Le caratteristiche dell’inetto nella letteratura dell’epoca.
Fondamentalmente i personaggi definiti “inetti” vivono tutti nello stesso
periodo storico, ovvero nell’Ottocento, quando lo sviluppo industriale iniziò a surclassare in qualunque modo l’uomo della società borghese, il quale di conseguenza si sentiva svuotato e giudicava il mondo esterno come pericoloso. Tale condizione poi lo indurrà a crearsi un “nido materno protettivo” che ovviamente viene visto in una figura femminile, lo stesso identico concetto che è valso durante la vita del famoso poeta Giovanni Pascoli. I tratti della figura dell’inetto possono essere già notati nel romanzo di Giovanni d’Annunzio “Il Trionfo Della Morte”. Il protagonista, Giorgio Aurispa, è afflitto da una malattia che lo divora interiormente, questa condizione lo spinge ad andare alla ricerca di un nuovo senso della vita. Come la classica figura dei romanzi di Svevo, anche l’eroe d’Annunziano è in conflitto con il padre, il quale è visto come un uomo spregevole e ripugnante. Quindi Giorgio nel tentativo di riscoprire le radici della sua stirpe e il volto primordiale della sua gente, rimane disgustato e respinge ciò che riesce a conoscere, fallendo in questo modo la sua ricerca. Egli non riesce nemmeno in un’immersione nella vita in tutta la sua pienezza, è ancora interiormente pervaso da forze oscure e negative che alla fine del romanzo lo obbligheranno ad uccidersi. Tale figura dell’inetto, dunque, può essere modellata a piacere secondo le condizioni fenomeniche in cui è immersa nell’opera, ma saranno sempre presenti alcune caratteristiche impossibili da variare: si tratta sempre di eroi letterari privi di energia vitale e afflitti da una condizione interiore di malattia che li rende incapaci di affrontare la realtà senza timore, sono deboli, insicuri e sconfitti, sono condannati all’impotenza e al fallimento. A causa dei sopra citati motivi essi si estraniano dal mondo esterno, chiudendosi in sé stessi. Questa diversità che sentono di avere rispetto alla gente comune secondo loro è un privilegio spirituale, ma provano anche un senso di colpa a causa dell’invidia per chi sa operare in maniera attiva in quella realtà da cui loro sono stati esclusi.
I tre “inetti” nei romanzi di Svevo
“Una Vita” Alfonso Nitti, è un giovane che abbandona il suo paese natale e sua madre per dirigersi a Trieste dove cercherà lavoro, dopo che la morte del padre aveva lasciato la famiglia in ristrettezze economiche. Riesce a trovare un impiego presso la banca Maller, ma lavorare in questo modo gli appare improduttivo e umiliante. L’occasione per un riscatto dalla sua vita solitaria, gli è offerta da un invito per una serata a casa del padrone della banca. Durante quella sera Alfonso conosce Macario, un giovane che al suo contrario è brillante e sicuro di sé, e stringe con lui una forma di amicizia. Annetta, la figlia di Maller, ambisce a diventare una figura di spicco nel contesto letterario come Alfonso e lo sceglie come collaboratore per la stesura di un romanzo. Egli, senza provare nulla per Annetta, riesce a sedurla e a possederla. La storia prosegue ed Alfonso crede di aver superato le passioni, ma in realtà non è così in quanto nell’apprendere il fidanzamento di Macario con Annetta, è pervaso da un senso di gelosia indescrivibile; inoltre riteneva anche di essere ormai incurante del giudizio delle altre persone, ma invece si sente disprezzato e odiato all’interno dell’ambiente lavorativo. Dopo questa serie di eventi negativi Alfonso si sente “incapace alla vita” e decide di distruggere il suo organismo, se non altro che la fonte della sua infelicità. Dunque, “Una Vita”, è il primo romanzo di Svevo che inaugura il personaggio dell’inetto, incarnato in Alfonso Nitti. Lo si può intuire già dalle prime pagine del romanzo, egli è un piccolo borghese soggetto ad una declassazione, causata dalla morte del padre. Trova lavoro presso una banca, ma in tale ambiente avverte la sua diversità rispetto alle persone che lo circondano, si sente impotente sia socialmente che psicologicamente; dinanzi a lui, infatti, si ergono le figure possenti degli antagonisti, i quali esibiscono tutte le qualità che lui non ha. Cerca di trascurare questa sua condizione di inferiorità con l’evasione nei sogni, creandosi una realtà parallela nella quale sentirsi compiaciuto del suo essere. “Senilità” Pubblicato nel 1898, è il secondo romanzo di Svevo. Il protagonista, Emilio Brentani, è un piccolo borghese che sceglie di vivere la vita in maniera prudente evitando il piacere e la felicità, sentendosi poi insoddisfatto della sua esistenza che reputa vuota e mediocre. In un certo senso però lui desidera di provare il contatto con il mondo esterno e il piacere, cerca infatti il godimento della vita in una ragazza del popolo: Angiolina, della quale poi si innamora perdutamente, arrivando persino a idealizzarla in una creatura angelica. In realtà, la figura di Angiolina, fa emergere l’inettitudine di Emilio che ha paura della donna e del sesso, il quale lo fa sentire turbato. Alla fine della storia, lasciata Angiolina, Emilio torna ad essere solo, in una condizione ormai senile. Infatti, come è possibile leggere nel testo “La Trasfigurazione di Angiolina”, Emilio si lascerà andare all’evasione nei sogni per cercare di concretare quell’immagine della donna da lui sempre vagheggiata ma mai ottenuta. Quindi Angiolina verrà idealizzata a tal punto che Emilio la farà diventare il simbolo della speranza in un futuro socialista, un’operazione che agli occhi del lettore appare irrimediabilmente comica. Anche in questo caso il protagonista dell’opera appare come soggetto ad un processo di declassazione, è un inetto che ha paura di affrontare la realtà e che per rispondere a tale condizione di debolezza, non fa altro che chiudersi in sé nel suo guscio protettivo. “La coscienza di Zeno” Svevo pubblica il suo terzo romanzo nel 1923, ben venticinque anni dopo il precedente. L’opera viene raccontata da un protagonista-narratore, che Svevo stesso definisce “fratello” di Emilio e Alfonso, anche se si differenzia da loro rispetto alla collocazione sociale, infatti non appartiene più alla piccola borghesia, ma alla ricca borghesia commerciale. Zeno Cosini, grazie a questa sua condizione potrebbe evitare la lotta per la vita, ma si sente infelice di non poter prenderne parte. Questo suo atteggiamento rivela quanto egli sia ancora più incapace di decidere rispetto agli eroi precedenti. Zeno passa l’intero corso della sua vita a fare buoni propositi che poi non rispetterà, come ad esempio il vano tentativo di liberarsi dal vizio del fumo, a causa del quale poi si dovrà sottoporre alla terapia della psicoanalisi per cercare di smettere definitivamente. Inoltre, fumare è una delle tante delusioni che lui procura al padre, il quale lo odia profondamente e per confermare tale sentimento nei confronti del figlio, sul letto di morte farà cadere sul suo viso uno schiaffo. Zeno non riuscirà nemmeno ad essere soddisfatto del suo rapporto con Augusta, la donna che amerà e sposerà, in quanto lo farà incoscientemente a causa del suo disperato bisogno di trovare quella sensazione di benessere e felicità, che solo il matrimonio poteva conferirgli. È evidente come rispetto anche agli altri inetti, la solita debolezza legata alla mancanza della figura femminile sia rimasta immutata. Il ritratto della moglie, che Zeno traccia nel testo “La salute malata di Augusta” rende evidente come la sua scelta sia stata involontaria, in quanto la descrive in modo corrosivo rivelando disprezzo ed ostilità nei suoi confronti. In conclusione, Zeno tenterà per tutto il corso del racconto di mascherare la sua falsa coscienza e i suoi autoinganni. In ogni occasione proverà a dimostrarsi innocente e senza colpe nei confronti dei diversi personaggi dell’opera, come succede ad esempio nei casi del padre e della moglie, perché i sentimenti negativi provati nei loro confronti non possono essere accettati a livello della sua coscienza. Che cosa rappresenta l’inettitudine per Svevo? La caratteristica che connette tutti i romanzi di Svevo è il tema dell’inettitudine, ovvero l’incapacità di vivere pienamente, un dato di natura che accomuna i protagonisti sveviani. Secondo Svevo l’inettitudine rappresenta sostanzialmente una prerogativa delle persone più sensibili e riflessive, un’insicurezza psicologica che rende l’eroe inadatto alla vita. Egli non si limita solamente a ritrarne la condizione di impotenza, ma sa anche individuarne le radici sociali, le quali si trovano alla base del processo di declassazione a cui è soggetto l’inetto. Questa degradazione, per Svevo, è la prova di come i suoi personaggi non siano idonei a reagire e ad intervenire nella società civile costruendo rapporti con le altre persone. Il più delle volte, dunque, l’inetto è costretto a fare appello alla ricchezza della propria vita interiore, nella quale si sente appagato e libero di immaginare ciò che più desidera. L’inettitudine come crisi epocale nel primo ‘900 Durante il periodo del primo ‘900, in Europa, si verificò una crisi letteraria poiché il vecchio modello naturalistico del romanzo veniva rifiutato; facendo riferimento a Svevo ne è la prova il suo terzo romanzo, nel quale abbandona tale modello arricchendosi di nuovi temi e risonanze. La soluzione, infatti, arriva con il nuovo romanzo novecentesco, che introduce l’uso del flusso di coscienza: una tecnica narrativa che permetteva di mettere in primo piano l’indagine psicologica sul protagonista, facendo emergere i suoi conflitti interiori e le sue percezioni. Uno dei temi che gli scrittori tratteranno per rappresentare al meglio la condizione dell’intellettuale della società del primo Novecento, è proprio l’inettitudine. Il pubblico però non reagì con entusiasmo agli scritti di Svevo, in quanto si sentiva giudicato e costretto a riflettere sui problemi dell’inadeguatezza di vivere. Da tale riscontro è evidente come l’uomo della società contemporanea fosse afflitto dall’inettitudine, definita quindi una crisi epocale che lo rendeva incapace di vivere e di realizzare i suoi progetti.