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Ascoltare gli Dèi / Divos Audire
Costruzione e Percezione della Dimensione
Sonora nelle Religioni del Mediterraneo Antico

a cura di Igor Baglioni

Primo volume
(Egitto, Vicino Oriente Antico,
Area Storico-Comparativa)
Es
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© Roma 2015, Edizioni Quasar di Severino Tognon s.r.l.


via Ajaccio 41-43, 00198 Roma
tel. 0685358444, fax 0685833591
email: info@edizioniquasar.it

ISBN 978-88-7140-675-6
Finito di stampare nel mese di Novembre 2015
presso Global Print - Gorgonzola (MI)
Es
Lamento degli dèi come preludio alla rinascita.
Mito e rievocazione nell’antico Egitto

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Alessandra Colazilli

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1. Lamento e grido di dolore delle divinità nei racconti mitologici

Secondo i testi egizi, al momento della morte di Osiride, avvenuta per mano del fratello
Seth, le due divine sorelle Iside e Nefti, mosse da disperazione, andarono in cerca del corpo
del dio per recuperarlo dalle acque del Nilo. In seguito al terribile avvenimento è l’intero
mondo divino ad essere gettato nel pianto e nella costernazione, un evento riportato dalle
fonti scritte a partire dai Testi delle Piramidi e per tutto l’arco della storia egiziana:

mXA nTrw imw P iw.sn n Wsir Hr xrw rmy Ast Hr sbH Nbt-Hyt hr iw Axy ty ptn tn wr pn pr m
dwAt r iw n.k bAw P Hsn n.k iwf sqr.sn n.k awy.sn nwn.sn n.k m smAw.sn sx.sn n.k mnt.sn

«Gli dèi di Buto furono pieni di compassione quando si recarono da Osiride, alla voce del
pianto di Iside e al lamento di Nefti, al gemito di questi due spiriti per colui che è Grande
che viene avanti dal Duat. Le “anime” di Buto danzano per te, esse si percuotono la carne
per te, colpiscono le loro braccia per te, si scompigliano i capelli per te, si percuotono le
gambe per te»1.

Iside e Nefti, lamentandosi con le loro voci potenti, mettono in allarme l’intera schiera
divina, che si unisce dunque al pianto per Osiride, versando lacrime e assumendo, con il
corpo, la postura tipica del lutto che prevede capelli scompigliati, braccia alzate verso l’alto
con i palmi rivolti verso il volto, corpo piegato in avanti2, e non ultimo il gesto del percuo-
tersi le carni.
Dunque, la descrizione data dai testi mostra gli dèi egizi estremamente umanizzati nelle
espressioni dei sentimenti poiché il loro lutto è, in realtà, quello dell’intero genere umano. In

1  Pyr. 670, 1973-1974. Si veda anche Pyr. 482, 1004c-d 1005a-c.


2 Un’altra espressione del dolore divino ricorre in altri testi: «deì e dee (sono seduti) con la testa sulle loro ginocchia
poiché è da tanto tempo che tu non vai verso di loro». P. Louvre I 3079. Cfr. Goyon 1967: 97-98; 143; Col 110, linea
21.
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questo modo, l’immagine di colui o colei che si lamenta corrisponde, sin dall’antico Regno,
a uno stereotipo che, pur evolvendosi nel tempo, si rende distinguibile e identificabile, come

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dimostrano anche fonti più tarde3:

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iAkbywt wnwn.sn Hr.k sn n.k m awy.sn sbH.sn n.k rmy.sn n.k
«Coloro che sono in lutto si scompigliano i capelli per te, essi battono con le loro braccia
per te, essi gridano per te, piangono per te»4

L’analisi dei testi mostra come, insieme al termine rmy, “piangere”5, ricorra spesso an-
che iAkby, “lamentarsi”, “essere in lutto”6, il cui determinativo – una ciocca di capelli – riman-
da alla capigliatura in disordine assunta da coloro che si lamentano. Il gesto di prostrarsi con
il corpo e gettare i capelli in avanti, è detto nwn7 ed è rappresentato dal geroglifico che
descrive perfettamente questo atteggiamento di costernazione. Nel Libro delle Caverne, il più
recente dei libri composti durante il Nuovo Regno, insieme al Libro dell’Amduat e al Libro
delle Porte, si trovano invocazioni ad alcune divinità del pianto e delle lamentazioni rappre-
sentate nell’atto di compiere il gesto nwn. Nella tomba di Ramesse VI, ad esempio, vi sono
nove personaggi, con barba posticcia e ricurva, che procedono verso un dio con testa di coc-
codrillo tenendo tra le mani una ciocca dei loro capelli (Fig. 1)8. Il testo che li accompagna li
definisce proprio iAkbyw9:

3  «Quando in una casa viene a mancare qualcuno di riguardo, tutte le persone di sesso femminile si coprono la testa
e anche il viso di fango; lasciano il morto nella casa, e si aggirano per la città percuotendosi, con una cintura alla vita
e i seni scoperti; e con loro tutte le donne del parentado. Gli uomini si percuotono con una cintura alla vita. Com-
piono questo rito, e portano il cadavere a imbalsamare» (Erodoto, Storie, II, 85). «Quando un re dell’Egitto muore
tutti gli abitanti sono in lutto; essi strappano i loro vestiti ... gruppi di uomini e donne … percorrono le vie, la testa
coperta di fango, i vestiti annodati, come una cintura al di sopra del seno, e cantano …» (Diodoro Siculo, Bibliotheca
Historica, I, LXXII).
4  Libro dei Morti 180.
5  Wb II 416-17.
6  Wb I 34, 5 sgg.
7  Wb II 222, 5-6.
8  Piankoff 1944: tavv. 10-11.
9  Anche Osiride è detto I3kby mentre nella Litania del Sole è Ra ad essere definito, in una delle sue 75 forme, “Colui
che è in lutto”. Ra, come Osiride, è I3kby e in quanto tale è rappresentato, mummiforme, con barba posticcia e ciocca
di capelli che spicca dal suo capo, rimandando anche al determinativo che segue il suo appellativo, i capelli appunto.
La raffigurazione è del tutto simile a quella degli dèi piangenti del Libro delle Caverne. La spiegazione di questa stretta
correlazione tra il dio del Sole e il dio dell’Oltretomba va cercata nella stessa litania dove il tema principale è proprio
l’incontro di due opposti, Ra e Osiride, che si uniscono e formano un’entità provvista di due “anime”. Il viaggio che
Ra compie nell’Oltretomba, il regno di Osiride, ha per scopo quello di condurlo alla rinascita il mattino seguente per
tornare a splendere in cielo dopo aver percorso un tragitto irto di pericoli. Ra discende negli Inferi, muore e rinasce,
così come è accaduto per Osiride. Cfr. Piankoff 1957: 25.
Lamento degli dèi come preludio alla rinascita. Mito e rievocazione nell’antico Egitto  25

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Fig. 1. Divinità del pianto nella Tomba di Ramesse VI. Da A. Piankoff, Le livre des Quererts 2, BIFAO 42, Le Caire
1944, tav. 10.

i nTrw 9 iAkbwy Hr Wsir rmw.sw Hr xnt dwAt i ma Tn wi ap i Hr Tn iw SAs.i Hr TpHt wi r Tn sbH.


Tn n i dwAt Htp f m xrw.Tn iAkby xnt At dwAt StAw Hrw Xrw sbt xrw.Tn n i iw n is r Tn iw Htp i
m sbH.Tn

«Oh questi nove dèi in lutto per Osiride che piangono su di lui che è alla testa del Duat.
Eccomi passo vicino a voi attraversando le vostre caverne. Vi chiamo e mi rispondete. Il
Duat è soddisfatto della vostra voce, afflitti nel Duat, dai visi nascosti, che portate le cioc-
che di capelli, la vostra voce si indirizza a me mentre io vi chiamo e sono soddisfatto delle
vostre invocazioni […]»10

Il luogo dove dimorano questi dèi dediti esclusivamente al pianto di Osiride è l’Occi-
dente, il mondo dei morti e del lutto perenne dove Osiride stesso è dio sovrano, quindi le
nove divinità sono ad esso direttamente collegate. Quella nella tomba di Ramesse VI non
è l’unica rappresentazione di questi dèi, esistono difatti alcuni papiri dove essi sono rap-
presentati in gruppi all’interno delle caverne e con atteggiamenti tipici della lamentazione:
braccia levate, palmi verso il viso, capelli in disordine, corpo prostrato in avanti (Fig. 2). Ogni
vignetta contiene l’immagine di una divinità maschile o femminile e ne riporta l’appellativo:
«coloro che sono in lutto per Ra»11 oppure «Coloro che sono stanchi e hanno una voce acuta,
essi permettono che l’Osirde N possa dimorare tra coloro che sono nell’“Aldilà”»12.
Il tema del lamento delle divinità si ripete per tutta la storia egizia, sia nella letteratura
che nell’arte e giunge intatto fino all’epoca tarda e al periodo greco-romano. Il Papiro Salt
825, di epoca tolemaica, riprende il tema del dolore e della paura per la morte di Osiride,
sentita come vera catastrofe. Il testo descrive così la reazione degli dèi e dell’intero universo:

10  Piankoff 1944: 8, tav. XVI.


11  Piankoff 1974: 55, tav. 10, ottava caverna, terza vignetta, p. Cairo CG 24742, dalla tomba di Amenofi II.
12  Piankoff 1974: tav. 36, ottava caverna, quinta vignetta, p. Metropolitan Museum 35919.
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Fig. 2. Libro delle Ca-
verne: divinità pian-
genti della caverna 8.
Papiro BM 10478. Da
A. Piankoff, The Wan-
dering of the Soul,
"Bollingen Series" 6,
Princeton 1974, tav.
20.

hAy wr sp 2 … m tA ntrw nTrt awy.sn Hr tp-a.sn iw tA sHr ra nn pr.f iHa isq nn sw wr n niwt
pt gsA tw pA tA pn itrw nn Xd sw ....bw nbw Hr iAkb Hr rmy bAw nTrw nTrwt rmT Axw mwt aA
mnmnt...n.k rmi aA

«Un lamento è fatto in cielo e in terra. Gli dèi e le dee si mettono le mani sulla testa, la terra
è devastata, il sole non sorge, la luna tarda, essa non esiste, né città né cielo. Il Nun vacilla,
la terra barcolla, il fiume non è navigabile […] Tutti gemono e piangono. Le “anime”, gli
dèi, le dee, gli uomini, gli “spiriti” glorificati, i morti, le bestie piccole e grandi … piangono
molto […]»13

13  Derchain 1965: 137; Derchain 1959: 73-80.


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Si tratta di un pianto universale, che coinvolge sia il mondo divino che quello umano e
animale, la cui disperazione è data dalla consapevolezza che l’uccisione di Osiride possa per-

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mettere al caos di prendere il sopravvento sulla mAat, la stabilità sociale e universale che deve a
tutti costi essere preservata e di cui il faraone è garante per conto degli dèi sulla terra. Per que-
sto motivo ogni momento di incertezza e instabilità era considerato dagli Egizi un potenziale

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danno per l’intera umanità che poteva verificarsi soprattutto in momenti di transizione come
la morte di un faraone, implicando il passaggio di potere da un sovrano all’altro. Quindi
sovvertimenti di ordine morale e politico andavano scongiurati con ogni mezzo, ricorrendo
anche al rituale. La morte di Osiride rappresenta l’archetipo di tali situazioni destabilizzanti
che il Papiro Salt descrive ponendo l’accento sull’oscurità che accompagna la morte del dio
e i grandi cataclismi che possono minacciare l’esistenza: la terra è devastata e rovesciata, il
sud e il nord si scambiano di posto, il Nilo celeste minaccia di seccarsi e di arrestare il viaggio
della barca solare. Ognuno di questi fenomeni cosmici annuncia la fine del mondo e il suo
annientamento. A scongiurare questa catastrofe interviene il rituale contenuto nel papiro che
attraverso la celebrazione del mito osiriaco deve assicurare la conservazione della vita e la
protezione del re, mantenere il cielo e la terra al loro posto ed evitare la distruzione delle stes-
se divinità. Il pensiero egizio, che concepiva il mondo regolato da cicli, vedeva nella crisi un
fatto periodico destinato a ripetersi. Allo stesso modo il rituale, con la sua ripetitività, doveva
garantire non solo il mantenimento dello status quo, ma anche preservare la vita dalle minac-
ce che si manifestano regolarmente. L’inquietudine espressa nel Papiro Salt, così come in altri
testi, è totalizzante: ogni essere vivente è afflitto per lo sconvolgimento in cui il mondo è stato
gettato e solo riti apotropaici possono scongiurare o lenire il male scaturito da questo pessi-
mismo cosmico e ciclico di fondo. Per questo motivo il papiro si divide in una prima parte
cosmogonica propedeutica a quella riservata alla descrizione del rituale: gli dèi, lamentandosi
e piangendo, compiono veri e propri atti creativi che, attraverso le secrezioni corporee, danno
vita a quei prodotti fondamentali (come l’incenso, il miele, il papiro, ecc.) che, in quanto nati
dalla divinità, hanno essi stessi quel carattere sacro utile al compimento del rituale14. Si tratta
di episodi emblematici in quanto evidenziano come, a partire da un episodio potenzialmente
catastrofico, possa scaturire un momento altrettanto importante come quello della rinascita
e della salvaguardia della vita, dimostrano come bene e male siano in realtà complementari e
non possano esistere l’uno senza l’altro. Dunque, il dolore che affligge gli dèi non è vano, poi-
ché dalle loro lacrime e dagli altri secreti corporei si producono elementi sacri che aiuteranno
a realizzare il rito e salvare l’universo messo in pericolo dalla morte di Osiride15. È dal dolore,
quindi, che nasce la soluzione al dolore stesso.
Come già accennato, dalle fonti testuali emerge come le lamentazioni per la morte di Osi-
ride non fossero espresse solo attraverso l’atteggiamento del corpo, ma soprattutto con il pianto

14  Derchain 1965: 29.


15  «Horus ha pianto, l’acqua è colata dal suo occhio a terra, essa è germogliata e così è stato prodotto l’incenso secco
(anty). Shu e Tefnut hanno pianto enormemente (rmy aA wr), l’acqua è colata dai loro occhi e ha prodotto la resina a
partire dalla sua linfa … Iten piange di nuovo, l’acqua è colata dal suo occhio a terra e ha prodotto l’ape (afy). Quando
l’ape è stata creata nei fiori di tutti gli alberi cominciò la sua attività, è così che si è prodotta la cera da dove proviene
il miele». Cfr. Derchain 1965: 137; Derchain 1959: 73-80.
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e la voce. È tutta la schiera divina a partecipare al lamento, ma sono Iside e Nefti le principali
attrici che, piangendo il fratello e invocandolo a gran voce, conferiscono drammaticità ai testi:

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iw HAi n.k in Drty Ast pw Hna Nbt-Hyt

«I due nibbi gridano per te, sono Iside e Nefti»16

L’identificazione con due nibbi, uccelli che, secondo l’antica tradizione, emetterebbero
grida stridenti simili al tono delle grida del lamento17, ritorna anche nelle rappresentazioni
di Iside e Nefti in forma di uccelli al capezzale di Osiride, la prima ai suoi piedi, la seconda
alla sua testa. Quando assumono sembianze umane le due dee possono presentare anche due
enormi ali spiegate, in segno di protezione, a ricordare la loro seconda natura:

ii HAt ii Drt Ast ti Hna Nbt-Hyt iw n.sn m sxn snw.sn wsir rmi snw.T Ast rmi snw.T Nbt-Hyt rmi
snw.T Ast ay.s tp.s Nbt-Hyt n gr n.s n stp n mnD.sn n snw.sn

«L’uccello-H3t arriva, l’uccello-Drt arriva; sono Iside e Nefti, esse arrivano ad abbracciare il
loro fratello Osiride … Piangi per tuo fratello Iside! Piangi per tuo fratello Nefti! Piangi per
tuo fratello. Iside siede, le sue braccia sopra la sua testa; Nefti ha afferrato le estremità del
suo seno a causa di suo fratello»18.

Iside è definita HAt19, termine che viene ad indicare sia la dea che l’uccello rappresentato
dal geroglifico e derivato da HAi che significa “essere in lutto”20, ma anche “guaito”, “ululato” e,
soprattutto, “grido acuto”. La caratteristica dell’uccello che simboleggia Iside, infatti, è quella di
emettere un grido stridulo, che, secondo gli Egizi, rievocava quello straziante della dea.
Nefti, invece, è indicata come Drt21, “nibbio”, termine che ricorre anche in altre formule
dove spesso indica entrambe le dee22. Difatti, le due sorelle sono dette anche “Il grande nibbio
e il piccolo nibbio”, Drt wrt Drt nDst23, dove il segno geroglifico per wrt, “grande”, è quello di

16  CT 24 e-g; Faulkner 1972: 15-16.


17  Bleeker 1963: 193; Lüddeckens 1943: 15.
18  Pyr. 535,1280-82a.
19  Wb III 7, 8.
20  Wb III 6, 10.
21  Wb V 596, 6-7.
22 Pyr. 230b e 308e.
23  Wb II 385, 2.
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una rondine 24
che generalmente indica Iside, mentre nDst, “piccolo” è rappresentato dal
geroglifico del passero 25
ed indica Nefti.

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Sebbene il volatile con cui Iside viene identificata sia quasi sempre un rapace, il ruolo
che la rondine sembra avere nella cultura egizia non appare di poco conto. A parte le testi-
monianze di ritrovamenti di vari esemplari mummificati rinvenuti nelle necropoli animali26,

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cosa che indirettamente testimonia una particolare attenzione verso questo volatile, assume-
re la forma di rondine era una delle prerogative riservate al sovrano e in seguito ad ogni de-
funto. Nei Testi delle Piramidi si parla di come il faraone ascenda al cielo come una rondine27
oppure di un’isola dove gli dèi permettono a questi uccelli di posarsi e dove sono paragonati
alle stelle imperiture28, mentre nei Testi dei Sarcofagi il defunto è assimilato a un’oca per la
voce e a una rondine per il volo29. E ancora nel Libro dei Morti una formula è riservata alla
trasformazione del defunto proprio in rondine ed è accompagnata dalla rappresentazione
dell’uccello posto sopra una collinetta di sabbia30, intesa questa come la collinetta primor-
diale che si sollevò dalle acque del Nun al momento della creazione31. Sempre nel Libro dei
Morti, una rondine viene rappresentata sulla prua della barca solare, nell’esatto momento
in cui Seth trafigge il serpente Apopi con una lancia impedendogli di ostacolare il corso del
dio sole. Considerato l’uccello che annuncia la rinascita del sole al mattino, nonché la fine
dell’inverno e il ritorno della primavera, e di conseguenza la rinascita della natura, la sua col-
locazione sulla prua della barca solare diviene il simbolo della vittoria della luce sulle tenebre
e quindi di Ra su Apopi. Il paragone con Iside non è dunque privo di senso, se si pensa che
il cinguettio stridulo della rondine fosse considerato un lamento paragonabile alla voce della
dea che piange Osiride, ma nello stesso momento annuncia la rinascita della natura, così
come il pianto della stessa Iside rappresenta, in realtà, solo l’inizio del processo rigenerativo
del mondo e del ritorno alla vita di Osiride. Difatti dalle lacrime della dea si origina, secondo
le fonti, l’inondazione del Nilo, che viene quindi a far coincidere due momenti in apparenza
opposti, morte e rinascita:

grH pw n Agbi wr pr m wrt

«La notte della grande alluvione delle lacrime uscite dalla grande dea»32

24  Gardiner G 36.


25  Gardiner G 37.
26  Vedere Gaillard - Daressy 1905.
27 Pyr. 626, 1770a.
28 Pyr. 519, 1216b-c.
29  CT IV, 23 a-b.
30  Libro dei Morti 86.
31  Velde 1972: 28-29.
32  Pyr. 249, 265 e.
30 A. Colazilli

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Iside in forma di uccello non è attestata solo nelle fonti egizie, anche Plutarco nell’opera
Iside e Osiride menziona questo aspetto: «poi trasformatasi in rondine prese a volare intorno

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alla colonna gemendo …»33. L’autore ha probabilmente subito l’influenza del mito di Filo-
mena e Procne34, dimostrando come la tematica non fosse nuova alla cultura greca. Grazie al
suo canto stridulo, ripetitivo e assillante, l’uccello è stato investito non solo di un simbolismo

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lugubre e malinconico, ma allo stesso tempo anche di una connotazione positiva, quale aral-
do della primavera e della rinascita.
È acclarato, dunque, che Iside con sembianze di uccello non si limiti a vegliare il corpo
di Osiride, ma assuma un ruolo ben più importante nel processo di rinascita e rigenerazione
del dio e della natura: è infatti importante ricordare che la dea nella sua forma di rapace, vo-
lando sul corpo del dio defunto, rimase incinta di Horus e, sbattendo le sue ali, riportò in vita
Osiride, producendo aria per lui (Fig. 3):

Fig. 3. La dea
Iside, in forma
di uccello rapace,
vola sul corpo di
Osiride defunto.
Dal tempio di
Seti I, Abido, XIX
dinastia.

sw irt Swt m Swt.s sxpr tA m DnH.s

«È lei (Iside) che ha fatto ombra (a Osiride) con le sue piume, che ha creato l’aria con le
sue ali»35.

La forza della voce di Iside è attestata in diverse fonti e spesso considerata così potente
da annichilire chi la ascolta, che siano esseri umani o divinità. Le sue grida non lasciano in-
differenti neanche la barca del dio del sole, come si legge nel racconto di Horus nelle paludi di
Khemmi (Stele di Metternich, IV a.C., oggi al Metropolitan Museum), dove Iside è straziata
dal dolore poiché il figlio è stato punto da uno scorpione:

33 Plutarco, Iside e Osiride 16. All’interno della colonna menzionata da Plutarco si trovava il sarcofago con il corpo
di Osiride giunto fino a Biblo e che secondo l’autore era stato inglobato in un rigoglioso cespuglio di erica che fu
intagliato e impiegato come colonna dal re di Biblo all’interno della sua casa.
34  La trasformazione in rondine richiama molto il mito greco di Filomena e Procne, divenute rispettivamente usi-
gnolo e rondine, simboli del dolore e del lamento secondo la mitologia greca. Difatti, nel mito greco, le due sorelle
sono trasformate in uccelli dagli dèi per essere salvate dalle violenze di Tereo.
35  Stele di Amenmose, XVIII Dinastia (Louvre, C 286I). Cfr. Moret 1931: 741-743.
Lamento degli dèi come preludio alla rinascita. Mito e rievocazione nell’antico Egitto  31

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wD Ast xrw.s r pt sbH.s r wiA n HH sxn itn m aq.s nn mnmn f Hr st.f

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«Iside lancia la sua voce verso il cielo e i suoi gridi verso la barca dei Milioni di anni. Il disco
si arresta di fronte a lei e non si muove dal suo posto»36.

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La voce di Iside, dunque, poteva avere un potere distruttivo tale da gettare il mondo
divino e umano nel caos e nel terrore e fermare la barca solare, mentre nella Contesa di Horus
e Seth la sua rabbia spaventa così tanto l’Enneade che gli dèi si affrettano subito a placarla37.
Questo potere viene riportato anche da Plutarco che ricorda come il potente grido di Iside
fosse tanto straziante da uccidere uno dei figli del re di Biblo: «[…] La dea si gettò sulla bara
e gridava tanto che il più giovane dei figli del re ne morì»38.
Secondo altre fonti, la voce della dea ricorderebbe il suono prodotto dal sistro, uno
strumento musicale composto da lamelle metalliche, impiegato in un grandissimo numero
di celebrazioni, non necessariamente legate al lutto, il cui nome, sSSt, chiaramente onomato-
peico, ne ricordava il suono. Secondo un testo di epoca tolemaica, datato al 320 a.C., il Papiro
di Imouthes, oggi al Metropolitan di New York, uno dei testi più completi che riguardino
il rituale egizio, il suono del sistro è paragonato alla voce di Iside, riecheggiando durante le
celebrazioni funebri e scandendo le lamentazioni:

xay mi snw sgApw n Ast m HAt nSmt

«strumento musicale simile al suono di un grido di Iside a bordo della barca neshemet
[…]»39

Sono soprattutto fonti tarde a identificare il sistro con lo strumento che rievoca il pianto
di Iside nella notte in cui vagava alla ricerca di Osiride e di conseguenza il momento dell’i-
nondazione prodotta dalle sue lacrime: «Il movimento del sistro di Iside nella sua mano de-
stra è simbolo della crescita e decrescita del Nilo […]»40; o ancora: «Iside è la dea particolare
dell’Egitto, attraverso il movimento del suo sistro che ella porta nella mano destra indica la
crescita e decrescita del Nilo e attraverso la situla che ella tiene nella mano sinistra lo sgorgare
delle sue lacrime»41.

36  Drioton 1957: 240-8; testo in Sander-Hansen 1956: 64, 206-207.


37  Broze 1996: 49.
38 Plutarco, Iside e Osiride, 16. Il grido di Iside, tanto forte da giungere al cielo, è ricordato anche in relazione all’uc-
cisione di Osiride, come si capisce dalle fonti egiziane.
39  Goyon 1999: 31-32; tav. IV A per il testo in geroglifico.
40  Servio Mario Onorato, Commentarii in Vergilii Aeneidos libros, VIII 696.
41  Mitografi Vaticani, II, Proemium.
32 A. Colazilli

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2. La rievocazione del lamento divino: rituale templare e rituale funebre

Le lamentazioni divine segnano il momento di passaggio tra la morte e la rinasci-

tra
ta ed è per questo che esse vengono ritualizzate e interpretate all’interno dei templi per
rievocare il mito di Osiride. Durante queste “recite”, Iside e Nefti vengono “incarnate”
da due sacerdotesse che, come fecero le due dee in tempi mitologici, si lamentano a gran

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voce. Lo stesso avviene durante i cortei funebri, dove gruppi di lamentatrici, le cosiddette
pleureuses, interpretano ritualmente “il pianto” per il defunto affinché esso possa risorgere
come Osiride.
Partendo dalla sfera divina, il grido di dolore degli dèi si inserisce all’interno del la-
mento funebre, momento di passaggio imprescindibile per la rinascita e di conseguenza ri-
tualizzato. La rievocazione delle voci delle divinità era volta non solo a ricordare il mito, ma
anche a beneficiare del loro potere. È il concetto generale di evocazione costante, che pervade
l’intera cultura egizia, ad essere alla base di tutto. Le parole vengono scritte proprio perché
così possano essere lette senza sosta e, anche in mancanza di una voce, esse, essendo appunto
scritte, potranno durare in eterno. In questo modo, si spiega anche quanto cruciale fosse il
momento in cui una damnatio memoriae andava a distruggere nomi di regnanti, divinità e
nemici con lo scopo di annientarli in tutto per tutto. Ecco perché la recitazione delle formule
era indispensabile durante il rituale e continuava a perpetuarsi all’infinito.
Il momento del pianto divino è necessario all’interno delle celebrazioni rituali poiché
solo attraverso il lamento è possibile aspirare alla vita “ultraterrena”. Questo perché il pianto
di Iside, avendo provocato il momento dell’inondazione, ha di conseguenza provocato anche
la resurrezione di Osiride e quindi della natura. Dunque ancora una volta dal pianto e dal
dolore si ottengono vita e rigenerazione.
Un chiaro riferimento a queste celebrazioni è leggibile sui due papiri di epoca tolemai-
ca, il Papiro di Berlino N. 142542, dove sono conservate le cosiddette Lamentazioni di Iside e
Nefti, e il Papiro Bremner-Rhind, BrM N.1018843 dove, tra gli altri testi, si trova la Canzone di
Iside e Nefti. Il Papiro di Berlino cita:

mis sAx iry n snty n pr Wsir xnt imntt nTr aA Abdw m Abd 4 hrw 2544

«Invocazioni preziose fatte dalle due sorelle divine, nella casa di Osiride Khent-Amenti,
dio grande, signore di Abido, nel mese di Choiak, il venticinquesimo giorno»45

42  De Horrack 1886.


43  Faulkner 1933; Faulkner 1936.
44  Faulkner 1934: 1,1-1,3.
45  De Horrack 1886: 3, preambolo, linea 1.1-1.3.
Lamento degli dèi come preludio alla rinascita. Mito e rievocazione nell’antico Egitto  33

Es
Entrambi i papiri concordano nelle date46, riferendosi entrambi a un periodo ben defi-
nito, sebbene la Canzone di Iside e Nefti riporti un lasso di tempo più esteso, probabilmente

tra
riferito all’intero “Festival dei Misteri di Osiride”, ed entrambi indicano il luogo in cui queste
celebrazioni dovevano essere svolte, la casa di Osiride, non solo ad Abido, centro nevralgico
del suo culto, ma in tutte le sue dimore47. Altre indicazioni riportate in questi papiri fanno

tto
pensare non a semplici testi per la lettura, ma a dei veri e propri “manuali” utili per le rap-
presentazioni che sicuramente venivano allestite e organizzate per l’occasione. Entrambi i
testi hanno indicazioni che potremmo definire “teatrali”, come istruzioni per il dialogo, ad
esempio “Evocazione di Iside. Ella dice”48, ma non solo, vengono forniti anche dettagli re-
lativi al vestiario, alla luce diurna, agli utensili, agli orari in cui la cerimonia deve avvenire.
Il luogo prescelto deve essere santo e inaccessibile a tutti, tranne che al sacerdote e al suo
assistente, e lì verranno introdotte due donne di bell’aspetto che incarneranno Iside e Nefti,
come indicheranno i tatuaggi sulla loro pelle (sSw Hr rmnw r rn n Ast Nbt-Hyt)49. Nel Papiro
Bremner-Rhind si legge:

Dsr xr tw pr iw Dr.f ini xr tw sty wab Ha nn wpt.sn xr sk Snw n Ha.sn mDH tp.sn m sr sr m ay
tw sn m-a tnw rn.sn Hr rmn.sn r Ast Nbt-Hyt Hs.sn Hwt nw Sfdw tn m-bAx nTr pn

«L’intero tempio sia “santificato” e vi siano introdotte due donne pure di corpo e vergini,
con i peli del corpo rimossi, le teste adornate con parrucche, tamburelli nelle loro mani, e
i loro nomi iscritti sulle loro braccia, per testimoniare Iside e Nefti, ed esse devono cantare
le stanze di questo libro alla presenza di questo dio»50

Pare evidente che i due testi siano stati composti per essere recitati da personale addetto
in occasioni solenni come quelle della festa di resurrezione di Osiride, che doveva essere pre-
ceduta dalle lamentazioni strazianti, ripetitive e alternate, pronunciate dalle due divine sorel-
le. Lo stesso accade per il Papiro di Imouthes, dove si parla della terza ora della notte, quella
del “passare la notte solitaria”, quando tutti gli dèi si allontanano e si soffre la fame e la sete,
si lanciano grida e si invocano preghiere. È in quell’ora della notte che il profeta di Osiride

46  «Qui cominciano le stanze del “Festival” delle due femmine di nibbio che è celebrato nel tempio di Osiride, il
Primo fra gli Occidentali, il grande dio, Signore di Abido, nel quarto mese dell’inondazione, dal ventiduesimo giorno
fino al ventiseiesimo giorno» (Faulkner 1936: 122, linea 1.1-1.2).
47  De Horrack 1886: 3, preambolo, linea 1.4.
48  De Horrack 1886: 4, prima sezione, linea 1.
49  De Horrack 1886: 13-14, quinta pagina, linea 13-16. Cfr. Faulkner 1934: 5,13-5,16.
50  Faulkner 1936: 122, linea 1.3-1.5.
34 A. Colazilli

Es
apriva la cerimonia e cominciava la celebrazione di quello che era un momento cruciale per
l’intero universo, ovvero la trasformazione di Osiride in Ra, e quindi il trionfo della vita sulla

tra
morte e la fine del lutto. Nel papiro si legge:

tto
Iry m grH nTrt tr m grH mr m grH pft Sm m grH pfy n wai m grH pfy n pri-xrw m grH pfy n wat
m grH pfy m aSAt aAt m grH pfy n Asx tA Hb rmi m grH pfy wa n wr m grH pfy n nxwt

«mettere in opera durante la notte divina, durante la notte malvagia, durante questa notte
del camminare, durante questa notte dell’allontanamento, durante questa notte dell’offerta
di invocazione, durante questa notte del passare la notte solitaria, durante questa notte
della grande crescita, durante questa notte dello zappare la terra tra i pianti, durante questa
notte della solitudine, durante questa notte di lamentazioni [...]»51

La rievocazione della notte di dolore, quando Osiride morì e Iside andò in cerca di suo
fratello piangendo e gridando, era uno dei momenti principali del rituale e può costituire un
valido indizio per un teatro drammatico egizio che, nonostante la datazione tarda, rimanda
senza dubbio a tempi più remoti, tempi in cui si assisteva già a processioni, lamentazioni e
rappresentazioni di resurrezioni divine non solo durante le festività, ma anche in occasione
di funerali, poiché, se Osiride è in realtà l’archetipo del defunto, allora ogni defunto avrà
lo stesso destino del dio e si avrà una trasposizione interpretativa, artistica e poetica a un
livello più popolare e personale. Lo stesso concetto è applicato alle due dee, Iside e Nefti,
le lamentatrici per eccellenza, che ripeteranno le loro preghiere e veglieranno ogni defunto
nel momento del passaggio dalla vita alla morte, ma di cui faranno le veci donne e uomini
comuni espressamente richiesti per l’occasione o spontaneamente partecipi alla sofferenza.
Le lamentazioni esprimono tutto il dolore, divino e umano, insito nella perdita dovuta alla
morte, ma sono soprattutto il mezzo attraverso cui si attua il ritorno alla vita. Recitare tali
lamentazioni non significa fare un lamento fine a se stesso, ma compiere un gesto rituale,
che prelude alla rinascita definitiva, da cui non si torna indietro e che si ripete ogni gior-
no, poiché per gli Egizi ogni lacrima è un ponte imprescindibile per poter superare il fiume
della morte. Non è dunque un caso che il mito di Osiride sia intriso di metafore relative alla
morte e alla rigenerazione e che le lacrime della sua amata sorella e sposa assurgano, nella
mentalità egizia, a rappresentanti di linfa vitale. Tutto è visto nell’ottica della rinascita della
natura e dell’uomo. Il pianto divino è imitato e diventa un rito da seguire alla lettera, oltre che
espressione naturale del dolore, nella convinzione che ogni lacrima contenga in sé la potenza
creatrice e rigenerante di cui parlano i miti e che l’uomo egiziano è in grado di riscontrare nel
ciclo della vita e della natura.

51  Goyon 1999: 27, Col 1, linee 3-4.


Lamento degli dèi come preludio alla rinascita. Mito e rievocazione nell’antico Egitto  35

Es
Infine è bene ricordare ancora di quanto potere fosse investita la voce di Iside, evocata
anche in altri ambiti, sempre legati alla morte e resurrezione di Osiride:

tra
tto
Ir n snt f m-a kt f sHryt xrw sHm spw Sd xrw m Axw r.s iqrt ns nn wht mdw smn xt wD mdw

«È la sua divina sorella che lo difende, che allontana i nemici (coloro che gridano), che
respinge le azioni dei perturbatori tramite le formule magiche che escono dalla sua bocca,
la cui lingua è abile e mai esitante in una parola, essendo perfetta nel comando e nella
parola»52.

Iside era la dea della ricostruzione fisica, colei che recitava formule per ricomporre il
corpo fatto in pezzi di Osiride. Allo stesso modo i sacerdoti dovevano recitare e mettere in
scena le formule per ricomporre l’unità del corpo compromessa dalla morte. L’accompagna-
mento verbale durante il processo di mummificazione era finalizzato a riunire ciò che era
stato separato attraverso la messa in scena del mito, con l’aiuto di formule simboliche, che
già Iside aveva pronunciato per Osiride, ogni parte del corpo era ricomposta grazie al potere
della parola che, sia in vita che dopo la morte, risultava centrale nell’antico Egitto.
Dunque ancora una volta il mito fa da sfondo al rituale e la voce divina, o il suo lamento,
rievocato durante le cerimonie, ripeteva la stessa magia che aveva già compiuto in passato,
riproponendo la ciclicità del tempo e della vita stessa.

Bibliografia

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52  Stele di Amenmose, XVIII Dinastia (Louvre, C 286I). Cfr. Moret 1931: 739-740.
36 A. Colazilli

Es
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