Isolato dal punto di vista culturale ed estraneo agli avvenimenti e alle soluzioni politiche che andavano maturando nel suo tempo, il pensiero kierkegaardiano si muove entro i poli di una ricerca religiosa che possa rendere ragione del problema dell'esistenza. Tale ricerca avviene sotto il segno dell'angoscia e della disperazione; il cristianesimo corrente non solo non lo soddisfaceva, ma gli sembrava addirittura vanificato nella sua essenza dai tentativi di razionalizzazione operati all'interno della filosofia hegeliana. Di qui la sua polemica con il sistema che non può in alcun modo spiegare la complessità dell'esistenza, né superarne la contraddittorietà. La dialettica hegeliana è una dialettica astratta, perché non riesce a dar ragione del singolo, la cui esistenza non è riconducibile a una serie di conciliazioni (la dialettica dell'et-et) ma è invece espressa da contraddizioni insuperabili (la dialettica dell'aut- aut) Alla categoria hegeliana della necessità, kierkegaard contrappone il singolo, la decisione, la scelta. Il disprezzo vero la filosofia hegeliana è motivato dal fatto che nessuna sintesi speculativa o storica riesce a cogliere l'esistenza individuale. Questo orientamento porta Kierkegaard ad ironizzare contro i tentativi filosofici di abbracciare la storia universale; l'unica storia che lo interessa è quella che si dà isolatamente nella vita del singolo perché qui soltanto è in gioco la questione essenziale di assumere l'esistenza come un compito. Si spiega così anche il rifiuto di Kierkegaard di essere un pensatore sistematico. La verità che a Kierkegaard interessa è sempre soggettiva: tutt'al contrario della speculazione, che pretende una verità oggettiva. Le opere di Kierkegaard escono con degli pseudonimi, il che sta ad indicare il rifiuto di presentarsi come un pensatore ufficiale, il suo desiderio di non apparire dottore, ma testimone della verità. STADIO RELIGIOSO Come l'esteta avverte la possibilità di una vita diversa, che lo lascia insoddisfatto e inquieto, analogamente avviene per l'uomo etico. Infatti, l'uomo che vive eticamente, scegliendo se stesso e la ripetizione, ha scelto e accettato anche la legge del generale. Ma, similmente alla disperazione che coglie l'esteta più raffinato, anche l'uomo etico può essere colto dall'angoscia: come uomo etico ha il dovere di conformarsi alla legge morale che è universale, ma nello stesso tempo perde nell'anonimità e nella "folla" la sua personalità e la sua autonomia. L'uomo che si pone davanti a Dio rifiuta il rapporto e l'inserimento nella legge del generale che spersonalizza, e assume il rischio di un rapporto personale con l'assoluto. Abramo è il padre della fede, l'eroe religioso, perché accetta il rischio della prova impostagli da Dio; il sacrificio di Isacco, il figlio tanto atteso e tanto amato. Nulla può assicurare Abramo che Isacco gli sarà ridato; dal punto di vista della legge etica Abramo non è che un assassino, il suo gesto non trova nessuna spiegazione all'interno della legge universale, diversamente da Agamennone, che sacrificò Ifigenia consolato dalle lacrime di un popolo. Agamennone è solo l'eroe tragico: il suo conflitto é puramente un conflitto di doveri; il suo dolore era stato in qualche modo deciso da altri, dal fato, dalla legge universale; inoltre il suo gesto è contrassegnato dalla rassegnazione. Abramo invece non ha nessuna giustificazione, accetta il rischio di porsi di fronte a Dio nel silenzio e nella solitudine: se la prova fallisse, se Isacco non gli fosse restituito, avrebbe perduto se stesso; ma, diversamente da Agamennone, il suo gesto è contrassegnato dalla speranza. La fede consiste proprio in questo rischio, nell'accettazione del paradosso e della prova; Abramo ritrova Isacco, e con lui la stessa legge generale. STADIO ESTETICO Ciò che interessa e importa a Kierkegaard è il singolo. Le scelte di vita che si offrono al singolo sono per Kierkegaard sostanzialmente tre: lo stadio estetico, lo stadio etico e lo stadio religioso. L'esteta è colui che vive pienamente l'immediatezza dell'istante; è un artista che coglie al volo ogni possibilità di godimento dell'esistenza, che intende fare della sua vita un'opera d'arte, da cui sia bandita la noia, la tristezza, la monotonia. L'esteta è colui che sa trarre dalle situazioni più insignificanti occasione di raffinato piacere. "Godi la vita e vivi il tuo desiderio" insegna l'estetica, che trova personificazione e modello nella vita di Don Giovani il seduttore. Don Giovanni è infatti l'esteta di professione, che fa dell'amore il centro della sua vita, un amore sciolto però da ogni impegno o monotonia, che non si lega a nessuna donna in particolare, perché volto a cogliere in ogni donna solo un momento, una suggestione, uno spunto poetico. La vita estetica è caratterizzata dall'istante, dall'immediatezza, dall'esteriorita; ciò significa che l'esteta vive continuamente al di fuori di sé: per essere libero da qualsiasi legame, rifiuta il matrimonio, l'amicizia, una professione in cui esprimersi con continuità; rifiuta la speranza, per essere libero dal futuro, il ricordo, per essere libero dal passato. "L'estetica è ciò per cui l'uomo è immediatamente ciò che è" afferma Kierkegaard. Nonostante le apparenze, nello stadio estetico non è possibile né scelta autentica, né libertà: non scelta, perché l'esteta lascia che le circostanze decidano per lui, non libertà, perché l'esteta, nel rifuggire l'abitudine e la noia, finisce per lasciare al caso l'arbitrio di operare delle scelte. STADIO ETICO La disperazione non rappresenta soltanto l'ultimo stadio della vita estetica ma anche la possibilità del passaggio alla vita etica. IL passaggio allo stadio etico non può allora avvenire naturalmente, ma richiede il coraggio del salto, di un mutamento totale. Se la vita estetica è presentata da Kierkegaard nella molteplicità dei suoi aspetti, la vita etica è tutta racchiusa nella figura del marito e nell'elogio del matrimonio. Essa è infatti "quello per cui l'uomo diventa quello che diventa"; per essa l'uomo possiede il tempo anziché lasciarsene possedere, sceglie assolutamente se stesso, e in questa scelta afferma la continuità della sua vita, e non la dispersione, l'impegno e non la fuga dalle responsabilità: in una parola è l'uomo che accetta la ripetizione. SCANDALO E PARADOSSO Se il problema della scelta e della libertà è legato alla scelta che l’uomo fa di sé stesso in quanto singolo, questa individualità non può essere trovata per Kierkegaard se non nel momento in cui l’uomo si pone dinanzi a dio. La disperazione è il segno di questa scelta, la malattia morale che costituisce quella spina nelle carni. Il paradosso della fede è in questo rapporto: da un lato l’uomo vuole affermare sé stesso e la sua finitezza, dall’altro non può fondarla in dio. Lo scandalo è nel fatto che il singolo trova giustificazione nel momento in cui, accettando di essere nulla in confronto a dio, accetta anche di essere salvato da dio. Il paradosso, la prova, che caratterizza l’esperienza di Abramo diventa il paradosso dello stesso cristianesimo “cristo è il paradosso, l’incarnazione è lo scandalo del cristianesimo”. La validità del cristianesimo, tutta racchiusa nella realtà dell’incarnazione, non si può dimostrare, ma soltanto testimoniare, e la testimonianza somma è il martirio.