Sei sulla pagina 1di 5

Capitolo 1 Le grandi correnti: Giusnaturalismo

Il Giusnaturalismo Le origini del giusnaturalismo nel pensiero greco Le origini del Giusnaturalismo si
collocano in Grecia nel V secolo. Dalle parole che Sofocle, usa nell’Antigone, si evince come la coscienza
greca ritrovi in sé quel pensiero che verrà poi formulato in termini filosofici presso i Sofisti. I sofisti, non
rappresentano un pensiero unitario, ma hanno come caratteristica comune un forte interesse per i
problemi etico-politici e giuridici, nonché una forte convinzione razionalistica di tutti i valori riassumibile nel
frammento di Protagora: “L’uomo è misura di tutte le cose.” Essi contrappongono giusto per natura e
giusto per legge, seppur risolvendo e argomentando diversamente questo contrasto, definendo così il
Giusnaturalismo sotto tre forme: - Volontaristico, dettato da Sofocle, postula che al di sopra delle leggi
positive umane ci siano leggi non scritte, dettate da una volontà divina. - Naturalistico, che identifica la
legge di natura con l’istinto comune a tutti gli esseri animali. Secondo il pensiero di Callicle, per natura
l’uomo migliore è colui che è più forte, mentre le leggi, aiuterebbero i più deboli a neutralizzare questa
superiorità naturale. In tal senso, è corretto affermare che il Diritto della natura viene visto come un
principio di condotta esterno all’uomo. - Razionalistico, che ha caratterizzato per lo più dottrine laiche e
democratiche; considera il diritto naturale come l’insieme dei principi di ragione e Ippia, Antifonte ed
Alcidamente differiscono da Callicle ritenendo tali norme insite nella stessa natura umana, dunque ad egli
interne.

Il Giusnaturalismo nel pensiero Stoico Le tre differenti concezioni si ritrovano conciliate nella dottrina degli
Stoici, che ritenevano l’universo come animato da un principio assoluto, razionale e divino insieme: il λόγος,
che pervade e muove la materia, immedesimandosi in essa. Il diritto viene così concepito come parte
dell’ordine universale da cui devono scaturire le leggi positive. Questo tipo di Giusnaturalismo stoico ebbe
grande fortuna a Roma, soprattutto per Cicerone, che nel De Legibus tratta del principio del diritto. La legge
è per Cicerone ragione suprema insita nella natura e non nascono dalle leggi positive poiché senza una
legge naturale non esisterebbe neanche un giusto ed un sbagliato, e potrebbe essere diritto rubare, qualora
il legislatore dovesse approvare. Nel De Republica, dice che la legge naturale è presente in tutti noi,
invariabile ed eterna. Questa non può essere abrogata, da questa non si può essere sciolti né dal popolo né
dallo Stato poiché di essa è responsabile unicamente Dio, autore, interprete e legislatore. Pertanto chi la
rinnega, rinnega la stessa natura dell’uomo. L’importanza della concezione Ciceroniana è stata
grandissima, intendendo la teoria del diritto come summa ratio. Ulpiano riprendendo questa definizione di
diritto naturale lo definisce quel diritto che la natura ha insegnato a tutti gli esseri animati; mentre Giulio
Paolo, più sull’onda volontaristica, lo definisce quell’insieme di norme stabilite da una provvidenza divina.

Giusnaturalismo e il pensiero cristiano Al Cristianesimo delle origini l’idea del diritto è del tutto estranea,
poiché il regno di Dio non ha bisogno di istituzioni giuridiche. La polemica di S.Paolo contro il legalismo è
molto dura, la legge è il segno del peccato, non si è resi giusti dalla legge bensì dalla grazia di Dio, per tanto
coloro che vivono secondo lo spirito non hanno bisogno della legge. L’atteggiamento cambia nei Padri della
Chiesa, i quali ripropongono i temi del giusnaturalismo razionalistico, postulando una legge superiore quale
fondamento e modello di ogni legge positiva, una legge definita divina, sostituendo il misticismo e il
volontarismo teologico. Il primo a comprenderne le implicazioni in senso naturalistico è S. Ambrogio, il
quale si chiede che bisogno ci fosse di una legge innata, ma dal momento in cui l’uomo non osservò a
sufficienza quella naturale, il solo strumento dopo la venuta di Cristo rimaneva la fede. Nello stesso
periodo, interviene anche S. Giovanni Crisostomo, che alla domanda di S.Ambrogio risponde diversamente
sostenendo che l’uomo è capace, grazie alla ragione di raggiungere la virtù ed evitare il vizio. Sarà poi
S.Agostino a prendere piena coscienza del problema. Anteriormente alla polemica con Pelagio, S.Agostino,
riteneva che la legge positiva non fosse valida se non conforme alla legge eterna, mentre a seguito della
polemica si rese conto dell’incompatibilità di tale posizione con il pensiero cristiano e pur continuando a
parlare di diritto naturale, li fa coincidere con la volontà divina, riprendendo un’impostazione volontaristica.
Da qui, si delinea il contrasto tra intellettualisti, che sulla scia del giusnaturalismo razionalistico identificano
la derivazione della legge naturale dalla ragione e gli antintellettualisti, che invece sulla scia del
giusnaturalismo volontaristico la identificano con la volontà di Dio.

Il giusnaturalismo medievale e la sistemazione tomistica Dopo S. Agostino, iniziano a fiorire le scuole


teologiche e filosofiche, che dettero il nome alla Scolastica, nella quale si definiscono le due correnti
sopracitate: una intellettualista, di ispirazione aristotelica, che rivendica alla ragione una sua sfera, seppur
limitata, ed una antintellettualista, che recupera elementi platonici e il demisticismo agostiniano. Il più
razionalista degli scolastici è Aberaldo, il primo ad utilizzare la definizione ius positivum ed a contrapporre
alla stessa lo ius naturale, intendendo quest’ultimo come la ragione stessa, presente in tutti che persuade a
compiere un azione. Tale concezione, si afferma prima con Alberto Magno, e poi con il suo allievo
S.Tommaso, al quale si deve l’opera di chiarificazione e sistematizzazione della dottrina giusnaturalistica
medievale. Difatti, nella Summa Theologiae fa un ampia distinzione tra: - Lex divina, legge rivelata da Dio
e come tale superiore a tutte le altre. - Lex aeterna, legge stessa di Dio definita come legge naturale: una
guida per l’uomo nel perseguimento dei suoi fini terreni. Riportando al principio fondamentale : “Bonum
facendum, malum vitandum.” - Lex humana, il c.d. diritto positivo, istituita dall’uomo per non cedere alle
passioni, dai quali viene allontano con la forza, nel caso in cui non dovesse seguire la sua natura razionale.
Questa deriva dalla lex aeterna o legge naturale, per due modi: per modum conclusionum, ovvero per
deduzione dai principi; o per modum determinationis, ovvero per specificazione di norme generali. Per
S.Tommaso tuttavia, questa non va è da considerare come una semplice derivata, bensì nasce dalla volontà
comune. Sempre, nel già citato testo, si discute anche del contrasto tra le due leggi, positiva e naturale,
portando alla conclusione che una norma positiva in contrasto con quella naturale non sia altro se non una
corruzione stessa della legge. Dunque, si può disobbedire solo a ciò contrario alla legge divina. In questo
modo, pone tale legge in un piano di superiorità ma allo stesso tempo attribuisce alla legge positiva una sua
legittimità, in quanto fondata sulla ragione. L’uomo ha dunque un fine soprannaturale per il quale ha la
necessità di avere una legge divina, tuttavia in quanto essere naturale e razionale, è capace di dare leggi a
sé stesso. La reazione a questo razionalismo tomistico è di Guglielmo da Occam. Anche per lui, il Diritto
Naturale è dettato dalla ragione, che tuttavia vede solo come strumento di Dio per far agire l’uomo. Quindi
è una norma esterna all’uomo, in perenne balia di questo e alla quale non può sottrarsi. Sarà poi il suo
discepolo, Gregorio da Rimini a formulare la tesi dell’indipendenza della legge morale, che ritroveremo poi
in Ugo Grozio.

Il giusnaturalismo nell’età moderna A partire dal XIV secolo, l’universalità e la sovranità dell’Impero va
scomparendo, lasciando il posto ad uno scenario costituito da una pluralità di Stati che si danno
autonomamente delle leggi. Prima della riforma, i rapporti internazionali venivano considerati casi di
coscienza, specialmente dalla seconda scolastica che, afferma la necessità di porre un fondamento a ciò ad
oggi potremo chiamare Diritto Internazionale. Sul punto citiamo Alberto Gentili, che nel De Iure Belli, fa
un’associazione tra il D.I. e quelle leggi non scritte dettate dalla ragione. Con le riforme, Luterana e
Calvinista, viene meno anche l’unità religiosa, producendo l’effetto di una non ottemperanza sia alle norme
del Diritto Naturale, quanto a quelle del Diritto Positivo. Viene così a mancare non solo un terreno comune,
quale la religione, ma lo stesso si trasforma in un ulteriore motivo di conflitto. Nel suo libro, Mare Liberum,
pone alcuni principi fondamentali come l’obbligo di tenere fede ai patti o il mantenimento delle promesse,
e via discorrendo; in questo modo Grozio fonda la teoria moderna del diritto naturale, affermando
l’indipendenza del Diritto da Dio. Il suo razionalismo non è un opposizione alla teologica, bensì alla branca
volontaristica; egli vuole solamente affermare che la validità del Diritto Naturale è affermata dalla sua
razionalità indipendentemente dall’esistenza stessa di un Dio. Il Diritto Internazionale è dunque per Grozio,
fondato nella ragione e nella socialità dell’uomo che porta alla luce norme come il pacta sunt servanda. Il
Diritto naturale prima di Grozio proviene da una realtà oggettiva, da cui era semplice ricevitore passivo di
dogmi, provenienti da una certezza esterna all’uomo; in seguito al suo pensiero, viene invece inteso come
una norma posta dall’autonomia attività del soggetto, libera dall’oggettivo ed esplicata tramite la ragione.
Dovendo riassumere le caratteristiche che accomunano i giusnaturalisti moderni, nonostante non arrivino a
formare una scuola e presentano anche differenze tra l’uno e l’altro, sono: - Il laicismo, difatti riconoscono
unica fonte del Diritto Naturale la ragione umana. - L’atteggiamento individualistico, il loro interesse si
sviluppa maggiormente nei confronti dei diritti soggettivi posseduti dall’individuo per natura, quindi innati,
piuttosto che verso le norme naturali oggettive. - Il razionalismo, il quale emerge oltre che nella concezione
stessa del diritto, anche nello sforzo che essi mettono in pratica per costruire un sistema di norme
deducibili con rigorosa esattezza e costituente un ordine analogo a quello della natura fisica. Come Galilei e
Newton, cercano di realizzare una scienza del diritto ed è proprio in tal senso che vengono usati strumenti
come lo stato di natura, condizione originaria degli uomini, e del contratto sociale, patto di sottomissione
all’autorità, per mezzo dei quali vorrebbero dimostrare la derivazione logica del diritto e dello Stato
dall’individuo. - L’astrattismo e l’antistoricismo, proprio per tali ragioni definiscono la ragione , fonte del
diritto naturale, un’essenza immutabile della natura umana e conseguentemente le norme da essa dettate
come valide universalmente ed astrattamente.

Il giusnaturalismo nel Seicento I maggiori esponenti del giusnaturalismo del Seicento, sono in area tedesca
Pufendorf e in area inglese, Hobbes e Locke. Samuel Pufendorf Nella sua maggiore opera, il De iura naturae
e gentium, persegue la costruzione di un sistema organico e scientifico del Diritto Naturale, difatti come la
fisica enuncia matematicamente i rapporti tra gli enti fisici, allora il diritto può determinare le leggi degli
entia moralis, ovvero i modi che gli esseri umani intelligenti usano per dare ordine e convivenza alla vita
umana. Del giusnaturalismo seicentesco condivide anche la laicità e la razionalizzazione, nonostante
talvolta cada nel volontarismo come nella spiegazione del passaggio dell’uomo dallo stato natura allo stato
civile. A lui dobbiamo inoltre la distinzione tra diritti perfetti, ovvero quelli muniti di sanzione e che
possono essere fatti valere con la forza e diritti imperfetti, non coattivi e affidati alla coscienza di ciascuno.

Thomas Hobbes Nel testo Elementa Philophiae sostiene che l’uomo per natura è più portato a sopraffarsi
piuttosto che ad associarsi, da ciò la definizione dello stato di natura come uno stato di guerra tra tutti gli
uomini. Bellum omnium contra omnes e per uscire da questo, pax est quaerenda. Hobbes parte proprio
da ciò per riassumere tutto nel dire che l’uomo deve fondamentalmente rispettare una legge
fondamentale: non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Questa è una legge di natura,
dettata dalla ragione. Le leggi naturali però, nonostante immutabili ed eterne, non sono sufficienti ad
assicurare la pace e la sicurezza e proprio per tale ragione occorre dar vita ad un’autorità, mediante un
patto sociale dal quale nasce uno stato assoluto, dove gli individui si privano di ogni diritto. Tale patto per
Hobbes si scompone in due momenti: Pactum unionis e Pactum subiectionis. Questa autorità non può
essere abolita, tranne nel caso in cui il sovrano non sia capace di preservare la vita dei sudditi. Lo stato in tal
senso viene visto come il Grande Leviatano. Cerca così di teorizzare l’assolutismo politico, uno stato giusto,
secondo Hobbes è uno Stato libero di agire, senza il vincolo politico da parte del parlamento e dei giudici.

John Locke Locke ha invece una visione democratica e liberale dello Stato, in quanto considera lo stato di
natura precario, in cui è visibile la necessità di un’organizzazione politica della società con leggi fisse,
accolte per consenso di tutti e con giudici imparziali. Lo scopo di quest’organizzazione deve essere la
salvaguardia dei singoli, infatti lo stato tramite il contratto sociale deve continuare a garantire i diritti
preesistenti lo stato di guerra. Tra questi diritti, c.d. innati, aggiunge anche la proprietà intesa in modo
ampio, ovvero dove l’uomo mette del suo si può dire che vi una sua proprietà circa queste cose. Quando
però lo Stato non può perseguire questi fini, va deposto, ci sono quattro casi in cui questo “Appeal to
Heaven” è previsto: in caso di conquista, in caso di usurpazione, in caso di tirannide ed in caso di
dissoluzione del governo. Lo Stato di Locke si definisce democratico, in quanto il popolo è sovrano ed è lui
stesso che concede allo Stato il potere di applicare le leggi; Liberale poiché vi è una legge superiore che
pone il limite al potere dello Stato, ovvero quando non salvaguardia più la libertà individuale. Proprio in tal
senso risulta in contrapposizione con Hobbes, gli uomini infatti nascono liberi e nessuno ha diritto di
togliere tale libertà. Questa concezione, ha il suo trionfo con la Gloriosa Rivoluzione di Guglielmo D’orange,
del 1688, quando istituisce la sua Monarchia Costituzionale. La tesi Lockiana sfocia in una teorizzazione del
diritto di resistenza. Con il Bill of Rights, il nuovo monarca fissa i limiti della Corona e assicura i diritti degli
individui attraverso una rappresentanza parlamentare; questo coincide con l’attuale definizione di
Dichiarazione dei Diritti.

Giusnaturalismo nel Settecento Il giusnaturalismo nel 700, ebbe inizio con l’influenza del razionalismo; i
quali rifiutano ogni credenza mistica non riconducibile all’esperienza e alla ragione, arrivando a sfociare in
progetti di riforma. Una delle sue caratteristiche è l’indirizzare la ricerca a fini pratici. Si sviluppa
differentemente a seconda delle parte geografiche: In Prussia, uno dei maggiori promotori di queste
riforme è Christian Thomasius. Secondo la sua dottrina la determinazione della giuridicità come momento
autonome è rilevante, poichè se solo i doveri giuridici sono coercibili, sono anche gli unici rilevanti perciò la
morale, che riguarda l’individuo dall’interno non può essere soggetta a coazione. Ciò porta ad affermare la
libertà di pensiero e di coscienza. Inoltre, proprio per tali ragioni, riteneva altresì necessario abolire reati
come stregoneria e magia, l’eliminazione delle torture, la subordinazione della Chiesa allo stato. In
Inghilterra, le idee illuministiche trovarono il loro trionfo sul piano politico con la gloriosa rivoluzione del
1688. Il discorso risultava, fondamentalmente limitato all’empirismo e rifiutava l’astratto razionalismo. Tra i
tipici esponenti del secolo ritroviamo David Hume. In Italia, in particolar modo a Milano, dove nel circolo “Il
Caffè” si riunivano tutti coloro che erano concordi nel denunciare la crisi del diritto contemporaneo, come
ad esempio Cesare Beccaria che sostenne la necessità di moderare le pene l’abolizione della pena di morte
e della tortura in quanto considerate come abuso ed ingiustizia, totalmente non necessarie rispetto alla
conservazione della società. Anche a Napoli, dove però governò uno spirito più riformatore, che puntava a
fare dell’astratta aspirazione del Diritto Naturale, la sorgente di una legislazione razionale. In Francia,
l’illuminismo ebbe la sua maggior fortuna anche grazie alla società fortemente trasformata dalla borghesia,
per quanto ancora governata dalla monarchia. Il programma rivoluzionario fu guidato da Rousseau che si
servì degli elementi tipici del giusnaturalismo, ovvero il contratto sociale e lo stato di natura. L’uomo di
Rousseau non è portato ad associarsi, nello stato di natura è guidato dal sentimento della pietà e le
difficoltà fanno emergere quella violenza da lui repressa. Tale stato termina con l’inizio della proprietà
privata. Utilizza diversamente lo strumento del Contratto Sociale, che invece di usare per spiegare il modo
in cui si è formato lo Stato, lo sfrutta per affermare come deve formarsi; tramite questo egli intende
recuperare la vera libertà dell’individuo, sotto forma di diritti civili. Altra garanzia per la tutela della libertà
dell’individuo è la volontà generale, unica fonte della legge alla quale nessuno può essere superiore. Tali
idee illuministe appaiono nell’Enciclopedia di D’Albert e Diderot, per il piano giuridico, nella Dichiarazione
dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, per il piano politico. Quest’ultima esprime l’esigenza per il
singolo individuo di avere garantiti il suo godimento dei diritti, naturali e innati: libertà, uguaglianza,
proprietà e sicurezza. Nella stessa vi è il riconoscimento dell’eguaglianza della legge per tutti, ed è fonte di
ispirazione per numerose costituzioni a partire da quella del 1791.

Le critiche al giusnaturalismo Il 1804 indica la fine del Giusnaturalismo ed è segnato da due avvenimenti:
l’entrata in vigore del Code Napoleon e la morte di Immanuel Kant, il quale ha basato il suo pensiero tra la
distinzione tra diritto e morale. Tali secondo una legge universale di libertà, l’unico diritto innato ed
ordinato dalla ragione. Gli altri diritti sono in realtà inglobati nella stessa concezione di Libertà. A sua volta
lo Stato deve assicurarne il rispetto; il quale nasce dal postulato del diritto pubblico. Per tale ragione, lo
Stato Kantiano viene definito Stato di diritto; poiché ha come fine la tutela delle libertà individuali
attraverso il diritto. Viene dunque visto come una creazione umana a garanzia dei diritti individuali. Inoltre,
ha l’ambizione di creare una società universale, dalla quale nasce il termine “diritto cosmopolitico”. La
filosofia Kantiana è la manifestazione dell’illuminismo e del giusnaturalismo. La sua eredità viene portata
allo stremo, facendo coincidere la realtà ,attraverso il pensiero, alla razionalità. Emblematica in tal senso, la
famosa frase di Hegel “Tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale.” Nel corso
dell’800 il diritto naturale fu oggetto di critiche, che Norberto Bobbio ha raccolto e suddiviso in due gruppi,
a seconda che siano queste riferite al sostantivo, ovvero Diritto, o all’aggettivo, ovvero Naturale. Nei
confronti del sostantivo, sono critiche mosse prevalentemente da giuristi che non considerano il diritto
naturale come un vero e proprio diritto, poiché il diritto è un complesso di regole della condotta umana che
possono essere fatte valere, nel caso di violazione, attraverso il ricorso della forza mentre il diritto naturale
risulta disarmato. A conferma di ciò, gli uomini escono dallo stato di natura per l’incapacità del diritto
naturale di garantire la loro sicurezza. Nei confronti dell’aggettivo, le critiche provengono prevalentemente
da filosofi, che cercano di ragionare sul significato di un diritto inteso come naturale. Per i giusnaturalisti
questo è la libertà, per Hobbes lo stato di natura, considerato uno stato di guerra, sfocia nella legge
naturale fondamentale: “pax est quarenda” ovvero bisogna ricercare la pace.

La funzione storica del giusnaturalismo e la sua rinascita nel 900 L’idea del diritto naturale, fin
dall’antichità, ha avuto la funzione di porre un limite all’arbitrio di chi esercita il potere. La dottrina del
diritto naturale, attraverso l’elaborazione più matura compiuta nei secoli XVII e XVIII, è stata il fondamento
su cui è stato edificato lo Stato costituzionale democratico. Questo spiega la rinascita del giusnaturalismo in
Europa, specialmente nei due Paesi che più hanno conosciuto l’esperienza dei regimi totalitari: Germania e
Italia. Ciò porto, a ricercare valori che non solo dipendessero dalla volontà dello stato, ma altresì a questa
potessero imporsi, limitandola e controllandola. In Germania, dopo un secolo di positivismo giuridico è
rinata l’idea di un diritto sopralegale, commisurato al quale anche le leggi positive possono essere
rappresentate come torto legale. Nel famoso articolo: “Ingiustizia legale e diritto sovralegale”, Radbruch
affronta il problema della validità della legge ingiusta, problema che comporta il conflitto tra il valore della
certezza del diritto, che ogni legge valida reca in sé indipendentemente dal contenuto e il valore della
giustizia. Dal tentativo di risoluzione di questo conflitto, egli enuncia la sua tesi, celebre come “formula di
Radbruch”: << Il diritto positivo, assicurato dalla promulgazione e dalla coazione, ha la preminenza anche
quando è ingiusto, a meno che il conflitto tra la legge positiva e la giustizia non arrivi a tal punto da
obbligare la legge ad arretrare e lasciar spazio alla giustizia. Tuttavia, comprendendo la difficoltà di tale
processo, una linea meglio definita può raggiungersi così: quando una legge di diritto positivo, di proposito
nega quell’eguaglianza che costituisce il nucleo della giustizia, alla la legge non è solo diritto ingiusto, ma
non è diritto.” In Italia, Giorgio del Vecchio, avanza l’ideale di uno stato di Giustizia, la cui prima ragione è la
tutela dei diritti naturali della persona e ad esso contrappone lo Stato delinquente che è quello che agisce
in contrasto alla giustizia. Difatti, per Del Vecchio, l’ago della bilancia punta sempre sulla giustizia, questa è
affermata valida ed efficace anche contro un sistema giuridico positivamente vigente. E’ per tale motivo
legittima la rivendicazione del diritto naturale contro il diritto positivo che lo rinneghi. Il diritto naturale, al
quale Del Vecchio si era già riferito nel 1920, non è più quello sostenuto dal giusnaturalismo tradizionale,
fatto di norme perfette, sottratte al costante mutamento della storia: è un diritto naturale a contenuto
variabile, che ha la sua fonte nella natura della società. In questo modo vi è un incontro tra giusnaturalismo
e storicismo, poiché il primo rinuncia alla pretesa di formulare un sistema di norme superiore alla storia ed
il secondo riconosce l’esigenza di non ridurre tutti i valori a ciò che si è storicamente analizzato. Ciò porta a
mantenere una caratteristica del Giusnaturalismo tradizionale, ovvero a non ridurre il diritto alla volontà
del legislatore, bensì viene estesa tale visione al fine di adattare il diritto alla società che continua a mutare.
In Inghilterra, vediamo un rinnovato interesse con Fuller, che polemizza con le tesi espresse da Hart nel
saggio del 1958, sostenendo che il diritto non può mai essere separato dagli obiettivi morali che persegue e
che gli sono propri in quanto diritto autentico. Nella sua opera, The morality of law, distingue tra una
morale esterna al diritto ed una interna a questo, quest’ultima costituita da una serie di principi inerenti al
mondo giuridico ai quali ogni diritto positivo dovrebbe adeguarsi. Tali principi sono di naturale procedurale,
ovvero indicano le procedure che il diritto deve seguire per raggiungere il fine di poter assoggettare la
condotta umana al governo delle norme.

Potrebbero piacerti anche