme interne. Peraltro, nei casi in cui la norma interna è più favorevole di quella del trattato, si applica la
norma interna.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 23


Sezione Seconda: Statuto del Contribuente

LE NORME DI ATTUAZIONE DEI PRINCIPI COSTITUZIONALI: LO STATUTO DEL


CONTRIBUENTE
(l. 27 luglio 2000, n. 212)

Tra le leggi ordinarie di natura tributaria assume particolare eminenza lo Statuto del Contribuente, approvato
con legge 27 luglio 2000, n. 212 (in tal senso, cfr. Cass., 17576/02; Cass., 7080/04)

Lo Statuto del Contribuente non è una legge costituzionale, in guisa che le sue disposizioni non
costituiscono un parametro per valutare la legittimità delle altre leggi (cfr. Corte Cost., sent. n. 58 del
Tuttavia, esso si propone il fine di dare attuazione, nell’ambito del diritto tributario, ai principi costituzionali
contenuti negli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost. (art. 1, comma 1).

Esso stabilisce dunque i principi generali della materia, ai quali sono tenuti ad uniformarsi, il legislatore,
l’interprete, l’Amministrazione finanziaria e il contribuente.

I principi fondamentali dello Statuto:


I. Le regole (programmatiche) per il legislatore:

Lo Statuto del Contribuente cristallizza i fondamentali principi direttivi per il legislatore, per l’interprete, per
l’amministrazione, per il contribuente e per un equilibrato rapporto tra contribuente e amministrazione.

1. Le disposizioni tributarie devono essere “chiare e trasparenti” (art. 2);


2. Inammissibilità di norme retroattive, salvo che non abbiano natura interpretativa (art. 3, comma 1);
3. Efficacia delle disposizioni modificative con decorrenza dal periodo di imposta successivo (art. 3)
4. Non sono ammesse norme interpretative che non siano espressamente dichiarate tali (art. 1, comma 2);
APPUNTI: l’art. 1, comma 2, afferma che nel campo tributario le norme interpretative devono essere
dichiarate tali, con la conseguenza che se la norma non si auto dichiara interpretativa non può assumere
un’efficacia retroattiva.
5. Inammissibilità di disposizioni che prescrivano obblighi per il contribuente senza rispettare un termine
dilatorio di almeno 60 gg. (art. 3, comma 2);
6. Inammissibilità di proroghe dei termini di decadenza e di prescrizione (art. 3, comma 3);
7. Inammissibilità di termini prescrizionali oltre il limite ordinario stabilito dal codice civile (art. 8);
8. Illegittimità dell’uso del decreto-legge per l’istituzione di nuovi tributi (art. 4).

N.B.: Le regole per il legislatore, non essendo “costituzionalizzate”, possono essere derogate (e sono di fatto
frequentemente derogate) da leggi successive.

II. Le regole per l’Amministrazione finanziaria

Lo Statuto del Contribuente si propone la finalità di tradurre nell’ambito del diritto tributario i principi
generali dell’azione amministrativa stabiliti dalla l. 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.

Lo Statuto del Contribuente stabilisce, in particolare, i seguenti obblighi dell’Amministrazione: in sostanza


l’amministrazione, secondo lo Statuto del Contribuente, può ottemperare ad una serie di obblighi:
a) Obblighi di informazione e di trasparenza
(iniziative volte a consentire la completa e agevole conoscenza delle disposizioni…)
b) Obblighi di comunicazione
(l’Amministrazione finanziaria deve assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a
lui destinati…)
c) Obblighi di collaborazione
«l’Amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali
possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione, richiedendogli

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 24


di integrare o correggere gli atti prodotti […]
Prima di procedere all’iscrizione a ruolo […] deve invitare il contribuente […] a fornire i chiarimenti
necessari o a produrre i documenti mancanti […]
Gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente
indicare […]» (art. 6, commi 2 e 5, nonché art. 7, comma 2)
APPUNTI: tale norma finisce con l’essere disapplicata nel momento in cui l’amministrazione si riduce
all’ultimo per fare degli accertamenti.
d) Obblighi di comportamento e divieto di aggravare il procedimento
«Al contribuente non possono essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso
dell’amministrazione finanziaria […]»

e) Obbligo di motivazione
«Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della
legge 7 agosto 1990, n. 241»… Gli atti richiamati nel provvedimento devono essere ad esso allegati, salvo
che non siano già conosciuti dal contribuente o non ne riproducano il contenuto essenziale.
APPUNTI: l’obbligo di motivazione è espressione del principio di trasparenza dell’azione amministrativa.
Tale principio si ricollega a quello stabilito dell’art. 3 l. 241/1990. Tale obbligo comprende l’obbligo di
allegare agli atti impositivo dell’amministrazione, gli atti richiamati che non siano già conosciuti dal
contribuente. Se manca una motivazione chiara, l’accertamento manca dei requisiti essenziali per il
raggiungimento del proprio scopo.
L’obbligo di motivazione coincide con il generale obbligo di motivazione dell’art. 3 della l. 241/1990 oppure
ha caratteristiche particolari?
Ci sono due scuole di pensiero:

1) Secondo una prima scuola di pensiero si tratta dello stesso obbligo generale del provvedimento
amministrativo, per cui l’atto finisce per essere viziato, la motivazione deve ritenersi viziato e quindi
l’atto nullo per mancanza degli elementi essenziali, nel caso in cui la motivazione sia affetta da vizi
di illogicità, contraddittorietà, insufficienza ecc.
2) Secondo un altro indirizzo di pensiero, dobbiamo tener presente che siamo in presenza di un
rapporto di natura tributaria, diverso dal rapporto generale di diritto amministrativo. Nell’ambito del
diritto amm. ci troviamo in presenza di un provvedimento di natura discrezionale, dove
l’amministrazione deve motivare le ragioni della propria scelta, nel campo del diritto tributario
invece siamo in presenza di rapporti disciplinati per legge. Si compie quindi un atto dovuto per la
regolamentazione di un rapporto disciplinato interamente in base alla legge. La giurisprudenza. della
Cassazione afferma quindi che la motivazione serve al contribuente per conoscere le ragioni
finalizzate ad esercitare il proprio diritto di difesa nelle sede competenti giurisdizionali.

f) obbligo di chiarezza degli atti


Gli atti impositivi e le cartelle di pagamento devono contenere gli elementi essenziali per individuare
l’ufficio ed il funzionario al quale il contribuente può rivolgersi per ottenere informazioni e formulare rilievi
ed osservazioni […] (art. 7, comma 2).
g) Il dovere di solidarietà
«Il Ministro delle finanze […] rimette in termini i contribuenti interessati, nel caso in cui il tempestivo
adempimento di obblighi tributari è impedito da cause di forza maggiore […]
Con proprio decreto il Ministro delle Finanze […] può sospendere o differire il termine per l’adempimento
degli obblighi tributari a favore dei contribuenti interessati da eventi eccezionali ed imprevedibili» (art. 9)
APPUNTI: tale norma trova applicazione, principalmente, in caso di calamità naturali, dove viene disposta
la sospensione dei termini di pagamento.

III. I diritti e le garanzie del contribuente

a) Il diritto alla compensazione dei debiti con i crediti tributari


«L’obbligazione tributaria può essere estinta per compensazione…
Ferme restando, in via transitoria, le disposizioni vigenti in materia di compensazione, con regolamenti

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 25


emanati… è disciplinata l’estinzione dell’obbligazione tributaria mediante compensazione» (Art. 8)

b) Il diritto al rimborso del costo delle fideiussioni


«L’amministrazione finanziaria è tenuta a rimborsare il costo delle fideiussioni che il contribuente ha
dovuto richiedere per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi»
(Art. 8, comma 4)

c) Il diritto all’interpello
«Ciascun contribuente può inoltrare per iscritto all’amministrazione, che risponde entro centoventi giorni,
circostanziate e specifiche istanze di interpello …
La risposta dell’amministrazione finanziaria … vincola con esclusivo riferimento alla questione oggetto
dell’istanza di interpello, e limitatamente al richiedente …» (Art. 11)

d) Le garanzie in materia sanzionatoria


«Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori, qualora egli si sia conformato a indicazioni
contenute in atti dell’amministrazione finanziaria …”
Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza.
Limitatamente alla questione oggetto dell’istanza di interpello, non possono essere irrogate sanzioni nei
confronti del contribuente che non abbia ricevuto risposta entro il termine …» (Art. 10, commi 2 e 3; Art.
11, comma 3)

e) Le tutele nel corso delle verifiche fiscali


• Limitazione degli accessi, delle ispezioni e degli accessi solo in caso di effettiva necessità;
• Diritto di informazione e di assistenza del contribuente;
• Diritto alla partecipazione ed al contraddittorio;
• Limitazione della durata dell’indagine (30 giorni, prorogabili di altri 30; ma il mancato rispetto del termine
non comporta nullità della verifica: cfr. Cass., 22 settembre 2011, n. 19338)
• Termine dilatorio di 60 gg. per l’accertamento, salvi casi di particolare e motivata urgenza (Art. 12 Statuto
del Contribuente)

APPUNTI: Processo verbale di imposizione: non può dare corso all'attività di accertamento e notificare il
provvedimento con il quale determinato il maggiore tributo dovuto se non è decorso il termine di 60 giorni.
Tali 60 giorni serve al contribuente per intervenire con l’Amministrazione. Se il termine non viene
rispettato, secondo la Cassazione a SS. UU., tutta l'attività di verifica e accertamento è nulla. Il sistema
tributario si basa su un sistema di decadenza.

IV. IL COMUNE OBBLIGO DI BUONA FEDE nello STATUTO DEL CONTRIBUENTE

L’art. 10, primo comma, della l. 212/00 (Statuto del Contribuente) dispone che “i rapporti tra
contribuente e amministrazione finanziaria (FISCO) sono improntati al principio della collaborazione e
della buona fede”

Per il principio di buona fede, il diritto tributario deve superare e ripudiare tutti i comportamenti
formalistici e cavillosi, astuti e fraudolenti che spesso caratterizzano la prassi.

Il principio di “buona fede” – che introduce nel diritto tributario la regola fondamentale dei rapporti
giuridici privati elaborata dal diritto romano e dal diritto civile (principio di bona fides) – costituisce il
motivo ispiratore dello Statuto del contribuente e dell’intero sistema fiscale. Il principio di buona fede vale:

- nella fase costitutiva del rapporto (le parti devono comportarsi secondo buona fede);
- nella fase esecutiva (le obbligazioni devono essere eseguiti secondo buona fede);
- nella fase interpretativa (gli atti devono essere interpretati in modo da realizzare un
contemperamento di interessi conforme a buona fede).

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 26


Il principio di buona fede riassume tutte le regole dettate dallo stesso Statuto in relazione ai rapporti tra
contribuente e fisco, quali:

l’obbligo di chiarezza e di informazione;


l’obbligo di non aggravare il procedimento;
la tutela dell’affidamento.

il principio di buona fede è denso di applicazioni pratiche nella prassi giurisprudenziale.


In base ad esso, ad esempio,

• È consentita la correzione degli errori;


• Si deve tutelare l’affidamento del contribuente nella legittimità degli atti compiuti
• Si deve attribuire rilevanza ai comportamenti concludenti;
• Si deve consentire il recupero di crediti indebitamente compensati o delle somme indebitamente
rimborsate;
• Si deve consentire di riportare al corretto periodo di competenza i costi indebitamente contabilizzati in un
esercizio diverso;
• Devono essere inibiti l’elusione e l’abuso del diritto.

Principio di collaborazione
È espresso dagli obblighi dell’amministrazione di informare il contribuente su fatti e circostanze cui possano
derivare dei crediti ecc.
Il principio di collaborazione si può vedere anche dal punto di vista del contribuente. Una forma di
applicazione è rappresentato dal “sostituto d’imposta”, cioè quelle ipotesi in cui determinati soggetti siano
obbligati di adempiere ad obblighi fiscali di un altro contribuente, in sostituzione ad esso.

CAPITOLO 8. LE FONTI EUROPEE ED INTERNAZIONALI DEL DIRITTO


TRIBUTARIO

Sezione Terza: Principi Comunitari (APPROFONDITO con aggiunta di parti del TESAURO)
Le norme fiscali del Trattato
Il legislatore fiscale è vincolato anche dal diritto comunitario: dalle norme del trattato istitutivo della
Comunità europea e dalle norme di diritto derivato. Il trattato non prevede che la comunità abbia competenza
generale in materia tributaria e che abbia un proprio sistema di imposte. Le norme del trattato che hanno
contenuto o rilevanza tributaria non sono dunque rivolte a procurare entrate ma ad assicurare che il mercato
comune abbia le caratteristiche di un mercato interno e che in esso vi sia un regime di libera concorrenza.
In funzione dunque del mercato comune l’art. 3 stabilisce il divieto tra gli stati membri dei dazi doganali e
delle restrizioni quantitative all’entrata e all’uscita delle merci e di ogni ostacolo alla libera circolazione di
merci, persone, servizi e capitali. Nell’ambito del sistema normativo diretto a garantire la libera concorrenza,
troviamo disposizioni che vietano agli Stati: a) di concedere alle imprese aiuti che possano falsare la
concorrenza, come le agevolazioni fiscali; b) di tassare le merci provenienti dai paesi comunitari in misura
maggiore rispetto ai prodotti interni; c) di concedere ai prodotti esportati ristorni di imposizioni interne
superiori alle imposizioni effettivamente applicate.
L’art. 93 infine attribuisce al Consiglio il potere di armonizzare le legislazioni degli stati membri in materia
di imposte indirette. Le deliberazioni devono essere adottate all’unanimità su proposta della commissione e
dopo aver sentito il parlamento europeo ed il comitato economico e sociale. Tale disposizione ha lo scopo di
eliminare le disparità dei regimi fiscali nazionali ma solo nella misura in cui ciò è necessario per assicurare
l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno ed un regime di libera concorrenza non alterato da
distorsioni fiscali. L’armonizzazione non riguarda tutte le imposte, ma solo le imposte sulla cifra d’affari, le
imposte sui consumi ed altre imposte indirette.
Per le imposte dirette, non è espressamente prevista l’armonizzazione delle legislazioni nazionali. Si è però
ritenuto che l’UE possa agire anche in tale settore, in base alla norma generale in tema di ravvicinamento

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 27


delle legislazioni. L’unica norma del trattato riguardante le imposte dirette è l’art. 293, che prevede che gli
Stati avvieranno fra loro, per quanto occorra, negoziati intesi a garantire l’eliminazione della doppia
imposizione fiscale all’interno della Comunità.

Il principio di non discriminazione


Tra i principi generali espressi nel Trattato ha un particolare rilievo per il diritto tributario il principio di non
discriminazione in base alla nazionalità, posto dall’art. 12 del trattato.
La Corte di giustizia interpreta l’art. 12 nel senso che sono vietate non solo le discriminazioni espressamente
basate sulla nazionalità, ma anche le discriminazioni dissimulate o indirette. Si è ritenuto perciò che non
sono ammesse le discriminazioni basate sulla residenza, perché i non residenti il più delle volte non sono
cittadini dello Stato ove svolgono la loro attività.
A partire dalla sentenza Schumacker, si è consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui non è
compatibile con il Trattato ogni discriminazione fiscale tra residenti e non residenti, sia che si tratti di
persone fisiche sia che si tratti di società. La normativa di uno Stato membro, che discrimina gli operatori
(persone fisiche o giuridiche) in base alla nazionalità, prevedendo per i non residenti (persone fisiche o
giuridiche) un trattamento fiscale deteriore rispetto a quello stabilito per i residenti, è incompatibile con il
Trattato.

Le libertà fondamentali. La libera circolazione dei lavoratori


Le leggi fiscali degli Stati membri dell’UE debbono essere compatibili con le libertà fondamentali, vale a
dire con le norme del Trattato che sanciscono la libertà di circolazione dei lavoratori, la libertà di
stabilimento, la libera prestazione di servizi e la libertà di circolazione dei capitali.
L’art. 39 del Trattato assicura ai lavoratori il diritto di libera circolazione con
l’abolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per
quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. Residenti e non residenti sono
assoggettati nei diversi ordinamenti a regimi fiscali diversi, in quanto i residenti sono soggetti ad imposta in
modo illimitato (per la totalità del reddito), i non residenti in modo limitato, ossia solo per i redditi prodotti
nello Stato.
Questa diversità di trattamento è giustificata dalla circostanza che il reddito percepito nel territorio di uno
Stato da un non residente costituisce, nella maggior parte dei casi, solo una parte del suo reddito
complessivo; è nello Stato in cui si risiede (ossia nello Stato in cui vive stabilmente ed ha il centro dei suoi
interessi personali ed economici) che il contribuente di solito produce la maggior parte del suo reddito (e si
manifesta, dunque, in modo pieno, la sua attitudine contributiva).
Perciò, in linea di principio, le legislazioni che distinguono tra residenti e non residenti non violano il
principio di uguaglianza. Può però accadere che un soggetto produca la maggior parte del suo reddito in un
Paese dell’UE diverso da quello di residenza o produca il suo reddito in più Stati.
La Corte, applicando la disposizione del Trattato che garantisce la libertà di circolazione dei lavoratori, ha
fissato il principio che , quando un lavoratore produce la maggior parte del suo reddito in uno Stato in cui
non è residente, gli devono essere accordate le stesse attenuazioni del carico fiscale che sono concesse ai
residenti; in altri termini gli deve essere concesso il trattamento nazionale.
È così emersa una nozione economico – sostanziale di residenza fiscale, cui si connette l’esigenza di piena
equiparazione tra persona fisica residente e non
residente, quando quest’ultima produce la quasi totalità del suo reddito in uno Stato diverso da quello di
residenza.

La libertà di stabilimento
A) Ai sensi dell’art. 43 del Trattato la libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività non salariate e al
loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’art. 48,
alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini fatte
salve le disposizioni del capo relativo ai capitali. L’art. 48 del Trattato prevede inoltre che le società
costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro (e con sede sociale, amministrazione o
centro di attività principale nell’UE) siano equiparate alle persone fisiche aventi la cittadinanza di quello
Stato.
La libertà di stabilimento presenta due aspetti: essa comporta da un lato il diritto di esercitare un’attività

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 28


economica in uno Stato membro diverso da quello di origine (trasferendo l’attività da un Paese all’altro:
libertà di stabilimento primaria) e, dall’altro, il diritto di aprire filiali agenzie o succursali in un altro Paese
membro (libertà di stabilimento secondaria).
Inoltre, il principio della libertà di stabilimento implica per l’operatore la libertà di scegliere la forma
giuridica (stabile organizzazione o società) con cui esercitare il diritto di stabilimento. Questa libertà di scelta
non deve essere limitata da norme fiscali che trattano diversamente le società e le stabili organizzazioni.
B) La libertà di stabilimento secondaria deve essere garantita dallo Stato di origine, che non deve ostacolare
il diritto delle società residenti di stabilirsi anche in altri Stati (divieto di home State restriction).. Perciò la
corte ha giudicato incompatibili con il trattato le exit tax.
C) Il paese ospitante deve assicurare parità di trattamento tra società residenti e stabili organizzazioni (Per
stabile organizzazione si intende generalmente una sede o un centro di affari non temporaneo attraverso il
quale un'impresa commerciale non residente esercita la propria attività economica, producendo reddito nel
territorio di un'altra nazione). Sono numerose le sentenze che dichiarano incompatibili con il Trattato norme
fiscali nazionali che discriminano tra stabili organizzazioni e società residenti.

La libertà di prestazione dei servizi


La libertà di prestazione dei servizi è sancita dall’art. 49 del Trattato che prevede il divieto di restrizioni alla
libera prestazione dei servizi all’interno della Comunità nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti
in un Paese della comunità che non sia quello del destinatario della prestazione. Questa libertà interessa gli
operatori economici (persone fisiche o giuridiche) che prestano servizi in un Paese diverso da quello in cui
sono stabiliti. Mentre la libertà di stabilimento implica il diritto di operare in modo permanente, la libertà di
prestazione dei servizi riguarda attività svolte in modo non permanente da chi è stabilito in un Paese diverso
da quello in cui il servizio è reso.
Il principio in esame ha carattere residuale: esso opera quando non valgono le norme sulla libera circolazione
dei merci, delle persone e dei capitali e riguarda servizi transfrontalieri. La libertà deve essere assicurata sia a
chi presta il servizio, sia ai consumatori.
In applicazione del principio di libera prestazione dei servizi, sono state censurate dalla Corte le norme
fiscali degli Stati, che negavano o limitavano la deducibilità di costi sostenuti per prestazioni rese da imprese
non residenti.

La libertà di circolazione dei capitali


Il Trattato CE all’art. 56 vieta ogni restrizione ai movimenti di capitali tra Stati membri nonché tra Stati
membri e Paesi terzi. La libertà di circolazione delle persone, delle merci e dei servizi non sarebbe
praticamente esercitabile se non fosse accompagnata dalla libertà di trasferire i capitali necessari, e di
effettuare i pagamenti connessi agli scambi infracomunitari. Questo principio comunitario può avere effetti
limitati in materia tributaria, perché l’art. 58 del Trattato consente agli Stati membri di applicare le pertinenti
disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si
trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento
del loro capitale.
Sono dunque ammesse differenze di regime fiscale in base alla residenza degli investitori e in base al luogo
in cui i capitali sono investiti. In altri termini è consentito agli Stati membri diversificare il trattamento
fiscale dei redditi di capitale dei non residenti rispetto a quello dei residenti e diversificare il trattamento
fiscale dei redditi dei capitali investiti all’estero rispetto ai redditi degli investimenti domestici. Le
differenziazioni di trattamento tra soggetti residenti e soggetti non residenti non devono però costituire un
mezzo di discriminazione arbitraria né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei
pagamenti. Il principio di libera circolazione dei capitali implica che i Paese membri non debbano ostacolare
gli investimenti con norme fiscali che possono avere effetti restrittivi della circolazione dei capitali o effetti
discriminatori tra investitori residenti e non residenti.
Infine, da diverse sentenze si deduce che i dividendi in entrata (dividendi distribuiti da società non residenti a
contribuenti residenti) e i dividenti in uscita (dividendi distribuiti da società residenti a soci non residenti)
non devono essere tassati in modo discriminatorio rispetto ai dividendi domestici (dividendi distribuiti da
società residenti a contribuenti residenti).
La regola comunitaria di non discriminazione tra dividendi di fonte interna e dividendi di fonte estera è
all’origine dell’introduzione, nel nostro ordinamento, della riforma del sistema di tassazione degli utili

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 29


societari. A partire dal 1° gennaio 2004 al sistema dell’imputazione è stato sostituito infatti il sistema della
partecipation exemption.

Rule of reason
A)Non ogni disparità di trattamento fondata sulla nazionalità (o su criteri equivalenti) è incompatibile con le
libertà fondamentali sancite dal Trattato. Possono darsi, dunque, deroghe al divieto di non discriminazione.
In particolare, si tratta dei motivi elencati dagli artt. 30 e 58 del Trattato, i quali riconoscono agli Stati
membri la facoltà di introdurre restrizioni, rispettivamente alla libera circolazione delle merci e dei capitali a
tutela dell’ordinamento pubblico, della moralità e della salute pubblica, nonché, per ciò che concerne la sola
circolazione dei capitali, per impedire la violazione delle leggi fiscali.
In materia di libertà di stabilimento, l’art.46 fa salve le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative che prevedano un regime particolare per i cittadini stranieri e che siano giustificate da motivi
di ordine pubblico, di sicurezza pubblica e di sanità pubblica. Come abbiamo visto, l’art. 58 consente
differenze di trattamento in materia di tassazione dei redditi da capitale tra contribuenti residenti e non.
B)A parte le deroghe al principio di non discriminazione, espressamente consentite da norme del Trattato, la
Corte di giustizia ha elaborato altre causa di giustificazione comunemente denominate rule of reason. La
Corte ha riconosciuto che sono “rule of reason”: l’esigenza di contrastare l’elusione fiscale; l’esigenza di
preservare l’efficacia dei controlli fiscali; il principio di coerenza dell’ordinamento fiscale nazionale.
C) L’esigenza di preservare la coerenza del proprio sistema fiscale è la motivazione con cui la Corte ha
giustificato la non deducibilità dei premi di assicurazione versati a compagnie assicuratrici non residenti.
Quando i premi sono versati a compagnie residenti, la deduzione dei premi operata dall’assicurato è
controbilanciata dalla tassazione del capitale, mentre ciò non avviene nell’ipotesi di impresa di assicurazione
non residente. In sostanza, per la Corte, il trattamento dei contributi deve essere coerente con quello delle
pensioni: se i contributi non sono deducibili , la pensione può essere tassata.

Il divieto di “aiuti di Stato”


Per i fini del Trattato, è necessario non soltanto che il mercato europeo sia un mercato senza frontiere, ma
anche che, al suo interno, le imprese possano operare ad armi pari, in condizioni di concorrenza non falsata.
Nel titolo VI del Trattato (norme sulla concorrenza, sulla fiscalità e sul ravvicinamento delle legislazioni) vi
sono norme rivolte alle imprese ed, in secondo luogo, agli Stati, ai quali sono vietati agli interventi – a favore
di imprese o produzioni - che non siano rispettosi delle regole della libera circolazione.
L’art. 87 del Trattato dichiara incompatibili con il mercato comune nella misura in cui incidano sugli scambi
tra gli Stati membri, gli aiuti concessi agli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che,
favorendo talune imprese o talune o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.
Sono aiuti di Stato sia le sovvenzioni fiscali (es. crediti d’imposta) sia le norme che escludono o riducono i
normali oneri fiscali. Non ha rilievo la modalità tecnica dell’agevolazione (essa può essere relativa al
presupposto, alla base imponibile, al tasso, alla prestazione dovuta). Né ha rilievo il tipo di tributo o altro
gravame a cui si riferisce l’aiuto (imposta dirette o indirette, contributi, tasse, oneri sociali). Una misura si
considera aiuto quando presenta quattro requisiti:
1) Vi è un vantaggio sotto forma di alleggerimento di costi; 2) Il vantaggio è concesso dallo Stato o mediante
risorse statali; 3) Il vantaggio incide sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati membri; 4) Il vantaggio è
concesso in maniera specifica e selettiva.
Il divieto non è assoluto. La Comunità non potrebbe, come stabilisce l’art. 2, promuovere uno sviluppo
armonioso ed equilibrato delle attività economiche nell’insieme della Comunità, se fosse proibito qualsiasi
intervento pubblico a favore delle imprese. L’art. 87 prevede tre serie di deroghe. Sono innanzitutto fatte
salve le discipline speciali dal Trattato in materia di agricoltura, pesca, trasporti, cultura, sicurezza nazionale
ecc.
Il comma 2 dell’art. 87 dichiara compatibili de iure con il mercato comune tutti gli aiuti a carattere sociale
concessi ai singoli consumatori e gli aiuti concessi in occasione di calamità naturali o altri eventi eccezionali.
Nel comma 3 troviamo un elenco di aiuti che possono considerarsi compatibili con il mercato comune.
L’elenco comprende:
1. Gli aiuti regionali destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia
anormalmente basso o si abbia una grave forma di sottoccupazione;
2. Gli aiuti diretti a promuovere la realizzazione di importanti progetti di comune interesse europeo oppure

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 30


a porre rimedio a gravi perturbamenti dell’economia di uno Stato membro;
3. Gli aiuti settoriali ossia rivolti ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche;
4. Gli aiuti indirizzati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio; Le altre categorie di aiuti
che siano determinate con decisioni del Consiglio, che può stabilire, in presenza di circostanze
eccezionali, che un aiuto sia compatibile con il mercato comune, in deroga alle norme della materia.
5. Al Consiglio è attribuita la possibilità di emanare regolamenti in materia. Gli Stati prima di adottare un
provvedimento a favore delle imprese devono comunicare il progetti alla Commissione (obbligo di
notifica) e non devono eseguirlo prima che la commissione si sia pronunciata (obbligo di “standstill”).
La Commissione può dare inizio ad una speciale procedura al cui termine decidere che il progetto non
sia compatibile. Se gli Stati concedono aiuti non notificati o non compatibili, la Commissione può
disporne la revoca ed ordinare il recupero dell’aiuto (es. se l’aiuto consiste in un’esenzione, con il
recupero viene richiesto il pagamento dell’imposta non pagata).

FONTI EUROPEE ED INTERNAZIONALI DEL DIRITTO TRIBUTARIO


Gli atti provenienti da altri ordinamento stanno assumendo nel diritto tributario una rilevanza crescente,
contribuendo a rendere sempre più complesso lo svolgimento delle relative operazioni di interpretazione ed
applicazione.
Per quanto riguarda il sistema delle fonti dell’ordinamento giuridico europeo, è noto che il processo di
integrazione e di unificazione europea è passato attraverso una serie di Trattati tra cui è opportuno ricordare,
oltre al Trattato istitutivo del 1957, l’Atto Unico Europeo del 1986, il Trattato di Maastricht del 1992, il
Trattato di Amsterdam del 1997 e il Trattato di Nizza del 2001. Ulteriormente, a Nizza fu approvata anche la
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Si è infine giunti al Trattato di Lisbona del 2007, entrato poi definitivamente in vigore a seguito della ratifica
da parte di tutti gli Stati membri, nel 2009, che ha approvato il TUE e il TFUE.

Le tappe fondamentali di questo processo di integrazione sono rappresentate dai Trattati di Roma, di
Maastricht e di Lisbona.
Le sue fasi sono costituite dalla realizzazione:

- di un’area di libero scambio (eliminazione delle frontiere interne);


- di un’unione doganale (politica economica comune nei confronti dei Paesi terzi);
- di un mercato comune con una moneta unica.

L’integrazione dei sistemi economici richiede e determina un processo di armonizzazione dei sistemi
legislativi degli Stati.
Il diritto tributario è particolarmente sensibile a questo processo di armonizzazione degli ordinamenti
giuridici degli Stati, perché il sistema della tassazione incide in maniera significativa sulle attività produttive
e commerciali, che costituiscono oggetto del processo di globalizzazione.
Per garantire un mercato effettivamente concorrenziale, fondato sul libero gioco della domanda e
dell’offerta, occorre eliminare – per quanto possibile – ogni restrizione che possa derivare da sistemi
impositivi che favoriscano od ostacolino la loro allocazione sul mercato non in ragione della loro qualità e
dei loro costi di produzione, ma in conseguenza del livello degli oneri fiscali gravanti su di essi.
La formazione di un mercato europeo di libero scambio richiede perciò un intenso processo di
armonizzazione delle legislazioni fiscali degli Stati membri.
In particolare, l’art. 288 TFUE, stabilisce su un piano generale che “per esercitare le competenze
dell’Unione, le istituzioni adottano regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri”, delineando
così le varie fonti del diritto europeo.

Le fonti del diritto europeo sono:


1) i Trattati, i quali costituiscono le fonti primarie dell’ordinamento UE e si situano al vertice ideale della
gerarchia delle fonti europee. In ambito tributario, il TFUE contiene diverse norme che interessano la
materia tributaria, come ad esempio il principio della libera circolazione delle merci, che disciplina
l’unione doganale e contiene il divieto, fra gli Stati membri, di dazi doganali all’importazione e

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 31


all’esportazione.; tutela della concorrenza; disposizioni fiscali che hanno ad oggetto la non
discriminazione e l’armonizzazione in materia di imposizione indiretta.
2) i Principi generali: cioè quei principi non espressamente dichiarati nelle disposizioni del Trattati ma
sono principi che hanno origine pretoria, cioè non derivanti da disposizioni, ma frutto della giurisprudenza
creativa della Corte di Giustizia. Essi, sono quindi principi NON SCRITTI, per cui la Corte non si
preoccupa di giustificarne l’origine o il fondamento. I principi generali costituiscono principi autonomi
dell’ordinamento dell’Unione che si ispirano agli ordinamenti degli Stati membri ed operano nell’ambito
generale del diritto dell’Unione, non già in una materia limitata. Ad esempio la certezza del diritto,
legittimo affidamento, proporzionalità, non discriminazione, leale cooperazione e eguaglianza.
3) i Regolamenti, i quali hanno portata generale, obbligatorietà in tutti i suoi elementi e diretta applicabilità
in ciascuno degli Stati membri;
4) le Direttive comunitarie, cioè quegli atti che vincolano gli Stato solo relativamente al risultato da
raggiungere, lasciandoli liberi autonomi e indipendenti per quanto concerne forme e mezzi diretti a
conseguire il risultato indicato. La disciplina della direttiva non si sostituisce alle norme nazionali,
piuttosto gli Stati membri devono adattare il loro diritto alle disposizioni della direttiva. La materia
tributaria ha visto un ampio ricorso allo strumento della direttiva, ad esempio per l’armonizzazione
dell’imposizione indiretta alle decine di direttive che hanno interessato l’imposta sul valore aggiunto,
oppure alla direttiva sulle imposte indirette sulla raccolta di capitali.
5) le Decisioni della Corte di Giustizia U.E. Esse hanno come destinatari non solo soggetti determinati e
individuati nominativamente, ma anche terminabili con sufficiente precisione. Sono atti interamente
obbligatori rispetto a coloro che ne sono destinatari, che possono essere sia persone fisiche o giuridiche,
sia gli stessi Stati membri.

Non costituiscono invece fonti normative le raccomandazioni e i pareri, dato il loro carattere non vincolante.

CAPITOLO 9. I SOGGETTI PASSIVI

1. Introduzione
Esaminando il principio di riserva di legge, abbiamo evidenziato come debbano essere individuati i
soggetti passivi, intesi come coloro cui è riferibile il presupposto. Per “soggetti passivi” devono essere intesi
non i soggetti in senso stretto, quindi i titolari dell’indice di capacità contributiva, ma anche quei soggetti che
pur non avendo realizzato il presupposto formano oggetto di un obbligo di natura patrimoniale. Ci si riferisce
alla figura del sostituto d’imposta, ossia colui che in luogo di altri è tenuto al pagamento del tributo, oppure
alla figura del responsabile d’imposta, ossia colui che è coinvolto a titolo di solidarietà passiva dipendente
nel pagamento di un tributo per un fatto riferibile al titolare dell’indice di capacità contributiva.
In secondo luogo, l’art. 53 Cost. evidenzia un nesso diretto tra capacità contributiva e soggetto obbligato (“in
ragione della ‘loro’ capacitò contributiva”) sicché la capacità contributiva deve riguardare il singolo
contribuente. Da qui l’illegittimità costituzionale del cumulo familiare dei redditi ad esempio.
Poi inoltre il legislatore può ampliare la sfera dei soggetti passivi ed imporre il prelievo anche a soggetti
diversi da coloro cui è riferibile l’indice di forza economica, ma che quest’ultimo deve avere la sicura
possibilità di far ricadere l’onere economico sulla persona che realizza il fatto che manifesta la capacità
contributiva (c.d. “diritto di rivalsa”). Vi è dunque un concetto di soggetto passivo più ampio di quello inteso
come titolare della capacità contributiva, ma in ogni caso deve essere ad egli consentito di far ricadere il
carico finale del tributo su colui che di tale capacità contributiva è titolare.
L’art. 8, co. 2, dello Statuto dei diritti del contribuente ammette in materia tributaria l’accollo e quindi la
traslazione del tributo da un soggetto ad un altro purché non si liberi dalla prestazione l’originario
debitore.

2. La soggettività tributaria passiva: considerazioni generali.


La nozione di soggettività tributaria si ricollega alla titolarità di situazioni giuridiche soggettive, siano esse
attive o passive. Si tratta di una distinzione che non coincide con quella tra soggetti attivi e soggetti passivi,
dal momento che sia i primi che i secondi possono alternativamente essere titolari di situazioni giuridiche

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 32


attive o passive.
Per soggetti attivi si designano coloro che sono titolari del potere impositivo.
Per quanto riguarda i soggetti passivi, vi è una duplice nozione.
Da un lato sono considerati soggetti passivi coloro cui è riferito il presupposto impositivo, inteso come atto
o fatto al cui verificarsi è dovuto il tributo, dove tale presupposto esprime una capacità contributiva di quel
soggetto e nel cui patrimonio deve, dunque, manifestarsi l’effetto tipico di decurtazione. Si suole parlare di
contribuente. Dall’altro lato sono considerati soggetti passivi anche coloro cui non è riferito il suddetto
presupposto, ma che sono comunque titolari di situazioni giuridiche soggettive di carattere sostanziale o
strumentale. Ulteriore distinzione è tra contribuente di diritto, ossia colui che è giuridicamente tenuto a
corrispondere il tributo, e contribuente di fatto, ossia colui che deve sopportare in via definitiva l’onere
economico del prelievo.

3. La capacità giuridica nel diritto tributario.


Dobbiamo adesso esaminare il problema di quali siano i soggetti in astratto suscettibili di essere titolari di
una capacità giuridica ai fini tributari, ossia coloro che presentano un’attitudine alla titolarità di situazioni
giuridiche soggettive.
In linea generale sono soggetti che per il diritto tributario le persone fisiche, le persone giuridiche, gli enti
privi di personalità giuridica tipizzati dal codice civile (ad es. le società di persone, le associazioni, ecc.) e,
infine, gli enti non tipizzati in capo ai quali sussistano le seguenti caratteristiche:
- esistenza di un centro autonomo di imputazione di effetti o di rapporti giuridici
- autonomia di tale centro rispetto ad altri soggetti
- imputazione ad esso di effetti o rapporti sub specie del presupposto d’imposta (e dunque di effetti
giuridici patrimoniali).
Il legislatore ha poi fatto riferimento all’art. 73, co. 1, TUIR ai soggetti non residenti e ha stabilito che
centro d’imputazione degli effetti giuridici per i soggetti non residenti è il soggetto collettivo e non i suoi
partecipanti (ad es. per la società di persone, il centro d’imputazione non sono i partecipanti, bensì è
quell’ente cui gli stessi siano unitariamente riferibili). Tale norma riconosce come soggetti passivi tutti
quegli enti ai quali il proprio ordinamento di provenienza attribuisca personalità giuridica. Anzi,
proprio più in generale, occorrerebbe dare rilievo a tutti gli autonomi centri di imputazione giuridica che
appaiano, in quanto tali, titolari di rapporti di diritto privato secondo l’ordinamento di origine.
Si devono considerare, dunque, non solo le persone giuridiche in senso tecnico, ma qualsiasi ente diverso
dalle persone fisiche che un ordinamento, nella sua discrezionalità, elevi sulla base di diversi presupposti
e a tutela di interessi diversi a centro autonomo di imputazione di situazioni giuridiche.

4. Il sostituto d’imposta: inquadramento generale.


Al fine di perseguire obiettivi di rafforzamento della garanzia patrimoniale del Fisco e si semplificazione
dei suoi rapporti nei confronti della molteplicità dei contribuenti, il legislatore può coinvolgere
nell’attuazione del prelievo soggetti diversi da quelli che hanno realizzato l’indice di capacità contributiva,
sia “sostituendo” un soggetto ad un altro (sostituto), sia “aggiungendo” un soggetto a colui che ha realizzato
l’indice di capacità contributiva (responsabile d’imposta).
Il collegamento tra le due figure è testimoniato dalla “comunanza” normativa nell’art. 64, d.p.r. 600/1973.
- Sostituto d’imposta: comma 1: “Chi in forza di disposizioni di legge è obbligati al pagamento di
imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto, deve
esercitare la rivalsa se non è diversamente stabilito in modo espresso”.
- Responsabile d’imposta: Comma 3: “Chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento
dell’imposta insieme con altri, per fatto o situazioni esclusivamente riferibili a questi, ha diritto di
rivalsa”
Partiamo con l’analisi della duplice configurazione della sostituzione d’imposta.
1) La prima forma consiste nella c.d. sostituzione “a titolo d’imposta” (o “propria”), dove
l’effettuazione della ritenuta ed il versamento all’erario da parte del sostituto esaurisce qualsiasi
rapporto di natura tributaria in capo al soggetto sostituito, che non dovrà presentare alcuna
dichiarazione, realizzando così il c.d. anonimato del contribuente. Nell’effettuazione della ritenuta
si sostanzia la c.d. “rivalsa” del sostituto, attraverso cui il sostituto procede al recupero nei
confronti del sostituito, dell’imposta da pagare all’erario. Come emerge dall’art. 64, la rivalsa è di

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 33


regola obbligatoria: si tratta di un vero e proprio obbligo (diritto-dovere) e, dunque, non solo di un
mero diritto.
2) La seconda forma consiste nella c.d. sostituzione “a titolo di acconto” (o impropria), dove invece
l’effettuazione della ritenuta, ed il versamento all’erario da parte del sostituto non esaurisce il
rapporto tra Fisco e contribuente. Quest’ultimo, infatti, è tenuto comunque a dichiarare il
reddito oggetto di ritenuta, includendolo nel reddito complessivo, ed a calcolare la corrispondente
imposta, di cui la ritenuta costituisce, di fatto, un acconto. Il sostituito detrae dall’imposta così
calcolata la ritenuta subita e versa all’erario la differenza.
In tale contesto la dottrina prevalente tende ad attribuire soggettività passiva soltanto al sostituto a titolo
d’imposta, riconoscendo al sostituto a titolo di acconto la natura di titolare dell’obbligo di versamento
della ritenuta.

5. Segue: aspetti patologici dei rapporti tra sostituto, sostituito ed Erario.


Nei rapporti tra sostituto e sostituito possono verificarsi situazioni patologiche:
A) Nelle ipotesi di ritenuta a titolo d’imposta con rivalsa facoltativa, l’unico soggetto passivo è il
sostituto che non è obbligato a rivalersi sul sostituito, il quale è estraneo a qualunque rapporto
giuridico con il titolare del credito tributario.

B) Nelle ipotesi di ritenuta a titolo di imposta con rivalsa obbligatoria si possono avere i casi:
• il sostituto effettua la ritenuta ma non la versa: il sostituto rischia la sanzione per omesso
versamento ex art. 13, d.lgs. 471/1997
• il sostituto non effettua la ritenuta, ma ciononostante la versa: il sostituto non subisce
sanzioni, ma può recuperare in via di regresso l’importo della ritenuta in capo al sostituito.
• Il sostituto non effettua e non versa la ritenuta: l’art. 35 d.p.r. 602/1973 prevede che il
sostituito sia obbligato in solido nel caso di iscrizione a ruolo del sostituto per le imposte, gli
interessi e le sanzioni relativi ai redditi sui quali esso non ha operato e versato le ritenute. Potrà
anche intervenire nel procedimento instaurato nei confronti del sostituto.

C) Nelle ritenute a titolo d’acconto:


Il sostituto effettua la ritenuta ma non la versa: il sostituito ha il diritto a scomputare la
ritenuta subita e il fisco dovrebbe agire solo verso il sostituto.
Il sostituto non effettua la ritenuta, ma ciononostante la versa: il sostituto non subisce
sanzioni, ma può recuperare in via di regresso l’importo della ritenuta in capo al sostituito
Il sostituto non effettua la ritenuta, né la versa: in tale ipotesi vi sono due possibilità:
1. Il sostituito dichiara i relativi redditi, versando l’intera imposta dovuta.
2. Il sostituito non dichiara i relativi redditi, ritenendoli non imponibili, nel qual caso
il Fisco, se ritenga il reddito non imponibile, potrà agire nei confronti di ambedue.

D) Ultima ipotesi: il sostituto effettua la ritenuta ma questa è contestata dal sostituito non ritenendo
costui che la somma erogata abbia natura di reddito imponibile. In tal caso spetta al giudice ordinario
(Cassazione a SS. UU. 14309/2013) la giurisdizione, posto che si tratta di diritto esercitato dal
sostituto verso il sostituito nell’ambito di un rapporto privatistico.

6. La solidarietà passiva nel diritto tributario.


Mentre non si ravvisa nel diritto tributario solidarietà attiva, vi sono situazioni giuridiche passive che
possono far capo ad una pluralità di soggetti. SI distingue tra solidarietà in senso sostanziale (riferita a
pagare il tributo) e in senso formale (obblighi strumentali del contribuente).
Per quanto attiene alla solidarietà in senso sostanziale, si distingue tra solidarietà paritetica e solidarietà
dipendente. Nel primo caso, gli effetti di un’unica fattispecie sono riferibili a distinti soggetti: presupposto
posto in essere da più soggetti. Nella solidarietà paritetica trova applicazione l’art. 1299 c.c. in base al quale
chi ha pagato l’intero può ripetere dai condebitori solo la quota di competenza di ciascuno di essi.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 34


7. Segue: i profili formali della solidarietà paritetica.
Vi si distinguono due aspetti: il primo relativo agli adempimenti strumentali dove l’adempimento di un
condebitore solidale libera gli altri.
Il secondo, più complesso, è quello dell’efficacia degli atti dell’Amministrazione finanziaria nei confronti
dei condebitori solidali.
La giurisprudenza (Cass. SS.UU. 2580/1973) e la dottrina si sono orientate nel ritenere applicabili le regole
civilistiche in tema di solidarietà, con la conseguenza che il riferimento alla pluralità dei rapporti obbligatori
consente che ciascuno di essi abbia vicende diverse da quelle degli altri. Pertanto gli effetti degli atti
compiuti da o nei confronti di un condebitore, se favorevoli, possono estendersi agli altri condebitori, se
sfavorevoli, non si estendono, se neutri, si estendono se l’interessato intende profittarne.
L’atto di accertamento, pertanto, produce effetti solo nei confronti dei soggetti cui è stato notificato e se
l’amministrazione vuole poter aggredire più patrimonio moltiplicando la garanzia, deve notificare l’atto di
accertamento a tutti i coobbligati.
Il coobbligato che abbia ricevuto la notifica potrebbe far notificare l’atto agli altri coobbligati, tenuto conto
che la giurisprudenza ritiene che l’atto notificato ad uno dei coobbligati interrompa i termini di decadenza
nei confronti dei tutti i coobbligati.
La giurisprudenza ha esaminato il caso del regresso esercitato dal venditore nei confronti degli acquirenti a
seguito di accertamento con adesione, concluso dal primo con l’amministrazione finanziaria, affermando che
“l’azione di regresso spetta al coobbligato solidale che ha pagato solo qualora egli abbia sostenuto il
pagamento di somme certe il cui obbligo gravava su tutti, in relazione alle quali il creditore abbia
liberamente scelto di rivolgersi all’uno invece che all’altro coobbligato solidale”.
Nell’ipotesi del destinatario della notifica, ma non impugnante, nei confronti del quale l’atto è divenuto
definitivo, la Cassazione gli riconosce la possibilità di avvalersi del giudicato reso nei confronti di altro
coobbligato con le seguenti limitazioni:
- Sussistenza di un giudicato di segno opposto
- La circostanza che il giudicato favorevole sia basato su ragioni personali
- Avvenuto pagamento dell’imposta in base ad accertamento divenuto definitivo perché non impugnato
La Corte di Cassazione nel corso degli anni (2000/2011/2014) ha espressamente sostenuto la non
configurabilità di una situazione di litisconsorzio necessario e la “non riunione” d’ufficio dei processi.
Infatti la Cassazione sostiene che la solidarietà tra più soggetti tenuti al pagamento del tributo non fa sorgere
un rapporto unico ed inscindibile, ma una pluralità di rapporti obbligatori di identico contenuto che non
danno pertanto luogo ad una situazione processuale di litisconsorzio necessario.

8. Segue: la solidarietà dipendente.


Nella solidarietà dipendente (concetto dottrinale), invece, il presupposto è riferibile ad uno o più soggetti,
mentre la norma tributaria coinvolge con vincolo solidale nell’obbligazione tributaria anche soggetti cui
sicuramente non è riferibile la capacità contributiva evidenziata dal presupposto. Vi è un rapporto di
pregiudizialità-dipendenza tra fattispecie tipica e fattispecie collaterale: l’obbligazione del coobbligato
dipendente esiste in quanto esiste quella principale.
Si distingue perciò tra una solidarietà contestuale, in cui gli elementi che subentrano nella fattispecie
estensiva sussistono contemporaneamente al verificarsi della fattispecie imponibile tipica; ed una successiva
nella quale i predetti elementi subentrano dopo che si sono esauriti gli effetti della fattispecie imponibile.
La dottrina sostiene la c.d. efficacia riflessa dell’accertamento definitivo nei confronti del coobbligato
dipendente.

9. Segue: il responsabile d’imposta.


Tipica ipotesi di responsabilità solidale dipendente è quella del responsabile d’imposta, riconducibile
all’art. 64, co. 3, d.p.r. 600/1973, secondo cui “chi, in forza di disposizioni di legge, è obbligato al
pagamento dell’imposta insieme con altri, per fatti o situazioni esclusivamente riferibile a questi, ha diritto
di rivalsa”.
Esso viene coinvolto nel prelievo al fine di meglio assicurare il soddisfacimento della pretesa erariale,
attraverso l’ampliamento dei patrimoni escutibili, ma proprio in quanto svolge ope legis una funzione di
garanzia è richiesto un titolo giustificativo della prestazione. È possibile individuare alcune figure di

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 35


responsabili d’imposta:
- I notai per l’imposta di registro,
- Il cessionario d’azienda, dei nuovi possessori di immobili per il pagamento di imposte, interessi e
sanzioni.
- I liquidatori per le imposte non assolte dalla società di capitali.
Vi è una responsabilità solidale dipendente che discende dalle stesse regole generali civilistiche, qual è la
responsabilità dei soci delle società semplici, delle società in nome collettivo e dei soci accomandatari
delle società in accomandita.
Per il responsabile d’imposta dovrebbe essere perseguita l’esigenza di traslare il carico tributario sul reale
titolare della capacità contributiva e, a tal fine, non è sufficiente attribuire ad esso un diritto di rivalsa.
Occorre che il soggetto sia in grado ex lege di assicurarsi preventivamente le somme, oppure che vi sia un
rapporto contrattuale tale da potersi premunire contro il rischio di rimanere inciso dal tributo.
Il diritto di rivalsa del coobbligato dipendente si esercita per l’intero anziché pro quota (come avviene invece
nella solidarietà paritetica).

10. Il c.d. “responsabile limitato”


Esistono casi in cui la responsabilità è legata ad un determinato complesso di beni.
È l’ipotesi del responsabile limitato che versa in una situazione di mera soggezione all’esecuzione, in
quanto il terzo titolare di beni aggredibili dall’amministrazione finanziaria, in forza di diritti di seguito
derivanti da un privilegio speciale sui beni cui il tributo si riferisce, oppure in quanto terzo assoggettato ad
una responsabilità patrimoniale legata alla presenza di cespiti che rappresentano la naturale e oggettiva
garanzia di soddisfacimento del debito d’imposta.
Si tratta di soggetti terzi a tutti gli effetti, coinvolti solo nella procedura esecutiva, senza che sorga alcuna
responsabilità solidale e pertanto hanno margini di tutela ridotti: l’atto non deve essere loro notificato e
l’esecuzione sul bene non può aver luogo senza che sia necessaria l’escussione preventiva dell’alienante.
Tuttavia si ritiene che esso possa fare intervento volontario o su istanza di parte e che possa far valere in
giudizio le eccezioni non sollevate dal debitore.

CAPITOLO 10. L’OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA

L’OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA E LE SUE VICENDE MODIFICATIVE ED ESTINTIVE

Il diritto tributario è una disciplina che si avvale della collaborazione di altre discipline, come il diritto civile
e amministrativo, utilizzandone istituti e schemi.
In sostanza quindi, il tributo viene definito come un’obbligazione avente ad oggetto una prestazione di
regola pecuniaria, a titolo definitivo o a fondo perduto, nascente dalla legge, al verificarsi di un presupposto
di fatto che non ha natura di illecito.

Il “rapporto giuridico di imposta” può essere definito come un rapporto obbligatorio di diritto pubblico a
carattere patrimoniale disciplinato interamente in base alla legge.
Il rapporto giuridico di imposta può essere dunque inquadrato nell’ambito della categoria generale delle
obbligazioni disciplinata dal codice civile. (che include tra le fonti dell’obbligazione “ogni atto o fatto
idoneo a produrla in conformità dell’ordinamento giuridico”: art. 1173 c.c.)

Essa ha carattere patrimoniale.


La disciplina generale dell’obbligazione è mutuata dal codice civile, ma è influenzata dall’esercizio di
penetranti poteri pubblicistici dell’Amministrazione finanziaria che concernono:

• L’accertamento dell’oggetto dell’obbligazione;


• La riscossione;

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 36


• Le sanzioni per l’inadempimento,
in considerazione della natura pubblicistica del soggetto creditore, della pubblicità dei fini da soddisfare,
della natura pubblicistica dell’oggetto della prestazione (che costituisce “pecunia publica”).

Ai sensi dell’art. 1174 c.c.: “La natura pubblicistica del rapporto giustifica anche la speciale tutela penale
che assiste le varie fasi del suo svolgimento”.

In primo luogo, l’obbligazione tributaria si estingue mediante adempimento.


Tipicamente, l’adempimento si attua con il pagamento di una somma di denaro, sempre più frequentemente
attraverso deleghe irrevocabili a banche convenzionate.
Sono tuttavia previsti dei casi di adempimento mediante “datio in solutum”, in cui il contribuente può
assolvere il tributo mediante la dazione di beni di interesse artistico, storico o archeologico, previa
accettazione del creditore.
Nel caso di ritardato adempimento, la disciplina delle singole imposte individua la misura e la decorrenza
degli interessi.

Ai sensi dell’art. 8, l. 212/200, “l’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione”.

Un’ulteriore modalità di estinzione dell’obbligazione tributaria consiste nella confusione, anche se l’unica
ipotesi prospettabile in materia tributaria è quella dell’ente impositore cui sia devoluta l’eredita’ del
contribuente debitore e nelle normative di condono fiscale, con le quali viene consentito al contribuente di
definire in via agevolata l’obbligazione con il pagamento di una somma ridotta.

Per le obbligazioni derivanti dall’applicazione di sanzioni amministrative e penali-tributarie, è la morte


dell’obbligato che ne determina l’estinzione.

L’obbligazione tributaria può altresì estinguersi per intervenuta decadenza dell’azione amministrativa di
accertamento o liquidazione, cioè per il mancato esercizio di tipici poteri amministrativi; oppure per
prescrizione del credito ormai liquido ed esigibile, ma non azionato esecutivamente nei termini di legge.
Quanto alla prima, infatti, la legge disciplina i termini di decadenza dell’azione di accertamento, diversi
da imposta ad imposta. I termini di decadenza operano tuttavia anche a sfavore del contribuente, ad esempio
in relazione al potere di chiedere il rimborso dell’imposta.
Quanto alla seconda, una volta che il credito sia divenuto liquido ed esigibile, decorre il termine di
relativa prescrizione, che si ritiene essere quello decennale previsto dalla disciplina codicistica ex art. 2946
c.c.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 37


PARTE 2: L’ATTUAZIONE DEL TRIBUTO

CAPITOLO 11. I MODULI ATTUATIVI DELL’OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA

I MODULI ATTUATIVI DELL’OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA


Per molto tempo, l’analisi del diritto tributario si è risolto nello studio dei rapporti tra la nascita
dell’obbligazione tributaria e l’accertamento inteso come atto di esercizio della funzione amministrativa di
imposizione.

Si distinguono:

• i c.d. tributi senza accertamento: ovvero quelli nei quali è assente la fase di accertamento in quanto il
concretarsi della fattispecie astratta prevista dalla norma impositiva determina direttamente la necessita’
di eseguire la prestazione da parte del soggetto passivo e in quanto all’esecuzione della prestazione segue
poi il controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria circa l’esatto adempimento dell’obbligazione
imposta.
• i c.d. tributi con accertamento: ovvero quelli nei quali è presente una fase di accertamento

Le regole dei procedimenti tributari non sono racchiuse in un testo organico ma in più testi. Valgono
innanzitutto, sia pure con alcune limitazioni, i principi e le regole dettate in generale per i procedimenti
amministrativi dalla legge 241/90. In secondo luogo si applicano le norme dello statuto dei diritti del
contribuente, approvato con l. 212/2000. In terzo luogo, regole procedimentali sono contenute in specifici
testi normativi, come il d.p.r. 600/73 in tema di accertamento delle imposte sui redditi; il d.p.r. 633/72 in
tema di accertamento dell’IVA; il d.p.r. 602/73 in tema di riscossione; il d.lgs. 472/97 in materia di sanzioni.
Il contribuente deve adempiere a degli obblighi (dichiarare e versare); il fisco deve controllare e, se del caso,
esercitare i suoi poteri autoritativi. La trama dei rapporti tra fisco e contribuente è però molto più ricca.
Secondo l’immagine tradizionale l’AF agisce come autrice di atti unilaterali. A partire dagli anni ‘90, questa
immagine è mutata, principalmente per effetto della legge sui procedimenti amministrativi, dello Statuto del
contribuente, di altri specifici interventi normativi e della istituzione delle agenzie fiscali.

La legge 241/90, in tema di procedimenti amministrativi, non ha soltanto modificato alcune tradizioni regole
di comportamento delle pubbliche amministrazioni, ma ha altresì profondamente inciso sulla complessiva
disciplina dei rapporti stato-cittadini e fisco-contribuenti. All’interno di questo profondo mutamento si
collocano i nuovi istituti tra i quali l’interpello, l’accertamento con adesione, la conciliazione e l’autotutela.
La legge 241/90 realizza i principi di imparzialità e buon andamento contenuti nell’art. 97 Cost. L’art. 1 di
tale legge indica, come principi generali dell’azione amministrativa, i principi di economicità, efficacia,
pubblicità e trasparenza, richiamando inoltre i principi dell’ordinamento comunitario. L’economicità impone
alla pubblica amministrazione il dovere di fare adeguato uso delle risorse a sua disposizione; l’efficacia
impone un’azione idonea al conseguimento del risultato. Anche le agenzie fiscali devono operare nel rispetto
di tali principi, i quali esigono la realizzazione del massimo risultato con il minor dispendio di risorse.

Trasparenza significa accessibilità agli atti e ai documenti del procedimento; non ha però rilievo in materia
fiscale, perché ai procedimenti tributari non si applicano né le norme sull’accesso né le norme sull’avvio del
procedimento e sulla partecipazione. Tra i principi dell’ordinamento comunitario che possono interessare
l’azione delle agenzie fiscali, sono da ricordare il principio di imparzialità, il principio di partecipazione,
l’obbligo di motivazione, il principio del contraddittorio, la risarcibilità dei danni prodotti
dall’amministrazione, il termine ragionevole nel quale le pubbliche amministrazioni debbono pronunciarsi, il
principio di proporzionalità, il principio di legittima aspettativa.
B) Nel diritto amministrativo generale, i procedimenti sono disciplinati dalla legge 241/90 (legge generale
sui procedimenti amministrativi). Vi sono però differenze non lievi tra disciplina dei procedimenti
amministrativi e disciplina dei procedimenti tributari. Della legge generale sui procedimenti amministrativi

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 38


infatti non si applicano ai procedimenti tributari né le norme del capo terzo, in materia di partecipazione del
cittadino al procedimento, né le norme del capo quinto, in tema di accesso. Si applicano in materia tributaria
il capo primo (ove sono enunciati i principi generali), il capo secondo (che disciplina la figura del
responsabile del procedimento), il capo quarto bis (in tema di efficacia e invalidità dei provvedimenti
amministrativi). Non hanno motivi di applicarsi in campo tributario le norme che interessano le attività
amministrative discrezionali come le norme sulle conferenze dei servizi. Nel capo II della legge 241/90 viene
delineata la figura del responsabile del procedimento. Esso svolge il ruolo di guida del procedimento, di
ordinatore dell’istruttoria e di organo di impulso; è il soggetto attraverso il quale l’amministrazione dialoga
con il cittadino. Il procedimento di imposizione inizia sempre d’ufficio sia quando la dichiarazione sia stata
omessa sia quando sia stata presentata. Con la dichiarazione, infatti, il contribuente non mira ad avviare un
procedimento, ma assolve un obbligo impostogli dalla legge.
Inoltre nel procedimento tributario d’imposizione non vi è una sequenza predeterminata di atti da porre in
essere prima dell’emanazione dell’atto finale; non esiste neppure un ordine necessario di atti istruttori. L’atto
di imposizione può essere un ordine necessario di atti istruttori. L’atto di imposizione può essere un atto
solitario vale a dire non preceduto da altri atti amministrativi: può scaturire ad esempio dal semplice esame
della dichiarazione, dal ricevimento di notizie di evasione o da altre fonti. Non è previsto in generale che vi
sia un contraddittorio con il contribuente; ai procedimenti tributari non si applicano le norme generali in
tema di partecipazione del cittadino al procedimento. Nel contraddittorio il contribuente può farsi assistere
da un procuratore generale o speciale o da un professionista. Il procedimento tributario di imposizione può
concludersi o con un avviso di accertamento o con un accertamento con adesione o anche senza
l’emanazione di alcun provvedimento.

Va detto, peraltro, che la giurisprudenza di Cassazione è incline ad ammettere l'applicabilità della l.


241/1990 alla materia tributaria, ora ritenendo, in linea generale, che “i principi generali dell'attività
amministrativa, stabiliti dalla l. 241/1990, si applicano, salva la specialità, anche per il procedimento
amministrativo tributario in quanto sul piano normativo generale si deve tener presente che il
procedimento amministrativo, anche quello tributario, è la forma della funzione e che il potere di adottare
l’atto amministrativo finale è solo l’esercizio terminale di un potere che è stato frazione, in conformità di
norme sul procedimento”.

L’evoluzione dell’ordinamento tributario ha ormai dimostrato l’impossibilita di ricondurre ad un unitario


ed omogeneo modello procedimentale l'attività dell’Amministrazione finanziaria.
Ciò è dovuto a fattori diversi e concorrenti.
In primo luogo, come detto, l'attività dell’Amministrazione finanziaria diretta all’attuazione del prelievo si
articola in schemi diversi a seconda del tributo al quale ci si riferisce.
In secondo luogo, pur nell’ambito di un medesimo tributo, il procedimento di imposizione è a schema
variabile. Tra gli elementi variabili si configura il fatto che l’atto finale di un procedimento iniziato puo’
anche mancare se l’ufficio impositore non ne ritiene sussistenti i presupposti, oppure si ravvisano elementi di
variabilità all’interno della fase istruttoria, nell’ambito della quale l’organo procedente può decidere di
avvalersi di uno o più dei molti poteri istruttori previsti dalla legge.
Ancora, l'attività dell’Amministrazione finanziaria non si esaurisce nella fase istruttoria e di accertamento,
ma abbraccia anche la fase sanzionatoria tributaria e la fase della riscossione.

Nonostante, dunque, molti fattori contribuiscono ad ampliare il concetto di procedimento tributario e a


renderne variabile la struttura, se si considera il modello attuativo delle imposte sui redditi e dell’IVA, è
possibile, in una prospettiva diacronica, identificare le seguenti “fasi” in cui si snoda il modulo attuativo
tipico del rapporto impositivo.

FASI DEL PROCEDIMENTO TRIBUTARIO

PRESUPPOSTO DICHIARAZIONE LIQUIDAZIONE E CONTROLLI AVVISO DI RISCOSSIONE ESPROPRIAZION


CONTROLLI SOSTANZIALI ACCERTAMENTO E FORZATA
FORMALI

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 39


1. Il presupposto d’imposta si collega all’individuazione da parte del legislatore dell’indice di forza
economica. Nelle imposte sui redditi tale presupposto è costituito, secondo l’art. 1 TUIR, dal
“possesso di redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie”, mentre nel caso dell’IVA esso si
identifica nell’effettuazione di cessioni di beni o prestazioni di servizi nel territorio dello Stato da
parte di soggetti esercenti impresa, arti o professioni. In caso di integrazione del presupposto
d’imposta, sorge in capo al contribuente l’obbligo di presentazione della dichiarazione, quale atto
volto a portare a conoscenza del Fisco la realizzazione del presupposto stesso. APPUNTI: Il
“presupposto” o oggetto dell’imposta costituisce dunque una manifestazione di capacità
contributiva del soggetto, alla quale la legge ricollega l’obbligo di pagamento di uno specifico
tributo. Il presupposto è quindi il compimento di una serie di atti, i quali sono soggetti a
registrazione, cioè che vanno registrati su un determinato registro. Si registra l’atto per un obbligo
tributario ma anche per un mio interesse, un interesse della certezza dell’atto. Il presupposto è quindi
il compimento di una serie di atti, i quali sono soggetti a registrazione, cioè che vanno registrati su
un determinato registro. Si registra l’atto per un obbligo tributario ma anche per un mio interesse, un
interesse della certezza dell’atto.

2. La dichiarazione costituisce la base per l’autoliquidazione del tributo ad opera del contribuente. Si
considera quindi “omessa” non solo quando la sua dichiarazione manchi del tutto, ma anche nel caso
in cui essa sia presentata oltre i 90 giorni dalla scadenza del termine utile. La dichiarazione è invece
affetta da nullità allorché essa non rechi la sottoscrizione del contribuente ovvero di colui che ne ha
la rappresentanza legale o negoziale, nonché ove essa non sia redatta su modelli conformi a quelli
approvati e resi disponibili dall’Amministrazione finanziaria (art. 1, d.p.r.322/1998). La
dichiarazione presentata oltre i 90 giorni pur considerandosi omessa ai fini della successiva fase di
accertamento, costituisce titolo per l’iscrizione a ruolo a titolo definitivo delle somme dovute.

3. La fase successiva alla presentazione della dichiarazione riguarda la sua liquidazione ed il suo
controllo di carattere formale; attività queste che, avendo ad oggetto la dichiarazione del
contribuente, non possono naturalmente essere svolte qualora questi ne abbia, legittimamente o
illegittimamente, omesso la presentazione. La liquidazione è prevista per le imposte sui redditi ed è
finalizzata a correggere esclusivamente gli errori materiali e di calcolo riguardanti i versamenti delle
imposte, la determinazione degli imponibili e comunque gli errori rilevabili direttamente dalla
dichiarazione. Tale attività di liquidazione ha carattere generalizzato, non richiede lo svolgimento di
alcuna attività di ricerca di informazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria (fondandosi
esclusivamente sulle risultanze della dichiarazione o su dati già a disposizione della stessa
Amministrazione) e non prevede l’instaurazione di un contraddittorio con il contribuente, essendo
disposta solo una comunicazione dell’esito del controllo. Qualora dalla liquidazione della
dichiarazione emerga un’imposta o una maggiore imposta dovuta, si evidenzia un collegamento
immediato e diretto tra la fase in discorso e quella della riscossione, atteso che l’Amministrazione
procede, successivamente alla menzionata comunicazione, all’iscrizione a ruolo a titolo definitivo
delle somme dovute. Del pari, qualora emerga una posizione di credito del contribuente, si procede
al rimborso del quantum non dovuto dal contribuente.

4. La quarta fase riguarda i c.d. controlli sostanziali, rivolti non già ad una mera correzione di errori
materiali o di calcoli commessi dal contribuente in sede di redazione della dichiarazione, quanto alla
negazione dell’intrinseca veridicità dei fatti esposti nella dichiarazione. Si tratta quindi della fase di
accertamento “in senso stretto” avente ad oggetto l’individuazione del presupposto di fatto posto
in essere dal contribuente e che si compone di un complesso di atti e fatti, legati in procedimento.
Potere di iniziativa del procedimento di accertamento spetta non solo agli organi
dell’Amministrazione finanziaria, ma anche alla Guardia di Finanza ex. art. 33 d.p.r. 600/1973. Si
tratta, dunque, di un procedimento ad iniziativa d’ufficio, non potendo ascrivere alla dichiarazione
una funzione di impulso procedimentale. La funzione dei controlli sostanziali, da individuarsi nella
determinazione dell’an e del quantum del presupposto del tributo, deve comunque essere

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 40


sufficientemente ampia da consentire alla stessa Amministrazione finanziaria l’acquisizione di tutti
gli elementi rilevanti ai fini della corretta determinazione del presupposto d’imposta. Sulla scorta
degli elementi raccolti nell’ambito dell'attività istruttoria, gli organi procedenti, siano essi
appartenenti all’Amministrazione finanziaria o alla Guardia di Finanza, esprimono le proprie
valutazioni conclusive in merito alla illegittimità del comportamento del contribuente.

5. Si configura quindi l’emissione di un avviso di accertamento avente contenuto rettificativo


dell’adempimento spontaneo del contribuente. Occorre tener presente che, anche qualora
l’Amministrazione finanziaria ritenga la dichiarazione presentata dal contribuente non veritiera, non
sempre la stessa procede all’emanazione dell’avviso di accertamento: ciò a motivo della presenza di
una gamma sempre più ampia di strumenti deflattivi del contenzioso tributario in cui il contribuente,
trovandosi in una situazione di lite “potenziale” con l’Amministrazione stessa, addiviene a versare
subito, in tutto o in parte, l’imposta oggetto di contestazione, rinunziando al contenzioso ed
accedendo per l’effetto ad una serie di vantaggi (quali, la riduzione delle sanzioni amministrative e
penali, la copertura da possibili futuri accertamenti sulla stessa annualità, il pagamento dilazionato
delle somme dovute, ecc.). In queste ipotesi, l’emissione dell’avviso di accertamento è sostituita
dall’emissione di un atto di definizione della pretesa tributaria, alla formazione del quale partecipa lo
stesso contribuente.

6. Alla fase della dichiarazione, dei controlli formali, dei controlli sostanziali e dell’avviso di
accertamento segue quella della riscossione, finalizzata a consentire all’Erario di incassare i tributi
dovuti dal contribuente. Si tratta di una fase che sottosta’ al principio di tipicità, nel senso che gli
obblighi di versamento in capo ai contribuenti e i poteri di riscossione, anche forzata, da parte
dell’Amministrazione finanziaria, seguono procedure ben precise, stabilite dalla legge. Essa può
avere natura spontanea o forzata (coattiva), nei casi in cui il contribuente non adempia
volontariamente alla propria obbligazione tributaria. L’atto tipico della fase della riscossione coattiva
è stato il “ruolo”. È un atto recettizio che costituisce titolo esecutivo., in quanto in base ad esso si
può immediatamente procedere alla riscossione coattiva. L’iscrizione a ruolo del contribuente si
distingue a seconda che sia “a titolo provvisorio” ovvero “a titolo definitivo”. Il ruolo, quale mero
elenco dei debitori delle imposte formato dall’Amministrazione finanziaria, non ha contenuto
individuale, nel senso che non è atto specificamente riferito al singolo contribuente debitore. A tal
fine assolve, invece, la cartella di pagamento il cui contenuto si risolve in un estratto a portata
individuale del ruolo dei debitori. A differenza del ruolo, la cartella di pagamento è atto non
dell’amministrazione finanziaria, bensì dell’Agente della Riscossione, il quale provvede a redigerla e
a notificarla al contribuente entro il termine di decadenza di cui all’art. 25, d.p.r 602/1973.
La netta separazione delle fasi di adozione dell’avviso di accertamento e di riscossione del quantum
dovuto è venuta ormai meno a partire dal 2011, a partire cioè dal momento di efficacia della riforma
stessa, che ha introdotto nel nostro ordinamento i c.d. “accertamenti esecutivi”, sia pur limitatamente
alle imposte sui redditi, all’IVA e all’IRAP. Tali modifiche hanno riguardato il contenuto
dell’avviso, prevedendo che esso debba contenere anche l’intimazione ad adempiere, entro il
termine di presentazione del ricorso (60 giorni dalla notifica) e all’obbligo di pagamento degli
importi nello stesso indicati. Mediante tali modifiche è stata eliminata la fase dell’iscrizione a
ruolo, per cui l’agente della riscossione, sulla base dell’avviso di accertamento e senza la
preventiva notifica della cartella di pagamento, può ora direttamente procedere ad espropriazione
forzata.

7. Al mancato adempimento entro il termine previsto (60 giorni dalla notifica) del debito recato dalla
cartella di pagamento ovvero dall’avviso di accertamento, fa seguito l’inizio dell’espropriazione
forzata, cui provvede l’agente della riscossione. Tale fase trova la propria disciplina generale nelle
regole processualcivilistiche applicabili per l’esecuzione forzata tra privati; sebbene, la differenza
principale della riscossione esattoriale rispetto all’ordinario processo di esecuzione è costituito dal
ruolo dell'autorità giudiziaria: mentre il privato è tenuto a rivolgersi a questa per il compimento
dei diversi atti in cui consiste l’espropriazione forzata, l’agente della riscossione, quale soggetto che

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 41


opera a tutela di un interesse di natura pubblicistica, agisce direttamente, al di fuori dell’intervento
dell'autorità giudiziaria.

La partecipazione del contribuente al procedimento impositivo è finalizzata alla determinazione di


un’obbligazione tributaria, corrispondente alla reale capacità contributiva del soggetto passivo.
Nell’ordinamento tributario non vi sono norme di carattere generale sulla partecipazione, ne viene sancito il
diritto del contribuente al contraddittorio amministrativo.

CAPITOLO 12. LA DICHIARAZIONE, LA SUA LIQUIDAZIONE E CONTROLLI


FORMALI.

La dichiarazione viene considerata e definita come l'atto fondamentale di collaborazione della


contribuente con il Fisco attraverso cui il primo porta a conoscenza del secondo la realizzazione del
presupposto di imposta.
Esistono nell'ordinamento tributi che non ne prevedono una dichiarazione; si tratta in genere di tributi di
natura istantanea: si pensi ad esempio all'imposta di registro, In cui gli elementi da portare a conoscenza del
fisco sono di regola contenuti nello stesso atto da registrare.
Altri tributi prevedono invece una specifica dichiarazione che deve essere presentata dal contribuente
talvolta una tantum altre volte in occasione di una singola operazione, altre volte, infine, periodicamente ad
esempio ai fini delle imposte sui redditi dell'Irap e dell'Iva.

Esistono altresì delle ipotesi in cui l'obbligo di presentazione della dichiarazione è posta in capo a soggetti
che non sono contribuenti: così, il sostituto d'imposta deve presentare ogni anno dichiarazione in cui è tenuto
ad elencare tutti soggetti nei cui confronti operato quale sostituto, l'ammontare dei redditi corrisposti, la
ritenuta operata per versamenti effettuati.
A tal proposito, la dichiarazione, oltre a riportare gli estremi identificativi del contribuente e odi chi ne ha la
rappresentanza contiene di norma l'indicazione degli elementi attivi e passivi necessari secondo le norme
concernenti le singole imposte, Alla determinazione dell'imponibile dell'imposta.
La dichiarazione dei redditi contiene anche la liquidazione dell'imposta dovuta in base imponibile dichiarato
all'imponibile dichiarato: si tratta della cosiddetta autoliquidazione autotassazione.
La dichiarazione può altresì contenere dati e notizie non è immediatamente rilevanti per la determinazione
delle imposte, ma utili ai fini dell'attività di accertamento attraverso quello che viene comunemente definito
come monitoraggio fiscale.
.
È importante constatare come il legislatore tributario, in tempi recenti, al fine di semplificare gli
adempimenti e stimolare l’assolvimento degli obblighi tributari a favorire e favorire l'emersione spontanea di
basi imponibili, ha introdotto la cosiddetta dichiarazione precompilata.
Allora, la dichiarazione può contenere dati o notizie non immediatamente rilevanti per la determinazione
delle imposte ma utili ai fini dell'attività di accertamento aperta parentesi ad esempio l'obbligo di indicazione
di trasferimenti di denaro dati per l'estero e delle consistenze patrimoniali.
Con la dichiarazione annuale Iva, Il contribuente riepiloga le liquidazioni periodiche e i versamenti effettuati.
In linea di principio, la dichiarazione deve essere presentata dai soggetti titolari di redditi imponibili, Anche
se talvolta il legislatore ha previsto dei casi in cui è dovuta anche in assenza di debito d'imposta e di redditi:
infatti la dichiarazione deve essere presentata anche se non vi consegua alcun debito di imposta e anche se
non c'è stato prodotto alcun reddito.

La dichiarazione costituisce l'oggetto della successiva attività di controllo dell'amministrazione finanziaria,


anche se nella normalità dei casi la dichiarazione esaurisce la fattispecie dell'accertamento, Non essendo
seguita donato di rettifica dell’amministrazione.
La dichiarazione dei redditi trovava la sua collocazione originaria del d.p.r. 600/1973; successivamente, con
il d.p.r. 322/1998, che ha delegificato la materia, contenente la disciplina della dichiarazione IVA, Irap e dei

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 42


sostituti d’imposta nonché le modalità dichiarative nelle ipotesi in cui si verifichino eventi straordinari
(liquidazione, fallimento, fusione, scissione).

Le dichiarazioni devono essere redatte appena di nullità su stampati conformi ai modelli approvati con
provvedimento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale E devono essere presentate obbligatoriamente in via
telematica.
In particolare è stato introdotto nel nostro ordinamento nelle 1998 la cosiddetta dichiarazione telematica
ovvero l'obbligo da parte dei soggetti di presentare le dichiarazioni dei redditi non più raccomandata
attraverso una procedura di carattere informatico all'agenzia delle entrate.

La presentazione va effettuata entro il 30 settembre dell'anno successivo a quello cui i redditi si riferiscono.
La dichiarazione “rettificativa”, intesa come ulteriore dichiarazione presentata entro il termine per la
presentazione della dichiarazione originaria, consente al contribuente di esercitare tutte le facoltà previste in
sede di dichiarazione e non dà luogo ad alcuna sanzione amministrativa.
La presentazione della dichiarazione in via telematica costituisce ormai la modalità esclusiva di trasmissione.
Se la dichiarazione è inviata a mezzo posta essa si considera presentata nel giorno in cui è consegnata dal
contribuente all'ufficio postale che rilascia apposita ricevuta costituente prova della presentazione; in questo
caso va presentata dal 1 maggio al 30 giugno dell'anno successivo a quello cui i redditi si riferiscono.
Si considera valida la dichiarazione presentata entro 90 giorni dalla scadenza, salva l'applicazione delle
sanzioni.
La dichiarazione presentata oltre i 90 giorni si considera invece ho messa ma costituisce in ogni caso titolo
per la riscossione delle imposte da essa risultanti.
La dichiarazione deve essere sottoscritta dal contribuente appena di nullità.

Natura giuridica, effetti e rettificabilità.


Originariamente si riteneva che la dichiarazione fosse assimilabile ad una confessione stragiudiziale, sul
presupposto secondo cui con essa il contribuente rappresenta fatti passi sfavorevoli e favorevoli
all’amministrazione. Si è però osservato che siccome la dichiarazione è un atto dovuto manca dell'animus
confidenti. Inoltre essa è obbligatoriamente richiesta anche solo per attestare la sussistenza di condizioni
negative di tassazione.
Dottrina e giurisprudenza sono adesso orientate nel ritenere che la dichiarazione sia una dichiarazione di
scienza, cioè l'atto con il quale il contribuente deve affermare ciò che gli conosce rispetto ad una determinata
situazione fiscalmente rilevante.
Gli effetti della dichiarazione discendono solo della legge e non dalla volontà delle dichiarante, che non
rileva come tale. Essa pertanto natura volontaria e nonna negoziale.
Il contribuente non fa che partecipare al fisco il verificarsi E l'entità della presupposto di fatto del tributo, che
formerà eventualmente oggetto di controllo.
In realtà, la dichiarazione non può essere ricondotta ad una mera dichiarazione di scienza ma è configurabile
come un atto composito che può contenere in se dichiarazioni di scienza, valutazione di fatto e di diritto da
intendersi quali meri atti giuridici e delle vere proprie manifestazioni di volontà connesse alle opzioni.

L’ art. 2 legge n. 16/2012 contiene la possibilità di sanare la mancata comunicazione preventiva per la
fruizione di benefici di natura fiscale o l’accesso a regimi fiscali opzionali, in presenza dei seguenti requisiti:
a) la violazione non sia già stata oggetto di constatazione o di attività di accertamento.
b) il contribuente abbia i requisiti sostanziali previsti dalle norme di riferimento.
c) Comunicazione o adempimento effettuati entro il termine di presentazione della prima dichiarazione
utile.
d) versamento contestuale della sanzione di 258 euro.

Si tratta di una particolare forma di ravvedimento operoso, finalizzato ad evitare che mere dimenticanze
relative a comunicazioni o, in generale, ad adempimenti formali non eseguiti tempestivamente precludano al
contribuente, la possibilità di fruire di benefici fiscali o di regimi opzionali.
Può accadere che la dichiarazione sia errata, a danno del fisco quando danno del contribuente. Scaduto il

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 43


termine per presentare la dichiarazione, l'atto presentato non è sostituibile, ma il contribuente può porre
rimedio alle violazioni commesse presentando una nuova dichiarazione, detta dichiarazione integrativa che
sani formali orecchi un aumento dell'imponibile o dell'imposta, o la riduzione della perdita dichiarata.
Gli obblighi relativi alla dichiarazione sono presidiati da sanzioni amministrative e penali. Ai fini
dell'esenzione amministrative la dichiarazione può essere omessa, nulla, incompleta e infedele.
Si parla di omissione non solo quando la dichiarazione non è stata presentata affatto ma anche quando è stata
presentata oltre i 90 giorni dalla scadenza.
La legge qualifica come nulla, invece, la dichiarazione non redatta su stampati conformi a quelli ministeriali
e quella non sottoscritta, Oppure non sottoscritta da persona legittimata. Da una punta di vista
dell'accertamento, la dichiarazione nulla è equiparata a quella commessa.
La dichiarazione è infedele, invece, quando un reddito netto non è indicato nel suo esatto ammontare. È
incompleta quando è omessa l'indicazione di una fonte reddituale.

3.La liquidazione e il controllo formale della dichiarazione.

La fase successiva alla dichiarazione dei redditi, in relazione all’esigenza di un controllo immediato delle
dichiarazioni è stata risolta con l’introduzione della liquidazione e il controllo formale delle dichiarazioni.
con il d.p.r. 600/1973.
La liquidazione non è quindi finalizzata alla rettifica del reddito, bensì alla sola verifica dell’esattezza
numerica dei dati dichiarati. Se risulta che l’importo da versare in base alla stessa dichiarazione è inferiore a
quello autoliquidato dal contribuente e versato, non viene emesso un avviso di accertamento, ma si procede
direttamente alla riscossione della somma non versati.

Sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in
possesso dell’anagrafe tributaria, l’ufficio, entro il termine ordinatorio di inizio del periodo di presentazione
delle dichiarazioni relative all’anno successivo, provvede a:

a) correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione degli
imponibili, delle imposte, dei contributi e dei premi;
b) correggere gli errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto delle eccedenze delle imposte, dei
contributi e dei premi risultanti dalle precedenti dichiarazioni;
c) ridurre le detrazioni d’imposta
d) ridurre le deduzioni dal reddito

lezione può seguire il cosiddetto controllo formale delle dichiarazioni, A cui gli uffici dell'agenzia delle
entrate provvedono entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione. Il controllo
formale non è automatico ma è svolto in base a criteri selettivi fissati dal ministero. Il controllo formale si
differenzia quindi dalla liquidazione perché non riguarda solo la dichiarazione ma anche i documenti che
devono corredarla.
In esito al controllo formali, gli uffici dopo aver invitato il contribuente a produrre documenti o fornire
chiarimenti:
a) escludono lo scomputo delle ritenute d’acconto non documentate;
b) escludono le detrazioni d’imposta non spettanti, anche in base a documenti eventualmente richiesti;
c) determinare i crediti d’imposta spettanti in base ai dati risultanti dalle dichiarazioni e ai documenti
richiesti ai contribuenti;
d) liquidano la maggiore imposta e i maggiori contributi dovuti sull’ammontare complessivo dei redditi
risultanti da più dichiarazioni o certificati, presentati per lo stesso anno dal medesimo contribuente;
e) correggono gli errori materiali e di calcolo contenuti nelle dichiarazioni dei sostituti d’imposta.

L’esito del controllo formale (cosi come l’esito della liquidazione) è comunicato al contribuente alla sostituto
d'imposta con l'indicazione dei motivi che hanno dato luogo alla rettifica degli imponibili o di altri dati

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 44


dichiarati.
Abbiamo dunque un doppio esame della dichiarazione (liquidazione automatica e controllo formale),
ciascuno dei quali ha come esito una comunicazione al contribuente.
I controlli in esame si concludono con l’invio al contribuente di un c.d. “avviso bonario”.
Qualora a seguito dell’avviso il contribuente o il sostituto di imposta rilevi eventuali dati o elementi non
considerati nella liquidazione dei tributi, lo stesso può fornire i chiarimenti necessari all’Amministrazione
finanziaria entro i 30 giorni successivi al ricevimento dell’avviso.
Entro tale termine, il contribuente, potrà tuttavia anche procedere al pagamento e in tal caso avrà accesso alle
sanzioni in misura ridotta.
Qualora l’ufficio non condivida le prospettazioni del contribuente o in mancanza di pagamento, la somma è
iscritta a ruolo.
I termini dell’attività di liquidazione e di controllo formale sono di carattere ordinatorio. Ai fini temporali,
dovranno far riferimento, ai termini per la notifica della cartella di pagamento, rispettivamente nel terzo e
quarto anno successivi a quello di presentazione della dichiarazione.

CAPITOLO 13. L’ATTIVITÀ ISTRUTTORIA

Decorsi i termini di legge per adempiere agli obblighi direttivi, può prendere avvio la fase di controllo da
parte dell'amministrazione finanziaria.
Tale controllo concerne tutti gli adempimenti formali e strumentali connessi rispetto al verificarsi del
presupposto o anche adesso svincolati; inoltre talvolta si risolve in attività meramente conoscitive finalizzate
solo ad una migliore percezione di quella stessa realtà economica da sottoporre a controllo.
In sintesi l'attività istruttoria va ben oltre l'emissione degli avvisi di accertamento.
Possiamo pertanto affermare che l'attività istruttoria dell'amministrazione natura conoscitiva in senso lato, in
quanto finalizzata a fornire all'erario tutte le conoscenze per svolgere le proprie attività, su tutte la
determinazione del presupposto d'imposta previa acquisizione di tutti gli elementi rilevanti.

Caratteristiche:
1. l’atto finale risultante all’esito dell’esercizio di poteri istruttori non richiede necessariamente che si sia
esperito un previo contraddittorio con il contribuente, nella fase istruttoria non può dirsi ancora esistente
un principio generale del contraddittorio.
2. l’attività istruttoria finisce per incidere su una serie di posizioni soggettive e in particolare sulle libertà
individuali del privato.

Ai sensi dell’art. 37 d.p.r. 600/1973, la selezione delle dichiarazioni da sottoporre a controllo avviene sulla
base di liste selettive, attraverso cui si individuano possibili operazioni sospette o categorie di contribuenti.
Più precisamente, i destinatari dell’attività di accertamento sono individuati “sulla base di criteri selettivi
fissati annualmente dal Ministro delle Finanze”. Essi sono finalizzati a garantire l’efficienza, l’imparzialità e
l’obiettività dell’attività di controllo.

Soggetti titolari dei poteri istruttori sono l’Amministrazione finanziaria e Guardia di Finanza.
I poteri istruttori si distinguono, sulla base della diversa pervasività che li caratterizza, in due categorie:

1. il potere di richiedere al contribuente o a terzi informazioni (trasmissione di dati e notizie; esibizione di


atti e documenti; potere di “invitare” il contribuente a comparire, di persona o a mezzo di un proprio
rappresentante, per fornire informazioni o chiarimenti;).
2. il potere di verifica fiscale: attraverso accessi, ispezioni e verifiche.

Nel novero dei poteri istruttori accordati all'ufficio, una trattazione autonoma richiede il potere di indagini
finanziarie, per l’importanza crescente che sta assumendo nel contrasto all’evasione fiscale.
A tale riguardo, gli uffici (e la Gdf) possono richiedere:

a) agli organi e alle amministrazioni dello Stato alle società ed enti di assicurazioni, la comunicazione di

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 45


dati e notizie relativi a soggetti indicati singolarmente o per categorie;
b) il rilascio di una dichiarazione contenente l'indicazione della natura del numero e degli estremi
identificativi dei rapporti.
c) previa autorizzazione del direttore centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle entrate , dati, notizie e
documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata con i loro clienti, nonché alle
garanzie prestate da terzi o dagli operatori finanziari.

Le indagini possono consistere in:


- Controlli della contabilità;
- Controlli del magazzino;
- Controlli «incrociati» con la documentazione in possesso di altri soggetti;
- Controlli dei conti bancari;
- Accessi domiciliari (su autorizzazione del Procuratore della Repubblica).
In particolare le potenzialità delle indagini finanziarie sono state amplificate dal progressivo ampliamento
della cosiddetta anagrafe tributaria, con la creazione del cosiddetto archivio unico dei rapporti finanziari.

Strumento fondamentale alle indagini finanziarie, sono le c.d. “indagini bancarie”, le quali possono essere
svolte in via amministrativa sia dalla Agenzia delle Entrate sia dalla Guardia di Finanza. La Corte
Costituzionale ha precisato dunque, che il dovere di riservatezza, connesso con il segreto bancario, non può
essere di ostacolo all’accertamento degli illeciti tributari. Ciò nonostante, le indagini bancarie sono
comunque soggette a vincoli e limiti.

5.La verifica fiscale: accessi, ispezioni e verifiche.

Il principale “modulo ispettivo” adottato dall’Amministrazione finanziaria per accertare l’assolvimento degli
obblighi da parte del contribuente è costituito dalla verifica fiscale.
Si tratta di un’attività di carattere amministrativo ed autoritativo posta in essere dall’ Amm. e consta di
quattro fasi:
1) Accesso. Consiste nel potere di entrare e permanere nei locali di pertinenza dello stesso.
(Sedi di attività commerciale o agricola, enti non commerciali, studi professionali, locali promiscui e locali
diversi da quelli in cui si esercita l’attività).
2) Ricerca. È un’attività a carattere amministrativo alla quale gli uffici possono procedere previa
autorizzazione. È finalizzata all’acquisizione di elementi utili alla ricostruzione della posizione tributaria del
contribuente.
3) Ispezioni. Sono delle attività concernenti il controllo delle scritture contabili o altra documentazione
rilevante. Tale controllo è finalizzato a verificare la regolarità formale e sostanziale.
4) Verificazioni. Consistono nel riscontro tra gli elementi contabili e quelli di fatto
(es. possono essere oggetto di verifica la resa di una certa macchina o le rimanenze di un magazzino).

L’analisi della normativa di cui ai d.p.r. 600/1973 e 633/1972 deve essere completata con l’art. 12 dello
Statuto del contribuente, rubricato “diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”.
Il comma 1 prevede che l ‘accesso deve essere effettuato solo quando vi sia un’effettiva esigenza d’indagine
e controllo sul luogo.
Il comma 2 prevede invece il diritto del contribuente ad essere informato delle ragioni che abbiano
giustificato la verifica e l’oggetto che la riguarda.
Il comma 5 prevede poi che l'attività di verifica presso la sede della contribuente non si possa protrarre oltre i
30 giorni lavorativi, prorogabili di altri 30 giorni nei casi di particolare complessità individuati e motivati dal
dirigente dell’ufficio.
Ambedue i termini sono ridotti a 15 giorni nei casi in cui la verifica sia svolta presso la sede di imprese in
contabilità semplificata e lavoratori autonomi.
Il comma 4 prevede la redazione, al termine della verifica, di un processo verbale di constatazione
contenente l'esposizione analitica dei rilievi effettuati e l'individuazione delle sanzioni applicabili.
In quanto redatto da pubblici ufficiali esso costituisce atto pubblico e prova legale, per cui fa piena prova

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 46


fino a querela di falso. Per il resto, in particolare per le valutazioni giuridiche espresse dai verbalizzanti, si è
in presenza di mera espressione di giudizio non vincolante per l’ufficio né per il contribuente o per il giudice.
Il comma 7 prevede che il contribuente, nei 60 gg. successivi al rilascio della copia del processo verbale di
chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, può comunicare osservazioni e richieste che
devono esser oggetto di valutazione da parte degli uffici finanziari. L’art. 12 richiama il rispetto del principio
di collaborazione e di buona fede tra il contribuente e il Fisco.

I vizi dell’attività istruttoria e le conseguenze.


Come detto in precedenza, l’attività istruttoria potrebbe essere svolta con modalità non legittime.
Si distinguono diverse ipotesi, come ad esempio una sproporzionata o irragionevole compressione di un
diritto fondamentale del contribuente oppure ipotesi in cui ci si è avvalsi di un potere istruttorio non previsto
dalla legge.
Quali sono le conseguenze sull’atto finale emesso all’esito di un procedimento in cui si sono verificati dei
vizi dell’attività istruttoria?
Le soluzioni della dottrina oscillano tra l’invalidità derivata e quella della inutilizzabilità delle prove
illegittimamente acquisite.
Secondo la teoria dell’invalidità derivata i vizi dell’istruttoria darebbero luogo ad un vizio intrinseco dell’atto
impugnato.
Secondo invece la teoria dell’inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, i vizi dell’istruttoria
determinerebbero una carenza probatoria estrinseca dell’avviso di accertamento.
La dottrina è ormai univocamente orientata nel senso della inutilizzabilità e dunque nel ritenere che, ogni
qual volta un atto di accertamento sia in tutto o in parte fondato su prove illegittimamente acquisite, esso
dovrebbe ritenersi in tutto o in parte illegittimo per “infondatezza nel merito”. Si argomenta, a tal fine, anche
in virtù del rinvio l’art. 60, d.p.r. 600/1973 fa al codice penale ed al codice di procedura penale che dispone
l’inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite. (art. 191 c.p.p.).

CAPITOLO 14. I METODI DI ACCERTAMENTO

Con l'espressione metodi di accertamento si designano le modalità attraverso cui l'amministrazione


finanziaria è legittimata a ricostruire la base imponibile del tributo.

L’avviso di accertamento assume denominazioni diverse a seconda del metodo con cui viene determinato
l’imponibile.
L'articolo 38 d.p.r. 600/1973 disciplina i metodi di accertamento del reddito delle persone fisiche
distinguendo tra:
1. metodo analitico;
2. metodo analitico-induttivo
3. metodo sintetico-puro (c.d. spesometro)
4. metodo sintetico-redditometrico.

L’Articolo 39 disciplina invece i metodi di accertamento dei redditi determinati in base alle scritture
contabili, vale a dire dei soggetti esercenti attività di impresa e di lavoro autonomo, distinguendo tra:
1. metodo analitico o contabile,
2. metodo analitico-induttivo
3. metodo di accertamento c.d. induttivo o extra contabile.

I metodi di accertamento del reddito delle persone fisiche: il metodo analitico ed analitico-induttivo.
Oggetto dell’accertamento analitico sono i redditi appartenenti alle singole categorie reddituali, secondo
cui la rettifica deve essere fatta “con riferimento analitico ai redditi delle varie categorie di cui all’art.6”
L’accertamento analitico consiste nella rettifica di specifiche voci della dichiarazione e nel recupero a
tassazione di particolari elementi del reddito in base a prove documentali ovvero a presunzioni dotate dei

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 47


requisiti di gravità, precisione e concordanza stabiliti dall’art. 2727 c.c.
Ricostruisce l’imponibile delle persone fisiche considerandone le singole componenti. Più precisamente
l’accertamento analitico è effettuato quando sono note le fonti dei redditi e si perviene al reddito complessivo
sommando i redditi delle singole fonti.
Nell’accertamento analitico, l'amministrazione è a conoscenza della fonte di reddito.

Per procedere all'accertamento analitico, gli uffici dovranno muovere dalla verifica della certezza oggettiva
del presupposto e successivamente procedere alla determinazione della base imponibile il terzo comma
dell'articolo 38 comma 2 aggiunge che l'incompletezza, la falsità o l'inesattezza dei dati indicati nella
dichiarazione possono essere desunte dalla dichiarazione stessa dal confronto con le dichiarazioni relative ad
anni precedenti.

Si introduce poi, nell’accertamento analitico, un elemento di induzione: da qui la denominazione di “metodo


di accertamento analitico - induttivo”, che è consentito nei casi di violazioni particolarmente gravi (quali
l’omessa presentazione della dichiarazione annuale o la totale inaffidabilità delle scritture contabili) e che
può basarsi anche su presunzioni prive dei requisiti previsti dall’art. 2727 c.c. (cd. «presunzioni
supersemplici») (art. 39, comma 2, d.p.r. n. 600 del 1973) L’accertamento può essere integrato, nel caso in
cui emergano nuovi elementi che l’Ufficio non poteva conoscere al momento di emettere il primo atto
impositivo. L’accertamento può essere altresì annullato in via di autotutela, anche se si sia reso definitivo per
mancata impugnazione o per rigetto del ricorso proposto dal contribuente per motivi puramente processuali,
allorquando l’Ufficio impositore riconosca l’infondatezza della sua pretesa.

Segue: il metodo sintetico.


Oltre che con metodo analitico, il reddito complessivo delle persone fisiche può essere determinato con
metodo sintetico.
Il metodo sintetico si basa, dunque, sulla rilevazione del tenore di vita e della capacità di spesa del
contribuente (cd. «redditometro»).
Trattasi di accertamento presuntivo del reddito, che determina l’inversione degli oneri probatori ed impone al
contribuente di giustificare l’apparente discordanza tra il contenuto della propria dichiarazione e la sua
effettiva capacità economica (art. 38, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600).
Tale metodo prescinde dall’individuazione della fonte produttiva e della categoria reddituale e mira a
ricostruire il reddito complessivo netto, indipendentemente dalla fonte.
Tale accertamento è esperibile esclusivamente nei confronti di persone fisiche non titolari di reddito
d’impresa o di lavoro autonomo.
Tale ipotesi può verificarsi nel caso in cui l’Ufficio dimostri che, nel corso di un periodo di imposta, il
contribuente ha sostenuto una serie di spese correnti, anche presuntivamente quantificate, che si dimostrino
sensibilmente superiori all’ammontare del reddito complessivo netto analiticamente accertato.

L’art. 22 d.l. 78/2010 ha apportato significative modifiche all’istituto dell’accertamento sintetico, applicabili
a partire dagli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla
data della sua entrata in vigore.
Il comma 4 disciplina il c.d. “accertamento sintetico-puro” (o in senso stretto), non richiamando più il
contenuto induttivo di “elementi e circostanze di fatto certi”, bensì si riferisce, indistintamente alle spese di
qualsiasi genere sostenute nel periodo di imposta.
Il comma 5 dell’art. 38 disciplina invece l’accertamento c.d. “sintetico-redditometrico”.

Si distinguono quindi tre criteri di quantificazione del reddito sintetico.


1. Innanzitutto vi è il redditometro. La legge prevede che siano individuati dei fatti-indice e dei coefficenti
in base ai quali gli uffici possono determinare induttivamente il reddito globale. Gli indici si considerano
nella disponibilità della persona fisica che a qualsiasi titolo o anche di fatto utilizza o fa utilizzare i beni
o riceve o fa ricevere i servizi ovvero sopporta in tutto o in parte i relativi costi.
Applicando i coefficienti, l’ufficio determina sinteticamente il reddito complessivo del contribuente, a
condizione che il reddito così calcolato si discosti dal dichiararlo per almeno 1/4 e per almeno due periodi

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 48


d’imposta. Il redditometro è un regolamento e può essere annullato dal giudice amm. e il giudice tributario
può disapplicarlo.
La determinazione del reddito mediante il redditometro può essere adottata solo nel caso in cui il reddito
dichiarato no risulta congruo per almeno due periodi d’imposta.
Il contribuente può difendersi da un accertamento effettuato con redditometro con tutte le prove
opponibili agli accertamenti sintetici e può anche contestare la quantificazione del reddito eseguita con i
coefficienti redditometrici. Tale quantificazione è quindi una presunzione relativa, pertanto l’onere della
prova è invertito (grava sul contribuente l’onere della prova contraria).

2. L’accertamento sintetico può essere effettuato anche in base ad altri fatti tra cui la spesa per incrementi
patrimoniali. Quando l’esborso è elevato in rapporto ai redditi dichiarati dal contribuente nell’anno in cui
viene fatta la spesa e in quelli precedenti, è legittimo presumere che siano stati utilizzati redditi non
dichiarati.
3. Il redditometro si basa sull’assunto che in base a determinate spese si può presumere il reddito globale. La
prassi precedente muoveva dalla ricostruzione presuntiva della spesa globale per risalire da questa al reddito
globale.

CAPITOLO 15. L’AVVISO DI ACCERTAMENTO

L’avviso di accertamento si configura come l’atto finale attraverso il quale l’Amministrazione finanziaria
procede ad accertare le eventuali irregolarità emerse in sede di controllo c.d. “sostanziale”.
Il procedimento amministrativo di applicazione delle imposte sfocia dunque in un provvedimento impositivo
denominato “avviso di accertamento”.
Esso dunque, chiude la fase di controllo ed apre alla possibile fase contenziosa mediante l’impugnazione
dell’avviso stesso: tra le due fasi si collocano, tuttavia, gli strumenti c.d. “deflattivi” del contenzioso, che
vedremo successivamente.
Secondo la Corte costituzionale (313/1985), l’avviso di accertamento “deve intendersi come atto efficace nei
confronti del soggetto passivo di imposta, conclusivo di un procedimento o di un subprocedimento di
accertamento; di un procedimento, cioè, che accerta e dichiara la sussistenza, in tutto o in parte,
dell’obbligazione tributaria..”.
Si tratta comunque di un atto non necessario, che attiene alla fase patologica del rapporto di imposta e dal
quale gli uffici possono prescindere qualora il controllo sostanziale si concluda con la constatazione della
correttezza del comportamento del contribuente.
L’avviso di accertamento può avere contenuto “rettificativo” oppure “sostitutivo” dell’adempimento
spontaneo: nel primo caso, l’’accertamento (c.d. in rettifica) presuppone l’avvenuta alida presentazione di
una dichiarazione dei redditi da parte del contribuente; nel secondo caso, l’accertamento (c.d. d’ufficio)
presuppone, invece, l’omessa presentazione della dichiarazione da parte del contribuente o la presentazione
di una dichiarazione nulla.
La differenza sostanziale tra le due ipotesi consiste nel minor rigore probatorio richiesto nella seconda.

L’avviso di accertamento è un atto unilaterale di natura autoritativa e produttivo di effetti sul piano
sostanziale, indipendentemente dalla volontà delle parti.
Inoltre, costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, e quindi diventa definitiva, qualora non
venga impugnato entro 60 giorni dalla sua notificazione.

Nel diritto tributario, dove è assente una teoria generale delle invalidità, si è tradizionalmente ritenuto che
l’invalidità dell’atto tributario dovesse essere regolata secondo gli schemi del diritto amministrativo. Ai sensi
dell’art. 21-septies “è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è
viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché
negli altri casi espressamente previsti dalla legge”.
In questa prospettiva la nullità assorbe l’inesistenza e si configura come categoria eccezionale ricorrente in
ipotesi tassativamente indicate.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 49


Alla luce delle modifiche introdotte dall'articolo 29, D. L. 78/ 2010, riguardanti il contenuto dell'avviso di
accertamento si è previsto che questo debba contenere anche l'intimazione ad adempiere, entro il termine di
presentazione del ricorso (60 giorni dalla notifica), all'obbligo di pagamento dell'importi nello stesso indicati
ovvero, in caso di tempestiva impugnazione dell'atto, di un terzo delle imposte sugli imponibili accertati in
tema della ‘c.d. riscossione frazionata”.
Mediante tali modifiche è stata quindi eliminata la fase dell'iscrizione a ruolo, Per cui l'agente della
riscossione, sulla base dell'avviso di accertamento e senza la preventiva notifica della cartella di pagamento,
può ora direttamente procedere ad espropriazione forzata.
L'avviso di accertamento viene così accumulare una triplice natura e funzione:

1) atto impositivo
2) titolo esecutivo
3) precetto.

L’avviso di accertamento deve adesso contenere la “intimazione ad adempiere”. Di conseguenza, un avviso,


sprovvisto di intimazione, dovrebbe essere considerato valido ma incapace di consentire agli agenti della
riscossione di procedere ad esecuzione forzata.
Dal momento che il nuovo avviso di accertamento diviene immediatamente esecutivo decorsi 60 giorni dalla
sua notificazione, alla notifica dell'atto di accertamento viene quindi riconosciuta efficacia costitutiva.
La notificazione non si pone, quindi, come termine ultimo in corrispondenza del quale il titolo esecutivo
progressivamente si perfeziona, Ma quale circostanza idonea a far decorrere il termine di 60 giorni, In esito
al quale il titolo esecutivo potrà considerarsi formato.
L'agente della riscossione, una volta ricevuto l'avviso, procede ad espropriazione forzata, senza la preventiva
notifica della cartella di pagamento, con i poteri, le facoltà e le modalità previste dalle disposizioni che
disciplinano la riscossione.
L'espropriazione forzata, in ogni caso, è avviata, appena di decadenza, Entro il 31 dicembre del secondo
anno successivo a quello in cui l'accertamento divenuto definitivo.

Requisiti dell’avviso di accertamento.


Da un punto di vista contenutistico, l’avviso di accertamento si compone di requisiti formali e sostanziali.

Requisiti formali: competenza, sottoscrizione, pendenza del termine di accertamento, notificazione.


A. Tra gli elementi formali si include, innanzitutto, la competenza. L’atto deve essere emanato dall’ufficio
competente nei confronti del contribuente, individuato con riferimento al domicilio fiscale di
quest’ultimo alla data in cui è stata o sarebbe dovuta essere presentata la dichiarazione.
B. Ulteriore elemento necessario dell’avviso di accertamento è la sottoscrizione, cioè inteso come
riferibilita dell’atto ad una persona fisica, cui attribuirne la materiale paternità. In particolare, l’avviso
deve essere sottoscritto dal capo dell’ufficio, a pena di inesistenza della sottoscrizione e conseguente
nullità dell’atto impositivo.
C. Un terzo elemento di ordine “formale” riguarda la pendenza del termine di accertamento al momento
della notifica dell’avviso. Ai sensi del d.p.r. 600/1973 e del d.p.r. 633/1972 gli avvisi di accertamento
devono essere notificati, a pena di decadenza: 1) entro il 31/12 del quarto anno successivo a quello in cui
è stata presentata la dichiarazione. 2) nei casi di omessa dichiarazione o di dichiarazione nulla entro il
31/12 del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. 3) in
caso di accertamento basato sulla presunzione di cui all’art 12 d.l. 78/2009 i termini sono raddoppiati. 4)
in caso di violazione comportante denuncia penale (art. 331 c.p.p.)i termini precedenti sono raddoppiati
relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione.
D. L’ultimo requisito di carattere formale dell'avviso di accertamento riguarda la sua notificazione. Si tratta
di un atto di natura recettizia. In particolare non è soltanto il mezzo attraverso il quale l’atto è portato a
conoscenza del destinatario, ma costituisce la modalità mediante la quale esso viene a giuridica esistenza
e produce i propri effetti.

Requisiti sostanziali: dispositivo e motivazione.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 50


A. Il dispositivo varia secondo la struttura e la disciplina dei diversi tipi di imposte. In
materia di imposta su redditi il d.p.r. 600/1973 stabilisce che l'avviso di accertamento deve recare
l'indicazione dell'imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte
liquidate al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute d'acconto e dei crediti d'imposta. In
particolare la indicazione dell'aliquota deve essere fornita secondo il principio di precisione e chiarezza
delle indicazioni che è alla base del precetto di cui all'articolo 42 del suddetto d.p.r.
B. L’obbligo di motivazione trova applicazione ai sensi dell’art. 42 d.p.r 600/1973, secondo cui “l'avviso
di accertamento deve essere motivato in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo
hanno determinato e in relazione a quanto stabilito dalle disposizioni dei precedenti articoli”. Ai sensi
dell’art. 7 dello Statuto “ siamo odiati della amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto
prescritto dalla legge sul procedimento amministrativo”.
La motivazione consiste nell'iter logico-giuridico che sta alla base della di accertamento, ossia
nell'indicazione dei fatti contestati, delle norme che si ritengono violate e di quelle ritenute applicabili,
Delle argomentazioni giuridiche e, dell'enunciazione e valutazione delle prove.
La motivazione rappresenta quindi la garanzia per il contribuente di poter valutare la fondatezza della
pretesa dell'amministrazione finanziaria. essa completa altresì il trittico di garanzie che compongono il
principio della cosiddetto giusto procedimento (e più in generale, del principio di “buona
amministrazione”), enunciato dall’art. 41 della Carta europea dei diritti fondamentali. Il contenuto della
motivazione varia a seconda della natura dell’imposta, può essere “minimo” per gli atti relativi ad
imposte sui trasferimenti della ricchezza e può essere più “articolato” per gli accertamenti in materia di
imposte sui redditi. La motivazione sarà adeguata quando nell’atto sono stati indicati con precisione le
singole vicende o situazioni ed indicate le norme dalle quali dipende la diversa determinazione contenuta
nell’avviso di accertamento.
L’art. 42 precisa che, per quanto riguarda gli effetti della mancanza (o carenza) di motivazione, il
relativo effetto è la nullità dell’atto, anche se in realtà, si tratta di annullabilità.
Ci sono poi casi di “motivazione c.d. doppia o rafforzata”. L’art. 42 d.p.r. 600/1973, prevede infatti che
l’avviso di accertamento deve essere motivato “con la specifica indicazione dei fatti e delle circostanze
che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici”.

Il principio di unicità dell’accertamento, l’accertamento parziale e l’accertamento integrativo.

L’avviso di accertamento, in ossequio ai principi di economicità ed efficienza dell’azione amministrativa e


dell’interesse del contribuente a non sopportare eccessivi costi di difesa, dovrebbe avere ad oggetto l'intera
posizione del contribuente, evitando la frammentazione della pretesa tributaria in una pluralità di atti. Si
viene quindi a configurare il c.d. “principio di unicità dell’accertamento”, desunto dall'articolo 40. Si tratta di
un principio solo tendenziale, viste le numerose deroghe.

È opportuno distinguere poi tra l’accertamento parziale ed integrativo.


L’accertamento parziale prevede che l’ufficio possa limitarsi ad accertare il maggior reddito o la maggiore
imposta che ne risulta dalle:
1. attività istruttorie (accessi, ispezioni, verifiche e questionari;
2. segnalazioni effettuate dall’Amministrazione finanziaria, dalla Guardia di finanza o da altre pubbliche
amministrazioni
3. dati in possesso dell’anagrafe tributaria;
4. accertamenti basati sugli studi di settore.
(L’accertamento parziale si fonda quindi su segnalazioni provenienti dal centro informativo delle imposte
dirette, dalla GdF, da p.a, dall’anagrafe tributaria).

In base a tali segnalazioni l’ufficio può rettificare la dichiarazione accertando un reddito non dichiarato, il
maggior ammontare di un reddito parzialmente dichiarato e la non spettanza di deduzioni, esenzioni o
agevolazioni.
L’istituto dell’accertamento parziale svolge un ruolo significativo anche nel sistema dell’accertamento ai
fini IVA. Gli artt. 54-bis e ss. d.p.r. 633/1972 prevedono che qualora vi sia fondato pericolo per la
riscossione delle imposte, l’ufficio può procedere:

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 51


a) al controllo automatico della tempestiva effettuazione dei versamenti;
b) all’accertamento induttivo - extracontabile delle liquidazioni periodiche per la frazione di anno già
decorsa, indicando le ragioni del pericolo per la riscossione che giustificano l’anticipazione di tale tipo di
accertamento.
La caratteristica di tale forma di accertamento parziale è quella di essere effettuato prima della presentazione
della stessa dichiarazione IVA annuale, ovverosia di quell’atto che è di regola oggetto di accertamento. Di
conseguenza, l’accertamento parziale avrà ad oggetto non l’intero periodo d’imposta, ma solo una porzione
dello stesso. Tale parzialità si connota, quindi, per il fatto di riguardare solo una parte del periodo temporale
di riferimento.

L’avviso di accertamento integrativo invece, viene disciplinato dall’art. 43 d.p.r. 600/1973 e interviene
successivamente all’emanazione di un primo avviso di accertamento.
Si parla più esattamente di:
a) avviso di accertamento integrativo, se l’ufficio trova nuovi elementi che riguardino questioni non
considerate nel primo avviso.
b) avviso di accertamento modificativo, se l’ufficio rinviene nuovi elementi che riguardino questioni già
oggetto di un precedente avviso, mutandone tuttavia la qualificazione (ad es. reddito di impresa anziché
di lavoro autonomo) o la quantificazione (ad es. la percentuale di deducibilità diversa).
Tale accertamento, oltre a possedere i requisiti ex art. 42 d.p.r. 600/1973 dovrà, a pena di nullità, indicare
specificatamente i nuovi “elementi” dei quali l’ufficio è venuto a conoscenza, intendendosi come tali tutti
quei fatti o circostanze idonei a portare ad una contestazione a carico del contribuente.

CAPITOLO 16. L’AUTOTUTELA, GLI INTERPELLI E GLI STRUMENTI


DEFLATTIVI DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO

Dall'ultimo decennio del secolo scorso, il legislatore tributario, ha s's' avviato un percorso teso ad introdurre
nell'ordinamento una serie di istituti che si caratterizzano il fatto che il contribuente, trovandosi in una
situazione di lite potenziale con gli uffici, versa subito (parzialmente o integralmente) l'imposta oggetto di
contestazione, rinunciando al contenzioso ed accendendo per l'effetto ad una serie di vantaggi.
Si tratta degli istituti che costituiscono espressione dei nuovi modelli dell'azione amministrativa in materia
tributaria improntata sempre più all'ampliamento degli istituti partecipativi, alla valorizzazione delle
forme di collaborazione tra fisco e contribuente e a forme di esercizio consensuale del potere piuttosto che
a manifestazioni collaterali ed autoritative della potestà pubblica.
Ad oggi il quadro degli strumenti c. d. “deflattivi” del contenzioso risulta così composto:
1. accertamento con adesione
2. acquiescenza
3. reclamo e mediazione
4. conciliazione giudiziale
5. adesione al processo verbale di constatazione
6. adesione al contenuto dell'invito al contraddittorio
(5 e 6 per i soli atti notificati fino al 31/12/2015)

Tali strumenti non presuppongono necessariamente il coinvolgimento del contribuente nella fase
procedimentale o processuale.
Quest'ultimo si verifica soltanto per gli istituti “bilaterali” (accertamento con adesione, reclamo e
conciliazione giudiziale) e non per quelli “unilaterali”, rimessi alla volontà del contribuente (acquiescenza).
Il concerto di istituti deflattivi può essere esteso anche alle altre occasioni di contatto tra
l'Amministrazione finanziaria ed i contribuenti (interpello ed autotutela) in cui si rinvengono delle
finalità di prevenire o eliminare il contenzioso.

L’interpello
(È uno strumento il quale consente al contribuente di conoscere preventivamente l’opinione dell’Amm.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 52


finanziaria in ordine al regime fiscale per una determinata fattispecie, così da prevenire per quanto possibile
un futuro contenzioso).
È un procedimento attraverso il quale il contribuente chiede all'amministrazione di esprimere un parere sul
regime fiscale di un fatto, atto un negozio che intende porre in essere al fine di conoscere, a priori, il suo
parere ed evitare di subire, a posteriori, le conseguenze di eventuali errori. Tale parere può confluire in un
vero e proprio accordo tra amministrazione contribuente.
Il sistema tributario basato sull'adempimento spontaneo dei contribuenti, diviene indispensabile assegnare
all'amministrazione l'attività di consulenza giuridica, oltre a quella di controllo.
La prima può essere un'attività interpretativa di carattere generale (circolari) o di carattere particolare
(accordi,pareri e risoluzioni).
L’ interpello non è mai vincolante per il contribuente e si esplica in una pluralità di forme:
1. interpello ordinario
2. interpello preventivo antielusivo
3. interpello per la disapplicazione di norme antielusive
4. interpello internazionale o ruling di standard internazionale

ad essi si aggiungono:

5. I casi speciali in cui il legislatore ha previsto la procedura dell'interpello ordinario ai fini della
valutazione da parte dell'agenzia cerca ricorrenza dei presupposti per l'applicazione di specifiche
disposizioni tributarie anche di tipo agevolativo, oppure per la disapplicazione di talune disposizioni
tributarie volte a prevenire comportamenti lesivi.
6. la generale attività di consulenza giuridica.

A) All’interpello ordinario il contribuente può ricorrere al fine di ottenere il parere dell'amministrazione


in ordine all'interpretazione di una qualsiasi norma tributaria obiettivamente incerta rispetto al caso
concreto il personale lui riferibile. In sede di presentazione dell'interpello, il contribuente ha l'onere
di indicare nell'istanza tutti gli elementi rilevanti ai fini della circostanziale e puntuale definizione
della fattispecie di interesse. L'istanza deve essere preventiva (deve essere presentata prima del
contribuente. Benessere comportamento oggetto dell'istanza ovvero prima che sia dall'attuazione a
norma oggetto della richiesta di chiarimenti). Pertanto il contribuente deve presentare istanza
prima la scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi. L’ istanza deve
essere presentata in presenza di condizioni di obiettiva incertezza sulla normativa applicabile. Tale
situazione non si verifica qualora sulle norme invocate siano già stati forniti chiarimenti
dall'amministrazione finanziaria oppure sia stata fornita la soluzione interpretativa a casi analoghi.
La risposta da parte l'amministrazione deve essere resa nel termine di 120 gg dalla presentazione
dell'istanza; In caso di silenzio sull'istanza si forma l'assenso sulla soluzione interpretativa
prospettata dal contribuente. La risposta dell'ufficio finanziario ha efficacia esclusivamente nei
confronti del contribuente istante limitatamente al caso concreto. Il parere dell'Agenzia non
vincola il contribuente bensì soltanto gli uffici dell'amministrazione. Pertanto gli atti a contenuto
impositivo o sanzionatorio sono nulli. L’atto, quindi, non è impugnabile e si deve attendere l'avviso
di accertamento con il quale si contesta il comportamento del contribuente a sé favorevole in
contrasto con il parere espresso in sede di interpello.
Da ultimo, è previsto che qualora l'istanza di interpello Wanda formulata da un numero elevato di
contribuenti per una situazione analoga, l'amministrazione finanziaria può fornire risposta collettiva
mediante circolare.

B) L’ interpello preventivo antielusivo è rivolto ad ottenere un parere in ordine al carattere elusivo di


alcune operazioni, alla ricorrenza di ipotesi di interposizione ex art. 37 d.p.r. 600/1973 e alla corretta
classificazione di spese sostenute dal contribuente tra quelle di pubblicità, propaganda o di
rappresentanza. Sotto il profilo procedurale, decorsi 120 giorni dalla presentazione dell'istanza, Il
contribuente cui vi sia stata fornita risposta, può diffidare l'amministrazione; Decorsi ulteriori 60
giorni dalla diffida si forma il silenzio-assenso in relazione alla soluzione interpretativa prospettata
dal contribuente. Per quanto riguarda l’elusione è evidente come la descrizione del caso concreto sia

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 53


di fondamentale importanza fine della decisione, in quanto i parametri di giudizio applicabile non
possono che muovere da essa per apprezzare la validità economica delle ragioni sottostanti e la sua
elusività. Per quanto riguarda la qualificazione di determinate spese tra quelle di pubblicità e
propaganda ovvero tra quelle di rappresentanza non si verte nell'ipotesi di possibile qualificazione
del fatto. Si muove solo da una determinata spesa per vedere se questa si qualifica come di
rappresentanza ovvero di pubblicità e propaganda. L’istanza deve contenere l'esposizione dettagliata
del caso concreto nonché la soluzione interpretativa prospettata dal contribuente.

C) L’interpello per la disapplicazione delle norme antielusive consiste nella possibilità per il
contribuente di chiedere la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare
comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta o altre posizioni soggettive
altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario. Il contribuente in via preventiva può presentare
un’istanza attinente a fattispecie concrete, in relazione alle quali specifiche norme di legge limitano i
suoi comportamenti funzione antielusiva, dimostrando che in quella fattispecie gli effetti elusivi che
la norma intendeva precludere non si verificano. L’istanza è rivolta al Direttore regionale delle
entrate competente per territorio ed è spedita all’ufficio finanziario competente in ragione del
domicilio fiscale del contribuente. Questo trasmette al D.r.. l’istanza, assieme al proprio parere, entro
30 giorni dalla ricezione della medesima. Le determinazioni del D.r vanno comunicate al
contribuente con un provvedimento definitivo, entro 90 giorni dalla presentazione dell’istanza.
Se la risposta è positiva, nulla viene detto riguardo l’efficacia vincolante del parere
dell’Amministrazione. Se, invece, è negativa l’Agenzia delle entrate non può opporre alcun diniego,
una volta appurato che l’operazione non ha natura elusiva. Il contribuente può quindi
“autodisapplicare” la norma antielusiva nonostante il parere negativo dell’Amministrazione,
impugnando il successivo atto di accertamento o diniego di rimborso e chiedendo al giudice di
accertare la natura non elusiva dell’operazione compiuta.

D) L'interpello internazionale è un istituto teso realizzare un ulteriore forma di collaborazione tra


amministrazione finanziaria e contribuenti. Vi possono accedere le imprese con attività
internazionale sia residenti che non residenti nel territorio dello Stato. Riguardo le seconde, sono
abilitate all’international ruling solo quelle che hanno una stabile organizzazione nel territorio dello
Stato.

Oggetto di interpello possono essere:


a) La determinazione del valore normale delle operazioni infragruppo;
b) Il trattamento fiscale di dividenti interessi o royalties in entrata ed uscita dal territorio dello Stato;
c) La valutazione preventiva della sussistenza almeno dei requisiti configura una stabile organizzazione nel
territorio dello Stato da parte dell'impresa non residente;
d) Il trattamento fiscale di altri componenti reddituali in entrata o in uscita dal territorio;
e) La sussistenza almeno di una stabile organizzazione e l'attribuzione ad essa di utili o perdite.

La procedura si avvia con una istanza del contribuente. Il soggetto interessato deve sempre prospettare il
terzo incontro verso, illustrando la soluzione che intende adottare sul piano applicativo della normativa di
riferimento prescelta. Segue una fase in contraddittorio dell'esito finale consiste nella seconda dell'accordo
del competente ufficio dell'agenzia delle entrate il contribuente; vincolante per il periodo di imposta nel
corso del quale esso è stipulato e per i quattro beni d'imposta successivi.

E) Consulenza giuridica: per consulenza giuridica si intende l'attività interpretativa finalizzata


all'individuazione del corretto trattamento fiscale di fattispecie riferita problematiche di carattere
generale prospettate:

A) dagli uffici dell'amministrazione finanziaria, inclusa Equitalia


B) Dalle associazioni sindacali e di categoria e dagli ordini professionali
C) da amministrazioni dello Stato, da enti pubblici, nonché da altri enti istituzionali operanti con finalità di
interesse pubblico

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 54


La consulenza giuridica ha dunque rilevanza sia interna (contribuisce a creare il patrimonio interpretativo
dell'amministrazione finanziaria) sia esterna spazio (costituisce uno strumento di supporto a disposizione del
contribuente).
A differenza dell'interpello la questione rappresentata non è immediatamente riferibile ad uno specifico
contribuente, ma a varie categorie.
Come l'interpello, i pareri resi in sede di consulenza giuridica esterna non vincolano il contribuente.

3.Il ravvedimento operoso.

Attraverso di esso il contribuente, correggendo gli errori entro appositi termini, può ottenere una riduzione
delle sanzioni.
Il campo di applicazione di tale seduto è stato ampliato dalla L. 190/2014 che intende favorire nuove forme
di comunicazione collaborazione tra contribuente Agenzia delle entrate. Quest'ultima può rendere
disponibile al contribuente di elementi di informazioni di cui è in possesso, riferibili lo stesso contribuente,
affinché possa valutare con attenzione la propria posizione.
Oggi per i tribuni amministrati dall'agenzia delle entrate non opera più la preclusione, solo la notifica
dell'avviso di liquidazione o di accertamento impedisce il ravvedimento operoso.
L'essersi avvalsi del ravvedimento operoso non preclude in ogni caso l'inizio ho la prosecuzione di accessi,
ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di controllo accertamento.
Il pagamento della sanzione ridotta, deve essere eseguito contestualmente al pagamento del tributo e al
pagamento degli interessi moratori calcolati al tasso legale con maturazione giorno per giorno.
Il legislatore ha inoltre modificato i termini della notifica delle cartelle e per gli accertamenti in caso di
presentazione di dichiarazione integrativa, che quindi decorrono dalla data della presentazione della
dichiarazione stessa.

4. L’autotutela.

Essa è espressione di quella capacità di "farsi giustizia da sé" che ordinamento conferisce ad ogni P. A. In
vista dell'esigenza di assicurare il più efficace perseguimento dell'interesse pubblico the, attribuendone la
possibilità di esaminare la propria attività senza l'intervento dell'autorità giudiziaria.
È un'attività formalmente amministrativa che può provenire dallo stesso ufficio autore dell'atto soggetto
riesame (autotutela immediata), oppure da un organo che appartiene alla stessa organizzazione dell'ufficio
autore dell’atto (autotutela mediata).
L'ufficio che ha emanato l'atto illegittimo o che è competente per gli accertamenti in ufficio ovvero, in caso
di grave inerzia, la Direzione regionale dalla quale l'ufficio dipende, hanno il potere dove-dovere di porre in
essere provvedimenti di autotutela, mediante l'annullamento o la revoca di atti riconosciuti illegittimi o
infondate, fatta eccezione per il caso in cui il provvedimento di accertamento di rilievo di rimborso sia
coperto da giudicato “sostanziale" favorevole all’amministrazione.
Una siffatta disciplina ad hoc si è resa necessaria per superare il principio dell'indisponibilità dei crediti
tributari la responsabilità dei funzionari per danno erariale.
Il ritiro del precedente atto non si è limitata alla fattispecie del c.d. controatto avente identica struttura
dell’atto precedente ma dispositivo di segno contrario, ma può coinvolgere anche la sua riforma, In cui non
se ne del contenuto dell'atto precedente ma lo si sostituisce con un diverso
(c. d. autotutela sostitutiva).
È altresì attribuito all'ufficio il potere di concedere la sospensione amministrativa dell'atto, anche in caso di
pendenza di ricorso giurisdizionale. Strano, quindi, i giudici tributari a decidere sulla validità dell'atto, senza
che la posizione del contribuente sia pregiudicata sul piano della riscossione. Se l'esercizio del potere-dovere
di autotutela risulta favorevole al contribuente e questi abbia già provveduto al pagamento delle imposte,
l’amministrazione sarà tenuta ai conseguenti obblighi di restituzione.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 55


Ipotesi di annullamento d'ufficio:
a) errore di persona
b) evidente errore logico o di calcolo
c) errore sul presupposto dell’imposta
d) doppia imposizione
e) mancata considerazione di pagamenti di imposta seguiti
f) mancanza di documentazione successivamente sanata
g) sussistenza di dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati
h) errore materiale del contribuente

Alla presenza di tali presupposti, l'ufficio procede all'annullamento anche se:


- l’atto è divenuto definitivo per avvenuto decorso dei termini per ricorrere
- il ricorso è stato presentato ma respinto con sentenza passata in giudicato per motivi di ordine formale
- vi è pendenza di giudizio
- non è stata prodotta in tal senso alcuna istanza da parte del contribuente

L’unico limite all’autotutela è l’emanazione di una sentenza passata in giudicato per motivi di ordine
sostanziale.
L’annullamento di un atto in vi di autotutela può essere attivato anche in mancanza dell’istanza del
contribuente, e dunque spontaneamente dall’ufficio anche in pendenza di giudizio o in caso di non
impugnabilità dell’atto. Lo Statuto del contribuente ha previsto che il Garante del contribuente possa attivare
le procedure di autotutela nei confronti di atti amministrativi di accertamento o di riscossione notificati al
contribuente

Natura del potere di autotutela e delle situazioni giuridiche soggettive (4 macrotesi):

1) Ritiene assenti quelle ulteriori esigenze di pubblico interesse in grado di giustificare l’annullamento
dell’atto, attribuendo al contribuente un interesse di mero fatto e negando l’autotutela in caso di
provvedimenti definitivi.
2) Riconosce i caratteri di discrezionalità e la titolarità di un interesse legittimo, ma solo di natura
procedimentale.
3) Riconosce nel potere di autotutela i caratteri della discrezionalità ma attribuisce una posizione di
interesse legittimo al contribuente, in modo che l’esercizio del potere di annullamento abbia luogo in
modo ragionevole e non arbitrario.
4) Ritiene il potere di autotutela si giustifichi con il solo riferimento al ripristino della legalità violata.

La natura degli istituti deflattivi del contenzioso tributario “in senso stretto”.
Gli istituti deflattivi del contenzioso tributario sono destinati ad operare nel caso in cui il contribuente,
trovandosi in una situazione di lite potenziale con gli uffici, rinuncia al contenzioso e versa l'imposta
determinata in contraddittorio con l'amministrazione, a fronte di una riduzione dell'entità delle sanzioni e di
altri vantaggi.
Tali istituti (in particolare l'accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale), vanno posti in relazione
con il dogma dell'indisponibilità dell'obbligazione tributaria.
Questo principio si fonda sulla constatazione secondo cui l'individuazione delle fattispecie impositive, dei
soggetti obbligati al pagamento del suo ammontare sono regolati da disposizioni imperative, quindi
vincolanti sia dello Stato sia privati.
Commenta venditore della costituzione l'esistenza di indisponibilità dell'obbligazione tributaria stato desunto
da più principi:
1) riserva di legge (art.23 Cost.)
2) capacità contributiva (art. 53 Cost.)
3) imparzialità nell’azione della P.A. (art.97 Cost.)

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 56


Manca dunque un potere dispositivo, consistente nella facoltà di rinuncia, riflessione, transazione,
compromissione della rapporto d'imposta, che si ricollega alla natura vincolata e non discrezionale della
funzione impositiva, operando una preclusione relativamente quei poteri dispositivi che implicano
valutazioni comparative di elementi sostanziali direttamente incidenti sul quantum il tributo stesso, attuando
se l'esercizio dell'azione in conformità ai criteri fissati dall'amministrazione e non, come deve essere,
esclusivamente dalla legge.
Si pone quindi un problema di qualificazione giuridica di quelli studi deflattivi del contenzioso che
consentono agli uffici della amministrazione finanziaria di tornare sulle proprie valutazioni per sostituirle
con altre.
Nel diritto amministrativo la partecipazione del cittadino ai procedimenti amministrativi e la possibilità di
stipulare accordi trova i propri riferimenti normativi nella L. 241/1990.
L'applicazione delle relative disposizioni è esclusa per i procedimenti tributari.
Per cui le alternative che si pongono con riguardo all'individuazione della natura giuridica degli istituti in
esame sono le seguenti:
1) atto unilaterale della P. A. con l'assunzione dell’adesione del contribuente quale condicio iuris per la sua
efficacia.
2) contratto di transazione
3) accordo bilaterale non avente natura contrattuale

La determinazione del debito fiscale cui si perviene con l'accertamento con adesione è risultato voluto dalla
legge di una valutazione critica è concorde di soggetti non pariordinati, volto superare lo stato di
incertezza della controversia in una disporre liberamente del debito d’imposta.
Lo scopo delle parti resta quello di individuare consensualmente, motivandola adeguatamente, una soluzione
del contrasto interpretativo che sia conforme a disposizione di legge applicabili nella specie.
Queste considerazioni possono essere estese alla conciliazione giudiziale.
La disciplina della conciliazione, però, sembra riconoscere margine di apprezzamento ben più ampi e dunque
anche accordi che si pongono in un’ottica transattiva.
Riguardo al ruolo attribuito al giudice avanti il quale si procede alla conciliazione, a questi è attribuito
esclusivamente il potere di verificare le condizioni per l'esperimento dell’adesione. Ha un ruolo meramente
esterno che si limita al vaglio della sussistenza delle condizioni per conciliare e non alla legittimità ed
opportunità del contenuto dell'accordo. Tale ruolo è stato, inoltre, considerato legittimo dalla Corte
costituzionale.
Effetti penali: riduzione delle pene fino ad un terzo e non si applicano le pene accessorie se i debiti tributari
relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti mediante pagamento.

L’accertamento con adesione.


La procedura di accertamento con adesione può avere inizio a seguito di un invito dell’ufficio o su istanza
del contribuente.
Nel caso in cui sia l’Ufficio ad avviarla, esso deve indicare i periodi di imposta suscettibili di accertamento,
il giorno e il luogo di comparizione, le maggiori imposte, ecc. ecc.
Nel caso in cui sia il contribuente interessato, può presentare una specifica istanza:
a) allorquando siano stati effettuati nei suoi confronti, accessi, ispezioni o verifiche. In questo caso può
presentarla in qualsiasi momento prima dell’emissione dell’avviso di acc.
b) successivamente alla notifica di accertamento: in tal caso occorre provvedere prima della scadenza del
termine d’impugnazione dell’avviso medesimo.

L’ufficio, entro 15 giorni dal ricevimento dell’istanza, formula al contribuente l'invito a comparire, Anche
telefonicamente o telematicamente.
Dalla giorno della presentazione dell'istanza sono sospesi per 90 giorni I termini per l'impugnazione.
Con la comparizione del contribuente nella data prefissata si avvia la fase di contraddittorio. Al termine dei
150 giorni dalla notifica dell'avviso di accertamento, non è stato sottoscritto l'atto di adesione, rimane
pienamente efficace l'atto iniziale.
Dalla data di sottoscrizione, il contribuente ha 20 giorni di tempo per effettuare il versamento della prima

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 57


unica rata, che costituisce il momento in cui l'adesione si perfeziona.
Il contenuto dell'accertamento con adesione è analogo a quello dell'avviso di accertamento: deve essere
motivato e deve contenere la liquidazione delle imposte e degli altri importi dovuti.
L’accertamento definito con adesione è definitivo: non è impugnabile da parte del contribuente e non è
integrabile o modificabile da parte dell’ufficio.

L’acquiescenza.
L’acquiescenza può essere definita come la rinuncia ad opporsi giudizialmente alla pretesa del Fisco e ad
avviare un procedimento di adesione da parte del contribuente.
Non vi sono limiti all’utilizzo di tale strumento, che è un atto unilaterale del contribuente che non prevede
istanze da presentare e si realizza con il semplice pagamento, entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di
accertamento, degli importi indicati nell’atto stesso.
In particolare, ove il contribuente rinunzi ad impugnare l’avviso di accertamento o di liquidazione e
provveda a pagare le somme dovute, le sanzioni sono ridotte a un terzo.
Le somme dovute, in caso di acquiescenza, possono essere versate anche ratealmente, senza garanzie.

Il reclamo e la mediazione.
Tra gli istituti deflattivi del contenzioso tributario occorre annoverare anche il “reclamo” e la “mediazione”.
È stato dunque previsto che, per gli atti emessi dall’Agenzia delle entrate e notificati a partire dal 1 aprile
2012, riguardanti controversie di valore non superiore a € 20.000, chi intende proporre ricorso è tenuto
preliminarmente, a pena di improcedibilità dello stesso, a presentare reclamo presso la Direzione provinciale
ovvero regionale competente per territorio.
Il reclamo è volto all’annullamento totale o parziale dell’atto o finalizzato al componimento della
controversia tramite mediazione. Esso dovrà avere i contenuti previsti dall’art. 18, d.lgs 546/1992 per il
ricorso ed essere notificato entro 60 giorni dal ricevimento dell’atto che si intende impugnare.
L’obbligo di presentazione del reclamo viene accompagnato dalla facoltà in capo al proponente di inserire
nello stesso una motivata proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell’ammontare della
pretesa.
Il reclamo/mediazione costituisce un rimedio amministrativo para-processuale che, a differenza degli altri
istituti deflattivi del contenzioso tributario, come l’autotutela e l’accertamento con adesione, ha carattere
generale e obbligatorio.

La conciliazione giudiziale.
La conciliazione giudiziale è un istituto deflattivo del contenzioso tributario, laddove ciascuna delle parti
del processo tributario può presentare idonea istanza e proporre all’altra la conciliazione totale o parziale
della controversia.
Quest’ultima può aver luogo solo davanti alla Commissione provinciale e non oltre la prima udienza, nella
quale il tentativo di conciliazione può essere esperito d’ufficio anche dalla Commissione.
Secondo un’interpretazione letterale della norma, sembra possono essere oggetto di conciliazione tutte le
questioni pendenti avanti al giudice tributario. Sebbene, tale conclusione sembra essere suffragata da una
sostanziale continuità tra l'istituto in esame e l'accertamento con adesione.
Dal punto di vista procedurale, si distinguono due ipotesi di conciliazione:

1) Conciliazione in udienza, che può verificarsi:


- quando una delle parti l’abbia proposta distanza della pubblica udienza;
- allorché sia proposta ad iniziativa della Commissione;
- qualora l’ufficio depositi, dopo la fissazione della data di trattazione, una proposta di conciliazione alla
quale l’altra parte abbia preventivamente aderito. Se la conciliazione ha luogo, viene redatto apposito
processo verbale nel quale sono indicate le imposte, le sanzioni e gli interessi.
2) Conciliazione fuori udienza, che si verifica quando l’ufficio depositi tale proposta di conciliazione
prima della fissazione della data di trattazione. In questo caso, il presidente della Commissione, se
ravvisa l’esistenza dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità, dichiara con decreto l’estinzione
del giudizio.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 58


CAPITOLO 17. LA RISCOSSIONE E IL RIMBORSO (di Alessio Persiani).

Con il termine “riscossione” si fa riferimento al complesso delle norme e degli istituti predisposti dal
legislatore al fine di consentire all’ente impositore di incassare le somme dovute a titolo di imposte, sanzioni
ed interessi dai contribuenti.

I modi di attuazione della riscossione sono disciplinati dalla legge e la loro determinazione è tassativa.
È possibile distinguere, quindi, la riscossione spontanea e la riscossione da inadempimento, a seconda che
la riscossione stessa consegua o meno ad un inadempimento del contribuente.
Nel contesto della riscossione da inadempimento, assume particolare rilevanza la riscossione coattiva, cioè
intesa come quel complesso di procedure dirette a portare ad esecuzione forzata l'obbligo di pagamento delle
somme dovute dal contribuente.
Tanto la riscossione spontanea, quanto la riscossione per inadempimento trovano la loro disciplina
fondamentale nel d.p.r. 602/1973; tessuto normativo profondamente novellato (modificato) con legge delega
337/1998.
A partire dall’Unità d’Italia e fino al 1998, soggetti chiamati a svolgere le funzioni della riscossione, erano
gli esattori privati, attraverso un sistema ritenuto in grado di assicurare un flusso costante e regolare di
entrate all’Amministrazione finanziaria.
Successivamente, con la suddetta riforma del 1998, agli esattori sono stati sostituiti i concessionari, quali
soggetti privati incaricati della gestione della riscossione dei tributi sulla base di una concessione
amministrativa rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze dietro svolgimento di un’apposita gara.
Tra i principi fondamentali, posti alla base dell’attività degli esattori prima e dei concessionari poi, si
configura il c.d. obbligo di non riscosso per riscosso, in base al quale il soggetto incaricato della riscossione
era tenuto a versare all’Amministrazione finanziaria le somme iscritte a ruolo alle prescritte decadenze anche
ove non le avesse ancora riscosse. Tuttavia si riconosceva al concessionario il diritto ad ottenere il rimborso
delle somme da quasi anticipate in forza dell’obbligo c.d. di discarico (non riscosso per riscosso).
Tale obbligo é stato abolito dal d. lgs. 46/1999, che ha introdotto varie ipotesi di c.d. discarico automatico,
consentendo così al concessionario di interrompere l’azione di riscossione per le quote di contributi ritenuti
inesigibili al ricorrere di determinate condizioni.
Da qui si é generata la crisi del sistema di riscossione, con la diminuzione dell’ammontare delle somme
riscosse dai concessionari rispetto a quello dei ruoli affidati in carico.
Così si é giunti, nel 2005, all’abolizione dei concessionari ed all’attribuzione delle funzioni dei riscossione
all’Agenzia delle entrate, che la esercita tramite Equitalia S.p.A. (51% Ag. entr., 49% INPS);
configurandosi un sistema di permanente dissociazione tra l’ente titolare del credito da riscuotere ed il
soggetto chiamato alla riscossione del credito in veste di agente della riscossione (Equitalia).
N.B. Con d.lgs. 193/2016 è stata prevista lo scioglimento delle società del Gruppo Equitalia, con la
cancellazione d’ufficio dal registro delle imprese a decorrere dal 1° luglio 2017. Al fine di garantire la
continuità e la funzionalità delle attività di riscossione, è istituito un ente pubblico economico denominato
“Agenzia delle Entrate-Riscossione” che subentra a titolo universale nei rapporti giuridici attivi e passivi
del Gruppo Equitalia ed assume la qualifica di agente della Riscossione.
A tale ente è data la possibilità di avvalersi delle banche dati e delle informazioni alle quali la legge
riconnette la possibilità di essere utilizzate ai fini dell’accertamento e della riscossione.

La riscossione spontanea.
Prendendo le mosse dalla riscossione spontanea riguardo le imposte sui redditi, sono previste tre modalità di
riscossione:
1) ritenuta diretta;
2) versamenti diretti;
3) iscrizione a ruolo.

Per IRAP e IVA, l’unica modalità di riscossione spontanea sono i versamenti diretti.
La ritenuta diretta consiste nell’obbligo, posto a carico delle amministrazioni dello Stato che
corrispondono determinate somme, di trattenere una parte e riversarla all’Amministrazione

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 59


finanziaria.
(Sotto il profilo oggettivo presenta caratteristiche simili alla ritenuta alla fonte, ma si differenzia da questa
sotto il profilo soggettivo).
Circa la natura giuridica della ritenuta diretta, essa è considerata come pura e semplice modalità di
riscossione dei tributi diretti.

Nei versamenti diretti è il contribuente ad essere chiamato direttamente alla liquidazione ed al


versamento del tributo.
È la principale modalità di riscossione spontanea prevista nel nostro ordinamento.
La disciplina dei versamenti diretti è stata sensibilmente modificata dal d. lgs. 241/1997, che ha previsto i
versamenti unitari delle imposte sui redditi, delle relative addizionali, delle ritenute, dell’IVA, delle imposte
sostitutive, dei contributi previdenziali ed assistenziali da effettuarsi mediante delega irrevocabile ad una
delle banche aderenti alla convenzione conclusa con il Ministero delle Finanze o con Poste italiane. Il
contribuente conferisce delega mediante apposito modello di pagamento (F24) alla banca o ufficio postale,
che rilasciano apposita quietanza.
La compensazione è una delle forme di pagamento delle somme dovute e si distingue in compensazione
verticale (consente di recuperar crediti sorti in periodi d’imposta precedenti e non necessita della
presentazione di particolari modelli) e compensazione orizzontale (consente al contribuente di compensare
debiti e crediti relativi a tributi diversi).
L’iscrizione a ruolo consiste nell’iscrizione in un elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato
dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo dell’agente della riscossione.
Essa è prevista per:
a) i casi di riscossione non derivanti da inadempimento
b) le somme il cui pagamento è stato ripartito in più rate su richiesta del debitore.
Il ruolo, quale atto riferito a una pluralità di soggetti, non è di regola notificato al contribuente, che è invece
destinatario della cartella di pagamento consistente nella parte del ruolo relativa al singolo contribuente.

La riscossione da inadempimento.
Passando alla riscossione da inadempimento, la principale modalità di riscossione per le imposte sui
redditi, l’IRAP e l’IVA è costituita dall’avviso di accertamento esecutivo.
Ad essa si affianca l’iscrizione a ruolo.
Quanto all’avviso di accertamento esecutivo, questo riunisce in un unico atto le funzioni di atto impositivo,
titolo esecutivo e precetto; funzioni queste che, in precedenza, erano svolte, rispettivamente, dall’avviso di
accertamento, dall’iscrizione a ruolo e dalla cartella di pagamento.

Da modalità principale di riscossione dei tributi nel sistema tributario previgente alla riforma degli anni
Settanta, l’iscrizione a ruolo ha ormai assunto carattere residuale anche nel contesto della riscossione da
inadempimento, quantomeno con riferimento alle imposte sui redditi, all’IRAP ed all’IVA.
Nell’ambito delle impose sui redditi, dell’IRAP e dell’IVA, l’iscrizione a ruolo trova applicazione per la
riscossione delle:
a) maggiori imposte dovute a seguito di liquidazione o controllo formale della dichiarazione non versate
dal contribuente in base al c.d. “avviso bonario”.
b) sanzioni irrogate e non connesse con l’accertamento del tributo;
c) somme dovute in base all’adesione al processo verbale di constatazione.

I ruoli si distinguono in ruoli ordinari e ruoli straordinari: nei ruoli straordinari sono iscritte le imposte, le
sanzioni e gli interessi dovuti per i quali sussiste fondato pericolo per la riscossione.
Nei ruoli provvisorie, invece, sono iscritte le sole imposte accertate in base ad accertamenti non definitivi.
Quanto al contenuto del ruolo, esso deve indicare il codice fiscale del contribuente, la specie ordinaria o
straordinaria del ruolo, la data in cui il ruolo è divenuto esecutivo e il riferimento all’eventuale precedente
atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria.

La notificazione della cartella di pagamento, deve avvenire entro i termini perentori stabiliti dall’art. 25

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 60


d.p.r. 602/1973.
Il pagamento delle somme iscritte a ruolo o risultanti dall’avviso di accertamento esecutivo può essere
effettuato presso gli sportelli dell’agente della riscossione, le agenzie postali e le banche.
Nel rispetto di determinate condizioni, è possibile provvedere al pagamento mediante cessione di beni
culturali, compensazione volontaria con crediti d’imposta e compensazione con crediti certi,liquidi ed
esigibili maturati nei confronti di regioni, enti locali ed enti del Servizio Sanitario nazionale.
Qualora il contribuente si trovi in una temporanea situazione di difficoltà, può richiedere la dilazione del
pagamento delle somme iscritte a ruolo.
Si possono ricondurre alle dilazioni di pagamento anche la sospensione della riscossione in caso di
situazioni eccezionali e la sospensione amministrativa della riscossione.

La riscossione coattiva.
Qualora il contribuente non provveda al versamento degli importi iscritti a ruolo ovvero affidati in carico
all’agente della riscossione in base ad avviso di accertamento esecutivo, l’agente provvede ad esecuzione
forzata. L'esecuzione forzata tributaria è sempre attuata per espropriazione.
L'agente della riscossione procede all’esecuzione forzata sulla base del titolo esecutivo rappresentato dal
ruolo o dall'avviso di accertamento esecutivo.
L'avvio dell'espropriazione forzata è sottoposto diversi limiti:
1) Limite quantitativo. Sotto il suo profilo non si procede ad accertamento, iscrizione a ruolo e riscossione
dei crediti relativi a tributi erariali regionali qualora il credito sia di ammontare non superiore a € 30 per
ciascun periodo d'imposta.
2) Limiti temporali. Nel caso di somme iscritte a ruolo l'espropriazione forzata è avviata trascorsi 60 giorni
dalla notificazione della cartella di pagamento, mentre in presenza di avviso di accertamento esecutivo
l'agente della riscossione intraprende le azioni esecutive decorso un periodo di 180 giorni dall'affidamento
in carico dell'avviso; periodo nel quale l'esecuzione forzata è sospesa.
Ai menzionati termini dilatori, si affianca un termine acceleratorio per l'avvio dell'espropriazione forzata,
applicabile limitatamente alle imposte sui redditi, all'IVA ed all’IRAP: L’espropriazione forzata deve essere
iniziata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’avviso di
accertamento esecutivo è divenuto definitivo.
Ove si trascorso più di un anno dalla notificazione della cartella di pagamento ovvero dell'avviso di
accertamento esecutivo, l'agente della riscossione deve far precedere l’avvio dell'espropriazione forzata dalla
notificazione dell'intimazione ad adempiere entro cinque giorni all'obbligo risultante dal ruolo o
dall’avviso di accertamento esecutivo.

Il rimborso: profili generali.


Il rimborso è quella posizione di credito del contribuente vanta nei confronti dell'amministrazione finanziaria
e che può originare dallo stesso meccanismo attuativo del prelievo tributario, ovvero da errori commessi
dal contribuente nella liquidazione nel versamento del tributo ovvero, ancora, da errori commessi dagli
stessi uffici dell’Amministrazione.
Le fattispecie di rimborso possono distinguersi in crediti di rimborso e crediti di restituzione.
I primi conseguono ad un pagamento indebito.
Nei secondi la fattispecie non origina dall'indebito, ma dall’operare di criteri teleologici di vario tipo che il
legislatore ritiene prevalenti rispetto alla logica strettamente impositiva e che originano la restituzione tributi
legalmente percetti (si pensi al contribuente che effettui versamenti in eccesso rispetto al presupposto del
tributo).
Cause del rimborso possono essere:

1) la carenza di legge (carenza ab origine della norma impositiva, mancata conversione di un d. l.,
abrogazione retroattiva della norma impositiva, ecc.)
2) i versamenti anticipati rispetto al verificarsi del presupposto d’imposta, che si rivelino di
ammontare eccedente rispetto all'imposta effettivamente dovuta.
3) l’errore del contribuente o dell’ufficio
4) l’illegittimità dell'atto impositivo, sia esso appartenente alla fase dell'accertamento o della riscossione.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 61


Il rimborso delle imposte sui redditi.
In via generale l'ordinamento pone a carico del soggetto titolare del diritto l’onere di proporre apposita
richiesta di rimborso entro un termine stabilito, generalmente a pena di decadenza, dalla disciplina dei
singoli tributi. Ove la disciplina non prevedeva nulla, soccorre il termine stabilito in via generale (due anni
decorrenti dal pagamento).
Riguardo i procedimenti di rimborso previsti ai fini delle imposte sui redditi, devono distinguersi i rimborsi
su istanza di parte dai rimborsi d’ufficio.
Le ipotesi di rimborso d'ufficio sono caratterizzate dall'inesistenza in capo al contribuente del nome di
presentazione dell'istanza entro il termine presidenziale. Pertanto tali ipotesi devono ritenersi tassative.
Riguardo il rimborso d'ufficio sono previste due ipotesi in relazione alla dichiarazione dei redditi:
La prima riguarda il rimborso dei versamenti effettuati dal contribuente, in misura superiore all'imposta
liquidata dall’ufficio.
La seconda riguarda il rimborso della differenza tra i crediti d'imposta o le ritenute versate e l’imposta
liquidata in base alla dichiarazione.
Quanto alla fase della riscossione, il rimborso d'ufficio è previsto nel caso di errori materiali o
duplicazioni dovuti all'ufficio delle somme iscritte a ruolo o risultanti da avvisi di accertamento
esecutivi.
Quanto ai rimborsi richiesti con la dichiarazione dei redditi, viene in rilievo anzitutto il caso in cui
l'ammontare degli acconti, delle ritenute e dei crediti d'imposta sia superiore a quello dell'imposta
netta preferita al reddito complessivo del contribuente. In questo caso, quest'ultimo ha diritto, di computare
l’eccedenza in diminuzione dell'imposta del periodo d'imposta successivo, ovvero di chiederne il rimborso
mediante la dichiarazione dei redditi.
Passando ai rimborsi richiesti con istanza, viene in rilievo la disciplina stabilita dagli artt. 37 e 38 d.p.r..
602/1973, relativa al rimborso di ritenute dirette ed al rimborso di versamenti diretti.
Un’ ultima ipotesi di rimborso riferita alle imposte sui redditi è quella di richiesta mediante
l’impugnazione dell’iscrizione a ruolo.

Il rimborso dell’IVA.
Nel contesto dell’IVA occorre distinguere il rimborso dell'imposta in senso proprio dal meccanismo della
c. d. procedura di variazione dell'imponibile dell'imposta.
Riguardo quest'ultima ipotesi, qualora un'operazione per cui sia stata emessa fattura venga meno in tutto in
parte o se ne riduca l'ammontare imponibile è consentito l'emissione di un'apposita nota di variazione in
diminuzione dell'imponibile dell'imposta. In tal caso il cedente o prestatore avrà diritto di recuperare la
maggiore IVA applicata sull'operazione portando il relativo ammontare in detrazione, mentre il cessionario
o committente avrà diritto alla restituzione dell'eccedenza di IVA applicata in rivalsa.
Riguardo il rimborso dell'imposta indebitamente versata, esso non trova un'apposita disciplina nel corpus
normativo dell'IVA e la giurisprudenza è orientata nel senso di ritenere applicabile la previsione del d. lgs.
546 /1992, ammettendo il rimborso entro il termine di due anni dal pagamento o, se posteriore, dal giorno in
cui si è verificato il presupposto per la restituzione.
Inoltre, occorre rilevare che il meccanismo applicativo del tributo e l'obbligo di versamento dello stesso a
scadenze periodiche annuali comportano di frequente l’emersione di un'eccedenza detraibile nella
dichiarazione annuale. Per questa ragione il legislatore consente al contribuente di attivare il rimborso di
tale eccedenza direttamente per mezzo della dichiarazione, permettendogli di optare, in alternativa al
rimborso, per il computo dell'eccedenza detraibile in detrazione nell'anno successivo ovvero per l'utilizzo in
compensazione.
Secondo la giurisprudenza prevalente il rimborso chiesto mediante la dichiarazione a soggetto solo
termine di prescrizione decennale e non anche quello di decadenza biennale.
Il creditore IVA quindi, in parole povere, ha una duplice possibilità: portare il credito all’esercizio oppure si
può chiedere il rimborso, ma tale rimborso si può chiedere solo in determinati casi, non sempre.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 62


CAPITOLO 18. LE SANZIONI TRIBUTARIE.
SEZ. 1) Le sanzioni amministrative.

Nel diritto tributario, non si può parlare di obbligo se a fronte dell’obbligo stesso non si prevede
l’applicabilità di una sanzione in caso di sua inosservanza.
La sanzione è un istituto che si presta a svolgere diverse funzioni: la funzione preventiva, quella punitiva e
quella risarcitoria. Attraverso la sanzione, il legislatore intende perseguire la funzione preventiva, e lo
dimostra il fatto che il contribuente che ha violato una norma tributaria e poi vi pone rimedio, beneficia di
una riduzione della sanzione.
Nelle sanzioni amministrative tributarie è ravvisabile anche una funzione punitiva, sanzione commisurata al
maggior tributo accertato, quindi maggiore è l’evasione, maggiore sarà il pregiudizio che subirà il
contribuente dal punto di vista sanzionatorio.
Non sembra invece che si possa parlare di funzione risarcitoria. Una volta che ad un contribuente viene
notificato un avviso di accertamento attraverso il quale si recupera il maggior tributo, la collettività sarà
risarcita attraverso il pagamento del tributo evaso e degli interessi moratori. La sanzione va oltre la funzione
risarcitoria.

2. Le sanzioni amministrative tributarie nella riforma del 1997.


Prima di una radicale riforma nel 1997, le sanzioni erano previste nella L. 4/1929. La riforma del 1997 è
stata attuata con 3 decreti legislativi, emanati in conseguenza di delega nell’art. 3, co. 133, L. 662/1996:
- D.lgs. 471/1997
- D.lgs. 472/1997
- D.lgs. 473/1997
Il primo dei citati decreti è di carattere particolare, in quanto contiene le norme sanzionatorie per specifiche
violazioni di norme su imposte dei redditi e all’IVA. Il terzo (473/97), ha norme riferite ad alcuni tributi
indiretti. Ma il decreto che interessa maggiormente è il d.lgs. 472/1997 con il quale si è data attuazione ai
principi cardine del sistema delle sanzioni amministrative nel diritto tributario.

3.I principi generali contenuti nel d.lgs. 472/1997


Il sistema sanzionatorio è modellato su quello penale, cambia la tipologia di misura punitiva irrogabile. Le
sanzioni amministrative non si traducono in detentive, ma solo in sanzioni pecuniarie ed eventualmente in
sanzioni accessorie a contenuto interdittivo.
Le sanzioni sono previste nell’art. 21 del predetto decreto. I più importanti principi generali sono:
- Il principio di legalità (art. 3, di chiara matrice penalistica), in base al quale solo una legge può
introdurre una norma sanzionatoria.
- La regola della irretroattività della norma sanzionatoria (sempre art. 3) che vieta di sanzionare il
soggetto per un dato comportamento in un momento antecedente all’entrata in vigore della sanzione.
- Principio del favor rei per il quale, se in un momento successivo a quello in cui è stato commesso il
fatto viene prevista una sanzione più tenue oppure viene meno la sanzione, il soggetto ne beneficia.
- Principio di imputabilità (art. 4) la sanzione può essere irrogata in quanto chi ha commesso il fatto
aveva la capacità di intendere e di volere
- Principio di colpevolezza (art. 5) in base al quale la violazione della norma tributaria deve dipendere,
per essere sanzionata, da un’azione od omissione, cosciente e volontaria, dolosa o colposa.
Nei casi di violazione di norma tributaria che comporti l’applicazione di sanzioni amministrative, opera una
presunzione di colpa in capo a chi abbia commesso la violazione. Sarà dunque onere di costui provare
eventualmente di aver agito senza colpa.

4.Cause di non punibilità.


L’art. 6, d.lgs. 472/1997 prevede quali cause di non punibilità l’errore incolpevole sul fatto, le obiettive
condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizione alle quali le violazioni
si riferiscono, il fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile a terzi, ignoranza inevitabile della
legge tributaria, la forza maggiore, la violazione che non arreca pregiudizio all’esercizio delle azioni di

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 63


controllo e non incide sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo.
La causa “obiettive condizioni di incertezza” è particolarmente rilevante in tale materia, a sua volta però la
norma deve essere interpretata per comprendere quale sia il suo ambito di applicazione. L’incertezza non
deve essere soggettiva, la norma violata deve essere oggettivamente difficile da interpretare. È comunque
l’amministrazione finanziaria ed eventualmente il giudice a dover stabilire volta per volta se sussista
effettivamente obiettiva incertezza.

5. Criteri di determinazione della sanzione.


L’art. 7, d.lgs. 472/1992, fa riferimento alla gravità della violazione, l’opera svolta per l’eliminazione o
attenuazione delle conseguenze, la sua personalità, le condizioni economiche e sociali.
La personalità del trasgressore deve essere desunta anche dai suoi precedenti fiscali. Ovviamente le sanzioni
amministrative trovano dei limiti quantitativi, in relazione al principio di legalità la legge disciplina l’an e il
quantum della sanzione. Le sanzioni amministrative sono determinate attraverso l’individuazione di un
minimo e un massimo che possono essere travalicati solo per espressa previsione normativa. È lo stesso art.
7 a stabilire i casi in cui la sanzione può essere aumentata fino alla metà (del limite massimo) e i casi in cui
può essere ridotta fino alla metà del limite massimo.

8.Procedimenti di irrogazione delle sanzioni.


L’art. 16 si riferisce all’ipotesi in cui l’ufficio in cui l’ufficio intenda procedere nei confronti del contribuente
irrogando soltanto le sanzioni (l’alternativa è agire per il recupero della maggiore imposta). L’ufficio, prima
di irrogare le sanzioni, deve previamente notificare un atto di contestazione delle sanzioni nel quale vengono
indicati i fatti attribuiti al trasgressore, gli elementi probatori, le norme applicate e i criteri che l’ufficio
ritiene di seguire per la determinazione delle sanzioni.
Il contribuente, di fronte all’atto di contestazioni delle sanzioni, ha 4 possibilità:
1) può pagare la sanzione in misura ridotta (evitando le sanzioni accessorie) entro il termine per la
proposizione del ricorso alla CTP.
2) Entro lo stesso termine, può produrre all’ufficio deduzioni difensive in cui illustrerà le ragioni per cui
ritiene non dovute le sanzioni.
3) Entro lo stesso termine, può proporre impugnazione dinanzi alla CTP considerandosi in questo caso
l’atto di contestazione delle sanzioni come un vero atto di irrogazione delle stesse.
4) Può evitare di porre in essere uno dei tre comportamenti sopra indicati; in questo caso la sanzione
dovuta per intero così come le eventuali sanzioni accessorie.
L’ufficio potrà: a) condividere le deduzioni difensive del contribuente e rinunciare all’irrogazione della
sanzione; b) non condividere in tutto o in parte le deduzioni difensive. In questo caso dovrà notificare entro
un anno dalle deduzioni l’atto di irrogazione delle sanzioni, che dovrà essere motivato a pena di nullità.
Vi è poi il procedimento ex art. 17, d.lgs. 472/1997 che si riferisce all’ipotesi dell’atto con cui l’ufficio oltre
ad irrogare le sanzioni, recuperi a tassazione anche il maggior tributo. Non potendo presentare deduzioni
difensive il contribuente potrà: 1) pagare un terzo della sanzione 2) impugnazione immediata 3) non pagare e
non impugnare, l’atto diviene definitivo ed il contribuente sarà poi tenuto a pagare la sanzione per intero.

9.Le sanzioni amministrative nelle fonti sovraordinate.


Al sistema delle sanzioni amministrative sono riferibili anche norme costituzionali o norme dell’ordinamento
comunitario?
Nessun dubbio sussiste circa l’applicabilità, anche alle sanzioni amministrative, dell’art. 23 Cost. il quale
introduce un principio di riserva di legge relativa per le “prestazioni patrimoniali imposte” All’interno di tale
categoria vanno ricondotte anche le sanzioni amministrative.
Per quanto attiene all’ordinamento dell’Unione Europea, in tale ambito sono disciplinati ad esempio taluni
tributi tramite lo strumento della direttiva (c.d. tributi armonizzati). In tale disciplina, le regole sulle sanzioni
sono rimesse all’iniziativa dei legislatori nazionali. Vi sono però principi propri dell’ordinamento dell’UE
che sono applicabili anche alle sanzioni (ad es. principio di proporzionalità).

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 64


SEZ. 2) Le sanzioni penali.

10.Premessa: il diritto tributario e il d.lgs. 74/2000.


Vi sono delle fattispecie che, in ragione della loro gravità, vengono sanzionate penalmente. È il legislatore
che compie la scelta circa il tipo di sanzione da irrogare a fronte di un dato comportamento. L’interprete per
stabilire se ci si trova di fronte ad illeciti penale, deve guardare alla sanzione. Si tratta di un illecito penale
quando la pena è una di quelle previste dall’art. 17 c.p.: arresto, ammenda, reclusione e multa (gli ultimi due
identificano i delitti).
Mentre per le sanzioni amministrative dovranno giudicare le Commissione Tributarie, per le sanzioni penale
è competente il giudice penale. Con il d.lgs. 74/2000 si è inteso disciplinare tale ipotesi e, a tal proposito, si è
scelto di sancire l’indipendenza tra i due processi. Attualmente né il processo tributario, né quello penale si
sospendono in attesa che uno dei due giudici decida.
Prima del d.lgs. 74/2000, la repressione dei reati tributari era affidata al d.l. 429/1982 (conv. dalla 516/1982)
il quale si fondava sul modello dei “reati prodromici”. La l. 516/1982 colpiva infatti indipendentemente da
un’effettiva lesione degli interessi dell’erario, comportamenti ritenuti astrattamente idonei a “preparare il
terreno” ad una successiva evasione. Tale approccio ha prodotto il proliferare dei procedimenti per reati
tributari, gran parte dei quali di scarsa rilevanza per il Fisco.
Il d.lgs. 74/2000 tende a limitare la repressione penale ai soli fatti direttamente correlati, tanto sul versante
oggettivo che su quello soggettivo, alla lesione degli interessi fiscali.
La pena prevista per i reati contemplati dal d.lgs. 74/2000 è sempre quella della reclusione.

N.B. il d.lgs. 74/2000 è stato riformato dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 con cui il governo ha
esercitato la delega conferitagli con l'art. 8 co. 1 della legge 11 marzo 2014, n. 23, le cui disposizioni si
applicano a partire dal 1 gennaio 2017.

L’art. 15 prevede che le violazioni di norme tributarie dipendenti da obiettive condizioni d’incertezza sulla
loro portata e sul loro ambito di applicazione non danno luogo a fatti punibili.
Il d.lgs. 158/2015 invece ha modificato l’art. 13 introduce come causa di non punibilità una nuova ipotesi:
l’estinzione del debito tributario mediante l’integrale pagamento, o di procedure conciliative, nonché del
ravvedimento operoso. Questo vale limitatamente A) ai reati di cui all’art. 10-bis 10-ter e 10-quater, co. 1, se
il pagamento avviene prima del dibattimento di primo grado B) per i reati di cui agli artt. 4 e 5, se il
ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione omessa intervengano prima che l'autore del
reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività
di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

11.Delitti in materia di dichiarazione.


Una prima tipologia di reati (contenuta negli artt. 2-7 d.lgs. 74/2000) è rappresentata da quelli in materia di
dichiarazione. È sempre necessaria la presenza del dolo specifico dovendo la condotta essere finalizzata
all’evasione delle imposte.
- L’art. 2 contempla la fattispecie della “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o di altri
documenti per operazioni inesistenti”. Affinché sussista il reato, è necessario che l’indicazione
degli elementi passivi fittizi sia resa possibile dall’utilizzo di fatture o di altri documenti per
operazioni inesistenti. Per utilizzo si intende che i documenti siano registrati nelle scritture contabili
obbligatorie.
- L’art. 3 contempla la fattispecie della “dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici” il quale
viene modificato ampiamente dal d.lgs. 158/2015 che introduce delle novità:
• Non più necessario l’elemento della falsa rappresentazione nelle scritture contabili, con ciò
si aumenta il novero dei potenziali soggetti attivi del reato.
• la condotta materiale consiste nel compimento di "operazioni simulate oggettivamente o
soggettivamente" ovvero dell'avvalersi "di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti
idonei ad ostacolare l'accertamento e ad indurre in errore l'amministrazione finanziaria”.
• viene alzata (da un milione di euro) a un milione e cinquecentomila euro la soglia relativa
all'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione e viene introdotta
una soglia, alternativa, rapportata all'ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 65


fittizie.
• è introdotto un nuovo 2° comma con cui si precisa che "il fatto si considera commesso
avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili
obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria" e
un nuovo 3° comma, secondo cui "non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione
degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o
la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi inferiori a quelli reali".
- L’art. 4 prevede il delitto di “dichiarazione infedele” che si differenzia da quello della dichiarazione
fraudolenta non qualificata per l’assenza dei mezzi fraudolenti. Anche per tale fattispecie è
intervenuto il d.lgs. 158/2015 che ha elevato (da 50.000) a 150.000 euro la soglia di punibilità e (da
due) a tre milioni di euro la soglia del valore degli elementi attivi sottratti all'imposizione. Il reato
può essere commesso da qualunque contribuente, anche da chi non è obbligato a tenere le scritture
contabili.
- L’art. 5 relativo alla “omessa dichiarazione” è l’ultimo dei reati connessi alla dichiarazione. Il d.lgs.
158/2015 è intervenuto nelle seguenti modalità:
• elevando (da trentamila) a 50.000 euro la soglia di punibilità per l'omessa dichiarazione dei
redditi o ai fini IVA ma è aggravato il trattamento sanzionatorio, che diventa della reclusione
da un anno e sei mesi a 4 anni;
• introducendo un comma 1-bis che punisce (con la reclusione da un anno e sei mesi a 4 anni)
l'omessa dichiarazione di sostituto d'imposta quando l'ammontare delle ritenute non versate è
superiore a 50.000 euro.
I delitti suesposti non sono punibili a titolo di tentativo (art. 6). È stato invece abrogato con l’ultima riforma
l’art. 7 rubricato “rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio”.

12. Delitti in materia di documenti.


La seconda categoria è quella relativa ai delitti in materia di documenti, collocati agli artt. 8-10 del d.lgs.
74/2000. In base all’art. 8 è punito con la reclusione da 1 anno a sei mesi chi emette o rilascia fatture o altri
documenti per operazioni inesistenti al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o
dell’IVA. Anche qui è sempre necessario il dolo specifico, solo che il fine in questi reati è quello di
consentire a terzi l’evasione.
L’art. 10 (occultamento o distruzione di documenti contabili) punisce chiunque al fine di evadere le
imposte sui redditi o IVA, ovvero di consentire a terzi l’evasione, occulta o distrugge in tutto o in parte le
scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la
ricostruzione dei redditi o del volume d’affari. Il d.lgs. 158/2015 aggrava la pena per tale reato aumentando
la reclusione da 1 anno e 6 mesi a sei anni.

13.Delitti in materia di pagamento di imposte.


L’ultima categoria di reati è relativa al pagamento delle imposte.
In base all’art. 10-bis è punito l’omesso versamento di ritenute certificate (o dovute). Il reato dal punto di
vista soggettivo può essere compiuto dai soli sostituti d’imposta e la condotta consiste nel non versare
all’Erario le ritenute che siano state effettuate nei confronti dei sostituiti. Tale articolo è stato parzialmente
modificato dal d.lgs. 158/2015: è stata estesa la portata della norma, oltre che alle "ritenute certificate" alle
"ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione", riformulando contestualmente la rubrica (ora:
"omesso versamento di ritenute dovute o certificate"). La prova della ritenuta (di cui è contestato il mancato
versamento) potrebbe quindi ora prescindere dalle certificazioni rilasciate al sostituito, potendo in ipotesi
bastare che essa risulti dalla dichiarazione.

Inoltre, la soglia di punibilità per il reato di cui all'art. 10-bis viene triplicata, passando da cinquantamila a
150.000 euro, per ciascun periodo d'imposta.
All’art. 10-bis rinviano poi gli artt. 10-ter (che estende la fattispecie incriminatrice anche a chi non versa
l’IVA, dovuta in base alla dichiarazione annuale) e l’art. 10-quater, il quale prevede che la disposizione di
cui all’art. 10-bis si applica nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa le somme dovute, utilizzando

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 66


in compensazione crediti non spettanti (pena da 6 mesi a due anni) o inesistenti (pena: da 1 anno e 6 mesi a
sei anni).
Con il d.lgs. 158/2015 entrato in vigore il 1 gennaio 2017 viene ridotto l'ambito di rilevanza penale delle
fattispecie di omesso versamento ex art. 10-bis e 10-ter, lasciando residuare l'esclusiva operatività delle
sanzioni amministrative per una cospicua parte di condotte illecite, in relazione alle quali il legislatore -
evidentemente - ha ritenuto che la forza deterrente della pena non sia (più) necessaria. Insomma, una decisa
depenalizzazione a cui - peraltro - non si accompagna un aggravamento del trattamento sanzionatorio delle
residue fattispecie incriminate.
L’art. 11 rubricato “sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte” punisce chiunque aliena
simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte
inefficace la procedura di riscossione coattiva. Il co. 2 prevede che venga punito anche colui che, al fine di
ottenere per sé o altri un pagamento parziale dei tributi, indica nella documentazione presentata ai fini della
procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi
passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore a € 50.000.

14. Il principio di specialità tra sanzione penale e sanzione amministrativa.


L’art. 19 del d.lgs. 74/2000, volto a tutelare il principio del ne bis in idem intende evitare che un medesimo
fatto venga punito due volte. Infatti prevede che quando uno stesso fatto è punito sia con una sanzione penale
che con una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale.
L’art. 21 prevede che l’ufficio competente irroga comunque le sanzioni amministrative relative alle
violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato. Tuttavia le sanzioni non sono eseguibili salvo che il
procedimento penale sia definito con provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione
o proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto. Emerge così la scelta del legislatore
di considerare la sanzione penale sempre speciale rispetto a quella amministrativa.

15. La confisca per equivalente


La confisca per equivalente, disciplinata dall’art. 322-ter c.p., prevede che, in caso di condanna o di
patteggiamento sulla pena, “è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il
prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la
confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale prezzo”.
Si tratta di un’ipotesi di confisca obbligatoria, e non facoltativa, avente ad oggetto beni che siano nella
disponibilità del reo e che siano di valore corrispondente al prezzo o profitto del reato.
Il d.lgs.158/2015 introduce un nuovo art. 18-bis al d.lgs. n. 74/2000, relativo alla custodia giudiziale dei
beni sequestrati nell'ambito dei procedimenti penali relativi ai delitti previsti dal decreto e ad ogni altro
delitto tributario: tali beni, se diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, possono essere affidati
dall'autorità giudiziaria in custodia giudiziale, agli organi dell'amministrazione finanziaria che ne facciano
richiesta per le proprie esigenze operative

CAPITOLO 19. LA GIURISDIZIONE, GLI ATTI IMPUGNABILI E L’OGGETTO DEL


PROCESSO TRIBUTARIO.

1. La giurisdizione tributaria.
Le controversie riguardanti la materia tributaria sono devolute ad un apposito giudice: le Commissioni
Tributarie Provinciali e Regionali (a cui si affianca la Corte di Cassazione per le sole questioni di legittimità.
L’organizzazione degli uffici è disciplinata dal d.lgs. 545/1992 mentre la disciplina del processo si rinviene
nel d.lgs. 546/1992.
È tuttavia alla L. 448/2001 che si deve l’attuale assetto della giurisdizione tributaria.
Prima la giurisdizione generale sulla materia tributaria era affidata al giudice ordinario con l’eccezione di
alcuni tributi. Alle Commissioni Tributarie erano devolute le controversie relative ad imposte sui redditi,

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 67


IVA, imposta sulle successioni e donazioni, imposte ipotecaria e catastale, etc etc. Tuttavia la giurisdizione
tributaria era da qualificarsi quale residuale rispetto a quella del giudice ordinario.
L’intervento del 2001 attribuì alle Commissioni tributarie la cognizione generale della materia tributaria.
L’art. 12, d.lgs. 488/2001 ha stabilito che “appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie
avente ad oggetto tributi di ogni genere e specie, compresi quelli regionali, provinciali e comunali”.
La giurisdizione delle Commissioni Tributarie si estende a tutti i rapporti aventi natura tributaria, ovverosia a
tutti i rapporti in cui viene esercitata una potestà impositiva. Pertanto, il giudice tributario conosce le
controversie instaurate nei confronti di qualunque ente impositore e concernenti:
a) Obbligazioni facenti capo ai soggetti passivi del tributo
b) Le obbligazioni di rimborso a favore degli enti impositore
c) Obbligazioni accessorie: con tale definizione si intendono tutte le posizioni giuridiche che
presentano un’intima connessione con l’atto impugnato e, dunque, le spese di notifica, gli interessi
moratori ed il maggior danno da svalutazione monetaria ex art. 1224, co. 2, c.c.
Con riferimento alle controversie che possono instaurarsi nella fase della riscossione si distingue tra
controversie riguardanti:
- Il titolo della riscossione: ovverosia quelle concernenti il diritto delle Amministrazioni a riscuotere
il tributo, che sono devolute al giudice tributario.
- Gli atti strettamente esecutivi, ossia quelle concernenti le concrete modalità operative mediante le
quali viene esercitata la riscossione che sono devolute al giudice ordinario, nelle forme delle
opposizioni di cui agli art. 615 e 617 c.p.c. (ad es. processi concernenti la pignorabilità dei beni
aggrediti, la conversione del pignoramento, la fissazione della vendita etc.)
L’art. 57, d.p.r. 602/73 precisa che spettano al giudice tributario solo le opposizioni che hanno ad oggetto
l’accertamento negativo dell’esistenza del diritto del creditore di procedere in executivis per la realizzazione
del proprio credito, sia per ragioni di merito sostanziale, sia per ragioni di merito processuale.
Per la pignorabilità dei beni, pur riguardando tecnicamente una forma di opposizione all’esecuzione, non
riguardano il diritto di procedere, ma il modo in cui si procede e pertanto conosce della causa il giudice
ordinario.
Per l’art. 617 c.p.c. spetta al giudice tributario conoscere della regolarità formale del titolo esecutivo e le
controversie relative ad atti successivi alla notifica del titolo, ma non ancora espressivi di un’attività
esecutiva strettamente intesa. Mentre spettano al giudice ordinario le questioni sulla regolarità dei singoli
atti esecutivi.

Concorrono a definire il parametro della giurisdizione del giudice tributario:


- L’art. 2, co. 3, d.lgs. 546/1992 in forza del quale il giudice tributario risolve incidenter tantum e
senza efficacia di giudicato ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti
nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e quelle
sullo stato o sulla capacità delle persone.
- L’art. 7, co. 5, che attribuisce alle Commissioni Tributarie, qualora ritengano illegittimo un
regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, il potere di non applicarlo
limitatamente al giudizio proposto davanti a loro, ferma l’eventuale impugnazione dello stesso nella
diversa sede competente.
Non rientrano nella giurisdizione delle CT le controversie in tema di contributi previdenziali obbligatori.

2. Gli atti impugnabili.


L’illustrazione della giurisdizione tributaria deve essere completata con l’art. 19 d.lgs. 546/1992 che reca il
novero degli atti impugnabili. Tale disposizione fornisce i c.d. limiti interni della giurisdizione tributaria,
circoscrivendo le tipologie di controversie suscettibile di formare oggetto di quest’ultima entro la cornice
enucleata dall’art. 2 (che invece fornisce i c.d. limiti esterni.
Il processo tributario ha la struttura del processo da ricorso in quanto l’attore (il contribuente) può proporre
la propria domanda solo nelle forme di un atto contro o contro un comportamento inerte
dell’Amministrazione finanziaria.
Tra gli atti impugnabili l’art. 19 individua

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 68


a) l’avviso di accertamento del tributo
b) L’avviso di liquidazione del tributo
c) Provvedimento che irroga le sanzioni
d) Il ruolo e la cartella di pagamento
e) Iscrizione di ipoteca sugli immobili e il fermo di beni mobili registrati
f) Rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi non dovuti
g) Diniego o revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti
tributario
h) Ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l’autonoma impugnabilità davanti alle Commissioni
tributarie.
È permessa un’interpretazione estensiva dell’elenco dell’art. 19 all’esito del quale sarebbe ammesso
l’accesso alla giurisdizione tributaria tutte le volte in cui un ente impositore esercita un potere riconducibile
ad una delle aree individuate dall’art. 19 medesimo. La tassatività indicata dal predetto articolo sarebbe
quindi predicato non degli atti elencati, ma delle funzioni che essi svolgono. Secondo un’interpretazione
funzionale dell’art. 19 sarebbero impugnabili davanti al giudice tributario tutti gli atti espressivi di una
manifestazione di volontà impositiva dell’Ufficio, idonei ad incidere negativamente nella sfera patrimoniale
del contribuente.

A) Con riguardo all’avviso di accertamento del tributo, per la Cassazione devono essere qualificati
come avvisi tutti quegli atti con cui l’amministrazione comunica al contribuente una pretesa
tributaria formalizzata.
B) Nella categoria degli avvisi di liquidazione del tributo dovrebbero invece rientrare quegli atti,
variamente denominati, che si caratterizzano per il fatto che attraverso di essi l’Ente impositore non
intima né richiede alcunché, ma si limita ad avvertire il contribuente della possibilità di iscrivere a
ruolo un tributo non producendo effetti negativi diretti a carico del contribuente
C) Tra i provvedimenti che irrogano le sanzioni vi rientrano quelli disciplinati dagli artt. 16 e ss.,
d.lgs. 472/1997 con i quali gli Uffici esercitano i poteri sanzionatori loro attribuiti.
D) Per il ruolo e la cartella di pagamento si rimanda al Cap. 17.
E) Sono impugnabili dinanzi alle Commissioni Tributarie il fermo di beni mobili registrati e
l’iscrizione di ipoteca sugli immobili. È stata così preferita dal legislatore la giurisdizione tributaria
a scapito di quella amministrativa o del giudice ordinario. Tuttavia il fermo non era atto recettizio, e
il contribuente poteva subirlo senza esserne a conoscenza. Così è stato stabilito che prima del Fermo
l’Amministrazione finanziaria deve inviare un preavviso con un ulteriore invito a pagare le somme
dovute entro i successivi 20 giorni decorsi i quali il preavviso assume valore di comunicazione di
iscrizione di fermo.
Anche per l’iscrizione di ipoteca (giurisdizione devoluta al giudice tributario se i crediti garanti
dall’ipoteca abbiano natura tributaria), si è posto il problema della sua conoscibilità da parte del
contribuente. È intervenuto il legislatore con il d.l. 70/2011 che ha previsto l’obbligatorietà della
preventiva comunicazione di iscrizione ipotecaria ai fini della validità della stessa misura cautelare.
L’agente della riscossione è tenuto a notificare una comunicazione preventiva con l’avviso che
decorsi 30 giorni senza pagamento, sarà iscritta l’ipoteca.
F) Gli atti relativi a “Rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed
interessi non dovuti” attengono a liti di rimborso.
Il rifiuto espresso non è vincolato a forme particolari, sicché può derivare da qualsiasi atto purché
emerga la volontà dell’Amministrazione di non accogliere le richieste del contribuente.
Il rifiuto tacito, nel sistema tributario, non costituisce un atto impugnabile di per sé ma un mero
presupposto processuale. In caso di silenzio dell’amministrazione, la pretesa di rimborso diviene
azionabile.
L’art. 19, d.lgs. 546/1992 prevede ulteriormente che:
• gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili.
• Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri
• La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto
notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 69


3. L’oggetto del processo tributario.
È pacifico che non sono esperibili nel processo tributario azioni di accertamento preventivo negativo,
ovvero azioni volte a far accertare la situazione fiscale di un contribuente prescindendo da un atto d’impulso
dell’Amministrazione. In assenza di uno degli atti indicati dall’art. 19, d.lgs. 546/1992 al contribuente è
inibito accedere alla giustizia tributaria. Lo potrà fare solo per accertare l’illegittimità di un dato atto
impositivo. Quindi, così come afferma la Cassazione, il processo tributario è costruito come un giudizio di
impugnazione dell’atto impositivo che costituisce veicolo di accesso a tale giudizio.
A differenza del processo amministrativo, non è riconosciuto al contribuente l’impugnazione dell’atto per
eccesso di potere, in quanto l’amministrazione finanziaria non procede a quella ponderazione di interesse
come le altre P.A.
Il contribuente ha l’onere di devolvere alle Commissioni Tributarie la conoscenza tanto dell’atto impositivo,
quando del sottostante rapporto. La sentenza, così, potrà o dichiarare la sussistenza o meno dei vizi di
nullità/annullabilità dell’atto oppure sostituirà le valutazioni dell’ufficio con quella dei giudici sul quantum
debeatur.
Ai giudici è consentito sollevare d’ufficio solo quei vizi per la violazione dei quali il legislatore ha previsto
la nullità.
Posto che oggetto della cognizione del giudice tributario è solo il rapporto contestato o le parti di esse
devolute alla sua attenzione, ne deriva l’inammissibilità di domande riconvenzionali o di eccezioni di
compensazione.
Sono esperibili azioni di condanna alla restituzione di somme indebitamente versate. In questi casi il
giudice accerta il quantum che era dovuto, accerta la natura indebita del pagamento del contribuente e poi
condanna l’amministrazione al rimborso di quanto ricevuto in eccesso.
È ammessa la tutela cautelare a favore del contribuente. In caso di pericolo di danno grave ed irreparabile,
l’art. 47, d.lgs. 546/1992 lo autorizza a chiedere CTP competente la sospensione dell’esecuzione dell’atto
medesimo con istanza motivata. Inoltre, in pendenza del ricorso in cassazione può chiedere la sospensiva
della pronuncia della CTR.
Infine il legislatore ha previsto la possibilità di esperire avanti le Commissioni Tributarie il giudizio di
ottemperanza, forma di tutela a favore del contribuente, finalizzata all’esecuzione di una sentenza passata in
giudicato di una Commissione rimasta inattuata. La giurisdizione del g.t. in sede di ottemperanza è
giurisdizione esclusiva di merito affidata alle Commissioni Tributarie, rappresentando esso uno sviluppo del
giudizio principale, sia pure solo eventuale.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 70


PARTE 3: LE IMPOSTE SUI REDDITI
CAPITOLO 20. PRESUPPOSTO, SOGGETTI PASSIVI E DETERMINAZIONE BASE
IMPONIBILE IRPEF

1.Premesse.
L’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) costituisce, senza dubbio, il tributo di maggiore
importanza nell’ordinamento tributario italiano.
Per comprenderne la natura, è necessario richiamare le classificazioni delle imposte.
Anzitutto, le imposte possono essere classificate in dirette e indirette: le prime sono rivolte a colpire
manifestazioni dirette di capacita contributiva (reddito, patrimonio), le seconde invece, sono manifestazioni
indirette di capacita contributiva, vale a dire fatti economici indicatori dell’esistenza di ricchezza (scambi,
consumi ecc.).
È poi possibile distinguere le imposte sul reddito da quelle sul patrimonio: le imposte sul reddito colpiscono
il reddito, inteso come flusso di ricchezza pervenuto al soggetto in un determinato periodo di tempo; le
imposte sul patrimonio assoggettano ad imposizione, invece, il patrimonio mobiliare o immobiliare.

Un’ulteriore classificazione è quella tra imposte personali, che mirano a ricostruire la condizione reddituale
complessiva del contribuente, tenendo conto anche di circostanze personali o familiari, e imposte reali che
colpiscono singole manifestazioni di capacità contributiva e, quindi, il reddito oggettivamente considerato.
Da ultimo, sotto il profilo economico, le imposte possono essere classificate in (i) fisse, qualora stabilite in
base a parametri prestabiliti (peso, volume); (ii) proporzionali, quando l’aliquota media resta costante per
qualsiasi livello del reddito; (iii) progressive, quando l’aliquota media - intesa come rapporto tra imposta e
base imponibile - aumenta all’aumentare del reddito o del patrimonio e (iv) regressive, quando l’aliquota
media decresce all'aumentare del reddito o del patrimonio.

L’IRPEF è dunque, un tributo diretto, sul reddito, personale e progressivo, che rappresenta l’architrave del
sistema tributario italiano.
Assume grande importa in merito al contributo che fornisce al gettito erariale.
L’IRPEF costituisce il frutto della riforma tributaria di cui alla legge-delega 825/1971.
Mentre il precedente sistema di tassazione era articolato su un insieme di imposte reali e cedolari che
colpivano separatamente i vari terreni, redditi agrari, fabbricati e ricchezza mobile, ed era ancorata ad una
rigorosa applicazione del principio di territorialità, al fine di assicura una progressività dell’imposizione, nel
nuovo sistema viene mantenuta e confermata la classificazione dei redditi in sei distinte categorie, ma la
natura del reddito diviene irrilevante ai fini della tassazione confluendo tutti i redditi di categoria nel reddito
complessivo soggetto a tassazione personale e progressiva.

Oltre alla progressività, altro carattere fondamentale dell’IRPEF è la personalità, che si esprime attraverso
una determinazione quantitativa della base imponibile del tributo.

1. Il presupposto: le nozioni di reddito e possesso di redditi.


Il presupposto del tributo, inteso come atto o fatto che racchiude la situazione assunta dal legislatore quale
titolo giustificativo dell’imposizione a carico di un determinato soggetto, trova la propria applicazione
all’art. 1 TUIR identificato nel “possesso di redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie indicate
nell’art. 6”.
Presupposto dell'imposta è il possesso di redditi rientranti in una delle seguenti categorie: redditi fondiari,
redditi di capitale, redditi di lavoro dipendente, redditi di lavoro autonomo, redditi di impresa, redditi diversi.
È un'imposta progressiva, in quanto colpisce il reddito con aliquote che dipendono dagli scaglioni di reddito,
ed è di carattere personale, essendo dovuta, per i soggetti residenti sul territorio dello Stato, per tutti i redditi
posseduti, anche se prodotti all'estero.
L'imposta sul reddito è un importante stabilizzatore automatico della congiuntura economica.
Il reddito - che costituisce l’oggetto dell’IRPEF - può essere inteso come una “ricchezza novella”, un flusso

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 71


di ricchezza che va ad incrementare il patrimonio di un soggetto in un determinato periodo.
Il reddito - quale concetto dinamico - si contrappone al patrimonio - concetto statico, comprensivo del
complesso di situazioni giuridiche attive e passive.

2. I soggetti passivi e la nozione di residenza fiscale.


I soggetti passivi dell’IRPEF sono individuati dall’art. 2 TUIR, in base al quale vi rientrano tutte le persone
fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato.
Il concetto di persona fisica non crea particolari problemi basandosi sulla disciplina civilistica, non
assumendo rilievo l’età, la capacita di agire, il sesso, lo stato civile e la cittadinanza.
Assume invece rilevanza la nozione di residenza ai fini dell’IRPEF, ex art. 2, comma 2, TUIR.
Infatti, mentre i soggetti residenti sono tassati su tutti i redditi, ovunque prodotti (“worldwide income
taxation” o principio della tassazione del reddito mondiale), i soggetti non residenti sono tassati soltanto per i
redditi che si considerano prodotti nel territorio dello Stato italiano (principio della territorialità).
Ai sensi dell’art. 2, comma 2, TUIR, si considerano residenti ai fini IRPEF, le persone che per la maggior
parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio
dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del c.c.
Una persona fisica, anche se non è iscritta all’anagrafe comunale, è residente in Italia ai fini fiscali se ha nel
territorio dello Stato il domicilio, inteso come il luogo in cui il soggetto ha stabilito la sede principale dei
suoi affari ed interessi.
A parere della giurisprudenza civilistica, cui la giurisprudenza tributaria si è adeguata, il domicilio dovrebbe
essere individuato avendo riguardo a tutti i rapporti - economici, sociali, familiari, morali, culturali.

In sostanza si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta:
B. sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente;
C. hanno il domicilio in Italia, ai sensi dell’art. 43 c.c.;
D. hanno la residenza, ai sensi dell’art. 43, nel territorio dello Stato.

Sono ulteriormente considerati residenti, ai sensi dell’art. 2-bis TUIR, salvo prova contraria, i cittadini
italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori a regime fiscale
privilegiato (c.d. paradisi fiscali), individuati con D.M. 4-5-1999.

Per tutti e tre i requisiti - tra loro alternativi - vale inoltre il requisito temporale, nel senso che devono
sussistere per la maggior parte del periodo d’imposta, normalmente pari a 183 giorni (184 giorni per gli anni
bisestili).

3. La determinazione: la base imponibile per i soggetti residenti e non.


Il criterio generale di determinazione della base imponibile è stabilito dall’art. 3 TUIR.
L’articolo in esame si compone di tre commi: il primo fornisce indicazioni in ordine all’ammontare su cui
calcolare l’imposta, specificando i diversi criteri di determinazione di tale ammontare con riferimento ai
soggetti residenti e non residenti, il secondo esclude dall’imponibile i redditi assoggettati al regime di
tassazione separata e, infine, il terzo comma indica in via analitica i redditi esclusi dal concorso alla
formazione della base imponibile.

Come accennato, è prevista una differenziazione tra i soggetti residenti e i soggetti non residenti.
I primi sono assoggettati ad imposizione per i redditi ovunque prodotti, in base al c.d. world wide principle o
principio della tassazione mondiale, in forza del quale concorrono a formare la base imponibile tutti i redditi,
sia di fonte estera che interna, posseduti dal soggetto;
I secondi, cioè i soggetti non residenti, la base imponibile IRPEF è costituita dai soli redditi prodotti nel
territorio dello Stato, alla stregua dei criteri di localizzazione indicati dall’art. 23 TUIR.

Ai sensi dell’art. 32 TUIR, in merito ai redditi prodotti dai soggetti non residenti, si considerano prodotti nel
territorio dello Stato:
8. redditi fondiari, che per definizione sono quelli inerenti ai terreni ed ai fabbricati situati nel territorio

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 72


dello Stato;
9. redditi di capitale
10. redditi di lavoro dipendente
11. redditi di lavoro autonomo
12. redditi d’impresa
13. redditi diversi derivanti da attività svolte nel territorio dello Stato
14. redditi derivanti dalla partecipazione in enti in regime di trasparenza fiscale, aventi sede nello Stato.
Nei confronti dei soggetti non residenti, l’IRPEF si applica sull’insieme dei redditi che si considerano
prodotti in Italia, a meno che non ricorrano i presupposti per l’applicazione della tassazione separata.

4. Segue: le diverse fasi del tributo.


Come più volte detto, l’IRPEF è un tributo a carattere personale e progressivo, espressione dei principi
contenuti nell’art. 53 Cost. Tali caratteri di personalità e progressività trovano attuazione nel processo di
determinazione dell’imposta, disciplinate dagli artt. 8 e ss. TUIR.
Sinteticamente, il contribuente deve anzitutto procedere alla determinazione del reddito complessivo,
costituito dalla somma algebrica dei redditi appartenenti a ciascuna categoria, successivamente sottrarre al
reddito complessivo gli oneri deducibili, ottenendo il reddito imponibile, applicare al reddito imponibile le
aliquote e ottenere così l’imposta lorda, sottrarre dall’imposta lorda le detrazioni d’imposta, ottenendo così
l’imposta netta, infine, scomputare dall’imposta netta le ritenute d’imposta subite, i crediti d’imposta e gli
acconti versati, ottenendo l’imposta dovuta.
Le aliquote dell’IRPEF sono crescenti per scaglioni di reddito e, trattandosi di imposta progressiva, a
ciascuno scaglione corrisponde un’aliquota crescente in misura più che proporzionale rispetto all’aumentare
della base imponibile.
Attualmente sono previste 5 diverse aliquote:

3) fino a 15.000 euro, 23%;


4) oltre i 15.000 e fino a 28.000 euro, 27%;
5) oltre 28.000 fino a 55.000 euro, 38%;
6) oltre 55.000 euro fino a 75.000 euro, 41%;
7) oltre 75.000 euro, 43%.

Riferimenti normativi - Art. 3 TUIR


1. L'imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi
posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell'articolo 10 e per i non residenti soltanto da quelli
prodotti nel territorio dello Stato.
2. In deroga al comma 1 l'imposta si applica separatamente sui redditi elencati nell'articolo 16, salvo
quanto stabilito nei commi 2 e 3 dello stesso articolo. 3. Sono in ogni caso esclusi dalla base imponibile:
a) i redditi esenti dall'imposta e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta
sostitutiva;
b) gli assegni periodici destinati al mantenimento dei figli spettanti al coniuge in conseguenza di
separazione legale ed effettiva o di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del
matrimonio, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità' giudiziaria;
c) [abrogata];
d) gli assegni familiari e l'assegno per il nucleo familiare, nonché', con gli stessi limiti e alle medesime
condizioni, gli emolumenti per carichi di famiglia comunque denominati, erogati nei casi consentiti dalla
legge.
d-bis) la maggiorazione sociale dei trattamenti pensionistici prevista dall'articolo 1 della legge 29 dicembre
1988, n. 544.
d-ter) le somme corrisposte a titolo di borsa di studio dal Governo italiano a cittadini stranieri in forza di
accordi e intese internazionali.
Art. 7 - Periodo di imposta
2) L'imposta è dovuta per anni solari, a ciascuno dei quali corrisponde un'obbligazione tributaria
autonoma, salvo quanto stabilito nel comma 3 dell'articolo 8 e nel secondo periodo del comma 3

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 73


dell'articolo 11.
3) L'imputazione dei redditi al periodo di imposta è regolata dalle norme relative alla categoria nella
quale rientrano.
4) In caso di morte dell'avente diritto i redditi che secondo le disposizioni relative alla categoria di
appartenenza sono imputabili al periodo di imposta in cui sono percepiti, determinati a norma delle
disposizioni stesse, sono tassati separatamente a norma degli articoli 17 e 18, salvo il disposto del
comma 3 dell'articolo 16, anche se non rientrano tra i redditi indicati nello stesso articolo 16, nei
confronti degli eredi e dei legatari che li hanno percepiti.

CAPITOLO 21. LE ALTRE CATEGORIE REDDITUALI

Sezione 1: Reddito d’impresa.

Sezione I - NOZIONI E PRINCIPI GENERALI DI DETERMINAZIONE DEL REDDITO D’IMPRESA

1. La nozione di reddito d’impresa

Il reddito d’impresa trova la propria disciplina all’art. 55 TUIR (d.p.r 917/1986) per quanto riguarda
l'attività esercitata, e gli artt. 6 e 81 circa la natura giuridica del soggetto passivo.
Il comma 1 dell’art. 55 definisce redditi di impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese
commerciali, cioè dall’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate
dall’art. 2195 c.c.
Anzitutto, l'attività produttiva di un reddito d’impresa si presenta, nella maggior parte dei casi, composta al
suo interno da una pluralità di atti di scambio sul mercato.
Inoltre, al fine di potersi qualificare come produttiva di reddito d’impresa, l'attività deve presentare il
carattere dell'economicità, in quanto sostenuta da entrate di natura corrispettiva e priva di ricavi o non
preordinata almeno a coprire i costi di produzione.
Viceversa, per la qualificazione di impresa ai fini fiscali non si richiede il perseguimento di un fine di lucro,
sia esso di carattere oggettivo ovvero soggettivo.

La qualificazione dell'attività quale produttiva di redditi d’impresa richiede, poi, che essa sia svolta “per
professione abituale”. L'abitualità implica la stabilità, la regolarità dell’iniziativa, il suo protrarsi nel tempo,
anche se non con rigorosa continuità.
Secondo la dottrina dominante, il requisito dell'abitualità comprende quello della professionalità ed assume
una funzione di discriminazione della categoria dei redditi d’impresa rispetto a quella dei redditi diversi cui
vengono ricondotti i redditi da attività commerciali esercitate in modo occasionale.
Venendo al contenuto dell'attività esercitata, l’art. 55, comma 1 con rinvio all’art. 2195 c.c., definisce
fiscalmente commerciale l'attività industriale diretta alla produzione di beni e servizi, quella di
intermediazione nella circolazione di beni, quella di trasporto per terra, acqua e aria, quella bancaria e
assicurativa, e le attività ausiliari alle precedenti.

In base al comma 2 dell’art. 55, sono considerate produttive di redditi d’impresa altre tre fattispecie:

- le prestazioni di servizi non rientranti nell’art. 2195 c.c. che siano organizzate in forma d’impresa;
- lo sfruttamento delle miniere, cave, torbiere, laghi ecc.
- le società agricole

Ai sensi dell’art. 6, comma 3, sono considerati ulteriormente redditi d’impresa, i redditi delle società in nome
collettivo e in accomandati semplice, da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l’oggetto sociale.
È controverso, invece, se la c.d “società tra professionisti” (c.d. “STP”) disciplinata dalla l. 183/2011
produca reddito di lavoro autonomo o reddito di impresa. L’orientamento prevalente identifica la STP in

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 74


termini di reddito di impresa.

Riferimenti normativi Art. 55 - Redditi d'impresa

1. Sono redditi d'impresa quelli che derivano dall'esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese
commerciali si intende l'esercizio per professione abituale, ancorché' non esclusiva, delle attività' indicate
nell'art. 2195 c.c., e delle attività' indicate alle lettere b) e c) del comma 2 dell'art. 32 che eccedono i limiti
ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma d'impresa.
2. Sono inoltre considerati redditi d'impresa:
a) i redditi derivanti dall'esercizio di attività' organizzate in forma d'impresa dirette alla prestazione di
servizi che non rientrano nell'art. 2195 c.c.;
b) i redditi derivanti dall'attività' di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre
acque interne;
c) i redditi dei terreni, per la parte derivante dall'esercizio delle attività' agricole di cui all'articolo 32, pur
se nei limiti ivi stabiliti, ove spettino alle società' in nome collettivo e in accomandita semplice nonché' alle
stabili organizzazioni di persone fisiche non residenti esercenti attività' di impresa.
- Le disposizioni in materia di imposte sui redditi che fanno riferimento alle attività' commerciali si
applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività' indicate nel presente articolo.

Art. 56 - Determinazione del reddito d'impresa


1. Il reddito d'impresa è determinato secondo le disposizioni della sezione I del capo II del titolo II, salvo
quanto stabilito nel presente capo. Le disposizioni della predetta sezione I e del capo VI del titolo II, relative
alle società' e agli enti di cui all'articolo 73, comma 1, lettere a) e b), valgono anche per le società' in nome
collettivo e in accomandita semplice.
2. Se dall'applicazione del comma 1 risulta una perdita, questa, al netto dei proventi esenti dall'imposta per la
parte del loro ammontare che eccede i componenti negativi non dedotti ai sensi degli articoli 61 e 109,
comma 5, è computata in diminuzione del reddito complessivo a norma dell'articolo 8. Per le perdite
derivanti dalla partecipazione in società' in nome collettivo e in accomandita semplice si applicano le
disposizioni del comma 2 dell'articolo 8.
3. Oltre ai proventi di cui alle lettere a) e b) dell'articolo 91, non concorrono alla formazione del reddito: a) le
indennità' per la cessazione di rapporti di agenzia delle persone fisiche e delle società' di persone; b) le
plusvalenze, le indennità' e gli altri redditi indicati alle lettere da g) a n) del comma 1 dell'articolo 17, quando
ne è richiesta la tassazione separata a norma del comma 2 dello stesso articolo.
4. Ai fini dell'applicazione del comma 2 non rileva la quota esente dei proventi di cui all'articolo 87,
determinata secondo quanto previsto nel presente capo.
5. Nei confronti dei soggetti che esercitano attività' di allevamento di animali oltre il limite di cui alla lettera
b) del comma 2 dell'articolo 32 il reddito relativo alla parte eccedente concorre a formare il reddito d'impresa
nell'ammontare determinato attribuendo a ciascun capo un reddito pari al valore medio del reddito agrario
riferibile a ciascun capo allevato entro il limite medesimo, moltiplicato per un coefficiente idoneo a tener
conto delle diverse incidenze dei costi. Le relative spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in
deduzione. Il valore medio e il coefficiente di cui al primo periodo sono stabiliti ogni due anni con decreto
del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche agricole e forestali. Le
disposizioni del presente comma non si applicano nei confronti dei redditi di cui all'articolo 55, comma 2,
lettera c). Il coefficiente moltiplicatore non si applica agli allevatori che si avvalgono esclusivamente
dell'opera di propri familiari quando, per la natura del rapporto, non si configuri l'impresa familiare. Il
contribuente ha facoltà', in sede di dichiarazione dei redditi, di non avvalersi delle disposizioni del presente
comma. Ai fini del rapporto di cui all'articolo 96, i proventi dell'allevamento di animali di cui al presente
comma, si computano nell'ammontare ivi stabilito. Se il periodo d'imposta è superiore o inferiore a dodici
mesi, i redditi di cui al presente comma sono ragguagliati alla durata di esso.

Schema sul reddito d’impresa


Il reddito d'impresa è una delle sei tipologie di reddito prese in considerazione dal D.P.R. 917/1986 (TUIR:
Testo Unico delle Imposte sui Redditi) e distinta, da parte del legislatore, dai redditi fondiari, redditi di
capitale, redditi di lavoro dipendente, redditi di lavoro autonomo e redditi diversi, al fine di determinare la

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 75


base imponibile per la tassazione delle imprese, intendendo come "impresa" una nozione allargata rispetto a
quella prevista dal codice civile (ricavata in via interpretativa dall'art.2195 c.c.). In parole povere, sono
soggette al reddito d'impresa (artt. 32, 55 TUIR e 2195 c.c.):
9. le attività industriali dirette alla produzione di beni o di servizi;
10. l'attività intermediaria nella circolazione dei beni;
11. l'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria;
12. l'attività bancaria o assicurativa;
13. le altre attività ausiliarie delle precedenti;
14. per la parte eccedente i limiti, l'attività di allevamento di animali con mangimi ottenibili per meno di
un quarto dal terreno agricolo e le attività dirette alla produzione di vegetali tramite l'utilizzo di
strutture fisse o mobili, anche provvisorie, se la superficie adibita alla produzione eccede il doppio di
quella del terreno su cui la produzione stessa insiste (anche se non organizzate in forma d'impresa);
15. per la parte eccedente i limiti, le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione,
commercializzazione e valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti non
prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, in
riferimento ai beni individuati, ogni due anni e tenuto conto dei criteri di cui al comma 1, con
decreto del Ministro dell'economia e delle finanze su proposta del Ministro delle politiche agricole
e forestali (anche se non organizzate in forma d'impresa);
16. le attività organizzate in forma d'impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell'art.
2195 c.c. (punti 1-5 di questo elenco);
17. l'attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne;
18. tutte le attività agricole, anche al di sotto dei limiti suddetti, ove spettino alle società in nome
collettivo e in accomandita semplice nonché alle stabili organizzazioni di persone fisiche non
residenti esercenti attività di impresa o alle società di capitali.
A ciò si deve aggiungere, infine, che tutte queste attività, al fine di produrre reddito d'impresa, possono
essere svolte anche in via non esclusiva e devono essere svolte per professione abituale.
La nozione civilistica e la nozione fiscale di impresa, pertanto, sono disallineate, dato che quest'ultima è
molto più ampia della prima.
Le attività appena elencate possono, a loro volta, suddividersi in base al fatturato dell'impresa, con la
conseguenza che ognuna di queste potrà essere soggetta, su parametri stabiliti dalla legge, con un margine
minimo di scelta da parte della società stessa, a:
• regime dei minimi (opzione per imprese con fatturato da 0 a 30.000 euro entro l'anno
precedente dall'adozione di tale regime)ex art.27 commi 1 e 2 del D.L. 98/2011 (precedentemente
abrogato dalla legge di stabilità 2015 e poi prorogato per il 2015 dall'art.10 comma 12-undecies del
D.L. 192/2014): per approfondimenti cliccare qui ;
• nuovo regime forfetario con contabilità semplificata (opzione per imprese con fatturato in base
al tipo di attività esercitata, come indicato nell'Allegato 4 della legge 190/2014, più altri
requisiti disciplinati dall'art.1 commi da 54 a 89 della legge di stabilità 2015 o legge 190/2014): per
approfondimenti cliccare qui;
• contabilità semplificata (opzione per imprese individuali e società di persone che non abbiano
una produzione di ricavi relativa all'anno precedente superiore ai 400.000 euro per prestazione di
servizi e ai 700.000 euro per altre attività):
• contabilità ordinaria (in tutti gli altri casi):
Le imprese a regime dei minimi e a regime forfetario non redigono il bilancio e conservano i documenti
rilevanti ai fini fiscali (es. fatture d'acquisto, schede carburante, ecc.) dai quali determinano il reddito
d'impresa (ricavi - costi).
Le imprese che gestiscono la contabilità in modalità semplificata non devono redigere obbligatoriamente il
bilancio annuale, ma determinano il reddito d'impresa dalla differenza tra i ricavi e i costi rilevabili
direttamente da un prospetto generale della situazione economica.
Le imprese che, invece, gestiscono la contabilità nei modi ordinari devono redigere annualmente il bilancio
di esercizio, così come previsto dalle disposizioni del codice civile. Esso rappresenta la situazione economica
e patrimoniale dell’impresa alla data di redazione del bilancio stesso. In particolare è dalla redazione del
conto economico, composto dalla differenza tra ricavi e costi, che si determina il risultato di esercizio
rappresentato dall’utile o dalla perdita. Partendo dal risultato di bilancio si procede alla redazione della

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 76


dichiarazione dei redditi, nonché alla determinazione dell’importo da assoggettare a tassazione. Si deve
pertanto procedere ad un riesame "in ottica fiscale" di tutte le valutazioni effettuate secondo le norme
civilistiche nel conto economico, operando così rettifiche di valore nei soli casi di divergenza tra regole
dettate dal codice civile e regole dettate dalla normativa fiscale. La corretta determinazione dell'imponibile
da assoggettare a tassazione avviene così apportando, al risultato del bilancio di esercizio (civilistico), le
variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all'applicazione delle norme fiscali contenute nel TUIR
(che sta come riferimento al Testo Unico delle Imposte sui redditi, che corrisponde al D.P.R. 917/86 e
successive modifiche). In sintesi:

Le variazioni al risultato civilistico derivano, come sintetizzato nel prospetto, dall’applicazione delle norme
tributarie, che, in alcuni casi, divergono dalle norme civilistiche sul bilancio d’esercizio prevedendo un
trattamento specifico dei componenti positivi e negativi del reddito.
Nella determinazione del reddito imponibile dell’impresa da assoggettare alle diverse imposte (IRPEF/IRES,
IRAP) vi sono regole parzialmente diverse tali da determinare imponibili differenti.
Vale la pena ricordare che, in linea generale, una volta determinato l’imponibile da assoggettare a prelievo
fiscale, questo viene tassato nel seguente modo:

In considerazione di quanto previsto dall’art.56 TUIR, che determina come le regole per la formazione del
reddito d’impresa (artt. 81-110 TUIR) per le società di capitali si applichino anche per le società in nome
collettivo ed accomandita semplice (fatte salve le regole specifiche per questo tipo di società individuate agli
artt. 55-66), ci soffermeremo nel prosieguo sulle caratteristiche principali che caratterizzano la
determinazione del reddito delle società di capitali.
Stabilito quanto sopra, le norme fiscali che agiscono sulla determinazione dell'imponibile d’impresa possono
essere raggruppate come segue:
• norme generali sui componenti del reddito d’impresa;
• norme generali sulle valutazioni;
• norme sui componenti positivi del reddito;
• norme sui componenti negativi del reddito;
• le valutazioni delle rimanenze e poste assimilate.

Il legislatore fiscale ha previsto, accanto a norme volte a disciplinare singoli componenti positivi e negativi
del reddito, norme intese a fornire regole generali per la determinazione del reddito imponibile. Queste
norme sono contenute nell’art. 109 del TUIR e riguardano: la competenza, l’imputazione al conto economico
e l’inerenza.

• Il principio di competenza
In merito alla competenza si può affermare, come principio generale, che i ricavi, le spese e gli altri
componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza. Questo
principio può in alcuni casi essere derogato dalle norme relative ai singoli componenti. Tuttavia, i costi e i
ricavi di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo
l’ammontare, concorreranno a formare il reddito imponibile nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni.
Ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza:
i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti, e le spese d’acquisizione dei beni si considerano
sostenute, alla data della consegna o spedizione per i beni mobili e della stipulazione dell’atto per gli
immobili e per le aziende, ovvero, se diversa e successiva, alla
• data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale;
• i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese d’acquisizione dei servizi
si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate, ovvero, per quelle dipendenti
da contratti di locazione, mutuo, assicurazione e altri contratti da cui derivano corrispettivi periodici,
alla data di maturazione dei corrispettivi.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 77


• Il principio di previa imputazione al conto economico.
Particolare attenzione va posta all’imputazione a conto economico. Infatti i ricavi, gli altri proventi di ogni
genere e le rimanenze concorrono a formare il reddito anche se non imputati al conto economico, mentre “le
spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se non risultano imputati al conto
economico nell’esercizio di competenza”, così come prevede l’art. 109, co. 4.
Sono, tuttavia, previste alcune deroghe:
La regola di previa imputazione al conto economico – applicabile ai soli componenti negativi, posto che
per i componenti positivi l’art. 109, co. 3, stabilisce il loro concorso alla formazione del reddito a prescindere
dalla previa imputazione a conto economico – soffre comunque di alcune eccezioni, relative ai componenti
non imputabili al conto economico, a quelli imputati in esercizi precedenti, ma la cui deducibilità è stata
rinviata in conformità a specifiche disposizioni fiscali e, infine, a quelli che risultano da elementi certi e
precisi:
1) La prima deroga, relativa ai componenti negativi non imputabili a conto economico ma deducibili
per disposizione di legge, viene ritenuta pacificamente applicabile per la partecipazione agli utili
degli amministratori che l’art. 95 consente di dedurre nell’esercizio di competenza a prescindere
dall’imputazione a conto economico.
2) La seconda deroga attiene ai componenti negativi imputati a conto economico in un esercizio
precedente, per i quali, tuttavia, il legislatore tributario ha specificamente previsto disposizioni
che ne consentono o rendono obbligatorio il rinvio della deducibilità.
3) La terza deroga concerne i componenti negativi specificamente afferenti i ricavi che pur non
essendo imputati al conto dei profitti e delle perdite concorrono a formare il reddito se e nella
misura in cui risultano da elementi certi e precisi.

• Il principio di inerenza.
Con riguardo all’inerenza l’art. 109 c. 5 TUIR definisce come costi deducibili ..... “ le spese e gli altri
componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale,......
se e nella misura in cui si riferiscono ad attività di beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono
a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”.
Per poter procedere alla deduzione dei costi è quindi fondamentale che essi siano considerati inerenti
all’attività svolta, che cioè il loro sostenimento sia necessario per la produzione dei ricavi.
Con le sentenze del 24 febbraio 2006 e del 13 settembre 2010, la Corte di Cassazione ha specificato che, in
caso di verifica, la prova dell’effettiva inerenza della spesa spetti al contribuente; questi è quindi chiamato a
dimostrare che l’effettivo sostenimento del costo è strettamente legato all’attività svolta.
In sostanza la prova del sostenimento e "… dei presupposti dei costi … concorrenti alla determinazione del
reddito d'impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di
ricavi,…" non spetta, quindi, all'Amministrazione finanziaria che abbia recuperato tali elementi negativi in
sede di eventuale verifica, quanto piuttosto al contribuente che ne chiede la deducibilità (Cassazione
739/2010).
Come poi definito dalla circolare 1/2008 della Guardia di Finanza, l’inerenza deve essere dimostrata sia dal
punto di vista qualitativo che quantitativo:
• Qualitativo: è necessario dimostrare che i costi sostenuti sono direttamente imputabili all’attività
attraverso documenti che attestino, in maniera corretta e precisa, la loro inerenza. Ad esempio,
l’esplicita indicazione nella fattura che i costi sono sostenuti per un determinato progetto, cantiere o
lavorazione
• Quantitativo: in caso di verifica è necessario poter fornire indicazioni in merito all’ammontare del
costo sostenuto, ed alla sua congruità rispetto all’attività svolta e ai ricavi conseguiti. In particolare
nel caso in cui le spese sostenute siano sproporzionate rispetto ai ricavi, potrà sussistere la possibilità
che tali costi vengano ripresi a tassazione, salvo che il soggetto non sia in grado di dimostrarne il
motivo.
L’Amministrazione Finanziaria riconosce comunque che tale collegamento costi/ricavi può anche essere
adeguatamene provato con mezzi diversi dalle scritture contabili tradizionali, ma deve comunque risultare da
elementi certi e precisi.
Pertanto, una errata indicazione di elementi certi e precisi in documenti fiscalmente rilevanti, senza una

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 78


corretta dimostrazione da parte del contribuente del motivo per cui i costi sono sostenuti, fa venir meno
l’inerenza all’attività svolta ed ai relativi ricavi e, quindi, il riconoscimento della loro deducibilità fiscale.

Sezione 2: Le altre categorie reddituali

• I redditi fondiari.
La disciplina dei redditi fondiari è contenuta agli artt. da 25 a 43 TUIR (d.p.r. 917/1986).
“Sono redditi fondiari quelli inerenti ai terreni e ai fabbricati situati nel territorio dello Stato che sono o
devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni o nel catasto edilizio urbano. I
redditi fondiari si distinguono in redditi dominicali dei terreni, redditi agrari e redditi dei fabbricati”.
La tassazione di tali redditi ruota intorno al “catasto”, che svolge nel nostro ordinamento una funzione
centrale nella c.d. “fiscalità immobiliare”. Il catasto, che è lo strumento sia per individuare i beni
immobili produttivi di redditi fondiari, sia per determinare il relativo reddito (rendita catastale), ha una
funzione strumentale ai fini della determinazione dei redditi fondiari.
A questa funzione se n’è aggiunta un'altra: il catasto adesso rileva anche quale fonte dei valori assunti a
base imponibile nell’ambito delle imposte sul patrimonio e sui trasferimenti di ricchezza.
A livello pratico, il catasto è un inventario in cui sono censiti i terreni ed i fabbricati con attribuzione di
rendita, nonché i proprietari o i titolari di diritti reali di godimento sugli stessi beni.
Il suo scopo fiscale consiste nell’attribuire una rendita a singole unità elementari, costituite:
- per i terreni, dalla c.d. “particella catastale”, intesa quale porzione continua di terreno di un
medesimo possessore
- per i fabbricati, dalla c.d. “unità immobiliare urbana”, intesa come fabbricato idonea a produrre un
reddito proprio, nello stato in cui si trova.
I redditi da terreni si distinguono in redditi dominicali e redditi agrari, distinzione che riflette l’ideale
scomposizione dei redditi dei terreni in quattro parti.
Il reddito dominicale è costituito dalla parte dominicale del reddito medio ordinario, ritraibile dal terreno
attraverso l’esercizio delle attività agricole. Si tratta di un reddito derivante da una fonte patrimoniale, dal
terreno nel suo stato naturale e dal capitale di miglioramento nella prospettiva dell’esercizio dell’attività
agricola.
Il reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale
d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati nei limiti della potenzialità del terreno, nell’esercizio,
su di esso, di attività agricole. È connesso, dunque, all’esercizio sul fondo delle attività agricole ed è pertanto
attribuito a chi coltiva il terreno.
Le attività agricole rilevanti sono:
- coltivazione del fondo e silvicoltura.
- allevamento di animali.
- produzione di vegetali
- attività connesse (terzo comma, art. 2135 c.c.) dirette alla manipolazione, conservazione,
trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di determinati beni, poste in essere dal
produttore agricolo, e provenienti dalla coltivazione del fondo, dalla silvicoltura e allevamento
bestiame.

Venendo ai criteri di imputazione soggettivi, i redditi sono attribuiti al possessore a titolo di proprietà,
enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, per possesso si intende la nozione dell’art. 1140 c.c. stante il
collegamento con la res materiale dal quale al possessore gli deriva il reddito. (locazione e comodato non
attribuiscono il possesso, gli immobili dati in comodato danno luogo ad un reddito per il proprietario).
I redditi derivanti da terreni e i fabbricati possono dare luogo, a certe condizioni, anche a redditi di natura
non fondiaria, ed in particolare di lavoro autonomo, di impresa e diversi. Per quanto riguarda il rapporto con
il reddito di lavoro autonomo e di impresa dobbiamo distinguere varie ipotesi.
Per quanto riguarda i terreni, l’esercizio dell’agricoltura dà luogo a reddito d’impresa, e non a reddito
fondiario quando:
- nei casi in cui è svolto da società commerciali ovvero stabili organizzazione in Italia di soggetti non
residenti.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 79


- nel caso delle attività indicate alle lettere b) e c) dell’art. 32, co. 2 TUIR viste sopra.
Per quanto riguarda gli immobili, non si considerano produttivi di reddito fondiario gli immobili relativi ad
imprese commerciali e quelli che costituiscono beni strumentali per l’esercizio di arti e professioni, che
costituiscono reddito di impresa e reddito di lavoro autonomo.
Non producono redditi fondiari, bensì di impresa, né gli “immobili di merce”, cioè quelli che costituiscono
il magazzino, né “i redditi derivanti dall’attività di sfruttamento di miniere, cave, saline laghi, stagni e altre
acque interne”.

1.1. La determinazione dei redditi fondiari.


La determinazione dei redditi fondiari avviene con riferimento alle rendite fondiarie, determinate
dall’applicazione delle tariffe d’estimo, stabilite secondo le norme della legge catastale. alle caratteristiche
rilevanti dei terreni. Le tariffe d’estimo esprimono un reddito:
a) medio, ossia calcolato sulla media di più anni.
b) ordinario, riferito alla normale attività produttiva.
c) netto, nel senso che tiene conto dei costi e delle spese per la produzione del reddito.

Il sistema di determinazione del reddito prevede “valvole di sicurezza”. In primo luogo, è previsto che le
tariffe d’estimo siano sottoposte a revisione d’ufficio ovvero su richiesta del Comune interessato per
sopravvenuta variazione degli elementi determinanti. In secondo luogo, sono previste ipotesi in cui sia il
contribuente a denunciare eventi che comportino una variazione del reddito domenicale.
Inoltre sono previste ipotesi di inesistenza parziale o totale del reddito dominicale. Tuttavia, non tutti i
redditi fondiari sono determinati sulla base delle tariffe d’estimo, come nel caso dei fabbricati “a
destinazione speciale o particolare” (determinato mediante stima diretta), o nel caso dei “fabbricati locati” in
cui rileva il reddito effettivo solo se sia superiore al reddito medio ordinario.

Il d.lgs. 23/2001 ha anche introdotto la c.d. cedolare secca sugli affitti, ovverosia un regime sostitutivo
opzionale di tassazione per gli immobili a destinazione abitativa consistente nella possibilità di assolvere
un’imposta sostitutiva dell’IRPEF pari al 21% del canone lordo percepito assorbendo peraltro questo
regime sostitutivo anche le addizionali, le imposte di registro e di bollo.

1.2. L’imputazione a periodo dei redditi fondiari.


La regola generale in tema di imputazione a periodo dei redditi fondiari è quella secondo cui essi sono
imputati indipendentemente dall’effettiva percezione: ai sensi dell’art. 26 i “redditi fondiari concorrono,
indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo”. Si tratta di una regola che è
connaturata alla determinazione su base catastale dei redditi, ma che trova applicazione anche nell’ipotesi di
redditi derivanti da locazione.

• I redditi di capitale.
La disciplina dei redditi di capitale, contenuta negli artt. 44-48, costituisce il frutto di un duplice intervento
normativo: da un lato, del d.lgs. 461/1997 che ha ridisegnato il sistema di tassazione dei redditi di natura
finanziaria; dall’altro, del d.lgs. 344/2003 che ha disciplinato ex novo i redditi derivanti dalla partecipazione
in società. Il primo specialmente ha interessato i redditi di natura finanziaria, nozione con valore
descrittivo, che comprende i redditi di capitale, riconducibili alla nozione di reddito prodotto, e talune
fattispecie contenute nei redditi “diversi”, questi riconducibili alla nozione di reddito di entrata.
La nozione di “reddito di capitale” si rivolge a qualsiasi rapporto avente per oggetto l’impiego di
capitale”. Restano in tal modo attratti alla disciplina dei redditi diversi quei proventi che, pur implicando
un impiego del capitale, sono caratterizzati dall’incertezza del risultato economico, intesa come possibilità
che da detto impiego scaturisca un differenziale negativo o positivo. Sono quei redditi di natura finanziaria
che vengono definiti “da capitale” in contrapposizione con quelli “di capitale” disciplinati dall’omonima
categoria reddituale.
Le due categorie derivanti dalla nozione di “frutto civile” (art. 820 c.c.) (inteso come corrispettivo derivante
dalla concessone in godimento del capitale), sono le categorie di interessi e dei dividendi. Queste due
categorie costituiscono la struttura portante della nozione di reddito di capitale. Per quanto riguarda gli
interessi sono compresi quelli derivanti da mutui, depositi, conti correnti, obbligazioni ecc. Per interessi si

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 80


intendono gli interessi corrispettivi intesi come prestazione in genere pecuniaria a carico del mutuatario per
godimento del capitale (o delle cose) mutuate.
I dividendi invece rappresentano il corrispettivo della quota di capitale conferita dal socio e la
condivisione dei frutti dell’impresa societaria, la quale, ai fini civilistici, presuppone utili realmente
conseguiti, risultanti da un bilancio regolarmente approvato e oggetto di una delibera assembleare di
distribuzione. Per esigenze di natura fiscale, si usa la nozione ‘sostanzialè di dividendo, in luogo di quella
formale civilistica, ulteriormente precisamente dall’espressione “utili distribuiti in qualsiasi forma e sotto
qualsiasi denominazione”. Infatti l’art. 47 TUIR consente di includere tra i redditi di capitale qualsiasi utile,
anche ove non risultante da un bilancio approvato e non oggetto di una delibera di distribuzione.
Costituiscono utile anche:
- le somme percepite a seguito del recesso o dell’esclusione dalla società, della riduzione del capitale
esuberante o della liquidazione della società

La determinazione dei redditi di capitale e l’imputazione a periodo.


La determinazione dei redditi di capitale si fa su base lorda, nel senso che non è riconosciuta alcuna
deduzione. Sono irrilevanti le c.d. perdite di capitale.
Per i capitali dati a mutuo, gli interessi (non derivanti da titoli), salvo prova contraria, si presumono percepiti
alle scadenze e nella misura pattuita per iscritto, e se non è pattuita, si computano al saggio legale. Gli utili
concorrono a formare il reddito imponibile complessivo limitatamente al 47,72% del loro ammontare se si
tratta di partecipazioni qualificate (quelle che rappresentano una percentuale dei diritti di voto, o una
percentuale del capitale o del patrimonio). Se si tratta di partecipazioni non qualificate si applica una ritenuta
del 26% a titolo di imposta sull’intero ammontare del dividendo distribuito.
Per gli altri redditi di capitale, la maggior parte di essi è soggetta a ritenuta alla fonte a titolo di imposta.
Per quanto riguarda, infine, l’imputazione a periodo, i redditi di capitale sono tassati secondo il principio di
cassa.

• I redditi di lavoro dipendente.


6.1. La nozione di redditi di lavoro dipendente.

La disciplina dei redditi di lavoro dipendente è contenuta negli artt. 49-52. Ai sensi dell’art. 49 “sono redditi
di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi ad oggetto la prestazione di lavoro, con
qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri”.
La relativa definizione richiama gli elementi costitutivi della definizione di prestatore di lavoro art. 2094 c.c.
secondo cui è tale “chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio
lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. I redditi della
categoria in esame sono quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro
subordinato.
Vi sono dei redditi equiparati e dei redditi assimilati.
- Si considerano redditi equiparati il lavoro a domicilio (quando è considerato lavoro dipendente
secondo le norme della legislazione sul lavoro) e le pensioni di ogni genere e gli assegni ad esse
equiparati, nonché le somme di cui all’art. 429, ultimo comma, c.p.c., ossia interessi e
rivalutazioni relativi a crediti di lavoro.
- I redditi assimilati invece sono una serie di redditi che vengono assimilati a quelli di lavoro
dipendente, pur non avendone tutti gli elementi caratteristici, sia per evitare ogni dubbio di
qualificazione, sia per evitare possibili elusioni. Tra tali ipotesi, rientrano le c.d. collaborazioni
coordinate e continuative, intese come quelle attività svolte senza vincolo di subordinazione a
favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di
mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita.

6.2. La determinazione dei redditi di lavoro dipendente e l’imputazione a periodo.


Il principio generale che ne informa la disciplina è quello della “onnicomprensività” del reddito di lavoro
dipendente, nel senso che esso è costituito:
- da tutte le somme e i valori in genere.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 81


- a qualunque titolo percepiti.
- anche da terzi
- che trovano una loro causa nel rapporto di lavoro
- comprese le liberalità
- con la sola esclusione delle somme dovute a titolo di risarcimento del danno emergente.
È stato previsto un sistema di benefici che non concorrono alla formazione del reddito, animati da finalità
sociali, di welfare aziendale ed incentivanti. Tra queste ipotesi abbiamo i contributi previdenziali ed
assistenziali, i contributi di assistenza sanitaria per importi non superiori ai 3.615€, il vitto fornito dal
datore di lavoro o in mense aziendali, le prestazioni di trasporto collettivo, le rette pagate dal datore di lavoro
per la frequenza di asili nido da parte dei familiari del lavoratore, e le azioni offerte alla generalità dei
dipendenti.

• I redditi di lavoro autonomo.


7.1. La nozione di redditi di lavoro autonomo.
La disciplina dei redditi di lavoro autonomo è contenuta negli artt. 53 e 54. Sono redditi di lavoro autonomo
“quelli che derivano dall’esercizio di “arti e professioni”, intendendosi per tale “l’esercizio per professione
abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel capo VI,
compreso l’esercizio in forma associata”. La nozione di reddito di lavoro autonomo è quindi residuale
rispetto alla nozione di reddito d’impresa. Le attività svolte non dovranno essere caratterizzate dalla
subordinazione, ricadendo esse altrimenti sotto la disciplina dei redditi di lavoro dipendente.
Si considerano anche redditi di lavoro autonomo quelli che derivano:
- dalla utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore, di opere dell’ingegno, di brevetti
industriali e di processi, ecc. se nn conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali (in tal caso sono
redditi d’impresa).
- da associazioni in partecipazione quando l’apporto è costituito esclusivamente dalla prestazione di
lavoro.
- dalla partecipazione agli utili spettanti ai promotori e ai soci fondatori di spa, sapa e srl.
- dalla cessazione di rapporti d’agenzia.

7.2. La determinazione dei redditi di lavoro autonomo e l’imputazione a periodo.


La determinazione dei redditi di lavoro autonomo avviene al netto dei costi, sia pure con rilevanti eccezioni.
L’art. 54 afferma che esso è costituito “dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura
percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute
nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione, salvo quanto stabilito nei successivi commi”.
I compensi (sia in denaro che in natura) devono essere assunti al netto dei contributi previdenziali e
assistenziali. Per le spese, rileva qualsiasi spesa purché inerente all’esercizio dell’arte o professione e salve
le limitazioni contenute nell’art. 54.
Infine i redditi di lavoro autonomo sono tassati secondo il principio di cassa. Fanno eccezione: le quote di
ammortamento per gli anni successivi al primo, i beni strumentali il cui costo è inferiore a 516€, i canoni di
leasing, la quota delle spese di ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione di immobili, la quota di
TFR deducibile per l’importo maturato.

• I redditi diversi.
La disciplina dei redditi diversi è contenuta agli artt. 67 - 71. È una categoria che accoglie ipotesi eterogenee,
talvolta non riconducibili ad una nozione di reddito prodotto (come le plusvalenze, ma anche i premi e
vincite), altre volte mancanti di qualche requisito che non consente di inquadrarle nelle altre categorie
reddituali. Possono essere definiti tale solo “se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono
conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in
accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente”. Possiamo individuare alcune
categorie di fattispecie omogenee all’interno della categoria dei redditi diversi. Una prima categoria attiene
alle plusvalenze immobiliari, una seconda categoria attiene alle plusvalenze e agli altri redditi di natura

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 82


finanziaria. Si tratta di quei redditi di natura finanziaria che non trovano collocazione tra i redditi di capitale
per via delle loro peculiari caratteristiche di reddito-entrata.
Una terza categoria riguarda quelle fattispecie che manchino di un elemento caratterizzante per
consentirne la riconduzione ad altre categorie reddituali.
Una quarta categoria riguarda ipotesi di pure reddito entrata, quali le vincite delle lotterie, dei concorsi a
premio, dei giochi e delle scommesse organizzati per il pubblico. Ipotesi di recente introduzione è quella che
include tra i redditi diversi quelli derivanti dalla “differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo
per la concessione in godimento di beni dell’impresa a soci o familiari dell’imprenditore”: si tratta di una
norma finalizzata a scoraggiare l’attribuzione solo “formale” all’impresa di beni di uso invece personale.

8.2. La determinazione dei redditi diversi e l’imputazione a periodo.


La determinazione dei redditi fondiari è di regola al netto dei costi di produzione. Nel caso di plusvalenze
di natura immobiliare, si fa riferimento alla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo d’imposta e il
prezzo di acquisto o il costo di costruzione dell’immobile, aumentato di ogni altro costo inerente al bene. Per
gli immobili ricevuti in donazione, si fa riferimento al prezzo di acquisto o di costruzione sostenuto dal
donante, mentre per i terreni ricevuti in donazione o successione deve farsi applicazione dell’art. 68, co. 2
che assume come prezzo di acquisto il valore dichiarato nelle relative denuncie ed atti registrati. Le
minusvalenze sono sempre irrilevanti.
Nel caso di plusvalenze di natura finanziaria, si fa riferimento alla differenza tra i corrispettivi percepiti
all’atto della vendita del titolo e il costo di acquisto, ad eccezione di interessi passivi. Rilevano anche le
minusvalenze.
Per le plusvalenze da partecipazioni qualificate, queste concorrono a formare il reddito per il 49,72% del
loro ammontare con possibilità di compensazione con le minusvalenze della stessa specie.
Dunque la regola ordinaria è il regime dichiarativo che comporta l’applicazione, ad opera del contribuente,
nella propria dichiarazione dei redditi, di un’imposta sostitutiva del 26% sulla somma algebrica, se positiva,
delle plusvalenze e minusvalenze della stessa specie realizzate nel periodo d’imposta.
Sono ammessi però anche altri due regimi su base opzionale:
- regime “amministrato”.
- il regime “di risparmio gestito”.
Il regime amministrato è un regime cui il contribuente accede per opzione, allorquando abbia immesso i
titoli di cui è proprietario in un rapporto di custodia titoli amministrato da banche, Sim, Sgr, società
fiduciarie, poste italiane e agenti di cambio. Sul contribuente, quindi, non grava alcun obbligo
dichiarativo.
Il regime di risparmio gestito garantisce, allo stesso modo del risparmio amministrato, l’anonimato del
contribuente e comunque lo esonera da obblighi dichiarativi. In tal caso è affidato a intermediari autorizzati
l’incarico di gestire patrimoni non relativi all’impresa; detti soggetti provvedono a tassare il reddito
maturato per competenza nel corso del periodo d’imposta. Questo regime differisce dai due precedenti in
quanto consente di compensare redditi di capitale e redditi diversi di natura finanziaria.
Il risultato di gestione è determinato quale differenza tra il valore del patrimonio gestito al termine di
ciascun anno solare ed il valore dello stesso all’inizio dell’anno solare (dunque al netto di minusvalenze,
perdite di capitale e spese).
Se in un anno il risultato della gestione è negativo, il corrispondente importo è comportato in diminuzione
del risultato della gestione dei periodi d’imposta successivi ma non oltre il quarto per l’intero importo che
trova capienza in essi.
Per i premi e le vincite si fa riferimento all’ammontare percepito, senza alcuna deduzione (così come per i
redditi di natura fondiaria), fermo restando, come detto, che tali redditi scontano meccanismi di tassazione
differenziata in funzione del gioco in cui sono realizzati.
Per gli altri redditi, sono talvolta previste delle deduzioni per i costi specificamente inerenti alla loro
produzione (come nel caso dei redditi di lavoro autonomo e di impresa derivanti da attività esercitate non
abitualmente) oppure deduzioni forfettarie (come nel caso dei redditi derivanti dallo sfruttamento dei diritti
d’autore da parte di terzi).
I redditi diversi sono tassati secondo il principio di cassa, con l’eccezione del regime del risparmio c.d.
gestito, in cui trova applicazione la tassazione del risultato maturato.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 83


CAPITOLO 22. IRES: PRINCIPI GENERALI

2. IL PRESUPPOSTO, I SOGGETTI PASSIVI, LA BASE IMPONIBILE, L’ALIQUOTA E IL


PERIODO D’IMPOSTA
Si deve al d. lgs. 344/2003, attuativo della delega recata dalla L. 80/2003, l’introduzione dell’IRES in
sostituzione dell’IRPEG.
Tale riforma in realtà avrebbe dovuto determinare il passaggio degli enti non commerciali tra i soggetti
passivi della nuova IRE, che avrebbe dovuto a sua volta sostituire l’IRPEF. In questa prospettiva, l’IRES
sarebbe dovuta diventare un’imposta prelevata sul solo “reddito delle società”; agli enti non commerciali si
sarebbe dovuta applicare una disciplina impositiva analoga a quella delle persone fisiche. In ogni caso,
l’IRES avrebbe continuato a trovare applicazione nei confronti degli enti commerciali: da qui una
sostanziale “improprietà” della nuova denominazione di “imposta sulle società”. La riforma ha spostato
all’interno della disciplina IRES tutte le regole relative alla determinazione del reddito d’impresa che, in
precedenza, si trovavano nella parte del TUIR dedicata all’IRPEF. Quindi, ad oggi, le norme per la
determinazione della base imponibile dei soggetti IRES “commerciali” sono “autosufficienti” ed è la
disciplina IRPEF in tema di reddito d’impresa a rinviare ad esse.
L’art. 72 TUIR individua il presupposto d’imposta sul reddito delle società avvalendosi di una
formulazione dell’art. 1 relativo al presupposto IRPEF: “presupposto dell’imposta sul reddito delle società è
il possesso di redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie indicate nell’art. 6”.
Il presupposto presenta una peculiarità poiché per le società e gli enti commerciali vale la regola generale di
attrazione nell’area del reddito d’impresa del reddito complessivo prodotto, quale che ne sia la fonte, (è il
principio dell’onnicomprensività del reddito d’impresa”): il presupposto dell’imposta in esame è
costituito, dunque, dal possesso del reddito d’impresa.
L’art. 73 TUIR enuncia invece i soggetti passivi dell’IRES, suddividendoli in quattro categorie:
1) le società di capitali, società cooperative e di mutua assicurazione.
2) gli enti pubblici o privati diversi dalle società ed i trust che hanno per oggetto esclusivo l’esercizio di
attività commerciali (c.d. enti commerciali).
3) gli enti pubblici o privati diversi dalle società ed i trust che non hanno per oggetto esclusivo o
principale l’esercizio di attività commerciali (c.d. enti non commerciali).
4) le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust con o senza personalità giuridica, non residenti nel
territorio dello Stato.
La denominazione IRPEF perciò è impropria perché riguarda anche enti diversi dalle società.
La classificazione, però, è fondamentale ai fini della determinazione della base imponibile IRES perché
vigono criteri distinti a seconda del soggetto passivo di riferimento:
- per le società di capitali e gli enti non commerciali residenti, l’IRES viene applicata sul reddito
complessivo netto, ovunque prodotto, determinato sulla base delle disposizioni relative al reddito
d’impresa, che ne costituisce, come detto, la qualificazione reddituale esclusiva (art. 81 TUIR).
- per gli enti non commerciali residenti, l’IRES viene applicata sul reddito complessivo netto
determinato sulla base delle singole categorie di reddito loro applicabili, come se si trattasse di
una persona fisica.
- per i soggetti IRES non residenti è previsto che siano imponibili i soli redditi prodotti nel territorio
dello Stato in base alle regole di localizzazione previste dall’art. 23 TUIR. (ad es. per i redditi
d’impresa sarà necessario che essi siano prodotti mediante una stabile organizzazione situata nel
territorio dello Stato).
Poi per le regole di determinazione della base imponibile del reddito d’impresa, occorre distinguere tra:
- principi generali di determinazione del reddito d’impresa (si rinvia per la trattazione al capitolo sul
reddito d’impresa)
- regole specifiche di determinazione del reddito d’impresa: si tratta delle regole riguardanti i
componenti attivi (ricavi, plusvalenze, sopravvenienze attive ecc.) e passivi (spese per prestazioni di
lavoro, interessi passivi, minusvalenze, ammortamenti ecc.) del reddito d’impresa, che danno luogo
ad una articolata e complessa disciplina.
Sul reddito così determinato, trova applicazione l’aliquota dell’imposta, attualmente pari al 27,50%,
misura che ha sostituito quella originaria del 33% nel 2008.
Per il periodo d’imposta, esso è determinato con riferimento all’esercizio o al periodo di gestione della

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 84


società o ente, determinato dalla legge o dall’atto costitutivo. Ove non sia determinato, o sia determinato in
due o più anni, il periodo d’imposta è costituito dall’anno solare.
L’imposta netta è determinata operando:
a) la detrazione per oneri di cui all’art. 78 t.u.i.r.
b) lo scomputo delle ritenute subite a titolo di acconto (art. 79 t.u.i.r.).
Per l’eventuale credito d’imposta invece, a scelta del contribuente, può essere chiesto a rimborso oppure
essere portato in detrazione nell’anno successivo.

5. La “partecipation exemption”.
L’ultimo istituto da esaminare, in quanto rilevante per la comprensione dell’istituto dell’IRES, attiene alla
c.d. “partecipation exemption” (o PEX) di cui all’art. 87 TUIR.
Le plusvalenze societarie sono strettamente connesse al valore attuale degli utili di impresa e le
partecipazioni costituiscono beni di secondo grado rappresentativi delle consistenze patrimoniali e delle
prospettive di reddito della società partecipata (beni di primo grado). Dividendi e plusvalenze sono redditi
della stessa natura da assoggettare allo stesso meccanismo di tassazione.

6.1. CONCETTI GENERALI.


6.1.1. BENI RELATIVI ALL’IMPRESA.
I beni dell’impresa sono complessivamente individuabili come beni “relativi all’impresa”. Essi
comprendono:
- i c.d. “beni merce” ossia quei beni alla cui produzione o scambio è destinata l’attività d’impresa.
- i beni diversi dai “beni merce”, a loro volta distinti in:
beni strumentali, i beni possono essere strumentali “per natura” o “per destinazione”;
nel primo caso, si tratta di quei beni immobili che per le loro caratteristiche non sono
suscettibili di diversa destinazione senza radicali trasformazioni”, anche se concessi in
locazione o comodato; nel secondo caso, si tratta di immobili che, pur ontologicamente
diversi da quelli strumentali, sono utilizzati nell’esercizio dell’attività d’impresa;
beni “meramente patrimoniali” ad es. un appartamento di civile abitazione posseduto
da una società e tenuto a disposizione o dato in locazione a terzi.
Nel caso delle società di capitali o di persone, sono beni “relativi all’impresa” tutti i beni ad esse
appartenenti, a qualsiasi titolo.
Nel caso degli imprenditori individuali, bisogna distinguere tra beni che appartengono alla sfera individuale
e familiare e quelli destinati all’esercizio dell’attività commerciale. In quest’ultimo caso i beni saranno
attratti alla categoria del reddito d’impresa.

6.1.2. NOZIONE DI COSTO


L’art. 110 detta una nozione di costo del bene di carattere generale, applicabile, salvo diversa disposizione,
ai fini di tutte le disposizioni relative alla determinazione della base imponibile delle società. Il costo è
assunto al lordo delle quote di ammortamento già dedotte. Nel costo si comprendono anche gli oneri di
diretta imputazione, esclusi gli interessi passivi.

6.2. I COMPONENTI POSITIVI.


I componenti positivi si articolano in ricavi (art. 85), plusvalenze (art. 86), plusvalenze esenti (art. 87)
sopravvenienze (art. 88), dividendi ed interessi (art. 89) proventi immobiliari (art. 90) e proventi e oneri non
computabili nella determinazione del reddito (art. 91). In particolare:

a) Ricavi (art. 85).


I ricavi riguardano i beni merce e sono definiti dall’art. 85 come
- i corrispettivi derivanti dalla cessione di beni e dalla prestazione di servizi alla cui produzione o al cui
scambio è diretta l’attività di impresa.
- i corrispettivi derivanti dalla cessione di materie prime e sussidiarie, dalla cessione di azioni o quote
di partecipazioni,

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 85


- le indennità conseguite a titolo di risarcimento
- i contributi in denaro spettanti sotto qualsiasi denominazione in base a contratto, oppure spettanti in
conto esercizio a norma di legge.

b) Plusvalenze (art 86).


Esse riguardano i beni diversi da quelli che formano oggetto di ricavi e, dunque, sia i beni strumentali, sia i
beni meramente patrimoniali. Possono derivare sia da operazioni economiche, sia da risarcimento del danno,
sia dalla mera iscrizione in bilancio, ma solo ove vi sia una legge che espressamente riconosca ai fini fiscali
la rivalutazione effettuata.
In linea generale, è, infatti, reddito ascrivibile all’impresa tutto ciò che concorre ad aumentarne il
patrimonio iniziale; sicché esiste un vero e proprio “regime fiscale dei beni di impresa” incentrato
sull’esigenza di rilevare il momento (e il valore) di ingresso e soprattutto quello di espulsione del cespite dal
patrimonio destinato all’esercizio dell’attività commerciale.

c) Sopravvenienze attive (art. 88).


Esse possono derivare:
- da ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese
- da ricavi o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il
reddito in precedenti esercizi.
- da indennità conseguite a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, per danni diversi da
quelli che danno luogo a ricavi e plusvalenze.
- da contributi e liberalità, esclusi i contributi che danno luogo a ricavi. Si tratta dei contributi in conto
capitale, destinati ad aumentare i mezzi patrimoniali dei soggetti beneficiari.

d) Dividendi ed interessi (art. 89).


Gli utili derivanti dalla partecipazione ai soggetti di cui all’art. 5 sono tassati per trasparenza. Gli utili
derivanti dalla partecipazione in soggetti IRES residenti sono tassati per il 5% del loro ammontare e
secondo il principio di cassa.
Per le partecipazioni in soggetti IRES non residenti, si ricorda che gli strumenti finanziari emessi da
soggetti non residenti si considerano dividendi alla duplice condizione che la remunerazione sia
esclusivamente correlata agli utili e che essa sia “totalmente indeducibile nella determinazione del reddito
dello Stato estero di residenza del soggetto emittente”.
Per quanto riguarda gli interessi, è previsto che ove non siano stati determinati per iscritto, essi si computano
al tasso legale.

e) proventi immobiliari
Le regole applicabili ai proventi immobiliari sono state già esaminate in sede dei redditi fondiari, quindi si
rinvia a tale capitolo.

f) Proventi ed oneri non computabili nella determinazione del reddito (art. 91)
Alcuni proventi non concorrono in tutto o in parte alla formazione del reddito. Tali sono quelli che fruiscono
di esenzioni ad hoc o quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva.

6.3. I COMPONENTI NEGATIVI

a) Spese per prestatori di lavoro (art. 95)


Il comma 1 disciplina le spese per prestazioni di lavoro dipendente, considerando interamente deducibili
nella determinazione del reddito anche quelle sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalità a favore dei
lavoratori.

b) Interessi passivi (art. 96).


L’art. 96 prevede una limitazione della deduzione degli oneri finanziari per la parte che eccede il 30% del
risultato operativo lordo della società. L’applicazione di tale disposizione presuppone due fasi: la prima,
volta ad individuare gli oneri finanziari interessati dalla norma; la seconda, volta a scomporre l’importo così

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 86


determinato in diverse componenti. Gli oneri finanziari sono individuati dal comma 3 che dà rilevanza agli
oneri derivanti da contratti di mutuo, di locazione finanziaria, dall’emissione di obbligazioni e titoli similari
e da ogni altro rapporto avete causa finanziaria, con esclusione degli interessi impliciti derivanti da debiti di
natura commerciali. Ma sono invece esclusi: gli interessi capitalizzati e gli interessi in ogni caso deducibili
ai sensi del comma 6. Sino a concorrenza dell’ammontare degli interessi attivi, gli oneri finanziari sono
interamente deducibili.

c) Oneri fiscali e contributivi (art. 99).


Ai sensi del comma 1 non sono ammesse in deduzione le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista
la rivalsa, anche facoltativa. Non sono altresì deducibili le imposte indeducibili per espressa disposizione
di legge (ad es. IMU e IRP, per entrambe le quali è adesso ammessa una deducibilità parziale).
Per le altre imposte (ad es. imposta di registro, imposta di bollo, tasse di concessione governativa ecc.) la
deducibilità è ammessa nel periodo di imposta in cui avviene il pagamento, a meno che esse non siano
state capitalizzate sul costo di acquisto quali oneri di diretta imputazione (nel qual caso seguiranno il
principio di competenza economica).
Per gli accantonamenti per imposte non ancora definitivamente accertate, il secondo comma disciplina
che sono deducibili nei limiti dell’ammontare corrispondente alle dichiarazioni presentate.

d) Minusvalenze patrimoniali, sopravvenienze passive e perdite (art. 101).


L’art. 101 disciplina innanzitutto le minusvalenze patrimoniali, che riguardano tutti i beni relativi
all’impresa diversi dai ricavi e dalle partecipazioni PEX. Esse si determinano secondo le medesime regole
applicabili alle plusvalenze.
Il comma 4 si occupa delle sopravvenienze passive che derivano:
- dal mancato conseguimento di ricavi o altri proventi
- dalla sopravvenuta insussistenza di attività iscritte in bilancio in precedenti esercizi. Nel caso di
insussistenza di attività acquistate o iscritte in bilancio nell’esercizio, siamo in presenza di una
perdita e non di una sopravvenienza.
Il comma 5 poi disciplina le perdite su crediti, affermando che le medesime sono in ogni caso deducibili se
risultano da elementi certi e precisi. Quest’ultimi si ritengono sussistenti quando, alternativamente:
- il credito è di modesta entità ed è decorso un periodo di 6 mesi dalla scadenza di pagamento;
- il diritto alla riscossione del credito è prescritto;
- la cancellazione del debito in bilancio è stata effettuata in applicazione dei corretti principi
contabili, come nel caso di estinzione dei diritti contrattuali.

e) Ammortamenti (artt. 102-104)


Il TUIT distingue l’ammortamento dei beni materiali da quello dei beni immateriali.

e.1) Beni materiali .


I beni materiali si dividono in beni mobili (impianti, macchinari, altri beni mobili) e dei beni immobili.
I beni immobili possono essere destinati alla produzione o allo scambio e in tal caso origineranno ricavi;
diversamente potranno essere strumentali (per natura o destinazione), oppure non strumentali. Solo quelli
strumentali possono formare oggetto di ammortamento. Il costo ammortizzabile è definito nell’art. 110. Le
quote di ammortamento sono deducibili a partire dall’esercizio di entrata in funzione del bene.

e.2) Beni immateriali.


L’art. 103 disciplina diverse fattispecie. Innanzitutto, l’ammortamento del costo dei diritti di utilizzazione
delle opere dell’ingegno, dei processi, formule e informazioni relative ad esperienze acquisite in campo
industriale, commerciale o scientifico, le cui quote sono deducibili in ciascun periodo d’imposta in misura
non superiore al 50% del costo. Poi le quote di ammortamento del costo dei marchi d’impresa, le cui quote
sono deducibili in ciascun periodo d’imposta in misura non superiore ad 1/18 del costo.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 87


In terzo luogo, l’ammortamento dei diritti di concessione e degli altri diritti iscritti nell’attivo del
bilancio, le cui quote sono deducibili in misura corrispondente alla durata di utilizzazione prevista dal
contratto o dalla legge.

f) Accantonamenti (artt. 105-107)


Gli accantonamenti rappresentano un comportamento economico/contabile dettato dalla necessità di “tener
conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio, anche se non conosciuti dopo la chiusura di
questo”. Si distingue in particolare tra:
- fondi oneri, che accolgono accantonamenti destinati a coprire uscite future di competenza
dell’esercizio. Tali uscite sono di esistenza certa, ma non ancora definite esattamente
nell’ammontare.
- fondi rischi, che accolgono accantonamenti a fronte di spese o perdite potenziali di esistenza
probabile, ma indeterminati nell’ammontare.

g) Spese relative a più esercizi.


L’art. 108 disciplina diverse tipologie di spese. Innanzitutto al comma 1 le spese relative a studi e ricerche,
deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute ovvero in quote costanti in un massimo di cinque
esercizi. In secondo luogo, al comma 2 ci parla di spese di pubblicità e propaganda e quelle di
rappresentanza. Le prime rispetto alle seconde danno luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite,
le seconde invece sono solo un costo per creare mantenere o accrescere il prestigio della società.
Il comma 3 tratta delle altre “altre spese relative a più esercizi, diverse da quelle considerate nei commi 1
e 2”, disponendo che esse sono deducibili nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio. Si fa
riferimento ai principi contabili nazionali.
Infine il comma 4 precisa che le spese di cui all’art. 108 sostenute dalle imprese di nuova costituzione sono
deducibili secondo le disposizioni dei commi 1,2 e 3 a partire dall’esercizio in cui sono conseguiti i primi
ricavi.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 88


PARTE 4: L’IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO

CAPITOLO 23. LINEAMENTI DELLA DISCIPLINA DELL’IVA

L’IVA QUALE TRIBUTO COMUNITARIO.


L’imposta sul valore aggiunto, introdotta in Italia con il d.p.r. 633/1972, in attuazione delle direttive 67/227
e 67/228/CEE, 1968, può definirsi un “tributo comunitario” (europeo).
Si tratta di un imposta istituita a livello comunitario (europeo) al fine di perseguire lo scopo che
favorisce la libera circolazione di beni, persone e capitali in un unico mercato.
L’IVA nasce come imposta sugli scambi operante in modo neutrale rispetto alla fase di produzione e di
scambio dei beni, a seguito dell’abolizione dei dazi doganali e del divieto dell’utilizzo in funzione
discriminatoria del tributo per favorire la produzione nazionale rispetto a quella di un altro Stato membro (cfr
art.110-113 TFUE).
La direttiva 2006/112/CE costituisce l’attuale testo di riferimento a livello europeo della disciplina
dell’IVA.
Oltre che per la sua disciplina a livello comunitario, l’IVA può considerarsi un tributo europeo per altre
due ragioni:

1) Una quota del gettito dell’IVA è destinata al finanziamento delle politiche comunitarie.
2) La sua interpretazione pregiudiziale è rimessa ad un giudice ad hoc (CGUE).

IL MECCANISMO DEL TRIBUTO ED IL PRESUPPOSTO DELL’IVA


In generale le imposte sui consumi, cui l’IVA è ascrivibile, possono corrispondere a diversi modelli:

1) Consiste nell’assumere come imponibile il valore pieno dei corrispettivi praticati, ma solo nell’ultima
fase degli scambi (imposta monofase).
2) Consiste nell’assumere come imponibile il valore pieno dei corrispettivi praticati in ogni singolo
scambio (imposta plurifase cumulativa).
3) Consiste nell’applicare l’imposta ad ogni singolo scambio, ma solo sul valore aggiunto (imposta
plurifase sul valore aggiunto).

Prima dell’IVA nel nostro ordinamento vigeva l’IGE ( posta Generale sulle Entrate); che corrispondeva al
secondo modello e non possedeva il carattere né di trasparenza né di neutralità.
L’ IVA, invece, è un’imposta plurifase non cumulativa, applicata ad ogni fase del ciclo produttivo -
distributivo, ma solo sulla differenza tra l’imposta sulle operazioni attive e quella sugli acquisti ( metodo di
calcolo c.d. “da imposta a imposta”).
In tal modo l’ammontare dell’imposta complessivamente versata all’Erario è sempre identico, così il prelievo
si configura come neutrale.
Il meccanismo dell’IVA coinvolge tre soggetti: un fornitore, un cliente e l’Erario.
Il fornitore deve addebitare in via di rivalsa al cliente il tributo e, a sua volta, deve versarlo all’Erario, al
netto tributo da lui stesso corrisposto ai propri fornitori: l’IVA sui beni e servizi acquistati nell’esercizio di
imprese, arti o professioni, può essere a sua volta detratta dall’IVA sulle operazioni attive. Questo calcolo
(liquidazione del tributo) avviene non per singola operazione, ma per masse: con riferimento a tutte le
operazioni attive e passive effettuate in un determinato periodo.
L’IVA non può essere detratta dal consumatore finale, che si limita a pagare l’IVA sul valore pieno. Così
l’imposta colpisce il consumo finale, mostrandosi invece neutrale nei passaggi intermedi tra produttori,
commercianti e professionisti. In sostanza quindi, il peso dell’IVA grava sul consumatore finale.
Il meccanismo applicativo dell’imposta è, dunque, incentrato sulla neutralità, del tributo per i soggetti IVA
attraverso l’esercizio della rivalsa e il diritto alla detrazione.

GLI ELEMENTI DEL TRIBUTO. IL PRESUPPOSTO OGGETTIVO

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 89


Ai sensi dell’art. 1 d.p.r. 633/1972: “l’imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e le
prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e
professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate”.
Tale norma delinea il campo di applicazione del tributo con riferimento a tre presupposti: oggettivo,
soggettivo e territoriale. Inoltre fa riferimento all’ avvenuta “effettuazione” cui accede, l’ulteriore concetto
di “esigibilità” dell’imposta.

Iniziando dal profilo oggettivo dell’operazione, esso risulta dalle cessioni di beni e dalle prestazioni di
servizi (artt. 2 e 3).
In entrambi i casi deve trattarsi di attività economiche svolte in un mercato concorrenziale e pertanto
suscettibili di determinare effetti distorsivi. Ne restano pertanto estranee quelle attività che siano illecite in
senso assoluto, ma non anche quelle in senso relativo.

a) Cessioni di beni

Le caratteristiche della cessione sono la presenza di un atto, i suoi effetti giuridici traslativi o costitutivi, la
sua onerosità e l’oggetto costituito da un bene.
Non si ha cessione quando si tratti di un diritto reale di garanzia o personale di godimento odi un acquisto a
titolo originario.
Riguardo l’atto è sufficiente un qualsiasi atto produttivo di effetti giuridici traslativi e costitutivi.
Quanto al titolo oneroso non occorre necessariamente un contratto a prestazioni corrispettive ; ma deve
esserci una controprestazione ( compenso costituente il controvalore del servizio reso).
Art.2: serie tassativa di ipotesi assimilate alle cessioni, cui mancano alcuni elementi della nozione generale.
Dunque vi rientrano:

- Vendite con riserva di proprietà e delle locazioni con clausola di trasferimento della proprietà
vincolante per entrambe le parti.

- I passaggi dal committente al commissionario o viceversa di beni venduti o acquistati in esecuzione


di contratti di commissione.

Vi è poi una serie di assimilazioni che trovano la loro giustificazione nell’evitare l’immissione in consumo di
un bene senza pagamento dell’imposta:

- Cessioni gratuite di beni.


- Destinazione di beni all’uso o al consumo personale o familiare dell’imprenditore.

In entrambe le ipotesi l’assimilazione non opera se non è stata operata la detrazione dell’imposta
sull’acquisto.

Infine sono assimilate alle cessioni onerose le assegnazioni ai soci fatte a qualsiasi titolo da società di ogni
tipo e le analoghe operazioni fatte da enti privati o pubblici.

b) prestazioni di servizi

Ai sensi dell’art. 3, co 1, “ costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni di servizi le prestazioni verso


corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione,
deposito, e in genere obbligazioni da fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”.
Manca, dunque, una definizione generale del concetto di prestazione, in quanto il legislatore si limita a far
riferimento alle prestazioni verso corrispettivo dipendenti da una serie di contratti, tipicamente riconducibili
al compimento di un’opera o di un servizio. Si tratta di una indicazione meramente esemplificativa.
Nonostante la diversa espressione utilizzata rispetto alla cessione di beni si tratta del medesimo significato,
comprensivo di rapporti non nascenti da contratti a prestazioni corrispettive. Esso sarà soddisfatto, anche in

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 90


questo caso, quando vi sia una controprestazione.
Le prestazioni di servizi rilevano, se di valore superiore a 50 euro, anche se effettuate da imprenditori per
uso personale o familiare, ovvero a titolo gratuito per attività estranee all’esercizio dell’impresa. Anche in
questo caso è tuttavia richiesto che l’IVA “a monte” sia detraibili, confermando la finalità di evitare che il
bene sia immesso in consumo in violazione del principio di neutralità.
Il comma 2 prevede le assimilazioni per:
- le concessioni di beni in locazione, affitto, noleggio o simili;
- le cessioni, concessioni e licenze relative ai beni immateriali (diritti d’autore, invenzioni, disegni, ecc.);
- i prestiti di denaro;
- le somministrazione di alimenti e bevande;
- la cessione di contratti di ogni tipo e oggetto.

IL PRESUPPOSTO SOGGETTIVO

Per quanto riguarda il presupposto soggettivo, gli artt. 4 e 5 definiscono rispettivamente l’esercizio di
imprese e l’esercizio di arti e professioni.
Ai sensi dell’art. 4, comma 1, “per esercizio di impresa si intende l’esercizio per professioni abituale,
ancorché non esclusiva, delle attività commerciali o agricole di cui agli artt. 2135 e 2195, anche se non
organizzate in forma di impresa, nonché l’esercizio di attività, organizzate in forma d’impresa, dirette alla
prestazione di servizi che non rientrano nell’art. 2195 c.c.”.
Requisiti fondamentali per gli imprenditori individuali sono essenzialmente due:

1) deve trattarsi di una delle attività indicate nell’art. 2195 c.c. oppure nell’art. 2135, anche se svolta in
mancanza di organizzazione in forma di impresa.
2) l’abitualità, intesa come non “occasionalità”, da verificarsi in concreto rispetto alle singole attività
svolte. Dovrà in ogni caso trattarsi di atti svolti in modo sistematico e coordinato in vista di un fine
unitario, tali da costituire una vera e propria attività.

Non è richiesta, invece, l’esclusività dell’attività.


Per quanto riguarda la nozione di esercizio di atti e professioni, l’art. 5, comma 1, dispone che per esercizio
di arti e professioni si intende: “l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi
attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche ovvero da parte di societa semplici o di associazioni
senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata delle attività
stesse”.
Tale categoria comprende sicuramente le professioni intellettuali o artistiche, ma anche tutte quelle attività di
prestazione di servizi, diverse da quelle rientranti nell’art. 2195 c.c., che difettano del requisito
dell’organizzazione in forma di impresa.

IL PRESUPPOSTO TERRITORIALE

L’art. 1 richiede, infine, che la cessione di beni o prestazione di servizi sia effettuata nel territorio dello Stato.
L’individuazione del requisito territoriale è fondamentale i quanto consente di stabilire che l’operazione è
“soggetta” ad IVA in quel determinato Stato e non in un altro, il quale Stato pertanto diventa creditore di
quella determina imposta. Al tempo stesso, gli effetti giuridici dell’IVA addebitata in quel determinato Stato
devono esaurirsi in quello stesso Stato.

L’art. 7 con la innanzitutto, la nozione di territorio, distinguendo tra territorio dello stato e territorio della
comunità.
Per quanto riguarda il territorio dello Stato, si tratta del territorio della Repubblica italiana, vale a dire quello
soggetto alla sua sovranità. Non comprende, invece, i comuni extradoganali di Livigno e di Campione
d'Italia e le acque nazionali del lago di Lugano.
Per quanto riguarda le regole generali di territorialità, È necessario distinguere tra cessioni di beni e
prestazioni di servizi.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 91


Per integrare il requisito della territorialità, la cessione di un bene, immobile con mobile, deve riguardare un
bene esistente fisicamente nel territorio dello Stato al momento in cui e se si considerano effettuate.

IL MOMENTO DI EFFETTUAZIONE DELL’OPERAZIONE E L’ESIGIBILITÀ DELL’IMPOSTA

L'articolo 6 disciplina il momento di effettuazione delle operazioni e l'esigibilità dell’imposta.


In particolare, effettuazione riguarda l' operazione (cessione di beni o prestazioni di servizi), mentre
l’esigibilità si riferisce all’imposta (segnatamente, al diritto dell’Erario a percepire l’imposta).
Di regola, l’esigibilità dell’imposta ed il momento di effettuazione coincidono, ma possono esservi dei casi
in cui l’esigibilità dell’imposta è differita.
Il momento di effettuazione dell’operazione è rilevante anche sotto altri profili: esso condiziona, infatti, il
meccanismo di applicazione dell’IVA e fissa l’operazione nel tempo.

LE CATEGORIE DI OPERAZIONI AI FINI DELL’APPLICAZIONE DELL’IMPOSTA. IL


VOLUME D’AFFARI
È possibile individuare diverse categorie di operazioni ai fini IVA:

1) Operazioni imponibili. Integrano i presupposti soggettivo, oggettivo e territoriale e comportano


l’addebito dell’imposta secondo le aliquote vigenti. Nella categoria delle operazioni imponibili sono
comprese: le cessioni di beni all'interno del territorio nazionale, le prestazioni di servizi rese nel territorio
nazionale, gli acquisti intra-UE le importazioni.

1) Operazioni non imponibili. Consistono nelle esportazioni e non comportano l'addebito dell'imposta nei
confronti del concessionario ovvero del committente, in quanto si assume che il consumo avverrà in
territorio diverso da quello italiano. Tuttavia, esse consentono la detrazione dell'Iva assolta a monte
sugli acquisti di beni e servizi inerenti alla specifica attività economica esercitata.

1) Operazioni esenti. oNn comportano l'addebito dell'imposta ma, diversamente dalle operazioni non
imponibili, non concedono loro volta a chi le pone essere il diritto alla detrazione dell'imposta assolta a
monte. Ne consegue che il soggetto passivo che effettua attività che danno luogo a operazioni esenti, si
colloca nella medesima situazione del consumatore finale. Per quanto riguarda il relativo contenuto, la
tipologia delle operazioni esenti è molto ampia ed eterogenea e deve considerarsi tassativa.

1) Operazioni escluse/fuori campo IVA/non soggette. Si tratta, in primo luogo, di quelle operazioni che
difettano di tutti e tre i presupposti. Vi sono poi le operazioni escluse in senso tecnico. In ogni caso tali
operazioni non prevedono né l’applicabilità del tributo, né l’adempimento degli obblighi formali, né
il diritto alla detrazione.

LA BASE IMPONIBILE E L’ALIQUOTA

Ai sensi dell’art. 13, comma 1, la base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi, è data
dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o al prestatore secondo le condizioni
contrattuali; non ha dunque rilievo il valore normale o il valore venale dell’oggetto del contratto, ma il
corrispettivo pattuito.
Sono compresi nell’imponibile anche gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione, nonché i debiti e gli oneri
verso terzi accollati al cessionario o al committente e le integrazioni dovute da altri soggetti.
Ai sensi dell’art. 15, non concorrono, invece, a formare la base imponibile: gli interessi moratori e le penalità
in genere come ritardi o altre irregolarità negli adempimento degli obblighi del cessionario o del
committente; e le somme dovute a titolo di risarcimento del danno.

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L’aliquota, invece, è pari al 22% in misura ordinaria, ridotta al 10% per i generi di largo consumo e
un’aliquota ancor più ridotta, 4%, per i generi di prima necessità.

LA RIVALSA E LA DETRAZIONE

Il binomio rivalsa-detrazione consente il funzionamento dell’imposta pluriclasse sul valore aggiunto.


La rivalsa e la detrazione sono disciplinate rispettivamente agli artt. 18 e 19.

A) Secondo l’art. 18, il soggetto che effettua la prestazione di beni o la cessione di servizi deve addebitare la
relativa imposta a titolo di rivalsa al cessionario o al committente.
Il diritto di rivalsa è quindi un credito del soggetto passivo dell’IVA, nei confronti della controparte
contrattuale (cessionario o committente), che si aggiunge, per effetto di legge, al corrispettivo pattuito.
Il credito sorge, in concreto dall’addebito dell’IVA nella fattura. La fattispecie da cui scaturisce il diritto di
rivalsa è composta, perciò, di due elementi: la effettuazione di un’operazione imponibile e la emissione
della fattura.

Il soggetto passivo IVA, quando effettua una operazione imponibile, deve emettere fattura addebitando “la
relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o committente”.
La rivalsa, oltre che un diritto, è un obbligo. L’obbligo ha per oggetto l’emissione della fattura, con addebito
della rivalsa. Il soggetto passivo IVA ha l’obbligo di far sorgere il diritto di rivalsa; ha l’obbligo, in altri
termini, di costituirsi creditore.

B) Ai sensi dell’art. 19, per la determinazione dell’imposta dovuta, è detraibile dall’imposta sulle operazioni
effettuate (quindi dall’IVA sulle vendite o “a valle”), l’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui
addebitata a titolo di rivalsa per i beni o servizi importati o acquistati nell’esercizio della propria attività di
impresa, arte o professione. Ciò vale anche per i beni importati.
La detrazione, quindi, consente al soggetto passivo (o debitore dell’imposta) di recuperare il tributo a lui
addebitato in via di rivalsa dal cedente o dal prestatore, consentendogli di non rimanere inciso dall’imposta.

L’imposta è detraibile solo se inerente all’esercizio delle attività svolte, nel senso che il bene o il servizio
acquistato deve essere collegato all’attività del soggetto passivo.
L’imposta è detraibile dal cliente se addebitata sulle fatture di acquisto rilasciate dai fornitori di beni e
servizi, indipendentemente dall’avvenuto pagamento del relativo importo da parte del cliente stesso. (c.f.r.
credito di rivalsa).

Vi sono tuttavia dei casi in cui la detrazione non è ammessa, distinguendo due categorie:

1. ipotesi di indetraibilità c.d. oggettiva, disciplinate all’art. 19-bis. Per alcuni beni e servizi (ad es;
aeromobili, autovetture e autoveicoli, navi ecc.) sono infatti previste limitazioni (totali o parziali) al
diritto di detrazione, a meno che essi non formino oggetto dell’attività propria dell’impresa.
2. ipotesi di indetraibilità c.d. soggettiva, disciplinata dall’art. 19, comma 2 e 3. In particolare, si precisa
che non è detraibile l’imposta riguardante l’acquisto o l’importazione di beni e servizi afferenti
operazioni esenti, o comunque non soggette all’imposta. In altri termini, il soggetto che effettua questa
tipologia di operazioni non è ammesso a portare in detrazione l’IVA sugli acquisti su beni o servizi
utilizzati per effettuarle.

In sostanza, il diritto di detrazione, così come la rivalsa, realizza la neutralità dell’IVA.

I SOGGETTI PASSIVI E IL C.D. “REVERSE CHARGE”

L’individuazione di chi è tenuto al pagamento dell’imposta, per la quale si siano verificati tutti i presupposti
(soggettivo, oggettivo e territoriale), trova applicazione ai sensi dell’art. 17.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 93


In particolare, “l’imposta è dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi
imponibili, i quali devono versarla all’Erario, cumulativamente per tutte le operazioni effettuate e al netto
della detrazione, prevista nell’art. 19..”.

Sono quindi soggetti passivi ai fini IVA coloro che esercitano attività di impresa.
Il comma 2 prevede, tuttavia, che nel caso di cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nel territorio
dello Stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, i
relativi obblighi sono adempiuti dai cessionari o committenti.
In altri termini, quando l’operazione si considera effettuata in Italia ed è stato un soggetto estero a porla in
essere, è il soggetto passivo cessionario o committente residente che porrà1 in essere gli obblighi di
fatturazione e versamento.
Vi è dunque un generalizzato obbligo di c.d. “reverse charge” (o inversione contabile) per tutte le cessioni di
beni e tutte le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti nei confronti
di soggetti “stabiliti” in Italia.

Più esattamente, il cessionario/committente:

- procederà ad emettere una “autofattura” nell’ipotesi in cui il fornitore di beni o servizi sia un soggetto
stabilito fuori dall’UE.
- procederà invece ad una “integrazione della fattura” nell’ipotesi in cui tale fornitore sia stabilito (non
semplicemente identificato) nella UE e dunque sia già tenuto ad emettere fattura.

Il successivo comma 3 dispone, infine, che nel caso in cui gli obblighi (fatturazione e versamento) o i diritti
(si pensi al diritto al rimborso dell’imposta pagata) derivanti dall’applicazione delle norme IVA siano
previsti a carico ovvero a favore di soggetti non residenti e senza stabile organizzazione in Italia, i medesimi
sono esercitati, nei modi ordinari, dagli stessi soggetti direttamente ovvero tramite un loro rappresentante
fiscale.
Le disposizioni di cui ai citati commi 2 e 3 non si applicano, ovviamente, per le operazioni effettuate da o nei
confronti di soggetti non residenti, qualora le stesse siano rese o ricevute per il tramite di stabili
organizzazioni nel territorio dello Stato.

In tale contesto, il “reverse charge” nasce dall’esistenza di frodi ai fini IVA nelle quali il fornitore, dopo aver
addebitato l’IVA al cliente, si sottrae nei modi più diversi al relativo versamento restando tuttavia fermo il
diritto alla detrazione in capo al cessionario o al committente, salvo dimostrarne la malafede o la connivenza
con il fornitore. (c.d. “frodi carosello”). In questo modo, lo Stato si trova dinanzi ad un suo debito senza aver
mai incassato la corrispondente IVA.
Per contrastare tale tipologia di frodi, si è pertanto esteso a talune operazioni e per determinati settori a
maggior rischio (ad es., subappalti, fabbricati abitativi e strumentali), il meccanismo del c.d. “reverse
charge”, sulla base del quale il soggetto cedente non addebita l’IVA in fattura, non facendo pertanto sorgere
alcun suo debito nei confronti dell’Erario, ma emette fattura senza applicazione dell’imposta.

GLI ADEMPIMENTI FORMALI


Sul soggetto passivo gravano numerosi adempimenti formali, che di seguito si illustrano.

1. Il primo adempimento consiste nella presentazione della dichiarazione d’inizio attività (art. 35). Infatti,
chi intraprende l’esercizio di un’impresa arte o professione nel territorio dello Stato deve presentare
all’Agenzia delle entrate una dichiarazione di inizio attività, ricevendo un numero di partita IVA, che lo
identifica come soggetto passivo. Si tratta di una comunicazione che ha ad oggetto i dati identificativi del
contribuente, l’attività che si intende svolgere, i luoghi in cui la si intende esercitare e il luogo dove è
tenuta la contabilità. Essa deve essere effettuata entro 30 giorni dall’inizio dell’attività utilizzando un
modello approvato con provvedimento del Direttore generale dell’Agenzia delle entrate a pena di nullità.
Effettuata tale comunicazione all’Agenzia delle entrate, al contribuente viene attribuito un numero di
partita IVA che diventa il numero identificativo del contribuente.

RIASSUNTI – LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 94


2. Il successivo adempimento che il contribuente deve porre in essere è quello della “fatturazione”,
disciplinato all’art. 21. Per ciascuna cessione o prestazione il soggetto che la effettua deve emettere
fattura, non oltre il momento di effettuazione, formando un documento in duplice esemplare e
consegnandone o spedendone una copia alla controparte. Non è pertanto sufficiente compilare la fattura
ma la stessa deve essere consegnata o spedita all’altra parte. La fattura, datata e numerata
progressivamente, deve possedere un determinato contenuto, indicando, tra l’altro: - le parti tra cui
avviene l’operazione e relativi elementi identificativi; - la natura, la qualità e la quantità dei beni ceduti; -
l’imponibile, l’aliquota e l’ammontare dell’imposta.
Tra le funzioni della fattura si configura la possibilità di documentare l’operazione, agevolare il controlla
da parte dell’Amministrazione finanziare, nonché di esercitare la rivalsa e la detrazione dell’imposta.
3. Le fatture devono poi essere registrate. Si distinguono, in particolare, tre registri: a) il registro delle
fatture, il registro dei corrispettivi e il registro degli acquisti, rispettivamente disciplinati agli artt. 23, 24
e 25. Le fatture emesse devono essere annotate, entro 15 giorni, in un apposito registro (c.d. “delle
vendite”).
4. Annotate le operazioni, il contribuente può procedere alla c.d. liquidazione, intesa quale determinazione
della differenza tra l’IVA “a debito”. Le liquidazioni avvengono con periodicità “mensile” o
“trimestrale”.
Infine, il contribuente deve presentare la dichiarazione annuale. Essa si risolve in un riepilogo degli
adempimenti già eseguiti (liquidazioni e versamenti periodici) e nella liquidazione definitiva, in relazione
alle operazioni attive e passive effettuate nell’intero periodo d’imposta. La dichiarazione annuale deve
essere presentata e redatta a pena di nullità su un apposito modello approvato dal Ministero dell’Economia e
delle Finanze, da trasmettere in via telematica all’Agenzia delle entrate. La dichiarazione annuale IVA è
obbligatoria anche se non sono state effettuate operazioni imponibili. È tuttavia esonerato chi abbia
effettuato soltanto operazioni esenti, salvo che si debba provvedere alla rettifica della detrazione o abbia
registrato operazioni intracomunitarie.

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