Ciò non tolse che i masnadieri, al grido di Morte agli Albertazzi, Viva casa Albasini!,
assalissero l'abitazione uccidendo Alberto Albertazzi e due servi. Le campane
suonarono a stormo, la gente, inorridita, accorse da ogni parte. Gli assalitori, che
ebbero pure qualche morto e parecchi feriti, fuggirono frettolosamente, ritirandosi
in Valle Anzasca. Questo pauroso episodio non fu che il principio d'un altra lunga
serie di misfatti.
Nei primi giorni di Novembre una spia fece sapere agli Albertazzi che i banditi si
aggiravano nella vicina vallata del Mastallone. Radunati un centinaio di uomini nella
notte del 9 Novembre scesero verso Fobello attraverso il Passo di Baranca. Qui
seppero che i cinque erano nascosti a Cervatto, un piccolo paese posto su un
altopiano, a destra del torrente. Risalito il pendio prima che arrivasse l'alba, il gruppo
circondò con cautela un casolare, al cui interno stavano il Buon Tempo, il Ferrarone,
Paolo e Gian Giacomo Albasini e il Pescarolo. I furfanti, sorpresi dall'assato
improvviso, balzarono in piedi scaricando i loro archibugi contro gli assalitori, di cui
tre furono uccisi sul colpo, un altro ferito mortalmente, ed un quinto storpiato. Ma
quasi nello stesso momento quattro del gruppo degli Albasini caddero morti a terra,
mentre al solo Pescarolo toccò la fortuna di poter fuggire, benché non lievemente
ferito.
Le teste dei quattro banditi uccisi furono, come lugubre trofeo, portate su picche in
Vogogna nell'ufficio del podestà; quindi esposte e fatte sconcio e barbaro ludibrio
dei popolani, che arrivavano da ogni parte a contemplare lo strano spettacolo. Si
disse poi che gli stessi banditi morti vagavano, terrei e sanguinanti, per le strade di
Vogogna, ma questa è probabilmente una leggenda locale. La fine dei quattro è infatti
confermata da una lettera, scritta da Gerolamo Bossi, primo cittadino di Vogogna, al
Marchese d'Ayamonte il 12 Novembre del 1573, e tutt'ora conservata all'Archivio di
Stato di Milano.