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Letteratura italiana Geri 29/09/21 1.

Affronteremo la commedia dando rilievo : ai campi semantici ( il sistema delle metafore e delle
similitudini, dei simboli connessi tra loro ), all’architettura narrativa che è un tutt’uno con quella
spaziale della commedia (l’invenzione di Dante è di dare una geografia all’aldilà). Questi sono
elementi che possono essere separati singolarmente ma nella mente di Dante sono un tutt’uno.
Vediamo questa unione fra le due cose vedendo l’importanza del campo semantico equoreo cioè il
campo semantico che riguarda le metafore, i simboli, le parole relative al mare e alla navigazione.
Difatti l’immagine scelta per la slide è una metafora dantesca legata al primo canto del purgatorio,
del “correr miglior acque”, cioè intraprendere un viaggio per mare meno triste del viaggio
nell’inferno.
Partiamo dai versi più famosi, quelli del primo canto dell’Inferno :

E come quei che con lena affannata, (1)


uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l'acqua perigliosa e guata,
così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.

L’equoreo è introdotto nella commedia per la prima volta come una similitudine, e Dante
inizia a fare capire che il suo viaggio nella commedia, e il viaggio della scrittura della commedia
sono come un viaggio per mare e ciò ci fa comprendere l’importanza del mito di Ulisse e degli
Argonauti, perché questa struttura simbolica si appoggia su un simbolismo pagano, una serie di
miti cristianizzati, interpretati da Dante e in fondo la metafora più grande è quella del grande mare
dell’essere. Questo grande mare dell’essere Dante è nocchiero, che rischia il naufragio
inizialmente simbolo del peccato, e arriva a solcare un mare, mai prima navigato, per questo gli
argonauti ( i primi uomini ad aver preso il mare, ad aver sfidato i limiti posti dalla natura, le
conoscenze dell’uomo ). Dante dopo aver descritto velocemente, accennato alla selva, del
cammino che lo attendeva e aver fatto una allusione alla sua abilità poetica poiché fa intendere di
essere pronto ad affrontare questa nuova sfida, descrive questa sua condizione di peccatore che
ha trascorso una notte spaventosa in una selva. La selva è fin dai tempi dei neoplatonici un
simbolo del peccato, del mondo materiale, di tutto ciò che ci tira verso il basso, ma è evidente che
per l’uomo medievale la selva è anche un luogo di reale pericolo. Entra ora la similitudine che
entra nel campo semantico della narrazione, che si lega con il mondo classico dell’avventura, della
scoperta. (1) Dante paragona se stesso a uno che è scampato a un naufragio e si trova finalmente
a riva e volge lo sguardo a guardare fisso ( uno sguardo affascinato, quasi spaventato ) l’acqua
pericolosa. Dante ha provato tutta la notte il terrore e ora si sente come un uomo che ha
scampato un naufragio. Dante ama rappresentarsi in termini eroici nella commedia, è un altro
Enea, e in altri aspetti come un Paolo. Il campo semantico assume un valore esplicitamente
metaletterario ( che riguarda gli aspetti dell’altur all’inizio del purgatorio (2) ) in cui Dante
paragona la sua stessa opera a una nave ( non è questa un invenzione dantesca, bensì un topos
che si rintraccia nella letteratura classica

Per correr miglior acque alza le vele (2)


omai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar sì crudele;
e canterò di quel secondo regno
1.

dove l'umano spirito si purga


e di salire al ciel diventa degno.

La nave dell’ingegno di Dante si appresta a percorrere acque meno terribili, più gradevoli perché
canterà del purgatorio ( secondo regno dove l’umano spirito si purga ). Qui Dante si paragona a
Dasone, agli argonauti, anche se questa cosa diverrà esplicita nella terza cantica. Alla fine del
primo canto del purgatorio c’è un riferimento implicito, cifrato al naufragio di Ulisse. Alla fine del
canto del purgatorio si vede il collegamento con la morte di Ulisse con una serie di rime : acque,
piacque, rinacque. (3)

Venimmo poi in sul lito diserto, (3)


che mai non vide navicar sue acque
omo, che di tornar sia poscia esperto.
Quivi mi cinse sì com'altrui piacque:
oh maraviglia! ché qual elli scelse
l'umile pianta, cotal si rinacque

Ulisse si era avvicinato al purgatorio ma non aveva fatto di esperienza del purgatorio perché era
morto prima di giungere a destinazione. Dante si contrappone alla superbia di Ulisse della
conoscenza, poiché siccome Ulisse voleva la conoscenza oltre le colonne d’ercole, il limite posto da
Dio trovò la morte, mentre Dante compie questo viaggio provvidenziale ed è quindi giustificato di
ciò.

Il campo semantico torna in paradiso con la metafora dell’universo come un mare, un grande
mare dell’essere che è immagine di Dio e poi vi è questa descrizione dell’ordine provvidenziale che
fa riferimento ancora una volta al campo equoreo.

Ne l'ordine ch'io dico sono accline (4)


tutte nature, per diverse sorti,
più al principio loro e men vicine;
onde si muovono a diversi porti
per lo gran mar de l'essere, e ciascuna
con istinto a lei dato che la porti.

(4) Ogni anima di questo mondo è incline in modo diverso a ritornare a Dio, alcune hanno ricevuto
un influsso superiore astrale, ma tutte vanno verso Dio passando attraverso il grande mare
dell’essere. Non è solo un grande omaggio al grande viaggio di Enea, di Ulisse ma questo campo
semantico riguarda la creazione. Il mare è infatti la perfetta immagine che creiamo dell’infinito, del
perdere lo sguardo. Dante poco prima si era paragonato a Glauco, personaggio che nel mito,
tramite un erba magica è in grado di vivere sott’acqua, di essere un tutt’uno con le identità marine
( il riferimento è all’Ovidio che Dante ama tanto ) (5)

Nel suo aspetto tal dentro mi fei, (5)


qual si fé Glauco nel gustar de l'erba
1.

che 'l fé consorto in mar de li altri dèi.


Trasumanar significar per verba
non si poria; però l'essemplo basti
a cui esperïenza grazia serba.

(5) Si nota la solennità del passo, latineggiante nella sintassi, che nelle parole. “ Mi feci così tanto
dentro l’aspetto di Beatrice che guardava Dio, mi feci così tanto dentro Dio come Glauco quando
mangiò l’erba che lo collegò con le divinità” Abbiamo poi questo verbo : “trasumanar” che è
collegato insieme alle parole nel verso con a conclusione un enjambement in modo da creare
quasi una sorta di indovinello, crea una particolare suggestione . “Non si sa con quali parole poter
spiegare il trasumanar, l’andare oltre dell’umano, però l’esempio fatto con la figura di Glauco che
ci deve essere sufficiente per arrivare alla conosce, l’esperienza del paradiso. Non c’è più la
metafora del solcare le onde ma dell’immergersi nel grande mare dell’essere, diventare divini,
divinizzarsi ma ancora una volta il campo semantico è del mare, equoreo.

Vediamo di nuovo questo campo semantico nel “crudele” canto II del Paradiso, dove Dante blocca
i lettori, con un problema da filosofi professionisti dell’epoca, che non poteva che scoraggiare il
lettore. (6)

O voi che siete in piccioletta barca, (6)


desiderosi d'ascoltar, seguiti
dietro al mio legno che cantando varca,
tornate a riveder li vostri liti:
non vi mettete in pelago, ché forse,
perdendo me, rimarreste smarriti.
L'acqua ch'io prendo già mai non si corse;
Minerva spira, e conducemi Appollo,
e nove Muse mi dimostran l'Orse.
Voialtri pochi che drizzaste il collo
per tempo al pan de li angeli, del quale
vivesi qui ma non sen vien satollo,
metter potete ben per l'alto sale
vostro navigio, servando mio solco
dinanzi a l'acqua che ritorna equale.
Que' glorïosi che passaro al Colco
non s'ammiraron come coi farete,
quando Iasón vider fatto bifolco.

(6) Dante eccezionalmente invita i più a chiudere la lettura qui perché la navigazione è troppo
difficile per chi si trova in piccola barca ( metafora dell’ingegno ) ( l’ingegno del lettore non deve
essere proprio superiore di quello di Dante ma almeno al pari ). La terza cantica diventa illeggibile
per il lettore. I lettori devono tornare a studiare se vogliono accedere alla lettura perché
mettendosi in pelago ( stesso termine dell’Inferno ) , cioè trasgredendo all’avviso di Dante, si
perderebbero la nave di Dante e si perderebbero nel mare. Quindi il lettore è su una barca che se
è grande come quella di Dante o più grande lo può seguire e non rischia di perderselo e di perdersi
poi in mare, altrimenti, qualora la barca fosse piccola, deve tornare a riva e prepararsi una barca
1.

più grande ( deve studiare ). Dante si vanta di aver scritto ciò che nessuno ha mai scritto e nel
libro : “La vita nova”, nel finale, in cui egli promette di raccontare l’ultima visione relativa a
Beatrice,

dicendo che se riuscirà nell’impresa dirà di lei ciò che non fu detto mai di alcuna. “L’acqua che io
ho preso già mai corse”, correre qui è verbo tecnico. Il lessico è coerente e interconnesso,
elemento tipico dell’opera dantesca. Nell’opera dantesca non è il vocabolario a colpire ma è la
coerenza che è geniale, lo stile con il quale quelle parole, avvolte le stesse vengono adoperate per
descrivere i diversi passaggi e le diverse vicessitudini. Lo stile pian piano si innalza e diventa
criptico, quindi quei pochi che sanno di filosofia, con l’immagine della conoscenza come
banchetto, una metafora che deriva da Platone e che Dante aveva cristianizzato con il Convivio,
Dante aveva mescolato questa visione della sapienza, del banchetto con il banchetto dei pani e dei
pesci cristiano.

Chiudiamo con il paradiso XXXIII, incentrato sulla possibilità di dire…

La forma universal di questo nodo (7)


credo ch'i' vidi, perché più di largo,
dicendo questo, mi sento ch'i' godo.
Un punto solo m'è maggior letargo
che venticinque secoli a la 'mpresa
che fé Nettuno ammirar l'ombra d'Argo.

(7) Argo è la barca degli argonauti. Sono versi molto densi, nei quali Dante crede di aver percepito
la forma universale di questo nodo, la trinità, che tiene queste tre sostanze separate in una sola
persona perché sente che ricordando ciò che ha visto prova questo piacere mistico, intellettuale. È
il godimento provato con il ricordo che gli da l’idea di aver visto questa visione della trinità. È più
lungo il letargo, il sonno dell’umanità che separa questa visione di Dante, è più grande la novità di
ciò che Dante ha fatto di quella novità della prima navigazione degli uomini che Dante fa risalire,
tramite la conoscenza delle cronologie dell’epoca a 25 secoli prima di Dante. La prima navigazione
viene descritta con appunto lo sbigottimento di Nettuno che vede passare la prima barca sopra la
sua testa, intesa come un ombra minacciosa che gli passa sopra la testa.

Abbiamo visto un campo semantico, una serie di parole, connesse con la navigazione, che
costruiscono un percorso di senso e aiutano a comprendere un simbolismo profondo della
commedia. L’intento di Dante è quello di creare un altro mondo, in cui l’ordine è alla base. Dante è
ossessionato dall’ordine e solo l’uomo perché folle lo cerca di violare, si cerca di andare verso
l’ordine sommo dell’universo e Dante, chiude la cantica con il suo desiderio ribelle viene appagato
dall’ordine del movimento celeste. C’è passività, questo suo istinto ribelle viene placato dal
movimento astrale.

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