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A partire dal lancio del primo satellite artificiale effettuato nel 1957 dall’URSS, lo
Sputnik I, la corsa allo spazio non ha conosciuto battute di arresto.
Le attività spaziali si sono evolute in maniera rapidissima, inizialmente come
dimostrazione di forza e di potenza militare, soprattutto durante il periodo della Guerra
Fredda, poi come attività dai rilevanti benefici in campo tecnologico, scientifico e
strategico. Ciò ha comportato, in primo luogo, l’aumento del numero degli Stati coinvolti
nelle attività; in secondo luogo, l’affacciarsi di nuovi soggetti come le organizzazioni
internazionali e, soprattutto, i privati.
Parallelamente allo sviluppo delle attività spaziali è stato definito a livello internazionale
un complesso di norme relativo all’esplorazione e uso dello spazio extra-atmosferico. Noto
come corpus iuris spatialis, il quadro giuridico delle attività spaziali è costituito dai cinque
trattati adottati nell’ambito del COPUOS, il Comitato ad hoc delle Nazioni Unite per gli usi
pacifici dello spazio extra-atmosferico istituito nel dicembre 1958, al fine di disciplinare le
attività degli Stati nello spazio.
Tra questi, l’Outer Space Treaty del 1967 contiene i principi fondamentali del diritto dello
spazio, in alcuni casi anche anticipando le problematiche connesse all’evoluzione successiva
delle attività spaziali.
Questo è il caso della recente commercializzazione dello spazio e del maggior
coinvolgimento di entità private nelle attività spaziali. L’Outer Space Treaty, infatti, convalida
tali attività sottoponendole, però, alle condizioni previste dall’art. VI: l’autorizzazione e la
continua supervisione delle attività dei privati da parte dello Stato responsabile. Il rispetto
di tali condizioni richiede l’adozione a livello nazionale di normative e strumenti di tipo
amministrativo, idonei a regolamentare le iniziative spaziali dei soggetti privati e il loro
rapporto con gli Stati. L’art. VI dell’OST rappresenta, quindi, un invito implicito rivolto agli