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APPUNTI DI POLITICA ECONOMICA

Il PIL
Il PIL (Prodotto Interno Lordo) stima il valore di mercato di tutti i prodotti finali realizzati in un
paese in un dato periodo; può essere calcolato in termini nominali e cioè a prezzi di mercato,
oppure in termini reali per tenere conto dell’inflazione e dell’aumento generale dei prezzi.
Importante è anche il PIL potenziale, cioè la tendenza di lungo periodo del PIL, rappresenta la
quantità massima che un’economia può produrre mantenendo invariati i prezzi. I beni sono mezzi
materiali e immateriali atti a soddisfare bisogni umani, possono essere liberi o economici,
caratterizzati da scarsità; i beni economici possono essere a loro volta intermedi, quindi che
necessitano di ulteriori trasformazioni, o finali e quindi adatti al diretto soddisfacimento di bisogni.
I beni economici finali possono essere suddivisi in beni di consumo, se destinati alle famiglie, o di
investimento, se destinati alle imprese. Il PIL può essere calcolato in tre modi: per somma dei
valori aggiunti di un’economia (lato produzione); somma dei redditi di un’economia (lato
distribuzione); valore dei beni e servizi finali in un dato periodo (lato impieghi). In un economia nel
suo complesso possiamo quindi sommare: Y=C+I+G+E-IMP. Dove Y è il PIL; C è il consumo privato;
I sono gli investimenti privati; G è il consumo pubblico; E le esportazioni e IMP le importazioni. Il
PIL è un concetto di flusso; uno stock è una grandezza misurata in un preciso istante temporale, un
flusso è una variabile misurata con riferimento ad un intervallo di tempo ed esprime la variazione
di uno stock nell’intervallo considerato. PIL nominale: prezzo di A x quantità di A + prezzo di B x
quantità di B; è detto anche PIL a prezzi correnti. Il PIL reale: prezzo di A al tempo t0 x quantità di
A al tempo t1 + prezzo di B al tempo t0 x quantità di B al tempo t1; è anche detto PIL a prezzi
costanti. Dividendo il PIL reale per il PIL nominali si ottiene il deflatore del PIL che serva a misurare
il livello generale dei prezzi ed è quindi un indice del tasso di inflazione; è possibile anche calcolare
il valore del PIL reale dividendo il PIL nominale per il deflatore e moltiplicando per 100. L’indice dei
prezzi al consumo (IPC) misura il livello dei prezzi di un paniere tipico di consumo delle famiglie. Il
tasso di inflazione in termini percentuali si calcola attraverso la formula:
P t−Pt −1
X 100
P t−1

La variazione congiunturale è la variazione del tasso di inflazione rispetto al periodo precedente,


mentre la variazione tendenziale è la variazione rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Il PIL pro-capite è il PIL diviso per la popolazione.
Mercato del lavoro
L’occupazione deve tenere conto di più variabili: la popolazione in età lavorativa, gli occupati (L); i
disoccupati (U); la forza lavoro (F); i principali indicatori di tali variabili sono: il tasso di
occupazione; il tasso di disoccupazione e il tasso di attività.
U
Il tasso di occupazione è dato dal numero di disoccupati fratto la forza lavoro ->
F
Il tasso di occupazione è dato dal numero di occupati fratto la popolazione in età lavorativa ->
L
PEL
F
Il tasso di attività è dato dalla forza lavoro fratto la popolazione in età lavorativa ->
PEL
Perché il numero di disoccupati diminuisca è necessario che il numero di occupati cresca più di
quanto è aumentata la forza lavoro. La produttività media del lavoro è data dal PIL diviso il
numero di occupati; la produttività del lavoro misura il valore aggiunto per addetto.
Consumo, investimenti e risparmi
In macroeconomia il consumo è la spesa totale per beni di consumo da parte dei cittadini di Paese
in un dato periodo; il consumo privato è indicato con C, mentre il consumo pubblico è indicato con
G. Gli investimenti possono essere fissi o lordi, questi ultimi comprendono anche la variazione
delle scorte nel periodo considerato e gli ammortamenti; gli investimenti finanziari non sono
compresi in questo concetto di investimenti. Gli investimenti sono un concetto flusso, indicano la
variazione dello stock di capitale nel periodo considerato -> I n=∆ K . Il risparmio è quella porzione
di reddito che non è destinata al consumo, in altre parole è la differenza tra il reddito disponibile,
al netto delle imposte e il consumo -> S=Y-T-C. In economia chiusa e senza settore pubblico
l’investimento è uguale al risparmio; in economia aperta gli investimenti non sono
necessariamente uguali al risparmio nazionale è, infatti, possibile acquisire risparmi dall’estero e
trasferire risparmi all’estero.
L’equilibrio macroeconomico
La macroeconomia moderna, fino agli anni ’70, è stata fondata sul contributo di Keynes grazie alla
sua teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della monete del 1936; lo studioso
proponeva una semplice rappresentazione con solo settore reale e senza prendere in
considerazione importanti aspetti come quello monetario e finanziario. Hicks nel 1937 formalizza il
sistema keynesiano, diventato poi il modello IS-LM, in questo sistema gli investimenti non sono
dati, ma sono considerati in funzione del tasso di interesse (I) e l’equilibrio viene raggiunto quando
sia il mercato reale che il mercato monetario sono simultaneamente in equilibrio. Si ha equilibrio
sul mercato dei beni quando la domanda aggregata è uguale all’offerta aggregata; l’offerta
aggregata è misurata dal prodotto interno, le componenti della domanda aggregata sono i
consumi, gli investimenti, la spesa pubblica e le esportazioni nette. Nei modelli di derivazione
keynesiana la domanda determina l’offerta: se l’economia non è in condizioni di piena
occupazione, l’offerta si può adattare all’aumento della domanda senza impatto sul livello dei
prezzi; se l’economia sia avvicina al pieno impiego, l’offerta si adegua lentamente alla domanda,
ma le imprese a fronte di un aumento della domanda aumentano i prezzi e si crea perciò
inflazione.
Il consumo
La funzione di consumo, secondo Keynes, implica che gli uomini sono disposti ad aumentare i
proprio consumi all’aumentare del reddito, ma non tanto di quanto aumenti il reddito.

C=C 0+ cY
PMAC è uguale a c ed indica la propensione marginale al consumo, cioè la variazione del consumo
∆C
conseguente alla variazione di un’unità di reddito disponibile -> c= ,0<c<1
∆Y
C 0 è consumo autonomo che non dipende dal reddito. La propensione media al consumo (PMC) è
la propensione media al consumo ed è uguale al consumo fratto il reddito e diminuisce
all’aumentare del reddito. Il modello keynesiano della funzione di consumo prevede che il
consumo C cresca più lentamente del reddito Y; questa previsione è stata, però, messa in dubbio
da alcune evidenze empiriche, infatti, dopo la Seconda guerra mondiale la propensione media al
consumo non è diminuita, ma i consumi sono cresciuti in linea al reddito. Il ciclo di vita secondo
Modigliani: il reddito varia sistematicamente lungo la vita di un lavoratore; i consumatori usano il
risparmio per bilanciare il consumo durante tutto il corso della vita; il consumo dipende sia dal
reddito che dalla ricchezza.
Il risparmio
La funzione di risparmio è definita come la differenza tra reddito e consumo S=Y-C; l’immagine
speculare della propensione al consumo è la propensione marginale al risparmio s ->
∆S
s= =1−c
∆C
Nella funzione di risparmio l’inclinazione è pari alla propensione marginale al risparmio ossia 1-c
per cui -> S=−C0 + s ∙ Y

Gli investimenti
Gli investimenti possono essere considerati come esogeni al modello: non dipendono dalle
variabili incluse nel modello, sono dati; o endogeni al modello: vengono spiegati, sono determinati
da fattori/variabili interne al modello come il tasso di interesse (modello IS-LM) o la domanda
aggregata (modello dell’acceleratore). Gli investimenti delle imprese dipendono dal costo di
prendere a prestito i capitali necessari che è dato dal tasso di interesse reale i, tanto più alto è i e
tanto più bassi sono gli investimenti. C’è una relazione inversa tra i e I, la funzione degli
investimenti è: I =I 0−bi, dove I alla zero è la componente autonoma degli investimenti e b è un
parametro positivo. La teoria dell’acceleratore mette in relazione la variazione della spesa per
investimenti con variazione del livello del prodotto. Può essere espressa da: I =v ∆Y , dove v è il
coefficiente tecnico di accelerazione che è solitamente compreso tra 2 e 4. Una variazione del
reddito determina variazioni più che proporzionali degli investimenti -> instabilità economica
ciclica. Fattori che determinano gli investimenti sono: il tasso di interesse, la domanda aggregata,
le sostituzioni e i programmi di lungo periodo.
Il modello keynesiano semplice
Keynes nel 1936 sviluppa una teoria basata sul concetto di domanda aggregata Y D e cioè la
domanda totale di beni e servizi formulata da un sistema economico nel suo complesso in un dato
periodo di tempo. Secondo la teoria di Keynes in tempi di crisi è dannoso il non intervento dello
Stato che dovrebbe sostenere l’economia con politiche che accrescano la domanda dei
consumatori e delle imprese. In sintesi, per Keynes le crisi economiche nascono da una scarsa
domanda sia da parte dei consumatori che da parte dei produttori che non effettuano abbastanza
investimenti; ciò provoca un calo dell’occupazione che a sua volta provoca un ulteriore calo dei
consumi; da questo circolo vizioso si può uscire solo con l’intervento dello Stato attraverso
politiche monetarie o politiche fiscali. L’equilibrio nel modello reddito-spesa in economia chiusa e
senza Stato -> la bisettrice indica il luogo dei punti in cui la domanda è uguale al prodotto; tutti i
punti sull’asse delle ascisse sono uguali ai punti sull’asse delle ordinate; la retta del reddito è
uguale a: Y D=Y S. In equilibrio i risparmi sono uguali agli investimenti S=I.
Il moltiplicatore keynesiano semplice
1
Partendo dalla formula ridotta dell’equilibrio macroeconomico: Y = ¿)
1−c
1. C 0+ Í è la spesa autonoma ed è formata dalle componenti esogene del sistema: consumo
autonomo ed investimenti.
1
2. è il moltiplicatore della spesa autonoma: moltiplicando per tale valore la spesa
1−c
autonoma si ottiene il valore di equilibrio del reddito Y.
Poiché la propensione al consumo c è sempre maggiore di zero e minore di uno allora il
moltiplicatore ha sempre valore positivo e maggiore di uno. Il moltiplicatore è il reciproco della
propensione al risparmio essendo s=1-c.
Il moltiplicatore degli investimenti si può definire come la variazione complessiva del reddito che
∆Y 1 1
si ottiene partendo da una variazione iniziale degli investimenti. = =
∆ I 1−c s
Quando aumenta un componente della spesa autonoma il reddito aumenta in misura maggiore; il
∆Y
rapporto è detto moltiplicatore degli investimenti ed è sempre maggiore di 1. La variazione
∆I
di reddito complessiva è superiore all’aumento di investimento iniziale.
Il modello keynesiano con settore pubblico
Nel modello analizzato l’equilibrio economico non indica piena occupazione, il reddito di equilibri
potrebbe non impiegare tutta la popolazione attiva, il reddito di piena occupazione è quindi in
generale maggiore di Y*; in questi casi lo Stato deve intervenire con politiche fiscali e monetarie,
secondo Keynes le politiche fiscali di spesa pubblica sono le più efficaci perché aumentando la
domanda aggregata aumenta anche l’occupazione. La politica pubblica ha un effetto indiretto
sulla domanda tramite i consumi: più spesa pubblica -> più reddito complessivo Y S -> più consumi.
La domanda aggregata cresce molto più dell’aumento di G (spesa pubblica). La spesa pubblica ha
∆Y 1
un impatto simile agli investimenti e dipende dalla PMAC -> = >1
∆ G 1−c
Introduciamo la tassazione
Il consumo dipende dal reddito disponibile dopo la tassazione; come considerare la tassazione?
Può essere considerata in somma fissa -> T=T 0; o come proporzionale -> T=tY S .

Nel nostro modello consideriamo la tassazione in somma fissa: quando la tassazione è fortemente
vincolata al livello della spesa pubblica è più realistico assumere il livello di tassazione in forma
fissa come variabile esogena.
Il risparmio e le tasse
Il risparmio totale è la somma di risparmio privato e risparmio pubblico; il risparmio privato S è il
risparmio dei consumatori S=Y SN -C; il risparmio pubblico è uguale alle imposte meno la spesa
pubblica= T-G; se T>G abbiamo un avanzo di bilancio pubblico, se T<G abbiamo un disavanzo di
bilancio pubblico. In economia chiusa gli investimenti sono uguali al risparmio totale. Il modello
1
keynesiano con settore pubblico sarà così espresso dalla formula: Y = (C 0 + Í +G−cT )
1−c
Dove la parte di equazione all’interno della parentesi rappresenta la spesa autonoma, cioè la
domanda di beni che non dipende dalla produzione ed è formata dalle componenti esogene del
sistema. La politica fiscale di aumento della tassazione (T) mantenendo costante la spesa pubblica
(G) ha due effetti:
- Effetto diretto: diminuzione del reddito pari a cT;
- Effetto indiretto: diminuzione della domanda tramite la riduzione di C;
Perché la domanda aggregata diminuisce molto più di quanto aumenti T? Per il moltiplicatore. Il
∆ Y −c
moltiplicatore della tassazione è dato da: =
∆ T 1−c
Anche se la spesa pubblica è totalmente finanziata dalle tasse per cui ∆G=∆T, il reddito comunque
aumenterà -> teorema di Haavelmo. In sintesi il moltiplicatore:

 È il fattore per il quale si deve moltiplicare la variazione iniziale della spesa per determinare
la corrispondente variazione del prodotto totale di equilibrio.
 Il modello keynesiano mostra come un incremento della spesa faccia crescere il prodotto in
modo amplificato.
 Il moltiplicatore è tanto maggiore quanto maggiore è la propensione marginale al
consumo.
 Il moltiplicatore è tanto minore quanto maggiore è la propensione marginale al risparmio.
 È una teoria economica che deriva dalla constatazione che una variazione di un euro di
determinate componenti porta ad una variazione del PIL di più di un euro.
 Spiega come variazioni di una componente della spesa possano incidere sul prodotto e
sull’occupazione.
 Assume la non piena occupazione.
 Ignora la politica monetaria e assume che gli investimenti siano determinati
esogenamente.
La curva LM
Hicks nel 1937 formalizza il sistema keynesiano diventato poi il modello IS-LM; in questo modello
gli investimenti non sono dati, ma sono funzione inversa di r e cioè la congiunzione tra mercato
reale e monetario; l’equilibrio viene raggiunto quando entrambi i mercati sono simultaneamente
in equilibrio.
Ipotesi del modello IS-LM
I prezzi sono dati, gli aggiustamenti passano attraverso variazioni delle quantità prodotte e del
tasso di interesse; l’investimento non è più esogeno, ma dipende dal tasso di interesse -> il
settore monetario e quello reale sono ora interdipendenti.
Il mercato monetario
Ci sono più motivi per detenere moneta: il motivo delle transazioni; il motivo precauzionale e il
motivo speculativo. Transazioni -> la moneta è detenuta per effettuare transazioni, poiché le
entrate e le uscite degli agenti economici non sono sincronizzate; tanto maggiore è il volume delle
attività e tanto maggiore è il volume delle transazioni; dunque, la domanda di moneta è funzione
crescente del PIL: la domanda di moneta dipende dal reddito. Precauzionale -> l’ammontare della
moneta detenuta dipende dall’incertezza: si detiene liquidità per far fronte a degli imprevisti; in
questo modo però si rinuncia al tasso di guadagno derivato da impieghi alternativi della moneta: il
tasso di interesse; al crescere del tasso di interesse sempre più persone preferiscono l’impiego
finanziario alla liquidità: la domanda di moneta scende. Speculativo -> gli speculatori, per
realizzare guadagni in conto capitale, vendono titoli quando il loro valore è alto, li ricomprano
quando il loro valore è basso; c’è un legame inverso tra il valore di un titolo e il suo rendimento: la
domanda di moneta liquida diminuisce al crescere del tasso di interesse. Keynes considerava una
sola alternativa alla moneta come riserva di valore: i titoli. Un titolo è un’attività che fornisce al
suo possessore un reddito annuo fisso in termini monetari -> il prezzo dei titoli e il tasso di
interesse sono inversamente proporzionali. Se gli investimenti sono alti si ritiene che il tasso
d’interesse sta per diminuire e perciò abbiamo meno domanda liquida a scopo speculativo. Se gli
investimenti sono bassi ci si aspetta che il tasso d’interesse aumenterà e quindi abbiamo più
domanda liquida a scopo speculativo. La domanda di moneta liquida a scopo speculativo
diminuisce al crescere del tasso di interesse. Se il sistema arriva ad un tasso d’interesse minimo si
dice che si è finiti dentro la trappola della liquidità; nessuno compra titoli, ma tutti cercano di
detenere moneta in forma liquida per comprare i titoli quando il tasso di interesse risalirà e i prezzi
dei titoli torneranno a scendere; al contempo, tutti vogliono vendere titoli prima che si svalutino e
quindi domandano moneta liquida finendo in una crisi finanziaria.
La domanda di moneta

La domanda di moneta può essere espressa dalla seguente formula: M d =kY + z−hi; dove M d
rappresenta la domanda di moneta, Y il reddito, i il tasso di interesse e h, z e k sono parametri (h è
la sensibilità della domanda di moneta al variare di i; k è la sensibilità della domanda di moneta al
variare di Y); la domanda di moneta dipende positivamente dal reddito e negativamente dal tasso
di interesse.
L’offerta di moneta
La teoria monetaria spesso assume che l’offerta di moneta sia esogena, il tasso di interesse di
equilibrio è tale uguagliare domanda e offerta di moneta; se aumenta il reddito aumenta la
domanda di moneta per transizioni, ma un aumento dell’offerta di moneta riduce il tasso di
interesse; un aumento dell’offerta di moneta non ha effetti sull’interesse se ci troviamo già nella
trappola della liquidità.
La curva LM
La curva LM rappresenta le combinazioni tra i e Y che assicurano l’equilibrio sul mercato della
moneta, ovvero che assicurano l’uguaglianza tra domanda e offerta di moneta; abbiamo una
relazione diretta tra Y e i che viene rappresentata con una retta inclinata positivamente, la LM. La
curva LM rappresenta tutte le coppie di produzione/reddito e tasso di interesse che assicurano
l’equilibrio sul mercato monetario. La curva LM normalmente è inclinata positivamente:
1. Tanto più la domanda di moneta risente delle variazioni del tasso di interesse, tanto più la
LM è piatta;
2. Nel caso della trappola della liquidità la LM è orizzontale;
3. Nel caso in cui la domanda di moneta non dipenda da i, la LM diventa verticale (caso
neoclassico);
L’equilibrio sul mercato della moneta fa sì che, per una data offerta reale di moneta, un aumento
di Y, che fa aumentare la domanda di moneta, porti ad un aumento di i; questa relazione è
rappresentata dalla curva crescente LM; un aumento dello stock di moneta sposta la LM verso il
basso, viceversa, una riduzione dello stock di moneta sposta la LM verso l’alto.
La curva IS
La curva IS rappresenta le combinazioni tra tasso di interesse (i) e reddito (Y) che assicurano
l’equilibrio sul mercato dei beni; per costruire la IS si utilizzano: la funzione del risparmio;
l’eguaglianza tra risparmi ed investimenti; la domanda di investimenti in funzione di i. Un aumento
di i comporta una riduzione di Y e viceversa, dunque, abbiamo una relazione inversa tra i e Y.
Le equazioni della IS senza settore pubblico:

- Y D=C + I ; la domanda è uguale alla somma tra spesa in consumi ed investimenti;


- Y S =Y D=Y ; in equilibrio l’offerta è uguale alla domanda;
- C=C 0+ c Y S; funzione del consumo;
- I =I 0−bi ; funzione degli investimenti;
1
Y= [C 0+ I 0−bi]
1−c
La IS è la curva che descrive l’equilibrio sul mercato dei beni, è inclinata negativamente,
l’inclinazione dipende: dall’inclinazione della funzione degli investimenti; più sensibili sono gli
investimenti alla variazione di i, più piatta sarà la funzione degli investimenti e più piatta è la IS.
Ogni fattore esogeno che provoca una variazione positiva o negativa di Y sposta la curva IS: con un
aumento della domanda autonoma la curva IS si sposta a destra e in alto; con una riduzione della
domanda autonoma la curva IS si sposta a sinistra e in basso. Un aumento del tasso di interesse
induce le imprese a diminuire gli investimenti e questo riduce la domanda aggregata; per
mantenere l’equilibrio l’offerta deve diminuire; tassi di interesse più alti sono associati a minori
livelli di produzione lungo la curva IS.
La curva IS con settore pubblico:
Se introduciamo la pubblica amministrazione dobbiamo tenere conto della spesa pubblica (G) e
della tassazione (T); esse entrano in costruzione della IS come variabili esogene; la somma di
risparmio ed imposte deve eguagliare la somma di investimenti e spesa pubblica.
Le equazioni della IS con settore pubblico:

- Y D=C + I +G ; la domanda è uguale alla spesa in consumi ed investimenti privati e pubblici;


- Y S =Y D=Y ; in equilibrio l’offerta è uguale alla domanda;
- Y SN =Y S−T ; reddito disponibile dopo la tassazione;
- C=¿ C 0+ c Y SN ; funzione del consumo;
- I =I 0−bi ; funzione degli investimenti;
1
Y= [ C0 + I 0 +G−bi ]− c T
1−c 1−c
La IS si sposta verso destra se: aumenta G; si riduce T; aumenta il consumo autonomo C 0;
aumentano gli investimenti autonomi I 0. La IS si sposta verso sinistra nei casi opposti.

Il modello IS-LM
Nel caso della curva IS è il tasso di interesse che determina gli investimenti e quindi anche il livello
del reddito; nel caso della curva LM è il livello del reddito e l’offerta di moneta a determinare il
tasso di interesse. La IS rappresenta l’equilibrio sul mercato dei beni, mentre la LM rappresenta
l’equilibrio sul mercato monetario -> vi è una sola combinazione Y, i che assicura l’equilibrio su
entrambi i mercati. L’equilibrio sul mercato dei beni richiede che un aumento di i comporti una
riduzione di Y -> curva IS; l’equilibrio sul mercato della moneta richiede che un aumento di Y sia
accompagnato da un aumento di i -> curva LM; solo nel punto di intersezione tra le due curve
entrambi i mercati si trovano in equilibrio.
Politica fiscale e monetaria nel modello IS-LM
Abbiamo la possibilità di adottare quattro politiche: politica fiscale restrittiva; politica fiscale
espansiva; politica monetaria restrittiva; politica monetaria espansiva o una combinazione delle
precedenti.
Politica fiscale restrittiva
In una politica fiscale restrittiva abbiamo un aumento della tassazione (T) e/o un calo della spesa
pubblica (G); in tale politica Y e i diminuiscono.
Politica fiscale espansiva
In una politica fiscale espansiva abbiamo una riduzione della tassazione (T) e/o un aumento della
spesa pubblica (G); essa ha effetti inversi a quelli descritti per la politica fiscale restrittiva. Se G
aumenta: il reddito cresce e la domanda di moneta ( M d ¿, in particolare quella per le transazioni,
aumenta; l’offerta di moneta ( M s ¿ è invariata, abbiamo un eccesso di domanda di moneta che
provoca un aumento del tasso di interesse per riportare in equilibrio il mercato monetario; la
domanda di moneta a scopo speculativo e precauzionale deve diminuire; il prezzo dei titoli si
riduce, gli agenti usano liquidità per acquistare i titoli e di conseguenza si riduce anche la domanda
di moneta. La spesa pubblica, però, spiazza gli investimenti privati (I), c’è un mancato aumento del
reddito dovuto all’aumento dei tassi di interesse (i). L’incremento del reddito non sarà il massimo
incremento possibile, cioè quello ottenibile dalla variazione di G per il moltiplicatore, ma sarà
minore perché aumentano i si riduce la spesa per I e, quindi, l’incremento del reddito.
Se la spesa pubblica (G) aumenta:
1. Si avrà una riduzione della spesa privata -> effetto di spiazzamento;
2. La spesa pubblica spiazza la spesa privata;
3. Si avrà un incremento del reddito irrealizzato per la riduzione della spesa per gli
investimenti.
Lo spiazzamento si può misurare come mancato aumento del reddito Y dovuto ad un aumento dei
tassi di interesse; l’effetto di spiazzamento è tanto maggiore quanto più la curva IS è piatta e in
questo caso la politica fiscale è meno efficace; ed è tanto maggiore quanto più la curva LM è
inclinata, anche in questo caso la politica fiscale è meno efficace; nei casi opposti, e quindi quando
la curva IS è più inclinata e quando la curva LM è più piatta, la politica fiscale è più efficace.
Politica monetaria espansiva
Sul mercato della moneta c’è un eccesso di offerta, di conseguenza la curva LM si sposta verso
destra; per convincere gli operatori a detenere moneta i tassi di interesse (i) devono diminuire. In
questo modo il prezzo dei titoli cresce e di conseguenza ci sarà una vendita dei titoli e/o un’attesa
nell’acquistarli che porterà ad un aumento della domanda di moneta liquida per scopi speculativi.
Si avrà quindi un nuovo equilibrio a seguito di un aumento del reddito Y e di una riduzione di i.
Politica monetaria restrittiva
Sul mercato della moneta c’è un eccesso di domanda, di conseguenza la curva LM si sposta verso
sinistra; per convincere gli operatori ad impegnare moneta i tassi di interesse (i) devono crescere.
In questo modo i prezzi dei titoli scenderanno e di conseguenza ci sarà un aumento dell’acquisto
dei titoli e/o un attesa nel venderli che condurrà ad una diminuzione della domanda di moneta
liquida per scopi speculativi (m3). Il nuovo equilibrio sul mercato sarà raggiunto a seguito di una
diminuzione del reddito Y e di un aumento di i.
Equilibrio IS-LM e livello di occupazione
L’equilibrio individuato nell’intersezione tra la curva IS e la curva LM non garantisce che si
raggiunga il reddito di piena occupazione; è necessario l’intervento pubblico che, attraverso
politiche fiscali e monetarie, permetta di raggiungere il pieno impiego delle risorse.
Sommario
La curva IS: deriva dalla funzione degli investimenti per la quale gli investimenti programmati
dipendono negativamente dal tasso di interesse; rappresenta tutte le combinazioni tra i e Y che
assicurano l’uguaglianza tra produzione e domanda, cioè l’equilibrio sul mercato reale dei beni e
dei servizi. La curva LM: deriva dalla teorie delle preferenze per la liquidità in cui la domanda di
moneta dipende positivamente dal reddito e negativamente dal tasso di interesse; rappresenta
tutte le combinazioni tra Y e i che uguagliano la domanda e l’offerta di moneta. Il modello IS-LM:
l’intersezione delle curve IS e LM rappresenta l’unico punto soddisfa simultaneamente sia
l’equilibrio sul mercato dei beni che l’equilibrio sul mercato monetario; nel modello IS-LM non
viene preso in considerazione il livello dei prezzi, non c’è differenza tra grandezze reali e nominali.
La domanda aggregata AD
La curva di domanda aggregata AD esprime tutte le combinazioni possibili del livello dei prezzi e
del reddito compatibili sia con l’equilibrio del mercato dei beni che con l’equilibrio sul mercato
monetario; nel medio periodo le imprese variano i prezzi e si può avere inflazione -> variazione dei
prezzi. Per costruire la curva AD bisogna abbandonare l’ipotesi assunta per la costruzione della IS-
LM secondo cui il livello dei prezzi è costante; la AD, infatti, è ottenuta dal modello IS-LM e
descrive come varia il reddito Y se i prezzi cambiano, assumendo che via sia equilibrio sia nel
mercato dei beni che in quello monetario.
Introduciamo i prezzi nel modello IS-LM…
Se chiamiamo M l’offerta di moneta nominale e P il livello dei prezzi, l’offerta di moneta reale sarà
uguale ad M/P. Una variazione del livello dei prezzi produce una variazione dell’offerta di moneta
reale M/P; un aumento di P comporta una contrazione dell’offerta di moneta reale, quindi ad un
aumento del tasso di interesse e ad uno spostamento della LM verso sinistra, ma tassi di interesse
più alti sul mercato dei beni comportano una riduzione di I e quindi una riduzione di Y. Una
riduzione di P comporta un aumento dell’offerta di moneta reale, quindi ad una riduzione del
tasso di interesse e ad uno spostamento della LM verso destra, ma tassi di interesse più bassi sul
mercato dei beni comportano un aumento di I e quindi di Y.
Derivazione della AD
Poiché si vuole isolare il solo effetto dei prezzi sulla AD, nel modello IS-LM si manterranno costanti
tutte le altre variabili che normalmente lo influenzano (spesa pubblica, tassazione, aspettative,
ecc.). Supponiamo di fissare un certo livello dei prezzi in P0, su tale valore viene costruita la LM e
dato lo stock di moneta nominale M, sarà il livello dei prezzi a determinare lo stock di moneta
reale M/P; se si parte da questo equilibrio e si suppone una diminuzione dei prezzi al livello P1, la
LM si sposterà verso destra fino ad arrivare in LM ( P1 ¿. Al diminuire dei prezzi aumenta il reddito
come rappresentato nel modello AD. La AD ha pendenza negativa, se i prezzi (P) diminuiscono
aumenta il reddito (Y). L’inclinazione negativa della nuova AD può essere così spiegata:

 Una riduzione di P aumenta l’offerta di moneta reale M/P;


 Il tasso di interesse deve diminuire per mantenere l’equilibrio del mercato monetario;
 Al diminuire del tasso di interesse gli investimenti, e quindi il reddito, aumentano;
 Ne consegue che una riduzione di P provoca un aumento del reddito Y.
Per ogni livello di M ad un aumento dei prezzi è associata una riduzione della domanda aggregata.
Ogni mutamento, che non sia una variazione del livello dei prezzi, che provoca uno spostamento
delle curve IS e LM determina uno spostamento della curva AD; pertanto spostano la curva AD:
variazione di G o di T (politiche fiscali); variazioni dell’offerta nominale di moneta a prezzi costanti
(politica monetaria); variazioni della componente autonoma del consumo C 0; variazioni della
componente autonoma degli investimenti I 0. Se queste variazioni comportano una aumento di Y
nell’equilibrio IS-LM e sono dunque espansive, allora la AD si sposterà verso destra e si avrà un
aumento di Y; se le politiche sono restrittive e fanno diminuire Y, la curva AD si sposterà verso
sinistra. La curva AD è inclinata negativamente e indiche che il livello di produzione è una funzione
decrescente del livello dei prezzi.
L’offerta aggregata AS
La AD permette di identificare il valore di equilibrio del tasso di interesse e del reddito, ma non dei
prezzi che si assumono come esogenamente dati; per determinare endogenamente anche il livello
dei prezzi è necessario introdurre la funzione dell’offerta aggregata AS. La funzione di offerta
aggregata AS è la sintesi di molte ipotesi relative alla struttura e al funzionamento del mercato dei
beni e del lavoro; esprime la relazione tra quantità di beni e servizi offerti e il livello dei prezzi. La
curva di offerta aggregata AS rappresenta il livello di produzione complessivo offerto sul mercato
dei beni in corrispondenza di diversi livelli dei prezzi; sintetizza un processo decisionale complesso
che tiene conto di una serie di fattori capaci di caratterizzare il sistema economico. Viene
rappresentata come una curva inclinata positivamente e di tale inclinazione vengono date tre
spiegazioni:
1. Aggregazione: la curva di offerta aggregata è inclinata positivamente perché deriva
dall’aggregazione delle curve di offerta individuali delle singole imprese in concorrenza
perfetta, che a loro volta sono inclinate positivamente.
2. CLUP: la seconda ipotesi riguarda il costo degli input di produzione. Le imprese stabiliscono
quale ammontare di fattori produttivi acquistare (K e L) e quanto produrre (Y) sulla base dei
costi degli input, della tecnologia disponibili e del prezzo del prodotto finito che
venderanno sul mercato; se si assume che le imprese si trovino in un oligopoli allora il
prezzo del prodotto finito sarà determinato in base al costo del prodotto per unità di
prodotto (CLUP) -> ipotesi del mark-up. Il CLUP è determinato come il costo del lavoro per
CL
ora lavorata diviso per la produttività media del lavoro Y =w/produttività. La teoria del
( )
H
mark-up, invece, ci dice che in oligopolio le imprese fissano i prezzi ad un livello che è dato
da CLUP più un margine di ricavo lordo che è appunto definito come mark-up. L’ipotesi
secondo cui i prezzi di tutti i fattori produttivi rimangano invariati non significa che anche i
costi unitari rimangano invariati, con l’aumento della produzione si può, infatti, rendere
necessario il ricorso agli straordinari o a lavoratori meno efficienti o all’aumento dei costi di
manutenzione degli impianti; quindi il CLUP tende ad aumentare con l’aumento del
prodotto. All’aumentare del reddito reale aumentano anche i prezzi anche se quelli dei
fattori produttivi restano invariati.
3. Illusione monetaria: la terza spiegazione richiede l’introduzione del mercato del lavoro. I
lavoratori nel breve periodo soffrono di illusione monetaria, le imprese no; l’offerta di
lavoro dipende dal salario nominale, la domanda di lavoro dipende dal salario reale; se i
prezzi dei beni aumentano, il salario nominale rimane invariato, ma quello reale si riduce.
Se i prezzi aumentano, il salario reale si riduce w/p -> la domanda di lavoro aumenta,
l’offerta rimane invariata, l’occupazione e la produzione aumentano, Y aumenta. Un
aumento dei prezzi si accompagna ad un aumento di produzione, per questo la AS è
inclinata positivamente.
Le diverse teorie sull’inclinazione della AS
L’illusione monetaria, nel breve periodo, comporta una AS inclinata positivamente, abbiamo una
sintesi neoclassica dove nella curva di offerta aggregata di breve periodo sia il reddito che i prezzi
crescono proporzionalmente. Se assumiamo che, quando si è lontani dalla piena occupazione,
l’offerta aggregata si adegui senza attriti e inflazione all’andamento della domanda allora avremo
una curva di offerta aggregata parallela all’asse delle ascisse dove se aumenta il reddito i prezzi
rimangono costanti. Se supponiamo che domanda e offerta di lavoro siano funzione del salario
reale e le aspettative dei prezzi siano da tutti anticipati allora il livello dei prezzi non influenza
l’offerta di lavoro e la curva di offerta aggregata di lungo periodo sarà verticale, se aumentano i
prezzi il reddito rimane costante. È quindi possibile rappresentare la AS come composta da tre
segmenti:
1. Nel tratto orizzontale, detto keynesiano semplice, dove si è lontani dalla piena
occupazione il livello dei prezzi rimane costante anche se il PIL aumenta. Nel breve periodo
le imprese hanno prezzi rigidi che non si adattano istantaneamente alle variazioni della
domanda, il livello di P è fisso/dato.
2. Intervallo centrale (crescente) dove ad una variazione del PIL si accompagna una
variazione del livello dei prezzi.
3. Intervallo classico (verticale), situazione di piena occupazione, in cui il PIL reale rimane
costante e varia il solo il livello dei prezzi. Nel lungo periodo le imprese hanno prezzi
flessibili, la produzione aggregata non dipende da P.
Nel momento in cui l’economia entra nella zona di piena occupazione (punto 2) diventa più
difficile trovare forza lavoro e pertanto i costi unitari cominciano a crescere. Numerosi fattori
possono spostare la AS come: il cambiamento delle tecnologie, investimenti in capitale umano,
fattori climatici, cambiamenti istituzionali e variazione dei costi delle materie prime (shock
energetico). Gli shock energetici (aumento del prezzo del petrolio e delle altre materie prime) del
1973-73 e del 1979-80 hanno provocato un calo dell’offerta per ogni livello dei prezzi. Dopo lo
shock si produce di meno in quanto il costo maggiore del petrolio riduce il consumo industriale:
disponendo di meno petrolio, per ogni dato livello di input di lavoro si potrà produrre meno
output e il reddito Y cala. Ogni lavoratore addizionale produrrà meno output, la produttività del
lavoro sarà più bassa e ci sarà meno domanda di lavoro. A seguito dello shock del petrolio la AS si
sposta verso sinistra e verso l’alto, si verifica un calo del reddito e un aumento dei prezzi, tale
fenomeno viene chiamato stagflazione. Un aumento del livello dei prezzi riduce l’offerta di
moneta reale M/P, la LM si sposta a sinistra, aumenta il tasso di interesse e diminuiscono gli
investimenti.
Equilibrio macroeconomico di breve periodo
Sulla base della AS e della AD possiamo determinare l’equilibrio macroeconomico di breve periodo
assumendo che ci sia illusione monetaria. L’equilibrio si raggiunge nel punto in cui AS=AD, cioè in
cui si determinano simultaneamente il livello dei prezzi e del reddito compatibili con l’equilibrio sul
mercato dei beni e monetario e con l’equilibrio sul mercato del lavoro. Nel breve periodo, nella
zona di piena occupazione (AS inclinata positivamente), con quantità che dipendono dai prezzi, a
seguito di un aumento della AD dovuto ad un aumento dell’offerta di moneta (politica monetaria
espansiva) o della spesa pubblica (politica fiscale espansiva) si avrà crescita, ma con inflazione (+ Y
ma non tanto, e + P).
Ma che succede nel lungo periodo? L’effetto delle politiche espansive dipenderà dall’inclinazione
dell’AS. In corrispondenza del tratto orizzontale della AS il sistema economico si trova in fase
recessiva, ci sono risorse inutilizzate, cioè ci sono lavoratori disoccupati e capacità produttiva
inutilizzata. In questo caso le imprese trovano conveniente, in corrispondenza di un aumento della
domanda, aumentare l’offerta e in presenza di disoccupazione e capacità produttiva inutilizzata i
costi e i prezzi non aumentano. Quando il sistema entra nella zona di piena occupazione, in alcuni
settori produttivi si creano delle strozzature o colli di bottiglia (carenza di materie prime, risorse
sottoutilizzate, ecc.), tali settori offrono perciò la loro produzione a prezzi crescenti che si
scaricano sui prezzi dei prodotti finali. Così il livello dei prezzi comincia a crescere all’aumentare
del PIL. I settori in cui la capacità produttiva è pienamente utilizzata, l’offerta può essere ampliata
solo con prezzi crescenti a causa della necessità di ampliare la capacità produttiva attraverso nuovi
impianti o di intensificare l’utilizzo degli impianti esistenti con straordinari o lavoro notturno che
sono molto più costosi. Quando il sistema economico entra nel tratto verticale, tutte le risorse
produttive sono pienamente utilizzate. Il PIL raggiunge il prodotto potenziale corrispondente alla
piena occupazione e al pieno utilizzo delle capacità produttive: ad un aumento della domanda
corrisponde solo un aumento dei prezzi, mentre l’offerta di beni non può aumentare. Il livello di
reddito reale resta immutato; nelle economie di mercato esistono delle forze che assicurano
automaticamente la piena occupazione e il pieno utilizzo della capacità produttiva.
Teoria classica vs Keynes
La teoria classica si basa sulla legge di Say secondo cui l’offerta crea la propria domanda, o la
domanda si adegua automaticamente all’offerta qualunque sia il volume della produzione.
Viceversa Keynes rivoluzionò tale punto di vista, ponendo la domanda al centro della sua analisi.
Una domanda inadeguata limita l’offerta e le imprese non producono più di quanto sono convinte
di vendere. L’ipotesi keynesiana è che il livello dei prezzi sia fisso e che Y possa variare. L’ipotesi
classica è che il livello dei prezzi sia perfettamente flessibile e che si aggiustino in modo da
garantire che il reddito nazionale sia sempre quello di piena occupazione, “naturale”.
La moneta
La moneta è l’insieme di attività usate per le transazioni economiche; secondo la teoria keynesiana
essa ha la funzione di riserva di valore atta a trasferire potere di acquisto dal presente al futuro, è
un’unità di conto per la misura dei prezzi, e, secondo la teoria classica, è un mezzo di scambio che
risolve il problema del baratto che implica coincidenza di volontà. La moneta è una riserva di
valore imperfetta poiché risente dell’inflazione. Esistono più tipi di moneta:
- La moneta-merce: un tempo si riteneva che la moneta dovesse avere un valore intrinseco,
ad esempio, quando si usava l’oro come merce di scambi nel XIX secolo -> sistema aureo.
- Dato che l’oro era scomodo per le transazioni lo Stato introdusse monete di peso e purezze
garantiti il cui valore fosse riconosciuto da tutti.
- Poi introdusse banconote, convertibili in oro, fino a quando anche la convertibilità diventò
irrilevante, passando ad un sistema monetario a corso legale.
- Fiduciaria o a corso legale: non ha valore intrinseco, tutti attribuiscono valore alla moneta
a corso legale perché si aspettano che gli altri facciano altrettanto, è una convenzione.
L’offerta di moneta è la quantità di moneta disponibile in un sistema economico: è controllata
dallo Stato che ha il monopolio sulla stampa delle banconote ed è uno strumento di politica
economica. La politica monetaria, inoltre, è controllata dalla Banca Centrale. Il principale
strumento è l’operazione di mercato aperto, cioè l’acquisto o la vendita di titoli del debito
pubblico: per aumentare l’offerta di moneta, la Banca Centrale aumenta la stampa di banconote e
le usa per acquistare titoli di stato dal pubblico, dai depositi della banca la moneta entra in
possesso del pubblico e di conseguenza aumenta la moneta in circolazione; per ridurre l’offerta di
moneta, la Banca Centrale vende titoli di debito pubblico che detiene nel proprio portafoglio, di
conseguenza ci sarà meno moneta disponibile per il pubblico e meno moneta in circolazione.
La quantità di moneta è uguale alla quantità di valori usati per regolare le transazioni; essa include:

 C = circolante, somma di banconote e monete metalliche in circolazione;


 D = depositi a vista, fondi detenuti in conti correnti bancari. Si possono includere anche i
fondi di investimento, cioè la raccolta di risparmi e investimenti in portafogli di titoli
fruttiferi.
M=C+D
In area euro i principali aggregati monetari, misure di stock di moneta, sono:
- C -> banconote e monete metalliche;
- M1 -> C + conti corrente postali e bancari e depositi in conto corrente presso il Tesoro;
- M2 -> M1 + certificati di deposito bancario, depositi di risparmio e vincolanti (depositi più a
lungo termine);
- M3 -> M2 + BOT, buoni postali, pronti contro termine, ecc.
Il ruolo delle banche nel sistema monetario
L’offerta di moneta è determinata non solo dalla politica della banca centrale, ma anche dal
comportamento degli individui (detengono moneta) e delle banche (depositi). Le banche
raccolgono depositi, usati come: riserva, non aumentano l’offerta di moneta; prestiti, aumentano
l’offerta di moneta. Sebbene si crei moneta prestano, non si genera ricchezza -> chi prende a
prestiti ha un debito, non diventa più ricco; la creazione di moneta tramite sistema bancario
aumenta la liquidità del sistema economico, non la sua ricchezza. Se definiamo rr =
riserve/depositi, la quantità di moneta che si può creare con 1000 euro è = 1/rr x 1000. Ogni euro
di deposito genera 1/rr euro di moneta. Se supponiamo di avere rr = 0.2 (20%) con i 1000 euro di
depositi iniziali si generano 5000 euro di moneta.
Per creare una banca serve capitale iniziale, capitale bancario, ottenuto tramite:
a. azionisti che forniscono capitale (patrimonio netto);
b. raccolta di depositi;
c. emissioni di titoli di debito.
Con questo capitale la banca può:
1. accantonare riserve;
2. concedere prestiti;
3. investire nell’acquisto di strumenti finanziari.
Questa strategia si base sul fenomeno della leva finanziaria (leverage) -> uso denaro preso a
prestito per integrare fondi esistenti e per investire. Il rapporto di indebitamento (leverage ratio)
è il rapporto tra l’attivo totale della banca (1+2+3) e il patrimonio netto degli azionisti.
Banca centrale e offerta di moneta
Il modello dell’offerta di moneta prevede delle variabili esogene: la base monetaria B, cioè la
quantità di moneta detenuta dal pubblico sottoforma di circolante C o di riserve R; il rapporto
riserve/depositi rr, cioè la quota di depositi bancari trattenute a riserva dalle banche
(regolamentato da leggi); il rapporto circolante/depositi cr, cioè il circolante C detenuto da
individui in misura percentuale dei loro depositi a vista D (precedenze degli individui sulla forma di
cr +1
moneta che preferiscono detenere). M = × B, l’offerta di moneta dipende quindi da cr, rr e
cr+rr
B. L’offerta di moneta dipende proporzionalmente da base monetaria B secondo il fattori di
cr +1
proporzionalità , questo fattore è il moltiplicatore monetario, chiamato generalmente m.
cr +rr
Quindi M=m x B. Se aumenta B l’offerta di moneta aumenta; se diminuisce rr le banche possono
concedere più prestiti, c’è più moneta perché m è più alto. Viceversa se aumenta rr. Se diminuisce
cr minore è la quota di base monetaria detenuta come circolante dal pubblico, ci sono più depositi
e più moneta che le banche possono creare.
Il controllo dell’offerta di moneta e l’inflazione
Per capire gli effetti macroeconomici della politica monetaria è necessaria una teoria che stabilisca
le relazioni tra quantità di moneta e le altre variabili economiche, cioè prezzi e reddito. Teoria
quantitativa della moneta: le persone detengono moneta quanto più devono fare transazioni;
l’equazione dello scambio collega la moneta alle transazioni: M x V = P x T
P x T è la quantità di moneta mediamente scambiata in un anno; P è il prezzo medio, equivalente
al livello generale dei prezzi; T sono le transazioni economiche, cioè il numero di volte in cui un
bene o un servizio in un anno viene scambiato contro pagamento; M è la quantità di moneta e V è
la velocità di circolazione della moneta, cioè la rapidità con cui una moneta circola nel sistema
economico, quante volte in media un’unità moneta (1 euro) cambia di mano in un dato periodo di
tempo. T è molto difficile da misurare, al suo posto si usa Y (produzione aggregata); quanti più
beni saranno prodotti (Y) tante più saranno le transazioni per scambiarli: M x V = P x Y; dove Y è il
prodotto aggregato totale in termini reali. P x Y è il PIL nominale. Poiché Y è anche il reddito totale,
questa equazione dello scambio V è anche chiamata velocità di circolazione della moneta rispetto
al reddito: essa misura il numero di volte in cui, mediamente, ogni banconota entra nel reddito di
un individuo in un dato periodo di tempo. Nell’analizzare gli effetti della moneta sul sistema
economico, è utile esprimere la quantità di moneta in termini della quantità di beni e servizi che
M
può acquistare. Questa quantità si esprime come ed è detta saldi monetari reali. Una funzione
P
di domanda di moneta è un’equazione che spiega come si determina la quantità di saldi monetari
M d
reali che gli individui desiderano detenere ->
P ( )
=kY ; k è la costante che indica la quantità di

moneta che gli individui desiderano detenere per ogni unità di reddito. Questa equazione
stabilisce che la quantità domandata di saldi monetari reali è proporzionale al reddito reale. Il
parametro k della domanda e la velocità di circolazione della moneta V sono due facce della stessa
medaglia. Se ipotizziamo che nel breve periodo V sia costante, abbiamo una teoria degli effetti
della moneta sul sistema economico, detta teoria quantitativa della moneta. L’equazione dello
scambio può essere considerata come una teoria della determinazione del PIL nominale: MV́ =PY.
Una variazione della quantità di moneta M provoca una variazione proporzionale del PIL nominale
(PY). Se la velocità è costante, la quantità di moneta determina il valore monetario della
produzione aggregata. A questo punto disponiamo di una teoria sulla determinazione del livello
generale dei prezzi, basata su tre elementi fondamentali:
1. Fattori di produzione e funzione di produzione determinano il livello di produzione
aggregata Y -> PIL reale;
2. L’offerta di moneta M determina il valore nominale della produzione aggregata, PIL
nominale, PY
3. Il livello dei prezzi P è il rapporto tra valore nominale della produzione aggregata, PY, e la
produzione aggregata, Y -> cioè P= PIL nominale/PIL reale.
Questa teoria ci permette, inoltre, di spiegare cosa accade quando la Banca Centrale cambia
l’offerta di moneta:

 Dato che V è fissa, qualsiasi variazione dell’offerta di moneta M comporta una variazione
proporzionale del PIL nominale;
 Dato che fattori di produzione e funzione di produzione determinano il PIL reale, la
variazione del PIL nominale comporta un aumento del livello generale dei prezzi P.
La teoria quantitativa implica che il livello dei prezzi sia proporzionale all’offerta di moneta. Dato
che il tasso di inflazione è la variazione percentuale del livello dei prezzi, questa teoria è anche una
teoria del tasso di inflazione.
∆ M ∆Y
π= −
M Y
π =tasso di inflazione.
∆Y
La crescita economica normale ( ) richiede un’offerta di moneta che cresca proporzionalmente
Y
per facilitare le nuove transazioni; se l’offerta di moneta cresce in eccesso si genera inflazione; la
“regola” di politica monetaria di Milton Friedman si basa su questa intuizione.
Perché battere moneta?
L’inflazione è equivalente ad un’imposta: con l’aumento dei prezzi dopo l’aumento dell’offerta di
moneta, diminuisce il valore reale delle banconote che gli individui detengono. Quando il governo
batte moneta e la spende, erode il valore della moneta che è già nelle mani dei cittadini ->
inflazione come imposta sulla detenzione della moneta. Il rischio è l’iperinflazione, cioè l’inflazione
prodotta da un aumento incontrollato dell’offerta di moneta che influisce anche sul valore reale
delle entrate derivanti dal signoraggio. Il governo, pertanto, se vuole conservare inalterata la
propria spesa, deve continuare a stampare sempre più banconote -> spirale inflazionistica
perversa. Un governo che ha controllo sulla Banca Centrale, può finanziare la spesa pubblica in tre
modi: tasse, emissione titoli di stato e battendo moneta per finanziare l’acquisto. Il ricavo che si
ottiene battendo moneta è detto signoraggio -> se il governo batte moneta per finanziare la spesa
pubblica l’offerta di moneta aumenta, ma aumenta anche l’inflazione.
Inflazione e tassi di interesse
La teoria classica prevede che la domanda di moneta dipenda in maniera proporzionale dal
reddito; le politiche monetarie espansive causano solo un incremento dei prezzi. Ci sono altri
fattori che sono collegati alle variazioni nella quantità di moneta? I tassi di interesse sono i prezzi
che mettono in relazione il passato con il futuro. Il tasso di interesse corrisposto dalla banca è il
tasso di interesse nominale (i) e misura la remunerazione dei fondi mutuabili; l’incremento del
potere di acquisto è il tasso di interesse reale (r) e misura i rendimenti dei fondi mutuabili in
∆P
termini reali. π è il tasso di inflazione ed è uguale a . Il rapporto tra le tre variabili può essere
P
espresso come: r = i-π -> il tasso di interesse reale è pari alla differenza tra tasso di interesse
nominale e tasso di inflazione.
Riorganizzando i termini dell’equazione, possiamo dimostrare che il tasso di interesse nominale
corrisponde alla somma del tasso di interesse reale e del tasso di inflazione: i = r + π; questa è
l’equazione di Fischer, che mostra che il tasso di interesse nominale può variare per due cause:
1. Variazione del tasso di interesse reale;
2. Variazione del tasso di inflazione.
Se uniamo la teoria quantitativa della moneta e l’equazione di Fischer
1. Secondo la teoria quantitativa la moneta porta inflazione -> ∆ %M =∆ %P
2. L’inflazione aumenta i tassi di interessi nominali secondo l’equazione di Fischer -> i=r+ π
Quindi: i = r + π = r + ∆ %M ; la crescita dell’offerta di moneta è legata al tasso di interesse
nominale; la relazione a uno a uno tra tasso di inflazione e tasso di interesse nominale viene
chiamata effetto Fischer.
Tasso di interesse e valore dei titoli
Il valore di mercato del titolo dipende inversamente dal nuovo tasso di interesse e sarà tanto più
vicino al valore nominale tanto più vicino è alla scadenza. Si definisce il tasso di interesse normale
(T n) il tasso di interesse che un operatore ritiene sia giusto; può essere maggiore o minore del
tasso di interesse corrente (T c). Che cosa succede se è maggiore? Se T n>T c allora si vendono i
titoli perché si ritiene che i nuovi titoli saranno emessi ad un tasso maggiore il che comporterà una
perdita in conto capitale per i titoli che noi deteniamo. Che cosa succede se è minore? Se T n<T c
allora si comprano i titoli perché le nuove emissioni saranno a tassi più bassi ed i titoli attuali
avranno più valore. Se il sistema arriva al tasso i 0 si dice che si è finiti dentro alla trappola della
liquidità; i 0 è il tasso di interesse minimo, non può scendere al di sotto di quel valore, è il prezzo
massimale dei titoli, tutti vogliono vendere per realizzare guadagni in conto capitale. Si esce dalla
trappola della liquidità? Se si è raggiunto il valore massimale dei titoli e tutti cercheranno di
venderli pian piano il valore dei titoli scenderà ed il tasso di interesse salirà uscendo dalla trappola
della liquidità; ma se tutti gli operatori considerano normale un tasso di interesse appena
superiore a quello minimo, appena il tasso è salito penseranno che dovrà scendere di nuovo e
pertanto acquisteranno titoli facendo crescere nuovamente il loro valore e rituffandosi nella
trappola della liquidità. Ci si può trovare in una situazione di questo genere quando gli
investimenti derivano maggiormente dalla domanda e poco dai tassi di interesse e quando le
variazioni della domanda sono pari o molto vicine allo zero.
La curva di Phillips
Esistono più tipi di inflazione: quella dovuta all’aumento dell’offerta di moneta; inflazione da
domanda e inflazione da costi. Inflazione da domanda: la domanda aggregata è superiore
all’offerta aggregata e di conseguenza i prezzi crescono; in piena occupazione, un aumento della
domanda aggregata non può essere compensato da un aumento dell’offerta aggregata per cui
ogni aumento della domanda genera un aumento dei prezzi; secondo alcuni autori nel breve
periodo vi è una fascia in cui vi è un trade-off tra disoccupazione e inflazione. Phillips nel 1958
pubblica un articolo che introduceva una relazione inversa tra il tasso di variazione dei salari
monetari e il tasso di disoccupazione; tale relazione era basata su un’analisi statistica tra tasso di
∆W
variazione dei salari nominali ( ) e il tasso di disoccupazione (u) nel Regno Unito nel periodo
W
1861-1957. Vi era una relazione inversa: quando i salari aumentavano la disoccupazione diminuiva
∆W
e viceversa. Con disoccupazione di circa 5,5% i salari risultano essere mediamente stabili (
W
prossimo allo 0); a tassi di disoccupazione maggiori del 5,5% si abbinano modeste riduzioni
∆W
salariali ( < 0); cambiamenti dei tassi di disoccupazione bassi, minori del 5,5% sono associati
W
∆W
ad importanti aumenti salariali. U genera , la variabile indipendente è il tasso di
W
∆W
disoccupazione U, la variabile dipendente è la variazione dei salari . Una diminuzione della
W
disoccupazione si accompagna ad un aumento della domanda di lavoro che in un mercato classico
del lavoro induce un aumento dei salari. Un aumento dei salari causa un aumento della domanda
aggregata e pertanto della produzione con associata diminuzione della disoccupazione. La curva di
Phillips viene letta dalla scuola keynesiana come una relazione fra inflazione e disoccupazione;
nella zona di piena occupazione aumenti della domanda si riflettono su costi di produzione
superiori; la disoccupazione si riduce, i salari e i prezzi aumentano, vi è una relazione negativa tra
disoccupazione e prezzi; inoltre, sulla base del modello del mark-up, le imprese aumentano i prezzi
se i costi crescono: aumento salari -> aumento prezzi. La presenza di oligopoli, quindi, rafforza i
legami tra salari e prezzi. Durante gli anni ’70 si ha un periodo di stagflazione, ma tale situazione
non è coerente con la relazione di Phillips ipotizzata dai keynesiani, per spiegare tale situazione
Friedman introduce la curva di Phillips di breve e lungo periodo. Nel breve periodo si ha una
relazione inversa tra disoccupazione e inflazione, pertanto, politiche espansive a sostegno della
domanda fanno aumentare l’inflazione e diminuire la disoccupazione. Nel lungo periodo, invece,
l’economia avrà un tasso di disoccupazione a livello naturale e pertanto la curva di Phillips sarà
verticale. La teoria monetaristica prevede che politiche espansive a sostegno della domanda
possano fare aumentare l’inflazione senza diminuire la disoccupazione nel lungo periodo.
Il bilancio dello Stato, deficit e debito
L a pubblica amministrazione (PA) comprende enti pubblici le cui funzioni principali sono la
produzione di servizi non destinati alla vendita, e le operazioni di redistribuzione del reddito e
della ricchezza; le risorse prevalenti sono i versamenti obbligatori (tasse e contributi) effettuate
dagli altri settori dell’economia. Le uscite correnti della PA si possono suddividere in:
1. Spesa corrente -> per l’acquisto di beni e servizi, costituita dalle retribuzioni dei dipendenti
pubblici e gli acquisti fi altri beni e servizi;
2. Trasferimenti alle famiglie -> prestazioni sociali per pensioni, sussidi di disoccupazione,
prestazioni assistenziali, sanità e contributi alla produzione;
3. Interessi sul debito -> un Paese ottiene credito tramite l’emissione di obbligazioni, che
differiscono per caratteristiche e durata. Minore è il loro valore, maggiore sarà il tasso di
interesse che lo Stato dovrà rimborsare a scadenza. La differenza tra saldo primario e
deficit evidenzia quanto pesi la spesa in interessi, soprattutto in Italia.
Le entrate correnti della PA sono costituite dal prelievo fiscale, che comprende tutte le diverse
forme di tassazione che gravano sui soggetti economici (famiglie e imprese):
1. Imposte dirette: sul reddito di famiglie e imprese;
2. Imposte indirette: sui consumi;
3. Contributi sociali: finalizzati al finanziamento delle prestazioni sociali.
Il saldo (detto disavanzo se negativo e avanzo se positivo) di bilancio è dato dalla differenza tra
entrate correnti e uscite correnti ed è definito risparmio pubblico.

 Avanzo = entrate c. – uscite c. – (G + trasferimenti + interessi passivi) > 0


 Disavanzo (deficit) = uscite c. – entrate c. = (G + trasferimenti + interessi) – entrate c. > 0
Il disavanzo di bilancio viene coperto raccogliendo fondi sui mercati finanziari attraverso
l’indebitamento pubblico.
Il saldo di bilancio primario è dato dalla differenza tra entrate e uscite del settore pubblico al
netto degli interessi passivi che goni anno vengono corrisposti sul debito pubblico: Saldo primario
(SP) = saldo – interessi passivi = entrate c. – (G + trasferimenti); misura l’impatto del settore
pubblico sul sistema economico rispetto all’esercizio contabile corrente; si escludono gli interessi
passivi proprio perché essi sono relativi ad un debito contratto in esercizi precedenti. Un saldo SP
positivo è detto avanzo primario e significa che, al netto degli interessi, il settore pubblico spende
meno di quanto incassa. È quindi possibile avere un saldo primario > 0 e un saldo di bilancio
pubblico < 0. Il Paese produce da anni un avanzo primario (le entrate sono maggiori delle uscite),
ma resta in deficit e continua ad alimentare il debito pubblico perché continua a dover rimborsare
i creditori.
Il Paese deve spendere denaro (G) per garantire servizi ai propri cittadini, oppure per sostenere la
propria crescita economica e i propri investimenti, così come per finanziare il proprio deficit.
Quando questo denaro viene chiesto in prestito, lo Stato contrae un debito, chiamato, appunto,
debito pubblico e cioè l’ammontare complessivo del debito che uno Stato contrae e ha contratto
nel passato per far fronte al proprio fabbisogno; il debito viene contratto con soggetti pubblici e
privati, nazionali o esteri. Ogni anno il deficit pubblico viene coperto mediante l’emissione di titoli
di Stato, in questo modo il deficit si trasforma in debito. Lo strumento finanziario più utilizzato per
raccogliere il denaro è l’emissione di obbligazioni a breve, media e lunga scadenza: i titoli di Stato.
Per quanto riguarda l’Italia, i Titoli di Stato vengono emessi dal Ministero del Tesoro:
- Con scadenza a breve (3-12 mesi) vengono utilizzati i BoT (buoni ordinari del Tesoro)
oppure i CTz (certificati del Tesoro zero coupon) che hanno però scadenza 24 mesi.
- Con scadenza a medio e lungo termine vengono invece emessi i BTp (3-30 anni, ma ci sono
anche scadenze superiori) oppure i CcT.
Tutti gli Stati utilizzano strumenti finanziari analoghi: il più noto è il Bund tedesco, che per
caratteristiche generali corrisponde al BTp italiano.
Differenze tra deficit e debito
Uno stato contrae debito anche per finanziare il proprio deficit, ossia il disavanzo che si genera,
nell’arco di un singolo esercizio finanziario (un anno), quando le uscite superano le entrate; per
calcolare le uscite di uno Stato si considera, oltre la spesa pubblica, anche l’interesse sul debito,
cioè l’importo che lo Stato deve corrispondere a titolo di interesse, nell’arco di un singolo esercizio
finanziari, ai soggetti con cui ha contratto il debito. Nel caso dell’Italia a sbilanciare i conti verso il
segno negativo è proprio l’ammontare dell’interesse sul debito: considerando solo la spesa
pubblica, messa a confronto con il totale delle entrate, il bilancio dello Stato sarebbe
effettivamente all’attivo (avanzo primario).
Finanziamento e problemi con debito e deficit
1. Il criterio del deficit: il patto di stabilità e di crescita dell’UE prevede che le nazioni che
aderiscono alla moneta unica europea mantengano al di sotto del 3% il rapporto tra deficit
pubblico e PIL.
2. Il criterio del debito: l’altro importante criterio stabilito dall’UE è quello stabilito sul
rapporto tra debito pubblico e PIL; il criterio è -> debito/PIL < 60%.
Perché guardare al deficit e al debito in rapporto al PIL? Perché i Paesi caratterizzati da un reddito
nazionale più alto dispongono di maggiori risorse con le quali far fronte al proprio debito pubblico
e ai pagamenti dell’interesse su di esso. I paesi membri dell’UE hanno firmato il patto di stabilità e
crescita (1997) che richiede il rispetto dei due parametri del trattato di Maastricht per il futuro e
definisce sanzioni per chi non li dovesse rispettare. Il patto fissa (con qualche flessibilità) i
parametri di deficit e debito, ciò implica che un Paese può decidere di fare una politica fiscale
espansiva, ma deve mantenere le entrate (T) in linea con l’aumento delle uscite (G) in modo da
rispettare i limiti di deficit; inoltre, essendo il parametro del debito una percentuale rispetto al PIL
(60% del PIL), ciò vuol dire che il debito può crescere, ma in linea con il PIL: se si ha una crescita
forte del PIL, per esempio del 5%, allora anche il debito pubblico può crescere lasciando spazio per
l’intervento pubblico. Il problema originario delle regole di Maastricht è che non tengono conto
dei cicli economici.
Il fiscal compact
Il 30 gennaio del 2012 viene approvato il Treaty on Stability Coordination and Governance, esso
prevedeva: l’impegno delle parti contraenti a rispettare il principio del pareggio di bilancio e a
introdurlo nel proprio ordinamento interno, entro un anno dall’entrata in vigore del trattato, con
norme costituzionali o di rango equivalente; divieto per il deficit strutturale di superare lo 0.5% del
PIL in un ciclo economico (il deficit strutturale è il deficit al netto degli effetti del ciclo economico);
l’obbligo di ridurre di 1/20 all’anno la distanza tra il rapporto debito/PIL e la soglia del 60%
individuata da Maastricht; inoltre, il TSCG impone all’Italia di triplicare l’avanzo primario rispetto a
quello attuale (poco sotto il 2% del PIL) e raddoppiarlo agli ultimi anni pre-crisi (3% del PIL). I paesi
con il rapporto debito/PIL più alto devono attuare delle politiche fiscali più restrittive, questo
riduce il PIL, in particolare in un periodo di recessione, e a sua volta fa aumentare il rapporto
debito/PIL richiedendo quindi politiche ancora più restrittive. Inoltre, fissare il pareggio di bilancio
nella costituzione lega le mani pone anche problemi con le spese di emergenza, però la legge
costituzionale lascia spazio ad eccezioni in caso di disastri naturali e crisi economica. Questo è
stato al centro di discussioni negli ultimi anni fra Italia e l’UE per ottenere la deroga al rispetto
delle norme. Il debito può essere finanziato attraverso la vendita di titoli del debito pubblico
(monetizzazione del debito); per Statuto, la BCE non può acquistare titoli di debito pubblico di
nuova emissione, può però farlo sul mercato secondario: quando lo fa, attraverso le cosiddette
operazioni di mercato aperto aumenta l’offerta di moneta. Dal settembre 2012 la BCE si è
impegnata ad acquistare senza limiti i titoli di Stato sul mercato secondario per prevenire il rischio
di insolvenza dei Paesi in crisi. Se i titoli di emissione vengono venduti al settore privato non si ha
un aumento dell’offerta di moneta. Il maggiore credito di cui necessita il settore pubblico può
generare un effetto di spiazzamento -> il risparmio privato finanzia il debito pubblico invece
dell’investimento privato. Ma tutto ciò è un problema? Dipende: se il debito pubblico serve a
finanziare investimenti pubblici in generale non lo è; se il debito pubblico viene emesso per
finanziare il servizio del debito già accumulato allora il settore pubblico è entrato in una spirale
negativa di alto debito, ci sono alti interessi passivi ed è alto il debito stesso e l’investimento
privato non viene sostituito da altro investimento.
Sbocchi dell’insolvibilità
Possibili sbocchi dell’insolvibilità:
- Ripudio del debito (default) e conseguente crisi, come accadde in Argentina nel 2001;
- Finanziamento monetario da parte della Banca Centrale, ciò genera inflazione che riduce il
valore reale del debito: l’equilibrio macroeconomico della AD-AS con politica monetaria
espansiva vede una crescita di Y con crescita dell’inflazione, quindi il PIL nominale cresce e
il rapporto debito/PIL scende; se lo Stato ha un debito con titoli a lungo periodo con tasso
fisso, politiche monetarie espansive generano inflazione causando un minor peso del
debito perché l’inflazione erode il valore reale dei titoli di Stato in circolazione, quindi
anche il costo del debito scende.
Problemi provocati dall’aumento del debito
L’aumento del debito pone delle ipoteche sui bilanci futuri, perché implica l’impiego a pagare
flussi di interesse cospicui, ciò prospetticamente richiede o di ridurre le spese o di aumentare le
imposte o di accendere altri debiti. Il consumo corrente può limitare il consumo futuro. Se lo Stato
non riesce a risanare il bilancio e a far fronte al pagamento di interessi con nuovi debiti, il debito
può diventare insostenibile e i mercati finanziari nutrono dubbi sulla solvibilità dell’emittente, i
tassi di interesse sui titoli pubblici salgono per remunerare i rischi; si ha quindi instabilità
finanziaria ed economica.
Cosa succede se il deficit è elevato?
Un forte deficit pubblico implica un aumento del debito pubblico, ma se il debito cresce, lo Stato,
per ottenere denaro in prestito dai risparmiatori nazionali ed esteri, deve offrire rendimenti
sempre più alti. Una parte di questo rendimento è denominata “premio per il rischio” ed è quel
rendimento extra che il creditore pretende tutte le volte che sorga il dubbio che il debitore, a
causa del suo forte debito, non potrà alla fine restituire ciò che ha preso in prestito.
Sostenibilità del debito
Sostenibilità fiscale: capacità dello Stato di onorare il debito; un bilancio pubblico in equilibrio non
è condizione necessaria né sufficiente per la sostenibilità del debito pubblico. Un avanzo primario
può essere o non essere necessario alla sostenibilità del debito a seconda che l’economica cresca
con a tasso più lento o più veloce del tasso di interesse medio pagato sul totale del debito. Anche
se c’è un avanzo primario, un disavanzo per il peso della spesa per interessi va ad accrescere il
debito. L’evoluzione del rapporto debito/PIL dipende principalmente da:
1. La dimensione del debito, dato che non è possibile destinare una percentuale del PIL
troppo elevata al rimborso del debito.
2. Tasso di interesse reale -> un tasso di interesse molto elevato fa aumentare rapidamente il
debito, bisogna pagare un interesse più alto ai creditori che hanno comprato il debito dello
Stato.
3. Tasso di crescita del PIL -> se il PIL cresce più del debito, il rapporto debito/PIL diminuisce
(il denominatore aumenta); se, come nel caso italiano, il PIL scende (il denominatore si
riduce), il rapporto debito/PIL aumenta, nonostante le misure di austerità.
La capacità di un Paese di ripagare un debito è misurata dal suo reddito, vale a dire dal PIL, ciò che
rileva per tanto non è il debito, ma il rapporto tra debito e PIL. Per la sostenibilità fiscale è
necessario che il rapporto tra debito pubblico e il PIL rimanga costante a un certo livello: debito
pubblico e PIL devono crescere allo stesso tasso. Se così non fosse, il debito pubblico diventerebbe
un multiplo sempre più elevato del PIL e raggiunto un certo punto lo Stato non sarebbe più in
grado di servire il proprio debito.
Definiamo: B = stock del debito; Y = PIL; G = spesa pubblica; T = gettito fiscale; X = avanzo primario;
B ∆Y X
r = tasso di interesse reale; b = -> debito/PIL; y = -> tasso di crescita del PIL; x = -> avanzo
Y Y Y
primario/PIL. Il nostro scopo è capire in che condizioni il tasso di crescita del rapporto debito/PIL è
∆b
crescente, ovvero positivo. Affinché il tasso di crescita debito/PIL > 0, occorre che b (r - y) – x
b
∆b
> 0. In altri termini se b (r – y) – x > 0 e > 0 il debito pubblico non è sostenibile. Affinché ci sia
b
sostenibilità b (r – y) – x = 0 -> b (r- y) = x, equazione che esprime la condizione di sostenibilità
fiscale in termini di avanzo primario.
Cosa succede se cambiamo i parametri dell’equazione? Se r = y -> (r – y) = 0 -> G – T = 0 -> il
governo non alimenta il debito pubblico con la spesa pubblica e può finanziare gli interessi sul
debito con l’emissione di nuovo debito senza provocare un aumento del rapporto debito/PIL,
perché il valore del debito pubblico (r) aumenta nella stessa misura dell’aumento del reddito (y).
La sostenibilità fiscale può essere mantenuta anche in presenza di un disavanzo primario (G>T)
perché l’economia sta crescendo più del valore del debito (y>r); poiché il valore del reddito
aumenta più rapidamente del valore reale del debito pubblico (r<y) il governo può incrementare
leggermente il proprio indebitamento b e mantenere comunque costante il rapporto debito/PIL di
equilibrio. Se (r>y) -> (r-y) > 0 -> b (r – y) > x -> l’avanzo primario deve aumentare; in questo caso,
la sostenibilità fiscale impone al governo di generare un avanzo primario (G<T); essendo il tasso di
interesse reale maggiore della crescita del PIL, il valore del debito pubblico aumenta più
rapidamente del reddito, a meno che il governo non utilizzi parte delle entrate fiscali per il servizio
del debito invece che per la spesa. In sintesi, l’insostenibilità del debito pubblico è accentuata
quando: il tasso di interesse reale (r) è elevato, ovvero c’è una combinazione di elevato tasso di
nominale i e bassa inflazione; c’è una scarsa crescita del PIL (y basso); i disavanzi primari sono
elevati (-x è alto), cioè G è molto più grande di T, o ci sono avanzi primari scarsi, cioè T copre a
stento G; se r > y, a meno che non sia compensato da un aumento dell’avanzo primario. Le
condizioni opposte tendono, invece, a renderlo sostenibile.
La soluzione dell’austerità
Cosa succede se cerchiamo di diminuire il debito attraverso misure di austerità, quali il taglio della
spesa pubblica e dei trasferimenti? Il tasso di crescita del PIL tende a rallentare a causa del calo
della domanda e il rapporto debito/PIL tende a peggiorare, almeno nel breve periodo; la soluzione
keynesiana è quella di adottare misure dal lato della domanda volte a favorire la crescita. Il
problema è che i mercati sono aperti e ciò influenza l’impatto potenziale delle politiche di stimolo.

Ripasso modello IS-LM


I prezzi sono dati, nel breve periodo si hanno prezzi viscosi e gli aggiustamenti passano attraverso
variazioni delle quantità prodotto e del tasso di interesse; l’investimento non è più esogeno, come
nel modello base del mercato dei beni, ma dipende dal tasso di interesse: il settore monetario e
quello reale sono interdipendenti. Nel caso della curva IS è il tasso di interesse che determina il
livello degli investimenti, quindi il livello del reddito (i -> I -> Y); invece, nel caso della curva LM
sono il livello del reddito e l’offerta di moneta a determinare il tasso di interesse (Y & M S -> i). la IS
rappresenta l’equilibrio tra Y e i sul mercato dei beni e servizi, la LM rappresenta l’equilibrio tra Y e
i sul mercato monetario e vi è una sola combinazione Y, i che assicura l’equilibrio su entrambi i
mercati. L’equilibrio sul mercato dei beni richiede che un aumento di i sia accompagnato da una
riduzione di Y -> curva IS; l’equilibrio sul mercato della moneta richiede che un aumento di Y sia
accompagnato da un aumento di i -> curva LM; solo all’incrocio delle due curve (nel punto A)
entrambi i mercati sono in equilibrio. La curva IS deriva dalla funzione degli investimenti, per la
quale gli investimenti programmati dipendono negativamente dal tasso di interesse; rappresenta
tutte le combinazioni di i e Y che assicurano l’uguaglianza fra produzione e domanda. La curva LM
deriva dalle teorie delle preferenze per la liquidità in cui la domanda di moneta dipende
positivamente dal reddito e negativamente dal tasso di interesse; rappresenta le combinazioni di Y
e i che uguagliano la domanda e l’offerta di moneta. Nel modello IS-LM non viene preso in
considerazione il livello dei prezzi, non c’è differenza tra grandezze reali e grandezze nominali; nel
modello AS-AD viene analizzato cosa succede quando consideriamo che anche i prezzi possono
variare.
Obiettivi di politica economica
Gli obiettivi della politica economica di breve periodo sono: la piena occupazione o comunque un
più alto livello di occupazione; stabilità dei prezzi o più basso tasso di inflazione, la BCE ha come
obiettivo la stabilità dei prezzi con un tasso di inflazione non superiore al 2% e l’equilibrio nella
bilancia dei pagamenti. Obiettivi della politica o della crescita economica di lungo periodo sono, ad
esempio: l’aumento del ritmo di crescita del PIL e del PIL pro capite; la riduzione delle
disuguaglianze di reddito tra le famiglie; la riduzione delle disuguaglianze di reddito tra le regioni;
la riduzione dell’inquinamento; ecc. I principali strumenti utilizzati sono la politica monetaria e la
politica di bilancio.
Strumenti di politica monetaria e creditizia
La Banca Centrale controlla l’offerta di moneta M* e, pertanto, determina il tasso di interesse i*
praticato sul mercato, data la curva di domanda di moneta degli operatori: la BC decide M*
indipendentemente dal tasso di interesse, in funzione di considerazioni strategiche; un aumento
dell’offerta porterà ad un tasso più basso sul mercato.
Asimmetria della politica monetaria: può essere efficace per stroncare il surriscaldamento
congiunturale (crescita economica eccessiva, con accelerazione dell’inflazione e deficit nei conti
con l’estero); meno efficace per far riprendere l’economia in caso di recessione. Trappola della
liquidità: i tassi di interesse sono molto bassi e un aumento dell’offerta di moneta può non avere
alcun effetto sul tasso di interesse poiché si preferisce non acquistare titoli, ma detenere più
liquidità per non correre rischi di forte perdite in conto capitale. Anche se non si è nella trappola
della liquidità e si riesce a far scendere i tassi tramite un aumento dell’offerta di moneta, non è
detto che la riduzione dei tassi si traduca in maggiori investimenti e quindi maggior reddito ->
insensività degli investimenti rispetto alla discesa del tasso di interesse. Gli investimenti possono
dipendere anche da altri fattori, come le variazioni attese della domanda (principio
dell’acceleratore), oppure i profitti attesi. Negli anni ’70-’80 si verificò un periodo di stagflazione e
l’efficacia della politica monetaria in senso antinflazionistico venne messa in discussione; una
restrizione monetaria aggressiva e lunga può alla fine domare l’inflazione, ma il prezzo da pagare
può essere alto: meno prodotto, meno investimenti, meno occupazione. Per questo si è arrivati ad
elaborare formule miste di intervento (monetarie e fiscali), per ridurre l’inflazione senza sacrificare
troppo la dinamica delle variabili reali.
Quali strumenti ha la Banca Centrale per raggiungere l’offerta di moneta desiderata?
1. Determinazione della riserva obbligatoria delle banche: le banche sono tenute a versare su
un loro conto presso la BC una quota (1%, per la BCE era il 2% fino al 2011) dei depositi dei
loro clienti e dei titoli emessi con scadenza predeterminata fino a due anni; gli obblighi di
riserva determinano la quantità di moneta che il sistema bancario può creare con ogni euro
di depositi raccolto. Se gli obblighi aumentano, le banche devono detenere più riserve e
quindi ridurre gli impieghi che possono effettuare per ogni euro di depositi, il coefficiente
di riserva aumenta, il valore del moltiplicatore monetario diminuisce e l’offerta di moneta
si contrae. Se gli obblighi diminuiscono, le banche devono detenere meno riserve e quindi
possono aumentare gli impieghi che possono effettuare per ogni euro di depositi, il
coefficiente di riserva si riduce, il valore del moltiplicatore monetario aumenta e l’offerta di
moneta aumenta. La BCE, pur continuando a stabilire un obbligo di riserva, lo applica al
valore medio delle riserve in un dato periodo di tempo e non al valore puntuale in ogni
istante di tempo: così facendo limita l’ampiezza delle fluttuazione del volume dei
finanziamenti, in modo da mantenere la stabilità del mercato monetario. Dunque, la BCE
usa gli obblighi di riserva come strumento per mantenere la stabilità del mercato
monetario anziché come vero strumento di politica monetaria.
2. Operazioni di mercato aperto: comprende l’acquisto e la vendita di titoli, soprattutto di
debito pubblico (operazioni sul mercato secondario) da parte della BC. La BC stampa
moneta ed acquista titoli immettendo moneta nel sistema; la Banca crea moneta circolante
per acquistare titoli dal pubblico nel mercato obbligazionario, a seguito dell’acquisto, il
pubblico detiene una maggiore quantità di circolante -> aumento dell’offerta di moneta. La
Banca vende titoli al pubblico nel mercato obbligazionario, a seguito della vendita, il
pubblico detiene una minore quantità di circolante -> riduzione dell’offerta di moneta. Un
esempio particolare e ricorrente nel dibattito economico è il Quantitative Easing,
attraverso l’acquisto mensile di obbligazioni si sarebbe dovuto rompere il circolo vizioso di
rinvio dei consumi e della stagnazione economica perché tutto ciò avrebbe fatto risalire i
prezzi mantenendo l’inflazione intorno al 2%. Se l’azione della BCE e il suo impatto sono
credibili, l’inflazione attesa sarà del 2%, quindi le richieste salariali dei lavoratori e i prezzi
delle imprese rispecchieranno questo target e questo contribuirà a riportare l’inflazione
intorno al 2%. Forse per avere un maggiore effetto sulla domanda, invece del QE, si
sarebbe potuto ricorrere all’helicopter money, ideato da Milton Friedman, considerato il
padre della teoria monetaria, nonché premio Nobel per l’Economia. L’helicopter money
appartiene al regno della politica fiscale perché la distribuzione diretta del denaro nei conti
correnti delle famiglie implica l’emissione di bond per riequilibrare le passività della BCE.
Dal punto di vista tecnico, l’unica differenza dal QE è il fatto che anziché acquistare asset
finanziari, la BCE distribuirebbe denaro ai cittadini, aumentando di conseguenza la massa
monetaria. Ma neanche in questo caso si può essere certi che le persone spenderanno di
più e non è detto che, finita l’ondata dei soldi piovuta dal cielo, i cittadini continuino a farlo.
3. Rifinanziamento delle banche: la Banca Centrale può anche determinare il tasso di
interesse al quale è disposta finanziare le banche nel breve periodo; per la BCE si chiama
tasso di rifinanziamento. La Banca Centrale finanzia le banche commerciali nel brevissimo
periodo attraverso l’acquisto di attività finanziare non monetarie delle banche commerciali
e impegnandosi a rivendere tali attività ad una data futura. Così facendo, la Banca Centrale
concede un prestito, nel quale i titoli obbligazionari o le attività finanziarie non monetarie
vengono cedute dalle banche finanziarie a garanzia del prestito stesso; poiché la Banca
Centrale acquista le attività e il venditore accetta di riacquistarle a una data successiva e ad
un prezzo predeterminato, questo tipo di operazione di mercato aperto è denominata
operazione di pronti contro termine. Del prestito concesso la BCE può chiederne il
rimborso o concederne il rinnovo influenzando la quantità di moneta; il tasso di interesse
che le banche pagano sul prestito è il tasso di rifinanziamento, più alto sarà tale tasso,
meno incentivi avranno le banche a prestare soldi ai propri clienti, visto che i costi saranno
aumentati, facendo così diminuire la quantità di moneta circolante. La Banca Centrale
controlla il mercato monetario e può intervenire per influenzare la liquidità delle banche,
che a sua volta influenza gli impieghi e, per questa via, l’offerta di moneta. La differenza tra
prezzo pagato dalla BCE e quello pagato, in seguito, per le stesse attività dalla banca
commerciale, è detta tasso di rifinanziamento della BCE. Il tasso di rifinanziamento è il
tasso di interesse a cui la BCE è disposta a finanziare il settore bancario dell’area euro. La
BCE inietta liquidità nel sistema bancario prestando riserve alle banche commerciali ->
aumenta l’offerta di moneta. Se la Banca Centrale aumenta il tasso di rifinanziamento, le
banche commerciali cercheranno di limitare gli impieghi anziché indebitarsi di riserve ->
minor offerta di moneta; se la Banca Centrale diminuisce il tasso di rifinanziamento, la
banche commerciali hanno un incentivo ad aumentare gli impieghi -> maggior offerta di
moneta.
4. Tasso di interesse sui depositi delle banche presso la BCE: il tasso di interesse che la BCE
riconosce ai depositi delle banche private, definisce l’interesse che le banche percepiscono
sui loro depositi overnight presso la Banca Centrale. Da giugno 2014 il tasso è negativo per
scoraggiare le riserve in eccesso, un tasso negativo crea incentivi alle banche di non
detenere liquidità presso la BC. A settembre 2019 la BCE introduce un sistema a due livelli
per la remunerazione delle riserve in eccesso (two-tier system), parte delle riserve in
eccesso, calcolata come multiplo della riserva obbligatoria, è esentata dal tasso di interesse
negativo sui depositi presso la Banca Centrale.
5. Creazione di moneta: non più, o poco utilizzato; è la creazione di moneta attraverso
l’acquisizione di titoli di debito pubblico per coprire la spesa pubblica (operazioni sul
mercato primario). Fino al 1981 la BCI era controllata dal Ministero del Tesoro pertanto il
governo poteva fare ricorso a questa forma di finanziamento; la BCI era obbligata a
comprare tutti i titoli emessi dal Tesoro che non fossero stati assorbiti dal mercato, con
l’indipendenza della BC questo tipo di operazione è diventato molto meno comune; la BCE,
per regolamento, non può acquistare nuovi titoli di debito sul mercato primario.
6. Finanziamento monetario indiretto: le banche hanno utilizzato i prestiti ricevuti dalla
Banca Centrale, almeno in parte, per acquistare ingenti quantitativi di titoli pubblici; ecco
allora entrare in funzione il finanziamento monetario indiretto: la Banca Centrale concede
prestiti alle banche, a loro volta, le banche utilizzano questi prestiti per acquistare titoli
pubblici; nel momento in cui acquistano i titoli, le loro riserve presso la Banca Centrale
vengono trasferite al Tesoro. In sintesi la BCE presta soldi alle banche e queste, a loro volta,
li prestano allo Stato.
Come fanno le Banche Centrali a creare moneta? Moltiplicando i depositi! La BC immette sul
mercato 1000 M€; le banche, dedotta la riserva obbligatoria, diciamo il 10%, prestano agli
imprenditori denaro 900 M€, che viene versato sui conti degli imprenditori. Il denaro sui conti
degli imprenditori è nuovo deposito per le banche che lo riprestano una volta dedotta la riserva
cr +1
obbligatoria. M = × B -> se le banche vogliono detenere anche una quota dei depositi
cr +rr
(riserve libere) per far fronte a particolari necessità di liquidità, il moltiplicatore dei depositi
diminuirà, aumenta rr -> meno moneta in circolazione; se le famiglie detengono liquidità in forma
di banconote l’effetto del moltiplicatore dei depositi verrà ulteriormente diminuito, aumenta cr ->
meno moneta in circolazione.
Strumenti di politica fiscale
La politica fiscale, o di bilancio, ha due principali strumenti per far aumentare o diminuire la
domanda aggregata nel breve periodo:

 Aumento (diminuzione) della spesa pubblica G;


 Diminuzione (aumento) del carico fiscale T, in particolare quello delle famiglie in modo da
elevare il reddito disponibile.
I due strumenti possono essere utilizzati assieme oppure indipendentemente, ma qual è il più
1
efficace? Y = [ C0 + I 0 +G−bi ]− c T
1−c 1−c
1 −c
Dove è il moltiplicatore della spesa pubblica e è il moltiplicatore della tassazione.
1−c 1−c
−c
Un aumento delle tasse riduce il reddito perché il moltiplicatore delle imposte < 0;
1−c
dato che c < 1, il moltiplicatore delle imposte è minore di quello della spesa pubblica. Anche se la
spesa pubblica è totalmente finanziata dalle tasse il reddito comunque aumenterà -> teorema di
Haavelmo.
Esempio: c = 0.8, obiettivo ∆ Y =1000
1 c
∆Y = (∆ G)− (∆ T )
1−c 1−c
Se c = 0.8 allora il moltiplicatore di G = 5 e il moltiplicatore di T = 4. Tre possibili strategie:
1. Aumento della spesa pubblica ∆ G = 200 o diminuisco le imposte ∆ T = 250
2. Aumento sia G che T di 1000 mantenendo il bilancio in pareggio
3. Aumento ∆ G = 100 e diminuisco le imposte ∆ T = 150.
Le variazioni della spesa pubblica sono più efficaci perché il moltiplicatore è più alto, ma la
decisione di quale strumento usare dipende dalla situazione contingente di debito pubblico
(deficit) e dal livello di tassazione. La scuola keynesiana ritiene che la spesa pubblica in deficit non
sia un problema come soluzione ad una recessione in quanto lo stimolo alla domanda porterà con
sé un aumento della base imponibile (redditi, Y) e quindi T, portando potenzialmente ad una
riduzione del deficit. L’approccio del ritorno alla crescita attraverso l’austerità vede la riduzione del
debito come obiettivo primario. Il moltiplicatore ha un impatto di breve periodo: una politica
economica fiscale espansiva ha effetto perché la spesa pubblica permette di utilizzare risorse
sottoutilizzate come i lavoratori disoccupati o i macchinari inutilizzati. Se si ricorda però il modello
dell’acceleratore degli investimenti secondo il quale gli investimenti dipendono anche dalla
variazione del reddito I =v ∆Y (con v coefficiente tecnico dato dal rapporto capitale prodotto K/Y)
allora si ha anche un effetto di lungo periodo.
Politica economica e il modello IS-LM
La visione di un ruolo minimo assegnato alla politica economica considera i seguenti come i
compiti istituzionali delle politiche:

 Fiscale: prelevare imposte per fornire i servizi pubblici, che non vengono prodotti dal
mercato per le loro peculiari caratteristiche, alla collettività;
 Monetaria: fornire al sistema la quantità di moneta necessaria, tenere sotto controllo le
dinamiche inflative e sostenere il valore della moneta nazionale sui mercati valutari; non
può/deve avere effetti reali.
Il modello IS-LM della scuola keynesiana prevede, invece, che sia la politica fiscale che la politica
monetaria abbiano degli effetti reali nel breve periodo.
1. Politiche espansive sia fiscali che monetarie (in situazione di sottoccupazione) -> aumento
dell’occupazione e del reddito nel breve periodo. L’azione della politica monetaria è
minima in situazione prossime alla trappola della liquidità.
2. Politiche restrittive, in situazione di forte inflazione da domanda, possono avere effetto sia
quella fiscale che quella monetaria: in caso di disavanzo della bilancia commerciale la
politica fiscale restrittiva può avere effetto; in caso di un eccessivo indebolimento della
moneta nazionale una politica monetaria fa alzare il tasso di interesse attraendo capitali
dall’estero. L’alto debito pubblico può essere controllato con politiche fiscali restrittive.
Le politiche monetarie espansive non hanno effetti di spiazzamento sull’investimento, anzi li
incentivano se gli imprenditori rispondono a riduzioni del tasso di interesse; l’evidenza empirica
indica, però, che in un periodo di recessione seria, quando i tassi di interesse sono già molto bassi,
gli imprenditori sono poco sensibili ad ulteriori diminuzioni del tasso di interesse in quanto le
aspettative negative hanno preso il sopravvento sull’aspettativa di profitto e pertanto tutti gli
investimenti sembrano non essere sufficientemente profittevoli.
Interazione tra politiche
Una politica fiscale espansiva fa crescere il reddito Y a 1000, ma anche il tasso di interesse al 2,5-
5%; ciò può non essere desiderabile in caso di investimenti elastici al tasso di interesse: si avrà un
effetto spiazzamento; una politica monetaria espansiva può comunque far aumentare il reddito Y
a 1000, ma ciò implica una caduta del tasso di interesse all’1.5% creando problemi sul mercato dei
cambi. Si può ottenere un’espansione del reddito a 1000 mantenendo il tasso di interesse costante
a 2.5%? Sì, con interventi più leggeri, ma congiunti, di politica fiscale e monetaria. La politica
fiscale è attuata congiuntamente a quella monetaria, in questo caso una spesa pubblica G
maggiore può essere combinata ad un’offerta di moneta maggiore accomodante, cosicché: la
pressione alla crescita del tasso di interesse verrà controbilanciata dalla spinta verso il basso
dovuta alla maggiore offerta di moneta.
Il caso keynesiano
Se gli investimenti sono del tutto insensibili al tasso di interesse (caso keynesiano estremo) allora la
curva IS è verticale; cosa succede alla politica monetaria? Non ha effetto perché la politica
monetaria espansiva fa abbassare i tassi di interesse, ma ciò non ha effetto sugli investimenti e
pertanto Y non cambia. Similmente si attua una politica monetaria nel tratto orizzontale della
curva LM non si ottiene nessun effetto perché ci troviamo nella trappola della liquidità.
Combinando entrambe le politiche, nel caso keynesiano, si ottiene il massimo possibile effetto
della politica fiscale e un limitato effetto della politica monetaria.
Il ruolo stabilizzante delle politiche economiche
A seguito di una politica fiscale restrittiva (aumento delle imposte) la Banca Centrale può reagire in
diversi modi a seconda degli obiettivi che si prefigge. Le possibili risposte all’aumento di T -> la
Banca Centrale può mantenere:
a. M costante; un aumento delle imposte sposta la IS verso sinistra, se la Banca Centrale tiene
costante l’offerta di moneta, osserviamo una recessione. Il reddito casa da Y 1 a Y 2, il tasso
di interesse di equilibrio cala perché ad un reddito più basso corrisponde una minor
domanda di moneta e dunque uno spostamento lungo la LM.
b. r costante, se la Banca Centrale vuole mantenere costante il tasso di interesse deve ridurre
l’offerta di moneta. La LM si sposta verso sinistra; la politica monetaria restrittiva rende
ancora maggiore la riduzione del reddito che passa da Y 1 a Y 3.
c. Y costante, se la Banca Centrale vuole tenere il reddito costante deve aumentare M per
spostare la LM verso destra. La politica monetaria espansiva elimina la variazione di reddito
∆ Y =0. Il tasso di interesse cala di più però, da r 1 a r 3.

In risposta a shocks della domanda o dell’offerta le politiche possono cercare di stabilizzare


l’economia contrastando tali effetti; la tempistica dell’intervento, però, è cruciale e c’è il rischio
che le politiche arrivino in ritardo.
Stabilizzatori automatici
Esistono dei meccanismi economici che permettono di controbilanciare l’effetto di shocks
automaticamente, sono:

 Il carico fiscale proporzionale: se l’economia si contrae, il carico fiscale proporzionale fa sì


che il reddito disponibile diminuisca meno che proporzionalmente, l’inverso in caso di
rapida crescita;
 I trasferimenti della PA: come l’indennità di disoccupazione, fanno sì che in caso di
recessione, la domanda sia sostenuta anche da quelli che perdono il lavoro;

Esempio di applicazione contemporaneo: lo shock economico del COVI-19


Dal lato dell’offerta il virus e le politiche di restrizione hanno causato un arresto alla produzione di
beni e servizi e uno scarso reperimento di beni intermedi, ciò ha causato uno shock dei costi, come
durante la crisi petrolifera, che ha causato una tendenza dei prezzi a salire, di conseguenza il
rapporto M/P si riduce e la LM trasla verso l’interno; i tassi di interesse crescono per indurre gli
agenti a comprare titoli e liberarsi di moneta liquidità (c’è una possibilità di aumento dello spread :
convincere agenti a comprare i titoli di un paese giudicato rischioso richiede un aumento dei
rendimenti che i titoli promettono), c’è una spinta recessiva, per cui il reddito si riduce e una
tendenza inflazionistica (ad esempio, il prezzo delle mascherine). Dal lato della domanda, le misure
di contenimento colpiscono i consumi, la sfiducia di consumatori e imprenditori causa uno
spostamento della IS verso sinistra e dunque si ha una ulteriore riduzione del reddito Y che passa
da Y 1 a Y 3.

Possibili soluzioni
Un mix di politiche fiscali e monetarie espansive; le politiche fiscali aumentano la spesa pubblica e
sostengono i settori deboli. La pressione al rialzo che questa politica comporta sui tassi di interesse
e sui prezzi dovrebbe essere compensata da una politica monetaria che “accomodi” l’obiettivo
espansivo del reddito della politica fiscale e permetta di:
1. Calmierare i tassi di interesse (non farli salire troppo), quindi riducendo lo spread e il costo
del servizio del debito;
2. Iniettare liquidità nel sistema per sostenere il debito pubblico necessario a finanziare il
deficit.
Problemi:

 Inflazione da politica espansiva: non un reale problema ora che siamo in una fase
deflazionistica e quindi un aumento temporaneo dei prezzi non costituisce un problema;
 Politica monetaria tradizionale inefficace: a causa della trappola della liquidità, l’aumento
dell’offerta di moneta non ha effetti sul tasso di interesse;
Quali quindi le possibili soluzioni per rendere efficace la politica monetaria?
1. Quantitative Easing -> la BCE crea riserve comprando bond governativi e altre attività
finanziarie del mercato secondario (questo genera una diminuzione del rischio, un
aumento dei prezzi e una riduzione dei tassi di interesse); utilizza il QE per aumentare
l’offerta di denaro e abbassare i tassi di interesse acquistando dal mercato titoli governativi
o altri titoli finanziare per stimolare la crescita economica. Gli effetti del QE sui titoli di stato
nel mercato secondario ne riducono il rendimento e favoriscono lo Stato nelle nuove
emissioni per evitare di applicare interessi elevati per renderli appetibili sul mercato,
diminuendo così l’indebitamento e lo spread.
2. Eurobond/Coronabond -> indebitamento degli Stati tramite l’emissione di bond comuni
con garanzia di altri Stati EU finalizzati a coprire spese in deficit per l’emergenza. Un titolo
di debito della UE che non può essere emesso dalla BCE per statuto, bensì, ad esempio, la
BEI nata proprio con lo scopo di finanziare investimenti nei Paesi membri; la BEI potrebbe
porsi come garante di obbligazioni europee emesse singolarmente dagli Stati dell’Unione. Il
“Coronabond” è un’obbligazione emessa come per gli Eurobond, ma dedicata
essenzialmente alle spese sanitarie e rilanciare l’economia.
3. Helicopter drop of money -> i soldi entrano direttamente nei conti correnti dei governi,
delle imprese e dei cittadini creando moneta tramite emissione di bond comprati dalla BCE;
a differenza dei QE questi bond hanno rendimento nulla: lo Stato non deve restituire nulla.
A differenza del QE, l’effetto è permanente e irreversibile poiché il denaro è distribuito ai
consumatori e le Banche Centrali non possono ritirare i soldi se i consumatori decidono di
metterli in un conto di risparmio; ha un impatto diretto sulla domanda, mentre il QE no; è,
in sostanza, una politica fiscale espansiva orchestrata da una Banca Centrale, una volta che
questa non ha più leve di politica monetaria da attuare non entrerebbe quindi nel mandato
della BCE e richiederebbe, quindi, una modifica del trattato di Maastricht.
Il Quantitative Easing già esiste, gli strumenti nuovi da testare, e su cui eventualmente convergere,
sono gli Eurobond e l’Helicopter drop of money recentemente approvato dagli USA per far fronte
alla crisi provocata dal Coronavirus.
PARTE SECONDA
Strumenti e politiche per orientare le decisioni individuali
Come prendono le decisioni le persone? Quale modello di scelta è utilizzato nella maggior parte
dei modelli di economia? È un modello “realistico” del comportamento umano? È possibile
orientare le persone verso decisioni benefiche per sé stessi e la comunità che altrimenti non
riuscirebbero a prendere? In questa parte del corso si proverà a rispondere a queste domande.
Motivazione
Molti comportamenti e decisioni umane, da quelle più semplici come prelevare al bancomat, a
quelle più complesse, come decidere se e quando investire, sono guidate da impulsi razionali, ma
anche da impulsi irrazionali. Un esempio in campo macroeconomico è quello del 15 settembre
2008; i rappresentanti della Lehman Brothers iniziarono le procedure di bancarotte per quello che
fino all’anno prima era uno degli istituti finanziari più importanti del mondo. Lehman Brothers era
stata coinvolta nel 2007 nel crollo del mercato immobiliare americano; il valore delle azione della
Lehman Brothers crollò del 90% generando un effetto domino e una caduta di 500 punti dell’indice
Dow Jones. Dopo, per prevenire ulteriori effetti a catena, i governi degli USA, UE e paesi asiatici
iniettarono liquidità, garantendo le azioni di alcuni grandi istituti di credito e nazionalizzandone
altri (cosa impensabile fino a pochi mesi prima). Eppure non si trattava della prima crisi finanziaria
della storia, la crescita di bolle speculative e il successivo crollo dei mercati sono eventi ciclici e
ricorrenti. La domanda è come tutto questo sia potuto accadere, ancora una volta, nonostante le
conoscenze accumulate nei secoli e gli sforzi di migliaia di economisti impegnati a studiare i
mercati finanziari. La risposta, in parte, ha a che fare con il mistero più profondo della natura: la
mente umana e la sua capacità di prendere decisioni razionali. Molti analisti hanno concluso che
nell’estate del 2008 sia andato in crisi non solo il sistema finanziario, ma anche molte teorie su cui
esso si reggeva. Le assunzioni eleganti e matematicamente trattabili dell’economia neoclassica
(agenti razionali e mercati efficienti) funzionano bene e forniscono buone descrizioni
dell’economia che ci circonda. Gli investitori, infatti, sono razionali nella maggior parte dei casi, ma
in circostante estreme, come quelle che caratterizzano le crisi, i modelli quantitativi costruiti su tali
premesse non reggono. È necessario, quindi, osservare non più come gli investitori si dovrebbero
comportare secondo il modello classico, ma come si comportano di fatto; costruire dei modelli che
tengano conto dei vincoli cognitivi e dell’influenza delle emozioni sulle scelte di investimento e
colmare lo scarto tra homo economicus e investitore in carne e ossa, tra mercati efficienti e
mercati in tempi di crisi. Le decisioni economiche non hanno solo a che fare con il denaro,
riguardano il rimpianto, l’invidia, l’onore, la paura, il panico, la mancanza di ottimismo e di fiducia;
l’irrazionalità alla base delle bolle speculative, come quella che ha portato alla crisi del 2008, è
innescata da avidità e paura: dall’ottimistica fiducia di guadagni incessanti prima e dalla
drammatica prospettiva di finire rovinati poi. Un esempio, la febbre dei tulipani in Olanda nel
1637, dove la fiducia in una crescita dei prezzi e l’aspettativa di facili guadagni modificarono in
modo coordinato il comportamento degli investitori che valutarono un bene non in termini dei
suoi ritorni, ma in funzione delle aspettative di crescita del capitale. Furono le aspettative
dell’incessante crescita del prezzo dei tulipani, e non il valore dei tulipani, a determinare il prezzo.
Un delirio collettivo, un vero e proprio contagio sociale della psicosi del boom: tutti comperano
tulipani, perché tutti gli altri vogliono farlo, perché tutti si aspettano che lo faranno in futuro e che
quindi il prezzo dei tulipani continuerà a salire, e domani li si potrà vendere a prezzi più alti e
realizzare guadagni. Si crede che il boom durerà sempre. Comprare per rivendere a prezzo più alto
è perfettamente razionale, non è così semplice, invece, saper anticipare la bolla e uscirne per
tempo: una bolla non può durare per sempre. Vernon Smith in un esperimento ha osservato che i
compratori non desistono neppure quando sanno con certezza che i rendimenti delle azioni
declineranno inesorabilmente. La “patata bollente” passa di mano in mano, perché ogni
investitore crede di essere più furbo degli altri e di trovare qualcuno più stupido a cui passarla un
attimo prima del disastro. Quando la bolla scoppia, improvvisamente i compratori scompaiono,
non comprano più beni che precedentemente avrebbero comprato, neanche a prezzi più bassi.
Nessuno si separa più dal denaro liquidi, ma anche questo è razionale, il problema è prevedere
quando questo avverrà e quando i compratori impauriti riacquisteranno fiducia e quindi
investiranno. Perché siamo spinti a credere alla favola del boom? La risposta a questa domanda e
ad altre domande sul comportamento irrazionale degli individui risiede nei meccanismi del nostro
cervello, sempre più investigate dalle scienze della decisione, che stanno alla base delle scelte
economiche. L’irrazionalità umana segue precisi percorsi: essa è sistematica e può essere studiata
scientificamente; può essere anticipata e per questo possono essere messe in atto politiche per
evitare scelte dannose per sé stessi e per la società. Il nostro cervello risponde prontamente
all’anticipazione di una grossa vincita, ma non all’aumentare o al diminuire della probabilità di
ottenerla; perdere fa molto male, comparabilmente più male di quanto faccia piacere vincere una
somma di pari ammontare. Queste considerazioni suggeriscono che lo studio delle variabili
nascoste della decisione umana siano tanto importanti quanto lo studio delle variabili
macroeconomiche classiche. Alcune politiche possono aiutarci a prendere decisioni migliori,
ovvero di evitare alcuni degli errori che siamo portati a compiere in modo prevedibile.
La razionalità
L’economia tradizionale muove dal presupposto che le decisioni individuali siano razionali e
prevalentemente governate dall’interesse. Razionalità, in economia, significa assumere che gli
agenti usino l’informazione disponibile con coerenza, per scegliere in modo ottimale date una
serie di alternative disponibili e degli obiettivi prefissati; significa, inoltre, assumere che gli agenti
siano lungimiranti, cioè che sappiano calcolare le conseguenze future delle loro decisioni. Il
protagonista dei modelli economici è un agente dotato di un dato e stabilito ordinamento di
preferenza sulle alternative a disposizione e capace di formare credenze probabilistiche sugli stati
del mondo e sugli effetti delle proprie azioni; egli è anche in grado di elaborare l’informazione a
disposizione secondo il calcolo della probabilità, in condizioni di incertezza è massimizzatore
dell’utilità attesa. Si tratta quindi di un essere molto particolare, dotato di autocontrollo, che sa
sempre individuare ed intraprendere la decisione ottimale, cioè quella che massimizza il proprio
benessere individuale, è dotato di grande capacità di calcolo e di prevedere esattamente ogni
conseguenza delle proprie azioni, la sua scelta sarà indipendente dal contesto in cui le decisioni
vengono presentate e non c’è spazio per le emozioni. Siamo in presenza dell’homo oeconomicus.
L’homo economicus è generalmente caratterizzato da questi elementi:
1. Autointeresse (self interest): autointeressato e pensa che anche gli altri lo siano;
2. Perfetta razionalità (full rationality): coerente e massimizzatore dell’utilità, senza
distorsioni cognitive e pensa che anche gli altri lo siano;
3. Focalizzato sui risultati (payoff): massimo risultato con minimo sforzo, onnisciente e
decontestualizzato.
Assiomi e preferenze:
Desideri e credenze individuali vengono rappresentate per mezzo, rispettivamente, di
ordinamenti di preferenze;
Gli assiomi hanno la funzione di imporre alcune semplici restrizioni o requisiti di coerenza
sulle preferenze, in modo da poter distinguere una scelta razionale da una che non lo è.
La preferenza è una relazione tra cose, persone o panieri di beni che ci permette quindi di ordinarli
secondo il loro grado di gradimento, secondo cioè il benessere che ci danno; possiamo ordinare
panieri di consumo secondo un ordine di preferenza. Per farlo, in genere, si usano i seguenti
operatori logici: che esprime indifferenza, che esprime una relazione di preferenza stretta, che
esprime una relazione di preferenza debole.
Assiomi delle preferenze razionali:
1. Completezza: valutare le alternative, ovvero confrontare i panieri di consumo/diversi
scenari di vita sui quali si esercita la scelta, è sempre possibile. L’homo economicus sa
sempre cosa vuole e cosa gli piace di più, non è possibile non avere una preferenza per lui.
2. Transitività: se il consumatore ritiene che X sia desiderabile almeno tanto quanto Y e che Y
sia desiderabile almeno tanto quanto Z, allora X è desiderabile almeno tanto quanto Z.
l’homo economicus non si contraddice: se preferisce il caffè al tè e il tè alla birra, allora
deve preferire anche il caffè alla birra. È impossibile preferire il caffè al tè, il tè alla birra e
allo stesso tempo non preferire il caffè alla birra.
3. Riflessività: un paniere qualsiasi è desiderabile almeno tanto quanto un paniere identico.
L’homo economicus è coerente: se un altro paniere/scenario ha le stesse caratteristiche di
X esso sarà almeno tanto buono quanto X.
Il problema della teoria della scelta razionale è che gli economisti la utilizzano come strumento
universalmente valido per prevedere il comportamento umano. Gli economisti, per sfuggire alla
vacuità e cercare di prevedere le scelte degli individui, tendono ad utilizzare modelli specifici,
costruiti aggiungendo al modello base della scelta razionale altre assunzioni particolari:
a. Egoismo: gli agenti economici massimizzano il proprio tornaconto personale;
b. Materialismo: l’utilità degli agenti economici dipende solo dalla quantità di beni
consumati;
c. Utilità decrescente al margine: l’utilità cresce con il numero di beni, ma diminuisce al
margine.
Se a queste aggiungiamo il principio di razionalità otteniamo l’homo economicus, è importante
sottolineare che l’ipotesi che il comportamento umano sia catturato dagli assiomi della scelta, non
implica che gli esseri umani reali ragionino sulla base di essi. È corretta l’interpretazione secondo
cui gli esseri umani si comportano come se facessero calcoli necessari per comportarsi in maniera
razionale. Per quanto approssimativamente buona rispetto al comportamento reale, secondo la
psicologia cognitiva, questa teoria è fortemente incompleta e irrealistica.
Anomalie cognitive
Costi opportunità:
possiamo rappresentare il problema decisionale attraverso un albero come il seguente
comprare azioni guadagno: 1000€ tra un anno
Persona
comprare case guadagno: il valore della casa aumenterà di 900€ tra
un anno
Occorre calcolare il costo opportunità di una scelta rispetto all’altra; esso è il valore cui si
rinuncerebbe se si scegliesse una tra le due opzioni. Il profitto da investimento immobiliare è 900 –
1000= -100; il profitto da investimento azionario è 1000 – 900 = 100. In questo caso dovrei
investire in azioni invece che comprare case. Il costo opportunità di una scelta è quindi il valore di
ciò cui rinunceremmo proprio nel momento di optare per quella scelta. Qui erano presentate solo
due alternative, ma se ci sono più opzioni il costo opportunità è il valore dell’opzione di valore più
alto tra quelle disponibili. Se definisco a 1, a 2, …, a n le diverse n azioni (possibilità) disponibili e con
u(a 1), u(a 2), …, u(a n) l’utilità che queste n azioni ci danno quando sono scelte, e con c(a 1), c(a 2), …,
c(a n) il costo opportunità che deriva dallo scegliere queste azioni, allora il costo opportunità c( a i) di
una qualsiasi azione a i tre le n possibili può essere espressa come:

c(a i) = max{u (ai−1) , u(a i−2),... , u(a i−(n−1) ), u( ai+1 ), u(ai+2 ), ... ,u (ai +(n−1) ) }

Dunque, il costo opportunità di a i è uguale alla massima utilità possibile che deriva dalle
alternative disponibili. C’è un legame stretto tra costi opportunità, utilità e scelta razionale.
L’agente sceglierà in modo razionale, massimizzando la propria utilità, solo se si prende in
considerazione in modo corretto il costo opportunità.

Quindi a i è una scelta razionale se u(a i)≥ c(a i); se a i è una scelta razionale, allora dovrebbe dare
un’utilità maggiore tra tutte le altre disponibili, cioè u(a i) è maggiore dell’utilità data da tutte le
altre alternative. Questo formalmente si può esprimere come: u(a i)≥max
{u (ai−1) , u(a i−2),... , u(a i−(n−1) ), u( ai+1 ), u(ai+2 ), ... ,u (ai +(n−1) )}. Ma il secondo membro della
disequazione altro non è che la definizione di costo opportunità c(a i) e quindi possiamo riscriverla
come: u(a i)≥ c(a i). Quindi è irrazionale investire in proprietà immobiliari dal momento in cui c’è un
utilizzo del denaro più redditizio, anche se investire in immobili renderebbe profitto. Trascurare i
costi opportunità può portare a decisioni irrazionali, sub-ottimali e persino dannose, ma è
chiaramente difficile avere il pieno controllo di tutte le alternative possibili e valutarne i costi, per
esempio, quando ci sono molte alternative disponibili dovrebbe farci sentire più liberi, ma è stato
visto però che questo ci rende inspiegabilmente infelici. Perché? Più sono le alternative disponibili,
più sarà rilevante il confronto con il loro costo opportunità; più sarà rilevante questo confronto e
minore sarà la soddisfazione che deriveremo dall’alternativa che scegliamo.
Costi irrecuperabili:
l’analisi razionale della decisione richiede la valutazione dei costi opportunità di una decisione; in
questa valutazione occorre però non considerare quanto si è già speso/investito per una delle
alternative in quanto si tratta di costi non recuperabili. Quando si sbaglia a considerare i costi
irrecuperabili si parla di fallacia dei costi irrecuperabili. Ci sono molti esempi nella vita quotidiana
di questa fallacia:
Andare ad un concerto quando si ha già il biglietto e fuori c’è una tempesta di neve;
Rifiutarsi di vendere un titolo che sta andando male per non perdere la differenza tra
prezzo di acquisto e di vendita, occorre tenerlo se si ritiene che l’investimento sia la
migliore alternativa disponibile e venderlo in caso contrario;
Non rompere con un partner che ci rende infelici perché lasciandolo si butterebbe il tempo
e la fatica che gli abbiamo dedicato;
I centri commerciali sono in genere locati lontano per far scattare l’idea nel consumatore
che “ho preso la macchina, son venuto fin qui, adesso compro” anche se non serve.
La decisione razionale è determinata da cosa succede alla destra del nodo in cui ci si trova, cosa
succede in altre parti, e precisamente a sinistra, è irrilevante. Le scelte razionali sono forward
looking (rivolte in avanti); questo non significa che il passato non conta, ma lo fa nella misura in
cui è in grado di modificare gli esiti delle alternative presenti. La fallacia dei costi irrecuperabili può
spingere verso un’escalation: si investe di più in progetti che sono destinati a fallire perché si sono
già spesi tanti soldi fino a quel momento e più si decide di investire nei nodi decisionali e più
saranno alti i costi irrecuperabili che a loro volta ci spingeranno a decidere di investire
ulteriormente, e così via.
La dipendenza da menu ed effetto esca (decoy effect)
Il modo in cui presentiamo le alternative influenza la scelta, l’aggiunta nel menu di un’opzione che
nessuna persona ragionevole sceglierebbe, finisce con il modificare le preferenze rispetto alle altre
opzioni. La scelta razionale dipende dal budget set, cioè dal menu di scelta; quando questo si
amplia, più opzioni diventano disponibili e una di esse potrebbe rivelarsi preferita rispetto a quella
che avreste scelto con un menu più limitato. Più formalmente: se x viene scelta da un menu { x , y } ,
assumendo che non siamo indifferenti tra x e y, allora non è possibile scegliere y dal menu { x , y , z }
. L’aggiunta di un bene inferiore non dovrebbe cambiare la decisione, se scegliessimo y, il nuovo
menu avrebbe cambiato le nostre preferenze. La teoria non ammette un cambiamento delle
preferenze come risultato in un menu che si espande o per qualsiasi altro motivo: le preferenze
sono stabili, non cambiano nel tempo. Nella vita normale però, ci sono numerosi casi in cui le
persone cambiano i propri gusti quando il menu delle alternative si espande -> dipendenza dal
menu delle alternative.
L’effetto esca
La presenza di un’opzione dominata sembra aumentare l’appetibilità per il consumatore
dell’alternativa dominante; questo è l’effetto esca conosciuto anche come effetto attrazione.
L’effetto esca è solo una forma di dipendenza dal menu delle alternative. Un altro effetto è
l’effetto compromesso, talvolta descritto come avversione agli estremi che è la tendenza a
scegliere un’alternativa che rappresenti un compromesso o via di mezzo all’interno del menu, è
l’abitudine ad evitare opzioni più estreme per quanto concerne la dimensione rilevante della
scelta. Alcune forme di dipendenza dal menu sono conosciute a volte come effetti di contesto,
perché le scelte sono influenzate dal contesto in cui vengono prese.
Avversione alle perdite
La teoria della scelta razionale rende indipendenti le preferenze dalla dotazione iniziale, cioè da ciò
di cui si dispone al momento della decisione. Tuttavia, nel mondo reale, si è notato che le
preferenze delle persone tendono a cambiare a seconda del loro punto di partenza, cioè da quello
che hanno o non hanno nel momento in cui prendono la decisione. Per potere analizzare queste
anomalie comportamentali è necessario introdurre il concetto di willgness to pay (WTP) e di
willgness to accept (WTA). Supponiamo che esistano due beni: una tazza e i soldi; grazie alla
proprietà della completezza, ci deve essere una certa somma di denaro p tale per cui si è
indifferenti tra la tazza e i soldi. Se, per esempio, p = 1€ e avere più soldi è meglio di avere meno
soldi, allora si può assumere che si è indifferenti tra 1€ e la tazza. Se si possiede la tazza, alla
domanda del quantitativo di denaro che si è disposti ad accettare per cederla, sicuramente si
risponderà non meno di 1€. Questo valore è la disponibilità ad accettare (WTA). Se non si ha la
tazza, alla domanda “quanto denaro si sarebbe disposti a spendere” si risponderà non più di 1€.
Questa valore è la disponibilità a pagare (WTP). In questo esempio, per la tazza WTP = WTA = 1€.
L’utilità della prima tazza è indipendente dalle dotazioni iniziali, che si abbia o meno la tazza. La
funzione di utilità è rappresentata in modo concavo perché le persone si abituano alle cose:
l’utilità marginale che deriva dal possesso di una tazza aggiuntiva decresce al crescere delle tazze
possedute -> utilità marginale decrescente.
Effetto dotazione
Quindi, secondo la teoria della scelta razionale, la variazione dell’utilità che deriva dal possesso o
dalla perdita di un bene è indipendente dalle dotazioni iniziali, quindi WTP = WTA. Nel mondo
reale, davvero le persone scelgono indipendentemente dalle dotazioni iniziali? Cioè, l’ammontare
di denaro che chiedono per cedere una tazza che hanno già è uguale a quanto pagherebbero per
averla? Per dare una risposta a questa domanda è stato fatto un esperimento con studenti della
Cornell University. Ad un gruppo è stata fatta vedere una tazza della Cornell ed è stato chiesto
quanto sarebbero stati disposti a pagare per averla; ad un altro gruppo è stata data la stessa tazza
della Cornell ed è stato chiesto a quale prezzo sarebbero stati disposti a cederla. La razionalità
richiederebbe che i due gruppi dichiarino, in media, la stessa cifra; tuttavia, gli studenti hanno
dichiarato un WTA maggiore del WTP. Questo è l’effetto dotazione, le persone richiedono molto di
più per cedere un oggetto di quanto sarebbero disposti a pagare per averlo; le preferenze delle
persone sembrano dipendere proprio dalle disponibilità iniziali o da ciò che loro possiedono.
Poiché il modo in cui valutiamo diverse opzioni potrebbe dipendere da un punto di riferimento
(reference point), vale a dire la loro situazione iniziale in termini di possesso, fenomeni come
questo sono spesso denominati reference point phenomena. L’effetto dotazione, e in generale i
reference point phenomena, sono aspetti dell’effetto incorniciamento (framing effect) che si
verifica quando le preferenze vengono a dipendere da come le opzioni sono presentate.
L’effetto dotazione e il reference point phenomena sono spiegati come il risultato dell’avversione
alle perdite: le persone detestano molto di più una perdita di quanto amano un guadagno dello
stesso ammontare. L’avversione alle perdite spiega anche in molti casi il WTA > WTP; quando
esprimiamo la WTA, viene chiesto di immaginare di possedere un certo bene e dichiarare il prezzo
al quale saremmo disposti a cederlo, per cui il prodotto sarà valutato dentro la cornice delle
perdite; quando esprimiamo la WTP ci viene chiesto di immaginare di non possedere un certo
bene e dichiarare il prezzo al quale saremmo disposti ad acquistarlo -> il prodotto sarà valutato
dentro la cornice dei guadagni. Dato che le perdite fanno più male dei guadagni allora la WTA >
WTP.
Prospect theory
Gli economisti comportamentali catturano l’effetto dell’avversione alle perdite attraverso una
funzione chiamata “funzione valore” v(), la quale ci dice che valore le persone danno ad un
cambiamento. Tale funzione è componente fondamentale della teoria del prospetto, una delle
teorie più importanti dell’economia comportamentale; essa ha due caratteristiche:
1. A differenza della funzione utilità (che si calcola sulle disponibilità totali), essa considera i
cambiamenti rispetto alle disponibilità;
2. Mostra una modifica sostanziale a partire dal punto di riferimento: se il punto di
riferimento rispetto al quale si valutano i cambiamenti sono le dotazioni iniziali, allora la
curva è più ripida a sinistra dell’origine, questo implica che la persona dà più peso alla
disutilità che deriva dal perdere un bene rispetto all’utilità che deriva dall’averlo.
La funzione v() è più ripida nel dominio delle perdite che nel dominio dei guadagni, questo implica
che il valore di una perdita è maggiore del valore di un guadagno di pari ammontare; v() è concava
nella regione dei guadagni, ma è convessa nella regione delle perdite: questo significa che piccole
variazioni vicine al punto di partenza hanno un impatto maggiore sulla scelta rispetto a grosse
variazioni lontane dal punto stesso. Inoltre, la curva ha una pendenza maggiore nella regione delle
perdite, il che permette di spiegare l’avversione alle perdite. L’avversione alle perdite può spiegare
perché non si tengono in considerazione i costi opportunità: se il costo opportunità è un guadagno
mancato, l’avversione alle perdite spiega perché le persone diano più peso ai pagamenti diretti che
ai costi opportunità. Spiega anche perché le persone danno peso ai costi non recuperabili: perché
sono vissuti come una perdita. Inoltre, il reference point può dipendere anche da desideri e
aspettative di un individuo.
Ancoraggio e aggiustamento
Molto spesso le persone non sanno cosa scegliere e pertanto si attaccano a qualsiasi suggerimento
che proviene dal contesto o dal modo in cui viene formulata una decisione per fare le proprie valu
tazioni. Spesso ci si affida a delle euristiche:
Regole empiriche e/o scorciatoie mentali;
Aiutano a risolvere problemi decisionali;
Spesso possono portare a risposte corrette;
A volte producono errori.
Una di queste euristiche irrazionali è l’ancoraggio. Esperimento: ad alcuni studenti in laboratorio
viene mostrato un cordless, un libro o una bottiglia di vino; viene chiesto loro di scrivere le ultime
due cifre del loro codice fiscale e poi gli viene richiesto di dare un prezzo agli oggetti, cioè di fare
una valutazione. Teoricamente lo step due è inutile in quanto non c’entra nulla con la valutazione
degli oggetti, eppure le persone con le ultime due cifre del codice fiscale più grandi valutavano
l’oggetto fino a 346% di più di chi aveva le cifre del proprio codice fiscale più piccole. Le cifre del
codice fiscale hanno fatto da “ancora” che gli individui hanno usato per dare la propria valutazione
dei prodotti. L’ancoraggio è un processo cognitivo che può essere usato quando si formano dei
giudizi e delle valutazioni; in primis viene fatta una stima iniziale e secondariamente si aggiusta la
risposta verso l’alto o verso il basso per arrivare a un numero finale. Il risultato di questo
esperimento si spiega con l’ancoraggio e un aggiustamento insufficiente della propria valutazione,
se assumiamo che i soggetti abbiano utilizzato le due cifre finali del codice fiscale come ancora.
Siamo in presenza di un comportamento irrazionale, che viola la procedura di invarianza, secondo
la quale una preferenza non dovrebbe variare in funzione del metodo usato per rivelarla.
Interazioni strategiche
Molte volte, quando prendiamo una decisione, esaminiamo ciò fanno o farebbero gli altri, nella
misura in cui questo influenza il possibile risultato della scelta; lo studio dell’interazione strategica
è oggetto della teoria dei giochi. Lo studio delle interazioni strategiche ci serve anche per capire se
e come le persone riusciranno a coordinarsi tra loro per arrivare ad una situazione che è la
migliore ottenibile per tutti (efficienza paretiana) oppure se il libero interagire degli individui
conduce ad un risultato che non è quello ottimale per la società, seppur tutti agiscano in modo
razionale. La natura interattiva o strategica di molti problemi decisionali può essere formalizzata
sottoforma di “gioco”; si parla di gioco quando si ha a che fare con un problema decisionale il cui
risultato finale dipende non solo dalle nostre azioni, ma anche dalle azioni di almeno un altro
agente. Gli agenti coinvolti in un’interazione sono chiamati “giocatori”, essi hanno delle
“strategie”, cioè un piano completo di azione che descrive quale mossa un giocatore sceglierà in
ogni possibile circostanza. I risultati del gioco, che corrispondono ad ogni possibile combinazione
di strategia per ciascun giocatore, sono detti “payoff” e possono avere la forma di punizione o
ricompensa; la matrice di payoff è una tabella che indica i payoff (i risultati) dei diversi giocatori
per ogni combinazione scelta.
Il dilemma del prigioniero
Due criminali vengono arrestati perché sospettati di aver commesso due reati distinti; la polizia ha
prove sufficienti per incriminarli per il reato minore (possesso illegale di armi), ma non per quello
più grave (rapina in banca). Dopo aver separato i prigionieri, la polizia offre a ciascuno di loro una
pena ridotta se decidono di testimoniare l’uno contro l’altro: se i due decidono di cooperare (C) tra
loro e non confessare, saranno incarcerati per il reato minore e si faranno solo un anno di carcere;
se uno dei due confessa e testimonia contro l’altro (NC) e l’altro invece non confessa (C), il primo
viene liberato e l’altro si farà tre anni di prigione; se entrambi non cooperano (NC) e testimoniano
l’uno contro l’altro, entrambi vengono arrestati per il reato più grave, ma ricevono uno sconto
sulla pena per il fatto di aver collaborato con la polizia, cioè due anni. Cosa faranno i due
prigionieri per minimizzare il numero di anni di prigione? Adotteranno una strategia che
massimizza il benessere del gruppo o adotteranno una strategia che massimizza il benessere
individuale? Siamo in presenza di un dilemma sociale -> perseguo la strategia cooperativa, che
massimizza il benessere del gruppo oppure la strategia individualistica che massimizza il benessere
individuale? È un vero dilemma, perché se gli individui si comporteranno in maniera razionale
finiranno per scegliere la strategia non cooperativa, che apparentemente è la miglior risposta al
comportamento dell’altro, però al tempo stesso è quella più deleteria per il benessere del gruppo.
Quale sarà l’equilibrio del gioco? Ci sono diverse definizioni di equilibrio; noi ci atterremo al
concetto di equilibrio utilizzato tradizionalmente nella teoria dei giochi: l’equilibrio di Nash.
L’equilibrio di Nash è un profilo di strategie tale per cui ogni strategia al suo interno è la migliore
risposta alle altre strategie possibili; un equilibrio di Nash è tale se non ci sono altre strategie
perseguibili che possano portare ad un vantaggio strettamente maggiore. In altre parole, si
raggiunge l’equilibrio di Nash quando si adotta la strategia migliore rispetto alle altre per cui ogni
deviazione da queste scelte conduce ad una situazione subottimale dell’individuo. Un modo per
adottare l’equilibrio di Nash è quello di eliminare le strategie che sono strettamente dominate:
una strategia X è strettamente dominata da un’altra strategia Y se scegliere Y è meglio che
scegliere X indipendentemente dalla scelta dell’altro giocatore. Quindi riprendendo il dilemma del
prigioniero, la scelta conveniente per entrambi è quella di non cooperare, si può, perciò, dire che,
come propose Adam Smith, il libero perseguimento razionale dell’interesse individuale porta a
risultati ottimali dal punto di vista individuale: nessuno qui ha incentivo a cambiare strategia.
L’esempio del dilemma del prigioniero mostra che l’equilibrio di Nash non porta ad una condizione
ottimale per la società; in questo caso la società starebbe meglio nel suo complesso se entrambi
decidessero di cooperare. Possiamo quindi dire che il libero interagire degli interessi individuali
conduce ad un equilibrio che è ottimale per l’individuo, ma non per la società, cioè non è ottimale
dal punto di vista paretiano. Un risultato X è Pareto ottimale se non è Pareto dominato da nessun
altro risultato; un risultato X “Pareto domina” un altro risultato Y se tutti i giocatori preferiscono
debolmente X a Y e almeno uno preferisce strettamente X a Y.
L’interesse degli economisti sperimentali, nel corso dell’ultimo decennio, si è concentrato in
particolare sui giochi di contrattazione (bilaterale). In questi giochi due giocatori devono
raggiungere un accordo che sia reciprocamente soddisfacente. Un esempio è la determinazione
dello scambio di un bene, secondo la teoria neoclassica, il libero scambio produce benessere, nel
senso che lo scambio genera un mutuo vantaggio e tutti preferiscono scambiare piuttosto che
mantenere lo status quo. Dal momento che l’utilità di almeno una persona è aumentata dallo
scambio, esso genera una situazione Pareto-superiore a quella esistente prima dello scambio.
Tuttavia, il processo di negoziazione può essere faticoso e spesso può essere inutile quando non si
hanno informazioni sufficienti per stabilire quando tirare sul prezzo e quando invece è ora di
accettare l’offerta. In questi casi ci si affida ad altri criteri, come le norme sociali, cioè convenzioni
che aiutano a ridurre i costi di transazione e velocizzare gli scambi.
L’ultimatum game
Gioco sequenziale a due giocatori dove il primo giocatore (A) offre al secondo (B) la divisione di
una somma x in due parti (k, x-k); se B accetta la divisione ognuno si porta a casa quanto proposto
da A; se B rifiuta nessuno dei due guadagna nulla e tornano a casa entrambi con 0 euro in mano.
Questo gioco riproduce alcune caratteristiche di uno scambio dove una delle due parti ha molto
più potere di negoziazione; la contrattazione assume la forma di un “prendere o lasciare”
(ultimatum). Il venditore (A) ha interesse ad alzare il prezzo al massimo, offrendo una divisione
della torta che garantisca il massimo guadagno per sé e il minimo per il compratore (B); per
massimizzare la sua utilità, il giocatore B accetterà ogni offerta positiva (maggiore di zero), perché
ogni centesimo il più è meglio di zero; sapendo questo, il giocatore A avrà interesse a inviare il
meno possibile, così che B avrà interesse comunque ad accettare, si genera il surplus, cioè
nessuno va a casa senza soldi e potrà tenere per sé il massimo possibile.
Ma come si comportano veramente le persone in questo gioco? Si è osservato che raramente le
scelte delle persone sono coerenti con il subgame Nash perfect equilibrium, cioè inviare il minimo
e accettare tutto. Quello che si osserva in questi giochi, invece, è che:
- Il 50% delle persone tende a rifiutare, in media, offerte al di sotto del 20% della somma
iniziale x;
- Le offerte intorno al 40-50% vengono rifiutate raramente;
- Il giocatore A tende ad offrire, in media, una somma che varia tra il 30% e il 50%.
Le persone hanno preferenze sociali: sono disposte a rinunciare a qualcosa pur di fare la cosa
giusta o di non fare un torto a qualcuno. In questo gioco, un’offerta eccessivamente iniqua verso B
lo potrebbe portare a sentirsi vittima di un’ingiustizia e dunque a rinunciare all’offerta rinunciando
a parte del proprio guadagno; si dice che persone sono avverse alla diseguaglianza, quando sono
disposte ad incorrere in una perdita pur di ridurre la diseguaglianza. La scelta di offrire al secondo
giocatore tra il 30% e il 50% della somma iniziale potrebbe derivare dall’interazione di
considerazioni di pura giustizia e il tentativo strategico di sfruttare in parte la propria posizione di
potere. Un’altra interpretazione è che il convergere dei giocatori verso divisioni più eque sia frutto
dell’applicazione di norme sociali, cioè di convenzioni che spingono le persone a comportarsi in un
certo modo perché questo modo è quello accettato per convenzione da tutti. Deviare da una
norma sociale di buon senso e giustizia nella divisione della torta ha un costo, sia personale che
sociale, per questo le persone tendono a mettere in atto comportamenti coerenti con norme
sociali anche se questi confliggono con le norme prescritte dalla teoria della scelta razionale.
Il Dictator game
Somiglia all’Ultimatum game, solo che in questo caso il secondo giocatore non prende nessuna
decisione; il giocatore 1 deve decidere quanto inviare al giocatore 2, ma il giocatore 2 non deve
fare nulla. Ognuno torna a casa con i soldi che ha in tasca. In pratica il giocatore 1 deve decidere
come dividere la torta (x); l’equilibrio di Nash è dato dall’allocazione egoista; la teoria prevede che,
agendo da homo economicus, il giocatore 1 mantenga per sé tutto e non invii nulla al giocatore 2.
Questo gioco è stato testato tante volte in laboratorio e con diversi soggetti; in genere le divisioni
offerte dal primo giocatore nel dictator game divergono significativamente da quelle osservate
nell’ultimatum game. Il risultato ricorrente è che la media scende dal 40% al 25% della dotazione
iniziale (x), cioè i soggetti si comportano in modo decisamente più egoistico. Tuttavia, è stato
mostrato che solo il 35% dei soggetti tende a inviare 0, a comportarsi cioè come predetto dal
modello tradizionale di homo economicus. Anche in questo caso, quindi, possono entrare in gioco
motivazioni diverse da quelle predette dalla massimizzazione dell’utilità personale della teoria
tradizionale. Ad esempio, la letteratura sulle preferenze sociali può spiegare il comportamento
non totalmente egoistico che emerge in questi giochi: le persone hanno a cuore non solo il loro
benessere, ma anche quello degli altri; formalizzando questo concetto è possibile che un individuo
derivi utilità dai risultati/guadagni di un’altra persona, cioè stia meglio se anche l’altro sta meglio:
se è così, si dice che tale individuo è altruista (ha preferenze altruiste). Questo tipo di preferenze è
compatibile con i risultati osservati nel dictator game; tuttavia, un individuo potrebbe anche
essere invidioso: in tal caso la sua utilità aumenta quando i risultati dell’altra persona peggiora e
viceversa. Un comportamento coerente con i risultati osservati nel dictator game è quello di
individui avversi alla disuguaglianza; un agente potrebbe preoccuparsi del grado di disuguaglianza
esistente, in modo tale da classificare le diverse allocazioni basandosi sulla differenza assoluta tra
chi sta meglio e chi sta peggio. Un agente di questo tipo è avverso alla disuguaglianza e mostra
preferenza avverse alla stessa; un modo per formalizzarla è quello di minimizzare la differenza
assoluta tra le utilità di ciascuno: in questo caso gli agenti hanno a cuore l’uguaglianza di per sé.
Tuttavia c’è chi può avere a cuore l’uguaglianza solo se questa va ad avvantaggiare chi sta peggio
nella società; siamo in presenza di una persona con preferenze Rawlsiane che tenta di
massimizzare la minima utilità associata all’allocazione.
Il Trust game
Le transazioni di mercato sono raramente simultanee e spesso governate da contratti incompleti;
la mancanza di simultaneità è dovuta al fatto che la consegna di una merce o di un servizio può
avvenire prima o dopo il pagamento dello stesso. Quando la consegna avviene prima, il venditore
si trova esposto nei confronti del compratore, mentre se il primo esige un pagamento anticipato è
il compratore a trovarsi esposto se la merce non è della qualità desiderata. Uno dei modi per
superare il problema della fiducia è quello di sviluppare marchi che garantiscano un certo livello di
qualità al consumatore; in questo modo il venditore costruisce una reputazione che nel lungo
periodo non conviene sperperare. Cosa succede se la transazione è unica e non abbiamo
informazioni riguardo la controparte? Questo è il tipico problema di incontri anonimi e one shot,
anche se le frodi sono illegali e tutelate legalmente, in genere si cerca di risolvere le dispute in
modo diverso visti gli alti costi di transazione dovuti al ricorso alla giustizia. Date queste limitazioni,
non sorprende che lo sviluppo dei mercati sia accompagnato generalmente dallo sviluppo della
fiducia parallelo e più in generale del capitale sociale. La fiducia è stata definita il lubrificante delle
transazioni economiche. Il gioco della fiducia (trust game) consiste in un gioco dinamico a due
stadi, in cui il giocatore A (trustor) può decidere quanto denaro k inviare al giocatore B (il trustee);
la differenza (x-k) è trattenuta da A e diventa un guadagno netto alla fine dell’esperimento, la
somma trasferita, invece, è moltiplicata per 3 ed è affidata a B, il quale deve decidere quanto
denaro restituire ad A per il prestito ricevuto. Agendo da homo economicus in realtà non ci
dovrebbe essere nessuna transazione perché B sceglierà sempre di non restituire nulla; in realtà,
gli economisti sperimentali hanno scoperto che i mittenti nel trust game in media offrono solo la
metà della loro allocazione e che i destinatari restituiscono meno di quanto è stato investito. Ciò
che si osserva nel giocatore B nel trust game è una preferenza alla reciprocità: una
necessità/volontà di ricambiare il gesto di fiducia/investimento da parte del primo giocatore. Il
comportamento del giocatore B è anche compatibile con l’avversione alla diseguaglianza e con
l’altruismo. Il comportamento del giocatore A potrebbe essere spiegato da una preferenza
generalizzata alla fiducia nell’altro o con l’aspettativa che la sua fiducia venga in qualche modo
ripagata; il comportamento è anche compatibile con una preferenza all’altruismo.
Il gioco del bene pubblico
L’economista Jim Andreoni (1988) ha analizzato questo fenomeno utilizzando una variante nel
dilemma del prigioniero, il gioco dei beni pubblici. Questo gioco è un dilemma del prigioniero con
più di due giocatori e con una varietà di strategie più ampia della semplice alternativa “defeziona o
coopera”; ogni giocatore dispone di una somma (es. 10 euro) che può tenere per sé, oppure
decidere di versarne una parte in un fondo comune che sarà poi usato per progetto di pubblica
utilità di cui tutti beneficeranno. Tutto ciò che è stato versato nel fondo comune viene moltiplicato
per una fattore (es. 2) e diviso equamente tra tutti, indipendentemente da chi ha versato e da
quanto ha versato e da chi no. Data la natura del gioco, si può dimostrare che il risultato Pareto
ottimale si ottiene quando tutti i giocatori versano tutto il proprio denaro al fondo pubblico, ma
come nel dilemma del prigioniero, il risultato Pareto ottimale non è un equilibrio di Nash, per cui
ogni giocatore ha interesse a deviare dalla strategia del versare tutto perché versando di meno
può guadagnare di più. C’è quindi un incentivo a fare free riding, cioè godere della distribuzione
del fondo anche senza aver versato nulla, così come avviene nella vita reale per i beni pubblici e le
tasse. C’è un unico equilibrio di Nash in questo gioco e si ha quando nessuno sceglie di cooperare,
cioè quando si versa zero al fondo e il guadagno individuale da questa strategia è appunto 10 euro.
In questo caso però il bene pubblico non viene prodotto e non può distribuire i suoi benefici a chi
ha partecipato alla sua produzione; questa non è una situazione ottimale per la società, perché
tutti starebbero meglio se contribuissero alla costruzione del bene pubblico. Negli studi
sperimentali la cooperazione rimane però un fenomeno piuttosto persistente; nel dilemma del
prigioniero, la frazione di persone che scelgono di cooperare non è il 100%, ma non è neppure
zero. Per quanto riguarda il gioco dei beni pubblici, in media i giocatori versano nel fondo circa il
40-60% dell’allocazione iniziale. Anche per questo gioco le preferenze sociali contano: in
particolare, il comportamento osservato è coerente con la propensione personale a cooperare
per sostenere un bene pubblico e l’aspettativa che anche gli altri si comportino così.
Politiche economiche comportamentali
Ci sono delle anomalie comportamentali degli individui rispetto alla teoria dell’homo economicus,
e in particolare sull’assioma dell’auto-interesse e della perfetta razionalità; l’economica
comportamentale nasce appunto per tentare di spiegare queste anomalie tramite esperimenti di
laboratorio, era già una branca dell’economia affermata nella prima decade del ventunesimo
secolo, ma la crisi economica del 2007-2009 gli ha dato un ulteriore slancio. In generale, sembra
essere emerso un accordo tra gli economisti nell’affermare che la teoria economica possa avere un
impatto sostanziale sulla politica e sulla qualità della vita delle persone; tale impatto può essere
migliore o peggiore a seconda dell’adeguatezza delle teorie che si usano per risolvere i problemi.
Gli economisti comportamentali hanno sviluppato la teoria del “paternalismo libertario” e
politiche conosciute come “agenda nudge” che consentono di migliorare la qualità della scelta
delle persone e quindi il loro benessere a costo minimo e senza interferire con la loro libertà e
autonomia. Per i critici l’agenda nudge rappresenta un’intrusione pericolosa e inefficace nella sfera
personale fatta da burocrati. L’attenzione ai limiti cognitivi dell’uomo precede di molti anni la
nascita dell’economia cognitiva; Keynes, in un suo celebre testo del 1936, affermava che il mercato
non è in grado di autoregolarsi perché è primario il fatto che animal spirits generino un’instabilità
sistemica determinata dalle tendenze psicologiche che stanno alla base della presa di decisioni.
Keynes introduce questo concetto per indicare quella caratteristica umana costituita da impulsi e
istinti oltre che da preconcetti e automatismi mentali che insieme ad altri fattori determina lo
scarto tra i comportamenti subottimali degli agenti e il comportamento massimizzante dell’agente
a razionalità perfetta. A differenza di Keynes, gli economisti comportamentali non credono nella
sostituzione dei meccanismi di mercato con la centralizzazione delle risorse ad opera dello Stato. I
due concetti chiave per capire la nuova prospettiva sono:
Impalcatura cognitiva: qualsiasi struttura utilizzata da uomini e animali per migliorare le
proprie performance, che siano esse individuali o collettive;
Architettura delle scelte: conoscendo gli errori di ragionamento automatico che
caratterizzano le persone è possibile creare le condizioni per sviluppare l’architettura delle
scelte degli individui al fine di promuovere le migliori possibili. In nudging ne è un esempio,
sono stimoli che fungono da spinte per determinate azioni e che quindi rendono il processo
decisionale più facile.
La storia del nudging
Herbert Simon, premio Nobel per l’economia, aveva iniziato la sua carriera accademica da
scienziato politico e aveva introdotto le sue innovazioni nel comune di Milwaukee; la più
importante è il concetto di razionalità limitata, che trae origine dallo studio dell’organizzazione
pubblica per superare la limitazione cognitiva del singolo decisore umano. Lo studioso aveva
riscontrato che la divisione delle mansioni e l’emergenza nelle routine organizzative consentono di
elaborare decisioni che altrimenti i vertici amministrative e politici non riuscirebbero a prendere. Il
decisore pubblico ha molti limiti nell’esecuzione della sua mansione: la difficoltà a reperire
informazioni critiche per modulare la norma in modo tale che sia psicologicamente efficace; cioè la
possibilità di conoscere profili di comportamento, abbastanza stabili, che potrebbero essere
provocati dal cambiamento dei contesti di scelta del soggetto. Sulla base di queste conoscenze il
policy maker potrebbe calibrare la norma in modo da raggiungere l’obiettivo voluto. La strada
aperta da Simon trova nello sviluppo del “Programma euristiche e biases” di Daniel Kahneman e
Amos Tversky la risposta parziale a questa esigenza. Dagli anni ’70 ad oggi Kahneman e altri
studiosi hanno sondato vari aspetti della cognizione umana, legata a processi di giudizio e di
decisione; hanno preso il modello della razionalità economica come riferimento normativo e
hanno confrontato le performance comportamentali in vari contesti di scelta, grazie a questo è
stato possibile mettere in luce una serie di bias (errori cognitivo-sistematici), pregiudizi ed effetti
soprattutto nel pregiudizio statico e nel calcolo delle probabilità. Questi errori si sono sommati a
quelli riscontrati da altri psicologi e nel complesso hanno rivelato una razionalità umana fosca.
Tramite test sperimentali si è riscontrata una regolarità legata all’attivazione di meccanismi
naturali di decisioni euristiche responsabili di risposte subottimali. La teoria del prospetto è il
risultato più eclatante di questo lavoro e l’alternativa migliore alla teoria dell’utilità di stampo
neoclassico; con questi risultati si sono evidenziati vari pattern comportamentali stabili, automatici
e legati al contesto. Da questi contributi emerge una rappresentazione dell’essere umano come
limitato nella sua capacità razionale, è guidato da automatismi decisionali che lo portano a cadere
in trappole e a soffrire di illusioni cognitive, è più inerte che attivo, ma se il cittadino non è il grado
di perseguire il suo bene, allora deve essere aiutato. Richard Thaler e Cass Sunstein iniziano a
partire dai primi anni 2000 a chiedersi che contributo può dare la psicologia alle politiche
pubbliche. Thaler aveva già iniziato a lavorare su politiche che favorissero le scelte di risparmio
degli individui; dopo vari esperimenti seguì il successo del programma comportamentale “Save
more tomorrow”, questo programma aveva dimostrato che, sfruttando alcune anomalie
comportamentali come l’avversione alle perdite e l’illusione monetaria, si sarebbero potuti
raggiungere obiettivi di natura sociale ed economica, come l’aumento della propensione al
risparmio previdenziale. Poco dopo questo approccio comportamentale si estese ad un’ampia
gamma di politiche pubbliche, ciò che caratterizzava queste proposte era una spinta di tipo
paternalistico orientata a suggerire al cittadino di prendere decisioni migliori per il suo benessere
unita però alla salvaguardia libertaria della sua autonomia di scelta.
Nudging vs behavioral insights
I nudges sono piccoli indizi e spintarelle, ma anche esche che orientano più o meno la mente a
prendere certe decisioni al posto di altre, se gli esseri umani fossero perfettamente razionali essi
sarebbero una perdita di tempo, invece, si sono rivelati straordinariamente utili ed efficaci nella
nostra vita quotidiana. Tali spinte risultano essere condizionanti in quei momenti dove la scelta da
prendere è complessa, e si rischia di trovarsi in un difetto di esperienza, di informazioni e di un
immediato feedback che ci consenta di imparare strada facendo. Troppo spesso i consumatori non
vengono trattati come perfettamente razionali, ma anzi è proprio la loro razionalità limitata che
viene sfruttata, ad esempio attraverso la disposizione dei prodotti nel supermercato. La presenza
di questa “spintarella” risulta particolarmente condizionante nel momento in cui siamo dilettanti
esposti ad un esercito di professionisti. Sono proprio questi casi che necessitano di un intervento
delle istituzioni affinché l’architettura delle scelte accresca il benessere di coloro che scelgono e
non di coloro traggono vantaggio egoistico dalle debolezze umane e dall’opacità dei contesti
decisionali. Mal congegnati elementi di architettura decisionale possono portare a problemi come
quello dei mutui subprime che portò alla crisi del 2007-2009 perché i sottoscrittori di questi mutui
non avevano capito le condizioni stipulative e si fidava dei propri broker. I nudges sono ovunque,
anche se molto spesso non ce ne accorgiamo, l’architettura delle scelte è dilagante ed inevitabile e
influenza le nostre decisioni. L’applicazione di politica economica derivate dall’economia cognitiva
non mira a imporre decisioni che siano migliori, ma a sensibilizzare e responsabilizzare chi progetta
interventi architettonici al fine di creare migliori ambienti di scelta, più semplici e trasparenti e
quindi potenzialmente vantaggiosi per gli individui.
Nudging e paternalismo libertario
Un intervento viene classificato come nudge quando non è una regolamentazione coercitiva,
preserva la libertà di scelta, si basa su risposte automatiche, non implica metodi di persuasione
diretta, non cambia in modo significativo gli incentivi economici e deve ridisegnare il contesto di
scelta secondo le scoperte dell’economica comportamentale. Viene proposta una forma di
paternalismo libertario che ha una doppia valenza:

 Paternalismo: compensare le tendenze irrazionali e autolesioniste dei cittadini spingendoli


dolcemente a decidere in modo razionale per il loro bene;
 Libertario: si pone l’obiettivo di dare l’ultima parola al risultato dei processi deliberativi e
consapevoli del cittadino, che può sempre opporsi a tale spinta gentile.
L’applicazione delle scienze comportamentali a qualsiasi strumento di policy ha l’acronimo di BIs
(Behavioral Insights). Il nudging è uno strumento di policy, nel senso che si occupa dell’output del
processo di policy, è una tecnica comportamentale a basso costo che il policy maker può utilizzare
per orientare la scelta senza adottare interventi basati sui prezzi, introdurre proibizioni o punizioni
o realizzare alternative costose in termini di tempo e risorse monetarie. L’applicazione delle
scienze comportamentali attraverso i behavioral insights ha a che fare con una fase all’origine di
input conoscitivo nel processo di policy o può essere integrata con qualsiasi modalità tradizionale
o meno si intenda attuare che sia un incentivo o una semplice informazione. La conoscenza di una
serie di regolarità comportamentali dell’individuo quando si trova in certi contesti di scelta,
permetterebbe al policy maker di simulare ex ante gli effetti delle norme e di calibrarle in rapporto
agli effetti desiderati. Avremo, quindi, una iniziativa di policy behaviorally-informed, cioè costruita
sulla base delle conoscenze e dell’evidenza empirica comportamentale pregressa; oppure
un’iniziativa di policy behaviorally-tested, in quanto l’evidenza sarebbe ricercata in studi empirici
ad hoc. L’approccio BIs, a differenza del nudging, sembra essere più vicino a un paternalismo
“hard” di tipo coercitivo, mentre il nudging ha l’obiettivo di non intervenire in modo dissonante
rispetto agli obiettivi individuali e a ciò che il soggetto farebbe se non fosse vincolato da biases ed
errori, l’approccio BIs non ha questi limiti e il suo scopo è usare qualsiasi mezzo, anche coercitivo,
che si contrapponga agli scopi e all’azione individuale con l’obiettivo di salvaguardare il benessere
dell’individuo e della collettività.
Stimolare il risparmio
I governi di molti paesi industrializzati hanno creato dei sistemi previdenziali in modo tale che i
cittadini abbiano risorse finanziarie a sufficienza per quando invecchieranno, ma il futuro di molti
di questi sistemi è minacciato dal basso tasso di natalità e da un aumento della longevità. Nei
sistemi contributivi come il nostro le pensioni di quelli che smettono di lavorare vengono
finanziate con i contributi previdenziali dei lavoratori attivi, se il rapporto tra lavoratori attivi e
pensionati diminuisce i contributi devono aumentare o le pensioni diminuire, ma, in quest’ultimo
caso, i lavoratori devono risparmiare per compensare la differenza. Inoltre, in alcuni paesi come gli
Stati Uniti, i cambiamenti della struttura dei piani pensionistici privati costringono i lavoratori a
decidere autonomamente quanto risparmiare e come investire le somme accumulate, ma molte
persone sono impreparate ad affrontare questo compito. La teoria economica classica prevede
che gli individui sappiano calcolare quanto guadagneranno per il resto della loro vita e di
conseguenza risparmieranno esattamente quanto basta per condurre una vita agiata anche in
futuro. Ci sono alcuni problemi, però, in questa teoria: innanzitutto essa ipotizza che le persone
sappiano risolvere problemi matematici complessi e che abbiano una grande forza di volontà, che
un’auto di lusso o una costosa vacanza non li distrarrà mai dal progetto di risparmiare per potersi
permettere una casa quando saranno in pensione. In un piano a contribuzione definitiva, il valore
dei benefici futuri che il partecipante al piano riceverà è determinato dai contributi pagati dal
datore di lavoro, dal partecipante o da entrambi e dall’efficienza di gestione e rendimento degli
investimenti del fondo. Quando il soggetto che ha sottoscritto liberamente e volontariamente il
fondo raggiunge i requisiti pensionistici previsti dalla legge riceverà in erogazione una prestazione
che sarà proporzionata ai contributi versati e capitalizzati, nonché all’andamento della gestione del
fondo stesso; questo è il sistema pensionistico utilizzato negli USA. Il primo passo per partecipare a
un piano a contribuzione definita è dare la propria adesione, questo è vantaggioso perché i
contributi sono fiscalmente deducibili, il capitale accumulato è soggetto al differimento di imposta
e molti piani prevedono che il datore versi un contributo integrativo; esso è gratuito negli Stati
Uniti, eppure i tassi di adesione a questi piani previdenziali sono di gran lunga inferiori al 100%.
Negli USA circa il 30% degli individui che avrebbe diritto ad aderire ad un piano pensionistico in
realtà non si iscrive. In Inghilterra alcuni piani a prestazione definita non richiedono il pagamento
di contributi da parte del dipendente e sono finanziati totalmente dal datore di lavoro, al
lavoratore è chiesto solo di attivarsi per aderire al piano. I dati su questi piani rivelano che chi vi
aderisce è appena la metà degli aventi diritto. Come si possono incentivare le persone per aderire
più rapidamente? Una risposta potrebbe essere quella di cambiare la regola di default; prima
l’opzione di default è la non adesione: per aderire ad un piano pensionistico bisogna darsi da fare,
ma spesso i moduli sono molti quindi vengono messi da parte. Una possibile alternativa potrebbe
essere quella di adottare un meccanismo di adesione automatica: appena il dipendente acquista il
diritto ad aderire riceve una lettera che lo informa che verrà automaticamente iscritto al piano
previdenziale, salvo che non compili un modulo dichiarando di non voler aderire. Negli USA
l’adesione automatica si è dimostrata un metodo particolarmente efficace per l’adesione ai piani a
contribuzione definita. Un dato importante è che, in presenza di adesione automatica, pochissimi
si ritirano dal piano dopo avervi aderito. Una possibile alternativa all’adesione automatica è
obbligare tutti i dipendenti a decidere se aderire al piano o meno; se un lavoratore acquistasse il
diritto di aderire nel momento dell’assunzione, l’azienda potrebbe decidere di subordinare il
pagamento dello stipendio alla compilazione di un modulo in cui il dipendente dichiari la propria
volontà di adesione o meno al piano previdenziale. In questo caso i dipendenti devono dichiarare
le proprie preferenze e non ci sono opzioni di default; passando a questo tipo di obbligo di scelta
un’azienda ha riscontrato un aumento dei tassi di partecipazione di 25 punti percentuali. Una
strategia correlata è quella di semplificare l’adesione attraverso moduli più facili. Ad esempio,
un’azienda ha somministrato ai suoi dipendenti un modulo con una casella che consentiva
l’iscrizione al piano previdenziale con un saggio di risparmio del 2% e un’allocazione di portafoglio
predefinita; gli interessati dovevano solo scegliere il saggio di risparmio e l’allocazione di
portafoglio spuntando la casella. Il risultato è stato che nei primi 4 mesi di occupazione le
percentuali di partecipazione sono passate dal 9% al 34%. La morale è che, come in molti altri
interventi di nudging, se vuoi spingere le persone a fare qualcosa devi rendergliela il più semplice
possibile. L’adesione automatica è particolarmente efficace per indurre le persone ad aderire a un
piano previdenziale, ma in genere i lavoratori mantengono la percentuale di contribuzione di
default, che è in genere piuttosto bassa. Per ridurre questo problema, Thaler e Benartzi hanno
sviluppato un programma di incremento automatico dei contributi (SMT), esso è un sistema di
architettura delle scelte progettato facendo riferimento a cinque principi psicologici che stanno
alla base del comportamento umano:
Molti partecipanti si dicono convinti di dover risparmiare di più, ma non danno mai seguito
alle loro intenzioni;
È più facile darsi dei limiti se lo si deve fare in un momento imprecisato del futuro;
Avversione alle perdite: gli individui odiano vedersi diminuire lo stipendio;
Illusione monetaria: le perdite sono percepite in termini nominali;
L’inerzia svolge un ruolo formidabile.
Il programma SMT invita i partecipanti ad impegnarsi preventivamente a una serie di aumenti dei
contributi previdenziali, scaglionati in modo da coincidere con gli aumenti di stipendio.
Sincronizzando questi due aspetti le persone non vedranno mai diminuire l’ammontare netto dello
stipendio e dunque non percepiranno l’aumento dei contributi come una perdita; dopo aver dato
l’adesione al programma, gli aumenti percentuali dell’ammontare dei contributi sono automatici,
si usa l’inerzia per aumentare il risparmio. Se associato a uno schema di adesione automatica,
questo sistema permetti di ottenere alte percentuali di partecipazione e un aumento dei saggi di
risparmio.
Stimolare l’investimento
La prima domanda di un investitore è: quanto rischio mi devo assumere? Investimenti più rischiosi,
come le azioni, offrono rendimenti più alti degli investimenti sicuri, come i titoli di stato o i conti
liquidità. La scelta della giusta combinazione di azioni e obbligazioni è una decisione di asset
allocation; se un investitore è disposto ad investire una porzione maggiore del proprio denaro in
attività rischiose, mediamente guadagnerà di più, ma affronterà anche un’alta probabilità che i
rendimenti siano più bassi. Inoltre, le decisioni di risparmio sono correlate in modo complesso con
la propensione al rischio: una persona che vuole investire tutto in un conto liquidità sicuro, che gli
offre un tasso di interessa basso, dovrà risparmiare un bel po' per mettere da parte la somma
necessaria per una pensione agiata. La differenza di rendimento tra buoni del tesoro e le azioni è
detto premio azionario, cioè il compenso per il maggior rischio associato all’investimento in azioni;
mentre i buoni sono garantiti dal governo e sono privi di rischio, l’investimento azionario è
rischioso.
Cosa farebbe l’homo economicus? Una scelta di compromesso tra rischio e rendimento, in base al
reddito pensionistico che vorrebbe avere. In altre parole, deciderebbe, per esempio, se per essere
più ricco del 25% valga la pena rischiare di trovarsi con il 15% dei fondi in meno; per gli uomini fare
questo genere di calcolo è particolarmente complesso, inoltre, tendono ad essere influenzati dalle
fluttuazioni a brave termine: molte persone tendono erroneamente ad acquistare azioni quando i
corsi azionari sono alti e poi rivendere le azioni quando il loro valore è sceso, sbagliando pertanto
la tempistica dell’investimento. Inoltre, le loro decisioni sono basate su regole pratiche: ad
esempio, diversificare il rischio in modo semplicistico (50% in azione e 50% in obbligazioni) senza
considerare gli effettivi tassi di rendimento, le diverse tipologie di fondi di investimento, l’attuale e
futura condizione di vita, ecc. Con una migliore architettura delle scelte, i piani pensionistici
possono aiutare gli investitori in molti modi, ad esempio:
1. Opzioni di default: offrire un set di portafogli tipo con diversi gradi di rischio in cui le
persone devono scegliere il fondo che più è adatto alle loro preferenze; oppure offrire un
piano pensionistico basato su fondi “target maturity”, aventi cioè un anno di riferimento
tra cui il partecipante sceglie in base alla durata in cui prevede di andare in pensione.
2. Strutturare scelte complesse: alcuni approcci prevedono che ai nuovi iscritti che non
desiderano scegliere automaticamente il proprio piano pensionistico venga offerta la
possibilità di aderire ad un fondo di default selezionato con cura da esperti del settore; a
coloro che vogliono un maggiore grado di coinvolgimento viene offerta la possibilità di
scegliere tra una piccola gamma di fondi bilanciati; infine, per chi desidera essere
pienamente coinvolto nella scelta, verrebbe offerto un menu completo di fondi comuni di
investimenti, permettendo agli investitori più qualificati di decidere se investire anche in
titoli esotici.
3. Mappatura e feedback: molti lavoratori hanno difficoltà a capire come il loro stile di vita
sarà in futuro condizionato da variabili quali la percentuale di contribuzione, il tasso di
rendimento atteso e la volatilità. Ma per fare ciò basta tradurre questi concetti in altri di
più facile comprensione, ad esempio, attraverso lo scatto di fotografie di possibili abitazioni
disponibili con diversi livelli di reddito pensionistico; queste immagini potrebbero
accompagnare il feedback che periodicamente i partecipanti ricevono in merito ai progressi
fatti nel raggiungere il proprio obiettivo di risparmio.
Anche nel mercato dei crediti (mutui) occorrerebbe prevedere contratti con maggiore semplicità e
trasparenza, in modo tale da spingere agenti ad accendere mutui che potrebbero essere in
principio per loro convenienti, con modalità e costi intellegibili.
Spingere verso donazioni per il benessere della società
Dal 1988 al 2008 sono stati trapiantati più di 360 mila organi, quasi l’80% di questi proveniva da
donatori defunti. Sfortunatamente la domanda degli organi è di gran lunga superiore all’offerta:
nel gennaio del 2006 solo negli Stati Uniti c’erano più di 90 mila persone in lista di attesa per un
trapianto di organi e centinaia di migliaia di altre di altre in tutto il mondo. Molti di questi pazienti
moriranno mentre sono ancora in lista di attesa, che negli USA cresce del 12% all’anno. Come si
potrebbe creare un’architettura delle scelte che consenta di aumentare la donazione di organi?
L’ostacolo principale in America era avere il consenso della famiglia del defunto oppure la
necessità di un consenso esplicito. Un possibile nudge potrebbe essere quello di cambiare la
norma relativa al consenso, rendendolo da esplicito a presunto; in questo caso si rispetta la libertà
di scelta, ma si inverte la regola di default: si presuppone che tutti i cittadini siano donatori
consenzienti, tuttavia, chi lo desidera, può registrare molto agevolmente il suo rifiuto a donare gli
organi. Le opzioni di default hanno un effetto massiccio sui tassi di donazione degli organi; i paesi
in cui le persone sono tenute a rinunciare espressamente alla donazione di organi (opt-out)
segnalano un consenso significativamente più elevato rispetto a quelli con una politica opt-in
(quando bisogna dare il consenso a donare).
Per spingere le persone verso comportamenti più sostenibili sono stati sperimentati e adottati
alcuni “pungoli”; in materia di risparmio energetico domestico, per spingere le persone a ridurre il
consumo di energia, si sono adottati nudges che si basano per lo più su tre strategie:

 Confronti sociali: si è visto che dare ad un utente informazioni riguardo alla performance
ambientale delle persone del proprio vicinato aumenta il comportamento virtuoso.
 Meccanismi di feedback: fornire in tempo reale informazioni sul proprio consumo ed
eventualmente su quello di altre persone del proprio vicinato.
 Gamification: mostrare faccine verdi sorridenti in bolletta se il proprio consumo è più
efficiente della media del proprio quartiere e/o rispetto alla propria media.
Irrazionalmente la competizione ci spinge a mettere in atto comportamenti che altrimenti non
adotteremmo, si può far leva su questa tendenza per un fine socialmente utile: la tutela
dell’ambiente. Molto spesso non ci rendiamo conto di quanto stiamo consumando e, se lo
sapessimo, staremmo più attenti, a questo servono i meccanismi di feedback reale sul nostro
attuale consumo. Faccine sorridenti o immagini dell’ambiente che si deteriora sono pungoli che
fanno leva sulla nostra necessità di auto-approvazione e di tenere alta l’immagine di noi stessi. I
costi per il governo, qualora volesse incentivare questi interventi, sono contenuti rispetto ai
risultati di salvaguardia ambientale e benessere intergenerazionale potenzialmente raggiungibili.

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