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L’Italia e le attività spaziali:

considerazioni sull’opportunità di una legge spaziale italiana


di Valentina Mariani *

A partire dal lancio del primo satellite artificiale effettuato nel 1957 dall’URSS, lo
Sputnik I, la corsa allo spazio non ha conosciuto battute di arresto.
Le attività spaziali si sono evolute in maniera rapidissima, inizialmente come
dimostrazione di forza e di potenza militare, soprattutto durante il periodo della Guerra
Fredda, poi come attività dai rilevanti benefici in campo tecnologico, scientifico e
strategico. Ciò ha comportato, in primo luogo, l’aumento del numero degli Stati coinvolti
nelle attività; in secondo luogo, l’affacciarsi di nuovi soggetti come le organizzazioni
internazionali e, soprattutto, i privati.
Parallelamente allo sviluppo delle attività spaziali è stato definito a livello internazionale
un complesso di norme relativo all’esplorazione e uso dello spazio extra-atmosferico. Noto
come corpus iuris spatialis, il quadro giuridico delle attività spaziali è costituito dai cinque
trattati adottati nell’ambito del COPUOS, il Comitato ad hoc delle Nazioni Unite per gli usi
pacifici dello spazio extra-atmosferico istituito nel dicembre 1958, al fine di disciplinare le
attività degli Stati nello spazio.
Tra questi, l’Outer Space Treaty del 1967 contiene i principi fondamentali del diritto dello
spazio, in alcuni casi anche anticipando le problematiche connesse all’evoluzione successiva
delle attività spaziali.
Questo è il caso della recente commercializzazione dello spazio e del maggior
coinvolgimento di entità private nelle attività spaziali. L’Outer Space Treaty, infatti, convalida
tali attività sottoponendole, però, alle condizioni previste dall’art. VI: l’autorizzazione e la
continua supervisione delle attività dei privati da parte dello Stato responsabile. Il rispetto
di tali condizioni richiede l’adozione a livello nazionale di normative e strumenti di tipo
amministrativo, idonei a regolamentare le iniziative spaziali dei soggetti privati e il loro
rapporto con gli Stati. L’art. VI dell’OST rappresenta, quindi, un invito implicito rivolto agli

* Collaboratore dell’Istituto di Studi Giuridici Internazionali (ISGI)-CNR, Roma.

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Stati parti al Trattato di dotarsi di leggi spaziali nazionali al fine di adempiere gli obblighi
derivanti dall’OST.
Negli ultimi anni si sono moltiplicate, in ambito internazionale ed europeo, le iniziative
volte ad approfondire la riflessione sulle opportunità della elaborazione di leggi spaziali
nazionali e sul loro contenuto tipo. Anche grazie agli studi svolti nell’ambito del COPUOS,
sono stati identificati i building-blocks di un’efficace legge spaziale, una sorta di minimum del
quale tutte le leggi nazionali dovrebbero essere costituite, vale a dire gli obiettivi e le
definizioni principali, la disciplina delle autorizzazioni e licenze per le attività spaziali
private e l’identificazione dell’ente competente a rilasciarle, la definizione del regime di
responsabilità e la disciplina della registrazione degli oggetti spaziali.
Tuttavia, su oltre cento Stati che hanno ratificato l’OST al marzo 2010, soltanto 18
hanno adottato leggi spaziali nazionali; queste leggi, oltretutto, non tengono conto
dell’esigenza di armonizzazione da più parti auspicata, e la definizione delle normative
nazionali è intervenuta in funzione di specifiche esigenze nazionali (quali l’inizio dell’attività
della società di telecomunicazione commerciale New Sky Satellites di diritto olandese e il
lancio del sistema pubblico privato di osservazione radar Terrasar-X in Germania). Il
risultato è che queste leggi nazionali sono molto disomogenee tra loro, sia nella forma che
nei contenuti: alcune di esse disciplinano un unico aspetto delle attività spaziali, come la
legge tedesca del 2007, che si occupa dell’attività di osservazione della Terra e
gestione/distribuzione dei dati da essa derivanti; altre leggi sono invece più generali, come
quella inglese del 1986 e le più recenti leggi del Belgio del 2005, della Francia del 2008 e del
Giappone dello stesso anno, le quali predispongono una disciplina completa delle attività
spaziali.
Anche se non tutti gli Stati contraenti sono attivi in campo spaziale, sono comunque
molti gli Stati che pur svolgendo attività spaziali non si sono ancora dotati di una legge
spaziale nazionale. L’Italia rientra tra questi ultimi.
L'Italia ha ratificato l’OST del 1967 ed è inoltre Parte contraente dell’Accordo per il
salvataggio degli astronauti, il ritorno degli astronauti, e la restituzione degli oggetti lanciati
nello spazio del 1968; della Convenzione sulla responsabilità internazionale per danni
causati da oggetti spaziali del 1972; della Convenzione sull’immatricolazione degli oggetti
lanciati nello spazio extra–atmosferico del 1975.

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L’Italia, che è stato il terzo Paese al mondo, dopo l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti, ad
aver messo in orbita un proprio satellite, ha sempre investito considerevoli risorse nel
settore spaziale, partecipando ai programmi dell’ELDO e dell’ESRO, le organizzazioni
antesignane dell’Agenzia spaziale europea (ESA) creata nel 1975 dalla loro fusione.
L’esigenza di razionalizzare il settore spazio in Italia è stata alla base della creazione nel
1988 dell’Agenzia spaziale italiana (ASI), ente pubblico nazionale sotto la vigilanza dal
Ministero dell’Università e della Ricerca. L’Italia, insomma, ha sempre svolto un ruolo di
primo piano nelle attività spaziali, tanto in collaborazione con le altre potenze
internazionali, che a livello individuale, giungendo a livelli di eccellenza, come nel caso di
COSMO-SkyMed, primo programma spaziale di osservazione della Terra per applicazioni
duali (civili e militari), pensato e finanziato dall’ASI.
La necessità per l’Italia di dotarsi di una legge spaziale nazionale italiana può essere,
quindi, motivata da tre considerazioni principali.
In primo luogo, la legge è indispensabile affinché l’Italia adempia correttamente agli
obblighi internazionali contenuti nell’articolo VI dell’Outer Space Treaty.
In secondo luogo, la legge spaziale nazionale è lo strumento più idoneo ad affrontare il
ruolo emergente dei privati nelle attività spaziali. Negli ultimi anni è infatti cresciuto il
ricorso alle c.d. PPP (Public Private Partnership), forme di investimento nel settore spaziale
caratterizzate dalla partecipazione di soggetti privati agli investimenti pubblici.
In Italia è stata realizzata una PPP per il Programma SICRAL (Sistema Italiano per
Comunicazioni Riservate e Allarmi). Lanciato il 20 aprile 2009, il secondo satellite del
programma SICRAL, è andato ad affiancare SICRAL 1 (in orbita dal 2001) ampliando le
potenzialità di comunicazione in base alle nuove esigenze operative della Difesa e della
NATO. La PPP è stata stipulata tra Stato Maggiore della Difesa e Finmeccanica/Thales. Si
tratta di un contratto innovativo, dal momento che l’industria ha coinvestito nella
realizzazione del satellite, in cambio della disponibilità di una parte della capacità del
satellite, che Telespazio potrà vendere ai Paesi NATO. Con questa iniziativa si apre una
nuova fase nei rapporti tra Difesa e industria nazionale relativamente alla fornitura di
servizi; il costo del sistema si aggira sui 350 milioni di euro, dei quali circa 80 costituiscono
la partecipazione di Telespazio ed il resto è coperto per metà dalla Difesa e per metà dal
Ministero dello Sviluppo economico. In cambio della sua partecipazione economica,

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Telespazio potrà vendere circa un quarto della capacità del satellite a clienti istituzionali,
quali la NATO (per la quale SICRAL 1 già copre il 75% delle necessità) o ad altre nazioni
che necessitano di comunicazioni riservate senza avere la capacità di realizzare un proprio
satellite (ad esempio Bulgaria, Romania, Sud Africa). La Difesa garantirà, per la vendita a
clienti istituzionali, il controllo necessario per evitare che le capacità fornite da SICRAL
possano essere sfruttate senza opportune verifiche, ma è evidente che l'assenza di una
legislazione nazionale che disciplini questi aspetti specifici delle attività spaziali rende
l’azione di controllo da parte della Difesa un unicum, e può essere interpretato come un
escamotage per rimandare l’attuazione e la previsione di un regime di controlli e
autorizzazioni a livello nazionale.
Poiché queste forme di collaborazione negli investimenti sono destinate ad evolversi
molto rapidamente, questo richiede con urgenza una disciplina a livello nazionale.
L’ultima considerazione attiene al valore aggiunto di una legge spaziale nazionale, idonea
a coordinare e completare gli atti già vigenti nel nostro ordinamento in materia spaziale. Il
corpus giuridico italiano in materia spaziale è infatti costituito da cinque atti di diversa natura:
la Legge 28 gennaio 1970, n. 87, di ratifica ed esecuzione del Trattato del 1967; il DPR 5
dicembre 1975, n. 965, di esecuzione dell’Accordo sugli astronauti del 1968; la Legge 5
maggio 1976, n. 426, di ratifica della Convenzione sulla Responsabilità del 1972, cui è
collegata la Legge 25 gennaio 1983, n. 23; la Legge 12 luglio 2005, n. 153, di adesione alla
Convenzione sull’Immatricolazione del 1975, che contiene, oltre all'ordine di esecuzione,
alcune norme di adattamento ordinario, affidando all’ASI l’istituzione e la custodia del
registro nazionale degli oggetti lanciati nello spazio.
Tre di essi sono atti di ratifica ed esecuzione delle rispettive convenzioni internazionali;
le altre due leggi, invece, sono maggiormente articolate. La Legge n. 23/1983 intende
integrare la disciplina della Convenzione sulla Responsabilità del 1972, in funzione di un
maggiore protezione delle potenziali vittime di nazionalità italiana. Essa lascia tuttavia
aperte molte altre questioni connesse alla responsabilità per danni derivanti da attività
spaziali. Alcune questioni interpretative pone anche la Legge n. 153/2005, nella parte in cui
introduce norme di adattamento ordinario alla Convenzione sulla immatricolazione degli
oggetti lanciati nello spazio extra-atmosferico del 1975, soprattutto con riguardo ai soggetti
privati tenuti a notificare all’ASI l’avvenuto lancio di oggetti nello spazio extra-atmosferico,

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in assenza, peraltro, di una normativa generale che regoli il rapporto fra detti privati e lo
Stato italiano responsabile delle loro attività sul piano internazionale.
Sulla base dei tre argomenti indicati, risulta quindi chiaro come la predisposizione di una
legge nazionale in materia di attività nello spazio non possa essere ulteriormente rimandata.

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