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che sottolinea una contemporaneità nel passato caratteristica specifica di questo tempo verbale.
Una delle peculiarità più comunemente attribuite all'imperfetto è quella di essere il tempo
delle descrizioni, e infatti basta prestare attenzione ai tempi verbali utilizzati nei racconti, nei
romanzi o in qualsiasi breve narrazione:
Il sole era andato sotto: le cose diventavano tutte d'un colore. (Manzoni)
L'imperfetto, in quanto tempo descrittivo, è usato per esprimere circostanze secondarie che
fanno da accompagnamento al fatto principale narrato. In genere, quindi, esprime circostanze
accessorie a corredo di un fatto:
Poiché l'imperfetto esprime un'azione che si svolge nel passato, resta un tempo relativo, che
implica cioè un riferimento costante a un'azione perfettiva passata:
Il curato vide qualcosa che non s'aspettava (...) due uomini stavano l'uno dirimpetto all'altro...
(Manzoni)
Oltre ai tratti temporali dell'imperfetto, bisogna prestare attenzione anche ai valori aspettuali di
questo tempo verbale.
Innanzitutto, è utile specificare cosa si intenda esattamente per aspetto: esso è la proprietà che
definisce la durata nel tempo di un'azione. Ad esempio, in italiano l'aspetto del verbo viene definito
dalla costruzione della frase e dal tempo usato oppure da verbi o avverbi aggiunti a chiarimento del
concetto:
L'imperfetto ha, inoltre, un'accezione progressiva, che troviamo spesso in frasi del tipo:
nella quale non è importante specificare se il soggetto abbia continuato o meno l'azione. La
progressività (interpretando 'leggeva' come 'stava leggendo') si realizza tramite la presenza di
enunciati tipo: 'allo squillare del telefono', 'quando entrai', ecc.
In assenza di essi, l'azione diventa iterativa:
Uno degli usi che si è maggiormente diffuso, soprattutto a livello di linguaggio giornalistico e
burocratico, è quello del cosiddetto imperfetto narrativo, caratteristico delle lingue romanze:
L'incidente si verificava all'incrocio tra le due vie. I feriti venivano prontamente soccorsi dai
passanti, mentre le forze dell'ordine accorrevano sul posto.
Esso esisteva già nell'italiano antico e rappresenta una rivitalizzazione di una possibilità strutturale
già in uso nel passato. Infatti, l'opposizione aspettiva fra il passato remoto e l'imperfetto nei secc.
XIII, XIV e XV è tale che l'uno esprimeva la perfettività e l'altro la durata senza considerazioni di
limiti:
Egli era moria in Firenze grande e ben toccò a' detti nostri antichi.
Tale opposizione genera all'interno del testo un contrasto tra uno sfondo ed un primo piano, dove
"...in una narrazione l'imparfait segnala lo sfondo (...) e il passé simple il primo piano..."(1). In
particolare, il locutore decide di usare il perfetto per fornire un'informazione precisa e puntuale, e
l'imperfetto per le informazioni meno rilevanti.
Un uso frequente in novellistica è quello denominato imperfetto di rottura, notato nella lingua
francese a partire dal 1850 in Maupassant e che nonostante la sua imperfettività, designa un'azione
puntuale; vi sono esempi di imperfetto di rottura anche in italiano con Pirandello, Buzzati e Anna
Maria Ortese, che intitola un suo libro ‘Il mare non bagnava Napoli', oltre che in spagnolo.
L'imperfetto di modestia
Il cosiddetto imperfetto di modestia è uno dei ruoli che l'imperfetto è in grado di ricoprire.
Come rileva Bertinetto (1978), la caratteristica del tempo imperfetto è di essere un tempo
fondamentalmente imperfettivo, a prescindere dal grado di indeterminatezza fornito dal contesto.
Considerando l'uso che dell'imperfetto si fa con i verbi modali e trasformativi, ne deriva una
capacità di questo tempo di rivestire i ruoli più diversi, uno dei quali è il cosiddetto imperfetto di
modestia o cortesia, o ancora attenuazione molto diffuso sia nella lingua parlata che nella
letteratura.
Si tratta di una sostituzione del tempo imperfetto ad un altro tempo - sovente perfettivo – in contesti
che vengono così ad assumere valenze semantiche diverse o, almeno, sfumature di significato a-
normali. L'elasticità propria dell'imperfetto ci permette di utilizzarlo, quindi, non solo come
semplice tempo del passato volto alla definizione simultanea di due o più azioni, ma anche di
conferirgli valenze ulteriori.
Fra i più comuni esempi di imperfetto di cortesia è il tipo:
Volevo una maglietta, o
Volevo del pane.
Certamente, qui volevo non è da intendere letteralmente come tempo situato nel passato di una
situazione pre-discorsiva - come, invece, sembra fare Ronconi (1944-45) parlando di intenzione
precedente e di successiva rinuncia espressa mediante l'imperfetto - bensì come un tentativo di
prendere le distanze, facilitato del resto dalla natura imperfettiva dell'imperfetto, che tende a
presentare l'azione come non completamente compiuta. Questa interpretazione trova anche
d'accordo i Le Bidois (cit. in Warnant, 1964). Effettivamente, non sembra logicamente accettabile
che il locutore, pur avendo cambiato idea circa una sua precedente intenzione, la porti ugualmente a
termine, esprimendo con 'volevo' una rinuncia che, nei fatti, non si attua.
A questo proposito, abbiamo esempi interessanti che Blücher (1974) trae dalla letteratura, fra i quali
il seguente:
ma sì, dica, voleva dire ancora qualcosa? - Oh! che sono una madre con un figlio morto, volevo
dire. (Fabbri, D., Processo a Gesù, 1963)
dove è evidente che l'uso dell'imperfetto volevo non è indice di un precedente desiderio specifico
poi abbandonato, come prova l'avvenuta esposizione discorsiva. Egli ne conclude che, in frasi come
questa, l'imperfetto non veicola altro significato particolare se non quello di dare un tono di cortesia
o modestia all'enunciato.
Il tratto interessante - e che Ronconi non sembra aver considerato - è la fittizia dislocazione
temporale (Bertinetto, 1978) provocata dall'uso dell'imperfetto la quale, tuttavia, pur permettendo al
locutore di prendere le distanze dalla situazione discorsiva, non esclude un suo coinvolgimento
emotivo - al contrario di ciò che affermano Wagner e Pinchón (cit. in Warnant, 1964).
È perfino possibile che proprio questa sia la causa della presa di distanza attuata dal locutore
mediante l'imperfetto. Di questa opinione è Weinrich (1980, 264), quando parla di metafora
temporale con sfumatura di modestia originata dalla sovrapposizione di due transizioni eterogenee
di primo e di secondo grado. Esemplificando, si ha la transizione eterogenea di primo grado con il
passaggio dal presente all'imperfetto - voglio dirti -, mentre la transizione eterogenea di secondo
grado si origina contemporaneamente all'uso del verbo modale, che di per sé è limitativo: volevo
dirti è, infatti, meno categorico ed ha un impatto meno forte rispetto a ti dico.
La fittizia dislocazione temporale di cui si parlava sopra è la stessa individuata da Fogarasi (1968,
279) come estraniamento dalla realtà a fini di cortesia. Ma egli nota anche come frasi tipo:
ne voleva? (pronunciata, ad esempio, offrendo una sigaretta dopo essersi precedentemente serviti)
siano indice di evidente scortesia, in quanto cercano di recuperare un precedente comportamento
poco corretto.
Proprio quest'ultima frase ci offre l'occasione di notare, ancora una volta, come l'imperfetto sia un
tempo fondamentalmente imperfettivo e riesca a coprire un campo di valenze più ampio di altri
tempi.
Tuttavia, non bisogna cadere nell'errore di attribuirgli una varietà spropositata di valori, come fa
giustamente notare Warnant (1964). Purtroppo, nel tentativo di porre un freno all'illimitato
frazionamento dei valori attribuiti all'imperfetto, egli cade nell'errore opposto e, cercando di
recuperare tutto il possibile a livello morfologico, erige una barriera fra grammatica, semantica e
stilistica. Per Warner, infatti, ogni valore dato all'imperfetto che dipenda dai semantemi,
dall'intonazione e dalla punteggiatura, varca i confini della grammatica vera e propria e scivola in
altri campi, che egli non intende considerare ai fini di una corretta attribuzione di valenze
all'imperfetto. Ma non si vede quanto sia utile scindere così nettamente grammatica e semantica.
Sempre nell'ambito delle considerazioni sull'uso dell'imperfetto di modestia, il prof. Orioles
(Sociolinguistica 200/2001), ne parla nella sua trattazione sulla variabilità diafasica, sottolineando
come essa comprenda ...le alternative funzionali all'interno del repertorio di un dato individuo o
gruppo di individui, ossia le diverse modalità d'uso di una lingua che siano influenzate dalla
situazione comunicativa. (...) Una stessa persona può dunque selezionare dei moduli linguistici
molto diversi per esprimere più o meno lo stesso contenuto semantico in occasioni diverse:
La frase perde, così, ogni valore modale e si trasforma in una semplice domanda.
Anche l'esempio (25) presenta una situazione analoga. Con la sostituzione del presente
all'imperfetto, la frase diventa Ora mi sbaglio e naturalmente perde il suo valore modale. Ma c'è di
più: la comparsa dell'imperfetto non ci consente più di notare la differenza tra ME (Momento
dell'enunciato) e MA (Momento dell'avvenimento)- che era sottolineata dall'accostamento tra
l'avverbiale 'ora' e l'imperfetto. Infatti, l'uso del presente ci riporta esclusivamente ad un punto
presente o ad uno futuro, ma in nessun caso al passato.
Una nota d'attenzione merita, infine, l'esempio (11) che, senza dover necessariamente sostituire
l'imperfetto con il presente, si presta già da sé a due differenti interpretazioni: Qui, basta dare
un'intonazione di voce diversa e la frase assume o il valore di un incoraggiamento a parlare o
quello opposto di un velato invito a tacere.
I pochi esempi qui esaminati rappresentano solo uno spunto per ulteriori analisi. Quello che si
vuole qui far notare è che non tutti quegli imperfetti che a prima vista sembrano avere valenze di
modestia, in realtà le hanno. Le varie sostituzioni e modifiche operate su questi esempi dimostrano
come, cambiando la frase, si possa cambiare la valenza o, addirittura, annullarla.
Note bibliografiche:
Battaglia S. - Pernicone V., 1974, Grammatica italiana, Loescher, Torino.
Bertinetto P. M., 1978, Tempo e aspetto nel verbo italiano. Il sistema dell'indicativo, Dispense del
corso di Storia della Lingua Italiana.
Blücher K., 1974, Studio sulle forme 'ho cantato', 'cantai', 'cantavo', 'stavo cantando'. Struttura,
funzione e uso nel sistema verbale dell'italiano moderno, Bergen, Oslo.
Fogarasi M., 1969, Grammatica italiana del Novecento, Tankonyvkia, Budapest.
Harris M., 1978, The Evolution of French Syntax: a Comparative Approach, Longman, London.
Le Bidois G. e R., 1935, Sintaxe du français moderne, Paris.
Orioles V., Sociolinguistica 200/2001, Variabilità diafasica, Università degli Studi di Udine.
Regula M. - Jerney J., 1965, Grammatica italiana descrittiva su basi storiche e psicologiche,
Francke Verlag, Munchen.
Ronconi A., 1971, Interpretazioni grammaticali, Padova.
Weinrich H., 1980, Tempus. Le funzioni dei tempi nel testo, Il Mulino, Bologna.
Warnant L., 1964, Le role du contexte dans les valeurs de l'imparfait, in Melanges de linguistique
romane et de philologie medievale offerts a M. Maurice Delbouille, Gembloux, pgg. 653-73.
L'imperfetto di conato
Le spiegazioni al riguardo, di solito, si somigliano molto fra di loro e l'imperfetto di conato viene
generalmente definito come l'imperfetto del semplice tentativo confrontato con l'imperfectum
corrispondente del latino. Plattner (1920, 273) e Bonnard (1960, 108) descrivono l'imperfetto di
conato come tempo dell'azione appena iniziata che non arriva a compimento; Bertinetto (1978)
parla di imperfetto imminenziale e vi cataloga insieme quello conativo.
Da questa linea generica si distacca la Pusch (1981) che distingue ben tre varianti di imperfetto di
conato:
azione non iniziata e non portata a termine
(1) Rispondevo, ma nessun suono saliva alle mie labbra.
azione non terminata, ma iniziata
(2) Giovanni cadeva già nel burrone, quando gli ho steso la mano: sono arrivato appena in tempo.
imperfetto conativo retorico
(3) Morivo dal caldo. (4) Annegavo nel lavoro.
Per il primo esempio non pare si possano muovere rilevanti obiezioni ad una interpretazione in
chiave conativa dell'imperfetto: intendiamo, infatti, rispondevo come tentavo di rispondere, dove
l'imperfetto rivela il semplice tentativo di iniziare - ed eventualmente terminare - un'azione.
Con questa interpretazione sono d'accordo i Le Bidois (1935-38, 428) quando dicono che L'autre
trait caractéristique de l'imparfait, son caractére d'imperfectum (d'inachevé), lui permet de rendre
una nuance délicate de l'action. L'action inachevée est plus d'un fois una action qu'on a tanté de
mener à bonne fin, mais sans y pervenir. De là cet imparfait qu'on peut appeler 'de tentative', (les
Allemands disent: de conatu).
Chi non è per nulla d'accordo con questo punto di vista è Warnant (1964, 662, nota 1) quando
insiste sul fatto che non tutte le azioni del passato presentate con un carattere d'imperfectum sono
necessariamente da intendere come azioni che abbiamo tentato di portare a termine senza riuscirci.
Ma a questa affermazione si oppone Ronconi (1971, 227) quando afferma che l'imperfetto di conato
vale per il passato e ha larghe applicazioni:
veniebatis in Africam (= cercavate di venire in Africa) dove l'imperfetto corrisponde ad un presente
altrettanto imperfettivo venis (= tu cerchi di venire).
D'altra parte, anche nell'esempio citato da Le Bidois (cit. in Warnant, 1964, 661-2):
Porquoi détournais-tu mon funeste dessein?
appare chiaro come l'imperfetto contenga l'idea dell'inutilità dell'azione, che rimane sospesa, e si
tratti, quindi, di un vero e proprio imperfetto di conato, più che di una forma di rimprovero attenuata
- che ci farebbe scivolare nell'imperfetto di modestia.
Imperfetto vs semantemi
Come si è già accennato, Warnant tende ad eliminare molti valori modali all'imperfetto,
giustificando questa sua operazione come una
distinzione fra valori intrinseci al tempo e valori aggiunti dal contesto:
[...] ce son les sémantemes que nous y font découvrir une tentative. [...] Le rôle de l'imparfait? Nul.
(ib., 662)
È vero che il valore modale dell'imperfetto può variare a seconda del contesto, ma non sempre
questo accade: ci sono casi in cui la modalità è da far risalire unicamente all'imperfetto.
Per quanto riguarda il secondo esempio, l'azione descritta non è giunta a termine, naturalmente, ma
era già iniziata, per cui, qui, sarebbe forse il caso di parlare di imperfetto imminenziale -
sottolineato dall'avverbiale già - e di interpretare cadeva come stava per cadere e non già,
logicamente come tentava di cadere. Si può sottolineare, inoltre, la presenza di un effetto di
esagerazione, se si presuppone, evidentemente, che il significato letterale della frase non sia l'unico
esistente: noi non sappiamo se, nella realtà, Giovanni fosse effettivamente sul punto di cadere nel
burrone, o se il locutore che riporta il fatto (L2, nella terminologia di Damourette e Pichon)
aggiunga informazioni o impressioni personali all'avvenimento.
Imperfetto conativo retorico
Gli esempi (3) e (4), infine, sono classificati dalla Pusch come imperfetto conativo retorico. Ma più
che di retorica, qui sarebbe il caso di parlare di effetto di esagerazione, anche se l'imperfetto, in frasi
come queste, non è l'unico tempo verbale ad esserne portatore. Se sostituiamo l'imperfetto con il
presente, infatti, le frasi hanno lo stesso significato e, quel che più conta, conservano il valore di
esagerazione. A questo proposito, ricordiamo cosa dice Weinrich (1980, 142) sull'imperfetto di
conato.
Imperfetto e verbi telici
L'anello di congiunzione è rappresentato dai verbi morire e annegare: proprio considerando questi
verbi Weinrich (ib.) coglie l'occasione per notare come quasi tutte le grammatiche del francese e
dello spagnolo contengano esempi di imperfetto di conato con i verbi su citati.(1)
(5) Moi, je me noyais un beau jour dans le Tamise, tu m'as tiré de l'eau...(V. Hugo) È chiaro che il
locutore non è annegato, sia perché ci riferisce personalmente il fatto, sia perché è
stato tirato fuori dall'acqua.
Un esempio analogo è quello citato da Gili y Gaya (1943, par. 124):
(6) Le dió un dolor tan fuerte que se moría; hoya está mejor.
Anche qui, la persona di cui si parla non è morta, anzi oggi sta meglio. In entrambi i casi, bisogna
allora intendere essere sul punto di morire e essere sul punto di annegare.
Ma come è possibile che l'imperfetto acquisti il valore del mero tentativo? Se seguiamo l'opinione
di Stern (1952, 25), dobbiamo avvalerci della semantica e interpretare me noyais in questa chiave.
Ma pare che tanto Weinrich (ib.) quanto Garey (1957, 91-110) non siano d'accordo su questo tipo di
analisi. Garey oppone una soluzione abbastanza contorta, tirando in campo i verbi telici - cioè quei
verbi che secondo la natura della loro azione devono arrivare ad un compimento - fra i quali morire
ed annegare. Se tali verbi vengono messi all'imperfetto, ne risultano, per così dire, attenuati, grazie
all'aspetto imperfettivo del tempo.
Questa attenuazione, sarebbe, appunto, espressa tramite stava per morire e stava per annegare. Ma
Weinrich non crede che i verbi che indicano il morire e l'annegare si comportino diversamente da
altri, anche se, semanticamente, la morte di una persona è l'avvenimento più importante della sua
vita.
(1) Evidentemente, si è prestata particolare attenzione alla Aktionsart di questi verbi, e al suo
intrinseco valore di esagerazione.
Egli riporta semplicemente la questione al solito rapporto narrare/commentare e ci offre un
esempio tratto da V. Hugo (Châtiment, V, 13):
(7) Chefs, soldats, tous se mouraient. Chacun avait son tour.
che serve a dimostrare come, in questo caso, se mouraient non si possa interpretare stavano per
morire, perchè i soldati di Napoleone dei quali si parla sono morti veramente: qui, semplicemente,
la morte viene narrata, invece che commentata. Vale a dire che, in questo caso, pur essendo la
morte importante per una persona, si trova nello sfondo e, di conseguenza, il verbo usato è
l'imperfetto, anzichè il passato remoto.
Se Weinrich riduce l'imperfetto di conato a una mera questione di primo piano/sfondo, Blücher
(1974, 226) lo annulla del tutto e, attraverso vari esempi, dimostra come l'imperfetto sia
commutabile con il passato prossimo e il passato remoto. Gli esempi considerati riguardano per lo
più il verbo dimenticare:
(8) Ma che testa ho, cara. Dimenticavo di dirti che fra poco verrà qui il senatore Tassoni. (9)
Dimenticavo di dire che s'è inoltre preso anche due baionettate austriache... (10) Sì, ve lo avevo
detto io...ma mi dimenticavo un altro impegno.
Come detto sopra, Blücher ammette la sostituzione di dimenticavo con ho dimenticato e
dimenticai, mentre rifiuta il senso generalmente attribuito al verbo di lo stavo dimenticando, ma ciò
non è avvenuto e ora ve lo dico. Questo rifiuto è motivato dal fatto che Blücher non vede in questi
imperfetti un aspetto imperfettivo, tant'è che ribadisce come in casi simili l'imperfetto si trovi in
contesti perfettamente passibili di commutabilità. Personalmente, trovo che questo tipo di
spiegazione non sia così evidente come sembra voler fare apparire l'autore, anzi, propenderei per
una interpretazione conativa degli esempi (8), (9) e (10).
A sostegno della sua testi, Blücher cita altri esempi dove sono presenti avverbi:
(11) Una volta ha fatto una gran fiammata e per poco non mi prendevano fuoco i capelli.
che, a prima vista, verrebbero individuati come imperfetti di conato, se non esistessero anche
esempi tipo il seguente:
(12) Per poco non cascò dallo spavento...
per poco e quasi avrebbero la funzione di modificare il verbo: vale a dire che, in entrambi gli
esempi si tratta di Sv non portati a termine, per cui egli conclude che anche un passato remoto può
essere collocato in un contesto imperfettivo, la qual cosa annullerebbe automaticamente la
denominazione di imperfetto di conato. Come al solito, si potrebbe continuare ad argomentare
sull'esistenza o meno dell'imperfetto di conato, portando a riprova esempi da ambo le parti: Ma si
rischierebbe solo di giungere a delle spiegazioni tali da sembrare prefissate a priori. Preferiamo
esaminare, allora, individualmente, un certo numero di esempi, senza affermazioni prestabilite.
Note bibliografiche
Bertinetto P. M., 1978, Tempo e aspetto nel verbo italiano. Il sistema dell'indicativo, Dispense del
corso di Storia della Lingua Italiana. Bonnard H., 1960, Grammaire français des lycées et colléges.
Blücher K., 1974, Studio sulle forme 'ho cantato', 'cantai', 'cantavo', 'stavo cantando'. Struttura,
funzione e uso nel sistema verbale dell'italiano moderno, Bergen, Oslo.
Garey H. B., 1957, Verbal Aspect in French, 'Language', XXXIII. Le Bidois G. e R., 1935, Sintaxe
du français moderne, Paris. Warnant L., 1964, Le role du contexte dans les valeurs de l'imparfait, in
Melanges de linguistique romane et de philologie medievale offerts a M. Maurice Delbouille,
Gembloux, pgg. 653-73. Pusch R., (n.d.), Das italianische Tempussystem, in Schwarze C. (ed),
Bausteine fur eine
italianische Grammatik, Tubingen. Plattner M., 1920, Grammatik der Französichen Sprache. Stern
H., 1952, Les temps du verb fini (indicatif) en français moderne, Copenhague. Ronconi A., 1971,
Interpretazioni grammaticali, Padova. Weinrich H., 1980, Tempus. Le funzioni dei tempi nel testo,
Il Mulino, Bologna.