CAPITOLO III – La filosofia personalista e dell’azione.
Il personalismo per Wojtyla è da un lato la filosofia che dovrebbe avere ogni persona, e dall’altro un progetto d’azione per una nuova civiltà, fondata sul rispetto dei diritti umani, della dignità della persona e della ricerca del bene comune. In Persona e Atto Wojtyla descrive la persona, e cerca di coglierla esplicitandone le dimensioni, le strutture e il dinamismo che la caratterizzano. Questa descrizione della persona ci è sempre proposta in termini di movimento, di atti e di azioni: l’esistenza personale è irripetibile e libera, ha come fondamento la natura dell’uomo, l’insieme dei dinamismi che costituiscono il contesto concreto all’interno del quale soltanto si svolge l’iniziativa di libertà. La scoperta della relazione dell’anima con il corpo, per Wojtyla, si compie in base all’esperienza totale dell’uomo. Grazie al concetto di integrazione e a quello di trascendenza della persona nell’atto è infatti possibile cogliere i dati di questa esperienza. Le dimensioni della persona sono assi di azione e possiedono delle linee di fondazione, un fondamento ontologico: il dato più originale della persona come ben sappiamo è quello dinamico, in fieri, siccome la persona è un’identità concreta che pensa e agisce per mezzo degli atti che la rivelano. Ciò significa che essa non è mai data in sé e per sé, ma sempre in relazione con gli altri. Si può cogliere a questo punto una particolare affinità tra la filosofia personalistica di Wojtyla e quella mounieriana: La persona, dice testualmente Mounier “si rivela attraverso un’esperienza decisiva”. Il personalismo di Wojtyla è una filosofia dove l’azione occupa un posto di elezione tale da poterla considerare una filosofia dell’azione e per l’azione. Per capire il ruolo dell’azione nel pensiero di Wojtyla non si può non ricordare il suo impegno iniziale di giovane che lavora, studia, si impegna intellettualmente ed operativamente. La sua teoria dell’azione è il frutto di una lotta personale condotta anche in gruppo e accompagnata da una continua riflessione. Rottura, testimonianza, impegno, azione organica e comunitaria per la difesa della dignità dell’uomo, la ricerca della verità e del bene comune: questi sono gli elementi di fondo della teoria dell’azione del giovane Wojtyla. L’uomo ha la capacità di conoscere la verità e di volere il bene: essendo inoltre dotato di ragione, pone in questione il proprio essere, ne cerca l’origine e la fine. La sua ricerca si orienta secondo tre fondamentali domande: 1) Qual è il senso dell’esistenza? 2) Come salvaguardare la dignità della persona? 3) Come raggiungere la pienezza del bene? A queste tre domande si riferisce l’intera attività etico-pratica della persona. Il dovere di rispettare la persona e la sua dignità si fonda sulla natura stessa delle cose e dell’esperienza umana. L’autonomia della ragione umana, il valore e la dignità della persona umana costituiscono una base sufficiente per la fondatezza dell’etica razionale. Il valore morale infatti si fonda sulla natura umana e l’obbligatorietà della norma morale poggia sul carattere di assolutezza della persona umana. Il precetto kantiano: “Non trattare gli altri come semplici mezzi” esprime proprio l’esigenza della coscienza religiosa e propriamente della coscienza cristiana. La filosofia personalistica di Wojtyla ha certamente un carattere profetico, e si rivolge al cuore di ciascuno per ricordare che è necessario, in un tempo di crisi profonda, l’urgenza di una conversione personale senza la quale ogni trasformazione materiale sarà vana. Wojtyla dà valore al senso della comunità alla cui base ci deve essere il valore della solidarietà, perché solo l’uomo solidale compie ciò che gli compete, non solo perché è membro della comunità, ma anche per il “bene comune”. Il filosofo polacco insiste su una teoria dell’agire insieme agli altri in cui la persona, consapevole del valore dell’altro, si lega al prossimo nella solidarietà. La solitudine è il peggiore dei mali, sia essa indotta dall’esaltazione dell’individualismo, sia quella creata dalla costrizione e massificazione dei sistemi totalitari che riducono le persone a individui isolati. L’Io prende coscienza di sé attraverso l’altro, perché è accogliendo l’altro ed essendo accolto dall’altro che l’Io si accorge di sé e comincia quindi ad esistere in modo compiutamente umano. L’Io e l’altro sono ugualmente importanti e ciascuno può realizzare sé stesso attraverso il libero dono di sé dell’altro, in un’ottica di reciproco rispetto. Si vuole il bene dell’altro nella misura in cui si vuole la sua realizzazione come persona: se l’incontro con l’altro è il luogo in cui la persona si accorge di sé e fa l’esperienza di sé, allora l’unico atteggiamento giusto verso l’altro è l’amore, cioè l’apertura all’incontro. Nel discorso che Mounier fa sulla persona e sulla relazione interpersonale, riguardo alla coscienza che l’uomo ha di sé e degli altri, emerge la “scoperta” della categoria del prossimo. In ogni uomo, per Mounier, non è sufficiente riconoscere un “altro”, ma un “tu”. Il dono di sé e la vita nell’altro sia per Wojtyla, sia per Mounier che per la religione cristiana sono costituitivi dell’amore. L’amore è l’unità della comunità così come la vocazione è l’unità della persona: senza l’amore le persone non arrivano a divenire sé stesse. La tesi dell’amore dunque è il centro del suo personalismo etico. “Il comandamento “amerai”” scrive Wojtyla, “ha un carattere del tutto comunitario, esprime ciò che forma la comunità, ma mette in evidenza anzitutto ciò che rende la comunità pienamente umana, ciò che rende particolarmente viva la partecipazione. Nell’amore l’incomunicabilità della persona è superata ed è in questo che la posizione di Wojtyla si oppone all’esistenzialismo ateo di Sartre, che dall’incomunicabilità della persona fa discendere il suo abbandono nel mondo e la sua insuperabile solitudine. L’esperienza dell’amore come realizzazione della libertà nel reciproco dono di sé è la risposta alla tesi sartriana dell’incomunicabilità. L’altro dunque sollecita continuamente la crescita dell’io poiché consente di superare il ripiegamento del sé sull’io individuale. Wojtyla collega poi il tema dell’amore all’essere che è insieme fondamento metafisico ed esperienza della persona nel suo esistere. Si potrebbe dire che il filosofo polacco rovesci il codice cartesiano: non più cogito ergo sum, bensì amo ergo sum. Io sono nella misura in cui amo, nella misura in cui dono e anzi mi ci dono. Due problemi nella filosofia wojtyliana si pongono tuttavia per ricercare la verità: il primo sta nel ricercare una verità universale nell’esistenza stessa, mentre il secondo (collegato al primo) consiste nell’intendere correttamente il rimando alla trascendenza. È assurdo e insostenibile che l’umanità viva come se fosse costituita da una miriade di libertà assolute e incomunicabili che rimettono a ogni istante in discussione tutto il mondo. La libertà assoluta è negatrice della stessa libertà, concepisce l’esistenza come il puro scaturire della libertà, è una “vertigine del nulla” dice Mounier. Wojtyla fa esplicito riferimento all’interiorità dell’esistenza intesa come spirito di verità, che spinge l’esistente fin dal suo nascere a infrangere la compiacenza di sé e a perseguire l’indissolubile legame di verità e vita. Wojtyla, pur partendo dallo studio della fenomenologia, in particolare di Max Scheler e Ingarden, e pur sviluppando in modo autonomo e originale il pensiero personalista, non ha tuttavia mai cessato di confrontare il suo pensiero con i più recenti sviluppi del neotomismo francese, da quello di Maritain a quelli di Gilson. Nella ripresa della nozione di esistenza come atto di esistere Wotyla mira, infatti, da un lato a valorizzare la concretezza dell’essere nell’esperienza vissuta, dall’altro ad assicurare la chiarezza dell’esistenza nell’essere. La verità dell’esistenza si rivela solo nella capacità del singolo esistente di cogliere il vero riflettendo all’interno di sé, nella sua capacità di espandere la propria esistenza al di là della cieca esaltazione individuale. Wojtyla fa sua questa nozione dialettica esistenziale carica di significato fenomenologico ed etico-storico, riportandola all’interno della nozione di persona. Capitolo 1. I DIRITTI UMANI E LA LEGGE NATURALE Nei suoi scritti Maritain affronta tematiche di carattere etico, politico, giuridico,teologico scientifico e filosofico, alla base dei quali vi è il concetto di persona, inteso come unità, autocoscienza e libertà. Maritain dice che l’uomo non esiste soltanto come un essere fisico, possiede la sovra esistenza. La ricerca di Maritain è incentrata sull’antropologia, sull’uomo, sul suo destino e sui diritti umani, dal punto di vista del metodo si fonda sul concetto di “filosofia morale adeguata”. Il punto di partenza della sua filosofia è la critica della modernità. Maritain non si iscrisse mai a nessun partito perché volle conservare la sua indipendenza di filosofo impegnato dalla parte dei valori universali e dei diritti umani. FONDAZIONE DEI DIRITTI UMANI E LEGGE NATURALE Il diritto di ogni uomo ad essere trattato in modo uguale agli altri, indipendentemente dalla razza, affermato da tutte le dichiarazioni dei diritti umani e dalla stessa costituzione italiana, presuppone l’esistenza della natura umana che accomuna tra loro tutti gli altri uomini e li distingue dagli altri animali. La natura umana non è del tutto materiale ma anche spirituale. E ancora, il diritto alla proprietà privata dei beni materiali, scrive Maritain, dipende dalla legge naturale. L’uomo è portato per natura alla comunione ed è sociale non soltanto a causa dei bisogni e delle indigenze della natura umana, ma anche a causa della radicale generosità iscritta nell’essere stesso della persona a causa di quell’attitudine alla comunicazione propria dello spirito che esige di mettersi in relazione con un’altra persona. I diritti naturali dell’uomo sono inalienabili perché fondati sulla legge naturale. L’antropologia è il sostegno di tutta la ricerca martiniana. La filosofia di Maritain evidenzia i valori di razionalità e libertà che fanno dell’uomo una persona autocosciente. Maritain coniuga il bene della persona con quello del bene comune. LEGGE NATURALE: è una disposizione che la ragione può scoprire e secondo la quale la volontà umana deve agire per accordarsi ai fini necessari dell’essere umano. Si tratta di una legge scritta derivante dalla saggezza divina. Maritain fa notare come la legge naturale sia “legge comune” a tutti gli uomini e voluta da Dio. La filosofia dei diritti e dei doveri della persona si fonda sulla legge naturale, che riconosce la dignità della persona umana. 2.DIRITTO, MORALE E POLITICA ETICA E POLITICA La scelta di orientare eticamente la politica costituisce il modo più consapevole e responsabile per affrontare il mondo. Maritain è stato uno dei pensatori che più ha saputo porre l’attenzione su questa intersezione tra etica e politica sulla base del suo metodo “distinguere per unire”. Il filosofo può illuminare la mente dell’uomo. L’antimodernità di Maritain si può dire che è una costante del pensiero del filosofo francese; la critica alla modernità è uno dei punti di partenza dell’opera martiniana. L’antimodernità di Maritain si configura come ultramodernità, basti pensare alle sue opere: “i tre riformatori ( Lutero, Cartesio e Rosseau)”, “Umanesimo integrale” e il contadino della Garonna”. Nella prima opera prevale un atteggiamento globalmente relativo, nella seconda, la critica si sviluppa sul punto di vista culturale e nella terza dal punto di vista ecclesiale. Con le sue opere Maritain è una parte dell’etica. Per Maritain la vita umane ha due fini ultimi: il bene comune terreno e il bene comune eterno e trascendente. STATO, BENE COMUNE E DIRITTI DELLA PERSONA La scelta di una razionalizzazione morale è conforme alla democrazia perché si basa sulla legge naturale che implica il rispetto dei diritti della persona. Lo stato, per Maritain, è inteso come strumento al servizio della società, al servizio delle persone. Il punto di partenza è costituito dalla constatazione della crisi dello stato nazionale moderno, che non costituisce più una vera società politica perché ha perduto il carattere dell’autosufficienza, sia dal punto di vista materiale, sia dal punto di vista spirituale. Il progetto politico Maritainiano è seguito da tre punti essenziali: 1. il rifiuto degli antiumanismi; 2.il rifiuto della disumana città dell’oggi per rivolgere all’attenzione alla città fraterna dei tempi futuri; 3. la fede nella democrazia, cioè nell’uomo. Il programma politico di Maritain è basato su un’idea di democrazia che è finalizzata al bene comune attraverso un pluralismo caratterizzato dalla collaborazione. La fondazione della democrazia come traduzione politica del messaggio evangelico. Maritain riconosce che il fine della politica è quello di realizzare la città fraterna attraverso lo spirito dell’amicizia civile che spinge verso il senso comunitario del vivere associato. LE IDENTITA’ DI GENERE Introduzione: il dialogo tra sesso e genere Le differenze tra donne e uomini possono essere ricondotte a due grandi dimensioni: Sesso-> è determinato dalla specificità nei caratteri che contraddistinguono soggetti diversamente preposti alla funzione riproduttiva: livelli ormonali, organi sessuali interni ed esterni ecc. Genere-> differenze socialmente costruite tra i due sessi e i rapporti che si instaurano tra essi in termini di comportamenti distintivi “appropriati” e “culturalmente approvati”. Da un lato il concetto indica che non basta l’apparenza sessuale a definire l’essere donna o uomo (sono importanti l’educazione e la cultura, ovvero i valori che i membri di un dato gruppo condividono) e dall’altro sposta l’attenzione dalla donna al “rapporto tra i due sessi” caratterizzato da uno scambio continuo e in costante mutamento (componente relazionale alla base della costruzione dei ruoli maschili e femminili). Il sesso è determinato dal 23esimo paio di cromosomi che possono essere uguali (XX= femmina) o diversi (XY= maschio). Il processo di differenziazione sessuale avviene a partire dalla 6° settimana dopo il concepimento (fino ad allora tutti gli embrioni sono sessualmente bipotenziati, sebbene si sviluppino sulla base di una struttura femminile). Dalla 6°-8° settimana se è presente un cromosoma Y le gonadi si trasformeranno in testicoli; se il cromosoma Y è assente si formeranno le ovaie. I testicoli appena formati iniziano a rilasciare ormoni sessuali che contribuiranno allo sviluppo dei genitali maschili interni ed esterni (se non viene rilasciato il corretto livello di ormoni rimarrà femminile). Il genere, al contrario, è culturalmente costruito, dunque variabile nel tempo e nello spazio. Le prime cose che notiamo in una persona sono proprio la sua appartenenza sessuale e la corrispondenza tra le caratteristiche anatomiche e l’idea di uomo/donna che ci aspettiamo e condividiamo-> in caso di ambiguità sessuale emergono in noi sentimenti di disagio (mancata armonia tra appartenenza sessuale e ruolo costruito). Tra sesso e genere vi è uno stretto rapporto di “interdipendenza”-> l’uno non è l’opposto dell’altro. Biologia e ambiente sociale, infatti, interagiscono in modo complesso. Il processo di differenziazione per genere è sostenuto dall’intero insieme di valori propri di ogni società. Il genere, perciò, viene utilizzato per indicare un carattere socialmente costruito, appreso e non innato. Il sesso, invece, costituisce la base sulla quale si innesta il processo di acquisizione dell’identità di genere Studiose di tutto il mondo hanno individuato il seme della discriminazione femminile nella trasformazione della differenza biologica in quella di ruolo e sociale. In tutta la storia si poneva la donna ad un livello inferiore rispetto all’uomo poiché quasi tutti i lavori erano troppo pesanti e, inoltre, essa aveva il compito di procreare, allattare e accudire i figli; ma in una società come la nostra, in cui i lavori pesanti sono sempre meno presenti, vi sono sempre meno parti e anche l’uomo è in grado di badare ai figli, quella “scusa” non può più reggere. Genere, generi: i concetti e le loro relazioni Il sesso è un dato biologico su cui la società ha costruito un potente sistema di ruoli e di rappresentazione delle differenze: il genere. Tale costruzione passa attraverso l’incentivazione dei comportamenti “appropriati” (ovvero quelli che la cultura individua come caratteristici del ruolo maschile/femminile) generando vissuti di appartenenza negativi o positivi ad un genere o all’altro. Con “identità di genere” si fa riferimento alla percezione di sé e del proprio comportamento acquisita attraverso l’esperienza personale e collettiva: si trova in diretto rapporto con la fisiologica, ma ciononostante non è immutabile. Può infatti tramutarsi in un senso di appartenenza verso il genere maschile o femminile oppure entrambi. L’identità di genere è una delle componenti fondamentali del processo di costruzione dell’identità: dinamico e plasmato dalle relazioni sociali. La costruzione di questa inizia con l’assegnazione ad una categoria sessuale in base all’aspetto degli organi genitali (al momento della nascita viene assegnato il sesso tramite l’osservazione dei genitali esterni). In caso di ambiguità (bambini intersessuati) viene impiegata la chirurgia per rendere i genitali maschili o femminili. All’interno dell’intersessualità è opportuno fare due distinzioni: I. Caratteri sessuali primari (ermafroditismo)-> gonadi e strutture genitali (ovaie o testicoli); II. Caratteri sessuali secondari (pseudoermafroditismo)-> differenze corporee e fisiologiche. L’ermafroditismo presuppone la contemporanea presenza di entrambe le strutture genitali (ovaie e testicoli). Più comuni sono gli pseudoermafroditi, ovvero coloro le cui condizioni sono caratterizzate da aspetto fisico ambiguo o tipico del sesso opposto a quello di appartenenza. Per molto tempo gli ermafroditi non hanno ricevuto particolare attenzione da parte della medicina. Con lo sviluppo della tecnologia medica molte persone intersessuate furono obbligate ad interventi di correzione chirurgica (scelta “genitale”: se una persona cresce come una ragazza, presentava seni ma possedeva due testicoli, veniva conseguentemente cooptata nelle file maschili). Ovviamente non sono soltanto i genitali a fare di noi un uomo o una donna, ma anche il ruolo culturale e sociale (nei bambini sono più tollerati i comportamenti poco condiscendenti; nelle bambine ci si aspetta un carattere più docile). Tali percezioni si riflettono nei comportamenti dei genitori che provvederanno a regalare giocattoli differenziati e ad incoraggiare i propri figli a partecipare ad attività connotate da specifici caratteri di genere. Il processo di acquisizione dell’identità di genere è collegato alla definizione di “ruolo di genere”, ovvero i modelli che includono comportamenti, doveri, responsabilità e aspettative connessi alla condizione femminile e maschile. Il ruolo è anche la modalità con cui, attraverso comportamenti verbali e non, si esprime a sé stessi e agli altri il genere al quale si sente di appartenere. Questa costruzione sociale del “maschile e femminile” cela un sistema di disuguaglianze (differenze di genere): i compiti che la società affida all’uno o all’altro sono differenziati in base alle caratteri caratteristiche biologiche (la struttura fisica degli uomini, più robusta, grande e forte, rispetto a quella femminile, più vulnerabile, hanno assunto nella società un significato culturale segnato da diseguaglianze nella distribuzione delle risorse). Il concetto di genere cela, dunque, una gerarchia in base alla quale l’uomo ha diritto al potere e al dominio mentre la donna al privato e alla subordinazione. Scott: uomo e donna sono categorie prive di un significato definitivo in quanto modelli ideali contenenti costruzioni e rappresentazioni. Tenendo conto solo dell’anatomia, si impone una concezione del genere rigida e dualistica (maschio e femmina-> modi di essere lontani e inassimilabili). In quest’ottica anche la sessualità si presenta come dicotomica. Butler: l’esistenza di due generi esclusivi è condizione necessaria per l’eterosessualità ma non sufficiente-> reciproca esclusività delle categorie di identificazione e desiderio. Questa forzata dicotomia si rivela oggi sempre più stretta per due motivi: • Non vi è corrispondenza perfetta tra sesso e genere; • Esistono diverse gradazioni nell’accettazione e conformità alle aspettative sociali (essere donna ed essere uomo può significare cose molto diverse: tra i due estremi può esistere una molteplicità di modi intermedi). Vi sono tre punti, ancor oggi ritenuti fondamentali nei rapporti tra i generi: 1. Donne e uomini sono diversi per natura-> i corpi maschili diventeranno naturalmente uomini e quelli femminili si trasformeranno in donne; 2. Donne e uomini si attraggono vicendevolmente e naturalmente-> essi sono percepiti come complementari, cioè biologicamente destinati ad un eterno rapporto di attrazione e competizione; 3. La normalità è sinonimo di eterosessualità-> i rapporti tra donne e uomini sono definiti normali, mentre le variazioni sono percepite come sbagliate o devianti. Nel caso di una scarsa concordanza tra sesso biologico e aspettative sociali, l’individuo può esprimere una discrepanza utilizzando diverse modalità espressive: - Desiderare di appartenere all’altro sesso; - Intervenire chirurgicamente sul proprio corpo; - Oscillare tra identità di genere diverse; - Sperimentare intrecci e contaminazioni. La frattura tra il proprio corpo (dimensione materiale) e l’identità di genere (dimensione culturale) può raggiungere diverse intensità e produrre conflitti. Con “Disforia di genere” si indica una condizione di non armonia tra l’aspetto fisico e il vissuto di genere: da un lato indica uno stato di disagio, malessere nei confronti del sesso biologico per il quale si prova un senso di inadeguatezza; dall’altro indica un senso di estraneità rispetto all’identità di genere assegnata al proprio sesso. La condizione di “anormalità” può assumere diverse gradazioni poiché le due equazioni “maschio= uomo=eterosessuale” e “femmina= donna= eterosessuale” possono rompersi in uno o più punti se avviene un’incoerenza tra le caratteristiche biologiche, l’identità di genere e il desiderio sessuale. Il corpo assume una posizione cruciale poiché diventa un luogo dove si possono incontrare progetti individuali di costruzione del sé, aspettative e norme sociali (esso permette di rivendicare spazi di diritto negati poiché può essere plasmato e mutato). “Crossdresser”-> persona che prova affinità verso alcune prerogative del sesso opposto e che vorrebbe far proprie. Queste persone possono intervenire sul corpo (depilandosi o assumendo ormoni), ma non desiderano cambiare le caratteristiche sessuali. Non necessariamente queste persone sentono attrazione verso individui dello stesso sesso. “Drag queens” e “Drag kings”-> fanno uso di look vistosi del sesso opposto che li rendono adatti al ruolo di animatori nei locali notturni e nel mondo dello spettacolo (donne e uomini che, trasformando il proprio corpo in quanto forma d’arte, si appropriano delle regole che determinano mascolinità e femminilità e le mettono in scena- > mostrano l’indefinibilità e la variabilità dei generi). “Transgender”-> persona interessata ad acquisire alcuni o molti caratteri fisici del sesso opposto senza mettere in discussione la propria genitalità biologica. “Transessualità”-> discrepanza tra identità di genere e sesso anatomico con conseguente volontà di avvicinarsi al corpo cui si sente di appartenere: correzione delle forme fisiche per adeguarle all’identità sentita come propria. Essa può essere definita come una fase di passaggio: stato di transizione da un genere all’altro (MTF e FTM). Secondo alcuni, però, i transessuali non cambiano completamente in quanto non è possibile garantire la funzione riproduttiva. Inoltre il genere è frutto di una complessa costruzione storico- sociale e quindi il passaggio da un genere all’altro è intriso di profonde implicazioni. Le persone transgender o transessuali devono inoltre fare i conti con molti processi discriminatori: o È comune l’idea che chi transita sia malato, pericoloso e disturbato. È, infatti, elevato il numero di coloro che rimangono nell’invisibile a causa dell’opinione pubblica; o L’idea che il/la transessuale non potrà mai diventare vero uomo/donna; o Convinzione che queste persone non possano essere buoni lavoratori o genitori affidabili e capaci; o Persone spesso in conflitto con le proprie famiglie, emarginate dalla comunità culturale e non di rado escluse da progetti di sostegno. Inoltre l’incidenza di episodi di violenza nei loro confronti è molto alta. In Italia si può ottenere un nuovo nome e una nuova identità legale soltanto se è certificato il disturbo dell’identità di genere e se è stata completata l’operazione di riattribuzione del sesso. La persona in questione deve inoltre presentare la domanda al tribunale competente per residenza, il cui giudice può disporre una consulenza per accertare le condizioni psicosessuali dell’interessato/a. In Germania vengono garantiti due tipi di trasformazioni: Kleine Lӧsung-> consente alle persone transessuali e transgender il cambiamento del nome se: -Da tre anni non sentono più di appartenere al proprio sesso biologico; -Sono cittadini tedeschi o con la condizione di profugo residente in Germania; -Hanno compiuto 25 anni. Grosse Lӧsung-> consente il cambiamento anagrafico a chi: -Non sia sposato; -Sia sterile; -Sia sottoposto ad un intervento chirurgico di adeguamento al sesso di elezione. La “Piccola Soluzione” è revocabile su richiesta individuale, ma diventa inefficace se il/la richiedente si sposa dopo il cambio del nome oppure se viene accertata la sua filiazione. Transgenderismo e transessualità possono dare luogo ad incroci complessi con l’orientamento sessuale che coinvolge sia la sfera del desiderio sia quella del comportamento e delle pratiche sessuali. “L’omosessualità” è un modello di orientamento sessuale, di caratteristiche personali e dei fenomeni relativi alla scelta di vivere relazioni di intimità con partner del proprio sesso biologico. La donna o uomo omosessuale può vivere in modo sereno la propria appartenenza al genere femminile o maschile (non vi è desiderio di modifica). Il termine nacque nel 1800 per indicare una categoria di persone accomunate da un’aberrazione sessuale. Nel XIX secolo il termine fu medicalizzato: con lo sviluppo della psichiatria, l’omosessuale può vivere in modo sereno la propria appartenenza al genere femminile o maschile (non vi è desiderio di modifica). Il termine nacque nel 1800 per indicare una categoria di persone accomunate da un’aberrazione sessuale. Nel XIX secolo il termine fu medicalizzato: con lo sviluppo della psichiatria, l’omosessualità cominciò ad essere considerata una malattia, una perversione, un disturbo psichico. Questa etichetta è stata tolta a partire dalla metà degli anni 70. La “bisessualità” definisce lo stabilire relazioni affettive e sessuali con persone di entrambi i sessi. Il riconoscimento della propria bisessualità è un processo graduale e intrecciato con molteplici elementi: Verifica esperienziale che i rapporti sessuali sono piacevoli con entrambi i sessi; Rinuncia a decidere tra due desideri ugualmente forti; Percezione della possibilità di cambiamento (apertura mentale e limitata preoccupazione); Sentimenti di confusione a causa delle reazioni negative dei mondi monosessuali. GENERE, DIFFERENZE E DISUGUAGLIANZE I processi discriminatori basati sull’appartenenza sessuale passano attraversi le influenze familiari, la letteratura per l’infanzia, l’educazione scolastica, il rapporto con i pari, i messaggi dei media etc. Le bambine sono preparate allo svolgimento dei compiti di cura ed educate a ricoprire i ruoli sociali secondari (allevamento della prole, cure domestiche)-> se la donna non adempiva a tali compiti veniva considerata anormale e lei stessa tendeva a percepirsi fuori posto o portatrice di problemi psicologici. La socializzazione discriminatoria colpisce anche bambini e ragazzi a causa dei modelli culturalmente costruiti come: maschilità dominante (esclusione di tutto ciò che fa parte della minoranza, femminilità). Le definizioni stereotipate di maschilità e femminilità portano a due gravi conseguenze: - Forte influenza sull’autostima con conseguente sviluppo di sentimenti di sottomissione e passività; - Violenza e aggressività ma, al contempo, confusione e insicurezza. -“Salute”-> la difforme incidenza tra uomini e donne di alcune patologie può essere riconducibile da un lato alla componente fisiologica e dall’altro ad una differente condizione di lavoro e stile di vita. La relazione tra donne e salute va letta alla luce dell’intreccio tra peso del lavoro di cura, somma del lavoro produttivo e riproduttivo e disparità di genere nella distribuzione delle risorse. Questa relazione va vista anche da un altro lato: lo stato di salute degli uomini è in relazione con la rigidità e i condizionamenti del modello di maschilità egemonico. Molte patologie che colpiscono le donne sono collegate alla propensione al sacrificio e alla rinuncia; inoltre sperimentano tassi più elevato di malattia e fatica croniche e sono più vulnerabili alla depressione. Inoltre hanno una visione più negativa della propria salute rispetto agli uomini (questi ultimi, a causa delle aspettative di uomo virile, si presentano poco dal medico). - “Cura di sé”-> oltre alle attività domestiche, la produzione di beni e servizi per il consumo familiare comprende: educazione e socializzazione dei figli, assistenza ai malati e disabili della famiglia, sanità, scuola. Le attività di cura richiedono anche ascolto, fiducia ed intimità e si tratta di relazioni asimmetriche in quanto è indirizzato al soddisfacimento dei bisogni altrui e non propri (compiti esigenti dal punto di vista psicologico). Le donne giocano un ruolo essenziale nel proteggere i membri della famiglia per la cura e conservazione della salute dei suoi membri (esistono vincoli culturali che obbligano le donne a sentirsi responsabili dei propri familiari). Per quanto riguarda le risorse monetarie, sebbene siano gli uomini a contribuire economicamente all’aumento dei redditi familiari, sono le donne a vincolare il proprio tempo e i soldi alle necessità familiari. - “Lavoro di cura”-> per molti uomini la cura del proprio corpo mantiene ancora un significato ambiguo (modello di soggettività costruito sulla maschilità). Tuttavia, con l’allungamento della vita si è data sempre più importanza al “restare giovani” e “all’invecchiare bene”. Gli uomini, infatti, cominciano a mutuare alcuni comportamenti considerati prima femminili: prodotti per viso e corpo, dietologi, centri benessere, chirurgia estetica etc. Non si tratta, però, di un processo di femminilizzazione: la cura del corpo è vista come un progetto individuale, investimento su di sé e sulla propria mascolinità (ruolo cruciale svolto dai media-> opere di ipervirilizzazione del corpo maschile per differenziarsi dalla donna. Il raggiungimento di certi standard di vita necessita non solo del tempo di lavoro, ma anche di tempo non lavorativo. È emerso che vi è un’ineguale distribuzione delle risorse temporali tra i sessi: quelle dei maschi sono più rigide e direttamente dipendenti dai tempi lavorativi; quelle delle femmine sono più flessibili e frammentarie a causa della necessità di conciliare la rigidità di orari con i ritmi familiari (tempo da dedicare alla casa, ai figli, ai partner). Se i tempi dell’uomo non sono influenzati dal tipo di famiglia in cui vivono, il maggior carico di lavoro familiare si riscontra per le donne (più di 7 ore per la cura della famiglia). Lavoro maschile e lavoro femminile si differenziano sotto molteplici aspetti: diverso coinvolgimento dei due sessi nella sfera familiare e delle attività produttive, minor riconoscimento sociale del lavoro femminile. Al fine di mediare tra compiti e responsabilità riproduttive, le donne hanno svolto una pluralità di mansioni, spesso contemporaneamente e combinandole tra loro. La questione della marginalità delle donne nel mercato del lavoro dipende da: o Consistente carico di lavoro familiare, interruzioni professionali dovute alla maternità; o Organizzazione del lavoro che prevede come normale una figura di lavoratore privo di responsabilità familiari e di cura, proprio perché può contare su una o più donne che se ne fanno carico. La situazione italiana presenta alcune specificità: A. La partecipazione lavorativa delle donne italiane è molto inferiore alla media europea; B. Il part-time resta molto basso rispetto al resto dell’Europa (13,6% contro i 19%). È molto più diffuso per le donne (che accettano volontariamente rispetto agli uomini che accettano solo perché non hanno trovato un’altra occupazione); C. Uno dei più elevati livelli di disoccupazione in Europa. Essa è fortemente concentrata nelle regioni meridionali e, inoltre, è molto elevata la componente giovanile (in particolare femminile) senza un lavoro. Va aggiunta anche la disoccupazione a lunga durata che colpisce in numero maggiore le donne (senza lavoro da 12 mesi); D. Livello di segregazione ancora molto alto, ma vi è stata un’espansione di professioni considerate tipicamente femminili (maestre, infermiere, colf): ciò ha protetto le donne dalla concorrenza maschile, ma le ha al contempo concentrate in alcuni settori precludendo loro l’accesso ad altri; E. Alta componente di posizioni lavorative non regolari (elevati tra le donne). Le donne risultano particolarmente coinvolte sia in quanto lavoratrici di piccole imprese manifatturiere, sia nel settore agricolo e nell’area del lavoro autonomo. Mentre molte di queste posizioni riguardano secondi lavori maschili, nel caso delle donne rappresentano primi lavori (unico remunerato): percettrici di reddito secondarie; F. Percentuale molto elevata di lavoro autonomo (al di sopra della media europea) in cui si trovano le diseguaglianze più vistose. Le donne professionalmente attive soffrono maggiormente la povertà se in una condizione di lavoro autonomo (guadagnano dal 20 al 25% in meno dei lavoratori). Questo perché gli uomini occupano posizioni più elevate nella scala gerarchica e sono maggiormente presenti nei comparti dove le retribuzioni sono più alte e anche perché fanno meno assenze e più straordinari delle donne (dovuto agli obblighi familiari di quest’ultima). Anche le laureate, a parità di professione svolta, guadagnano meno dei colleghi (circa 195 euro di differenza in negativo). I processi di deindustrializzazione hanno tuttavia inciso profondamente sui corsi di vita maschili, rendendo la carriera lavorativa più instabile ed eterogenea: coinvolgimento dei giovani in lavori temporanei, irregolari e a basso reddito. Va anche aggiunta la crisi dell’istituzione del matrimonio: esso crea una rete di protezione sociale e sanitaria nei confronti del coniuge di sesso maschile in effetti, i processi di esclusione sociale e povertà maschile sono maggiormente segnati da eventi lavorativi critici che spesso si combinano a eventi familiari destabilizzanti quali il divorzio, la separazione o la morte della partner. Il processo di socializzazione al genere attraversa anche la definizione culturale del comportamento sessuale reputato corretto per l’uomo e per la donna. Con sessualità non intendiamo solo il dato biologico (essere sessuati e avere rapporti), ma un aspetto integrante dell’identità individuale che ciascuno di noi ha e coltiva. La sessualità e l’espressione del desiderio viene considerato come un insieme di pratiche sociali culturalmente costruite. All’interno delle pratiche di espressione della sessualità e della loro normalizzazione non è mai esistita un’equità di genere: l’uomo ha sempre mantenuto una posizione privilegiata rispetto alla donna. La sessualità femminile è stata molto più controllata e marchiata come problematica: divisione tra donne pure e donne impure. Va aggiunto che le donne non venivano educate alla sessualità: molte si sposavano senza avere esperienza. Inoltre la sessualità femminile era legata alla paura delle gravidanze indesiderate, malattie veneree e la morte dovuta al parto. Le donne che desideravano il piacere sessuale erano decisamente contro natura, deviante. La reputazione sociale di una ragazza poggiava sull’abilità di contenere e selezionare le avance sessuali, quella di un ragazzo dipendeva dal numero di conquiste effettuate. Tuttavia col passare del tempo si è fatto sempre più presente il tema dell’adulterio femminile, simbolo di un’emancipazione e di una rivincita sul sesso opposto. Il fenomeno della violenza di genere può essere collegato alle tensioni crescenti negli equilibri familiari causate dalle evidenti trasformazioni delle identità femminili. Anche l’ansia e l’inquietudine maschili nei confronti della sessualità (impotenza, incapacità di generare, eiaculazione precoce) possono causare e incentivare la violenza, come strumento orientato alla riappropriazione del controllo sessuale. Esistono evidenti e importanti connessioni trasversali tra maschilità e violenza: • Gli uomini sono i maggiori responsabili delle violenze e sono spesso conosciuti dalle vittime; • Si tratta di uomini che appartengono ad ogni livello di istruzione e classe sociale e solo in misura minore possiedono disagi psicologici. La violenza verso le donne fonda le sue radici nelle relazioni sociali patriarcali basate su un sistema di dominio maschile e di subordinazione femminile. Ciò porta alla luce la crucialità delle rappresentazioni sociali dei comportamenti femminili e maschili, il giudizio su di essi e i confini entro i quali devono collocarsi. Gli stereotipi vogliono che - L’uomo sia mosso da una sessualità prorompente, da incontenibili e innati istinti erotici che talora, quando i freni inibitori vengono meno, si possono scatenare dando luogo a episodi di violenza. - La donna sia una vittima, tant’è che non riescono a riconoscere in uno schiaffo una forma di violenza, bensì una dimostrazione di affetto e che sia debole (come i bambini, anch’essi bersaglio della violenza maschile). Tuttavia bisogna ricordare che i maschi vengono abituati sin da piccoli a inibire le proprie emozioni in quanto considerate femminili-> è nello scenario del pensare e dell’agire “normale” del genere maschile in cui si ritrovano le condizioni potenziali che possono produrre esiti relazionali violenti. Per quanto riguarda la prevenzione di abusi, tra le iniziative già avviate ci sono: I. Campagna canadese del “Nastro Bianco”-> coinvolge ragazzi e uomini per prevenire la violenza maschile; II. Reclutamento di personale maschile da impiegare nei centri di cura per l’infanzia e il sostegno ai congedi parentali paterni (in Italia si premiano i padri che scelgono di occuparsi dei figli); III. Costituzione di gruppi maschili antirazzisti e antisessisti; IV. Campagne educative lanciate in quei paesi quali il Salvador e le Filippine tra le forze di polizia; V. Programmi specifici sul genere nelle scuole australiane (identità di genere maschile connessa alla violenza); VI. In Italia si ricorda l’Appello degli uomini contro la violenza che reca le firme di uomini provenienti da diversi percorsi politici, culturali, religiosi, sessuali i quali hanno deciso di reagire ai fatti di violenza contro le donne.