Venne elaborato in Occidente a partire dall'VIII secolo dall'incontro del canto romano
antico con il canto gallicano nel contesto della rinascita carolingia. È cantato ancora oggi,
non solo in ambito liturgico, e viene riconosciuto dalla Chiesa cattolica come "canto
proprio della liturgia romana" [1].
Deve essere cantato a cappella, cioè senza accompagnamento strumentale, poiché ogni
armonizzazione, anche se discreta, altera la struttura di questa musica.
In effetti, si tratta di un canto monodico, è una musica cioè che esclude la simultaneità sonora di
note diverse: ogni voce che lo esegue canta all'unisono.
Dal punto di vista del sistema melodico, il canto gregoriano è di tipo modale e diatonico. I
cromatismi vi sono generalmente esclusi, così come le modulazioni e l'utilizzo della sensibile. Le
diverse scale impiegate con i loro gradi ed i loro modi, sono chiamati modi ecclesiastici, scale
modali o modi antichi , in opposizione alle scale utilizzate in seguito nella musica classica tonale.
Non è cadenzato, ma è assolutamente ritmico. Il suo ritmo è molto vario, contrariamente alla
cadenza regolare della musica moderna. Il ritmo, che nel canto gregoriano riveste un ruolo
complesso, oltrepassa le parole e la musica, sorpassando le due logiche. Nei passaggi salmodici o
sillabici, il ritmo proviene principalmente dalle parole. Nei passaggi neumatici o melismatici, è la
melodia che diventa preponderante. Queste due componenti sono costantemente presenti.
È una musica recitativa che predilige il testo in prosa, che prende origine dal testo sacro e che
favorisce la meditazione e l'interiorizzazione ( ruminatio) delle parole cantate [2]. Il canto
gregoriano non è un elemento ornamentale o spettacolare che si aggiunge alla preghiera di una
comunità orante, ma è parte integrante ed
efficace della stessa lode ordinato al servizio ed alla comprensione della Parola di Dio [3]. È questo
il significato più profondo ed intimo di questo genere musicale.
Più di recente, si è venuto a dubitare non solo dell'origine miracolosa dell'Antifonario, ma della
stessa derivazione da Gregorio. Dalla carenza di testimonianze autografe dell'interesse di Gregorio
per quello che riguarda l'impianto dell'uso della musica nel rito della messa, tranne una lettera
generica in cui si parla del rito britannico, sono derivate altre ipotesi. Fra queste, vi è quella
secondo cui l'Antifonario (e la storia della sua origine) sarebbero entrambi di origine carolingia
(quindi databili quasi due secoli dopo la morte di Gregorio) e farebbero parte dello sforzo di
unificazione del nascente Sacro Romano Impero: esistono infatti
documenti che attestano i tentativi degli imperatori carolingi di unificare i riti franco e romano.
Secondo questa ipotesi, attribuire la riforma ad un miracolo che coinvolgeva un papa di grande
fama come Gregorio sarebbe servito quale espediente per garantirne l'accettazione universale e
incondizionata.
Cenni storici
A Gregorio Magno fu attribuita dal suo biografo Giovanni Diacono (scomparso nell'anno 880) la
prima compilazione di canti per la Messa: "Antiphonarium centonem compilavit" , cioè raccolse da
più parti ed ordinò un Antifonario (libro di canti per la Messa). Prima ancora di comprendere
come avvenne tale opera di revisione e collazione e quale ruolo effettivo vi ebbe Gregorio,
occorre indagare sul materiale preesistente.
Tuttavia, se è opinione generale che esistesse all'epoca un insieme di canti per la liturgia, nulla di
preciso si conosce al riguardo per quanto attiene agli autori e alle epoche di composizione. Si
tenga presente che fino al 700 non vi fu scrittura musicale ma sui testi si apposero dei
convenzionali segni mnemonici per aiutare il cantore. Si ipotizza che nei tre secoli anteriori a
Gregorio fosse diffusa la figura dell'autore - cantore, che ricorda il rapsodo dei tempi omerici: il
canto veniva tramandato ed eseguito con l'aggiunta di varianti o con vere e proprie
improvvisazioni. L'ambiente presso il quale si formavano questi ignoti "artisti" è rappresentato
dalla Schola cantorum, palestra dove la Chiesa ha preparato i propri cantori fin dai primi tempi
(all'epoca di papa Damaso, morto nel 384, c'era già una distinta schiera di diaconi
esclusivamente dedicata a questo scopo). In modo simile a quanto avveniva nelle scuole d'arte
medievali, si può parlare di un continuo lavoro collettivo, in cui si miscelavano qualità individuali
e tradizione, stile personale e caratteristiche comuni al gruppo. La vocazione religiosa che era
al fondo di tale attività spiega inoltre perché l'individuo scomparisse nel rendere un servizio alla
comunità e a Dio, tanto che l'arte attraverso la spiritualità si trasformava in preghiera: il nome di
questi musicisti non è giunto a noi perché essi non pensavano di lavorare per la propria fama ma
per la gloria di Dio. Pertanto, rimane un solo nome, quello di papa Gregorio, a designare questi
canti, che egli per primo ha fatto raccogliere e conservare, ma non sono suoi, così come non lo
saranno quelli che verranno dopo di lui ma che, ugualmente, si chiameranno gregoriani.
Il ruolo di Gregorio
Come avviene generalmente per ogni periodo della storia della Chiesa, il nome di un Pontefice
riassume e contrassegna il lavoro di un'intera generazione. Ciò vale anche - e forse ancor di più -
per il periodo gregoriano, nel quale si riassume anche l'opera precedente e si dà il nome a quanto
avverrà anche nei tempi successivi. Il ruolo di Gregorio nei confronti del canto liturgico è
testimoniato dal diacono Giovanni (870) nella sua Vita di San Gregorio , scritta su incarico di
Gregorio VIII avvalendosi dei documenti dell'archivio pontificio. La compilazione di un libro di
canti per la Messa (Antifonario), di cui a noi non è pervenuto l'originale, è stata redatta insieme ai
maestri del tempo, ma - secondo il biografo - con un intervento diretto e competente dello stesso
Gregorio, che ci viene presentato come esperto in materia, maestro di canto ed istruttore dei "pueri
cantores". Del resto, si deve a lui la restaurazione della "Schola cantorum" nella quale diede prova
del suo mecenatismo: anche in questo caso, non fu lui a fondarla ma la fornì dei mezzi necessari
ad uno sviluppo sicuro. Il ruolo di Gregorio nell'ambito del canto liturgico fu consacrato da Leone
IV (847 - 855) che per la prima volta usò l'espressione "carmen gregorianum" e che minacciò di
scomunica chi mettesse in dubbio la tradizione gregoriana.
La "questione gregoriana"
Lo sviluppo del canto gregoriano avvenne in un'epoca posteriore nei confronti del cosiddetto
canto romano antico, e mostra una compiuta rielaborazione di vari elementi preesistenti, in modo
tale da creare una sintesi artistica di grande valore. Infatti il repertorio "gregoriano" ingloba delle
melodie romane anteriori adattate, ma anche caratteristiche melodiche che derivano dalla fusione
con repertori liturgici della Gallia. Tutto questo corpus melodico viene inquadrato nel sistema
degli otto modi (Octoechos), di derivazione greca e giunto in Europa occidentale attraverso
Boezio. La consapevolezza di questo "incontro" tra due tradizioni, però, non risolve una
problematica storica complessa.
Teoria tradizionale
Secondo la teoria tradizionale in ambito cattolico-romano, il canto gregoriano si sarebbe formato
a Roma, dopo l'adozione della lingua latina nella liturgia, in una lenta evoluzione, con diversi
apporti di papi. Il canto gregoriano sarebbe erede della tradizione ebraica sinagogale, e arricchito
con influssi derivati dal canto della Chiesa di Gerusalemme. La messa a punto spetterebbe a
Gregorio Magno e alla sua schola cantorum. Nel XIX secolo si pensò di avere individuato, nel
codice di San Gallo 359, una copia autentica dell'Antifonario di Gregorio: l'iconografia del papa e
il prologo Gregorius praesul , presente in vari manoscritti antichi, sembravano dare conferma
irrefutabile a questa tradizionale teoria, che conosceva poche voci discordanti.
La moderna opera di restaurazione gregoriana si svolse attorno a questa versione melodica,
ritenuta come il vero canto della chiesa.
Il concilio di Trento darà il colpo di grazia alla riproduzione e all'uso dei tropi e delle sequenze.
L'Edizione medicea del Graduale Romanum (1614-1615, dal nome della tipografia Medici di
Roma), è il frutto di una riforma melodica iniziata da papa Gregorio XIII alcuni decenni prima:
viene affidata, in un primo tempo, a Pierluigi da Palestrina, e riprendendo istanze ed esperienze
umanistiche riduce il canto gregoriano ad uno stato "mostruoso": ritmica mensuralistica,
eliminazione dei melismi, gruppi neumatici spostati sulle sillabe toniche, ecc. Su tale versione,
che vanta una pretesa cattolicità e perciò viene largamente diffusa, si esercitano numerosi teorici
barocchi, che producono una nutrita letteratura di metodi per l'esecuzione e di giustificazioni
ideologiche.
È interessante, a questo proposito, una testimonianza di Felix Mendelssohn sul modo in cui
veniva eseguito il "canto gregoriano" a Roma nell'Ottocento: [4]:
« L'intonazione è affidata a un soprano solista, che lancia la prima nota con vigore, la carica di
appoggiature e termina l'ultima sillaba su un trillo prolungato. Alcuni soprani e tenori cantano la
melodia come è nel libro, o giù di lì, mentre contralti e bassi cantano alla terza. Il tutto è reso su un
ritmo saltellante. »
(F. Mendelssohn, 1830)
La stessa "Medicea", comunque, per quanto imposta d'autorità da Roma, si rivelerà insufficiente
ed insoddisfacente: una copiosa produzione neo-gregoriana o pseudo-gregoriana (per esempio
Attende Domine, o Rorate caeli) si fa strada soprattutto nelle regioni francofone. Appaiono così
delle melodie "moderne", alcune anche di tutto rispetto, che forniscono una base al repertorio
popolare in latino (Messe, antifone, etc.).
Nonostante lo stato di decadenza, il canto gregoriano è sentito da alcuni spiriti come un'ancora di
salvezza del contesto liturgico, e come strumento di salvaguardia dei testi rituali. Ciò si
comprende tenendo conto della invasione del "bel canto", dell'operismo e del concertismo nei riti
sacri.
Edizioni critiche
Ne 1974 fu pubblicata l'auspicata nuova edizione del Graduale Romanum curata dai monaci
dell'Abbazia di Solesmes.
Nel 1975 fu fondata a Roma l' Associazione Internazionale Studi di Canto Gregoriano su iniziativa
di Luigi Agustoni, con l'intento di proporre un testo critico del Graduale alla luce di uno studio
approfondito dei più antichi testimoni della tradizione testuale: il tentativo estremo di coniugare
rigore filologico (thesaurum gregorianum autenticum integre conservare) e nuovi intendimenti
pratici ( Rubricae autem ampliorem facultatem praebent hauriendi e Communibus noviter
dispositis, ita ut necessitatibus quoque pastoralibus largius satisfiat ): come risultato nel 1979
venne pubblicata l'edizione tipica del Graduale Triplex, rappresentazione musicale in notazione
quadrata del Graduale Romanum con l'aggiunta della notazione sangallese e della notazione
metense, alla luce dello studio condotto dai monaci di Solesmes sui codici di Laon, San Gallo,
Einsiedeln e Bamberga.
I canti di genere salmodico, sillabico o accentus (quando ad ogni sillaba del testo corrisponde
solitamente una sola nota ) come ad esempio la salmodia o le più semplici antifone dell'Ufficio, le
melodie semplici dell'Ordinario e i recitativi del Celebrante.
I canti di genere neumatico o semiornato (quando ad ogni singola sillaba del testo
corrispondono piccoli gruppi di note) come ad esempio gli Introiti, gli Offertori e i Communio
della Messa o alcune antifone più ampie dell'Ufficio.
I canti di genere melismatico, ornato o concentus (quando ogni sillaba del testo è fiorita da
molte note) come ad esempio i Graduali e gli Alleluia o i responsori prolissi dell'Ufficio. Tipico di
questo genere è la presenza dei melismi.
Prima di affrontare per sommi capi questo vastissimo argomento è bene precisare che nel canto
gregoriano il testo-preghiera è legato indissolubilmente ad una melodia e ne forma una completa
simbiosi. Il gregoriano è il canto della pienezza della parola; esso nasce per ornare, esaltare e dare
completezza espressiva ai testi della liturgia. Le melodie gregoriane esistono solo in funzione del
loro elemento primario, il testo, al punto da identificarsi con esso e assumerne le qualità. Pertanto,
la qualità ritmica del neuma si attinge dal testo e non dalle qualità fisiche del suono. La perfetta
simbiosi fra testo e melodia costituisce nel gregoriano il dato
fondamentale per la soluzione del problema del valore delle note. [6] Il Canto gregoriano non
conosce mensuralismo e la sua interpretazione è basata essenzialmente sul valore sillabico di
ciascuna nota, caratterizzato da una indefinibile elasticità di aumento e diminuzione .
L'anima del linguaggio parlato e musicale è costituita dal ritmo. Il ritmo, nel linguaggio parlato,
consiste in un succedersi coordinato di sillabe in una o più parole. È quindi un fenomeno di
relazione, che viene espresso dall'accento e dalla finale di una parola. La sillaba tonica rappresenta
il punto di partenza e di slancio del movimento, il polo di attrazione delle sillabe che precedono
l'accento e il polo di animazione
delle sillabe che vanno verso la cadenza. [7]
Nel canto gregoriano la melodia è legata essenzialmente al testo, perché nasce e si sviluppa su un
determinato testo, dal quale prende le qualità ritmiche ed espressive. Il testo quindi costituisce
l'elemento prioritario e anteriore della composizione gregoriana. Gli elementi che concorrono a
formare un qualsiasi testo sono le sillabe, le parole e le frasi. La sillaba non forma un'entità
autonoma assoluta, ma è in funzione di un'entità maggiore, la parola, e ogni parola ha un accento
proprio che viene mantenuto nel contesto della frase rendendo possibile lo sviluppo di un ritmo
del verso.
La stessa cosa avviene nella melodia. Il neuma (di uno o più suoni sopra ad una sillaba) non è
autonomo, ma in funzione di un inciso melodico-verbale, che corrisponde ad una o più parole, a
seconda del genere compositivo. Nel genere sillabico, la parola non sempre è sufficiente a
determinare un'entità ritmica
completa. Nel genere semiornato, dove ogni sillaba comporta più suoni, di solito un inciso
melodico-verbale è ben caratterizzato da una sola parola. Nl genere ornato o melismatico (con
fioritura di note sopra una sillaba), la parola viene esaltata al punto da lasciare il posto alla
melodia.
La sillaba del testo latino rappresenta il valore sillabico della nota cioè l'entità stessa del neuma ed
è da notare che la struttura del verso latino è determinata dalla rigida distinzione che il latino
classico opera fra sillabe lunghe e sillabe brevi. Ma con il latino volgare, a cui derivano le lingue
romanze (italiano, spagnolo, francese, portoghese, romeno, ecc.), questa differenza non si avvertì
più, e l'accento tonico della parola andò acquistando maggiore importanza.
Semiografia gregoriana
I neumi
Ciò che in musica moderna si chiama nota musicale, in gregoriano è detto neuma (dal greco
"segno") con la differenza che un neuma può significare una nota singola o un gruppo di note.
Nella trascrizione moderna del repertorio gregoriano si utilizzano note di forma quadrata
(contrariamente alla notazione di tutta l'altra musica) dette notazione quadrata; esse sono la
naturale evoluzione della scrittura presente negli antichi manoscritti. Bisogna infatti considerare il
fatto che la trasmissione del canto gregoriano è nata oralmente poi i notatori hanno cominciato a
scrivere sui testi da cantare dei segni che richiamassero gli accenti delle parole ( notazione
adiastematica cioè senza rigo); l'evoluzione di questi segni ha prodotto la notazione gregoriana
che conosciamo oggi ( notazione diastematica cioè sul rigo). La grafia fondamentale del
gregoriano è data dal punctum e dalla virga; dalla sua combinazione con altri neumi scaturiranno
tutti gli altri segni nelle loro infinite combinazioni (ad. es il pes, neuma di due note ascendenti, la
clivis neuma di due note discendenti, il torculus e il porrectus neuma di tre note ascendenti e
discendenti, il climacus neuma di tre o più note discendenti...).
Neumi monosonici:
Neumi plurisonici:
2 note 3 note
Il Rigo
Il repertorio gregoriano può trovarsi nella sua forma originale sia in forma diastematica che
adiastematica, rispettivamente con oppure senza riferimenti spaziali. I brani diastematici vengono
trascritti su di un rigo detto tetragramma che legge in chiave di do e che consta di quattro linee
orizzontali con tre spazi all'interno;
si leggono dal basso verso l'alto. Alcune volte si può aggiungere una linea supplementare ma,
spesso per melodie che oltrepassano l'estensione del rigo si preferisce utilizzare il cambio di
chiave. Generalmente i brani con la scrittura diastematica risalgono all'XI sec d.C. poiché vennero
inventati da Guido d'Arezzo.
Le Chiavi
Nei manoscritti antichi per riconoscere precisamente l'altezza dei suoni furono utilizzate le lettere
alfabetiche. Due di queste C e F che corrispondono rispettivamente al Do e al Fa diventarono le
lettere chiave utilizzate nella trascrizione del repertorio. Nelle moderne edizioni la chiave di Do
può essere posta sulla quarta, sulla terza e sulla seconda linea mentre la chiave di Fa si trova
generalmente sulla seconda e sulla terza linea, raramente sulla quarta, mai sulla prima.
Alterazioni
Il gregoriano conosce solo l'alterazione del bemolle, il quale effetto viene eliminato con l'utilizzo
del bequadro. Il bemolle viene impiegato solamente per l'alterazione della nota Si: il termine
deriva dalla notazione musicale alfabetica nella quale la lettera b, corrispondente alla nota Si,
quando disegnata con il dorso arrotondato (b molle) indicava il Si bemolle mentre con il dorso
spigoloso (b quadro) indicava il Si naturale (cfr anche la teoria degli esacordi). Il bemolle usato
nella notazione vaticana (la notazione quadrata ancora in uso nelle stampe ufficiali), presenta in
realtà il contorno spigoloso, in ossequio alla forma quadrata di tutti gli altri segni utilizzati.
Il bemolle ha valore fino alla fine della parola alla quale è associato e, a differenza della notazione
attuale, veniva posto non necessariamente prima della nota interessata ma anche all'inizio della
parola o del gruppo di neumi che contenevano la nota da abbassare.
Stanghette
Le moderne trascrizioni di canto gregoriano fanno uso di alcune lineette di lunghezza variabile
poste verticalmente sul rigo musicale; esse hanno lo scopo di suddividere le frasi melodico-verbali
della composizione (come se fossero i segni di punteggiatura di un testo). - Il quarto di stanghetta
delimita un inciso melodico-verbale. - La mezza stanghetta delimita una parte di frase. - La
stanghetta intera delimita la fine della frase e molto spesso coincide con la conclusione del
periodo testuale. - La doppia stanghetta ha lo stesso significato di quella intera ma si usa al
termine di un brano oppure per evidenziare l'alternanza di esecutori.
Custos
È una nota più piccola che si traccia alla fine del rigo e ha lo scopo di indicare al cantore la nota
che comparirà all'inizio del rigo seguente.
SCHOLA GREGORIANA MEDIOLANENSIS direttore Giovanni Vianini
Per rappresentare l’altezza delle note nella s crittura gregoriana si usano dei segni chiamati NEUMI
il cui elemento fondamentale è la nota quadrata _.
Questo segno viene posto su un tetragramma cioè su quattro righe parallele
Linea 4
3° spazio
Linea 3
2° spazio
Linea 2
1° spazio
Linea 1
Per determinare il nome e la natura delle note viene posta all’inizio del tetragramma la chiave di
DO oppure di FA.
Chiave di DO Chiave di FA
Si ottengono così 9 suoni, estensione sufficiente per le melodie gregoriane, quando è necessario
una maggiore estensione si ricorre ad una stanghetta supplementare.
Quando la melodia si sposta troppo sopra o sotto il tetragramma, onde evitare l’ aggiunta di più
stanghette e tagli in testa, viene spostata la chiave su un altro rigo.
Per indicare la nota nel rigo successivo viene posta al termine del rigo precedente un segno chiamato
CUSTOS o GUIDA
La prossima
nota è un FA
Infatti la prima
nota è un FA
1
SCHOLA GREGORIANA MEDIOLANENSIS direttore Giovanni Vianini
Per segnare le pause o i respiri vengono poste delle stanghette che hanno un valore diverso in
base alla loro lunghezza in millimetri.
La stanghetta più corta è, a mio avviso ed esperienza, un respiro che si può anche evitare,
comunque sia è uno stacco breve o un respiro cortissimo.
Doppia Semplice
La stanghetta media che viene posta nelle due righe interne al tetragramma è un respiro normale,
non allungato, cioè quel tanto che serve per riprendere subito il canto della semifrase successiva.
Mentre la stanghetta intera, quella che percorre verticalmente il tetragramma è un respiro o pausa
evidente, un attimo di silenzio che piò essere anche definito “un’espressione”.
La doppia stanghetta è invece l’indicazione della conclusione di tutta la composizione o della prima
parte per poi essere seguita dal SALMO o dal VERSETTO.
Per comprendere chiaramente il punto di intonazione e l’ ambito modale del canto riporto qui di
seguito la tavola degli intervalli ricordando che sempre, salvo alterazioni, la distanza tra il SI/DO e
MI/FA è un semitono.
DO RE FA SOL
DO MI SOL SI
DO FA SOL DO
Quarta eccedente,
tritono – 3 toni FA SI
DO SOL FA DO
Ottava
DO DO
2
SCHOLA GREGORIANA MEDIOLANENSIS direttore Giovanni Vianini
Gli asterischi _ servono per indicare il termine dell’intonazione eseguita da un solista dopo la
quale inizia tutto il coro.
Inton. Coro
Mentre il trattino verticale posto sotto il neuma si chiama ICTUS ed è un appoggio ritmico.
Punctus
Virga
Pes o podatus
Clivis
Porrectus
Torculus
3
SCHOLA GREGORIANA MEDIOLANENSIS direttore Giovanni Vianini
Scandicus
..
Salicus
.
Climacus
..
Porrectus flexus
Scandicus flexus
. .
Salicus flexus
.
Torculus resupinus
Climacus resupinus
..
Pes subbipunctis
..
Scandicus subbipunctis
.
.. .
Scandicus subbipunctis
resupinus
.
.. .
…
Oriscus
4
SCHOLA GREGORIANA MEDIOLANENSIS direttore Giovanni Vianini
Nel canto gregoriano non esiste un ri tmo di per sé, ma l’andamento è in funzione del testo, quindi il
RITMO è VERBALE, le note sono un’amplificazione del testo, della preghiera. Premesso questo è
necessario dare alcuni consigli che sarà bene definire quasi personali essendo il “mondo
gregoriano” da sempre in continua ricerca e purtroppo polemica tra vari studiosi da tavolino; i
consigli che sono dati in questo elenco derivano dalla pratica quotidiana, fatto molto importante e
selettivo.
Il canto deve sempre svolgersi con suono leggero e scorrevole, senza colpi di suono o attacchi
violenti, ricordiamoci che è preghiera, quindi una richiesta umile non prepotente, una lode a Dio
non una contestazione, quindi note sempre leggere con qualche aumento di v olume solo a
carattere espressivo per dire o partecipare maggiormente al senso della parola.
I neumi monosonici, cioè che portano un unico suono, nella notazione quadrata o vaticana e nella
notazione di s. Gallo sono:
5
SCHOLA GREGORIANA MEDIOLANENSIS direttore Giovanni Vianini
Sono tre note discendenti, viene anche chiamato virga subbipunctis con
CLIMACUS .
.
all’unisono ed un terzo discendente, può trovarsi isolato su una sillaba o
major minor in composizione con altri neumi.
VIRGA Due note dello stesso suono ed una nota seguente più in basso su
STRATA un’altra sillaba; un neuma di legamento melodico (in parte).
PES
Come il pes più una nota all’unisono con la seconda.
STRATUS
Anno 2000
Giovanni Vianini
SCHOLA GREGORIANA MEDIOLANENSIS
Basilica di S. Marco Milano
Chiesa di S. Maria del Carmine Milano
Tempio civico di S. Sebastiano Milano
vianini@mail.virtuale.it
www.xfiles.it/cantogregoriano