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Nei primi decenni del ‘900 l’affermazione progressiva della grande impresa comporta due conseguenze
di rilievo:
l’attività di controllo diviene assai complessa e deve essere affidata a manager professionisti;
l’azionista non ha la capacità di controllare il manager, che gode così di un certo grado di
autonomia.
è fonte di finanziamenti;
fornisce una valutazione dell’impresa (corsi azionari).
Gli azionisti sono interessati al valore delle azioni, dunque al valore (immediato) di borsa
dell’impresa.
I manager attingono fondi sul mercato azionario. I dividendi devono essere regolari e
soddisfare gli azionisti (altrimenti diviene difficile emettere nuove azioni).
Rispetto al corso delle azioni, i manager hanno un interesse indiretto: se tale valore cade,
emerge il pericolo di scalate ostili (take-over).
La distribuzione di stock option ai manager serve proprio a far sì che essi abbiano anche un
interesse diretto.
Vengono poi presi in considerazione gli interessi dei lavoratori (salario e welfare) e degli
stekeholders (portatori di interesse) che ruotano attorno alla società.
Il modello di Baumol analizza il rapporto tra impresa e mercati finanziari, ma, almeno inizialmente, in
un contesto uniperiodale.
Fino a che il profitto è tale da assicurare l’autofinanziamento e soddisfare gli azionisti, i manager
accrescono la dimensione dell’impresa, anche se devono rinunciare a massimizzare il profitto.
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Un aspetto critico del modello di Baumol è che si tratta di un modello asimmetrico:
impresa price-setter sul mercato del prodotto (dove fissa il prezzo come un monopolista);
impresa price-taker sul mercato dei capitali (il tasso di interesse e l’entità dei dividendi da
distribuire sono dati).
Nel 1962 Baumol estende la sua analisi ad un orizzonte pluriperiodale, determinando endogenamente
il profitto min. compatibile con la crescita dell’impresa.