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Il PIL
Il PIL (Prodotto Interno Lordo) stima il valore di mercato di tutti i prodotti finali realizzati in un
paese in un dato periodo; può essere calcolato in termini nominali e cioè a prezzi di mercato,
oppure in termini reali per tenere conto dell’inflazione e dell’aumento generale dei prezzi.
Importante è anche il PIL potenziale, cioè la tendenza di lungo periodo del PIL, rappresenta la
quantità massima che un’economia può produrre mantenendo invariati i prezzi. I beni sono mezzi
materiali e immateriali atti a soddisfare bisogni umani, possono essere liberi o economici,
caratterizzati da scarsità; i beni economici possono essere a loro volta intermedi, quindi che
necessitano di ulteriori trasformazioni, o finali e quindi adatti al diretto soddisfacimento di bisogni.
I beni economici finali possono essere suddivisi in beni di consumo, se destinati alle famiglie, o di
investimento, se destinati alle imprese. Il PIL può essere calcolato in tre modi: per somma dei
valori aggiunti di un’economia (lato produzione); somma dei redditi di un’economia (lato
distribuzione); valore dei beni e servizi finali in un dato periodo (lato impieghi). In un economia nel
suo complesso possiamo quindi sommare: Y=C+I+G+E-IMP. Dove Y è il PIL; C è il consumo privato;
I sono gli investimenti privati; G è il consumo pubblico; E le esportazioni e IMP le importazioni. Il
PIL è un concetto di flusso; uno stock è una grandezza misurata in un preciso istante temporale, un
flusso è una variabile misurata con riferimento ad un intervallo di tempo ed esprime la variazione
di uno stock nell’intervallo considerato. PIL nominale: prezzo di A x quantità di A + prezzo di B x
quantità di B; è detto anche PIL a prezzi correnti. Il PIL reale: prezzo di A al tempo t0 x quantità di
A al tempo t1 + prezzo di B al tempo t0 x quantità di B al tempo t1; è anche detto PIL a prezzi
costanti. Dividendo il PIL reale per il PIL nominali si ottiene il deflatore del PIL che serva a misurare
il livello generale dei prezzi ed è quindi un indice del tasso di inflazione; è possibile anche calcolare
il valore del PIL reale dividendo il PIL nominale per il deflatore e moltiplicando per 100. L’indice dei
prezzi al consumo (IPC) misura il livello dei prezzi di un paniere tipico di consumo delle famiglie. Il
tasso di inflazione in termini percentuali si calcola attraverso la formula:
P t−Pt −1
X 100
P t−1
C=C 0+ cY
PMAC è uguale a c ed indica la propensione marginale al consumo, cioè la variazione del consumo
∆C
conseguente alla variazione di un’unità di reddito disponibile -> c= ,0<c<1
∆Y
C 0 è consumo autonomo che non dipende dal reddito. La propensione media al consumo (PMC) è
la propensione media al consumo ed è uguale al consumo fratto il reddito e diminuisce
all’aumentare del reddito. Il modello keynesiano della funzione di consumo prevede che il
consumo C cresca più lentamente del reddito Y; questa previsione è stata, però, messa in dubbio
da alcune evidenze empiriche, infatti, dopo la Seconda guerra mondiale la propensione media al
consumo non è diminuita, ma i consumi sono cresciuti in linea al reddito. Il ciclo di vita secondo
Modigliani: il reddito varia sistematicamente lungo la vita di un lavoratore; i consumatori usano il
risparmio per bilanciare il consumo durante tutto il corso della vita; il consumo dipende sia dal
reddito che dalla ricchezza.
Il risparmio
La funzione di risparmio è definita come la differenza tra reddito e consumo S=Y-C; l’immagine
speculare della propensione al consumo è la propensione marginale al risparmio s ->
∆S
s= =1−c
∆C
Nella funzione di risparmio l’inclinazione è pari alla propensione marginale al risparmio ossia 1-c
per cui -> S=−C0 + s ∙ Y
Gli investimenti
Gli investimenti possono essere considerati come esogeni al modello: non dipendono dalle
variabili incluse nel modello, sono dati; o endogeni al modello: vengono spiegati, sono determinati
da fattori/variabili interne al modello come il tasso di interesse (modello IS-LM) o la domanda
aggregata (modello dell’acceleratore). Gli investimenti delle imprese dipendono dal costo di
prendere a prestito i capitali necessari che è dato dal tasso di interesse reale i, tanto più alto è i e
tanto più bassi sono gli investimenti. C’è una relazione inversa tra i e I, la funzione degli
investimenti è: I =I 0−bi, dove I alla zero è la componente autonoma degli investimenti e b è un
parametro positivo. La teoria dell’acceleratore mette in relazione la variazione della spesa per
investimenti con variazione del livello del prodotto. Può essere espressa da: I =v ∆Y , dove v è il
coefficiente tecnico di accelerazione che è solitamente compreso tra 2 e 4. Una variazione del
reddito determina variazioni più che proporzionali degli investimenti -> instabilità economica
ciclica. Fattori che determinano gli investimenti sono: il tasso di interesse, la domanda aggregata,
le sostituzioni e i programmi di lungo periodo.
Il modello keynesiano semplice
Keynes nel 1936 sviluppa una teoria basata sul concetto di domanda aggregata Y D e cioè la
domanda totale di beni e servizi formulata da un sistema economico nel suo complesso in un dato
periodo di tempo. Secondo la teoria di Keynes in tempi di crisi è dannoso il non intervento dello
Stato che dovrebbe sostenere l’economia con politiche che accrescano la domanda dei
consumatori e delle imprese. In sintesi, per Keynes le crisi economiche nascono da una scarsa
domanda sia da parte dei consumatori che da parte dei produttori che non effettuano abbastanza
investimenti; ciò provoca un calo dell’occupazione che a sua volta provoca un ulteriore calo dei
consumi; da questo circolo vizioso si può uscire solo con l’intervento dello Stato attraverso
politiche monetarie o politiche fiscali. L’equilibrio nel modello reddito-spesa in economia chiusa e
senza Stato -> la bisettrice indica il luogo dei punti in cui la domanda è uguale al prodotto; tutti i
punti sull’asse delle ascisse sono uguali ai punti sull’asse delle ordinate; la retta del reddito è
uguale a: Y D=Y S. In equilibrio i risparmi sono uguali agli investimenti S=I.
Il moltiplicatore keynesiano semplice
1
Partendo dalla formula ridotta dell’equilibrio macroeconomico: Y = ¿)
1−c
1. C 0+ Í è la spesa autonoma ed è formata dalle componenti esogene del sistema: consumo
autonomo ed investimenti.
1
2. è il moltiplicatore della spesa autonoma: moltiplicando per tale valore la spesa
1−c
autonoma si ottiene il valore di equilibrio del reddito Y.
Poiché la propensione al consumo c è sempre maggiore di zero e minore di uno allora il
moltiplicatore ha sempre valore positivo e maggiore di uno. Il moltiplicatore è il reciproco della
propensione al risparmio essendo s=1-c.
Il moltiplicatore degli investimenti si può definire come la variazione complessiva del reddito che
∆Y 1 1
si ottiene partendo da una variazione iniziale degli investimenti. = =
∆ I 1−c s
Quando aumenta un componente della spesa autonoma il reddito aumenta in misura maggiore; il
∆Y
rapporto è detto moltiplicatore degli investimenti ed è sempre maggiore di 1. La variazione
∆I
di reddito complessiva è superiore all’aumento di investimento iniziale.
Il modello keynesiano con settore pubblico
Nel modello analizzato l’equilibrio economico non indica piena occupazione, il reddito di equilibri
potrebbe non impiegare tutta la popolazione attiva, il reddito di piena occupazione è quindi in
generale maggiore di Y*; in questi casi lo Stato deve intervenire con politiche fiscali e monetarie,
secondo Keynes le politiche fiscali di spesa pubblica sono le più efficaci perché aumentando la
domanda aggregata aumenta anche l’occupazione. La politica pubblica ha un effetto indiretto
sulla domanda tramite i consumi: più spesa pubblica -> più reddito complessivo Y S -> più consumi.
La domanda aggregata cresce molto più dell’aumento di G (spesa pubblica). La spesa pubblica ha
∆Y 1
un impatto simile agli investimenti e dipende dalla PMAC -> = >1
∆ G 1−c
Introduciamo la tassazione
Il consumo dipende dal reddito disponibile dopo la tassazione; come considerare la tassazione?
Può essere considerata in somma fissa -> T=T 0; o come proporzionale -> T=tY S .
Nel nostro modello consideriamo la tassazione in somma fissa: quando la tassazione è fortemente
vincolata al livello della spesa pubblica è più realistico assumere il livello di tassazione in forma
fissa come variabile esogena.
Il risparmio e le tasse
Il risparmio totale è la somma di risparmio privato e risparmio pubblico; il risparmio privato S è il
risparmio dei consumatori S=Y SN -C; il risparmio pubblico è uguale alle imposte meno la spesa
pubblica= T-G; se T>G abbiamo un avanzo di bilancio pubblico, se T<G abbiamo un disavanzo di
bilancio pubblico. In economia chiusa gli investimenti sono uguali al risparmio totale. Il modello
1
keynesiano con settore pubblico sarà così espresso dalla formula: Y = (C 0 + Í +G−cT )
1−c
Dove la parte di equazione all’interno della parentesi rappresenta la spesa autonoma, cioè la
domanda di beni che non dipende dalla produzione ed è formata dalle componenti esogene del
sistema. La politica fiscale di aumento della tassazione (T) mantenendo costante la spesa pubblica
(G) ha due effetti:
- Effetto diretto: diminuzione del reddito pari a cT;
- Effetto indiretto: diminuzione della domanda tramite la riduzione di C;
Perché la domanda aggregata diminuisce molto più di quanto aumenti T? Per il moltiplicatore. Il
∆ Y −c
moltiplicatore della tassazione è dato da: =
∆ T 1−c
Anche se la spesa pubblica è totalmente finanziata dalle tasse per cui ∆G=∆T, il reddito comunque
aumenterà -> teorema di Haavelmo. In sintesi il moltiplicatore:
È il fattore per il quale si deve moltiplicare la variazione iniziale della spesa per determinare
la corrispondente variazione del prodotto totale di equilibrio.
Il modello keynesiano mostra come un incremento della spesa faccia crescere il prodotto in
modo amplificato.
Il moltiplicatore è tanto maggiore quanto maggiore è la propensione marginale al
consumo.
Il moltiplicatore è tanto minore quanto maggiore è la propensione marginale al risparmio.
È una teoria economica che deriva dalla constatazione che una variazione di un euro di
determinate componenti porta ad una variazione del PIL di più di un euro.
Spiega come variazioni di una componente della spesa possano incidere sul prodotto e
sull’occupazione.
Assume la non piena occupazione.
Ignora la politica monetaria e assume che gli investimenti siano determinati
esogenamente.
La curva LM
Hicks nel 1937 formalizza il sistema keynesiano diventato poi il modello IS-LM; in questo modello
gli investimenti non sono dati, ma sono funzione inversa di r e cioè la congiunzione tra mercato
reale e monetario; l’equilibrio viene raggiunto quando entrambi i mercati sono simultaneamente
in equilibrio.
Ipotesi del modello IS-LM
I prezzi sono dati, gli aggiustamenti passano attraverso variazioni delle quantità prodotte e del
tasso di interesse; l’investimento non è più esogeno, ma dipende dal tasso di interesse -> il
settore monetario e quello reale sono ora interdipendenti.
Il mercato monetario
Ci sono più motivi per detenere moneta: il motivo delle transazioni; il motivo precauzionale e il
motivo speculativo. Transazioni -> la moneta è detenuta per effettuare transazioni, poiché le
entrate e le uscite degli agenti economici non sono sincronizzate; tanto maggiore è il volume delle
attività e tanto maggiore è il volume delle transazioni; dunque, la domanda di moneta è funzione
crescente del PIL: la domanda di moneta dipende dal reddito. Precauzionale -> l’ammontare della
moneta detenuta dipende dall’incertezza: si detiene liquidità per far fronte a degli imprevisti; in
questo modo però si rinuncia al tasso di guadagno derivato da impieghi alternativi della moneta: il
tasso di interesse; al crescere del tasso di interesse sempre più persone preferiscono l’impiego
finanziario alla liquidità: la domanda di moneta scende. Speculativo -> gli speculatori, per
realizzare guadagni in conto capitale, vendono titoli quando il loro valore è alto, li ricomprano
quando il loro valore è basso; c’è un legame inverso tra il valore di un titolo e il suo rendimento: la
domanda di moneta liquida diminuisce al crescere del tasso di interesse. Keynes considerava una
sola alternativa alla moneta come riserva di valore: i titoli. Un titolo è un’attività che fornisce al
suo possessore un reddito annuo fisso in termini monetari -> il prezzo dei titoli e il tasso di
interesse sono inversamente proporzionali. Se gli investimenti sono alti si ritiene che il tasso
d’interesse sta per diminuire e perciò abbiamo meno domanda liquida a scopo speculativo. Se gli
investimenti sono bassi ci si aspetta che il tasso d’interesse aumenterà e quindi abbiamo più
domanda liquida a scopo speculativo. La domanda di moneta liquida a scopo speculativo
diminuisce al crescere del tasso di interesse. Se il sistema arriva ad un tasso d’interesse minimo si
dice che si è finiti dentro la trappola della liquidità; nessuno compra titoli, ma tutti cercano di
detenere moneta in forma liquida per comprare i titoli quando il tasso di interesse risalirà e i prezzi
dei titoli torneranno a scendere; al contempo, tutti vogliono vendere titoli prima che si svalutino e
quindi domandano moneta liquida finendo in una crisi finanziaria.
La domanda di moneta
La domanda di moneta può essere espressa dalla seguente formula: M d =kY + z−hi; dove M d
rappresenta la domanda di moneta, Y il reddito, i il tasso di interesse e h, z e k sono parametri (h è
la sensibilità della domanda di moneta al variare di i; k è la sensibilità della domanda di moneta al
variare di Y); la domanda di moneta dipende positivamente dal reddito e negativamente dal tasso
di interesse.
L’offerta di moneta
La teoria monetaria spesso assume che l’offerta di moneta sia esogena, il tasso di interesse di
equilibrio è tale uguagliare domanda e offerta di moneta; se aumenta il reddito aumenta la
domanda di moneta per transizioni, ma un aumento dell’offerta di moneta riduce il tasso di
interesse; un aumento dell’offerta di moneta non ha effetti sull’interesse se ci troviamo già nella
trappola della liquidità.
La curva LM
La curva LM rappresenta le combinazioni tra i e Y che assicurano l’equilibrio sul mercato della
moneta, ovvero che assicurano l’uguaglianza tra domanda e offerta di moneta; abbiamo una
relazione diretta tra Y e i che viene rappresentata con una retta inclinata positivamente, la LM. La
curva LM rappresenta tutte le coppie di produzione/reddito e tasso di interesse che assicurano
l’equilibrio sul mercato monetario. La curva LM normalmente è inclinata positivamente:
1. Tanto più la domanda di moneta risente delle variazioni del tasso di interesse, tanto più la
LM è piatta;
2. Nel caso della trappola della liquidità la LM è orizzontale;
3. Nel caso in cui la domanda di moneta non dipenda da i, la LM diventa verticale (caso
neoclassico);
L’equilibrio sul mercato della moneta fa sì che, per una data offerta reale di moneta, un aumento
di Y, che fa aumentare la domanda di moneta, porti ad un aumento di i; questa relazione è
rappresentata dalla curva crescente LM; un aumento dello stock di moneta sposta la LM verso il
basso, viceversa, una riduzione dello stock di moneta sposta la LM verso l’alto.
La curva IS
La curva IS rappresenta le combinazioni tra tasso di interesse (i) e reddito (Y) che assicurano
l’equilibrio sul mercato dei beni; per costruire la IS si utilizzano: la funzione del risparmio;
l’eguaglianza tra risparmi ed investimenti; la domanda di investimenti in funzione di i. Un aumento
di i comporta una riduzione di Y e viceversa, dunque, abbiamo una relazione inversa tra i e Y.
Le equazioni della IS senza settore pubblico:
Il modello IS-LM
Nel caso della curva IS è il tasso di interesse che determina gli investimenti e quindi anche il livello
del reddito; nel caso della curva LM è il livello del reddito e l’offerta di moneta a determinare il
tasso di interesse. La IS rappresenta l’equilibrio sul mercato dei beni, mentre la LM rappresenta
l’equilibrio sul mercato monetario -> vi è una sola combinazione Y, i che assicura l’equilibrio su
entrambi i mercati. L’equilibrio sul mercato dei beni richiede che un aumento di i comporti una
riduzione di Y -> curva IS; l’equilibrio sul mercato della moneta richiede che un aumento di Y sia
accompagnato da un aumento di i -> curva LM; solo nel punto di intersezione tra le due curve
entrambi i mercati si trovano in equilibrio.
Politica fiscale e monetaria nel modello IS-LM
Abbiamo la possibilità di adottare quattro politiche: politica fiscale restrittiva; politica fiscale
espansiva; politica monetaria restrittiva; politica monetaria espansiva o una combinazione delle
precedenti.
Politica fiscale restrittiva
In una politica fiscale restrittiva abbiamo un aumento della tassazione (T) e/o un calo della spesa
pubblica (G); in tale politica Y e i diminuiscono.
Politica fiscale espansiva
In una politica fiscale espansiva abbiamo una riduzione della tassazione (T) e/o un aumento della
spesa pubblica (G); essa ha effetti inversi a quelli descritti per la politica fiscale restrittiva. Se G
aumenta: il reddito cresce e la domanda di moneta ( M d ¿, in particolare quella per le transazioni,
aumenta; l’offerta di moneta ( M s ¿ è invariata, abbiamo un eccesso di domanda di moneta che
provoca un aumento del tasso di interesse per riportare in equilibrio il mercato monetario; la
domanda di moneta a scopo speculativo e precauzionale deve diminuire; il prezzo dei titoli si
riduce, gli agenti usano liquidità per acquistare i titoli e di conseguenza si riduce anche la domanda
di moneta. La spesa pubblica, però, spiazza gli investimenti privati (I), c’è un mancato aumento del
reddito dovuto all’aumento dei tassi di interesse (i). L’incremento del reddito non sarà il massimo
incremento possibile, cioè quello ottenibile dalla variazione di G per il moltiplicatore, ma sarà
minore perché aumentano i si riduce la spesa per I e, quindi, l’incremento del reddito.
Se la spesa pubblica (G) aumenta:
1. Si avrà una riduzione della spesa privata -> effetto di spiazzamento;
2. La spesa pubblica spiazza la spesa privata;
3. Si avrà un incremento del reddito irrealizzato per la riduzione della spesa per gli
investimenti.
Lo spiazzamento si può misurare come mancato aumento del reddito Y dovuto ad un aumento dei
tassi di interesse; l’effetto di spiazzamento è tanto maggiore quanto più la curva IS è piatta e in
questo caso la politica fiscale è meno efficace; ed è tanto maggiore quanto più la curva LM è
inclinata, anche in questo caso la politica fiscale è meno efficace; nei casi opposti, e quindi quando
la curva IS è più inclinata e quando la curva LM è più piatta, la politica fiscale è più efficace.
Politica monetaria espansiva
Sul mercato della moneta c’è un eccesso di offerta, di conseguenza la curva LM si sposta verso
destra; per convincere gli operatori a detenere moneta i tassi di interesse (i) devono diminuire. In
questo modo il prezzo dei titoli cresce e di conseguenza ci sarà una vendita dei titoli e/o un’attesa
nell’acquistarli che porterà ad un aumento della domanda di moneta liquida per scopi speculativi.
Si avrà quindi un nuovo equilibrio a seguito di un aumento del reddito Y e di una riduzione di i.
Politica monetaria restrittiva
Sul mercato della moneta c’è un eccesso di domanda, di conseguenza la curva LM si sposta verso
sinistra; per convincere gli operatori ad impegnare moneta i tassi di interesse (i) devono crescere.
In questo modo i prezzi dei titoli scenderanno e di conseguenza ci sarà un aumento dell’acquisto
dei titoli e/o un attesa nel venderli che condurrà ad una diminuzione della domanda di moneta
liquida per scopi speculativi (m3). Il nuovo equilibrio sul mercato sarà raggiunto a seguito di una
diminuzione del reddito Y e di un aumento di i.
Equilibrio IS-LM e livello di occupazione
L’equilibrio individuato nell’intersezione tra la curva IS e la curva LM non garantisce che si
raggiunga il reddito di piena occupazione; è necessario l’intervento pubblico che, attraverso
politiche fiscali e monetarie, permetta di raggiungere il pieno impiego delle risorse.
Sommario
La curva IS: deriva dalla funzione degli investimenti per la quale gli investimenti programmati
dipendono negativamente dal tasso di interesse; rappresenta tutte le combinazioni tra i e Y che
assicurano l’uguaglianza tra produzione e domanda, cioè l’equilibrio sul mercato reale dei beni e
dei servizi. La curva LM: deriva dalla teorie delle preferenze per la liquidità in cui la domanda di
moneta dipende positivamente dal reddito e negativamente dal tasso di interesse; rappresenta
tutte le combinazioni tra Y e i che uguagliano la domanda e l’offerta di moneta. Il modello IS-LM:
l’intersezione delle curve IS e LM rappresenta l’unico punto soddisfa simultaneamente sia
l’equilibrio sul mercato dei beni che l’equilibrio sul mercato monetario; nel modello IS-LM non
viene preso in considerazione il livello dei prezzi, non c’è differenza tra grandezze reali e nominali.
La domanda aggregata AD
La curva di domanda aggregata AD esprime tutte le combinazioni possibili del livello dei prezzi e
del reddito compatibili sia con l’equilibrio del mercato dei beni che con l’equilibrio sul mercato
monetario; nel medio periodo le imprese variano i prezzi e si può avere inflazione -> variazione dei
prezzi. Per costruire la curva AD bisogna abbandonare l’ipotesi assunta per la costruzione della IS-
LM secondo cui il livello dei prezzi è costante; la AD, infatti, è ottenuta dal modello IS-LM e
descrive come varia il reddito Y se i prezzi cambiano, assumendo che via sia equilibrio sia nel
mercato dei beni che in quello monetario.
Introduciamo i prezzi nel modello IS-LM…
Se chiamiamo M l’offerta di moneta nominale e P il livello dei prezzi, l’offerta di moneta reale sarà
uguale ad M/P. Una variazione del livello dei prezzi produce una variazione dell’offerta di moneta
reale M/P; un aumento di P comporta una contrazione dell’offerta di moneta reale, quindi ad un
aumento del tasso di interesse e ad uno spostamento della LM verso sinistra, ma tassi di interesse
più alti sul mercato dei beni comportano una riduzione di I e quindi una riduzione di Y. Una
riduzione di P comporta un aumento dell’offerta di moneta reale, quindi ad una riduzione del
tasso di interesse e ad uno spostamento della LM verso destra, ma tassi di interesse più bassi sul
mercato dei beni comportano un aumento di I e quindi di Y.
Derivazione della AD
Poiché si vuole isolare il solo effetto dei prezzi sulla AD, nel modello IS-LM si manterranno costanti
tutte le altre variabili che normalmente lo influenzano (spesa pubblica, tassazione, aspettative,
ecc.). Supponiamo di fissare un certo livello dei prezzi in P0, su tale valore viene costruita la LM e
dato lo stock di moneta nominale M, sarà il livello dei prezzi a determinare lo stock di moneta
reale M/P; se si parte da questo equilibrio e si suppone una diminuzione dei prezzi al livello P1, la
LM si sposterà verso destra fino ad arrivare in LM ( P1 ¿. Al diminuire dei prezzi aumenta il reddito
come rappresentato nel modello AD. La AD ha pendenza negativa, se i prezzi (P) diminuiscono
aumenta il reddito (Y). L’inclinazione negativa della nuova AD può essere così spiegata:
moneta che gli individui desiderano detenere per ogni unità di reddito. Questa equazione
stabilisce che la quantità domandata di saldi monetari reali è proporzionale al reddito reale. Il
parametro k della domanda e la velocità di circolazione della moneta V sono due facce della stessa
medaglia. Se ipotizziamo che nel breve periodo V sia costante, abbiamo una teoria degli effetti
della moneta sul sistema economico, detta teoria quantitativa della moneta. L’equazione dello
scambio può essere considerata come una teoria della determinazione del PIL nominale: MV́ =PY.
Una variazione della quantità di moneta M provoca una variazione proporzionale del PIL nominale
(PY). Se la velocità è costante, la quantità di moneta determina il valore monetario della
produzione aggregata. A questo punto disponiamo di una teoria sulla determinazione del livello
generale dei prezzi, basata su tre elementi fondamentali:
1. Fattori di produzione e funzione di produzione determinano il livello di produzione
aggregata Y -> PIL reale;
2. L’offerta di moneta M determina il valore nominale della produzione aggregata, PIL
nominale, PY
3. Il livello dei prezzi P è il rapporto tra valore nominale della produzione aggregata, PY, e la
produzione aggregata, Y -> cioè P= PIL nominale/PIL reale.
Questa teoria ci permette, inoltre, di spiegare cosa accade quando la Banca Centrale cambia
l’offerta di moneta:
Dato che V è fissa, qualsiasi variazione dell’offerta di moneta M comporta una variazione
proporzionale del PIL nominale;
Dato che fattori di produzione e funzione di produzione determinano il PIL reale, la
variazione del PIL nominale comporta un aumento del livello generale dei prezzi P.
La teoria quantitativa implica che il livello dei prezzi sia proporzionale all’offerta di moneta. Dato
che il tasso di inflazione è la variazione percentuale del livello dei prezzi, questa teoria è anche una
teoria del tasso di inflazione.
∆ M ∆Y
π= −
M Y
π =tasso di inflazione.
∆Y
La crescita economica normale ( ) richiede un’offerta di moneta che cresca proporzionalmente
Y
per facilitare le nuove transazioni; se l’offerta di moneta cresce in eccesso si genera inflazione; la
“regola” di politica monetaria di Milton Friedman si basa su questa intuizione.
Perché battere moneta?
L’inflazione è equivalente ad un’imposta: con l’aumento dei prezzi dopo l’aumento dell’offerta di
moneta, diminuisce il valore reale delle banconote che gli individui detengono. Quando il governo
batte moneta e la spende, erode il valore della moneta che è già nelle mani dei cittadini ->
inflazione come imposta sulla detenzione della moneta. Il rischio è l’iperinflazione, cioè l’inflazione
prodotta da un aumento incontrollato dell’offerta di moneta che influisce anche sul valore reale
delle entrate derivanti dal signoraggio. Il governo, pertanto, se vuole conservare inalterata la
propria spesa, deve continuare a stampare sempre più banconote -> spirale inflazionistica
perversa. Un governo che ha controllo sulla Banca Centrale, può finanziare la spesa pubblica in tre
modi: tasse, emissione titoli di stato e battendo moneta per finanziare l’acquisto. Il ricavo che si
ottiene battendo moneta è detto signoraggio -> se il governo batte moneta per finanziare la spesa
pubblica l’offerta di moneta aumenta, ma aumenta anche l’inflazione.
Inflazione e tassi di interesse
La teoria classica prevede che la domanda di moneta dipenda in maniera proporzionale dal
reddito; le politiche monetarie espansive causano solo un incremento dei prezzi. Ci sono altri
fattori che sono collegati alle variazioni nella quantità di moneta? I tassi di interesse sono i prezzi
che mettono in relazione il passato con il futuro. Il tasso di interesse corrisposto dalla banca è il
tasso di interesse nominale (i) e misura la remunerazione dei fondi mutuabili; l’incremento del
potere di acquisto è il tasso di interesse reale (r) e misura i rendimenti dei fondi mutuabili in
∆P
termini reali. π è il tasso di inflazione ed è uguale a . Il rapporto tra le tre variabili può essere
P
espresso come: r = i-π -> il tasso di interesse reale è pari alla differenza tra tasso di interesse
nominale e tasso di inflazione.
Riorganizzando i termini dell’equazione, possiamo dimostrare che il tasso di interesse nominale
corrisponde alla somma del tasso di interesse reale e del tasso di inflazione: i = r + π; questa è
l’equazione di Fischer, che mostra che il tasso di interesse nominale può variare per due cause:
1. Variazione del tasso di interesse reale;
2. Variazione del tasso di inflazione.
Se uniamo la teoria quantitativa della moneta e l’equazione di Fischer
1. Secondo la teoria quantitativa la moneta porta inflazione -> ∆ %M =∆ %P
2. L’inflazione aumenta i tassi di interessi nominali secondo l’equazione di Fischer -> i=r+ π
Quindi: i = r + π = r + ∆ %M ; la crescita dell’offerta di moneta è legata al tasso di interesse
nominale; la relazione a uno a uno tra tasso di inflazione e tasso di interesse nominale viene
chiamata effetto Fischer.
Tasso di interesse e valore dei titoli
Il valore di mercato del titolo dipende inversamente dal nuovo tasso di interesse e sarà tanto più
vicino al valore nominale tanto più vicino è alla scadenza. Si definisce il tasso di interesse normale
(T n) il tasso di interesse che un operatore ritiene sia giusto; può essere maggiore o minore del
tasso di interesse corrente (T c). Che cosa succede se è maggiore? Se T n>T c allora si vendono i
titoli perché si ritiene che i nuovi titoli saranno emessi ad un tasso maggiore il che comporterà una
perdita in conto capitale per i titoli che noi deteniamo. Che cosa succede se è minore? Se T n<T c
allora si comprano i titoli perché le nuove emissioni saranno a tassi più bassi ed i titoli attuali
avranno più valore. Se il sistema arriva al tasso i 0 si dice che si è finiti dentro alla trappola della
liquidità; i 0 è il tasso di interesse minimo, non può scendere al di sotto di quel valore, è il prezzo
massimale dei titoli, tutti vogliono vendere per realizzare guadagni in conto capitale. Si esce dalla
trappola della liquidità? Se si è raggiunto il valore massimale dei titoli e tutti cercheranno di
venderli pian piano il valore dei titoli scenderà ed il tasso di interesse salirà uscendo dalla trappola
della liquidità; ma se tutti gli operatori considerano normale un tasso di interesse appena
superiore a quello minimo, appena il tasso è salito penseranno che dovrà scendere di nuovo e
pertanto acquisteranno titoli facendo crescere nuovamente il loro valore e rituffandosi nella
trappola della liquidità. Ci si può trovare in una situazione di questo genere quando gli
investimenti derivano maggiormente dalla domanda e poco dai tassi di interesse e quando le
variazioni della domanda sono pari o molto vicine allo zero.
La curva di Phillips
Esistono più tipi di inflazione: quella dovuta all’aumento dell’offerta di moneta; inflazione da
domanda e inflazione da costi. Inflazione da domanda: la domanda aggregata è superiore
all’offerta aggregata e di conseguenza i prezzi crescono; in piena occupazione, un aumento della
domanda aggregata non può essere compensato da un aumento dell’offerta aggregata per cui
ogni aumento della domanda genera un aumento dei prezzi; secondo alcuni autori nel breve
periodo vi è una fascia in cui vi è un trade-off tra disoccupazione e inflazione. Phillips nel 1958
pubblica un articolo che introduceva una relazione inversa tra il tasso di variazione dei salari
monetari e il tasso di disoccupazione; tale relazione era basata su un’analisi statistica tra tasso di
∆W
variazione dei salari nominali ( ) e il tasso di disoccupazione (u) nel Regno Unito nel periodo
W
1861-1957. Vi era una relazione inversa: quando i salari aumentavano la disoccupazione diminuiva
∆W
e viceversa. Con disoccupazione di circa 5,5% i salari risultano essere mediamente stabili (
W
prossimo allo 0); a tassi di disoccupazione maggiori del 5,5% si abbinano modeste riduzioni
∆W
salariali ( < 0); cambiamenti dei tassi di disoccupazione bassi, minori del 5,5% sono associati
W
∆W
ad importanti aumenti salariali. U genera , la variabile indipendente è il tasso di
W
∆W
disoccupazione U, la variabile dipendente è la variazione dei salari . Una diminuzione della
W
disoccupazione si accompagna ad un aumento della domanda di lavoro che in un mercato classico
del lavoro induce un aumento dei salari. Un aumento dei salari causa un aumento della domanda
aggregata e pertanto della produzione con associata diminuzione della disoccupazione. La curva di
Phillips viene letta dalla scuola keynesiana come una relazione fra inflazione e disoccupazione;
nella zona di piena occupazione aumenti della domanda si riflettono su costi di produzione
superiori; la disoccupazione si riduce, i salari e i prezzi aumentano, vi è una relazione negativa tra
disoccupazione e prezzi; inoltre, sulla base del modello del mark-up, le imprese aumentano i prezzi
se i costi crescono: aumento salari -> aumento prezzi. La presenza di oligopoli, quindi, rafforza i
legami tra salari e prezzi. Durante gli anni ’70 si ha un periodo di stagflazione, ma tale situazione
non è coerente con la relazione di Phillips ipotizzata dai keynesiani, per spiegare tale situazione
Friedman introduce la curva di Phillips di breve e lungo periodo. Nel breve periodo si ha una
relazione inversa tra disoccupazione e inflazione, pertanto, politiche espansive a sostegno della
domanda fanno aumentare l’inflazione e diminuire la disoccupazione. Nel lungo periodo, invece,
l’economia avrà un tasso di disoccupazione a livello naturale e pertanto la curva di Phillips sarà
verticale. La teoria monetaristica prevede che politiche espansive a sostegno della domanda
possano fare aumentare l’inflazione senza diminuire la disoccupazione nel lungo periodo.
Il bilancio dello Stato, deficit e debito
L a pubblica amministrazione (PA) comprende enti pubblici le cui funzioni principali sono la
produzione di servizi non destinati alla vendita, e le operazioni di redistribuzione del reddito e
della ricchezza; le risorse prevalenti sono i versamenti obbligatori (tasse e contributi) effettuate
dagli altri settori dell’economia. Le uscite correnti della PA si possono suddividere in:
1. Spesa corrente -> per l’acquisto di beni e servizi, costituita dalle retribuzioni dei dipendenti
pubblici e gli acquisti fi altri beni e servizi;
2. Trasferimenti alle famiglie -> prestazioni sociali per pensioni, sussidi di disoccupazione,
prestazioni assistenziali, sanità e contributi alla produzione;
3. Interessi sul debito -> un Paese ottiene credito tramite l’emissione di obbligazioni, che
differiscono per caratteristiche e durata. Minore è il loro valore, maggiore sarà il tasso di
interesse che lo Stato dovrà rimborsare a scadenza. La differenza tra saldo primario e
deficit evidenzia quanto pesi la spesa in interessi, soprattutto in Italia.
Le entrate correnti della PA sono costituite dal prelievo fiscale, che comprende tutte le diverse
forme di tassazione che gravano sui soggetti economici (famiglie e imprese):
1. Imposte dirette: sul reddito di famiglie e imprese;
2. Imposte indirette: sui consumi;
3. Contributi sociali: finalizzati al finanziamento delle prestazioni sociali.
Il saldo (detto disavanzo se negativo e avanzo se positivo) di bilancio è dato dalla differenza tra
entrate correnti e uscite correnti ed è definito risparmio pubblico.
Fiscale: prelevare imposte per fornire i servizi pubblici, che non vengono prodotti dal
mercato per le loro peculiari caratteristiche, alla collettività;
Monetaria: fornire al sistema la quantità di moneta necessaria, tenere sotto controllo le
dinamiche inflative e sostenere il valore della moneta nazionale sui mercati valutari; non
può/deve avere effetti reali.
Il modello IS-LM della scuola keynesiana prevede, invece, che sia la politica fiscale che la politica
monetaria abbiano degli effetti reali nel breve periodo.
1. Politiche espansive sia fiscali che monetarie (in situazione di sottoccupazione) -> aumento
dell’occupazione e del reddito nel breve periodo. L’azione della politica monetaria è
minima in situazione prossime alla trappola della liquidità.
2. Politiche restrittive, in situazione di forte inflazione da domanda, possono avere effetto sia
quella fiscale che quella monetaria: in caso di disavanzo della bilancia commerciale la
politica fiscale restrittiva può avere effetto; in caso di un eccessivo indebolimento della
moneta nazionale una politica monetaria fa alzare il tasso di interesse attraendo capitali
dall’estero. L’alto debito pubblico può essere controllato con politiche fiscali restrittive.
Le politiche monetarie espansive non hanno effetti di spiazzamento sull’investimento, anzi li
incentivano se gli imprenditori rispondono a riduzioni del tasso di interesse; l’evidenza empirica
indica, però, che in un periodo di recessione seria, quando i tassi di interesse sono già molto bassi,
gli imprenditori sono poco sensibili ad ulteriori diminuzioni del tasso di interesse in quanto le
aspettative negative hanno preso il sopravvento sull’aspettativa di profitto e pertanto tutti gli
investimenti sembrano non essere sufficientemente profittevoli.
Interazione tra politiche
Una politica fiscale espansiva fa crescere il reddito Y a 1000, ma anche il tasso di interesse al 2,5-
5%; ciò può non essere desiderabile in caso di investimenti elastici al tasso di interesse: si avrà un
effetto spiazzamento; una politica monetaria espansiva può comunque far aumentare il reddito Y
a 1000, ma ciò implica una caduta del tasso di interesse all’1.5% creando problemi sul mercato dei
cambi. Si può ottenere un’espansione del reddito a 1000 mantenendo il tasso di interesse costante
a 2.5%? Sì, con interventi più leggeri, ma congiunti, di politica fiscale e monetaria. La politica
fiscale è attuata congiuntamente a quella monetaria, in questo caso una spesa pubblica G
maggiore può essere combinata ad un’offerta di moneta maggiore accomodante, cosicché: la
pressione alla crescita del tasso di interesse verrà controbilanciata dalla spinta verso il basso
dovuta alla maggiore offerta di moneta.
Il caso keynesiano
Se gli investimenti sono del tutto insensibili al tasso di interesse (caso keynesiano estremo) allora la
curva IS è verticale; cosa succede alla politica monetaria? Non ha effetto perché la politica
monetaria espansiva fa abbassare i tassi di interesse, ma ciò non ha effetto sugli investimenti e
pertanto Y non cambia. Similmente si attua una politica monetaria nel tratto orizzontale della
curva LM non si ottiene nessun effetto perché ci troviamo nella trappola della liquidità.
Combinando entrambe le politiche, nel caso keynesiano, si ottiene il massimo possibile effetto
della politica fiscale e un limitato effetto della politica monetaria.
Il ruolo stabilizzante delle politiche economiche
A seguito di una politica fiscale restrittiva (aumento delle imposte) la Banca Centrale può reagire in
diversi modi a seconda degli obiettivi che si prefigge. Le possibili risposte all’aumento di T -> la
Banca Centrale può mantenere:
a. M costante; un aumento delle imposte sposta la IS verso sinistra, se la Banca Centrale tiene
costante l’offerta di moneta, osserviamo una recessione. Il reddito casa da Y 1 a Y 2, il tasso
di interesse di equilibrio cala perché ad un reddito più basso corrisponde una minor
domanda di moneta e dunque uno spostamento lungo la LM.
b. r costante, se la Banca Centrale vuole mantenere costante il tasso di interesse deve ridurre
l’offerta di moneta. La LM si sposta verso sinistra; la politica monetaria restrittiva rende
ancora maggiore la riduzione del reddito che passa da Y 1 a Y 3.
c. Y costante, se la Banca Centrale vuole tenere il reddito costante deve aumentare M per
spostare la LM verso destra. La politica monetaria espansiva elimina la variazione di reddito
∆ Y =0. Il tasso di interesse cala di più però, da r 1 a r 3.
Possibili soluzioni
Un mix di politiche fiscali e monetarie espansive; le politiche fiscali aumentano la spesa pubblica e
sostengono i settori deboli. La pressione al rialzo che questa politica comporta sui tassi di interesse
e sui prezzi dovrebbe essere compensata da una politica monetaria che “accomodi” l’obiettivo
espansivo del reddito della politica fiscale e permetta di:
1. Calmierare i tassi di interesse (non farli salire troppo), quindi riducendo lo spread e il costo
del servizio del debito;
2. Iniettare liquidità nel sistema per sostenere il debito pubblico necessario a finanziare il
deficit.
Problemi:
Inflazione da politica espansiva: non un reale problema ora che siamo in una fase
deflazionistica e quindi un aumento temporaneo dei prezzi non costituisce un problema;
Politica monetaria tradizionale inefficace: a causa della trappola della liquidità, l’aumento
dell’offerta di moneta non ha effetti sul tasso di interesse;
Quali quindi le possibili soluzioni per rendere efficace la politica monetaria?
1. Quantitative Easing -> la BCE crea riserve comprando bond governativi e altre attività
finanziarie del mercato secondario (questo genera una diminuzione del rischio, un
aumento dei prezzi e una riduzione dei tassi di interesse); utilizza il QE per aumentare
l’offerta di denaro e abbassare i tassi di interesse acquistando dal mercato titoli governativi
o altri titoli finanziare per stimolare la crescita economica. Gli effetti del QE sui titoli di stato
nel mercato secondario ne riducono il rendimento e favoriscono lo Stato nelle nuove
emissioni per evitare di applicare interessi elevati per renderli appetibili sul mercato,
diminuendo così l’indebitamento e lo spread.
2. Eurobond/Coronabond -> indebitamento degli Stati tramite l’emissione di bond comuni
con garanzia di altri Stati EU finalizzati a coprire spese in deficit per l’emergenza. Un titolo
di debito della UE che non può essere emesso dalla BCE per statuto, bensì, ad esempio, la
BEI nata proprio con lo scopo di finanziare investimenti nei Paesi membri; la BEI potrebbe
porsi come garante di obbligazioni europee emesse singolarmente dagli Stati dell’Unione. Il
“Coronabond” è un’obbligazione emessa come per gli Eurobond, ma dedicata
essenzialmente alle spese sanitarie e rilanciare l’economia.
3. Helicopter drop of money -> i soldi entrano direttamente nei conti correnti dei governi,
delle imprese e dei cittadini creando moneta tramite emissione di bond comprati dalla BCE;
a differenza dei QE questi bond hanno rendimento nulla: lo Stato non deve restituire nulla.
A differenza del QE, l’effetto è permanente e irreversibile poiché il denaro è distribuito ai
consumatori e le Banche Centrali non possono ritirare i soldi se i consumatori decidono di
metterli in un conto di risparmio; ha un impatto diretto sulla domanda, mentre il QE no; è,
in sostanza, una politica fiscale espansiva orchestrata da una Banca Centrale, una volta che
questa non ha più leve di politica monetaria da attuare non entrerebbe quindi nel mandato
della BCE e richiederebbe, quindi, una modifica del trattato di Maastricht.
Il Quantitative Easing già esiste, gli strumenti nuovi da testare, e su cui eventualmente convergere,
sono gli Eurobond e l’Helicopter drop of money recentemente approvato dagli USA per far fronte
alla crisi provocata dal Coronavirus.
PARTE SECONDA
Strumenti e politiche per orientare le decisioni individuali
Come prendono le decisioni le persone? Quale modello di scelta è utilizzato nella maggior parte
dei modelli di economia? È un modello “realistico” del comportamento umano? È possibile
orientare le persone verso decisioni benefiche per sé stessi e la comunità che altrimenti non
riuscirebbero a prendere? In questa parte del corso si proverà a rispondere a queste domande.
Motivazione
Molti comportamenti e decisioni umane, da quelle più semplici come prelevare al bancomat, a
quelle più complesse, come decidere se e quando investire, sono guidate da impulsi razionali, ma
anche da impulsi irrazionali. Un esempio in campo macroeconomico è quello del 15 settembre
2008; i rappresentanti della Lehman Brothers iniziarono le procedure di bancarotte per quello che
fino all’anno prima era uno degli istituti finanziari più importanti del mondo. Lehman Brothers era
stata coinvolta nel 2007 nel crollo del mercato immobiliare americano; il valore delle azione della
Lehman Brothers crollò del 90% generando un effetto domino e una caduta di 500 punti dell’indice
Dow Jones. Dopo, per prevenire ulteriori effetti a catena, i governi degli USA, UE e paesi asiatici
iniettarono liquidità, garantendo le azioni di alcuni grandi istituti di credito e nazionalizzandone
altri (cosa impensabile fino a pochi mesi prima). Eppure non si trattava della prima crisi finanziaria
della storia, la crescita di bolle speculative e il successivo crollo dei mercati sono eventi ciclici e
ricorrenti. La domanda è come tutto questo sia potuto accadere, ancora una volta, nonostante le
conoscenze accumulate nei secoli e gli sforzi di migliaia di economisti impegnati a studiare i
mercati finanziari. La risposta, in parte, ha a che fare con il mistero più profondo della natura: la
mente umana e la sua capacità di prendere decisioni razionali. Molti analisti hanno concluso che
nell’estate del 2008 sia andato in crisi non solo il sistema finanziario, ma anche molte teorie su cui
esso si reggeva. Le assunzioni eleganti e matematicamente trattabili dell’economia neoclassica
(agenti razionali e mercati efficienti) funzionano bene e forniscono buone descrizioni
dell’economia che ci circonda. Gli investitori, infatti, sono razionali nella maggior parte dei casi, ma
in circostante estreme, come quelle che caratterizzano le crisi, i modelli quantitativi costruiti su tali
premesse non reggono. È necessario, quindi, osservare non più come gli investitori si dovrebbero
comportare secondo il modello classico, ma come si comportano di fatto; costruire dei modelli che
tengano conto dei vincoli cognitivi e dell’influenza delle emozioni sulle scelte di investimento e
colmare lo scarto tra homo economicus e investitore in carne e ossa, tra mercati efficienti e
mercati in tempi di crisi. Le decisioni economiche non hanno solo a che fare con il denaro,
riguardano il rimpianto, l’invidia, l’onore, la paura, il panico, la mancanza di ottimismo e di fiducia;
l’irrazionalità alla base delle bolle speculative, come quella che ha portato alla crisi del 2008, è
innescata da avidità e paura: dall’ottimistica fiducia di guadagni incessanti prima e dalla
drammatica prospettiva di finire rovinati poi. Un esempio, la febbre dei tulipani in Olanda nel
1637, dove la fiducia in una crescita dei prezzi e l’aspettativa di facili guadagni modificarono in
modo coordinato il comportamento degli investitori che valutarono un bene non in termini dei
suoi ritorni, ma in funzione delle aspettative di crescita del capitale. Furono le aspettative
dell’incessante crescita del prezzo dei tulipani, e non il valore dei tulipani, a determinare il prezzo.
Un delirio collettivo, un vero e proprio contagio sociale della psicosi del boom: tutti comperano
tulipani, perché tutti gli altri vogliono farlo, perché tutti si aspettano che lo faranno in futuro e che
quindi il prezzo dei tulipani continuerà a salire, e domani li si potrà vendere a prezzi più alti e
realizzare guadagni. Si crede che il boom durerà sempre. Comprare per rivendere a prezzo più alto
è perfettamente razionale, non è così semplice, invece, saper anticipare la bolla e uscirne per
tempo: una bolla non può durare per sempre. Vernon Smith in un esperimento ha osservato che i
compratori non desistono neppure quando sanno con certezza che i rendimenti delle azioni
declineranno inesorabilmente. La “patata bollente” passa di mano in mano, perché ogni
investitore crede di essere più furbo degli altri e di trovare qualcuno più stupido a cui passarla un
attimo prima del disastro. Quando la bolla scoppia, improvvisamente i compratori scompaiono,
non comprano più beni che precedentemente avrebbero comprato, neanche a prezzi più bassi.
Nessuno si separa più dal denaro liquidi, ma anche questo è razionale, il problema è prevedere
quando questo avverrà e quando i compratori impauriti riacquisteranno fiducia e quindi
investiranno. Perché siamo spinti a credere alla favola del boom? La risposta a questa domanda e
ad altre domande sul comportamento irrazionale degli individui risiede nei meccanismi del nostro
cervello, sempre più investigate dalle scienze della decisione, che stanno alla base delle scelte
economiche. L’irrazionalità umana segue precisi percorsi: essa è sistematica e può essere studiata
scientificamente; può essere anticipata e per questo possono essere messe in atto politiche per
evitare scelte dannose per sé stessi e per la società. Il nostro cervello risponde prontamente
all’anticipazione di una grossa vincita, ma non all’aumentare o al diminuire della probabilità di
ottenerla; perdere fa molto male, comparabilmente più male di quanto faccia piacere vincere una
somma di pari ammontare. Queste considerazioni suggeriscono che lo studio delle variabili
nascoste della decisione umana siano tanto importanti quanto lo studio delle variabili
macroeconomiche classiche. Alcune politiche possono aiutarci a prendere decisioni migliori,
ovvero di evitare alcuni degli errori che siamo portati a compiere in modo prevedibile.
La razionalità
L’economia tradizionale muove dal presupposto che le decisioni individuali siano razionali e
prevalentemente governate dall’interesse. Razionalità, in economia, significa assumere che gli
agenti usino l’informazione disponibile con coerenza, per scegliere in modo ottimale date una
serie di alternative disponibili e degli obiettivi prefissati; significa, inoltre, assumere che gli agenti
siano lungimiranti, cioè che sappiano calcolare le conseguenze future delle loro decisioni. Il
protagonista dei modelli economici è un agente dotato di un dato e stabilito ordinamento di
preferenza sulle alternative a disposizione e capace di formare credenze probabilistiche sugli stati
del mondo e sugli effetti delle proprie azioni; egli è anche in grado di elaborare l’informazione a
disposizione secondo il calcolo della probabilità, in condizioni di incertezza è massimizzatore
dell’utilità attesa. Si tratta quindi di un essere molto particolare, dotato di autocontrollo, che sa
sempre individuare ed intraprendere la decisione ottimale, cioè quella che massimizza il proprio
benessere individuale, è dotato di grande capacità di calcolo e di prevedere esattamente ogni
conseguenza delle proprie azioni, la sua scelta sarà indipendente dal contesto in cui le decisioni
vengono presentate e non c’è spazio per le emozioni. Siamo in presenza dell’homo oeconomicus.
L’homo economicus è generalmente caratterizzato da questi elementi:
1. Autointeresse (self interest): autointeressato e pensa che anche gli altri lo siano;
2. Perfetta razionalità (full rationality): coerente e massimizzatore dell’utilità, senza
distorsioni cognitive e pensa che anche gli altri lo siano;
3. Focalizzato sui risultati (payoff): massimo risultato con minimo sforzo, onnisciente e
decontestualizzato.
Assiomi e preferenze:
Desideri e credenze individuali vengono rappresentate per mezzo, rispettivamente, di
ordinamenti di preferenze;
Gli assiomi hanno la funzione di imporre alcune semplici restrizioni o requisiti di coerenza
sulle preferenze, in modo da poter distinguere una scelta razionale da una che non lo è.
La preferenza è una relazione tra cose, persone o panieri di beni che ci permette quindi di ordinarli
secondo il loro grado di gradimento, secondo cioè il benessere che ci danno; possiamo ordinare
panieri di consumo secondo un ordine di preferenza. Per farlo, in genere, si usano i seguenti
operatori logici: che esprime indifferenza, che esprime una relazione di preferenza stretta, che
esprime una relazione di preferenza debole.
Assiomi delle preferenze razionali:
1. Completezza: valutare le alternative, ovvero confrontare i panieri di consumo/diversi
scenari di vita sui quali si esercita la scelta, è sempre possibile. L’homo economicus sa
sempre cosa vuole e cosa gli piace di più, non è possibile non avere una preferenza per lui.
2. Transitività: se il consumatore ritiene che X sia desiderabile almeno tanto quanto Y e che Y
sia desiderabile almeno tanto quanto Z, allora X è desiderabile almeno tanto quanto Z.
l’homo economicus non si contraddice: se preferisce il caffè al tè e il tè alla birra, allora
deve preferire anche il caffè alla birra. È impossibile preferire il caffè al tè, il tè alla birra e
allo stesso tempo non preferire il caffè alla birra.
3. Riflessività: un paniere qualsiasi è desiderabile almeno tanto quanto un paniere identico.
L’homo economicus è coerente: se un altro paniere/scenario ha le stesse caratteristiche di
X esso sarà almeno tanto buono quanto X.
Il problema della teoria della scelta razionale è che gli economisti la utilizzano come strumento
universalmente valido per prevedere il comportamento umano. Gli economisti, per sfuggire alla
vacuità e cercare di prevedere le scelte degli individui, tendono ad utilizzare modelli specifici,
costruiti aggiungendo al modello base della scelta razionale altre assunzioni particolari:
a. Egoismo: gli agenti economici massimizzano il proprio tornaconto personale;
b. Materialismo: l’utilità degli agenti economici dipende solo dalla quantità di beni
consumati;
c. Utilità decrescente al margine: l’utilità cresce con il numero di beni, ma diminuisce al
margine.
Se a queste aggiungiamo il principio di razionalità otteniamo l’homo economicus, è importante
sottolineare che l’ipotesi che il comportamento umano sia catturato dagli assiomi della scelta, non
implica che gli esseri umani reali ragionino sulla base di essi. È corretta l’interpretazione secondo
cui gli esseri umani si comportano come se facessero calcoli necessari per comportarsi in maniera
razionale. Per quanto approssimativamente buona rispetto al comportamento reale, secondo la
psicologia cognitiva, questa teoria è fortemente incompleta e irrealistica.
Anomalie cognitive
Costi opportunità:
possiamo rappresentare il problema decisionale attraverso un albero come il seguente
comprare azioni guadagno: 1000€ tra un anno
Persona
comprare case guadagno: il valore della casa aumenterà di 900€ tra
un anno
Occorre calcolare il costo opportunità di una scelta rispetto all’altra; esso è il valore cui si
rinuncerebbe se si scegliesse una tra le due opzioni. Il profitto da investimento immobiliare è 900 –
1000= -100; il profitto da investimento azionario è 1000 – 900 = 100. In questo caso dovrei
investire in azioni invece che comprare case. Il costo opportunità di una scelta è quindi il valore di
ciò cui rinunceremmo proprio nel momento di optare per quella scelta. Qui erano presentate solo
due alternative, ma se ci sono più opzioni il costo opportunità è il valore dell’opzione di valore più
alto tra quelle disponibili. Se definisco a 1, a 2, …, a n le diverse n azioni (possibilità) disponibili e con
u(a 1), u(a 2), …, u(a n) l’utilità che queste n azioni ci danno quando sono scelte, e con c(a 1), c(a 2), …,
c(a n) il costo opportunità che deriva dallo scegliere queste azioni, allora il costo opportunità c( a i) di
una qualsiasi azione a i tre le n possibili può essere espressa come:
c(a i) = max{u (ai−1) , u(a i−2),... , u(a i−(n−1) ), u( ai+1 ), u(ai+2 ), ... ,u (ai +(n−1) ) }
Dunque, il costo opportunità di a i è uguale alla massima utilità possibile che deriva dalle
alternative disponibili. C’è un legame stretto tra costi opportunità, utilità e scelta razionale.
L’agente sceglierà in modo razionale, massimizzando la propria utilità, solo se si prende in
considerazione in modo corretto il costo opportunità.
Quindi a i è una scelta razionale se u(a i)≥ c(a i); se a i è una scelta razionale, allora dovrebbe dare
un’utilità maggiore tra tutte le altre disponibili, cioè u(a i) è maggiore dell’utilità data da tutte le
altre alternative. Questo formalmente si può esprimere come: u(a i)≥max
{u (ai−1) , u(a i−2),... , u(a i−(n−1) ), u( ai+1 ), u(ai+2 ), ... ,u (ai +(n−1) )}. Ma il secondo membro della
disequazione altro non è che la definizione di costo opportunità c(a i) e quindi possiamo riscriverla
come: u(a i)≥ c(a i). Quindi è irrazionale investire in proprietà immobiliari dal momento in cui c’è un
utilizzo del denaro più redditizio, anche se investire in immobili renderebbe profitto. Trascurare i
costi opportunità può portare a decisioni irrazionali, sub-ottimali e persino dannose, ma è
chiaramente difficile avere il pieno controllo di tutte le alternative possibili e valutarne i costi, per
esempio, quando ci sono molte alternative disponibili dovrebbe farci sentire più liberi, ma è stato
visto però che questo ci rende inspiegabilmente infelici. Perché? Più sono le alternative disponibili,
più sarà rilevante il confronto con il loro costo opportunità; più sarà rilevante questo confronto e
minore sarà la soddisfazione che deriveremo dall’alternativa che scegliamo.
Costi irrecuperabili:
l’analisi razionale della decisione richiede la valutazione dei costi opportunità di una decisione; in
questa valutazione occorre però non considerare quanto si è già speso/investito per una delle
alternative in quanto si tratta di costi non recuperabili. Quando si sbaglia a considerare i costi
irrecuperabili si parla di fallacia dei costi irrecuperabili. Ci sono molti esempi nella vita quotidiana
di questa fallacia:
Andare ad un concerto quando si ha già il biglietto e fuori c’è una tempesta di neve;
Rifiutarsi di vendere un titolo che sta andando male per non perdere la differenza tra
prezzo di acquisto e di vendita, occorre tenerlo se si ritiene che l’investimento sia la
migliore alternativa disponibile e venderlo in caso contrario;
Non rompere con un partner che ci rende infelici perché lasciandolo si butterebbe il tempo
e la fatica che gli abbiamo dedicato;
I centri commerciali sono in genere locati lontano per far scattare l’idea nel consumatore
che “ho preso la macchina, son venuto fin qui, adesso compro” anche se non serve.
La decisione razionale è determinata da cosa succede alla destra del nodo in cui ci si trova, cosa
succede in altre parti, e precisamente a sinistra, è irrilevante. Le scelte razionali sono forward
looking (rivolte in avanti); questo non significa che il passato non conta, ma lo fa nella misura in
cui è in grado di modificare gli esiti delle alternative presenti. La fallacia dei costi irrecuperabili può
spingere verso un’escalation: si investe di più in progetti che sono destinati a fallire perché si sono
già spesi tanti soldi fino a quel momento e più si decide di investire nei nodi decisionali e più
saranno alti i costi irrecuperabili che a loro volta ci spingeranno a decidere di investire
ulteriormente, e così via.
La dipendenza da menu ed effetto esca (decoy effect)
Il modo in cui presentiamo le alternative influenza la scelta, l’aggiunta nel menu di un’opzione che
nessuna persona ragionevole sceglierebbe, finisce con il modificare le preferenze rispetto alle altre
opzioni. La scelta razionale dipende dal budget set, cioè dal menu di scelta; quando questo si
amplia, più opzioni diventano disponibili e una di esse potrebbe rivelarsi preferita rispetto a quella
che avreste scelto con un menu più limitato. Più formalmente: se x viene scelta da un menu { x , y } ,
assumendo che non siamo indifferenti tra x e y, allora non è possibile scegliere y dal menu { x , y , z }
. L’aggiunta di un bene inferiore non dovrebbe cambiare la decisione, se scegliessimo y, il nuovo
menu avrebbe cambiato le nostre preferenze. La teoria non ammette un cambiamento delle
preferenze come risultato in un menu che si espande o per qualsiasi altro motivo: le preferenze
sono stabili, non cambiano nel tempo. Nella vita normale però, ci sono numerosi casi in cui le
persone cambiano i propri gusti quando il menu delle alternative si espande -> dipendenza dal
menu delle alternative.
L’effetto esca
La presenza di un’opzione dominata sembra aumentare l’appetibilità per il consumatore
dell’alternativa dominante; questo è l’effetto esca conosciuto anche come effetto attrazione.
L’effetto esca è solo una forma di dipendenza dal menu delle alternative. Un altro effetto è
l’effetto compromesso, talvolta descritto come avversione agli estremi che è la tendenza a
scegliere un’alternativa che rappresenti un compromesso o via di mezzo all’interno del menu, è
l’abitudine ad evitare opzioni più estreme per quanto concerne la dimensione rilevante della
scelta. Alcune forme di dipendenza dal menu sono conosciute a volte come effetti di contesto,
perché le scelte sono influenzate dal contesto in cui vengono prese.
Avversione alle perdite
La teoria della scelta razionale rende indipendenti le preferenze dalla dotazione iniziale, cioè da ciò
di cui si dispone al momento della decisione. Tuttavia, nel mondo reale, si è notato che le
preferenze delle persone tendono a cambiare a seconda del loro punto di partenza, cioè da quello
che hanno o non hanno nel momento in cui prendono la decisione. Per potere analizzare queste
anomalie comportamentali è necessario introdurre il concetto di willgness to pay (WTP) e di
willgness to accept (WTA). Supponiamo che esistano due beni: una tazza e i soldi; grazie alla
proprietà della completezza, ci deve essere una certa somma di denaro p tale per cui si è
indifferenti tra la tazza e i soldi. Se, per esempio, p = 1€ e avere più soldi è meglio di avere meno
soldi, allora si può assumere che si è indifferenti tra 1€ e la tazza. Se si possiede la tazza, alla
domanda del quantitativo di denaro che si è disposti ad accettare per cederla, sicuramente si
risponderà non meno di 1€. Questo valore è la disponibilità ad accettare (WTA). Se non si ha la
tazza, alla domanda “quanto denaro si sarebbe disposti a spendere” si risponderà non più di 1€.
Questa valore è la disponibilità a pagare (WTP). In questo esempio, per la tazza WTP = WTA = 1€.
L’utilità della prima tazza è indipendente dalle dotazioni iniziali, che si abbia o meno la tazza. La
funzione di utilità è rappresentata in modo concavo perché le persone si abituano alle cose:
l’utilità marginale che deriva dal possesso di una tazza aggiuntiva decresce al crescere delle tazze
possedute -> utilità marginale decrescente.
Effetto dotazione
Quindi, secondo la teoria della scelta razionale, la variazione dell’utilità che deriva dal possesso o
dalla perdita di un bene è indipendente dalle dotazioni iniziali, quindi WTP = WTA. Nel mondo
reale, davvero le persone scelgono indipendentemente dalle dotazioni iniziali? Cioè, l’ammontare
di denaro che chiedono per cedere una tazza che hanno già è uguale a quanto pagherebbero per
averla? Per dare una risposta a questa domanda è stato fatto un esperimento con studenti della
Cornell University. Ad un gruppo è stata fatta vedere una tazza della Cornell ed è stato chiesto
quanto sarebbero stati disposti a pagare per averla; ad un altro gruppo è stata data la stessa tazza
della Cornell ed è stato chiesto a quale prezzo sarebbero stati disposti a cederla. La razionalità
richiederebbe che i due gruppi dichiarino, in media, la stessa cifra; tuttavia, gli studenti hanno
dichiarato un WTA maggiore del WTP. Questo è l’effetto dotazione, le persone richiedono molto di
più per cedere un oggetto di quanto sarebbero disposti a pagare per averlo; le preferenze delle
persone sembrano dipendere proprio dalle disponibilità iniziali o da ciò che loro possiedono.
Poiché il modo in cui valutiamo diverse opzioni potrebbe dipendere da un punto di riferimento
(reference point), vale a dire la loro situazione iniziale in termini di possesso, fenomeni come
questo sono spesso denominati reference point phenomena. L’effetto dotazione, e in generale i
reference point phenomena, sono aspetti dell’effetto incorniciamento (framing effect) che si
verifica quando le preferenze vengono a dipendere da come le opzioni sono presentate.
L’effetto dotazione e il reference point phenomena sono spiegati come il risultato dell’avversione
alle perdite: le persone detestano molto di più una perdita di quanto amano un guadagno dello
stesso ammontare. L’avversione alle perdite spiega anche in molti casi il WTA > WTP; quando
esprimiamo la WTA, viene chiesto di immaginare di possedere un certo bene e dichiarare il prezzo
al quale saremmo disposti a cederlo, per cui il prodotto sarà valutato dentro la cornice delle
perdite; quando esprimiamo la WTP ci viene chiesto di immaginare di non possedere un certo
bene e dichiarare il prezzo al quale saremmo disposti ad acquistarlo -> il prodotto sarà valutato
dentro la cornice dei guadagni. Dato che le perdite fanno più male dei guadagni allora la WTA >
WTP.
Prospect theory
Gli economisti comportamentali catturano l’effetto dell’avversione alle perdite attraverso una
funzione chiamata “funzione valore” v(), la quale ci dice che valore le persone danno ad un
cambiamento. Tale funzione è componente fondamentale della teoria del prospetto, una delle
teorie più importanti dell’economia comportamentale; essa ha due caratteristiche:
1. A differenza della funzione utilità (che si calcola sulle disponibilità totali), essa considera i
cambiamenti rispetto alle disponibilità;
2. Mostra una modifica sostanziale a partire dal punto di riferimento: se il punto di
riferimento rispetto al quale si valutano i cambiamenti sono le dotazioni iniziali, allora la
curva è più ripida a sinistra dell’origine, questo implica che la persona dà più peso alla
disutilità che deriva dal perdere un bene rispetto all’utilità che deriva dall’averlo.
La funzione v() è più ripida nel dominio delle perdite che nel dominio dei guadagni, questo implica
che il valore di una perdita è maggiore del valore di un guadagno di pari ammontare; v() è concava
nella regione dei guadagni, ma è convessa nella regione delle perdite: questo significa che piccole
variazioni vicine al punto di partenza hanno un impatto maggiore sulla scelta rispetto a grosse
variazioni lontane dal punto stesso. Inoltre, la curva ha una pendenza maggiore nella regione delle
perdite, il che permette di spiegare l’avversione alle perdite. L’avversione alle perdite può spiegare
perché non si tengono in considerazione i costi opportunità: se il costo opportunità è un guadagno
mancato, l’avversione alle perdite spiega perché le persone diano più peso ai pagamenti diretti che
ai costi opportunità. Spiega anche perché le persone danno peso ai costi non recuperabili: perché
sono vissuti come una perdita. Inoltre, il reference point può dipendere anche da desideri e
aspettative di un individuo.
Ancoraggio e aggiustamento
Molto spesso le persone non sanno cosa scegliere e pertanto si attaccano a qualsiasi suggerimento
che proviene dal contesto o dal modo in cui viene formulata una decisione per fare le proprie valu
tazioni. Spesso ci si affida a delle euristiche:
Regole empiriche e/o scorciatoie mentali;
Aiutano a risolvere problemi decisionali;
Spesso possono portare a risposte corrette;
A volte producono errori.
Una di queste euristiche irrazionali è l’ancoraggio. Esperimento: ad alcuni studenti in laboratorio
viene mostrato un cordless, un libro o una bottiglia di vino; viene chiesto loro di scrivere le ultime
due cifre del loro codice fiscale e poi gli viene richiesto di dare un prezzo agli oggetti, cioè di fare
una valutazione. Teoricamente lo step due è inutile in quanto non c’entra nulla con la valutazione
degli oggetti, eppure le persone con le ultime due cifre del codice fiscale più grandi valutavano
l’oggetto fino a 346% di più di chi aveva le cifre del proprio codice fiscale più piccole. Le cifre del
codice fiscale hanno fatto da “ancora” che gli individui hanno usato per dare la propria valutazione
dei prodotti. L’ancoraggio è un processo cognitivo che può essere usato quando si formano dei
giudizi e delle valutazioni; in primis viene fatta una stima iniziale e secondariamente si aggiusta la
risposta verso l’alto o verso il basso per arrivare a un numero finale. Il risultato di questo
esperimento si spiega con l’ancoraggio e un aggiustamento insufficiente della propria valutazione,
se assumiamo che i soggetti abbiano utilizzato le due cifre finali del codice fiscale come ancora.
Siamo in presenza di un comportamento irrazionale, che viola la procedura di invarianza, secondo
la quale una preferenza non dovrebbe variare in funzione del metodo usato per rivelarla.
Interazioni strategiche
Molte volte, quando prendiamo una decisione, esaminiamo ciò fanno o farebbero gli altri, nella
misura in cui questo influenza il possibile risultato della scelta; lo studio dell’interazione strategica
è oggetto della teoria dei giochi. Lo studio delle interazioni strategiche ci serve anche per capire se
e come le persone riusciranno a coordinarsi tra loro per arrivare ad una situazione che è la
migliore ottenibile per tutti (efficienza paretiana) oppure se il libero interagire degli individui
conduce ad un risultato che non è quello ottimale per la società, seppur tutti agiscano in modo
razionale. La natura interattiva o strategica di molti problemi decisionali può essere formalizzata
sottoforma di “gioco”; si parla di gioco quando si ha a che fare con un problema decisionale il cui
risultato finale dipende non solo dalle nostre azioni, ma anche dalle azioni di almeno un altro
agente. Gli agenti coinvolti in un’interazione sono chiamati “giocatori”, essi hanno delle
“strategie”, cioè un piano completo di azione che descrive quale mossa un giocatore sceglierà in
ogni possibile circostanza. I risultati del gioco, che corrispondono ad ogni possibile combinazione
di strategia per ciascun giocatore, sono detti “payoff” e possono avere la forma di punizione o
ricompensa; la matrice di payoff è una tabella che indica i payoff (i risultati) dei diversi giocatori
per ogni combinazione scelta.
Il dilemma del prigioniero
Due criminali vengono arrestati perché sospettati di aver commesso due reati distinti; la polizia ha
prove sufficienti per incriminarli per il reato minore (possesso illegale di armi), ma non per quello
più grave (rapina in banca). Dopo aver separato i prigionieri, la polizia offre a ciascuno di loro una
pena ridotta se decidono di testimoniare l’uno contro l’altro: se i due decidono di cooperare (C) tra
loro e non confessare, saranno incarcerati per il reato minore e si faranno solo un anno di carcere;
se uno dei due confessa e testimonia contro l’altro (NC) e l’altro invece non confessa (C), il primo
viene liberato e l’altro si farà tre anni di prigione; se entrambi non cooperano (NC) e testimoniano
l’uno contro l’altro, entrambi vengono arrestati per il reato più grave, ma ricevono uno sconto
sulla pena per il fatto di aver collaborato con la polizia, cioè due anni. Cosa faranno i due
prigionieri per minimizzare il numero di anni di prigione? Adotteranno una strategia che
massimizza il benessere del gruppo o adotteranno una strategia che massimizza il benessere
individuale? Siamo in presenza di un dilemma sociale -> perseguo la strategia cooperativa, che
massimizza il benessere del gruppo oppure la strategia individualistica che massimizza il benessere
individuale? È un vero dilemma, perché se gli individui si comporteranno in maniera razionale
finiranno per scegliere la strategia non cooperativa, che apparentemente è la miglior risposta al
comportamento dell’altro, però al tempo stesso è quella più deleteria per il benessere del gruppo.
Quale sarà l’equilibrio del gioco? Ci sono diverse definizioni di equilibrio; noi ci atterremo al
concetto di equilibrio utilizzato tradizionalmente nella teoria dei giochi: l’equilibrio di Nash.
L’equilibrio di Nash è un profilo di strategie tale per cui ogni strategia al suo interno è la migliore
risposta alle altre strategie possibili; un equilibrio di Nash è tale se non ci sono altre strategie
perseguibili che possano portare ad un vantaggio strettamente maggiore. In altre parole, si
raggiunge l’equilibrio di Nash quando si adotta la strategia migliore rispetto alle altre per cui ogni
deviazione da queste scelte conduce ad una situazione subottimale dell’individuo. Un modo per
adottare l’equilibrio di Nash è quello di eliminare le strategie che sono strettamente dominate:
una strategia X è strettamente dominata da un’altra strategia Y se scegliere Y è meglio che
scegliere X indipendentemente dalla scelta dell’altro giocatore. Quindi riprendendo il dilemma del
prigioniero, la scelta conveniente per entrambi è quella di non cooperare, si può, perciò, dire che,
come propose Adam Smith, il libero perseguimento razionale dell’interesse individuale porta a
risultati ottimali dal punto di vista individuale: nessuno qui ha incentivo a cambiare strategia.
L’esempio del dilemma del prigioniero mostra che l’equilibrio di Nash non porta ad una condizione
ottimale per la società; in questo caso la società starebbe meglio nel suo complesso se entrambi
decidessero di cooperare. Possiamo quindi dire che il libero interagire degli interessi individuali
conduce ad un equilibrio che è ottimale per l’individuo, ma non per la società, cioè non è ottimale
dal punto di vista paretiano. Un risultato X è Pareto ottimale se non è Pareto dominato da nessun
altro risultato; un risultato X “Pareto domina” un altro risultato Y se tutti i giocatori preferiscono
debolmente X a Y e almeno uno preferisce strettamente X a Y.
L’interesse degli economisti sperimentali, nel corso dell’ultimo decennio, si è concentrato in
particolare sui giochi di contrattazione (bilaterale). In questi giochi due giocatori devono
raggiungere un accordo che sia reciprocamente soddisfacente. Un esempio è la determinazione
dello scambio di un bene, secondo la teoria neoclassica, il libero scambio produce benessere, nel
senso che lo scambio genera un mutuo vantaggio e tutti preferiscono scambiare piuttosto che
mantenere lo status quo. Dal momento che l’utilità di almeno una persona è aumentata dallo
scambio, esso genera una situazione Pareto-superiore a quella esistente prima dello scambio.
Tuttavia, il processo di negoziazione può essere faticoso e spesso può essere inutile quando non si
hanno informazioni sufficienti per stabilire quando tirare sul prezzo e quando invece è ora di
accettare l’offerta. In questi casi ci si affida ad altri criteri, come le norme sociali, cioè convenzioni
che aiutano a ridurre i costi di transazione e velocizzare gli scambi.
L’ultimatum game
Gioco sequenziale a due giocatori dove il primo giocatore (A) offre al secondo (B) la divisione di
una somma x in due parti (k, x-k); se B accetta la divisione ognuno si porta a casa quanto proposto
da A; se B rifiuta nessuno dei due guadagna nulla e tornano a casa entrambi con 0 euro in mano.
Questo gioco riproduce alcune caratteristiche di uno scambio dove una delle due parti ha molto
più potere di negoziazione; la contrattazione assume la forma di un “prendere o lasciare”
(ultimatum). Il venditore (A) ha interesse ad alzare il prezzo al massimo, offrendo una divisione
della torta che garantisca il massimo guadagno per sé e il minimo per il compratore (B); per
massimizzare la sua utilità, il giocatore B accetterà ogni offerta positiva (maggiore di zero), perché
ogni centesimo il più è meglio di zero; sapendo questo, il giocatore A avrà interesse a inviare il
meno possibile, così che B avrà interesse comunque ad accettare, si genera il surplus, cioè
nessuno va a casa senza soldi e potrà tenere per sé il massimo possibile.
Ma come si comportano veramente le persone in questo gioco? Si è osservato che raramente le
scelte delle persone sono coerenti con il subgame Nash perfect equilibrium, cioè inviare il minimo
e accettare tutto. Quello che si osserva in questi giochi, invece, è che:
- Il 50% delle persone tende a rifiutare, in media, offerte al di sotto del 20% della somma
iniziale x;
- Le offerte intorno al 40-50% vengono rifiutate raramente;
- Il giocatore A tende ad offrire, in media, una somma che varia tra il 30% e il 50%.
Le persone hanno preferenze sociali: sono disposte a rinunciare a qualcosa pur di fare la cosa
giusta o di non fare un torto a qualcuno. In questo gioco, un’offerta eccessivamente iniqua verso B
lo potrebbe portare a sentirsi vittima di un’ingiustizia e dunque a rinunciare all’offerta rinunciando
a parte del proprio guadagno; si dice che persone sono avverse alla diseguaglianza, quando sono
disposte ad incorrere in una perdita pur di ridurre la diseguaglianza. La scelta di offrire al secondo
giocatore tra il 30% e il 50% della somma iniziale potrebbe derivare dall’interazione di
considerazioni di pura giustizia e il tentativo strategico di sfruttare in parte la propria posizione di
potere. Un’altra interpretazione è che il convergere dei giocatori verso divisioni più eque sia frutto
dell’applicazione di norme sociali, cioè di convenzioni che spingono le persone a comportarsi in un
certo modo perché questo modo è quello accettato per convenzione da tutti. Deviare da una
norma sociale di buon senso e giustizia nella divisione della torta ha un costo, sia personale che
sociale, per questo le persone tendono a mettere in atto comportamenti coerenti con norme
sociali anche se questi confliggono con le norme prescritte dalla teoria della scelta razionale.
Il Dictator game
Somiglia all’Ultimatum game, solo che in questo caso il secondo giocatore non prende nessuna
decisione; il giocatore 1 deve decidere quanto inviare al giocatore 2, ma il giocatore 2 non deve
fare nulla. Ognuno torna a casa con i soldi che ha in tasca. In pratica il giocatore 1 deve decidere
come dividere la torta (x); l’equilibrio di Nash è dato dall’allocazione egoista; la teoria prevede che,
agendo da homo economicus, il giocatore 1 mantenga per sé tutto e non invii nulla al giocatore 2.
Questo gioco è stato testato tante volte in laboratorio e con diversi soggetti; in genere le divisioni
offerte dal primo giocatore nel dictator game divergono significativamente da quelle osservate
nell’ultimatum game. Il risultato ricorrente è che la media scende dal 40% al 25% della dotazione
iniziale (x), cioè i soggetti si comportano in modo decisamente più egoistico. Tuttavia, è stato
mostrato che solo il 35% dei soggetti tende a inviare 0, a comportarsi cioè come predetto dal
modello tradizionale di homo economicus. Anche in questo caso, quindi, possono entrare in gioco
motivazioni diverse da quelle predette dalla massimizzazione dell’utilità personale della teoria
tradizionale. Ad esempio, la letteratura sulle preferenze sociali può spiegare il comportamento
non totalmente egoistico che emerge in questi giochi: le persone hanno a cuore non solo il loro
benessere, ma anche quello degli altri; formalizzando questo concetto è possibile che un individuo
derivi utilità dai risultati/guadagni di un’altra persona, cioè stia meglio se anche l’altro sta meglio:
se è così, si dice che tale individuo è altruista (ha preferenze altruiste). Questo tipo di preferenze è
compatibile con i risultati osservati nel dictator game; tuttavia, un individuo potrebbe anche
essere invidioso: in tal caso la sua utilità aumenta quando i risultati dell’altra persona peggiora e
viceversa. Un comportamento coerente con i risultati osservati nel dictator game è quello di
individui avversi alla disuguaglianza; un agente potrebbe preoccuparsi del grado di disuguaglianza
esistente, in modo tale da classificare le diverse allocazioni basandosi sulla differenza assoluta tra
chi sta meglio e chi sta peggio. Un agente di questo tipo è avverso alla disuguaglianza e mostra
preferenza avverse alla stessa; un modo per formalizzarla è quello di minimizzare la differenza
assoluta tra le utilità di ciascuno: in questo caso gli agenti hanno a cuore l’uguaglianza di per sé.
Tuttavia c’è chi può avere a cuore l’uguaglianza solo se questa va ad avvantaggiare chi sta peggio
nella società; siamo in presenza di una persona con preferenze Rawlsiane che tenta di
massimizzare la minima utilità associata all’allocazione.
Il Trust game
Le transazioni di mercato sono raramente simultanee e spesso governate da contratti incompleti;
la mancanza di simultaneità è dovuta al fatto che la consegna di una merce o di un servizio può
avvenire prima o dopo il pagamento dello stesso. Quando la consegna avviene prima, il venditore
si trova esposto nei confronti del compratore, mentre se il primo esige un pagamento anticipato è
il compratore a trovarsi esposto se la merce non è della qualità desiderata. Uno dei modi per
superare il problema della fiducia è quello di sviluppare marchi che garantiscano un certo livello di
qualità al consumatore; in questo modo il venditore costruisce una reputazione che nel lungo
periodo non conviene sperperare. Cosa succede se la transazione è unica e non abbiamo
informazioni riguardo la controparte? Questo è il tipico problema di incontri anonimi e one shot,
anche se le frodi sono illegali e tutelate legalmente, in genere si cerca di risolvere le dispute in
modo diverso visti gli alti costi di transazione dovuti al ricorso alla giustizia. Date queste limitazioni,
non sorprende che lo sviluppo dei mercati sia accompagnato generalmente dallo sviluppo della
fiducia parallelo e più in generale del capitale sociale. La fiducia è stata definita il lubrificante delle
transazioni economiche. Il gioco della fiducia (trust game) consiste in un gioco dinamico a due
stadi, in cui il giocatore A (trustor) può decidere quanto denaro k inviare al giocatore B (il trustee);
la differenza (x-k) è trattenuta da A e diventa un guadagno netto alla fine dell’esperimento, la
somma trasferita, invece, è moltiplicata per 3 ed è affidata a B, il quale deve decidere quanto
denaro restituire ad A per il prestito ricevuto. Agendo da homo economicus in realtà non ci
dovrebbe essere nessuna transazione perché B sceglierà sempre di non restituire nulla; in realtà,
gli economisti sperimentali hanno scoperto che i mittenti nel trust game in media offrono solo la
metà della loro allocazione e che i destinatari restituiscono meno di quanto è stato investito. Ciò
che si osserva nel giocatore B nel trust game è una preferenza alla reciprocità: una
necessità/volontà di ricambiare il gesto di fiducia/investimento da parte del primo giocatore. Il
comportamento del giocatore B è anche compatibile con l’avversione alla diseguaglianza e con
l’altruismo. Il comportamento del giocatore A potrebbe essere spiegato da una preferenza
generalizzata alla fiducia nell’altro o con l’aspettativa che la sua fiducia venga in qualche modo
ripagata; il comportamento è anche compatibile con una preferenza all’altruismo.
Il gioco del bene pubblico
L’economista Jim Andreoni (1988) ha analizzato questo fenomeno utilizzando una variante nel
dilemma del prigioniero, il gioco dei beni pubblici. Questo gioco è un dilemma del prigioniero con
più di due giocatori e con una varietà di strategie più ampia della semplice alternativa “defeziona o
coopera”; ogni giocatore dispone di una somma (es. 10 euro) che può tenere per sé, oppure
decidere di versarne una parte in un fondo comune che sarà poi usato per progetto di pubblica
utilità di cui tutti beneficeranno. Tutto ciò che è stato versato nel fondo comune viene moltiplicato
per una fattore (es. 2) e diviso equamente tra tutti, indipendentemente da chi ha versato e da
quanto ha versato e da chi no. Data la natura del gioco, si può dimostrare che il risultato Pareto
ottimale si ottiene quando tutti i giocatori versano tutto il proprio denaro al fondo pubblico, ma
come nel dilemma del prigioniero, il risultato Pareto ottimale non è un equilibrio di Nash, per cui
ogni giocatore ha interesse a deviare dalla strategia del versare tutto perché versando di meno
può guadagnare di più. C’è quindi un incentivo a fare free riding, cioè godere della distribuzione
del fondo anche senza aver versato nulla, così come avviene nella vita reale per i beni pubblici e le
tasse. C’è un unico equilibrio di Nash in questo gioco e si ha quando nessuno sceglie di cooperare,
cioè quando si versa zero al fondo e il guadagno individuale da questa strategia è appunto 10 euro.
In questo caso però il bene pubblico non viene prodotto e non può distribuire i suoi benefici a chi
ha partecipato alla sua produzione; questa non è una situazione ottimale per la società, perché
tutti starebbero meglio se contribuissero alla costruzione del bene pubblico. Negli studi
sperimentali la cooperazione rimane però un fenomeno piuttosto persistente; nel dilemma del
prigioniero, la frazione di persone che scelgono di cooperare non è il 100%, ma non è neppure
zero. Per quanto riguarda il gioco dei beni pubblici, in media i giocatori versano nel fondo circa il
40-60% dell’allocazione iniziale. Anche per questo gioco le preferenze sociali contano: in
particolare, il comportamento osservato è coerente con la propensione personale a cooperare
per sostenere un bene pubblico e l’aspettativa che anche gli altri si comportino così.
Politiche economiche comportamentali
Ci sono delle anomalie comportamentali degli individui rispetto alla teoria dell’homo economicus,
e in particolare sull’assioma dell’auto-interesse e della perfetta razionalità; l’economica
comportamentale nasce appunto per tentare di spiegare queste anomalie tramite esperimenti di
laboratorio, era già una branca dell’economia affermata nella prima decade del ventunesimo
secolo, ma la crisi economica del 2007-2009 gli ha dato un ulteriore slancio. In generale, sembra
essere emerso un accordo tra gli economisti nell’affermare che la teoria economica possa avere un
impatto sostanziale sulla politica e sulla qualità della vita delle persone; tale impatto può essere
migliore o peggiore a seconda dell’adeguatezza delle teorie che si usano per risolvere i problemi.
Gli economisti comportamentali hanno sviluppato la teoria del “paternalismo libertario” e
politiche conosciute come “agenda nudge” che consentono di migliorare la qualità della scelta
delle persone e quindi il loro benessere a costo minimo e senza interferire con la loro libertà e
autonomia. Per i critici l’agenda nudge rappresenta un’intrusione pericolosa e inefficace nella sfera
personale fatta da burocrati. L’attenzione ai limiti cognitivi dell’uomo precede di molti anni la
nascita dell’economia cognitiva; Keynes, in un suo celebre testo del 1936, affermava che il mercato
non è in grado di autoregolarsi perché è primario il fatto che animal spirits generino un’instabilità
sistemica determinata dalle tendenze psicologiche che stanno alla base della presa di decisioni.
Keynes introduce questo concetto per indicare quella caratteristica umana costituita da impulsi e
istinti oltre che da preconcetti e automatismi mentali che insieme ad altri fattori determina lo
scarto tra i comportamenti subottimali degli agenti e il comportamento massimizzante dell’agente
a razionalità perfetta. A differenza di Keynes, gli economisti comportamentali non credono nella
sostituzione dei meccanismi di mercato con la centralizzazione delle risorse ad opera dello Stato. I
due concetti chiave per capire la nuova prospettiva sono:
Impalcatura cognitiva: qualsiasi struttura utilizzata da uomini e animali per migliorare le
proprie performance, che siano esse individuali o collettive;
Architettura delle scelte: conoscendo gli errori di ragionamento automatico che
caratterizzano le persone è possibile creare le condizioni per sviluppare l’architettura delle
scelte degli individui al fine di promuovere le migliori possibili. In nudging ne è un esempio,
sono stimoli che fungono da spinte per determinate azioni e che quindi rendono il processo
decisionale più facile.
La storia del nudging
Herbert Simon, premio Nobel per l’economia, aveva iniziato la sua carriera accademica da
scienziato politico e aveva introdotto le sue innovazioni nel comune di Milwaukee; la più
importante è il concetto di razionalità limitata, che trae origine dallo studio dell’organizzazione
pubblica per superare la limitazione cognitiva del singolo decisore umano. Lo studioso aveva
riscontrato che la divisione delle mansioni e l’emergenza nelle routine organizzative consentono di
elaborare decisioni che altrimenti i vertici amministrative e politici non riuscirebbero a prendere. Il
decisore pubblico ha molti limiti nell’esecuzione della sua mansione: la difficoltà a reperire
informazioni critiche per modulare la norma in modo tale che sia psicologicamente efficace; cioè la
possibilità di conoscere profili di comportamento, abbastanza stabili, che potrebbero essere
provocati dal cambiamento dei contesti di scelta del soggetto. Sulla base di queste conoscenze il
policy maker potrebbe calibrare la norma in modo da raggiungere l’obiettivo voluto. La strada
aperta da Simon trova nello sviluppo del “Programma euristiche e biases” di Daniel Kahneman e
Amos Tversky la risposta parziale a questa esigenza. Dagli anni ’70 ad oggi Kahneman e altri
studiosi hanno sondato vari aspetti della cognizione umana, legata a processi di giudizio e di
decisione; hanno preso il modello della razionalità economica come riferimento normativo e
hanno confrontato le performance comportamentali in vari contesti di scelta, grazie a questo è
stato possibile mettere in luce una serie di bias (errori cognitivo-sistematici), pregiudizi ed effetti
soprattutto nel pregiudizio statico e nel calcolo delle probabilità. Questi errori si sono sommati a
quelli riscontrati da altri psicologi e nel complesso hanno rivelato una razionalità umana fosca.
Tramite test sperimentali si è riscontrata una regolarità legata all’attivazione di meccanismi
naturali di decisioni euristiche responsabili di risposte subottimali. La teoria del prospetto è il
risultato più eclatante di questo lavoro e l’alternativa migliore alla teoria dell’utilità di stampo
neoclassico; con questi risultati si sono evidenziati vari pattern comportamentali stabili, automatici
e legati al contesto. Da questi contributi emerge una rappresentazione dell’essere umano come
limitato nella sua capacità razionale, è guidato da automatismi decisionali che lo portano a cadere
in trappole e a soffrire di illusioni cognitive, è più inerte che attivo, ma se il cittadino non è il grado
di perseguire il suo bene, allora deve essere aiutato. Richard Thaler e Cass Sunstein iniziano a
partire dai primi anni 2000 a chiedersi che contributo può dare la psicologia alle politiche
pubbliche. Thaler aveva già iniziato a lavorare su politiche che favorissero le scelte di risparmio
degli individui; dopo vari esperimenti seguì il successo del programma comportamentale “Save
more tomorrow”, questo programma aveva dimostrato che, sfruttando alcune anomalie
comportamentali come l’avversione alle perdite e l’illusione monetaria, si sarebbero potuti
raggiungere obiettivi di natura sociale ed economica, come l’aumento della propensione al
risparmio previdenziale. Poco dopo questo approccio comportamentale si estese ad un’ampia
gamma di politiche pubbliche, ciò che caratterizzava queste proposte era una spinta di tipo
paternalistico orientata a suggerire al cittadino di prendere decisioni migliori per il suo benessere
unita però alla salvaguardia libertaria della sua autonomia di scelta.
Nudging vs behavioral insights
I nudges sono piccoli indizi e spintarelle, ma anche esche che orientano più o meno la mente a
prendere certe decisioni al posto di altre, se gli esseri umani fossero perfettamente razionali essi
sarebbero una perdita di tempo, invece, si sono rivelati straordinariamente utili ed efficaci nella
nostra vita quotidiana. Tali spinte risultano essere condizionanti in quei momenti dove la scelta da
prendere è complessa, e si rischia di trovarsi in un difetto di esperienza, di informazioni e di un
immediato feedback che ci consenta di imparare strada facendo. Troppo spesso i consumatori non
vengono trattati come perfettamente razionali, ma anzi è proprio la loro razionalità limitata che
viene sfruttata, ad esempio attraverso la disposizione dei prodotti nel supermercato. La presenza
di questa “spintarella” risulta particolarmente condizionante nel momento in cui siamo dilettanti
esposti ad un esercito di professionisti. Sono proprio questi casi che necessitano di un intervento
delle istituzioni affinché l’architettura delle scelte accresca il benessere di coloro che scelgono e
non di coloro traggono vantaggio egoistico dalle debolezze umane e dall’opacità dei contesti
decisionali. Mal congegnati elementi di architettura decisionale possono portare a problemi come
quello dei mutui subprime che portò alla crisi del 2007-2009 perché i sottoscrittori di questi mutui
non avevano capito le condizioni stipulative e si fidava dei propri broker. I nudges sono ovunque,
anche se molto spesso non ce ne accorgiamo, l’architettura delle scelte è dilagante ed inevitabile e
influenza le nostre decisioni. L’applicazione di politica economica derivate dall’economia cognitiva
non mira a imporre decisioni che siano migliori, ma a sensibilizzare e responsabilizzare chi progetta
interventi architettonici al fine di creare migliori ambienti di scelta, più semplici e trasparenti e
quindi potenzialmente vantaggiosi per gli individui.
Nudging e paternalismo libertario
Un intervento viene classificato come nudge quando non è una regolamentazione coercitiva,
preserva la libertà di scelta, si basa su risposte automatiche, non implica metodi di persuasione
diretta, non cambia in modo significativo gli incentivi economici e deve ridisegnare il contesto di
scelta secondo le scoperte dell’economica comportamentale. Viene proposta una forma di
paternalismo libertario che ha una doppia valenza:
Confronti sociali: si è visto che dare ad un utente informazioni riguardo alla performance
ambientale delle persone del proprio vicinato aumenta il comportamento virtuoso.
Meccanismi di feedback: fornire in tempo reale informazioni sul proprio consumo ed
eventualmente su quello di altre persone del proprio vicinato.
Gamification: mostrare faccine verdi sorridenti in bolletta se il proprio consumo è più
efficiente della media del proprio quartiere e/o rispetto alla propria media.
Irrazionalmente la competizione ci spinge a mettere in atto comportamenti che altrimenti non
adotteremmo, si può far leva su questa tendenza per un fine socialmente utile: la tutela
dell’ambiente. Molto spesso non ci rendiamo conto di quanto stiamo consumando e, se lo
sapessimo, staremmo più attenti, a questo servono i meccanismi di feedback reale sul nostro
attuale consumo. Faccine sorridenti o immagini dell’ambiente che si deteriora sono pungoli che
fanno leva sulla nostra necessità di auto-approvazione e di tenere alta l’immagine di noi stessi. I
costi per il governo, qualora volesse incentivare questi interventi, sono contenuti rispetto ai
risultati di salvaguardia ambientale e benessere intergenerazionale potenzialmente raggiungibili.