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Herder

Alle origini del problema della


lingua[modifica | modifica
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Nel suo primo scritto
del 1764, Über den Fleiss in
mehreren gelehrten
Sprachen (Sulla diligenza nello
studio delle lingue), dopo aver
ricordato, da teologo quale fu,
l'età dei patriarchi biblici che
vissero al tempo in cui non vi era
ancora la confusione babilonese
delle lingue, sostiene che
la lingua è come una pianta che
cresce e si sviluppa secondo la
terra e il clima nel quale è
piantata e pertanto, poiché «ogni
lingua ha il suo proprio carattere
nazionale», la nostra lingua
materna corrisponde al nostro
carattere e al nostro peculiare
modo di pensare.
Il problema che deriva da questa
premessa è quello di come sarà
mai possibile comprendere
realmente le lingue straniere e
ancor più le lingue morte,
il greco e il latino, che pure
stanno a fondamento
della cultura europea.
Respingendo la possibilità di
studiare e comprendere una
lingua straniera sulla base di
traduzioni in quanto, scrive, si
perderebbe «il nocciolo della
loro forza, il colorito, lo
splendore della schiettezza, il
loro sonante ritmo», trova la
risposta nella necessità di leggere
nella lingua originale ogni spirito
che in quella lingua si sia
espresso: «Così mi sollevo a lui
e do alla mia anima la vastità di
ogni clima» o, altrimenti detto,
«raccolgo nella mia anima
lo spirito di ogni popolo».
In questa soluzione sembra
essere contenuta una
contraddizione: se ogni lingua
possiede un proprio differenziato
carattere, potremo mai giungere
a una reale comprensione di ogni
altra lingua a noi straniera? In
ogni caso, per Herder «nel
labirinto delle lingue il filo
conduttore deve essere la lingua
materna; a essa ci lega un
accordo dei nostri organi più fini
e delle nostre più delicate
attitudini e a queste noi
dobbiamo rimanere fedeli».
Ogni lingua nazionale, in quanto
sorge dall'humus della terra che
la nutre, ha dunque un elemento
non controllabile dalla ragione e
un elemento irrazionale è
presente in quel trovare le voci
profonde di ogni altra lingua
nella «propria anima».

Lingua e nazione[modifica |
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Proprio perché patriota e cultore
delle caratteristiche nazionali di
ogni lingua, Herder è ostile al
regime prussiano di Federico II,
denunciando nei suoi Fragmente
über die neuere deutsche
Literatur la politica culturale
prussiana, allora improntata
all'imitazione dei modelli
francesi, ostacolo allo sviluppo
della cultura e della lingua
tedesca «lingua nazionale
originale e peculiare, creazione
di genere proprio, con affinità
con le altre lingue ma che ha in
sé il proprio archetipo».

Ritratto di Pietro il Grande


di Paul Delaroche
Allora, al concetto di "patriota"
era associato quello di difensore
della libertà municipale o
repubblicana. Herder non crede
nella democrazia - quali
potevano essere esempio, a quel
tempo, le istituzioni svizzere -
ma considera che uomo libero
sia «poter essere un uomo onesto
e cristiano, possedere in pace,
all'ombra del trono, la propria
capanna e la propria vigna e
godere il frutto del proprio
sudore»: un patriottismo
monarchico, alla Thomas Abbt,
ammiratore della monarchia
prussiana; per Herder, anche lo
zar Pietro il Grande e il
dispotismo russo era patriottico,
in quanto difensore dello spirito
della nazione: «ogni nazione ha
le sue ricchezze e proprietà dello
spirito, del carattere come del
paese» e il compito dello Stato è
«favorire ciò che giace in una
nazione e destare ciò che vi
dorme».
Se ogni nazione e ogni lingua
hanno un proprio distinto
carattere, anche ogni individuo,
che quella lingua parla e
appartiene a una singola nazione,
deve possedere una particolare
caratterizzazione; per Herder
(Sugli scritti di Thomas Abbt)
l'anima umana è «un individuo
nel regno degli spiriti, che sente
secondo la sua costituzione
singolare», è una «particolarità
viva» che si manifesta
«dall'intero fondo oscuro della
nostra anima, nella cui
imperscrutabile profondità
dormono forze ignote» cosicché
si può dire che «noi non
conosciamo nemmeno noi stessi
e solo a istanti, come in sogno,
cogliamo qualche tratto della
nostra vita profonda».
Chi studiasse una personalità
dovrà allora «spiare gli istanti in
cui l'anima si spoglia e si offre».
La conoscenza avviene
stringendoci «alla maniera di
pensare dell'altro e
[apprendendo] la saggezza come
attraverso un bacio»; non è
importante ciò che si pensa ma
come si pensa: «Ascoltiamo
volentieri pensatori e inventori e
teste originali parlare del metodo
con cui pensano, anche quando
ci danno solo embrioni di
concetti e di pensieri non
elaborati, appena sbozzati: non
importa quello che Bacone ha
pensato, è
importante come pensava».
Anche le nazioni hanno
caratteristiche proprie, derivanti
dalla loro generazione: «la
generazione nazionale resta la
stessa per millenni se non ha
mescolanze estranee e opera con
più forza se rimane avvinta alla
sua terra come una pianta» e se
avviene che influssi stranieri vi
vengono introdotti, lo spirito
nazionale non può che risentirne
in negativo, come avvenne al
tempo di Carlo Magno: «Orde di
monaci e di preti franchi, la
spada in una mano e la croce
nell'altra, introdussero in
Germania l'idolatria papale, i
peggiori residui delle scienze
romane e il gergo più volgare
[...] la lingua dei monaci recò
eterna barbarie alla lingua del
paese e, penetrando nelle fibre
della letteratura, avvelenò lo
spirito nazionale [...] ora i popoli
tedeschi sono spogliati della loro
nobiltà per la loro mescolanza,
hanno perduto la loro natura
durante una lunga servitù di
pensiero [...] se la Germania
fosse stata guidata soltanto dalla
mano del tempo al filo della sua
stessa cultura, certamente la
nostra cultura sarebbe ora più
povera e angusta ma almeno
sarebbe fedele alla sua terra,
archetipo di se stessa, e non
sarebbe così sfigurata e divisa».

La poesia popolare[modifica |
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Il sogno di Ossian, di François


Gérard, 1801
Negli scritti Vom Geist der
Ebräischen Poesie (Lo spirito
della poesia ebraica) e Von
deutscher Art und Kunst (Il
genere e l'arte tedesca) Herder
individua nella poesia e in
generale nell'arte l'immediata
espressione della vita di
un popolo, la forma della sua
coscienza, la manifestazione
della sua spiritualità, della sua
anima profonda, rifiutando l'idea
della poesia come imitazione
della natura. Tale concetto è una
conseguenza dell'interesse,
diffuso nell'Europa del tempo,
per gli antichi canti dei bardi e
delle popolazioni indigene
dell'America, intesi come
fondamentale, perché spontanea,
forma di poesia.
Conseguenza di questa posizione
è l'ostilità verso i modelli
letterari classici, considerati
artificiosi e pedanti e
l'inconsistenza del secolare
dibattito sull'imitazione degli
antichi poeti - l'imitazione è
artificio, porta alla "poesia
d'arte", alla creazione di modelli
che non possono che essere
espressione di mancanza di
sincerità, la quale è la prima
condizione per l'esistenza della
poesia.
Per Herder «quanto più è
selvaggio, cioè vivo e
liberamente operante un popolo,
tanto più selvaggi, cioè vivi,
liberi, sensibili e liricamente
operanti devono essere i suoi
canti», opponendo i canti
popolari «all'artificiosa,
sovraccarica, gotica maniera
delle moderne odi filosofiche
e pindariche inglesi [...]
all'artificiosa
maniera oraziana dei tedeschi
[...] Ossian, i canti dei selvaggi,
dei bardi, le romanze, le poesie
provinciali, ci porterebbero su
una via migliore».

L'origine del
linguaggio[modifica | modifica
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Già nei Frammenti sulla
moderna letteratura
tedesca Herder aveva abbozzato
una storia del linguaggio,
indicando come «nella sua
infanzia una lingua manda fuori,
come un bambino, suoni
monosillabici, rozzi e alti. Una
nazione, nel suo primo stato
selvaggio, come un bambino
fissa ogni oggetto: il terrore, la
paura e poi la meraviglia sono le
uniche sensazioni di cui, il
bambino come la nazione, è
capace, e la lingua che esprime
queste sensazioni è fatta di suoni
e di gesti»; proseguendo nel suo
sviluppo, il bambino, come la
nazione, razionalizza le
sensazioni elaborandole con
l'intelletto.

Johann Gottried Herder


Nel Saggio sull'origine del
linguaggio, del 1772, che fu
presentato in un concorso
all'Accademia di Berlino, si pone
il problema se il linguaggio
umano abbia un'origine naturale
o divina. Un linguaggio di
natura, fatto di suoni,
caratteristico degli animali,
esiste: è, dice Herder, il «grido
della sensazione»; ma l'uomo è
in grado di andare oltre: «l'uomo
non è legato a una sola opera, per
cui debba agire senza
migliorarsi; può cercare nuovi
campi d'azione, non è una
macchina infallibile nelle mani
della natura e ogni sua idea non è
opera immediata della natura, ma
è la sua propria opera». L'uomo
si distacca dalla natura,
producendo da sé le sue opere e
dunque la sua storia.
Il distacco dalla natura avviene
grazie alla riflessione che l'uomo
«deve possedere fin dal primo
istante in cui egli è uomo. Essa
deve mostrarsi nel primo
pensiero del bambino [...] l'uomo
rivela la riflessione quando la
forza della sua anima opera così
liberamente da separare un'onda
dall'oceano delle sensazioni, le
quali penetrano attraverso i
sensi, così da trattenerla e
volgere la propria attenzione su
di essa. Egli mostra riflessione
quando può, nell'ondeggiante
sogno delle immagini che
passano innanzi ai suoi sensi,
raccogliersi in un momento di
veglia, liberamente soffermarsi
sopra un'immagine, prenderla in
chiara e calma considerazione,
separarne alcuni contrassegni.
Egli, infine, mostra riflessione
quando può non solo conoscerne
vivamente e chiaramente tutte le
proprietà, ma anche riconoscerne
una o più proprietà distintive».
Proprio in questo modo la lingua
viene inventata: la qualità di una
cosa, che l'uomo ha isolato da
tutte le altre, diviene il segno di
quella cosa e quel segno è la
parola, la «parola dell'anima».
Poiché «non posso pensare il
primo pensiero umano senza
dialogare o tendere a dialogare»,
poiché «il primo segno verbale è
anche parola di comunicazione
con gli altri», la storia del
linguaggio coincide con la storia
dell'umanità. A questa storia
della totalità degli esseri umani
ciascun individuo porta il suo
contributo, per minimo che possa
essere: «non c'è nessuna creatura
della mia specie che non operi
per l'intera specie».
La filosofia della
storia[modifica | modifica
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Dalla teoria dell'origine della
lingua l'umanità emerge come
artefice del proprio destino,
creatrice della sua storia: non c'è
posto per la Provvidenza, come a
Herder fece notare,
disapprovandolo, lo Hamann.
Nell'Auch eine Philosophie der
Geschichte (Ancora una filosofia
della storia), del 1774, Herder
introduce una Provvidenzache
non interviene direttamente nella
storia umana, ma raggiunge il
suo scopo suscitando forze che
indirizzano la storia dell'umanità
nella direzione di sviluppi «così
semplici, delicati e meravigliosi
quali li vediamo in tutte le
produzioni della natura». La
storia dell'umanità appare come
la vicenda di un singolo
individuo: l'Oriente è l'infanzia
dell'umanità - e il dispotismo di
quegli Stati sarebbe giustificato
dalla necessità dell'esercizio
dell'autorità nel periodo
dell'infanzia - l'Egittone è la
fanciullezza, i Fenici ne
rappresentano l'adolescenza,
i Greci la giovinezza, «gioia
giovanile, grazia, gioco e amore»
e i Romani sono la «maturità del
destino del mondo antico».

Statua di Herder a Bückeburg


Sembrerebbe la descrizione di un
ciclo naturale e positivo; ma
come spiegare la fine del mondo
antico, il crollo drammatico
dell'Impero? Per Herder, l'impero
romano rovinò perché volle
distruggere i caratteri nazionali,
ignorare le tradizioni dei singoli
popoli, organizzare come un
meccanismo la vita umana: dopo
la sua caduta vi fu «un mondo
completamente nuovo di lingue,
di costumi, di inclinazioni».
L'intervento dei Germani nella
scena della storia fu positivo,
apportando nuova linfa e nuovi
valori: «le belle leggi e
conoscenze romane non
potevano sostituire le forze
scomparse, non potevano
reintegrare nervi che non
avvertivano più alcuno spirito
vitale, non stimolavano più
impulsi spenti e allora nacque
nel Nord un uomo nuovo»
portatore di nuova forza, nuovi
costumi «forti e buoni» e nuove
leggi «spiranti coraggio virile,
sentimento dell'onore, fiducia
nell'intelletto, onestà e timore
degli dei».
La rivalutazione del Medioevo è
ben esplicita ma è motivata
dall'essere stato, quel periodo,
una «grande cura dell'intera
specie grazie a una violenta
agitazione», senza tradursi, in
Herder, nell'esaltazione di un
modello politico. La critica di
Herder va tuttavia al sistema
politico del suo tempo, al «libero
pensiero», al cosmopolitismo, a
quanto doveva rendere felici gli
uomini, ridotti a un «gregge
governato filosoficamente». La
felicità, per Herder, non può
essere il derivato di un'unica
causa valida ovunque, perché
«ogni nazione ha in se stessa il
centro della sua felicità».
Nell'animo umano si formano
determinate disposizioni che, a
un certo grado del loro sviluppo,
si arrestano, cristallizzandosi e
impedendo all'individuo ulteriori
assimilazioni: «lo si chiami pure
pregiudizio, volgarità, gretto
nazionalismo, ma il pregiudizio è
utile, rende felici, spinge i popoli
verso il loro centro, li fa più
saldi, più fiorenti alla loro
maniera, più fervidi e quindi più
felici nelle loro inclinazioni e nei
loro obbiettivi [...] la nazione più
ignorante, più ricca di pregiudizi,
è spesso la prima: l'epoca delle
immigrazioni di desideri
stranieri, dei viaggi di speranze
all'estero, è già una malattia, è
una pienezza d'aria, una malsana
gonfiezza, un presentimento di
morte».
Herder non crede dunque alla
prospettiva illuministica di un
progressivo avvicinamento alla
felicità e alla virtù degli esseri
umani; tuttavia, riconosce come
sia ben viva nell'animo umano la
ricerca della felicità e questo suo
tendere a una condizione che
vada oltre il proprio stato è pure
un progresso reale, un effettivo
sviluppo.
Nelle successive Idee sulla
filosofia della storia
dell'umanità, Herder cercò di
dimostrare che l'uomo era lo
scopo autentico, «il fiore della
creazione», secondo una visione
che ha dei contatti con la teoria
dell'evoluzione naturale; mentre
«l'intera storia dell'umanità è una
pura storia naturale delle forze,
operazioni, tendenze umane
secondo luogo e tempo» la sua
filosofia, il suo significato,
coincide con la storia stessa
dell'umanità:«la filosofia della
storia, che persegue la catena
della tradizione, è propriamente
la vera storia umana» e ogni
storia delle singole nazioni si
rapporta a un quadro
complessivo a formare il piano
della Provvidenza.

L'estetica[modifica | modifica
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«Estetica! La più feconda, la più
bella e sotto molti aspetti la più
nuova di tutte le scienze astratte,
in quale caverna delle Muse
dorme il giovinetto della mia
filosofica nazione che ti dovrà
perfezionare?»: così lo Herder
esprime nelle Selve critiche il
suo interesse per quella che
considera la Scienza del
Bello, pulchris philosophice
cogitans. Nella considerazione
dell'Estetica egli si rifà
al Baumgarten, che considera
«l'Aristotele dei suoi tempi»,
accogliendone la definizione
della poesia come «oratio
sensitiva perfecta», una
definizione che gli sembra unire
«la poesia con le sue sorelle, le
arti belle».
Egualmente fa sua la
considerazione
dello Hamann per il quale «la
poesia è la lingua materna del
genere umano: al modo stesso
che il giardino è più antico del
campo arato,
la pittura della scrittura, il canto
della declamazione, il baratto del
commercio. Un sonno più
profondo era il riposo dei nostri
antichissimi progenitori; e il loro
movimento una danza
tumultuosa. Passarono sette
giorni nel silenzio della
riflessione o dello stupore; e
aprirono la bocca a pronunziare
motti alati. Parlavano sensi e
passioni, e non intendevano se
non immagini. E d'immagini è
composto tutto il tesoro della
conoscenza e della felicità
umana».

Raffaello: Il Parnaso, particolare


con Dante, Omero e Virgilio
Nella sua Kaligone (1800)
esprime la convinzione che «il
principio del discorrere umano in
toni, in gesti, nell'espressione
delle sensazioni e dei pensieri
per mezzo d'immagini e segni,
non poté essere altro che una
specie di rozza poesia e tale è
presso tutti i popoli selvaggi
della terra [...] l'uomo di natura
dipinge ciò che vede e come lo
vede, vivo, potente, mostruoso:
nel disordine o nell'ordine, come
lo vede e l'ode, così lo riproduce.
Così ordinano le loro immagini
non solo tutte le lingue selvagge,
ma anche quelle dei greci e dei
romani. Come le offrono i sensi,
tali le espone il poeta;
specialmente Omeroil quale, per
ciò che riguarda il nascere e il
trapassare delle immagini, segue
la natura in modo quasi
inarrivabile. Egli dipinge cose e
avvenimenti, tratto per tratto,
scena per scena, e così gli
uomini, quali essi si presentano
con i loro corpi, come parlano e
agiscono [...] gli dei d'Omero
erano così essenziali e
indispensabili al suo mondo
come sono essenziali al mondo
dei corpi le forze del movimento.
Senza le decisioni
dell'Olimpo nulla accadeva in
terra di ciò che sarebbe dovuto
accadere. L'isola magica di
Omero nel mare occidentale
appartiene alla carta delle
peregrinazioni del suo eroe con
la stessa necessità con la quale
essa allora sulla mappa del
mondo: indispensabile al suo
canto, come sono indispensabili,
al severo Dante, i gironi
dell'Inferno e del Paradiso».
L'epica si distingue
dalla storia perché «non racconta
solo quello che è accaduto, ma lo
descrive interamente, come è
accaduto e come non altrimenti
sarebbe potuto accadere, nel
corpo e nello spirito» e l'arte non
solo generò la storia ma prima
ancora « creò forme di dei e di
eroi, purificò le selvagge
rappresentazioni e le favole
popolari, i titani, i mostri, le
gorgoni, ponendo confini e leggi
alla disordinata fantasia di
uomini ignoranti».
Le belle arti e le belle lettere
educano l'uomo e lo rendono
sensibile: vi sono poi arti
specifiche, come la ginnastica e
la danza, che educano il corpo,
altre, o come la pittura, la
scultura e la musica, che educano
i sensi più nobili, ossia la vista, il
tatto e l'udito. Da ciò l'opinione
di Herder che la teoria delle belle
arti dovesse essere formulata a
partire dall'ottica,
dalla fisiologia e dall'acustica - la
poesia educa l'intelletto e
la fantasia. Il poeta è infatti un
artista dell'intelletto e della
fantasia: «l'estetica non designa
che una parte della logica: ciò
che chiamiamo gusto), non è che
un vivido e rapido giudizio che
non esclude la verità e la
profondità, ma anzi le
presuppone e le promuove. Le
poesie didascaliche non sono che
una filosofia sensibile: la favola,
che è poi l'esposizione di una
dottrina generale, è verità in atto
[...] la filosofia, esposta e
applicata umanamente, è non
solo un'arte bella ma è la madre
del bello. la retorica e la poesia
devono a essa quello che hanno
di educativo, di utile, di
veramente gradevole».

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