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HEGEL

Nacque nel 1770 a Stoccarda, studiò filosofia e teologia in un seminario a Tubinga tra 88 e 93, dove
conobbe Schelling ed Hölderlin. In quel periodo inizia anche la rivoluzione francese, e si
entusiasmarono. Nell’età Napoleonica però Hegel, che tendeva a stare dalla parte di chi comanda,
diviene un grande ammiratore di quest’ultimo, che vide una sola volta. Fichte scrive i discorsi della
nazioni tedesca invece Hegel gli ciuccia il pipozzo. Tra il 1793 ed il 1796 sì trasferisce a Berna in
Svizzera dove fa il precettore privato, nel 97 fa a Francoforte sul Meno, nel 1801 va a Iena, dove nel
1805 diventa professore. Tra 1808 e 1816 fa anche direttore del Ginnasio di Norimberga, e diventa
anche professore ad Heidelberg. Dal 1818 professore all’Università di Berlino, capitale della Prussia.
A quel punto diventa filosofo ufficiale dello stato Prussiano, che è diventata la potenza dominante in
Germania con il congresso di Vienna. Nel 1831 muore crepato rip bozo per epidemia. A quel punto
torna in aude Schelling.

Gli scritti

Il pensiero di Hegel ha un’evoluzione. L’Hegel giovane ha interesse prevalentemente


religioso/politico. Via via diventa storico/politico. Quello di cui si occupa sempre è la realtà umana,
l’uomo, singolo o in comunità, la civiltà e la storia. La filosofia della natura ha una parte poco
sviluppata rispetto al resto del pensiero.

Gli scritti giovanili (1793~1800) sono di natura teologica. Alcuni concetti fondamentali sono
secolarizzazioni di concetti cristiani, es. In Hegel tutto è triatico; nel cristianesimo esiste lo spirito
Santo, in Hegel esiste il concetto di spirito che lo ricorda molto, anche se non ha nulla di
trascendentale (per questo secolarizzato). La prima opera non più a cavallo tra teologico e filosofico,
ma solo filosofica è “Differenza dei sistemi di filosofia di Fichte e di Schelling” (1801), dove si schiera
con Schelling. Sempre del 1801 è la dissertazione che scrive per ottenere la libera docenza: “De
orbitis planetarum”. Poi vengono le grandi opere: la prima grande opera della maturità è
“Fenomenologia dello spirito” (1807). Tra 1812 e 1816 scrive “La scienza della logica”, divisa in 2
parti. Nel 1817 pubblica un’altra opera fondamentale che ebbe delle riedizioni: “Enciclopedia delle
scienze filosofiche in compendio”. Nel 1821 scrive “I lineamenti di filosofia del diritto”. Dopo la
morte uscirono postume diverse opere, essenzialmente fatte dagli studenti e dai collaboratori
attraverso gli appunti che aveva lasciato. Queste opere tratte dai corsi a Berlino principalmente sono
“Filosofia della storia”, “Filosofia dell’arte”, “Filosofia della religione” e “Storia della filosofia”.

I pilastri del sistema di Hegel


Primo caposaldo: la risoluzione del finito nell’infinito

Per Hegel tutto ciò che esiste non è un insieme di sostanze distinte e autonome, ma è un’unica
sostanza, un unico essere. Simile a Spinoza, Panteista, in cui ciò che vediamo sono accidenti e modi.
Lo stesso è per Hegel, ma quello che vediamo come sostanze sono semplicemente proprietà e
manifestazioni dell’unica sostanza. Hegel chiama l’unica sostanza infinito. L’insieme di tutto il resto
lo chiama invece finito. L’infinito è l’assoluto, l’unica vera grande realtà da cui tutto viene. Le cose
del mondo come lo conosciamo costituiscono invece il finito. Che il finito si risolve nell’infinito
significa che il finito non ha consistenza in sé, autonoma, esiste solo come aspetto, momento o
proprietà dell’infinito (molto simile ad accidente di Aristotele). L’unica differenza da Spinoza per ora
è il linguaggio, ma tra loro due c’è stato Kant, Hegel è un’idealista. Mentre per Spinoza l’unica
sostanza si identifica con la natura immutabile, quello di Hegel è un oggetto spirituale e in continuo
divenire, è vivo/a, e culmina nell’uomo (come Schelling). Questa unica sostanza Hegel la chiama
anche in altri modi: Idea, Ragione, Assoluto, Spirito, Dio.

Secondo caposaldo: identità di reale e razionale


Hegel dice che ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale. Con la prima frase Hegel vuole
sostenere che la razionalità, se è davvero tale, non può essere qualcosa di non realizzato, di
sganciato dalla realtà. Se non si realizza, non è neanche razionale. La seconda frase è più comune,
quasi tutti lo pensano, se non penso che la realtà sia razionale non posso nemmeno studiarla, gli
scettici infatti dicevano di sospendere il giudizio. Secondo Hegel invece tutto è razionale, se c’è
qualcosa di irrazionale allora non è reale. La razionalità con cui si identifica la realtà è razionalità
umana, Carlani pensa che la realtà sia prodotta secondo una razionalità non umana, di cui troviamo
traccia in questa realtà, una razionalità divina (grande pcarlani). Nell’impostazione Hegeliana tutto,
sempre, diviene. L’identificazione di reale e razionale non va concepita come qualcosa di statico o
già dato, è qualcosa che si fa, che si realizza continuamente. È qualcosa che nell’insieme c’è, ma nei
singoli momenti sì realizza continuamente. La legge di questo continuo divenire dell’infinito con tutti
i suoi momenti (che significa anche un farsi razionale della realtà) dice che è necessario e
progressivo. Tutto continuamente diviene, il divenire è necessario ed è progressivo, cioè ciò che
viene dopo è migliore di ciò che c’era prima. Ciò comporta la giustificazione della realtà esistente
com’è e come è stata, se una certa cosa è accaduta ciò vuol dire che era reale e razionale,
necessaria. Se poi però qualcuno rovescia quanto successo allora diventa razionale la cosa nuova. La
cosa successa era razionale nel momento in cui è successa. Lui ha la pretesa di poter comprendere
tutto con la razionalità umana, ciò che non si comprende non è reale.

Compito e suddivisioni della filosofia


Per Hegel il compito della filosofia è prendere atto della realtà, quindi anche giustificarla. Il compito
non è quello di trasformarla, perché non ci sarebbe il razionale. Se la realtà è tale è razionale, quindi
non posso imporre un mio modello. Hegel è lontanissimo dalla mentalità illuministica, in cui la
realtà è oscura e fatta male e la ragione, il lume, la illumina e modifica. Hegel invece dice che la
realtà è tale e razionale, anche se poi va cambiando sempre per un suo processo interno, che è
necessario, non è tale perché qualcuno ha pensato qualcosa e l’ha imposto.

Le parti della filosofia dipendono dalle parti della realtà (razionalità e realtà si identificano), e sono

 Idea
1. L’Idea in sé, studia la logica
2. Idea fuori di sé (o natura), studia la filosofia della natura
3. Idea in sé e per sé (o Idea che ritorna in sé, o spirito), studia la filosofia dello spirito

Anche qui Trinità, ogni cosa si dividerà poi ancora in 3 ed in 3. La filosofia studia tutta la realtà, le
branche principali sono 3, l’Idea in sé la studia la logica, l’Idea fuori di sé, o natura, la studia la
filosofia della natura, l’Idea in sé e per sé la studia la filosofia dello spirito. Questo schema (e quanto
detto fin’ora) non è da pensare come statico, è un divenire. Lo Spirito è il più perfetto tra i 3 gigini.
Lo schema che adotta Hegel non è nuovo, l’Idea di uscita e ritorno c’è già stata, questo schema è
tipicamente neoplatonico (introdotto da Proclo), e presentissimo in Tommaso d’Aquino (filosofia
cristiana), con exitus (tutto esce dal principio, Dio) e retribus (il ritorno che è la salvezza). Hegel la
riprende in modo immanente. La critica che fa Hegel a posizioni filosofiche precedenti alla sua che
ritiene significative:
Critica all’Illuminismo
Per lui è scissione tra reale è razionale, per l’illuminista la realtà è oscura e la ragione deve
illuminarla, cioè per l’illuminista il reale non è razionale e la ragione deve renderlo tale. Ciò nella
prospettiva hegeliana non ha senso ed Hegel ridicolizza questo pensiero, secondo cui la ragione può
dare lezioni alla realtà, che per lui è già come deve essere.

Hegel e Kant
Kant è all’origine dell’idealismo classico tedesco, ma quella kantiana è una filosofia del finito,
mentre quella di Hegel è dell’infinito, in Kant si cerca il limite, perché trovandolo si disegna la parte
di effettiva validità della conoscenza. L’intelletto è la facoltà che funziona, la ragione no, quando si
tenta di andare oltre si naufraga (in Kant), mentre per gli idealisti l’intelletto dà una conoscenza solo
parziale. Mentre in Hegel l’infinito è l’origine di tutto, il resto sono accidenti. La kantiana filosofia
del finito contiene in sé una contrapposizione tra essere e dover essere, chiarissima nella teoria delle
idee della ragione come ideali regolativi. Kant dice che la conoscenza dovrebbe essere unificazione
totale, prima dei fenomeni esterni (idea di mondo), poi dei fenomeni esterni (anima) e poi del tutto
(Dio), ma queste come scienze non esistono, tendiamo a queste, fingiamo che esistano per aiutarci a
studiare ed organizzare i pensieri e la conoscenza, se ne fa solo uso regolativo. La stessa dinamica
c’è nel campo morale: né la virtù (a cui dobbiamo tendere) né il sommo bene (unione di virtù e
felicità) sono raggiungibili, è sempre un tendere a qualcosa. Quindi in Kant c’è la stessa scissione
dell’illuminismo, c’è un dover essere che mai diventa essere, e il reale non diventa mai razionale
(come dovrebbe essere). Inoltre Kant ammette la cosa in sé che Hegel non può ammettere in quanto
costituirebbe un limite.

Critica al romanticismo
Sono essenzialmente due le critiche, ma c’è qualcosa che gli piace: al centro colloca l’infinito (come
gli idealisti), ma nel pensiero romantico questo infinito si raggiunge tramite sentimento, fede ed
arte, e questo per lui non può andar bene (almeno come via migliore, perché questa è razionale, la
filosofia). Un’altra cosa che non ama dei romantici è il disimpegno, l’individualismo ed il ripiegarsi in
sé: Hegel sostiene che qualsiasi cittadino deve essere impegnato nella vita civile, non può isolarsi
dalla totalità.

Hegel e Fichte
Critica Fichte per due principali motivi: Fichte fa dell’Io l’assoluto, invece per Hegel l’assoluto è
qualcosa che viene prima dell’Io, Fichte valorizza solo l’aspetto soggettivo. L’altro motivo per cui non
la gradisce è l’idea Fichtiana di infinito, che è qualcosa che si fa come infinito tendere alla libertà,
senza mai afferrarla, è un cattivo infinito. L’Io pone in sé un non-io infinito come limite da superare,
e così si realizza come libertà, ma non ci riesce mai del tutto, se ci riuscisse smetterebbe di essere in
quanto l’Io è attività. Anche qui c’è un dover essere che non diventa mai essere.

Critica a Schelling
Lo critica per come lui concepisce l’assoluto, in particolare la teoria di assoluto come identità, perché
l’assoluto come identità è come la notte, in cui tutte le vacche sono nere: se è identità, qualcosa di
indifferenziato, allora come fa ad essere molteplicità? L’assoluto Hegeliano invece esiste come
momento di unità del molteplice.

Dialettica

Per Hegel tutto è dialettico, come tutto è triadico. La dialettica è la legge che governa la ragione e la
realtà (le governa entrambe perché ideale e razionale si identificano). Dialettico è il processo con cui
la ragione prende coscienza della realtà (di sé stessa, dal momento che si identificano), ed è
dialettico anche il processo con cui si evolve la realtà. Per Kant la dialettica ha un significato negativo,
dal momento che è il processo che serve per smascherare i ragionamenti fallaci della metafisica. Con
Hegel acquisisce un significato positivo. La dialettica si divide in 3 momenti:

• tesi (intellettuale o astratto)

• antitesi (negativamente razionale o dialettico in senso stretto)

• sintesi (positivamente razionale o speculativo)

Il primo momento è intellettuale (prospettiva del finito), mentre gli altri due sono razionali
(prospettiva dell’infinito). Nel primo momento, la tesi, si pone qualcosa nella sua finitezza e nella
sua individualità. Nel secondo momento, l’antitesi, si pone qualcosa in contrapposizione a quello che
è già stato posto nella tesi. La tesi è qualcosa di parziale. Si va oltre la sua limitatezza con l’antitesi.
Nell’antitesi, la ragione è negativa, dal momento che si pone qualcosa come negazione della tesi. Nel
terzo momento si ha il recupero della tesi e dell’antitesi, dove vengono concepite in un livello più
alto. Il prodotto della sintesi non è la somma della tesi e dell’antitesi, ma qualcosa di più elevato.

Una possibile triade dialettica è quella composta da innocenza, vizio e virtù. Un bimbo è buono in
modo ingenuo, perché ancora non ha conosciuto il male(tesi). Successivamente lo conosce facendo
esperienza del vizio, che si contrappone all’innocenza(antitesi). Questo rompe anche l’unilateralità,
perché si viene a conoscenza di altro. Conosciuto il male decide di tornare buono e questa è la virtù
(sintesi). Si torna ad essere buono, ma in modo migliore, dal momento che si conosce anche il male.

Il processo dialettico è composto da una serie di triadi dialettiche, dove la sintesi della prima triade
diventa la tesi di quella successiva. Il divenire dell’assoluto è come una molla: quando si ritorna allo
stesso punto, quindi alla tesi, ci si trova ad un punto piu’ alto. La sintesi è come un ritorno in sé dopo
che si è usciti fuori di sé (infatti la triade della suddivisione della realtà è dialettica (idea in sé, fuori di
sé, in sé e per sé)).

La sintesi è una novità di Hegel. Lui la chiama Haufeben (andare oltre conservando). Per Hegel la
realtà è formata da opposti che si conciliano, che portano, quindi, alla sintesi. La dialettica è sia
legge del pensiero che della realtà, quindi si ha che anche l’antitesi è reale. Hegel definisce l’antitesi
come la forza propulsiva della realtà o come immane forza del negativo. Il negativo nella realtà
esiste, è concreto. È rappresentato dalle guerre, dalle rivoluzioni, da catastrofi, che mandano avanti
la storia. La dialettica è necessaria, come tutti i momenti da cui è composta.

Il principio di non contraddizione va contro questa concezione hegeliana degli opposti o, come li
chiama lui, contraddittori che si conciliano. Però il principio di non contraddizione è qualcosa di
logico, quindi è valido solo in questa sfera. Al contrario, i contraddittori di Hegel sono reali.

La prima grande opera della maturità di Hegel, La fenomenologia dello spirito. Per fenomenologia
intende manifestazione. Prima ancora però Hegel illustra la risoluzione del finito nell’infinito e
l’identità di ideale e razionale in due modi: prima mostrando la via attraverso la quale l’assoluto
giunge a questa risoluzione o identificazione. Contemporaneamente questo percorso è anche quello
compiuto da noi umani nel comprendere l’assoluto, sono due prospettive che si identificano. Il
rapporto finito-infinito è simile a quello io piccoli-io puro. L’altra prospettiva è quella di prendere in
esame la risoluzione o identificazione come già in atto nella realtà, è la prospettiva dell’enciclopedia
delle Scienze filosofiche. Non sono però così diverse, visto che in Hegel tutto diviene.

La prima prospettiva, La fenomenologia dello spirito


Per Hegel la filosofia è la coscienza dell’assoluto, questo complimento di specificazione può essere
inteso come genitivo soggettivo o oggettivo, quindi può essere la coscienza che l’assoluto ha o la
coscienza che qualcuno ha dell’assoluto, fare filosofia significa guadagnare il punto di vista
dell’assoluto (3 gradi di Spinoza). Questo è qualcosa che per Hegel non può avvenire
immediatamente, e necessita anche di una sorta di introduzione, per lui la Fenomenologia dello
spirito è proprio questo, un’introduzione alla filosofia. Seguendo la storia dell’assoluto che arriva a
comprendere sé stesso e le sue tappe noi arriviamo a comprendere l’assoluto. Hegel ci tiene a
sottolineare che nonostante sia un’introduzione è comunque già filosofia, richiama la polemica tra
preliminare e non preliminare (questione del metodo con Cartesio, con lui veniva prima il metodo,
mentre per Spinoza prima la verità, Kant col concetto di critica ritorna a Cartesio, vanno prima
accertati i limiti), Hegel sta dalla parte di Spinoza, l’introduzione è già filosofia, altrimenti è come
voler imparare a nuotare senza buttarsi in acqua. La fenomenologia dello spirito può anche essere
considerata un grande romanzo di formazione, non dell’individuo ma dello Spirito, in quanto narra
come lo spirito, l’assoluto, arriva a diventare maturo, consapevole di sé. Questa storia si compone di
tante tappe. È divisa in due parti, guardiamo la prima. Questa prima parte narra della storia
attraverso la quale lo spirito passa progressivamente dalla coscienza delle cose alla coscienza di sé
stesso alla coscienza che le cose e sé stesso sono la stessa cosa. Sono tre momenti, è una triade
dialettica, il primo momento è la coscienza (tesi), il secondo autocoscienza (antitesi) ed il terzo
ragione.
La coscienza
La coscienza ha 3 momenti a sua volta: certezza sensibile, percezione e intelletto. Questi tre
momenti della coscienza (nella filosofia moderna significa conoscenza, mentre nelle tradizionale,
cioè pre-Cartesio, significa conoscenza riflessa, cioè conoscere di conoscere, nella moderna per
questo si usa autocoscienza) si parla della conoscenza che i singoli umani hanno del mondo. Il primo
momento è quello della certezza sensibile, che riguarda gli aspetti sensibili, singolari, un colore, un
suono, una figura (sensibili per sé propri e comuni di Aristotele), rispetto ai quali il soggetto che
conosce è certo (Aristotele diceva che i sensibili propri sono certezze, mentre con la riv. Scientifica
sono i sensibili comuni che conosciamo oggettivamente e con la scienza, mentre i propri non sono
certi: le qualità non sono certe). Questa certezza sensibile ha però un elemento di contraddizione (in
Hegel è sempre così per passare al prossimo momento), perché sono elementi sensibili che
rimandano a qualcosa che singolare non è (questo verde è un sensibile singolo, ma già dal
linguaggio si vede che per noi appartengono ad una categoria, ad un universale, esistono infinite
percezioni del verde), l’unico momento in cui questo è meno forte è con i nomi propri. (realismo
esagerato etc)
Le percezioni
L’attenzione si sposta dal singolo aspetto alla singola realtà, come costituita da una molteplicità di
aspetti (accidenti), come una figura di certi colori, peso ed altezza. Tutti questi sono una molteplicità
che fa riferimento ad una cosa, una sostanza e molti accidenti. Quindi anche questo secondo
momento è un momento, secondo Hegel, con un aspetto contraddittorio, anche qui è una e molti
contemporaneamente.
L’intelletto
In questo momento l’oggetto ci appare come un fenomeno, il prodotto di un’opera di legislazione
ed informazione (nel senso di dare forma), operata dall’intelletto (in Kant era applicazione di forme
a priori alle forme amorfe, dando così il fenomeno, l’io è legislatore). Quindi l’oggetto o fenomeno è
risultato dal soggetto, e quindi dipende da questo, perciò afferma che l’intelletto si risolve nella
coscienza (idealismo). Ma se l’oggetto si risolve nel soggetto, quando il soggetto conosce l’oggetto
conosce in realtà sé stesso, perciò da coscienza si passa ad autocoscienza.
L’autocoscienza
Di tutto ciò che dice prendiamo in esame 4 cose
Prima figura (o momento): La dialettica servo-padrone
Le autocoscienze (una per ogni umano) cercano di appropriarsi delle cose che trovano nel mondo a
prescindere dal fatto che anche altre autocoscienze cercano di farlo, quindi nascono delle lotte
(succede già da bambini, quando dici “è mio”). In queste lotte c’è chi prevale e chi, temendo di
perdere la propria vita, si arrende e sottomette, uno quindi diventa padrone e l’altro servo. Per gli
antichi gli schiavi erano strumenti che parlavano, il padrone lo possiede ed usa come una cosa, ma
qui avviene un ribaltamento dialettico: il padrone disimpara ad usare le cose, perché per lui fa tutto
lo schiavo, e diventa quindi dipendente dalle cose che non sa usare, mentre lo schiavo le sa usare, e
sono le cose a dipendere da lui. Come già visto in Fichte, un umano (autocoscienza) per realizzarsi
pienamente ha bisogno di altri umani, perché un io empirico da solo non può realizzarsi, ed Hegel
condivide questo, ma dice che il padrone non ha questo polo dialettico con cui rapportarsi, perché
per lui lo schiavo è una cosa, e quindi non è davvero umano, mentre lo schiavo ha questo rapporto,
per lui il padrone è un umano, un’autocoscienza. Alla fine quindi a vincere in questa lotta è il servo,
perché il padrone perde la sua umanità ed è servo delle cose. Qui è come se Hegel dicesse che
siamo davvero esseri umani solo se lavoriamo, chi non lavora è un parassita e nemmeno umano.
Seconda figura: lo stoicismo (o atteggiamento stoico)
L’atteggiamento stoico consiste nel porsi al di sopra di signoria e schiavitù, e non è un caso che i due
ultimi grandi stoici siano l’imperatore del mondo, Marco Aurelio, ed uno schiavo liberato. Schiavo è
colui che si sottomette alle passioni, stoico è colui che le estirpa. Però volendo liberare l’uomo da
tutte le passioni lo stoicismo lo isola dal resto del mondo, lo rende indifferente a tutto. Se per
esempio vedesse un moribondo lo aiuterebbe per oikeiosis (l’autoconservazione, che si estende
anche agli altri, gli stoici sono cosmopoliti), ma senza provare nessuna emozione. Quindi lo stoicismo
separa da realtà e da vita, stacca l’uomo dal mondo. Così lo stoicismo trapassa nello scetticismo.
Terza figura: lo scetticismo
Porta dal distacco dal mondo stoico alla negazione del mondo, rende incerti dell’esistenza del
mondo, sospende il giudizio (epochè). Anche la posizione scettica ha però una contraddizione, non
tanto per il motivo che dire che non esistono verità è una verità, ma perché lo scettico vive come se
non fosse scettico: si comporta come ogni essere umano, ma non dovrebbe, perché non si sa se
esiste la colazione, il letto o la mattina, se i valori per cui si agisce sono veri. C’è quindi una
contraddizione tra teoria e pratica, ed è una soluzione da superare.
Ultima figura: la coscienza infelice
Questa è distaccata dalle altre due, non è in continuità con quelle, riporta al Medioevo. La coscienza
infelice è la coscienza scissa, spaccata in sé, sdoppiata, che crede nella trascendenza, e posiziona al
di fuori di sé tutto ciò che è bello. È la coscienza bimondana, pensa che esistano due mondi: questo
qui, dove si concentrano tutte le cose brutte e sgradevoli, e l’Aldilà, dove si concentrano tutte le
cose belle e nobili, e si vive aspirando all’Alidilà. La coscienza infelice vive in questo mondo ed
aspira all’alto, si sente nulla in confronto all’onnipotenza di Dio, a cui sempre aspira. Quando la
coscienza infelice comprende che le cose belle non sono al di fuori di sé ma al proprio interno,
allora si passa al terzo momento, la Ragione.

La ragione
La ragione è quel momento della storia dello spirito in cui l’autocoscienza assume la consapevolezza
di essere ogni realtà. La ragione ha questa certezza, che non va intesa come un dato di fatto
acquisito da subito, ma è il risultato di un divenire che ha delle tappe, in particolare ne delinea tre:

1. la ragione che osserva la natura


Hegel osserva che lo studio della natura presuppone che la natura stessa sia
penetrabile dalla natura umana, e quindi che questa sia razionale almeno in una
certa misura (i pitagorici furono i primi a pensare alla natura come cosmo
determinata da numeri). (Nella fenomenologia già si vede che Hegel nella sua
filosofia mette tutto, e cerca di inserire la realtà nei suoi schemi, ma questo è solo il
primo testo, dopo sarà più coerente) Ciò significa che la ragione cerca nella natura
sé stessa.
2. la ragione che agisce
Si passa dal momento osservativo a quello pratico, si crea tensione tra l’agire morale
del singolo e quello della comunità (società o stato)
3. la ragione che acquisisce la coscienza di essere spirito
Qui Hegel vuole far vedere come c’è la sintesi tra i precedenti, come si supera
l’opposizione tra ragione che osserva e che agisce e l’opposizione tra agire
individuale e comune. Questo superamento avviene perché la ragione comprende la
realtà in cui l’individuo è immerso, la vera libertà dell’individuo e la sua attuazione
come individuo libero è dentro la vita di un popolo libero, con la sua lingua,
tradizione, storia e civiltà.

La seconda parte della fenomenologia è divisa in spirito, religione e sapere assoluto.


Nel suo sistema Hegel metabolizza moltissimi spunti culturali da culture precedenti, la f.d.s. è come
un romanzo formativo per lo spirito.

La logica
Na parla in Scienza della logica, opera divisa in due parti.
La logica (in generale) è la facoltà che collega proposizioni (in modo corretto), per creare nuove
conoscenze. La logica in senso ristretto (o logica minor) insegna come collegare due proposizioni. La
logica in senso più ampio (scienza del pensato in quanto pensato) studia le cose in quanto pensate,
quindi i concetti delle cose, è la scienza dei contenuti del pensiero. In Hegel la logica è tutto questo
ed altro, perché nella prospettiva Hegeliana pensiero ed essere si identificano (reale e razionale),
questo significa che la logica di Hegel, che parla di razionale, parla anche del reale, è come se la
logica hegeliana fosse somma di logica e metafisica (scienza dell’essere in quanto essere) di
Aristotele. È logica in senso aristotelico ed anche ontologia in senso aristotelico, ed è anche teologia,
perché parla dell’assoluto (Teologia è una delle definizioni della metafisica di Aristotele). Hegel,
infatti, dice che la sua logica parla di Dio come è nella sua eterna essenza, prima della creazione di
natura e spirito, infatti l’oggetto della logica è l’Idea in sé, prima che esca fuori di sé e torni in sé. La
logica si occupa del mondo e della realtà come è, ma nella mente di Dio. Non si deve pensare che
siccome parla di Dio la logica parli della parte più eccellente della realtà, perché nella concezione
Hegeliana tutto è a triadi dialettiche ed il momento più perfetto non è il primo ma l’ultimo.
Le suddivisioni della logica:

 Logica dell’essere, la triade più importante che la caratterizza è: qualità, quantità e misura.
La primissima triade di tutta la logica dell’essere (quindi anche della logica) è però un’altra,
la base delle altre triadi (in Hegel tutto è dinamico, storico, tutto inizia con la prima triade e
si evolve, è la prima che si manifesta anche cronologicamente), questa è: essere, non essere
e divenire. In questa triade Hegel intende l’essere in senso univoco (astratto) (univoci,
equivoci o multivoci, i termini univoci hanno un solo significato, equivoci hanno significati
diversi totalmente in contesti diversi, multivoci o analogici in base al contesto possono
significare cose parzialmente identiche e parzialmente diverse), nel senso che “c’è”, un
po’come per Parmenide (lo intendeva in senso univoco come puro positivo), il non essere
invece è lo stesso ma in negativo, è sempre univoco. La novità sta nella sintesi, il divenire, la
conciliazione di essere e non essere. In Aristotele il divenire è possibile in quanto passaggio
da potenza ad atto, che sono comunque entrambi “essere”, con un non essere univoco
dovrebbe essere impossibile.
 Logica dell’essenza, la sua triade principale è: essenza, apparenza e realtà. L’essenza è il
perché una cosa è quella cosa e non un’altra, l’insieme dei caratteri che la identificano.
L’apparenza è il manifestarsi dell’essenza, come questa appare (o fenomeno, qui non va
inteso in contrapposizione a ciò che è, l’apparire rispecchia l’essere). La realtà è l’unione di
essenza ed esistenza (in Tommaso d’Aquino in Dio essenza ed esistenza coincidono,
l’essenza è la potenza ad esistere e l’esistenza la attua). In questa parte Hegel parla dei
grandi principi della logica, prende in esame principio di identità e di non contraddizione:
sull’identità dice che è qualcosa che comprende, sempre, in sé, le differenze, altrimenti è
un’identità astratta, per lui non va bene l’identità come qualcosa di indifferenziato (critica a
Schelling). Sulla contraddizione dice che esiste nella realtà ed è il motore/molla che spinge
in avanti tutto il processo dialettico (l’immane forza del negativo, l’antitesi). Qui gli
aristotelici si troverebbero in totale disaccordo: per loro non può esistere contraddizione
nella realtà, possiamo solo pensarla per negarla. Trendellenburg, un filosofo aristotelico
tedesco gli fece notare che faceva confusione tra contraddittori (proposizioni) ed opposti
(esistono nella realtà), ma per Hegel esistono i contraddittori nella realtà, quindi suca.
 Logica del concetto, in questa la triade principale è: concetto soggettivo, concetto oggettivo
e idea. L’idea è l’ultimo momento dell’ultima parte della logica (parla delle idee in sé, questa
compare alla fine, caratteristica di Hegel, l’idea è il punto di arrivo), la sintesi dei concetti.
Riguardo al concetto oggettivo Hegel parla di momenti fondamentali nella logica (anche
tradizionale), di universale, particolare e singolare (per pcarlani non esistono concetti
singolari, per i nominalisti sì). Il concetto oggettivo è formato dalle tre categorie
fondamentali per Hegel: meccanismo, chimismo e teleologia. Questo è un riferimento alle 3
scienze fondamentali della natura, fisica, chimica e biologia (riferimento a Kant con la
teleologia, seconda parte della critica del giudizio) il concetto soggettivo invece si articola
nel giudizio (è come se parlasse prima della prima operazione ed ora della seconda).
Secondo lui nel giudizio la cosa essenziale è la copula, perché la copula esprime unità
(sintesi) del singolare e dell’universale. Quindi in qualche modo ritroviamo la risoluzione del
finito nell’infinito, per pcarlani queste sono un po’di forzature, es. Questo tavolo (singolare)
è verde (universale). Infine dal giudizio viene il ragionamento, che per lui funziona con il
particolare che fa da termine medio tra universale e singolare: l’universale animale, tramite
la specie (particolare) uomo, si identifica in Marco Romano (singolare). Infine l’idea è l’unità
di soggetto ed oggetto, o di ideale e reale, infinito o finito, in sostanza è tutta la realtà nella
totalità delle sue determinazioni. L’idea in sé è alla fine del percorso della logica, che è tutta
la struttura della realtà prima che diventi tale.
L’idea ha sua volta tre momenti: vita, conoscenza e l’idea assoluta
Vita è l’unione di un’anima ed un corpo, conoscenza è il momento in cui soggettivo ed
oggettivo sono distinti in due poli (ogni conoscenza li ha, e sono la stessa cosa dal punto di
vista dell’essere ma non della conoscenza), l’idea assoluta è quella in cui abbiamo la ragione,
l’idea, perfettamente consapevole di sé stessa e quindi tutto, è l’Idea completamente
dispiegata. Qui finisce la logica.
Filosofia della natura
La logica di Hegel è come fosse logica + metafisica di Aristotele, ma nella sua prospettiva ci sono
ancora natura e spirito, di Dio ne parla prima. È la parte più debole sotto ogni punto di vista
perché ad Hegel interessa la realtà umana, poco quella naturale, anche se ne fa parte, perché è
l’Idea fuori di sé. C’è anche un altro motivo per cui è debole: normalmente si pensa che la
filosofia della natura debba fare i conti con i risultati delle scienze della natura (fisica, chimica,
etc), perché la filosofia è un tentativo di spiegare la realtà, ma nell’impostazione di Hegel la
filosofia è infinitamente superiore a queste scienze, tanto che non è la filosofia a dover tenere
in considerazione queste scienze ma il contrario, le scienze devono adattarsi a ciò che dice la
filosofia, se dicono cose diverse si sbagliano le scienze della natura (è un pensiero razionalista,
dall’alto al basso). La natura, nella grande triade dell’assoluto, è il momento del negativo, è
l’antitesi, l’idea decaduta, alienata (fuori da sé, in altro, una realtà che non corrisponde al suo
concetto, non è come dovrebbe essere). Anche la filosofia nel parlare della natura ha qualche
difficoltà perché è fuori di sé, poi non ha interesse ad approfondire la natura. Spesso le prove di
Dio partono dalla natura, questo per Hegel è insensato, perché la natura è il contrario, Dio
alienato, è da Dio che si deve andare a capire la natura, è lo sbandamento divino. Per Hegel
qualsiasi atto libero cattivo vale più di qualunque manifestazione della natura, come una
galassia, qualsiasi male commesso dagli uomini è superiore ai moti degli astri, perché è attività
spirituale. Detto ciò dice che suddivide il processo della natura in tre momenti, e quindi anche la
sua filosofia: la meccanica (studia la corporeità universale, corrisponde alla fisica), fisica
(corrisponde allo studio dei fenomeni naturali che cedono la massa in movimento), organica
(studia gli esseri viventi).

Filosofia dello spirito


Lo spirito è l’Idea che torna in sé, dopo essersi alienata nella natura. Siccome è l’ultimo
momento del processo dialettico è anche il più perfetto. Lo spirito è realtà umana, piena
attuazione dell’assoluto (qui Schelling direbbe che è il momento in cui la natura riprende
coscienza). Lo spirito, naturalmente, ha tre momenti: spirito soggettivo, spirito oggettivo e
spirito assoluto. Lo spirito soggettivo va pensato alla realtà umana ma in una prospettiva
individuale, mentre quello oggettivo è una dimensione tipicamente collettiva (rapporti tra
uomini), lo spirito assoluto è la dimensione tipicamente culturale (scienza, arte, religione,
filosofia, tutti i prodotti dello spirito).
Lo spirito soggettivo
Lo spirito soggettivo è la prima manifestazione di Idea che torna in sé, in questa essa è limitata
alle condizioni della corporeità, che sarebbero luogo e tempo. Lo spirito soggettivo ha tre
momenti:

 Antropologia: per Hegel è la scienza dell’anima, ha a sua volta tre momenti. Qui Hegel
rivaluta grandemente il “De anima” di Aristotele, dice che è l’unico scritto veramente di
carattere speculativo attorno a questo oggetto. Ciò non stupisce perché per Aristotele
l’anima è l’entelechia (il fine che sta dentro) prima di un corpo organico con la vita in
potenza, quindi Aristotele anticipa molto prima la concezione Kantiana della vita (che
ispira romantici ed idealisti), secondo cui l’essere si organizza attorno ad un fine
immanente.
 Fenomenologia: studia la coscienza, è dove Hegel nel suo pensiero maturo prova a
collocare la fenomenologia dello spirito scritta anni prima, è come l’autocoscienza viene
a conoscere di essere tutte le cose.
 Psicologia: studia lo spirito in senso stretto, che ha tre momenti: spirito teoretico,
spirito pratico e spirito libero. Lo spirito teoretico è quello determinato da oggetti e
cose viste come altro da sé. Nello spirito teoretico Hegel riprende un concetto
Medievale: “Nihil est in intellectu quod prius non fuerti in sensu” (niente è
nell’intelletto, che prima non sia stato nei sensi), ciò significa che tutta la nostra
conoscenza inizia dai sensi, per gli empiristi invece il senso non è solo l’origine ma anche
il limite. Hegel dice però che è vero (ed anche di più) anche il contrario: nulla è nei sensi
che prima non sia stato nell’intelletto (è un idealista). Lo spirito pratico è quello che
determina le cose (siamo nella dimensione morale, è pratico). Infine lo spirito libero è
concepito come sintesi degli altri due, è il culmine di tutto lo spirito soggettivo. Con
questo si trapassa allo spirito oggettivo. La parte più interessante è il suo discorso sulla
libertà, punto d’approdo dello spirito soggettivo. Hegel dice che un’idea vera di libertà
non c’era né nell’Oriente che nel mondo classico, secondo lui il vero concetto di libertà è
entrato nel mondo col cristianesimo, perché è con questo che ogni individuo ha valore
infinito in quanto immagine e somiglianza di Dio, cioè come Dio dispone di intelligenza e
volontà, e quindi è libero (anche di fare male morale, che il male morale sia causa di un
cattivo uso della libertà si vede anche in Leibnitz e Agostino).

Lo spirito oggettivo
Lo spirito oggettivo è lo spirito libero, in cui la libertà c’è dall’inizio ma diventa libero in senso forte
solo alla fine del percorso, nell’ultimo dei momenti. In generale comunque lo spirito oggettivo è una
dimensione collettiva, intersoggettiva, è la realizzazione della libertà nei rapporti tra esseri umani. I
suoi tre momenti, in cui si realizza la libertà intersoggettiva, sono:

 Il diritto. Il diritto è la sfera esteriore della libertà, che si realizza sempre in una dimensione
della libertà ma in relazione alle cose. Le nozioni fondamentali del diritto sono: proprietà
(quindi strettamente legata a libertà), il contratto (quando gli umani si mettono d’accordo
circa le cose), il delitto (rubare), la pena (menare i ladri). È tutta roba che riguarda l’esercizio
della libertà in relazione alle cose.
 La moralità
 L’eticità

In Hegel moralità ed eticità hanno significati diversi.


Il secondo momento dello spirito oggettivo è la moralità. C’è un secondo momento perché il primo è
inadeguato in quanto unilaterale. Questa unilateralità deve essere negata dalla sua antitesi: se il
diritto è la forma esteriore della libertà allora la moralità è la forma interiore. In questa prospettiva le
cose esteriori diventano indifferenti, conta solo l’intenzione con cui agisco, è solo l’intenzione a
rendere un’azione buona o cattiva (moralmente). Il prototipo della moralità è la morale Kantiana.
Anche la moralità, proprio come il diritto, è unilaterale: è caratterizzata da una separazione tra la
volontà che vuole realizzare il bene ed il bene che viene realizzato. Quindi mentre il diritto era
unilaterale perché tutto era esterno la morale è unilaterale in quanto tutti interno. L’antitesi si
supera con la sintesi, che è la realizzazione esterna della volontà, che è detta eticità. È quando il
bene non solo è sensato ma anche realizzato nella realtà. Questa sintesi per Hegel si ha in tre
momenti: famiglia, società civile, stato. La libertà si realizza in concreto in queste tre istituzioni,
concrete e storicamente esistenti.
La famiglia
Dominic Toretto momento madonna negra
Per Hegel la famiglia è qualcosa di naturale, esiste per natura, si basa sulla differenza dei sessi (per
Hegel famiglia è uomo e donna) ed ha la forma del sentimento (amore). Come la famiglia non è
qualcosa di convenzionale non lo è nemmeno il matrimonio da cui nasce la famiglia: per Hegel il
matrimonio è più di un semplice contratto, è una sintesi etica: uno di quei casi in cui il totale è
maggiore della somma delle parti. Se la famiglia è una realtà etica, superiore, non lo è la società
civile: l’insieme degli individui che però si comportano l’uno rapporto all’altro in modo indipendente,
perché l’unico legame ad unirli è il bisogno e la soddisfazione di questo. Non si forma una nuova
realtà unitaria come nella famiglia, è solo un sistema di bisogni e soluzioni a questi. La società civile è
anche concepita come intermedia tra famiglia e stato. Questa è la famosa teoria dei corpi intermedi
(corpi sociale intermedi tra individui e stato). Il terzo momento della eticità è lo stato, considerato la
sintesi degli altri due. Lo stato è sicuramente il punto più alto della eticità, e quindi anche dell’intero
spirito oggettivo. Lo Stato per Hegel è la manifestazione di Dio in questo mondo, lo stato di per sé, a
prescindere da come è, è una teofania. Lo Stato è anche piena realizzazione in concreto dello spirito,
è Dio che entra nel mondo, ed anche vera e perfetta totalità etica (anche la famiglia è una totalità
etica ma è la tesi). Siccome lo spirito oggettivo è lo spirito libero nello stato si ha piena realizzazione
della libertà, e questo è vero per qualunque stato, anche il più imperfetto.
Rapporto tra stato e singolo che ne fa parte
L’individuo esiste nello stato e per lo stato, non il contrario. Per i liberali lo stato esiste per
l’individuo, qui questa concezione è rovesciata. È una concezione che non appare per la prima volta
in Hegel ed è definibile organicistica, anche se in Hegel raggiunge la massima perfezione. È lo stesso
rapporto che c’è in un essere vivente tra le parti ed il tutto (le cellule esistono solo nell’organismo e
per l’organismo, se le togli crepano). Per Hegel è così anche nel rapporto cittadini-stato. Questo tipo
di rapporto si è già visto in Rousseau nel contratto sociale, in Hegel raggiunge il massimo della
perfezione ma già esisteva: no è libero se si uniforma alla volontà generale, se non lo fa verrà
costretto ad essere libero. La concezione Hegeliana però è discendente: c’è prima lo Stato e poi il
cittadino, non c’è prima il popolo che si mette d’accordo e crea lo stato (questo è il contratto
sociale), ma il contrario, anche perché lo stato è Dio e significherebbe che esiste solo quando ci
mettiamo d’accordo. Lo stato hegeliano è fortemente connesso con la religione, nel senso che la
include in sé (Stato=Dio). La sovranità per Hegel non appartiene al popolo (derivato), ma appartiene
di diritto allo Stato, il popolo fuori dallo stato nemmeno esiste, è solo una massa informe di individui.
Non tutti partecipano alla vita dello stato, Hegel non ha una concezione democratica: per lui è
inconcepibile un rapporto diretto tra cittadino e Stato, come non c’è un rapporto diretto tra cellula
ed organismo, ma c’è tramite vari passaggi (tessuti, apparati). Il potere viene da Dio come stato (Dio
interno). Per questo molti sovrani gli slurpavano le pallozze.
Rapporto stato morale
Per Machiavelli è importante solo l’efficacia, per Hegel lo stato non può avere limiti morali, perché la
morale è un momento che viene prima e lo Stato gli è superiore, su un altro piano. Mai si può
paragonare il bene di un individuo con quello dello stato.
La storia secondo Hegel
Per lui la storia è la dialettica degli Stati: gli Stati visti nel loro divenire. Questa è anche la sua filosofia
della storia. Innanzitutto si deve dire che se ci uniamo di fronte alla storia la prima idea è che sia un
insieme di avvenimenti privo di un piano razionale, sembra il dominio del disordine e del male.
Questo accade se si guarda la storia dal punto di vista del finito, dell’intelletto, dell’individuo,
misurando la realtà secondo i propri interessi. Se però ci eleviamo al punto di vista della ragione le
cose cambiano e diventa evidente che la storia si svolga attraverso un piano razionale, necessario.
Anche questo modo di pensare la storia non è una novità, è una visione provvidenziale: c’è un
disegno che governa la storia (Vico). Questa razionalità che infallibilmente si realizza nella storia è
diversa da quella cristiana: per i cristiani e per Vico la razionalità che si realizza è il progetto di Dio,
Dio è la provvidenza, invece nella concezione Hegeliana questa è razionalità umana. La conseguenza
è che se per un cristiano esiste un disegno provvidenziale di questo posso capirne poco, invece nella
concezione Hegeliana l’uomo è in grado di comprendere perfettamente il disegno provvidenziale,
poiché dato dalla Ragione (in particolare un uomo poteva, lui stesso, in quanto essere umano più
dotato di tutti i tempi). Questo comporta la giustificazione di tutto ciò che sembra male, perché se
accade nella storia significa che deve accadere, sembra male per chi si pone nella prospettiva del
finito, in quella dell’infinito si capisce che era necessario (il negativo è molla della dialettica). Hegel
dice che la morte è il tramonto del particolare, necessario per il farsi dell’universale: le guerre sono
ottime, uniscono e purificano i popoli. Dice anche che la storia registra solo pagine bianche. Questo è
uno dei paradigmi con cui si affronta il male presente nel mondo nella filosofia in generale.
Filosofia della storia
Il fine della storia per Hegel (per Vico era la civilizzazione degli uomini) è la completa realizzazione
dello spirito, prima oggettivo (quindi realizzazione della libertà). Hegel chiama lo spirito in quanto
protagonista della storia spirito del mondo (Weltgeist). Questo però, nel corso della storia, via via si
incarna negli spiriti dei popoli (Volksgeist). Lo spirito del mondo si incarna nello spirito del popolo
che è all’avanguardia nella storia, quello vittorioso. Per Hegel ad esempio lo spirito del mondo era
incarnato nel popolo romano per 1000 anni, poi ha cambiato. I mezzi della realizzazione di questo
percorso sono gli individui, con la loro personalità, i loro scopi (possono essere diversi da quello dello
spirito) e le loro passioni. Fra tanti individui per Hegel ce ne sono alcuni particolari, i grandi, e questi
sono di due tipi, come la storia ha due momenti: conservazione e progresso (anche in senso
rivoluzionario). Quindi ci sono grandi uomini conservatori e gli eroi (o individui cosmici), sono coloro
che incarnano il grande e repentino cambiamento (ad esempio lui vide Napoleone). Questi individui
cosmici sono invincibili (finché è il loro momento), perché in quel momento incarnano una necessità
dello spirito: lo spirito è pronto a partorire una nuova era, e l’eroe è interprete di questo parto. Il
cambiamento quindi non è portato dagli eroi ma necessario, dato dalla natura dialettica dello spirito.
Questo si capisce bene anche dal fatto che gli eroi hanno i loro scopi, diversi da quello dello spirito,
ma seguendo questi realizzano immancabilmente lo scopo dello Spirito (Somiglia molto
all’eterogenesi dei fini), questa Hegel la chiama Astuzia della Ragione: lo Spirito è così astuto da
usare i fini degli uomini per i suoi fini. Per Hegel ci sono tre tappe fondamentali nello sviluppo della
storia: mondo Orientale, mondo Classico (greco-romano) e mondo Germanico. In queste c’è una
progressiva realizzazione della libertà (lo spirito oggettivo è lo spirito libero). Per Hegel il progresso è
questo: nel mondo Orientale solo 1 è libero (l’Egitto dei faraoni), nel mondo classico solo alcuni sono
liberi, nel mondo cristiano germanico tutti sono liberi, l’uomo è libero in quanto tale. Sappiamo però
che per Hegel la libertà non è fare quello che si vuole ma uniformarsi alla volontà dello Stato. Se con
la civiltà cristiano germanica lo spirito oggettivo si è realizzato totalmente, come continua poi la
storia? (qualcuno scrisse “La fine della storia”, perché questo è un problema in Hegel, da una parte
dice che è stata completamente conquistata, ma dall’altra che è un continuo divenire. Non si sa
quindi se lo stato prussiano sia perfetto così o se serva una rivoluzione per migliorarlo ulteriormente.
Lo spirito assoluto
è il momento in cui si compie il ritorno dell’idea in sé, è il momento più alto dell’autocoscienza
dell’assoluto, è l’idea che si autoconosce in modo assoluto, quindi è il momento più perfetto.
L’autocoscienza dello Spirito è l’autocoscienza di Dio, ma in questo ha un ruolo fondamentale
l’uomo, perché Dio può conoscere sé stesso in quanto gli uomini conoscono Dio. Questo quindi
avviene grazie a qualche uomo che fa il filosofo. Il punto di partenza è l’eticità, in particolare lo Stato
(Spirito libero totalmente realizzato). Dentro la vita di un popolo libero organizzato in uno stato lo
Spirito conosce sé stesso in tre forme, che sono anche i 3 momenti dello Spirito Assoluto: arte,
religione e filosofia. Lo spirito assoluto è una dimensione culturale, queste sono infatti
manifestazione culturali. Ogni popolo ha forme artistiche, religione, ed a partire dai Greci anche se
non tutti hanno la filosofia. A caratterizzare un popolo sono ste 3 cose, che si occupano di Dio
(assoluto), dell’uomo, e dell’unità tra uomo e Dio: Dio quando scopre sé stesso scopre di non essere
trascendente ma di essere la ragione umana. L’arte è la conoscenza dell’assoluto di sé stesso tramite
forme sensibili. Hegel dice che mediante forme sensibili si arriva a questa autocoscienza
dell’assoluto, qui torna Schelling. L’unità tra natura e spirito, finito ed infinito è data in modo
immediato: l’arte è l’idea artistica, spirito naturalizzato, l’idea resa tangibile nella materia. L’arte ha
tre momenti, ma è una triade particolare: 1 arte simbolica o orientale. Qui per Hegel c’è uno
squilibrio tra contenuto e forma, è come se la materia eccedesse la forma, l’artista non è capace di
esprimere bene ciò che vuole, infatti l’arte orientale fa ricorso a simboli, sfarzo e bizzarro. 2 arte
classica (greca romana e pure medievale per lui), dove c’è armonia tra contenuto e forma,
quest’armonia trova la sua migliore rappresentazione nella figura umana. Il terzo momento è l’arte
romantica, dove di nuovo l’equilibrio si rompe a favore della forma: dice Hegel che ormai nessuna
forma sensibile è più capace di esprimere questo contenuto. Arriva quindi a dire che l’arte non può
essere la maggiore espressione dello spirito umano, l’arte quindi è superata ma rimane, questo è il
significato della morte dell’arte. L’oggetto della religione è lo stesso dell’arte, sempre Dio e l’uomo e
la loro unione, ma non attraverso forme sensibili, tramite la fede. Si passa dall’esteriorità
all’interiorità. Esistono diversi tipi di religione, ma la più perfetta è quella cristiana in quanto è
presente l’incarnazione di Dio in Cristo, ma è pur sempre religione, non è una conoscenza
dell’assoluto razionale. A superare la religione è la filosofia. Giovanni Gentile affonda la sua filosofia
e la fondazione della scuole italiana nella filosofia Hegeliana: nella sua riforma della scuola era
previsto si studiasse religione alla scuola elementare, perché è una specie di filosofia per bambini, e
la filosofia la si studia poi al liceo. La filosofia è l’ultimo momento ed il più perfetto dello spirito
assoluto, in cui si conosce perfettamente. All’inizio della filosofia (Talete) già questa è più perfetta
della religione, ma è alla fine che si ha la perfezione: è con Hegel che si ha la perfezione ed il ritorno
dell’idea in sé. Per Hegel tutte le tappe del processo dialettico sono necessarie, quindi le filosofie
precedenti non vanno scartate o svalutate, erano tappe necessarie. Il problema è che con Hegel non
finisce la storia.

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