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Dialogare con il cielo

Vita in Cristo e preghiera


nei saggi di Placide Deseille
traduzione e cura di Alessia Brombin

prefazione di Guido Innocenzo Gargano

Saggi
tab edizioni

© 2020 Gruppo editoriale Tab s.r.l.


Lungotevere degli Anguillara, 11
00153 Roma
www.tabedizioni.it

Prima edizione luglio 2020


isbn 978-88-31352-91-8

Stampato da The Factory s.r.l.


via Tiburtina 912
00156 Roma
per conto del Gruppo editoriale Tab s.r.l.

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Tutti i diritti sono riservati.
Indice

p. 7 Prefazione di Guido Innocenzo Gargano


11 Abbreviazioni
13 Introduzione di Alessia Brombin
19 Capitolo 1
La vita in Cristo
1.1. Il ruolo del cuore nella vita spirituale, 19
1.2. Crescere in Cristo, 32

51 Capitolo 2
L’unione a Dio e la preghiera
2.1. L’unione a Dio secondo la tradizione ortodossa, 52
2.2. I mezzi dell’unione a Dio, 57
2.3. I modi dell’unione a Dio, 65
2.4. L’esperienza mistica, 79
2.5. Il pentimento e lacrime, 80
2.6. I preparativi necessari, 81

85 Bibliografia

5
Prefazione

La parabola personale di Placide Deseille è analoga a


quella di numerose altre coscienze che durante le genera-
zioni della cosiddetta “modernità” hanno deciso di ascol-
tare più attentamente sé stesse e fare finalmente il passo
di armonizzare il proprio mondo interiore con quello
esteriore accettandone le conseguenze sul piano istitu-
zionale. Le scelte di Henry Newman1 e di Louis Bouyer2
sono restate esemplari.
Ma altri passaggi dello stesso tipo sono stati compiuti
all’interno del mondo cristiano, sia da destra verso sini-
stra sia da sinistra verso destra, per esprimersi con ter-
mini presi in prestito dal mondo politico che rendono
in qualche modo l’idea. I passaggi possono essere accom-
pagnati da qualche motivazione polemica in cui il riferi-
mento alla maggiore o minore attenzione alla cosiddetta

1. John Henry Newman (1801-1890). Dapprima presbitero della Chiesa


Anglicana poi aderì alla Chiesa Cattolica. Nel 1879 papa Leone XIII lo crea
cardinale. Fu beatificato a Londra nel 2010 dal Benedetto XVI e canonizzato
santo da papa Francesco il 13 ottobre 2019.
2. Louis Bouyer (1913-2004). Nel 1939 da ministro luterano matura la con-
sapevolezza di passare al Cattolicesimo e nel 1944 diventa sacerdote nell’Or-
dine degli Oratoriani.

7
spiritualità ha spesso grande parte; in quello di Deseille
tale attenzione sembra sia stata davvero preponderante,
poiché è stata vissuta tutta all’interno dell’esperienza mo-
nastica, forse a partire dal disappunto provato dal suo ex
Abate generale3 nella celebrazione del Concilio Vaticano
II, che in ambito cattolico francese produsse anche l’effi-
mero tentativo di scisma di Marcel Lefebvre4.
La spiritualità orientale a partire dal famoso libro di
Vladimir Lossky sulla Teologia mistica della Chiesa d’Orien-
te5, professore di Placide all’Institut Saint-Serge di Parigi,
può aver contribuito molto a persuadere l’allora monaco
trappista a identificare l’autenticità di una Chiesa di Cri-
sto a partire dalla visibilità della theōsis6 nelle sue isti-

3. Dom Gabriel Sortais, abate dell’Abbazia cistercense di Bellefontaine


(Francia). «Al suo ritorno dalla prima sessione del Vaticano II, riferì che il
modo in cui si svolgeva il Concilio lo preoccupava alquanto. Era persuaso che
se l’andamento avesse perseverato in quella direzione la Chiesa avrebbe speri-
mentato una delle più gravi crisi della sua storia. La speranza di una rinascita
delle strutture e delle istituzioni della Chiesa romana si dovevano fondare ad
un ritorno allo spirito e alla dottrina dei Padri» (A. Brombin (2018), Riflessioni
sulla «preghiera del cuore» in onore di Placide Deseille: contemporaneo interprete della
tradizione dei Padri orientali, in «O Odigos. Centro Ecumenico di Bari», 4, 14).
4. Marcel François Lefebvre (1905–1991). Il 21 settembre del 1929 viene
ordinato sacerdote da mons. Liénart a Lilla (Francia). Il 25 giugno 1947 è nomi-
nato vicario apostolico a Dakar, e il 18 settembre successivo viene consacrato
vescovo. Nel 1962 Lefebvre è eletto Superiore Generale di una nuova congrega-
zione: i Padri dello Spirito Santo. Da qui seguirà un lungo processo di distacco
dalla Chiesa di Roma accusata di essersi distaccata dalla Tradizione. Per questo
fu sospeso a divinis nel 1976 e scomunicato da papa Giovanni Paolo II nel 1988.
5. V. Lossky (1944), Essai sur la théologie mystique de l’Église d’Orient, Aubier,
Paris.
6. È un processo di trasformazione (o deificazione) che ha lo scopo ri-
pristinare l’originaria somiglianza divina, o meglio identificata come l’unione
con Dio, come intesa dalla Chiesa ortodossa orientale e le Chiese orientali
cattoliche.

8
tuzioni, ma senza tener abbastanza conto di ciò che il
Vaticano II dichiarava quando sottolineava che la Chiesa
nelle sue leggi nelle sue istituzioni e perfino nei suoi Sa-
cramenti «porta la figura fugace di questo mondo»7.
Dichiarazione che non combacia esattamente con la
distinzione tra “essenza” ed “energia” della dottrina pala-
mita difesa come carta di identità della Chiesa Ortodossa
dai teologi neopalamiti, che Placide seguiva a Parigi con-
dividendone tutte le deduzioni proposte fino a risalire
all’ek monou tou patros8 di Fozio assolutamente assente nei
Padri della Chiesa, e imponendo addirittura una distin-
zione tra Spirito che agisce nel sacro e Spirito che agisce
nella santità, così che uno procede dal Padre e l’altro pro-
cede dal Figlio. Ciò negò implicitamente Calcedonia in
cui si dichiarava, una volta per tutte, la “diofisia” dell’uni­
ca Persona del Verbo fatto carne, e sorvolando che mai i
Padri della Chiesa abbiano detto un qual cosa di simile
anche sullo Spirito Santo.
Infatti leggendo questo testo di Placide Deseille, che
sintetizza ottimamente il suo pensiero, compare anche
questa nota polemica nei confronti della “Dottrina sul-

7. La Chiesa peregrinante nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che
appartengono all’età presente, porta la figura fugace di questo mondo; essa vive
tra le creature, le quali ancora gemono, sono nel travaglio del parto e sospirano
la manifestazione dei figli di Dio (Lumen Gentium 48).
8. L’espressione trae origine dal simbolo niceno-costantinopolitano (381),
letteralmente si traduce «che lo Spirito Santo procede solamente dal Padre».
Secondo la Chiesa d’Oriente lo Spirito procede in modo principiale, proprio e
immediato” dal Padre. Si generò una controversia attorno al concetto della te-
ologia trinitaria del cosiddetto “Filioque”, che fin dalla tarda teologia patristica
influì pesantemente sull’affermarsi progressivo dello scisma tra le due chiese.

9
la Grazia” della teologia occidentale, e si resta perplessi
quando l’ex monaco trappista porta i suoi predecessori
cistercensi a dire le stesse cose che affermava egli stesso,
purtroppo condizionato dalla precomprensione palamita
ante litteram. Leggeremo, dunque, questi testi nella consa-
pevolezza che tutto ciò che padre Placide Deseille espone
come quintessenza della spiritualità ortodossa appartie-
ne serenamente simpliciter alla spiritualità cristiana tout
court.

Guido Innocenzo Gargano

10
Capitolo 1

La vita in Cristo1

1.1. Il ruolo del cuore nella vita spirituale

1.1.1. Il cuore, il luogo della presenza divina

Il luogo proprio dell’effusione della grazia divina è il


“cuore dell’uomo”, nel senso che la Bibbia e i Padri della
Chiesa hanno conferito a questo termine. Non designa
né l’affettività sensibile né qualcosa di superficiale, ma il
centro intimo da cui provengono le nostre inclinazioni
più profonde, quelle che ci fanno pensare, parlare e agi-
re spontaneamente in questo o in quel senso. Secondo
l’espressione di Sant’Isacco di Ninive «il cuore, invece, è
il principio dominante dei sensi interni, cioè è il senso
dei sensi, perché è la radice»2. Il cuore è quindi il centro

1. Traduzione dall’originale: P. Deseille (1990), La vie dans le Christ, in Nous


avons vu la vraie lumière…: la vie monastique, son esprit et ses textes fondamentaux,
L’Age d’homme, Lausanne, pp. 55-69.
2. Isacco di Ninive (1984), Discorso III, in Discorsi ascetici/1, l’ebbrezza della
fede, Città Nuova, Roma, p. 70. Per approfondimenti su questo tema si possono
consultare gli studi di S. Brock (1988), The Spirituality of the Heart in Syrian Tra-
dition, in «Harp», 1 (2-3), pp. 93-115; Id. (1987), The Syriac Fathers on Prayer and
die Spiritual Life, in «Cistercian Studies», 101, Kalamazoo, Michigan; Id. (1982),

19
dell’anima, creata a immagine di Dio, diretta a Lui eter-
namente e segretamente; questa orienta il nostro essere e
asseconda le tendenze buone o cattive dalle quali proven-
gono (o si ripetono) le deliberazioni dei nostri atti. Sono
un dono gratuito di Dio che fa parte di noi come una
“seconda natura”, principio dei giudizi e degli atti quasi
spontanei, ma in ogni caso pienamente assunti con la no-
stra libertà. Un uomo conosce con il suo cuore quando,
superando la conoscenza sensibile che comprende solo
l’aspetto esteriore delle cose e delle persone, viene a rap-
presentare la conoscenza razionale che definisce gli esse-
ri classificandoli o giustificandoli attraverso la sequenza
delle loro azioni. Inoltre, comprende anche il suo oggetto
in maniera quasi intuitiva e ne percepisce il significato
mediante una sorta di connaturalità. Questa conoscenza
“cordiale”3 non vanifica la conoscenza razionale e discor-
siva, né tanto meno la priva del suo valore, ma quest’ulti-
ma sarà viva e feconda solo se animata interiormente da
quel senso intimo del suo oggetto che solo il cuore può
produrre; altrimenti, anche il ragionamento più corret-
to genererà solo una conoscenza puramente nozionale,
fredda e sterile. La conoscenza razionale viene trasmessa
attraverso istruzioni e informazioni. La conoscenza “cor-

The Prayer of the Heart in Syriac Tradition, in «Sobornost/Eastern Churches Re-


view», 4 (2), pp. 131-142.
3. «cordiàle» dal latino genitivo di còrdis [cuore]. Ciò che muove dal cuore;
indica cioè che è veramente sentito, sviscerato, profondo nell’intimo umano.
Ritroviamo il medesimo lemma con lo stesso significato anche nell’originale
francese; per approfondimenti J.M. Boudier (2013), L’oraison cordiale: une tradi-
tion catholique de l’hésychasme, Harmattan, Paris.

20
diale” può essere comunicata solo attraverso un’“inizia-
zione”, attraverso la relazione personale con coloro che
già l’hanno esperita, oppure, ad esempio, mediante le
espressioni poetiche e simboliche.
L’azione, a sua volta, procede dal cuore, questa non
nasce solamente sotto l’influenza delle impressioni
sensibili, né è spinta da alcun tipo di ragione. Le azio-
ni scaturiscono al termine di una laboriosa delibera-
zione interiore, sono generate spontaneamente e sono
conformi alle circostanze concrete. Si agisce sotto
l’impulso che asseconda l’intima inclinazione umana
in cui si esprime la nostra più profonda personalità.
Questo è precisamente l’effetto della grazia, il modo
in cui Dio opera in noi. Non è l’esercizio assiduo delle
pulsioni sensibili, né proviene dalle certezze ottenu-
te dalla ragione discorsiva  –  anche illuminata dalla
dottrina cristiana  –  che guida l’azione del cristiano,
ma si tratta di intime certezze, di attrazioni e istinti
divini suscitati nel cuore dallo Spirito Santo: «la gra-
zia»  –  dice San Macario d’Egitto  –  «è un’opera della
potenza dello Spirito che agisce nel cuore con piena
certezza. Quanti sono figli della luce e del ministero
della nuova alleanza nello Spirito Santo nulla hanno
da imparare dagli uomini, perché sono istruiti da Dio.
La grazia stessa scolpisce nei loro cuori le leggi dello
Spirito»4. La profezia di Ezechiele ha già annunciato

4. Ps-Macario (1995), Spirito e fuoco, Omelie spirituali (Collezione II), 15,20, a


cura di L. Cremaschi, Qiqajion, Magnano, p. 196.

21
«vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno
spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi
darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di
voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò os-
servare e mettere in pratica le mie leggi» (Ez 36,26-27).
Quindi la fede non è una conoscenza di Dio che si può
acquisire al termine di una ricerca intellettuale: è un
nuovo occhio, come un ulteriore “senso”, che Dio apre
in noi e percepiamo con assoluta certezza, altrimenti
le realtà sfuggirebbero a tutte le prove dei sensi e della
ragione «la fede è fondamento delle cose che si spera-
no e prova di quelle che non si vedono» (Eb 11,1).
La Carità non è né un amore sensibile né una volon-
tà deliberata, ma una profonda inclinazione instillata
dallo Spirito nella parte più intima del nostro essere. E
ciascuna delle virtù morali cristiane – forza, temperan-
za  –  corrisponde all’una o all’altra delle nostre naturali
tendenze, che possono essere rettificate e trasfigurate nel
loro sorgere anche dalle energie divine che penetrano in-
tegralmente il nostro essere (compresa la nostra sensibi-
lità). È di fondamentale importanza comprendere che la
vita spirituale è essenzialmente la vita del cuore ricreata
dalla grazia, docile a un dinamismo vitale e non semplice
sottomissione a una legge esteriore. Certamente leggi e
precetti esterni rivestono un ruolo indispensabile nella
vita del cristiano. L’uomo nello sforzo di obbedirvi tro-
verà progressivamente la strada per il suo cuore, che gli
disvelerà gradualmente il senso ultimo delle realtà spi-
rituali. D’altra parte, le ispirazioni della grazia, se sono

22
autentiche, saranno sempre in armonia con l’insegna-
mento della Chiesa; tenderanno sempre all’obbedienza
alla divina autorità. Ma: «se lo Spirito non prende di-
mora nel cuore di chi ascolta è senza frutto il discorso
di chi insegna»5. Il cristiano che desidera progredire sarà
portato a costruire sempre meno il suo pensiero in modo
artificiale, grazie all’apporto di considerazioni persuasive
o facili entusiasmi sensibili, ma in forza del suo amore
per Dio e della sua tendenza verso il bene; questi non
lo scoprirà in sé stesso e nemmeno segretamente, ma il
processo permetterà di integrare tutti desideri e i sen-
timenti fino a quando non diventeranno realmente una
“seconda natura”. Pertanto, l’intera vita spirituale può es-
sere caratterizzata come un progressivo “ritorno al cuo-
re” secondo l’espressione degli autori monastici latini del
Medioevo, o come una “discesa dell’intelletto nel cuore”,
secondo la formula degli esicasti. Ma questo “ritorno al
cuore” assumerà degli aspetti differenti e come vedremo
diversi modi di osservare la realtà nel corso del progresso
spirituale: in primo luogo, spetterà all’anima stessa essere
attenta ai movimenti che lo Spirito risveglia in lei, con
lo sforzo deliberato di contemplare. Solo allora accadrà
che Dio stesso, toccando i nostri cuori con la sua grazia,
ci farà sperimentare la sua intima presenza e riunirà, una
volta per tutte, nel nostro “santuario interiore” le nostre
facoltà disperse.

5. Gregorio Magno (1994), Omelie sui vangeli, 30,3, Città Nuova, Roma,
p. 385.

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1.1.2. La Parola di Dio, maestra del cuore

La Parola di Dio, viva ed efficace, è per eccellenza la ma-


estra del cuore. Possiede una virtù, una propria efficacia,
quella di risvegliare nel nostro cuore le energie latenti
della grazia. Come, infatti, «la pioggia e la neve scendono
dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il
seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della
parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza
effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver
compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55,10-11). Ecco
perché l’antica tradizione monastica ha reso la memo-
rizzazione e l’incessante ruminazione della Parola di Dio
una delle basi della vita spirituale6. Questa ruminazione
(o “meditazione”, nell’antico senso della parola) è il prin-
cipale ausiliario della meditazione attiva7. Attendendo a
Dio e alle sue ispirazioni dobbiamo soffocare le sugge-
stioni, i pensieri cattivi e inutili che dividono il nostro
cuore. Per fare ciò dobbiamo far discendere Dio nel pro-
fondo di noi stessi, lasciarlo risuonare nel nostro cuore,
renderci attenti all’eco che si risveglia e obbedirvi agendo
secondo l’ispirazione ricevuta. A volte, di fronte a questo
o quel versetto della Scrittura, lo Spirito Santo toccherà

6. Cfr. J. Leclercq (1964), Otia monastica. Études sur la contemplation au


Moyen Age, in «Studia Anselmiana», 51, pp. VIII-310.
7. Numerosi saggi sulle differenti tipologie di meditazione cristiana
(e non) sono contenuti in La via della meditazione, in «Credere Oggi», 216
(6/2016).

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profondamente la nostra anima e ci farà assaporare l’illu-
minazione segreta, un profondo ricordo, un giubilo inte-
riore di cui Dio è l’unico maestro.

1.1.3. Saggezza del corpo e risveglio del cuore

I moti del nostro cuore abitato dallo Spirito Santo si tra-


ducono in gesti corporei prendendo forma, questi finisco-
no per imprimersi in tutto il nostro essere unificandone
le tendenze. Allo stesso modo i concetti e i ragionamenti
della nostra intelligenza, come la nostra volontà delibe-
rata, necessitano dell’ausilio della parola per essere spie-
gati, per questo motivo la vita del cuore si rifà a gesti e
comportamenti corporali che la simboleggiano, per esse-
re coerenti e approfondire il proprio significato. Senza la
partecipazione del corpo la nostra vita spirituale rischia
di essere fatta solo di una copiosa produzione di concetti
e decisioni assunte dalla volontà, che si possono accom-
pagnare da entusiasmi sensibili dalla natura effimera. Ma
un edificio spirituale siffatto rimarrebbe fragile e minato
alle sue fondamenta, reso incapace di garantire alla no-
stra esistenza la genuina disposizione verso Dio, poiché
le energie messe a disposizione dalla nostra sensibilità
sono temporaneamente vincolate nel rispetto della legge
divina, altrimenti queste non verrebbero trasformate in-
timamente dallo Spirito. Invece di offrire all’intelligenza
e alla volontà tutta la ricchezza della loro spontaneità e
il calore delle concrete percezioni, queste rimarrebbero
segretamente orientate verso la soddisfazione dei bisogni

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temporanei e individuali. La separazione frequente che
si verifica tra la mente e i sensi è il segno di un profon-
do fraintendimento circa la vera natura dell’uomo e della
salvezza apportata da Cristo.
I Padri della Chiesa (e gli antichi monaci) sono spesso
rimproverati per aver professato un dualismo in cui si in-
travedeva un residuo della filosofia greca, persino del Ma-
nicheismo o dello Gnosticismo. Ma per quanto riguarda
l’insegnamento dei Padri, questo è figlio piuttosto dello
spiritualismo, fin troppo comune anche al giorno d’oggi,
generato dalla perdita del senso simbolico, dell’espressio-
ne poetica, dell’inibizione dell’azione del corpo nella vita
religiosa che porta a proprio a un dubbio dualismo. Cer-
tamente, il pensiero dei Padri comprende un certo dua-
lismo, tuttavia non oppone la materia allo spirito, ma il
mondo attuale al mondo che è in fieri, quello in cui anime
e corpi non sono ancora stati trasfigurati dalla potenza
dello Spirito e il tempo della Risurrezione e della Tra-
sfigurazione dell’intero essere deve ancora compiersi. Lo
scopo della loro ascesi non era di separare il più possibile
l’anima dal corpo nella vita presente, ma di trasfigurare il
corpo stesso per renderlo partecipe alla divinizzazione. I
primi monaci adottarono una serie di gesti nella preghie-
ra, di pratiche ascetiche (in particolare il digiuno) poiché
erano consapevoli che questi comportamenti favorivano
la “compunzione del cuore” nel suo senso più ampio; vale a
dire una vita spirituale in cui l’energia non è né un’interdi-
zione della mente rispetto alla sensibilità, né abbandono
alle sole emozioni, ma un impulso sorto dalle profondità

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del cuore ricreato dallo Spirito Santo, che orienta tutta
l’affettività umana al servizio dell’amore di Dio e del pros-
simo. L’importanza che l’antico monachesimo assegnava
alla partecipazione del corpo nella vita spirituale è una
chiara allusione ai metodi tradizionali della spiritualità
dell’estremo Oriente. È facile immaginare che i Cristiani,
a lungo privati di questa parte della loro eredità, possano
ancora una volta farsi sensibili al suo valore intrinseco, e
mi riferisco perciò allo Zen o allo Yoga come ausiliari per
una vita spirituale cristiana. Va sottolineato, tuttavia, che
in questo campo esiste necessariamente una stretta cor-
relazione tra i gesti, le posture del corpo e gli stati spiri-
tuali di cui sono i loro simboli efficaci, specialmente nel
caso delle religioni non cristiane. La maggior parte del-
la saggezza dell’estremo Oriente si ripropone di portare
l’uomo a sperimentare il carattere illusorio della molte-
plicità degli individui e dell’identità di tutte le creature
ponendosi a confronto diretto con l’Assoluto. Le posture
del corpo, raccomandate da questi metodi, furono svilup-
pate in modo estremamente preciso, grazie a una pratica
secolare, che trasmette l’esperienza della non-dualità e la
promuove mediante un’azione che insiste su determinati
centri nervosi. Ma in un contesto cristiano, lo scopo degli
atteggiamenti corporei è molto differente: da un lato, si
tratterà di raggiungere una certa integrazione della com-
ponente umana come disposizione favorevole all’azione
della grazia, e dall’altro lato, si cercherà di “simboleggiare”
le disposizioni interiori dell’umiltà rivolgendosi diretta-
mente a Dio, attendendo la sua venuta in costante adora-

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zione. Ma questi metodi non potranno mai rappresentare
una tecnica applicabile al Cristianesimo, in quanto non
sono in grado di condurre da soli all’esperienza spirituale,
poiché questa sarà il frutto di un dono unilaterale, total-
mente libero e gratuito dello Spirito, solo così sarà preser-
vata la distinzione tra uomo e Dio. È straordinario che, nei
luoghi e nei tempi in cui lo spirito cristiano era pienamen-
te consapevole dell’importanza dei propri comportamenti
corporei, non furono mai adottati semplicisticamente dei
metodi e delle posture invalse in aree non-cristiane. Ad
esempio, se la spiritualità cristiana ha adottato una tecni-
ca respiratoria di preghiera congiunta con la ripetizione
del nome divino, che si trovava già in ambienti non-cri-
stiani, questa gli conferì una declinazione precipuamen-
te cristiana concentrandosi sull’invocazione del Nome di
Gesù, e non venne prescritta alcuna postura nella medita-
zione considerata (quasi indispensabile nello Yoga e nello
Zen). Il Cristianesimo predilige le metanie (o prostrazio-
ni), che presuppongono un clima spirituale completamen-
te diverso8.

1.1.4. Conoscenza e discernimento

Affinché i tradizionali atteggiamenti della preghiera cri-


stiana e la pratica dell’ascesi corporale siano in grado di

8. Sulla “saggezza del corpo” le opere più suggestive sono senza dubbio
quelle di H. Lumenska De Lenval (1954), Le silence à l’ombre de la parole, Tournai;
Id. (1956), La Liturgie du geste, Tournai. Cfr. i contributi di P. Régamey pubbli-
cati nella rivista «La Vie spirituelle» (1955-1956).

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