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SINTESI SPINOZA

La dottrina spinoziana dello Stato, esposta nel Trattato politico e nel Trattato teologico – politico, è
orientata al realismo politico.

Come Hobbes, anche Spinoza muove dalla descrizione di un ipotetico stato di natura nel quale il diritto di
ciascun uomo coincide con la sua potenza, poiché dalla natura ogni essere riceve tanto diritto quanta è la
sua forza di esistenza e di azione. Ogni uomo è, quindi, di diritto altrui finché è sotto il potere altrui ed è nel
proprio diritto quando può respingere ogni violenza, vendicare il danno che gli è stato fatto e vivere come
gli pare. Ma questa condizione determina uno stato di guerra di tutti contro tutti, in cui il singolo individuo
non può difendersi da solo e dunque il suo diritto naturale su tutto è reso nullo e fittizio. Dunque, la
condizione di precarietà che caratterizza lo stato di natura spinge gli uomini a cercare un comune accordo x
una pacifica convivenza. E, dunque, viene istituito quello che si chiama “governo”.

Il sorgere di un diritto comune, dovuto all’istituzione di un governo, fa nascere le valutazioni morali. La


giustizia e l’ingiustizia nascono così ad opera del diritto comune.

Il diritto dello Stato limita quindi il potere dell’individuo, ma non annulla il suo diritto naturale: tanto nello
stato di natura quanto nella società l’uomo agisce secondo le leggi della propria natura e mira al proprio
utile poiché, in entrambe le condizioni, è spinto ad agire o a non agire dalla speranza e dalla paura. La
differenza fondamentale tra lo stato di natura e lo stato civile è che in quest’ultimo tutti temono le stesse
cose e lx tutti ci sono una sola garanzia di sicurezza e un solo modo di vivere. Ciò non significa che
all’individuo sia tolta la facoltà del giudizio: si può dunque non condividere le leggi dello Stato; ma i
vantaggi dello Stato civile sono comunque tali che la ragione consiglia a ciascuno di sottomettersi alle sue
regole.

Spinoza tuttavia non ritiene che il diritto dello Stato sia assoluto, ossia illimitato. Come ogni altra cosa
naturale, lo Stato non può esistere e conservarsi se non si conforma alle leggi della propria natura. Il limite
della sua azione è determinato da quelle leggi senza le quali cessa di essere Stato. Per Spinoza, lo Stato
cessa di essere tale quando fa o tollera cose che possono causare la sua rovina. Dunque, lo Stato è
sottomesso a leggi nello stesso senso in cui vi né sottomesso l’uomo nello stato naturale: nel senso cioè che
è obbligato a non distruggere sé stesso.

Così come x l’uomo singolo, anche x lo Stato la regola migliore sarà quella di fondarsi sui precetti della
ragione, che sono i soli che garantiscono la sua conservazione. E poiché i fini dello Stato sono la pace e la
sicurezza della vita, così la legge fondamentale che limita l’azione dello Stato deriva da questa sua
intrinseca finalità, senza la quale esso viene meno alla sua stessa natura.

LA RELIGIONE COME OBBEDIENZA


Il trattato teologico – politico è diretto a sottrarre l’uomo alla schiavitù della superstizione e a restituirlo alla
sua libertà di pensiero. Spinoza pertanto analizza criticamente l’intero contenuto della Bibbia, x dimostrare
che ciò che essa insegna concerne la vita pratica e l’esercizio della virtù, e non la verità. Egli offre quindi una
definizione della fede che la pone completamente al di là della credenza in determinati dogmi,
riconducendola piuttosto a un atto pratico di obbedienza.

L’unico precetto che la Scrittura insegna è l’amore x il prossimo; sicché, in base alla Scrittura, a nient’altro si
è tenuti a credere se non a ciò che è assolutamente necessario x ottemperare a questo precetto.

La riduzione della fede all’obbedienza l comandamento divino dell’amore elimina, x Spinoza, ogni pericolo
di dissenso religioso poiché riconduce ogni credo a quei pochi dogmi.
Ma la riduzione della fede all’obbedienza rende impossibile anche il conflitto tra ragione e fede, ovvero tra
filosofia e teologia, dal momento che queste si occupano di ambiti del tutto diversi: la prima dell’ambito
conoscitivo della verità; la seconda dell’ambito pratico dell’obbedienza a Dio. Pertanto, se il filosofo deve
fare riferimento ai concetti scientifici, il teologo deve invece fare riferimento alle Scritture.

LA LIBERTA’ DI PENSIERO
L’analisi spinoziana dell’organizzazione politica e la sua definizione della fede come obbedienza hanno
come fine prioritario quello di difendere e garantire all’uomo la libertà della ricerca filosofica. Così come
nessuna religione può costringere un uomo a credere nella verità di tutti i suoi dogmi, allo stesso modo lo
Stato non può privare gli uomini di tutti i loro diritti, fino al punto che essi nulla possano fare senza la
volontà di coloro che governano. In qualsiasi comunità politica, infatti, l’uomo conserva una parte dei suoi
diritti, e il diritto più geloso e meno trasferibile è la facoltà di pensare e di giudicare liberamente. Né su
questa facoltà è possibile alcuna forma di costrizione: i governanti possono tenere a freno la lingua degli
uomini, ma non il loro pensiero. Bisogna quindi annoverare tra i governanti violenti quelli che pretendono
di esercitare una costrizione sul pensiero.

L’autentico fine dello Stato è quindi l’esercizio della libertà, come è la libertà il fine ultimo del percorso
conoscitivo e morale dell’uomo. Spinoza, infatti, non ha altro scopo che garantire all’uomo la libertà delle
passioni, la libertà religiosa e la libertà politica.

LA RIFLESSIONE RELIGIOSA E POLITICA


Il Tractatus theologico-politicus

La situazione storica dei Paesi Bassi in quel tempo era caratterizzata da continue lotte politiche tra un
partito repubblicano e uno monarchico a sostegno della Casa d'Orange-Nassau; a tali dispute si
intrecciavano violenti movimenti religiosi che vedevano da una parte varie sette riformate e dall'altra la
Chiesa Calvinista.

In questo clima storico, nel 1670 Spinoza aveva pubblicato, anonimo, il Trattato teologico-politico, opera
che suscitò un clamore ed uno sdegno generali, in quanto presentava un'accurata analisi dell'Antico
Testamento, e in special modo del "Pentateuco", tendente a negare l'origine divina del libro. Né la fede, né
la tradizione sostiene Spinoza possono condurci alla corretta esegesi della Scrittura

La Scrittura viene infatti trattata come un prodotto storico - un insieme di testi redatti da uomini diversi in
diverse epoche storiche - e non come il mezzo privilegiato della rivelazione di Dio all'uomo. Le profezie
narrate nel testo sacro vengono spiegate ricorrendo alla facoltà della "immaginazione" di coloro che le
hanno pronunciate, mentre gli eventi miracolosi, privati di qualsiasi consistenza reale, vengono definiti
come accadimenti che gli uomini non riescono a spiegarsi e che per questo, per l'ignoranza delle cause che
li hanno prodotti, essi finiscono per attribuire ad un intervento soprannaturale.

A differenza di Hobbes, Spinoza afferma che lo stato ideale non è quello assoluto autoritario, quindi con un
monarca con potere inscindibile e irrevocabile. Scrive Spinoza a un suo corrispondente negli anni 1670:
Il potere dello Stato cioè, emana dal diritto e deve essere commisurato all'autorità che egli è capace di
esprimere nei confronti dei cittadini.

Un vero Stato deve essere retto da un monarca assoluto, ma non dispotico. Se infatti lo fosse, priverebbe i
cittadini della libertà di parola e quindi in pratica non saprebbe come comportarsi per il bene comune.
Inoltre secondo Spinoza l'assolutismo autoritario è la più fittizia forma di governo che ci sia, dal momento
che si occupa di limitare con continui sforzi la libertà, che però essendo intrinseca al cittadino, non può mai
essere soffocata totalmente: dunque gli sforzi del governo sarebbero allo stesso tempo sistematici, ma
vani.

Infine, il Trattato teologico-politico sostiene la necessità per uno stato di garantire ai suoi cittadini libertà di
pensiero, di espressione e di religione attraverso una politica di tolleranza[44] di tutte le confessioni e di
tutti i credi, senza interferenze in questioni che non riguardino la sicurezza e la pace della società.[45] In
nome di questa libertà di coscienza Spinoza pretende l'assoluta laicità dello Stato. L'autorità religiosa non si
deve intromettere nelle convinzioni di coscienza dei singoli cittadini; chi è credente obbedirà alla gerarchia
della sua Chiesa e dovrà limitarsi a quanto la sua fede prescrive cercando di essere giusto e caritatevole
verso il prossimo.[46]

Del resto un'analisi storica della Bibbia, sostiene Spinoza, conferma che questo è l'insegnamento dei profeti
e degli apostoli una volta che lo si sia purificato dal loro carattere individuale e dalle incrostazioni
dipendenti dalla mentalità e dalle epoche storiche in cui questi hanno vissuto. Qui il Dio di Spinoza ha
ancora una configurazione personalistica che sarà negata nell'Ethica, ma tuttavia, sottoponendola ad una
purificazione razionalista, gli appare chiaro che la fede serve ad indirizzare alla virtù gli uomini più semplici
mentre la verità è riservata alla ragione filosofica.[47]

Nelle pagine conclusive, il filosofo olandese addita come modello di convivenza pacifica, pur nella diversità,
la città di Amsterdam e le Province Unite olandesi.

Nonostante l'anonimato, Spinoza venne presto riconosciuto come autore dell'opera, che venne messa al
bando dalle autorità olandesi a partire dal 1674, insieme con il Leviatano di Thomas Hobbes.

In una lettera scritta nel dicembre del 1675 e inviata ad Albert Burgh (strenuo difensore del Cattolicesimo),
Spinoza spiega chiaramente il suo punto di vista sia sul Cattolicesimo che sull'Islam. Spinoza afferma che
entrambe le religioni sono fatte "per ingannare i popoli e per vincolare le menti degli uomini". Inoltre
afferma che l'Islam supera di gran lunga il Cattolicesimo in ciò.

IL TRATTATO TEOLOGICO – POLITICO


Nel 1670 usciva anonimo ad Amsterdam il Trattato teologico – politico. La pubblicazione concludeva un
lavoro iniziato intorno al 1665.

Principio del libero pensiero, sostenuto da Spinoza nel Trattato, che, avendo a sua base quello del primato
della ragione, pur dichiarando la distinzione e indipendenza del dominio teologico da quello filosofico,
finiva col sovvertire l’ordine tradizionale delle priorità.

Liberazione dal pregiudizio ed affermazione delle libertà civili come esigenze primarie dell’uomo,
soffocando le quali l’uomo cessa di essere tale. La lotta contro il pregiudizio, che qui assume l’aspetto
particolare di lotta contro il pregiudizio teologico, non è un programma nuovo x Spinoza, ma risponde ad
un’esigenza fortemente sentita ed espressa precedentemente. Dunque, vivacità e decisione con la quale
egli porta avanti nel Trattato quest’opera di demolizione dell’edificio di superstizioni su cui poggiava
l’autorità dei teologi.

Al tempo in cui Spinoza iniziava a scrivere il Trattato la situazione delle Province Unite era caratterizzata, in
campo religioso, da un difficile equilibrio tra le varie sette religiose, i cattolici e la Chiesa calvinista, in campo
politico dal conflitto latente tra repubblicani e orangisti. Nonostante il riconoscimento che egli fa al suo
paese di consentire a tutti la libertà di pensiero e la libertà di culto, Spinoza ritiene non superfluo dare un
fondamento teorico alla situazione di privilegio della quale esso sembra godere. Per sgomberare il campo
della teologia dai pregiudizi che la viziano e dimostrare non soltanto la compatibilità delle libertà civili con
l’ordinamento statale, ma addirittura l’imprescindibilità di esse x il mantenimento della società civile.
Spinoza procede x un verso ad una ridefinizione del significato della rivelazione e ad un’analisi critica del
testo sacro.

Divisione dell’opera in 4 parti:

1. discute il significato della profezia e dei mezzi attraverso cui essa si comunica agli uomini.
2. espone il nuovo metodo di interpretazione della Scrittura e ne fa un’applicazione particolare
nell’analisi critica dei suoi libri.
3. inizio della fase costruttiva dell’opera e svolge i temi del significato della figura degli apostoli, del
vero senso della parola di Dio e del contenuto dottrinale dei testi sacri, dell’essenza della fede in sé
e in relazione all’essenza della filosofia.
4. svolge i temi politici deducendoli dalla precedente analisi della Scrittura e dalla storia stessa del
popolo ebraico.

Il tema di fondo di tutta l’opera: l’affermazione della libertà di pensiero e di parola e la dimostrazione
della, possibilità di organizzare la società civile in modo che tali libertà ne costituiscano la struttura
stessa.

L’affermazione dell’indipendenza reciproca di teologia e filosofia è preliminare alla rivendicazione della


libertà di pensiero, che x essere realmente tale non può patire limitazioni né da parte delle autorità
politiche né da parte delle autorità religiose.

Tesi principali del Trattato:

1. la critica biblica
2. la definizione dei rispettivi ambiti di teologia e filosofia
3. la teoria del diritto naturale e della genesi dello Stato
4. il concetto di democrazia
5. il concetto di stato assoluto in quanto stato razionale
6. la rivendicazione delle libertà civili
Dunque, concetto di libertà come condizione imprescindibile al costituirsi di una società civile. Però, pur
avendo come scopo precipuo l’affermazione delle libertà civili, il Trattato solo incidentalmente dà una
definizione dalla libertà.

La precarietà e l’insicurezza della condizione nello stato di natura genera inevitabilmente il bisogno di porre
dei limiti al potere di ciascuno, di frenare con la convenzione ciò che x natura ha un limite solo nella
individuale essenza di ciascuno. Solo il patto che nasce da tale bisogno dà al singolo la garanzia di poter
conservare il proprio essere, di poter soddisfare quello che è il primo bisogno dell’uomo. Il diritto naturale
di ciascuno verrebbe ad essere leso se non ne fosse a tutti garantita l’esplicazione. E solo il diritto civile dà a
ciascuno tale garanzia. In questo passaggio dal diritto naturale al diritto civile e dallo stato di naturale allo
stato civile, non vi è alcun elemento volontaristico: si tratta di una inevitabile necessità. La necessità di
instaurare la società civile nasce dal fatto che gli uomini non seguono tutti la via della ragione, ma sono in
gran parte soggetti alle passioni che li inducono ad essere contrari l’uno all’altro: se gli uomini vivessero
sotto la guida della ragione ciascun possiederebbe il proprio diritto naturale senza alcun danno degli altri.
La ragione è, infatti, il dominio del comune e nella ragione gli uomini non possono non trovare l’accordo.
Essendo tuttavia quella della ragione solo una delle vie percorse dall’uomo, anche se l’unica che consenta
una convivenza pacifica, si determina la necessità di stabilire delle norme di vita tali che da esse sia a tutti
garantita la soddisfazione del primo e fondamentale impulso naturale, quello tendente alla conservazione
del proprio essere. Ciò implica che tali norme siano rispettate da tutti e, poiché avviene che non tutti ne
riconoscano la validità e l’utilità, dove occorra allora siano imposte mediante l’uso della minaccia. Hanno
così origine anche le nozioni di peccato e di merito, di giustizia e ingiustizia. Il peccato nasce dalla legge, di
una norma che stabilisce cosa sia consentito e cosa sia invece vietato all’individuo. Il termine “conatus”
esprime l’essenza dell’essere finito come parte ed espressione dell’infinita attività causale della sostanza,
che in tale attività manifesta la sua essenza di principio dinamico. Ed è sempre l’esigenza di garantire il
libero esplicarsi del conatus che spiega la genesi della società civile. La libertà proclamata e difesa nel
Trattato è, quindi, quella che si innesta nella struttura stessa della società civile, nella quale e dalla quale
riceve i suoi propri limiti. La libertà civile, di cui si dimostra la convenienza al mantenimento stesso di
un’organizzazione sociale, si realizza teoricamente nel riconoscimento della razionalità dell’ordine sociale e
praticamente nell’azione che a tale ordine si adegua. La libertà si definisce come razionalità. La società
civile nasce dall’esigenza razionale di garantire a ciascuno l’esplicazione della propria naturale tendenza alla
conservazione del proprio essere. Nel suo adeguarsi ai dettami della ragione, dominio del comune, il
cittadino trova il punto di incontro tra l’interesse della propria individualità e l’interesse collettivo
rappresentato dallo stato, poiché anche lo stato si fonda sulla ragione. Dunque, la libertà è razionalità.
L’individuo decide di trasferire in una o più persone il proprio diritto naturale, ossia il proprio potere, che da
questo momento viene ad essere esercitato dalle autorità politiche. Al diritto naturale subentra così il
diritto civile, che è il diritto naturale stesso in quanto crea a sé stesso le condizioni x la propria esplicazione.
La ragione suggerisce il perseguimento del proprio utile ma l’utile si identifica con l’utile della collettività. E’
questo il senso dell’utilitarismo spinoziano.

L’uomo è libero quando, pervenendo alla conoscenza della struttura del reale, assume consapevolezza di
questa sua condizione; è libero l’uomo ce he è guidato dalla ragione. Questa libertà è anche quella che si
accorda con la società civile.

E poiché il diritto civile non nasce in contrapposizione al diritto naturale, ma come garanzia di esso, tra le
possibili forme di governo è migliore quella che soddisfa questa esigenza: il governo democratico.

Il potere dello stato, quale nasce dal patto che gli uomini stringono tra loro al fine di garantire
reciprocamente, è assoluto. Il suddito trasferisce nell’autorità politica il proprio potere e quindi il proprio
diritto. A seconda della forma di governo egli resta più o meno libero, ma anche in un regime democratico,
la libertà di cui egli gode è libertà di pensiero e di parola. Nessuna azione gli è consentita in quanto singolo,
poiché con il patto si è impegnato ad agire soltanto sulla base di decisioni comuni. Ciò che egli non ha
vincolato è la sua facoltà di ragionare, la sua capacità di giudizio, che costituisce la sua vera essenza di
uomo. Tale libertà consente al cittadino di svolgere ampia opera al dibattito politico. Il cittadino però ha
l’obbligo di obbedire alla legge fin quando lo stato svolge il suo compito di fare il bene dei suoi sudditi. Nel
momento in cui le supreme autorità abbiano dimenticato qual è il loro vero fine ossia provvedere al bene
comune, esse allora hanno posto anche le condizioni della propria negazione.

Dunque, l’unica libertà consentita al cittadino di uno stato ben ordinato è la “libertas philosophandi”. Ciò
che importa a Spinoza è garantire al cittadino l’esercizio di quella facoltà di giudizio e sulla quale si innesta
l’azione pratica. Dunque, permanenza all’interno del corpo di politico di una forma di libertà che può
sconfinare nell’intervento pratico.

Ultima annotazione: quale era a posizione di Spinoza verso Hobbes? Stando alle dichiarazioni di Spinoza
stesso, due sarebbero i punti discriminanti tra la sua filosofia e quella di Hobbes: il primo riguarda il
contenuto dei dettami della ragione, il secondo il diritto naturale e l rapporto tra sovranità e suddito.
Sembra che Spinoza ritenga che x Hobbes la ricerca della pace non sia un dettame della ragione: x Spinoza,
la ragione consiglia sempre la pace ma Hobbes la pensa altrimenti. Quindi, x Hobbes, la ricerca della pace è
condizionata alla considerazione della possibilità reale di raggiungerla, invece x Spinoza la pace era un
dettame assoluto della ragione o meglio conseguenza necessaria del vivere secondo ragione. Inoltre, x
Hobbes, la conservazione di questo valore supremo che è la vita, ove non vi siano condizioni di pace, può
anche attuarsi attraverso la guerra. Per Spinoza, invece, la guerra non può essere considerata, al lume della
ragione, come strumento x raggiungere la pace. Alla base di questa differenza è il diverso modo di
concepire il rapporto tra gli uomini a livello naturale, che x Hobbes è di diffidenza e guerra, mentre x
Spinoza l’ostilità reciproca è solo uno dei vari modi in cui si configura il rapporto tra gli uomini.

Per quanto riguarda la politica la differenza tra lui e Hobbes consiste nel fatto che egli mantiene integro il
diritto naturale e stabilisce che in qualsivoglia organizzazione civile alla sovranità non compete un diritto
maggiore sui sudditi di quello che gli deriva dal suo potere. La divergenza riguarda, dunque, il modo di
concepire il rapporto tra diritto naturale e diritto positivo, cittadino e stato. E Spinoza ha ragione nel dire
che mantiene integro il diritto naturale, e ha ragione nel dire che su questo punto la posizione di Hobbes
diverge dalla sua.

Per Spinoza, il diritto positivo non nasce come negazione del diritto naturale, ma come garanzia di esso,
come creazione delle condizioni affinché sia data a ciascuno la reale possibilità di esplicare il proprio
diritto ossia il proprio potere, nel rispetto del diritto e del potere altrui. Il passaggio dallo stato naturale
allo stato civile è reso necessario dall’esigenza di creare le condizioni al libero esplicarsi dell’attività e
della vita umana, al riparo dai rischi intrinsechi allo stato naturale. Contraendo il patto di costituzione
della società civile, dall’altra parte, il singolo non abdica a tutte le sue libertà, ma conserva esattamente
quella da cui può trarre origine la rottura del patto stesso, conserva cioè quella libertà di pensiero e di
parola che, esplicandosi come critica al potere costituito, ove questo devii dal suo proprio fine,
contribuisce attivamente alla caduta di esso.

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