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I banditi di Vogogna

di Archivio del Verbano Cusio Ossola

Due colpi d'archibugio colpirono nottetempo un cavallo diretto verso Vogogna. In


sella cavalcava il nobiluomo Matteo Albertazzi, di ritorno dal mercato di Angera. Fu
incolpato dell'agguato Bartolino Albasini, capo di una numerosa e potente famiglia,
avversaria degli Albertazzi. Era il mese di Giugno del 1562. La contesa tra i due clan,
gli Albertazzi di Vogogna, e gli Albasini di Vanzone, in Vall'Anzasca, durò trent'anni.
La rivalità era motivata da interessi, ripicche e vendette. La città medioevale di
Vogogna, allora capitale dell'Ossola Inferiore, fu teatro di continui saccheggi.
Se il governo spagnolo, nel lungo periodo di quasi due secoli in cui tenne l'Ossola,
dal 1535 al 1706, fu abilissimo nell'estorcere pesanti tributi agli abitanti, si rivelò
quanto mai inetto a mantenere l'ordine e la sicurezza. Le frequenti ordinanze
condite di minacce, più che placare i conflitti riaccesero gli antichi rancori tra le
famiglie ossolane, che rivaleggiavano per il potere. Gli Albasini, indignati per l'accusa
di aver attentato alla vita di Matteo Albertazzi, fecero uccidere un suo servo e, in
una notte di Dicembre, un mandatario di Matteo ferì alla gola il Bartolino con un
arma da fuoco.

La causa venne portata in un tribunale, ma, mentre il processo si trascinava, il conte


Giulio Cesare Borromeo, signore di Vogogna e della Valle Anzasca, riuscì a far
pronunciare dalle due fazioni un patto solenne di concordia e mutuo perdono, come
risulta dal documento redatto il 17 Aprile 1565 a Milano. La pace durò poco. Ben
presto tornarono le ingiurie, le risse e gli omicidi, a cui si aggiunsero le gesta,
tutt'altro che nobili, dei predoni di passaggio.

Gli Albertazzi consegnarono al Sant'Uffizio, come eretico, il prete Carlo Albasini,


che venne imprigionato, e gli Albasini, irritatissimi da questa iniziativa, giurarono lo
sterminio di casa Albertazzi. Raccolta una schiera di malandrini, Francesco Albasini
penetrò di nascosto in Vogogna e s'appostò presso casa Albertazzi per ucciderne gli
abitanti al ritorno da messa, ricorrendo la festa dei Santi Pietro e Paolo. I vogognesi,
che erano venuti a conoscenza del complotto, pensarono bene di restare sbarrati in
casa.

Ciò non tolse che i masnadieri, al grido di Morte agli Albertazzi, Viva casa Albasini!,
assalissero l'abitazione uccidendo Alberto Albertazzi e due servi. Le campane
suonarono a stormo, la gente, inorridita, accorse da ogni parte. Gli assalitori, che
ebbero pure qualche morto e parecchi feriti, fuggirono frettolosamente, ritirandosi
in Valle Anzasca. Questo pauroso episodio non fu che il principio d'un altra lunga
serie di misfatti.

Il brigantaggio riprese vigore di nuovo in tutta l'Ossola. I banditi Paolo e Gian


Giacomo Albasini con parecchi masnadieri da essi assoldati, tra i quali primeggiavano
per fierezza Buon Tempo, Ferrarone e Pescarolo, mettevano sottosopra, con
saccheggi e violenze di ogni sorta, gli abitanti di Vogogna, né lasciavano tranquilla la
stessa Vall'Anzasca. Scriveva Enrico Bianchetti, lo storico ornavassese autore di
L'Ossola inferiore, che il 29 Settembre 1573, Antonio de Guzmán, marchese
d'Ayamonte e governatore di Milano per il Re di Spagna, con una "grida" aveva
concesso agli Albertazzi di armarsi per sterminare i banditi. Aveva anche permesso il
ritorno in valle di alcuni ribaldi espulsi, che, dotati di archibugi a ruota, aiutassero a
ripristinare l'ordine.

Nei primi giorni di Novembre una spia fece sapere agli Albertazzi che i banditi si
aggiravano nella vicina vallata del Mastallone. Radunati un centinaio di uomini nella
notte del 9 Novembre scesero verso Fobello attraverso il Passo di Baranca. Qui
seppero che i cinque erano nascosti a Cervatto, un piccolo paese posto su un
altopiano, a destra del torrente. Risalito il pendio prima che arrivasse l'alba, il gruppo
circondò con cautela un casolare, al cui interno stavano il Buon Tempo, il Ferrarone,
Paolo e Gian Giacomo Albasini e il Pescarolo. I furfanti, sorpresi dall'assato
improvviso, balzarono in piedi scaricando i loro archibugi contro gli assalitori, di cui
tre furono uccisi sul colpo, un altro ferito mortalmente, ed un quinto storpiato. Ma
quasi nello stesso momento quattro del gruppo degli Albasini caddero morti a terra,
mentre al solo Pescarolo toccò la fortuna di poter fuggire, benché non lievemente
ferito.

Le teste dei quattro banditi uccisi furono, come lugubre trofeo, portate su picche in
Vogogna nell'ufficio del podestà; quindi esposte e fatte sconcio e barbaro ludibrio
dei popolani, che arrivavano da ogni parte a contemplare lo strano spettacolo. Si
disse poi che gli stessi banditi morti vagavano, terrei e sanguinanti, per le strade di
Vogogna, ma questa è probabilmente una leggenda locale. La fine dei quattro è infatti
confermata da una lettera, scritta da Gerolamo Bossi, primo cittadino di Vogogna, al
Marchese d'Ayamonte il 12 Novembre del 1573, e tutt'ora conservata all'Archivio di
Stato di Milano.

Bibliografia: Enrico Bianchetti, L'Ossola Inferiore, Torino, 1878, poi ristampato in


edizione anastatica da Atesa nel 2009; Don Francesco Pinauda, Le piaghe dell'Ossola,
Domodossola 1915; Renzo Rossotti, Piemonte magico e misterioso, Roma, Newton
Compton, 1994.

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