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Categorizzare l’utenza,

praticare la differenza:
Gli incontri dei migranti con i servizi
e la società italiana
 La possibilità di accedere a diritti sono influenzate dalle
visioni (stigmatizzanti o compassionevoli) che gli operatori
elaborano dei cittadini migranti
 Non è raro che si costruiscano delle categorizzazioni in
base alle quali alcuni gruppi sono più stigmatizzati di altri,
che si traducono in atteggiamenti discriminatori verso
chi è rappresentato come un utente poco «meritevole»
Diversi operatori addetti agli sportelli informativi tendono ad
avanzare giudizi e stabilire gerarchie tra gli utenti in base
all'appartenenza etnica e culturale dei migranti

“i nordafricani per me sono i peggiori”,


“i musulmani ti piantano grane se non risolvi tutto e subito
[...] queste sono robe che non capitano, per dire, con un
pakistano o con un cinese…magari lì entrano in gioco altri
fattori”
«Io non sono razzista ma…»

• Può accadere che operatori modulino la propria disponibilità e


flessibilità a seconda del gruppo etnico e religioso a cui
l’utente appartiene.
• Per esempio, in uno sportello pubblico un operatore tende aiuta una donna
ucraina a portare il figlio in Italia, prodigandosi per “riaggiustare” le
procedure burocratico-istituzionali, ma non si impegna ugualmente per
agevolare la ricerca di un alloggio da parte di un cittadino nigeriano,
manifestando con l’utente un atteggiamento inflessibile, teso a trincerarsi
dietro le norme e la burocrazia.
Stereotipi etnocentrici

I migranti, in particolare le donne, vengono percepiti come


riproduttori di «tradizioni locali», proiettando sui contesti
di origine stereotipi etnocentrici quali l’Africa come sede di
arcaicità e primordialità
- Per esempio, nei servizi per l’infanzia il mancato rispetto
degli orari o la scarsa partecipazione alla vita scolastica da
parte di alcuni genitori nigeriani è stato ricondotto all’idea
stereotipica secondo la quale gli “africani” avrebbero una
concezione del tempo radicalmente “altra” rispetto a quella
occidentale
- I migranti sono a volte costruiti come «utenti indisciplinati» e
«genitori inadeguati»
Visioni compassionevoli

Nei servizi consultoriali le donne immigrate appaiono


come vittime passive che devono essere «emancipate»
da una condizione di ignoranza e subordinazione. Per es.
l’invisibilità e passività nei servizi ricondotta a una visione
etnocentrica che lega l’Islam alle disparità di genere
La vedi che lei parla in arabo sottovoce con lui, lui ti parla
a voce alta, ma poi non sai se ha tradotto effettivamente
quello che ha detto lei… ti viene il dubbio che sia lui,
comunque, a dirigere il gioco perché comunque lei
l’italiano lo sparlucchia… allora mi chiedo, perché non può
farlo lei?…Questo per noi è un problema perché blocca la
tua possibilità di dialogare in modo profondo con lei […]
Poi non è sempre così, per esempio tempo fa abbiamo
avuto una di queste madri che era molto autonoma, che –
come dire – aveva fatto un salto importante rispetto
all’inizio… però pensi proprio alle condizioni di queste
donne che hanno ereditato dai loro paesi […] poi vai a
casa e non ti succede quasi mai che ne so di vedere gli
uomini… nemmeno nei corsi preparto… noi facciamo
molti incontri solo dedicati ai papà… devo dire che non è
che gli italiani vengano proprio in massa, però i
musulmani ecco… loro li vedi proprio poco… ma dove
sono questi uomini? [Valeria, ginecologa, 54 anni].
- Dall’altro lato, le donne africane sono agli occhi delle
operatrici sanitarie più “disciplinate” delle utenti italiane

Daria [ostetrica, 41 anni]: Però poi dipende. Perché poi in certi


casi mi trovo anche meglio con le straniere… Per esempio,
delle volte le vedi le italiane che con il seno mollano subito…
appena c’è un problema… e via di artificiale! Mentre loro…
forse per cultura… sono più istintive in questo... le africane
soprattutto. Sì, ricordo una donna africana che ha allattato tutti
e quattro i figli, e dico quattro, fino ai due o tre anni… trovala
un’italiana che faccia così! È vero che poi ti arrivano che già
ormai in ospedale gliel’hanno già dato ma, come dire, le
italiane si arrendono subito… forse dovrebbero un po’
imparare da loro.
Le condizioni di invisibilità e le asimmetrie non sono
legate alle culture di origine ma alle condizioni marginali
nel contesto di approdo
- i mariti sono risorse ricercate per compensare le difficoltà di
interagire con le istituzioni sanitarie (norme implicite,
paura di non farsi capire, ecc.)
- La mediazione non è sempre una risorsa ricercata (la
visione riduttiva della mediazione)
- La mancanza di reti sociali e parentali nel contesto di
approdo (i tempi di vita e i tempi istituzionali)
- Precarietà giuridica e materiale legata al lavoro
- Le donne non appaiono passive riproduttrici di «tradizioni
locali» ma producono un proprio sapere sulla maternità
negoziando più riferimenti simbolici e saperi sul corpo
(memorie locali di provenienza e risorse del contesto di approdo)

Voi tenete testa così… ma non è buono… testa si schiaccia. Da


noi così è buono [mostra con la mano]. Devi tenere tutta la testa
nella mano, non schiacciare, vedi? [mostra di nuovo]. Dopo ho
visto là [al Consultorio] che si fa anche così; loro dicono che è
meglio per respirazione del bambino. […] alla fine facevo un po’
a metà. Veniva così [Na’weh, 42 anni, congolese, 3 figli].
- I compiti di cura, maternage sono
rivisitati, reinterpretati e
rinegoziati nella migrazione.
Marie Desirée, madre burkinabè
di due bambine, ha mostrato per
esempio come alcune funzioni e
pratiche culturali relative
all’allattamento o meglio alla
«produzione del buon latte»,
svolte nella società di origine
dalle donne della famiglia, siano
state affidate in Italia ad alcune
connazionali e donne immigrate
di prima generazione
I ruoli di coppia vengono rinegoziati nella migrazione
- Padri che partecipano più attivamente ai compiti di cura
- Madri che a volte sopperiscono a più compiti nella sfera domestica in
virtù degli orari lavorativi estesi dei mariti mentre nei contesti di origine la
condivisione dei compiti di cura sviluppava all’interno di una famiglia
“allargata”, che accoglieva più nuclei uniti da un legame di parentela

Con primo [figlio] in Marocco nessuno problema… Mio marito faceva… tipo
ingegnere. Lavoro era tanto ma era tanto anche la famiglia. […] era un po’ che
dipendeva da momento. Chi poteva, faceva. Non era tu fai questo e io faccio
quello. […] Poi eravamo anche tanti nella casa… miei genitori erano in casa,
anche fratello di mia mamma e sua famiglia […] Qua tutto cambia. Per seconda,
quella piccola, lui tanto tempo è per lavoro… fa tante ore… è così qua… deve
tenere lavoro! E io… io faccio per la casa. Faccio per bambini. Per tutto. Lui dice
sempre: “fai tu come vuoi”…così per scuole, per nido di Farah [Hanifa, 36 anni].
• Posizionamenti fluidi e forme ibride che si iscrivono nel
corpo (incorporazione)
• Spesso proprio attraverso il corpo sfidano gli essenzialismi di
senso comune che li categorizzano come stranieri all’infinito,
come mostrano le più giovani generazioni
Figli della migrazione

• Cittadinanza, legge L91/1992 ius sanguinis


• Rimandati alle proprie radici come stranieri all’infinito
• Sfidano visioni essenzialiste dell’identità che spesso
vengono restituite dalla società italiana e nei servizi
Posizionarsi sul confine

- Rifiutano ogni definizione rigida dell’identità culturale e fanno


un uso plurale e dinamico della propria differenza (Bosisio et
al., 2005; Colombo, 2007): il bilinguismo, l’accesso a più codici
simbolici e a più modelli comportamentali si configurano come
risorse a disposizione che vengono utilizzate in modo dinamico
e ‘tattico’

- ‘Ibridazione culturale’ vs incommensurabilità dei mondi


simbolici e culturali
- Rifiutano le domande di assimilazione della società
italiana ma anche le domande di lealtà ai valori
comunitari avanzate dalle famiglie
- Mediatori informali, diventando per certi aspetti
«genitori dei loro genitori»
- Costruiscono la propria identità rinegoziando norme,
forme simboliche e significati culturali, che si pongono in
un “rapporto dialettico di continuità e rottura” con
l’esperienza delle generazioni precedenti (Salih, 2006).
- Es. Molteplici significati e pratiche legate al velo
islamico
Dibattito sullo ius soli ma anche cittadinanza agita e
‘praticata’(Riccio, Russo 2011)
Si, io sono straniero, è una cosa effettiva. Se mi danno la
cittadinanza, è una cosa burocratica, io sono sempre uno
straniero, se cammino per strada sono sempre un marocchino,
non ti credere.. anche se fai vedere il passaporto rosso di
cittadino italiano sei sempre marocchino… agli occhi della
legge sei diventato un italiano a tutti gli effetti ma, agli occhi
della gente che non lo sa, rimani uno straniero.

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