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Francesco Giuntini
Se ? vero che gli studiosi hanno pi? volte, anche in tempi recenti1, ri
chiamato l'attenzione sulla presenza di modelli teatrali francesi nel
dramma per musica tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento, tut
tavia restano ancora da definire l'estensione del fenomeno, i modi in
cui quei modelli furono utilizzati e, in particolare, il ruolo che essi eb
bero nell'evoluzione del genere melodrammatico. Nell'attesa di un'in
dagine pi? ampia e approfondita, l'analisi della produzione del libretti
sta fiorentino Antonio Salvi pu? servire a mettere a fuoco i molteplici
aspetti della questione.
Innanzi tutto bisogna ricordare che l'interesse per il teatro francese
nella cultura italiana dell'epoca non si limita al dramma per musica ma
si manifesta anche nelle numerose traduzioni e rielaborazioni in prosa
che venivano recitate nei teatri privati, nei collegi religiosi, nelle acca
demie2. I centri di maggior diffusione furono Bologna e Roma, ma le tra
duzioni di testi teatrali francesi dovettero circolare in gran numero un
po' dovunque. Troviamo, ad esempio, una cinquantina di queste tradu
zioni elencate in un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Firenze
(la cui compilazione dovette cominciare diversi anni prima del 1718),
che registra ?le commedie in prosa stampate, manoscritte, in musica e
[37]
[38]
[39]
giungono la Stratonica del 1707 e due opere del 1715, Amore e maest?
eAmor vince l'odio overo Timocrate, tutte rappresentate a Firenze. Pos
siamo supporre che i libretti sopra citati, compresi gli ultimi due, che
si collocano poco dopo la morte di Ferdinando de* Medici (avvenuta
nell'ottobre del 1713), siano contrassegnati dall'influenza pi? o meno di
retta del principe, grande appassionato di opera e patrono della vita mu
sicale fiorentina.
Dopo il 1715 il Salvi non scrive pi? nuovi libretti per Firenze, eccet
to Scanderbeg del 1717, e collabora invece con teatri di gusto pi? tra
dizionale come quelli di Livorno, Reggio, Torino, Monaco. In questi
anni l'unica vera fonte francese dei suoi libretti resta la commedia di
Thomas Corneille, Le ge?lier de soi-m?me, ripresa nel Carceriero di se
stesso torinese del 1720 attraverso un rifacimento secentesco dell'Adi
mari. Ad ogni modo gi? la scelta del Timocrate fiorentino del 1715 segna
un'inversione di tendenza, trattandosi della prima tragedia scritta da
Thomas Corneille, tutta costruita, come la commedia precedente, sulla
falsa identit? del protagonista. Che nella stessa Firenze dopo la morte
di Ferdinando l'orientamento del gusto sia cambiato lo dimostra anche
un altro dramma per musica tratto da fonte francese, alla cui stesura po
trebbe non essere estraneo lo stesso Salvi: // principe corsaro, andato in
scena al Cocomero nel 1717. L'avvertenza premessa al libretto attribui
sce la paternit? del modello a Quinault (come del resto la traduzione ita
liana pubblicata a Bologna l'anno precedente)7, ma Le prince corsaire
? in realt? una commedia barocca di Scarron, piena di equivoci e peri
pezie. Si ha dunque l'impressione che il Salvi dopo il 1715 torni a pre
diligere un genere di fonti di gusto spagnoleggiante come all'inizio del
la sua carriera: il primo suo libretto infatti, La forza compassionevole,
del 1694 ? basato su un rifacimento italiano dell'opera omonima (La
fuerza lastimosa) di Lope de Vega8.
Passiamo ora a considerare le fonti propriamente tragiche del perio
do 1701-1715. Una particolare tematica sembra orientare le scelte del
1 Salvi: in ben tre casi (Andromaque, Pertharite, Tamerlan) il nodo della
tragedia ? dato da un tiranno che vuole costringere l'eroina a sposarlo
e, respinto, la minaccia della morte di un familiare. Questo schema vie
ne seguito fedelmente nei libretti corrispondenti. Nell'Astianatte Pirro,
figlio di Achille, per amore di Andromaca, che ? sua prigioniera col fi
glioletto Astianatte, viene meno all'impegno preso coi Greci di uccide
re il fanciullo; ma poich? Andromaca, legata alla memoria di Ettore, ri
fiuta le nozze, Pirro la minaccia di rispettare il patto. Nella Rodelinda
[40]
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10 Un tentativo di questo genere ? stato fatto da R. Strohm sulla base della teoria delle
componenti del dramma formulata da Pierre Corneille rielaborando Aristotele (cfr. R.
Strohm, op. cit.).
[42]
[43]
cese tra il 1630 e il 165011, essi sono tuttavia ben lontani dall'adottare
10 spazio unico dei tragici della seconda met? del secolo.
La molteplicit? delle scene comporta di solito una complicazione
della trama, dovuta all'inserimento di situazioni ed eventi nuovi. Ma tale
complicazione si realizza anche indipendentemente dalla necessit? di
?variar lo scenario?, soprattutto nel caso di fonti la cui azione ? parti
colarmente scarna.
Alcune modifiche riguardano l'inserimento di azioni secondarie
come quella che fa capo, nel Gran Tamerlano, al personaggio di Rossa
ne aggiunto per dar luogo alla seconda coppia, obbligatoria nei libretti
dell'epoca (?avendovi io solamente aggiunto il personaggio di Rossane,
e formatovi il secondo filo, per accomodarmi agli attori, e per seguire
11 costume italiano, solito introdur nella scena almeno due donne?). Al
tre riguardano, ad esempio, la complicazione della fase risolutiva del
dramma, dove l'accumulo di eventi e di peripezie direttamente rappre
sentati sulla scena accelera il ritmo dell'azione.
L'ultimo atto della Rodelinda si presenta molto cambiato in tal sen
so rispetto alla fonte di Pierre Corneille: in particolare, tra le scene 111,7
e 111,11-12 che aggiungono il tentativo del malvagio Garibaldo di ucci
dere a tradimento Grimoaldo (e questo offre lo spunto per inserire in
111,11 una tipica scena di sonno), viene a collocarsi la rappresentazione
diretta della fuga di Bertarido dal carcere (111,8-10). La sequenza, che
espande e complica in chiave romanzesca le scarne dichiarazioni di Ed
vige e di Rodelinde in Pertharite V,2-3, si apre con l'aria di Bertarido in
carcerato, interrotta dalla caduta nella prigione della spada di Unoldo;
con questa Bertarido ferisce involontariamente l'amico Unulfo, entrato
nella ?carcere oscurissima? per liberarlo, e poi fugge con l'amico dopo
aver lasciato la sopravveste; sopraggiungono Unoldo, Rodelinda e Cu
niberto che, non trovando Bertarido e vedendo la veste e il sangue per
terra, lo credono morto.
Ma l'esempio pi? evidente della trasformazione di una trama troppo
semplice per un libretto, trasformazione dettata anche dalla necessit?
di rispettare una delle convenzioni pi? forti del melodramma, il lieto
fine, si ha nell' Astianatte, dove il Salvi non esita a far innamorare An
dromaca di Pirro, dopo averlo fatto scampare all'attentato di Oreste. Il
terzo atto ? completamente rifatto rispetto a Racine e presenta come
momenti chiave dell'azione dapprima il sotterfugio con cui Pirro, fin
gendosi morto, riesce a strappare ad Andromaca una dichiarazione d'a
more; poi l'impresa di Pilade che rapisce Astianatte e minaccia di ucci
derlo se l'amico Oreste non viene liberato; infine le gare di generosit?
11 Cfr. J. Scherer, La dramaturgie classique en France, Paris, Nizet, 1950, p. 185 sgg.
[44]
tra Oreste e Ermione che offrono a turno la loro vita per salvare Pilade
e meritano in tal modo il premio finale: libert? e nozze.
La regola del lieto fine ? cos? radicata nella tradizione del melodram
ma, che appare davvero sorprendente il caso di Amore e maest? che si
conclude con la morte dei protagonisti. Ma pi? che il mantenimento del
la fine tragica interessano qui le modifiche introdotte dal Salvi rispetto
alla fonte di Thomas Corneille (il fatto cio? di aver ?resa la catastrofe
pi? funesta?) che ubbidiscono a un desiderio di accumulazione e di esa
gerazione caratteristiche della poetica del melodramma. Le scene che
seguono all'annuncio della morte di Arsace (III, 10-13) presentano in
fatti un crescendo per cui si passa dallo sfogo di Rosmiri morente con
tro Statira a quello di Mitrane, che svela a quest'ultima gli inganni di Ar
tabano e le porge un ferro perch'? s'uccida, fino al delirio finale della
regina. Nulla di tutto ci? nel Comte d'Essex, dove la duchessa d'Irton,
il personaggio che corrisponde a Rosmiri, si limita ad uscire discreta
mente di scena e la regina Elisabetta prega soltanto il cielo di non la
sciarla sopravvivere a lungo alla morte del conte.
Se dunque alcune delle pi? vecchie tra le fonti teatrali francesi non
sembrano troppo diverse da quelle spagnole, se altre risultano utilizza
te solo per qualche spunto ed altre ancora subiscono modifiche profon
de dettate dalle convenzioni del genere melodrammatico, ci si pu? chie
dere quale ruolo esse abbiano effettivamente svolto nell'evoluzione del
dramma per musica tra Sei e Settecento. La domanda appare tanto pi?
legittima se si considerano, d'altra parte, anche le innovazioni formali
che si riscontrano nei libretti di questo periodo e che di solito sono at
tribuite all'influsso francese, come ad esempio la distribuzione equili
brata dei personaggi e la cosiddetta liaison des sc?nes. E' infatti assai dif
ficile stabilire se questi, come altri artifici, derivino direttamente dai mo
delli francesi oppure siano dovuti ad una diffusa esigenza di ordine for
male e di razionalizzazione, presente nella cultura italiana a partire da
gli ultimi decenni del secolo, di cui l'Arcadia diventa il maggior portavo
ce.
S'? detto che il Salvi, seguendo una regola in vigore nel per
sico del teatro francese, per cui la presenza in scena di un per
deve essere regolarmente distribuita in tutti gli atti, addirittu
ge i modelli francesi pi? vecchi: nel Carceriero di se stesso
Edouard che nel Ge?lier de soi-m?me interveniva solo alla fine
ma, e viceversa nella Rodelinda fa comparire fin dal primo att
rido, che in Corneille entrava soltanto a met? dell'opera. Un'o
ne analoga si ritrova nel libretto della Ginevra principessa di
1708, dove rispetto alla fonte ariostesca viene eliminato il per
di Rinaldo. Ma gi? nel 1690 Giulio Cesare Grazzini aveva com
stesso taglio nella sua Ginevra infanta di Scozia, un libretto per
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[46]
perduto. Ma, a partire dall''Astianatte del 1701, la serie dei libretti scritti
per Pratolino e per Firenze presenta caratteristiche profondamente di
verse: una trama pi? semplice, una maggiore verosimiglianza nel con
tenuto, un maggiore rispetto delle unit? drammatiche (anche il luogo
dell'azione non supera i dintorni di una citt?), una riduzione dei cam
biamenti di scena, regolarmente distribuiti tra gli atti, un'ordinata liai
son des sc?nes. I tratti sopra elencati testimoniano un cambiamento di
gusto che saremmo tentati di attribuire immediatamente all'influsso di
retto delle fonti francesi, se molti di essi non fossero presenti anche nel
le opere veneziane che arrivarono in gran numero sulle scene fiorenti
ne a partire dalla met? degli anni novanta.
Tra queste compare anche il Faramondo di Apostolo Zeno, rappre
sentato a Venezia nel 1699 e ripreso a Pratolino nello stesso anno, di
cui parla il Muratori nella lettera citata all'inizio. Proprio i commenti
del Muratori ci permettono di individuare alcune importanti differenze
tra i drammi dello Zeno (oltre al Faramondo, furono ripresi a Firenze
Gl'inganni felici, il Belisario in Ravenna, il Lucio Vero ed altri) e quelli
contemporanei del Salvi derivati dai francesi. Se infatti dal punto di vi
sta degli aspetti formali entrambi i librettisti presentano tratti ?riforma
ti?, in Zeno tuttavia prevalgono caratteri eroici di stampo corneliano, e
trame complesse e spettacolari, mentre Salvi per lo pi? conserva, no
nostante le aggiunte imposte dal genere, le trame pi? semplici delle sue
fonti basate, come s'? visto, su contenuti psicologici e patetici.
Questa caratteristica risulta evidente anche dal confronto con le rie
laborazioni che delle stesse fonti fanno altri librettisti negli stessi anni:
ad esempio, l'Andromaca di P. D'Averara (Milano 1701) e il amerlano
di A. Piovene (Venezia 1710). Nel libretto di D'Averara viene aggiunto,
rispetto a Racine, il personaggio di Elettra, a formare la terza coppia
con Pilade. Essa compare come la finta figlia di un pescatore e di sua
moglie, che altri non ? se non Cefisa, la vecchia nutrice di Ettore, sotto
mentite spoglie. Scene buffe, finzioni, intreccio romanzesco cancellano
quasi ogni traccia della fonte raciniana. Piovene come Salvi attinge alla
tragedia di Pradon (?Degli amori poi d'Andronico prencipe greco con
Asteria figlia di Bajazet, e della venuta d'Irene principessa di Trebison
da promessa sposa di Tamerlano, me ne ha suggerito il motivo M?ns.
Pradon nel suo Tamerlano, o sia morte di Bajazet?), ma trascura del tut
to l'aspetto patetico relativo al conflitto della protagonista, mentre svi
luppa, accanto al lato eroico del personaggio di Baiazet, quello roman
zesco e spettacolare della vicenda. I punti chiave dell'azione sono dati
dalla rappresentazione scenica di due aneddoti legati alle figure stori
che dei protagonisti, secondo i quali Tamerlano, per umiliare Baiazet,
si serviva di lui come sgabello per salire a cavallo e si faceva servire a
tavola da sua moglie nuda. Nel libretto del Piovene ai due aneddoti si
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18 I due passi sono tratti da due lettere indirizzate da Alessandro Scarlatti al principe
Ferdinando de' Medici: rispettivamente del 29 maggio 1706 e del 18 giugno dello stesso
anno. Entrambe si possono leggere in M. Fabbri, Alessandro Scarlatti e il principe Ferdi
nando de' Medici, Firenze, Olschki, 1961, p. 73-74 e 77-78.
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