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Porto Recanati, 1° Maggio 2011

Ringrazio il Sindaco per le belle parole spese e per aver, insieme

l’amministrazione, anche quest’anno organizzato questo bel momento,

occasioni come queste rappresentano una tradizione significativa per la

comunità, ma anche un segnale culturale in controtendenza.

E’ davanti agli occhi di tutti come la nostra società rischi di scivolare su un

piano di superficialità e qualunquismo e sempre più concentrata su questioni

marginali e di interessi particolari .

Per fortuna non siamo unici, infatti, in questo momento, in tutta Italia, si

svolgono centinaia di iniziative di festa e memoria come questa, qui a Porto

Recanati.

Doppia ricorrenza per Cgil, Cisl e Uil che quest’anno vorremmo celebrare

contestualmente il primo maggio e i 150 anni dell’unità di italia.

Un occasione straordinaria per evidenziare il valore storico che il mondo del

lavoro ha offerto alla realizzazione del nostro Paese. Un significato profondo

ribadito nello slogan “il lavoro per unire il paese” che accompagnerà la

manifestazione nazionale unitaria che si svolgerà a Marsala, proprio sulla

costa trapanese dove sbarcarono i mille guidati da Garibaldi.

Un tema suggestivo che ci impongono riflessioni serie in un momento

particolarmente complesso e drammatico per il mondo del lavoro.

Il Primo Maggio è in primo luogo festa del lavoro, serve a manifestare il

lavoro e per il lavoro, serve a ricordare a tutti, alla politica, alle istituzioni, ai

signori dell'economia, ai guru della finanza, ai mezzi d'informazione, ad

ognuno di noi, che, come dice lo storico Inno dei lavoratori,di Filippo Turati

del 1886:

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“Noi vivremo del lavoro!…il riscatto del lavoro dei suoi figli opra sarà…”:

parole che, dopo tanti anni non hanno perso la loro forza e intensità, parole

che continuano a trasmetterci emozioni e ideali.

“Noi vivremo del lavoro!”: parole che ci spingono a fare memoria del lavoro

di un tempo nelle nostre terre, nelle nostre contrade, nelle nostre botteghe,

nelle nostre filande, nelle nostre miniere. Lavoro duro e spesso sfruttato,

lavoro minorile, lavoro insalubre, lavoro di donne “in attesa”, lavoro

“licenziato” ad nutum, lavoro dall’alba al tramonto, lavoro senza contratto…

“Noi vivremo del lavoro”: parole che ci spingono a fare memoria dell’azione

coraggiosa degli uomini e delle donne che hanno immaginato, progettato,

dato vita, in varie forme, alle associazioni sindacali; di coloro che ci hanno

creduto,che hanno fatto crescere il sindacato nel nostro Paese, nelle

fabbriche, nei campi, negli uffici pubblici, hanno contribuito a creare un

avanzato sistema di tutele e diritti, costruito nei decenni scorsi.

Per chi, come noi oggi qui presenti, è convinto che il lavoro rappresenti un

valore inestimabile per la persona e per la comunità; per chi, come noi, ha

sempre rivendicato per il lavoro un posto centrale nella società e nelle

attenzioni della politica; per chi, come noi, crede che la nostra Costituzione

conservi ancora la sua forza e la sua attualità proprio perché mette al centro il

lavoro e il rispetto della dignità della persona che lavora, affermare che noi

vivremo del lavoro significa sostenere anche per il futuro l’impegno a

promuovere, difendere e rappresentare il lavoro umano.

Con le parole “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, i

Costituenti stabilirono infatti che la nazione non doveva essere fondata sul

censo, sulla nobiltà ereditaria, sul privilegio, sullo sfruttamento, ma sul

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dovere-diritto di ogni persona, attraverso il lavoro, di partecipare

attivamente e concretamente al bene comune.

A distanza di sei decenni, il lavoro resta ancora un elemento essenziale di

identità personale.

il lavoro è fonte e strumento di autonomia, di indipendenza personale, di

potenziale crescita professionale, di gratificazione, di relazionalità, di

partecipazione alla vita ed allo sviluppo di una nazione; per i credenti il lavoro

è un contributo alla trasformazione del Creato.

Ma sappiamo che i profondi cambiamenti che hanno trasformato la società

moderna hanno inciso in misura forte anche sul lavoro, a livello culturale,

organizzativo ed economico. Sappiamo che per anni si è teorizzato qualcosa

di diverso, si è persino scritto e dissertato sulla “fine del lavoro”, sappiamo

che ha avuto sempre più presa la cultura del successo facile e della rendita,

cioè l'idea che si possa vivere bene sfruttando i vantaggi di una posizione

acquisita o ereditata, si tratti di rendita finanziaria o immobiliare, rendita

professionale o legata alla politica, rendita speculativa o persino derivata da

attività illegali; oppure l’idea che per raggiungere una determinata posizione

si debba fare in fretta e si possano utilizzare mezzi di vario genere, ignorando

le esigenze altrui e se occorre, anche le regole.

Il lavoro rischia oggi di fare notizia solo in negativo, quando c’è un

drammatico infortunio mortale oppure quando qualche azienda importante

chiude e centinaia di persone rimangono senza lavoro. O ancora perché

quanto si guadagna col lavoro non basta ad arrivare a fine mese.

E’ certo che il lavoro oggi è una delle maggiori ragioni di inquietudine e

persino di angoscia, lo è per ha perso il lavora o teme di perderlo, lo è per chi

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non riesce a trovarlo o lo trova in forme di inaccettabile precarietà che

perdurano per anni e anni.

La grande crisi sta ancora dispiegando i suoi effetti perversi sull’economia

reale e sul lavoro.

Sappiamo che siamo stati sottoposti ad una sorta di “tsunami socio-culturale”

che ha allentato i vincoli comunitari, ha sfilacciato le reti di sostegno

familiare, ha reso più incerte le possibilità educative, ha modificato stili di

vita e di consumo.

La grande crisi viene da lontano ed è intrinsecamente legata alla mancanza di

giustizia, ad uno squilibrio enorme e ingiustificabile nella distribuzione della

ricchezza nel pianeta. L’affermarsi negli ultimi trent’anni dell’ideologia del

profitto da realizzare a tutti i costi, ha trovato risposte comprimendo il costo

del lavoro, riducendo o precarizzando l’occupazione, incentivando

investimenti finanziari anche da parte di cittadini più fragili ed esposti,

indotti ad indebitarsi e ad elevare il livello di consumi oltre le loro reali

possibilità, ignari dell’alto livello di rischio.

La crisi mondiale ha certificato un contestuale fallimento del mercato, degli

enti di regolazione e di vigilanza, della politica.

Primo maggio dunque per rimettere al centro il lavoro, le tutele sociali e

sindacali, le attività economiche basate sul lavoro della gente, primo maggio

per rafforzare la lotta alle speculazioni finanziarie e al mito del profitto a

breve e a tutti i costi.

Primo maggio per rimettere al centro questi temi; per far ripartire quel

meccanismo che oggi sembra essersi inceppato in questo nostro paese; il

meccanismo democratico che consentiva di parlare di solidarietà, di coesione,

di responsabilità; di chiedere alla politica, alle istituzioni una prospettiva di

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bene comune. Dobbiamo sapere che le soluzioni non sono semplici, dobbiamo

essere consapevoli della necessità di fare scelte, di fare scelte lungimiranti e

coraggiose, scelte di prospettiva per rilanciare il lavoro nel nostro paese.

Per farlo è necessario superare il clima di continuo scontro e sedersi tutti

intorno ad un tavolo con l’obiettivo del bene comune.

Le parole del Presidente Napolitano che, periodicamente e in modo sempre

più severo e accorato, richiama al dialogo, al confronto dialettico sui problemi

dei cittadini, per superare il clima da trincea che si vive ormai

permanentemente tra le istituzioni e le forze politiche, dovrebbero essere

scontate e diventano invece come una luce accesa nella penombra.

Diciamo allora con forza che vogliamo che questi appelli siano ascoltati, che si

parli delle priorità di questo paese, che si mettano insieme tutte le enormi

energie di cui dispone l’Italia per custodire e rinnovare ciò che resta della

nostra tradizione, della nostra operosità, del nostro dinamismo, delle nostre

reti di solidarietà, ed al contempo per avviare progetti nuovi, scoprire nuovi

percorsi di sviluppo economico, coltivare nuovi terreni di socialità.

Diciamo al Governo

che gli ammortizzatori sociali che abbiamo chiesto e contribuito a mettere in

campo, con risorse statali e delle regioni anche per i lavoratori delle piccole

imprese, sono stati importanti per tamponare gli effetti della crisi sul lavoro

ma non bastano per guardare al futuro, serve una visione di futuro;

che i tagli alla scuola e all’università sono così pesanti e generalizzati da

comportare di fatto (lo sperimentiamo ogni giorno)un peggioramento delle

capacità del nostro sistema formativo e non una riduzione di sprechi;

che gli interventi a favore delle fasce più disagiate della popolazione sono

stati poco più che un pannicello caldo.

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Non può esserci rilancio economico senza intervenire con decisione sul fisco

sempre più palesemente iniquo. L’imposta sulle persone fisiche, che con l’Iva

rappresenta la principale entrata per lo Stato, viene versata quasi al 90% da

operai ed impiegati, al lavoro o in pensione.

Ogni anno l’evasione fiscale sottrae circa 100 miliardi al bilancio statale.

E’ evidente l’urgenza di misure che tengano insieme l’esigenza di tenuta dei

conti pubblici con quella di dare respiro a salari e pensioni. La forte pressione

del sindacato sul tema del fisco, pur con modalità diverse, nasce da questa

urgenza: le risorse per il rilancio del paese possono e devono venire dalla lotta

all’evasione; le risorse possono venire da una più incisiva lotta al lavoro nero

e irregolare(aumenta con il perdurare della crisi), da nuovi meccanismi che

creino un interesse del cittadino ad esigere scontrini, ricevute, e qualsiasi

altro titolo possa essere portato in deduzione. La necessità prioritaria è il

sostegno delle famiglie con redditi medi e bassi con forte propensione al

consumo, spostando il peso del prelievo dal lavoro alla rendita e ai consumi

di lusso.

Al contempo è forte la sollecitazione di politiche di sostegno alle imprese che

fanno occupazione e innovazione, che investono per uno sviluppo basato su

qualità, eco compatibilità e sostenibilità sociale.

Le parti sociali non sono state ferme: va sottolineato che in questi mesi, pur in

un periodo di grave crisi, sono stati rinnovati molti contratti nazionali, alla

naturale scadenza, senza conflittualità.

A sostegno del lavoro e della nostra coesione sociale dobbiamo mobilitare

tutte le risorse anche dei nostri territori, come in parte già con i tanti accordi

anticrisi tra amministrazioni locali e sindacati.

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Risposte importanti ma parziali rispetto ad una crisi che stà devastando il

nostro territorio, le nostre comunità.

Una crisi che è partita da lontano ma è entrata violentemente nelle nostre

famiglie.

Nel 2010 2241 i lavoratori che sono stati licenziati, oltre 9000 non hanno

avuto il rinnovo dei contratti, 4 milioni le ore di cassa integrazione

autorizzate.

Numeri che certificano una situazione drammatica, difficile, complessa, che

deve essere assunta e affrontata con forza e coraggio.

Dobbiamo quindi fare un salto di qualità, con la determinazione comune a

scommettere su una più avanzata concertazione, per creare massa critica,

non solo dimensionale ma anche culturale, per superare le litigiosità e i

campanilismi che spesso riducono le nostre potenzialità.

Insomma tutte le politiche e le scelte debbono essere fatte per rimettere al

centro il lavoro, per tutelarlo e promuoverlo, per renderlo più sicuro e

dignitoso, serve una nuova stagione comune di apertura innovazione,

cooperazione, responsabilità collettiva.

Per dare una speranza ai tanti volti di uomini e donne che, sul lavoro e per il

lavoro, vivono la frustrazione della ricerca infruttuosa, l’umiliazione del

diritto negato, l’incertezza e talvolta la paura del futuro, serve un impegno

straordinario che faccia diventare quotidiano, ordinario, consueto, il Primo

maggio.

E servono tante energie e tante volontà per portare avanti questo impegno,

che ne sono certo, ognuno di noi oggi qui, vuole confermare e rafforzare.

Viva il Lavoro, Viva il Primo Maggio

Grazie

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