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Ed.

Civica di storia
Maschilismo e femminismo :
Maschilista e femminista non sono parole equivalenti; in molti lo pensano ancora e la similitudine
delle due parole inganna, ma sono concetti molto distanti.

Il termine maschilismo significa  «Atteggiamento psicologico e culturale fondato sulla presunta


superiorità dell’uomo sulla donna; comportamento sociale determinato da questo
atteggiamento».

Il maschilismo è dunque un atteggiamento che si manifesta in contesti sociali e privati e che si


traduce in pratiche quotidiane che possono essere violente, repressive, offensive o anche
semplicemente paternalistiche, basate sulla convinzione che gli uomini siano superiori alle donne:
partendo da una innata differenza biologica, la minore forza fisica femminile, e dalle sue
conseguenze storiche, il maschilismo stabilisce una gerarchia tra uomini e donne, in cui le
donne sono considerate “naturalmente” inferiori anche sul piano intellettuale, sociale e politico.

Il femmnismo è un movimento di rivendicazione dei diritti delle donne, le cui prime manifestazioni
sono da ricercare nel tardo illuminismo e nella rivoluzione francese; nato per raggiungere la
completa emancipazione della donna sul piano economico , giuridico e politico, auspica un
mutamento radicale della società e del rapporto uomo-donna attraverso la liberazione sessuale e
l’abolizione dei ruoli tradizionalmente attribuiti alle donne. Per quanto riguarda il femminismo e la
sua distinzione dal maschilismo è più immediato dire che cosa non sia: non è, innanzitutto, un
atteggiamento psicologico basato su alcune convinzioni. Non è cioè un comportamento basato sul
pensiero di una presunta superiorità della donna sull’uomo, né su un’idea di ruoli basata sul sesso,
quanto invece su un’analisi storica.

C’è una pericolosa e radicata ignoranza a riguardo del femminismo. Chi non ne sa nulla, di più che
il nome, può essere ingannato dalla sua somiglianza fonologica con il termine maschilismo, con cui
tuttavia non ha altro da condividere che una desinenza. Il maschilismo è una forma di sessismo che
sostiene la superiorità economica, politica e sociale dell’uomo rispetto alla donna.

Il femminismo non è il contrario. Chi è femminista non sostiene la superiorità della donna rispetto
all’uomo, ma difende la parità economica, politica e sociale dei due sessi. Parità e
non uguaglianza. Anche visivamente, uomini e donne non sono uguali. La parità vuole che, anche
essendo diversi, abbiano gli stessi diritti e la stessa dignità.

Purtroppo le incomprensioni non sono alimentate solo unidirezionalmente. C’è anche chi,
all’interno del movimento femminista, si spaccia per attivista mettendo alla luce i propri ideali
sbagliati e talvolta misandrici.

Uno dei dibattiti più recenti all’interno del movimento riguarda la proposta di modificarne il nome.
Forse se lo chiamassero egualitarismo, collegarlo al suo vero significato risulterebbe molto più
semplice, anche in assenza di qualsiasi altra conoscenza in ambito sociologico. Eppure
significherebbe ignorarne la storia, che ne costituisce la corteccia e si articola in quattro
grandi ondate.

La storia: le ondate del femminismo.


Se il femminismo può essere definito come lavoro di riflessione e insieme azione di trasformazione
delle donne sulla propria esperienza nel mondo, le diverse interpretazioni di quell’asimmetria, le
diverse soluzioni teorizzate e le diverse pratiche attuate per realizzarle danno vita ai vari
femminismi presenti sulla scena storico-sociale e nella riflessione teorica.

Iniziato durante la rivoluzione francese, il movimento femminista è riuscito a rivoluzionare il


mondo nel quale la donna viene considerata all’interno della società grazie a movimenti come le
suffragette e successivamente le diverse ondate nelle quali il movimento è stato suddiviso. Il
movimento femminista è diviso in diverse ondate, ognuna differente dall’altra e con ideali e
obiettivi sempre più ambiziosi

La prima ondata comprende ogni singolo movimento precedente agli anni Sessanta: è stata
l’ondata che ha dato vita al movimento in sé. Le azioni più importanti compiute da queste donne
sono state ottenere il diritto di voto grazie alle suffragette agli inizi del Novecento. Le suffragette
continuarono ad animare anche la seconda ondata di femminismo, che si data al secondo
dopoguerra (1945 circa), combattendo ancora per il voto, il potere di decidere per il proprio corpo
(dall’abbigliamento all’aborto), e contro la dicotomia “Santa o Cortigiana”. Le femministe degli
anni Cinquanta volevano dimostrare di poter essere qualcosa di più che brave mogli dedite alla
casa e alla prole, o donne di strada, senza pudore e senza dignità.

Ottennero i diritti relativi all'istruzione femminile, un miglioramento delle condizioni lavorative e


infine l'abolizione dei doppi standard di genere. Durante la Seconda guerra mondiale le donne
iniziarono a essere parte di diverse branche industriali, militari e sportive a causa della leva che
obbligava la maggior parte degli uomini di combattere al fronte. Le donne diventarono operaie di
catene industriali, ausiliarie dell’esercito, giocatrici di baseball. Nell’esercito inglese furono
arruolate circa 460mila donne.

Negli anni Sessanta iniziò la seconda ondata, iniziando a mettere in discussione tutte le
disuguaglianze fra uomini e donne nella società, concentrandosi sul porre fine alle disuguaglianze
fra sessi. In questo periodo nacquero diverse associazioni femministe e si discussero argomenti
come la pornografia, il ruolo della donna come casalinga e vennero fatte diverse manifestazioni.
Alla fine degli anni Ottanta il movimento antifemminista criticò i risultati ottenuti dal movimento
sostenendo che i nuovi equilibri sociali creati dal movimento avrebbero causato danni per
entrambi i sessi.

La terza ondata femminista inizia negli anni Novanta, con un movimento intenzionato a ottenere
un’uguaglianza fra i sessi in ogni campo e un ampliamento dei diritti anche a tutte le donne di
colore e vennero accolte anche le lesbiche. Questa ondata femminista si prese cura dell’aspetto
sessuale della vita della donna, in quanto sentiva fosse un passo importante per la liberazione di
quest’ultima. Vennero cosi intraprese campagne per l’accesso all’aborto e alla pillola
contraccettiva oltre che all’accettazione sociale della donna libera sessualmente. Della terza
ondata di femminismo, è stata protagonista la musica, con la comparsa delle prime band femminili
a svettare nelle classifiche dei generi pop (Spice Girls e Destiny’s Child) e punk rock (Bikini Kill). Le
donne non avevano bisogno degli uomini per lavorare, per guadagnare, avere successo; potevano
essere acclamate da un  vasto pubblico sui palchi più ambiti del mondo. Il sesso maschile ne è
stato disorientato, fino alla conseguenza della sua demascolinizzazione.

La quarta e ultima ondata, nella quale ancora ci troviamo, inizia attorno al 2008 e sia avvale di
strumenti nuovi come i social network per diffondere le proprie idee. Nel movimento furono
incluse anche le persone transgender e gli uomini, inoltre viene dato un nuovo sguardo al sessismo
quotidiano, con progetti come il “Everyday Sexism Project”, un forum dove ogni donna può
raccontare le proprie esperienze di molestie. La storia del femminismo è molto più complessa e
ampia di quanto si possa immaginare, con lotte che ricoprono il campo musicale, letterario,
politico e anche religioso, è un viaggio lungo e tortuoso che ha cambiato il mondo per sempre.
L’attuale “quarta ondata di femminismo” vede protagoniste ancora le donne, con le donne, per le
donne, ma oggi il movimento si rivolge soprattutto al sesso maschile, invitandolo a parteciparvi.
L’appello si è concretizzato nella campagna “He for She”, presentata il 21 settembre 2014
dall’attrice britannica Emma Watson, in qualità di ambasciatrice del settore UN Women delle
Nazioni Unite. Nel suo memorabile discorso, il cui video ha ottenuto milioni di views sul web, la
Watson ha evidenziato come gli uomini rinuncino spesso a essere sé stessi perchè prede del
giudizio negativo della società verso determinati comportamenti, non a caso considerati più
“femminili”. Viene insegnato loro a mantenere un’aurea sacra di virilità a qualsiasi costo, anche a
costo di prendere la strada sbagliata, per risultare “veri maschi”, anche a costo di rinunciare a
manifestare spontaneamente le proprie emozioni, per non essere apostrofati “femminucce” dai
propri compagni.

Ma —come ha dichiarato la Watson— non è possibile cambiare il mondo se solo metà di esso si
sente invitato a partecipare alla conversazione.

Dal manifesto di He for She partono i presupposti per una futura, e si spera imminente, quinta
ondata di femminismo, la quale non vedrà più donne occuparsi di donne, o uomini occuparsi di
donne o donne occuparsi di uomini o uomini occuparsi di uomini.

Ci saranno persone a preoccuparsi di persone, i cui diritti e la cui dignità verranno difesi al di là di


ogni differenza, di genere, di etnia o di cultura.

LE MADRI DEL FEMMINISMO


Nel corso della storia, le donne hanno lottato spesso per i diritti che spettano loro in qualsiasi
ambito in cui operano, facendo riconoscere le proprie capacità e testimoniando tutto ciò che
possono raggiungere in molti campi come la medicina, la politica, la filosofia, la scienza… Anche al
giorno d’oggi, molte si battono per riuscire ad aprirsi un varco nel mondo accademico, lavorativo e
universitario, che sembrerebbe appannaggio esclusivo degli uomini. Ecco alcune di queste donne,
anche se molte altre lottano ogni giorno per i loro diritti e l’uguaglianza nella società.

Giovanna D’arco

La pulzella d’Orléans, come veniva chiamata, è una santa ed eroina francese. Nata in una famiglia
contadina agiata, trascorse l’infanzia nel contesto del sanguinoso conflitto inerente alla guerra dei
Cent’Anni, e a 17 arrivò a guidare l’esercito francese. Nel 1430 venne catturata dagli inglesi e
processata, accusata di eresia e stregoneria e assassinata sul rogo. A tredici anni, Giovanna d’Arco
comincia ad ossessionare i suoi genitori con un unico pensiero: Dio le ha imposto di combattere
per il bene, salvare la Francia e rimettere al suo posto quell’equilibrio che la Guerra dei
Cent’anni aveva compromesso. Di farle cambiare idea non c’era verso: schiaffi, punizioni e
tentativi di chiuderla in casa non servirono a nulla.

Nel 1429, appena quindicenne, la ragazza ne approfittò per scappare dica casa: c’era la possibilità
che un capitano dell’esercito da poco conosciuto la potesse portare direttamente a cospetto del
re. Così, capelli corti e pantaloni, lasciò la famiglia, il promesso fidanzato e partì a presentarsi
all’erede al trono di Francia, il futuro Carlo VII di Valois, nascosto nel frattempo nella fortezza di
Chinon. Non è difficile immaginare la faccia del futuro regnante davanti ad una ragazzina a dir
poco originale: ignorante in fatto di armi e di politica, pretendeva di essere ispirata da Dio e di
voler guidare un esercito da sola secondo le sue regole. Ma Giovanna aveva una forza non
comune e, una volta provata la sua vocazione profetica, coloro che le stavano intorno capirono
che se era proprio Dio che parlava, era forse meglio prendere la ragazzina sul serio. A Giovanna
venne allora affidata la missione più importante: liberare la citta di Orléans dall’assedio inglese. La
fine della storia la sappiamo: non solo la punzella libera Orléans ma, dopo pochi giorni, anche la
città di Paray.

Quello che forse non è ben nota è la strategia con la quale Giovanna riuscì a fare tutto ciò: un
piano militare impensabile per una donna, ma anche per un uomo. La ragazzina, infatti, si
trasforma in una vera e propria stratega. Capisce che per vincere c’è bisogno di rigore, di
passione e di fiducia in un qualche ideale. Se ci si convince di avere un Dio dalla propria parte, si
può tentare di tutto. Giovanna allora impose agli uomini che la seguivano uno stile di vita che
possiamo definire quasi monastico. Giovanna bandì le prostitute dagli accampamenti, impose il
veto su ogni violenza e saccheggio e, al contrario, introdusse momenti di preghiera davanti alla
bandiera francese e la confessione obbligatoria per ogni soldato. Questo piano non solo rese più
coeso l’esercito, ma restituì la fiducia persa negli uomini d’arme alla popolazione. Giovanna,
insieme al popolo e all’esercito, riuscì allora a realizzare qualcosa di mai visto prima.

Lei, la punzella dai capelli corti, venne accolta al suo rientro con feste trionfali. Carlo poté allora
raggiungere Reims e farsi incoronare re di Francia. Ma la vita per le donne coraggiose non è
semplice: gli inglesi colsero al balzo la possibilità di sbarazzarsi di questa giovane e il re di Francia,
da parte sua, non alzò un dito per difenderla: Giovanna aveva tra le sue piccole mani troppo
potere, ormai. Catturata dai Borgognoni, venne messa sotto processo dall’Inquisizione che la
condannò al rogo. A vent’anni, la prima donna stratega d’Europa, venne bruciata viva sulla piazza
del Mercato Vecchio a Rouen, il 30 maggio 1431.

Olympe de Gouges
La femminista rivoluzionaria che finì sulla ghigliottina

Marie Gouze – che poi avrebbe assunto lo pseudonimo di Olympe de Gouges, preso in parte dal
nome della madre – nacque nel 1748 a Montauban, cittadina nella zona dei Pirenei.

Era figlia di una famiglia della piccola borghesia di provincia, anche se già da ragazza venne a
sapere dalla madre di essere figlia naturale del poeta Jean-Jacques Lefranc, marchese di
Pompignan. Sposata ad appena 17 anni, divenne subito madre e vedova. Decise quindi di trasferirsi dalla
sorella a Parigi, per educare meglio il figlio Pierre, che sarebbe divenuto anni dopo pure generale
dell’esercito.

A Parigi entrò nel salotto dei Condorcet – lui matematico e filosofo che aveva collaborato anche
all’Enciclopedia, lei donna bella e intelligente – e si avvicinò alle posizioni politiche della borghesia
più moderna. Di quella borghesia, cioè, che chiedeva cambiamenti radicali al re.

Iniziò proprio in questi anni a scrivere per il teatro, realizzando commedie di buon successo e
spesso dedicate alle popolazioni di colore. A queste aggiunse anche il saggio Riflessioni sugli
uomini negri che, alla vigilia della rivoluzione, diede il via ad un ampio dibattito sull’abolizione della
schiavitù. Scoppiata la rivolta, aderì al club dei girondini, proponendo con insistenza il diritto di
voto alle donne.

Divorzio, riconoscimento dei figli naturali e protezione per le donne gravide.

Nel 1791 scrisse la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina che, ricalcata
sulla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, chiedeva la parità dei diritti tra
uomo e donna, l’introduzione del divorzio e di contratti tra concubini, il riconoscimento dei figli
nati fuori dal matrimonio e un sistema di protezione per le donne incinte e le madri.

Nel 1792 chiese poi di poter partecipare alla difesa del re messo sotto accusa dalla Convenzione.
Affermò infatti che «la donna ha il diritto di salire sul patibolo; ella dovrà anche avere il diritto di
salire sulla tribuna». Infine nel 1793, quando i girondini vennero messi fuorilegge dai giacobini, attaccò
Robespierre in maniera molto forte, accusandolo di mirare alla dittatura. Arrestata e condannata come
controrivoluzionaria, venne ghigliottinata nel novembre del 1793, a 45 anni.

Dopo la morte fu spesso irrisa dai capi rivoluzionari o, peggio, accusata di libertinaggio e
incapacità, con l’evidente scopo di minare la validità delle sue idee. Dimenticata per molto tempo,
si è ricominciato a studiare la sua figura negli ultimi anni tanto che nel 2007 l’esponente socialista
Ségolène Royal propose, durante la campagna elettorale contro Nicolas Sarkozy, di traslarne le
ceneri al Pantheon.
La sigla LGBTQIA+
Fin dalla fine degli anni ’80 la sigla LGBT è stata usata per riferirsi alla cosiddetta “comunità gay“.
Nel corso degli anni però questa sigla si è allungata e oggi l’acronimo LGBTQIA+ non si riferisce
soltanto al mondo gay ma a quella ancor più grande comunità di persone che non si riconoscono
negli orientamenti sessuali e nelle identità di genere considerati “tradizionali”.

L sta per LESBICA, cioè una donna a cui piacciono le donne.

G sta per GAY, cioè un uomo a cui piacciono gli uomini.

Più in generale, lesbiche e gay si dicono OMOSESSUALI, cioè individui a cui piacciono persone del
loro stesso genere.

B sta per BISESSUALE, cioè una persona a cui piacciono sia uomini che donne.

Ma attenzione:
non TUTTI gli uomini e TUTTE le donne contemporaneamente

Una persona bisessuale infatti sceglie i suoi partner esattamente come fa un eterosessuale o un


omosessuale, e il suo orientamento non la rende più infedele o libertina di altre.

Negli ultimi anni, con la crescente attenzione verso i generi “non binari” (di cui parleremo a breve)
il significato di questa parola si è evoluto e oggi chi si definisce bisessuale intende dire che
è attratto da più di un genere.

Dalle stesse riflessioni parte un altro orientamento che ancora non ha la sua lettera nella sigla: si
tratta della PANSESSUALITÀ.

A una persona PANSESSUALE non interessa il genere della persona che le piace.

T sta per TRANSGENDER.
Una persona transgender si sente di un genere diverso rispetto a quello che le è stato dato alla
nascita.

Questo termine comprende varie identità di genere, infatti esistono sia identità transgender


binarie (persone MtF e FtM, cioè che passano dal maschile al femminile o viceversa) che identità
transgender non binarie (persone che sentono di non appartenere affatto o non solo ai generi
maschile e femminile, o che sentono di appartenere a entrambi i generi).
L’identità transgender più conosciuta è quella che fino a qualche tempo fa veniva detta
“transessualità”, cioè persone che nascono in un corpo femminile ma si sentono uomini o,
viceversa, persone che nascono in un corpo maschile ma si sentono donne.

Il modo giusto per parlare di queste persone è dire il genere in cui si riconoscono seguito dalla
parola “trans”.
Molte persone transgender però preferiscono essere indicate solo col genere in cui si
riconoscono.
In ogni caso, per essere sicuri al 100% di non sbagliare, la cosa migliore è chiedere alla persona in
questione come preferisca essere chiamata.

Sfatiamo qualche stereotipo sulle persone transgender:

 Non tutte le persone trans sentono il bisogno di modificare il loro aspetto per stare bene
con loro stesse.

Chi lo fa di solito soffre di “DISFORIA DI GENERE”, cioè un disagio così forte verso il proprio corpo
che può essere alleviato solo con interventi medici.

 Il transgenderismo non è una malattia mentale

 Il transgenderismo si riferisce solo all’identità di genere. Perciò una persona trans può
essere eterosessuale, omosessuale o avere qualunque altro orientamento.

Q sta per QUEER, che in inglese significa “bizzarro, strano”.

Una persona si definisce “queer” quando non vuole incasellarsi in categorie di identità e


orientamento sessuale che sente come troppo “strette”, di solito perché crede che le persone
abbiano identità e gusti “fluidi”, cioè che variano nel tempo e che è difficile cristallizzare in una
definizione.

La lettera Q indica anche le persone QUESTIONING, cioè che sono ancora alla ricerca di chi sono e
di cosa piace loro.

I sta per INTERSESSUALE.
Una persona intersessuale è una persona che ha caratteristiche sessuali diverse da quelle che
sono considerate di solito maschili o femminili, sia a livello di cromosomi che
di ormoni, apparati, genitali e altro.

L’intersessualità è una categoria ampia che comprende più casi diversi, come per esempio:

 Persone con un solo cromosoma sessuale X presente e/o del tutto funzionante, situazione
chiamata Sindrome di Turner

 Persone che hanno più di due cromosomi sessuali, come nel caso di chi ha il trio XXY,
situazione chiamata Sindrome di Klinefelter
 Persone che da fuori sembrano donne ma che hanno i cromosomi sessuali maschili XY,
situazione dovuta alla Sindrome da Insensibilità agli Androgeni (o Sindrome di Morris),
cioè alla difficoltà dei tessuti di queste persone di recepire gli ormoni maschili

 Persone che hanno le gonadi, ovvero le ghiandole sessuali, fatte sia di tessuto ovarico che
testicolare, cioè sia delle ovaie femminili che dei testicoli maschili.
In passato questa condizione veniva chiamata “ermafroditismo”, soprattutto se era visibile
dall’esterno, ma il termine medico corretto è “ovotestis“.

L’intersessualità è molto più diffusa di quanto si immagini, infatti pensate che per esempio:

– 1 donna ogni 2000 ha la sindrome di turner


– 1 uomo ogni 1000 ha la sindrome di klinefelter
– 1 donna ogni 13.000 soffre di insensibilità agli androgeni completa
– 1 neonato ogni 20.000 presenta ovotestis

L’intersessualità è una condizione così poco conosciuta, anche tra i medici, che spesso i neonati
intersessuali subiscono interventi che non servono alla loro sopravvivenza ma solo a farli
assomigliare di più a una donna o a un uomo. Ma questo causa loro pesanti danni fisici e
psicologici.

Perciò le associazioni di categoria consigliano di aspettare che la persona intersessuale


cresca prima di compiere interventi e terapie non vitali, cosicché possa scegliere lei di “lasciare” il
suo corpo com’è oppure operarsi e prendere farmaci per avere l’aspetto di donna o uomo.

Infine, A sta per ASESSUALE.
Una persona asessuale non prova attrazione sessuale verso nessun genere. Detto in parole molto
semplici, è una persona che non prova la voglia di fare sesso.

Attenzione, l’asessualità NON è la castità. La differenza sta nella scelta.


Una persona casta prova attrazione sessuale ma resiste a quel desiderio, mentre una
persona asessuale neanche ci pensa al sesso.

È la stessa differenza che c’è tra una persona a dieta e una a cui non piacciono i dolci: se sei a
dieta, fai una fatica enorme a non comprare la cioccolata al supermercato, invece se non ti
piacciono i dolci non sai neanche quale sia lo scaffale della cioccolata.

Quindi a una persona asessuale NON manca il sesso, proprio come alla persona a cui non
piacciono i dolci non manca la Nutella. E nessuna delle due è “malata”.

Anche per l’asessualità esistono diversi tipi, in base al rapporto col romanticismo e col sesso.
Infatti si parla più precisamente di “spettro” dell’asessualità.

Una persona asessuale può volere una relazione stabile, oppure no.
Può essere schifata dall’idea del sesso, oppure farlo con piacere con la persona di cui è
innamorata.
Un asessuale infatti può fare sesso e provare piacere, solo che probabilmente non sarà lui o lei a
fare il primo passo.

Alcuni intendono la lettera A anche come ALLY, “alleato”, cioè una persona eterosessuale


cisgender che promuove attivamente i diritti del resto della comunità.

E quel + alla fine della sigla?

Il + indica tutte le altre possibili identità di genere e orientamenti sessuali.


Poliamorosi, demisessuali, agender, genderfluid…
Più vanno avanti le riflessioni su sesso e genere, più l’elenco si allunga!

Ma c’è una cosa importante da ricordare:


Queste “etichette” non sono obbligatorie!

C’è chi non sente il bisogno di usarle, chi le trova utili per capirsi meglio e perfino chi si comporta
in un modo ma si descrive con un altro!

Storia del movimento LGBTQIA+


Quando nasce il Movimento LGBT?
Il 28 giugno del 1969  è considerata la data simbolica  nella quale nacque il movimento
omosessuale contemporaneo.                                                                                             

All’epoca la  polizia usava ogni pretesto  possibile per giustificare un arresto a causa di atti
indecenti compiuti dalle persone omosessuali, tra cui: baciarsi, indossare abiti del sesso opposto o
semplicemente trovarsi nel bar al momento dell’ irruzione.
In quel giorno la polizia fece un incursione  nello Stonewall Inn, uno storico gay bar del Greenwich
Village  a New York solitamente frequentato dalla comunità LGBT del tempo, ma diversamente
dalle altre volte le persone all’interno del locale si ribellarono.
Prima fra  tutti la transgender Sylvia Rae Rivera, che  diede inizio alla rivolta lanciando una
bottiglia, alcuni dicono una scarpa, contro un poliziotto.
Presto il tumulto si accese tra la folla al grido di “Gay Power!“, i disordini continuarono anche nei
giorni seguenti  dando vita ai Moti di Stonewall, facendo si che tutta la rabbia nata per come
erano stata trattata la comunità  LGBT nei decenni esplodesse.

Iniziò  una nuova fase militante, con la nascita di associazione che rivendicavano  il diritto
alla felicità.
Dopo la fase dei Diritti Fondamentali l’attenzione del Movimento si concentrò sulla rivendicazione
dei diritti quali il riconoscimento delle coppie omosessuali e l’adozione per i gay.

Negli anni ottanta li movimento di liberazione dovette scontrarsi con l’epidemia dell’


AIDS. Inizialmente chiamata GRID (Gay-Related  Immune Deficiency) a causa della diffusa idea che
la malattia fosse una punizione di Dio verso i gay.
La comunità omosessuale e le associazioni diedero vita a campagne pubblicitarie che
promuovevano l’uso del preservativo e combattevano la falsa credenza che il virus colpisce solo i
gay.

Nel 2007 l’Unione Europea istituì la giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia sul


suo territorio.

Ma che cos’è quella bandiera che vedo penzolare in TV?

E’ la bandiera  arcobaleno, attualmente  il simbolo più utilizzato e noto del movimento di
liberazione omosessuale.  

Fu creata nel 1978 a San Francisco dall’artista Gilbert Baker, ed in origine aveva otto colori.
Per ragioni di difficoltà e costo nel reperire tutti i colori previsti le tinte si sono ridotte prima a sette
e poi alle attuali sei. I colori simboleggiano  l’orgoglio gay e i diritti gay.
La bandiera arcobaleno originale nel 2015 venne acquistata dalla galleria di arte moderna  MOMA
(cos’è questa nuova sigla incomprensibile? I writers si divertono a confondermi?).                                                     

Ma che significato hanno quei colori?                                                                                          

Ogni colore rappresenta un aspetto del movimento: il rosa la sessualità; il rosso la vita; l’arancione
la salute; il giallo la luce del sole; il verde la natura; il turchese la magia/arte; il blu la serenità  e il
viola lo spirito.

Generalmente, i moti di Stonewall del 1969, vengono identificati simbolicamente come il punto di
inizio per quello che sarà il movimento di liberazione omosessuale contemporaneo in tutto il
mondo. La rivolta prende il nome dallo storico locale Stonewall Inn, del Greenwich Village di New
York, che la comunità LGBT dell’epoca era solita frequentare. C’è da dire che le incursioni della
polizia nei locali LGBT erano una consuetudine abbastanza regolare negli USA fino agli anni ’60.
Tuttavia, il sesto distretto di New York era solito avvisare i gestori dello Stonewall Inn prima delle
retate, che avvenivano generalmente prima di sera, così da dare la possibilità in orario più tardo di
riprendere l’attività. La sera del 27 Giugno 1969, però, i gestori del locale non vennero avvisati e
dopo l’una di notte, gli ufficiali del distretto entrarono nel bar per arrestare coloro i quali erano
privi dei documenti di identità e tutte le persone vestite con abiti del sesso opposto, oltre ad alcuni
dipendenti. In verità, ci sono diverse versioni sulle modalità attraverso cui ebbe inizio la rivolta, la
più colorita delle quali vuole la donna transgender Sylvia Rivera scagliare il proprio tacco contro un
agente, dopo essere stata pungolata con un manganello. In ogni caso, presto la rivolta si accese tra
la folla, stimata in 2000 persone contro 400 poliziotti, al grido di “Gay Power!”. I disordini
proseguirono anche nei giorni seguenti, facendo emergere tutta la rabbia per il modo in cui era
stata trattata la comunità LGBT nei decenni precedenti.

A Luglio si formò il Gay Liberation Front, tra le cui prime azioni ci fu l’organizzazione di una marcia
contro la persecuzione degli omosessuali e da allora molti gay pride in tutti il mondo scelgono il
mese di giugno per commemorare i moti di Stonewell e rivendicare i propri diritti. Nel 1977,
Harvey Milk è il primo uomo dichiaratamente gay ad essere eletto consigliere comunale di San
Francisco, una delle maggiori città degli Stati Uniti. Le sue battaglie a favore di leggi per i diritti
della comunità LGBT sono note, soprattutto per quanto riguarda la sua opposizione alla
Proposition 6, la quale avrebbe previsto il licenziamento degli insegnanti dichiaratamente gay.
Purtroppo Harvey Milk viene assassinato nel 1978 insieme al sindaco, da un ex consigliere
comunale all’interno del municipio. La sera dell’omicidio, riuscì ad organizzarsi un corteo
spontaneo a lume di candela di oltre 30mila persone in memoria del consigliere.

Gli anni 80 sono gli anni in cui il movimento LGBT deve fare i conti con l’epidemia dell’AIDS.
Nell’opinione pubblica si diffuse l’idea che l’AIDS fosse correlata all’omosessualità, tant’è vero che
pochi sanno che all’inizio la sindrome era chiamata GRID, ovvero Gay-Related Immune Deficiency.
Nonostante i medici dell’epoca smentirono presto la correlazione tra AIDS e omosessualità,
purtroppo la propaganda di alcune Chiese diffuse la convinzione che la malattia fosse una
punizione di Dio per i gay. Purtroppo questa malattia fece moltissime vittime all’interno della
comunità LGBT, anche molto note, e infatti fino alle metà degli anni 90 i temi del sesso protetto e
della promozione dell’uso del preservativo per la prevenzione dell’HIV e dell’AIDS divennero
predominanti per i movimenti LGBT internazionali.

Con gli anni 2000 i movimenti LGBT di tutto il mondo iniziano a vedersi riconosciuti i diritti di
coppia. Ha infatti inizio la lunga serie di Paesi che promulgano leggi per istituire le unioni civili tra
persone dello stesso sesso, sebbene la Danimarca sia stata precorritrice dei tempi, promulgando la
legge nel 1989, mentre l’Italia ha dovuto aspettare più di 25 anni, fino al 2016.

Per quanto riguarda il caso specifico Italiano, bisogna risalire fino al 1922 per individuare il primo
tentativo di istituire un movimento di liberazione nazionale, ad opera dell’unico delegato italiano
al Congresso mondiale sulla libertà sessuale: Aldo Mieli. Il congresso si tenne in Germania dopo la
prima guerra mondiale, e fu organizzato soprattutto per merito di Magnus Hirscfeld, un medico
sessuologo ebraico, in prima linea per l’abrogazione del famoso paragrafo 175, una sezione del
codice penale tedesco che criminalizzava l’omosessualità, che raccolse le firme di importanti
intellettuali dell’epoca tra i quali Albert Einstein, Hermann Hesse, Thomas Mann, e Lev Tolsoj.
Purtroppo, l’ascesa del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori di Hitler ne impedì
l’abrogazione col tristemente noto risultato che gli omosessuali, come gli ebrei, gli zingari, i rom, i
prigionieri politici, ecc, saranno catturati e inviati nei campi di concentramento. Aldo Mieli, riuscì
per un primo periodo a portare avanti le sue battaglie nonostante l’ascesa del regime fascista,
tuttavia dovette abbandonare le sue lotte per rifugiarsi in Francia nel 1926.

Le prime associazioni LGBT iniziarono a nascere nel dopoguerra, ma soltanto dopo che la
Democrazia Cristiana perse gran parte del suo potere. Essa, infatti, aveva da sempre tentato di
bloccare qualsiasi tentativo di associazionismo omosessuale, come ad esempio la creazione della
prima rivista omosessuale “Tages” di Bernardino Del Broca. Le prime associazioni che nacquero
furono: la ROMA-1 (Rivolta Omosessuale Maschi Anarchici – prima fase) di Massimo Consoli nel
1963, che cambiò nome nel 1972 in Fronte Nazionale di Liberazione Omosessuale; il Fuori! (Fronte
Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) di Angelo Pezzana e Mario Mieli nel 1971, con sede
principale a Torino, che fondò anche un suo giornale dallo stesso nome; il CIDAMS (Centro Italiano
per la Documentazione delle Attività delle Minoranze Sessuali) nel 1973 sempre ad opera di
Massimo Consoli, che ebbe il merito di aprire ufficialmente all’interno del Partito Comunista
Italiano la cosiddetta “questione omosessuale”, ad un anno dall’assassinio di Pierpaolo Pasolini. Il
Fuori!, invece, aderisce al partito radicale, rinunciando in questo modo alla rappresentatività di
tutte le persone omosessuali italiane.

Proprio in polemica con questa scelta, Mario Mieli, teorico degli studi di genere, autore del famoso
saggio “Elementi di critica omosessuale” abbandonò l’associazione. Mario Mieli fu uno dei primi a
contestare apertamente le categorie di genere, dando anche motivo di scandalo per l’epoca. Morì
suicida nel 1983, all’età di soli 30 anni dopo un lungo periodo di depressione. Nello stesso anno
della sua morte, nel 1983 nasce a Roma l’associazione a lui dedicata, il Circolo di cultura
omosessuale Mario Mieli. L’associazione romana si trova subito a dover affrontare la delicata
questione dell’AIDS, offrendo in collaborazione con l’Ospedale Spallanzani, la possibilità di fare il
test dell’HIV. Dal 1990 è l’organizzatrice di una delle serate autofinanziate LGBT più famose della
capitale e di tutta Italia: Muccassassina.

La nascita di Arcigay, invece prende le mosse a partire da un evento di cronaca nera avvenuto a
Giarre, in Sicilia, nel 1980. Due ragazzi, Giorgio Giammona e Antonio Galatola, rispettivamente di
25 e 15 anni, vengono trovati morti, mano nella mano, uccisi con un colpo di pistola alla testa. Non
si è mai arrivati ad un colpevole nonostante le piste portassero a pensare che fossero stati uccisi su
incarico delle famiglie ed addirittura, sembra, con il benestare dei due ragazzi. Questo caso di
cronaca portò alla ribalta per la prima volta a livello nazionale la questione della discriminazione
contro le persone omosessuali. Da qui, a Palermo, nacque la prima sezione dell’Arci dedicata ai
gay, ad opera di un sacerdote apertamente omosessuale, Marco Bisceglia, e dei giovani Nichi
Vendola, Massimo Milani e Gino Campanella. Anche le donne lesbiche diedero vita al primo
collettivo lesbico siciliano “Le Papesse”. Il delitto di Giarre, viene considerato il punto di inizio del
movimento omosessuale italiano contemporaneo. Il 3 marzo 1985, all’assemblea di Bologna dei
circoli arcigay, si decise di unire i circoli in un’associazione nazionale assumendo il nome di
ArciGay, con presidente Beppe Ramina e segretario Franco Grillini. Nel 1996, dalla separazione di
Arcigay nasce Arcilesbica che, sebbene costituisca un soggetto autonomo da Arcigay, ne rimane
soggetto federato. Arcilesbica ha tra i suoi scopi anche il raggiungimento della totale parità tra i
sessi, indipendentemente dall’orientamento sessuale.

Nel corso degli anni, il movimento LGBT italiano si è distinto per la numerosità delle sue
associazioni e movimenti, tra i quali si ricordano l’A.GE.D.O. (Associazione genitori di uomini e
donne omosessuali), il MIT (Movimento identità transessuale) e Famiglie Arcobaleno (Associazione
Genitori Omosessuali). Il primo Gay Pride si svolse nel 1994 a Roma, con la partecipazione di oltre
10mila persone, mentre nel 2000 si svolse, sempre a Roma, in concomitanza del Giubileo, il World
Gay Pride con oltre 500mila persone ed infine nel 2011, ancora una volta a Roma, si svolse
l’Europride con la partecipazione di circa un milione di persone.

Identità di genere VS orientamento sessuale


E’ molto importante fare una distinzione tra identità di genere e orientamento sessuale. Si tratta
di due caratteristiche indipendenti che si sviluppano in periodi diversi. Nella maggior parte dei
casi si assume, erroneamente, che siano collegate: ad esempio sostenere che una persona
transessuale sia necessariamente gay. Uno dei motivi per cui esiste questa confusione è
strettamente collegata alla lingua italiana, infatti usiamo spesso la stessa parola "sesso" per
riferirci sia al genere di una persona che alla sua sessualità.

Quando un bambino nasce gli viene assegnato un sesso – maschio, M, o femmina, F – in base ai
suoi organi genitali esterni, cioè pene e testicoli da un lato, vulva dall’altro. Un tempo  con “sesso”
si indicavano anche altre qualità di una persona, attinenti al suo comportamento e non solo alla
forma del suo corpo. Poi a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta la ricerca psichiatrica,
sociologica e antropologica americana ha cominciato a usare il termine “genere” per distinguere i
due aspetti.

IDENTITA’ DI GENERE: La formazione dell'identità di genere è uno dei primi fattori di


identificazione del sé per un bambino, e di solito è presente nella maggior parte dei bambini tra i 3
e i 4 anni. Il modo in cui ci identifichiamo non è in alcun modo collegato alla sessualità. L'identità di
genere viene definita come il modo in cui gli individui percepiscono se stessi e si definiscono
come maschi, come femmine, come un mix di entrambi, o come nessuna di queste cose.

Inoltre, il modo di percepirsi non necessariamente coincide con il sesso biologico assegnato alla
nascita. Per esempio, una persona transgender potrebbe identificarsi con genere donna pur
essendo nato con le caratteristiche anatomiche di un maschio. Il modo in cui invece una persona
comunica la propria identità di genere (attraverso i vestiti, il comportamento, la voce, le
caratteristiche del corpo) si definisce espressione di genere. L'espressione di genere di una
persona potrebbe non conformarsi alle aspettative sociali di mascolinità o femminilità.

Quando parliamo di genere non conforme ci riferiamo a persone la cui espressione di genere è
diversa dalle convenzionali aspettative di mascolinità o femminilità. Tuttavia, non tutte le persone
"genere non conforme" si identificano come transgender e non tutte le persone transgender si
identificano come genere non conforme.

L’esperienza interiore di tale costruzione è definibile come identità di genere. Secondo una celebre
definizione della filosofa americana Judith Butler:

Il genere è una copia di cui non esiste l’originale.

Ciascun essere umano, in qualsiasi contesto socio-culturale sia inserito, riceve una serie indicazioni
(implicite, esplicite, più o meno rigide) su cosa appartenga al genere maschile e cosa a quello
femminile, e vi si relaziona in cerca di somiglianze e differenze con ciò che sente.

La disforia di genere si riferisce al disagio affettivo e cognitivo in relazione al genere che ci viene
assegnato e consiste in una condizione di scollamento tra sesso (o genere assegnato alla nascita) e
identità di genere: riguarda tutte le persone che sentono di appartenere a un genere diverso
rispetto a quello che l’anatomia assegna loro, oppure che non sentono di appartenere del tutto né
al genere femminile né a quello maschile, o la cui identità di genere è fluida, oscillando nel tempo
tra il femminile e il maschile. Il genere espresso da una persona va oltre a quanto ci viene
assegnato alla nascita. L’identità di genere infatti è qualcosa di più ampio rispetto alle semplici
caselline M o F da barrare su un certificato di nascita o su qualsiasi altro documento e può
comprendere alternative che vanno al di là degli stereotipi binari (M o F). Anche se non c’è un
parere unanime da parte della comunità scientifica internazionale, possiamo pensare a uno
“spettro” che collega i due estremi del genere maschile e del genere femminile.

Veniamo dunque ad approfondire la questione dello “spettro di genere”: dovremo familiarizzare


con molte parole inglesi, che non hanno ancora una traduzione in italiano.

Cisgender indica la condizione di uomini e donne che si riconoscono nel genere corrispondente al


loro sesso biologico (in altre parole: ho la vagina e mi sento una femmina, oppure ho il pene e mi
sento un maschio).

Transgender è un termine “ombrello”, indica la persona che non segue aspettative, ruoli,
atteggiamenti legati al genere assegnato alla nascita.

Transessuale non è uguale a transgender, ma indica quelle persone transgender che – non


identificandosi con il proprio sesso biologico – hanno iniziato un percorso di trattamento per
modificare il proprio corpo verso il genere in cui si riconoscono.

Genere non binario è invece il termine adottato da chi non riconosce la costruzione binaria del
genere, ovvero l’idea che esistano solo il genere femminile e quello maschile; in questa definizione
rientrano sia le persone genderqueer, che si identificano in un mix personale dei due generi, sia le
persone genderfluid, la cui identità di genere è fluida e oscilla tra il maschile e il femminile.

Agender indica invece le persone che rifiutano di identificarsi in un genere.


Da un punto di vista biologico, esiste anche la condizione dell’intersessualità, che riguarda quelle
persone i cui cromosomi sessuali, ormoni o organi genitali non sono esclusivamente maschili o
femminili.

ORIENTAMENTO SESSUALE : Quando parliamo di orientamento sessuale, invece, facciamo


riferimento all'attrazione sessuale verso altre persone. In poche parole, è con chi siamo interessati
ad uscire, con chi vogliamo stare, con chi vorremmo andare a letto. È solo con la pubertà che le
persone cominciano a provare dei sentimenti di attrazione verso altre persone. Questi sentimenti
possono essere diretti verso individui dello stesso genere, del genere opposto, di entrambi i
generi, o nessuno di questi. È l'adolescenza, dunque, il periodo in cui un individuo comincia a
comprendere il suo orientamento sessuale ed in questo caso possiamo parlare di sessualità.

Il nostro orientamento sessuale può essere fluido come l'identità di genere. Esso si estende lungo
un continuum all'interno di un ampio spettro e può dirigersi verso maschi, femmine, per entrambi
o per nessuno, esattamente come l'identità di genere.  In questo ambito, non ci sono soltanto due
caselline da barrare, ma diverse sfumature da conoscere e rispettare. Queste sfumature sono state
studiate in particolar modo dal biologo e sessuologo statunitense Alfred Kinsey. Con i suoi studi,
alla fine degli anni Quaranta, ha introdotto un criterio di gradualità tra i diversi orientamenti
sessuali, e ha formulato una vera e propria scala, la scala Kinsey appunto, formata da sette livelli
dove lo 0 indica un orientamento esclusivamente eterosessuale, il 6 indica un orientamento
esclusivamente omosessuale, nel mezzo (3) si trova la bisessualità, e fra questi tre poli si trovano le
relative sfumature. Vediamo nel dettaglio cosa indicano le definizioni più comuni.

Eterosessuale è chi si identifica in un genere ed è attratto esclusivamente dalle persone del genere
opposto.

Omosessuale, al contrario, è chi si sente attratto dalle persone del suo stesso genere; questa
definizione include donne lesbiche e uomini gay.

Bisessuale è chi prova attrazione tanto per persone di genere maschile, quanto per persone di
genere femminile.

Pansessuale, invece, indica chi prova attrazione indipendentemente dal genere dell’altra persona,
includendo quindi anche chi ha un’identità fluida o non binaria; la diversa sfumatura di significato
tra bisessualità e pansessualità si chiarisce con l’etimologia delle due parole, perché il prefisso “bi”
significa “due” e in questo caso è un riferimento ai due generi, maschile e femminile, mentre
“pan” significa “tutto” e rappresenta meglio la pluralità di identità a cui si riferisce il termine
pansessuale.

Asessuale, infine, è chi non prova attrazione sessuale di alcun tipo, né per le persone del genere
opposto né per quelle del proprio stesso genere, pur essendo capace di provare sentimenti
profondi e di stabilire relazioni importanti.
L’orientamento sessuale non è un’etichetta che dobbiamo metterci in fronte da ragazzi e portare
per il resto della vita, ma è piuttosto una condizione fluida che può cambiare – poco o tanto – nel
corso degli anni, anche in età adulta. Molte ricerche psicologiche e scientifiche dimostrano infatti
che non è raro avere un orientamento sessuale fluido, e non c’è assolutamente niente di male.
La fluidità sessuale si manifesta sia nei maschi che nelle femmine, perché la capacità di modificare
le proprie tendenze sessuali è innata nell’essere umano, ma stando alle statistiche sono le donne a
essere più aperte e disponibili ad accogliere questi cambiamenti. Lo stesso Kinsey riteneva che il
“punteggio” di una persona nella sua scala potesse variare, anche significativamente, nel corso
della vita. Può essere un’esperienza destabilizzante, non è mai facile mettere in discussione la
propria identità, ma è qualcosa che non dovrebbe spaventare.

Il concetto di fluidità e di "spettro" è stato difficile da accettare dalla società occidentale rispetto
all'orientamento sessuale e l'identità di genere. Per semplificare si è scelto di fare categorizzazioni
(maschio, femmina, etero, gay ). Forse è un nostro modo per dare significato a cose che non
capiamo a fondo. Tuttavia, molte persone potrebbero sostenere che sapere chi sei e scoprire di chi
potresti innamorarti sono entrambe caratteristiche molto personali e molto complicate, ed è
proprio questa complessità e diversità che rendono la nostra società meravigliosa.

TRANSGENDER, TRANSESSUALE, TRAVESTITO E DRAGQUEEN


Che differenza c'è tra transgender e transessuale? La transessualità è la condizione di chi non si
riconosce nel genere (maschile o femminile) che corrisponde alla sua identità sessuale di nascita, e
che per questo può decidere di trasformare il proprio corpo con interventi medici.
Il transgenderismo, invece, è un movimento culturale, nato negli Usa negli anni ’80, per il quale
non esistono due soli generi: ogni individuo può collocarsi lungo un continuum che va da maschio
a femmina.

Si può definire transgender (trans: oltre, al di là, e gender: genere) chiunque non si riconosca nello
stereotipo maschile o femminile: tuttavia, in ambito psicologico, medico e legale il termine viene
usato per indicare un transessuale non operato ai genitali.

TRAVESTIMENTI. Il travestitismo (trans-vestito, cioè al di là del vestito) è l’abitudine di assumere


un aspetto tipico del sesso opposto. È un errore considerarlo sinonimo di transessualità: i travestiti
possono essere omosessuali, ma anche etero che usano il travestimento per vivere un aspetto
secondario della loro personalità. Le drag queen, invece, sono uomini che si travestono da donna
per fini di intrattenimento, così come i drag king: donne che si esibiscono in abiti maschili.

COMING OUT E OUTING


Il coming out è un momento unico, spesso difficile, ma necessario nella vita delle persone LGBT+.
Seppur possa provocare molta ansia, questo processo aiuta a distruggere i pregiudizi e
rappresenta, quindi, una sfida sociale, che può solo portare benefici a sé stessi ed alla comunità in
cui si vive. Tuttavia non è raro che venga posta la seguente domanda: “Ma che bisogno c’è di fare
coming out e affermare con chi si va a letto?”.

Proprio qui si trova il nodo che vogliamo sciogliere: non si tratta semplicemente di raccontare le
proprie avventure sessuali, ma di dire con forza e coraggio che si ama una persona. C’è, quindi,
tutto l’aspetto dell’affettività, che spesso non viene tenuto in considerazione. Per poca conoscenza
e, il più delle volte, per colpa di quel sistema di credenze e stereotipi che mantiene giustificabile la
discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale.

il Coming Out Day. Per spiegare il senso di questa giornata possiamo prendere in prestito le parole
di  Robert Eichberg, lo psicologo del New Mexico che con l’attivista Jean O’Leary dall’11 di ottobre
1988 decise di celebrare con una ricorrenza annuale il coming out, ovvero la decisione di
dichiarare apertamente il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere. “Molte
persone - scriveva - pensano di non conoscere nessun gay o nessuna lesbica, ma in realtà tutti ne
conoscono almeno uno/a. È un imperativo morale che noi veniamo allo scoperto e lasciamo che le
persone sappiano chi siamo, distruggendo paure e stereotipi”.

Questa data fu scelta perché si trattava del primo anniversario della seconda marcia nazionale su
Washington per i diritti delle persone LGBT, una delle più partecipate in assoluto nella storia degli
USA, con circa 200 mila persone in corteo. Ma solo a partire dal 1990 il Coming Out Day coinvolse
tutto il Nord America, grazie in particolare al grande contributo di Human Rights Campaign, la più
grande associazione LGBT+ degli USA. Negli anni successivi hanno aderito al Coming Out Day molti
Paesi in tutto il mondo: dall’Australia alla Polonia, dalla Svizzera al Regno Unito.
E l’Italia? Nel nostro Paese manca ancora un’adesione istituzionale al National Coming Out Day.
Tuttavia, ogni anno sono moltissimi gli eventi organizzati dalle associazioni LGBT e ultimamente
anche da alcuni comuni italiani tra cui Torino e Varese.

Il termine outing, seppur in Italia sia più diffuso del primo, non è un sinonimo del termine coming
out. Quante volte abbiamo sentito dire in televisione e sui giornali che quel personaggio famoso
ha fatto “outing”? Purtroppo tante. Si tratta di un errore talmente diffuso - utilizzato spesso anche
da esperti della comunicazione - che, ormai, è diventato praticamente incorreggibile.

L’espressione idiomatica fare outing (a qualcuno) viene utilizzata in quelle situazioni in cui


l’omosessualità di una persona viene letteralmente spiattellata ai quattro venti da qualcun altro,
senza il consenso dell’interessato. Fare outing, quindi, è una pratica poco rispettosa del percorso
di una persona che abbia iniziato a prendere coscienza del proprio orientamento sessuale o della
propria identità di genere e voglia dichiararsi all’esterno. Fare outing a qualcuno è qualcosa di
estremamente dannoso per l’altra persona: può essere la causa di un licenziamento, ma può
mettere anche in pericolo la vita di chi subisce questa violazione della privacy.

È fondamentale, quindi, conoscere questa importante differenza di significato tra i due termini,
così da evitare brutte figure.

Un caso recente di outing, in Italia, è quello di Albano Carrisi che, pochi anni fa, ha pubblicamente
dichiarato l’omosessualità di Paolo Limiti, in un programma che andò in onda su Rai Uno.
Per ben comprendere il significato del termine outing e l’uso improprio che spesso se ne fa
scambiandolo con coming out, anche se in realtà non sono sinonimi, possiamo considerare una
dichiarazione che Beppe Grillo ha affidato a un post del suo blog (15 luglio 2012), in tema di diritti
civili.

LE UNIONI CIVILI
Era il 5 giugno 2016 quando la legge sulle unioni civili è entrata in vigore in Italia con la firma del
presidente Mattarella. Le più ottimistiche previsioni parlavano di settembre ma tutto l’iter fu
inaspettatamente velocissimo. Nei primi due anni sono state 14mila le persone che sono andate in
comune a unirsi civilmente, mentre la senatrice Monica Cirinnà che firmò per prima la legge si
batte ancora perché un giorno vengano convertite in matrimoni egualitari, come in molti altri
paesi europei e come negli Stati Uniti. Pochi sanno che la storia di questa legge ha compiuto 30
anni di cammino attraverso varie denominazioni chiamate Pacs, Dico e così via, un lungo viaggio
con tanti protagonisti, di cui uno è Franco Grillini, detentore di un bel numero di primati nella
comunità gay italiana. Grillini è, infatti, uno dei fondatori storici del circolo gay Cassero di Bologna,
è stato il primo leader dell’Arcigay e anche il primo deputato gay ufficialmente riconosciuto.
Nessuno è più qualificato di lui per raccontarci questa storia a lieto fine con to be continued , dato
che in molti paesi il matrimonio gay o egualitario ha poi fatto seguito alle unioni civili, e a spiegarci
perché proprio quella volta andò bene, solleciti dell'Unione Europea a parte. «La legge sulle unioni
civili di Monica Cirinnà ha finalmente garantito tutti i diritti pratici alle coppie omosessuali, e nuovi
diritti a quelle etero», premette subito. «Ma soprattutto, ha sfondato quella cappa di piombo che
impediva all’Italia la modernizzazione del Paese».

Partiamo dagli albori?


La prima proposta di legge venne presentata nel 1986 su sollecitazione mia e dell’Arcigay e
dall’interparlamentare delle donne comuniste. Nel progetto di legge non venivano citate
apertamente le coppie omosessuali, e solo 10 anni più tardi ho scoperto che è anche stata
presentata a mia insaputa, senza esito. Quello che ha un certo valore risale invece al 1988, a opera
di Agata Alma Cappiello, scomparsa nel 2006. Con Alma, che era del Psi, avevo avuto un lungo e
importante colloquio durante un incontro con il suo partito e Claudio Martelli, che le affidò la
proposta. Lei la presentò con la dicitura "rapporti fra persone". La parola omosessuale qui non
compare ancora, né l’espressione "dello stesso sesso": ma nel momento in cui qualcosa non si
specifica, per regola è sottintesa. Per capire i tempi, tenete conto che per questa semplice
presentazione di legge papa Wojtyla si oppose all'onorevole Cappiello per due volte, durante
l’Angelus.

Cosa è successo, poi?


La proposta arrivò in Commissione Giustizia ma nessuno ne chiese mai la calendarizzazione. Non
oltrepassò mai quella fase. Perché? Non si sa. Dopodiché seguirono le due mezze legislature di
Tangentopoli. Nel 1994 vengono presentate 14 proposte di legge sul riconoscimento delle
convivenze, ma nessuna passa la soglia dell’assegnazione in Commissione Giustizia. Non verranno
mai discusse. Arriva il 1996 e il centro sinistra vince le elezioni. Si presentano 20 proposte di legge
sulle convivenze, tra camera e senato. Anche di queste, nessuna passa la soglia in Commissione
Giustizia. Un paese cattolico che non ne ha il coraggio? Può essere. Più banalmente, un’altra
ipotesi tecnica è la mancanza dei numeri per farle poi passare. Nel 1996, un voto per le coppie di
fatto avrebbe spaccato la maggioranza e i numeri sarebbero stati insufficienti. Oggi ci si può
chiedere: valeva la pena di provarci lo stesso e aprire il fronte? Secondo me sì, perché avremmo
accelerato il processo. Sono tantissime le leggi, in generale, per cui si è tentato e sono passate in
seguito.

A quel punto, Franco Grillini arriva in parlamento...


... e raccolgo subito le firme sul Patto Civile di Solidarietà, il famoso Pacs. L’ho presento
esattamente il 21 ottobre 2002, il giorno in cui Alessio De Giorgi, che ora lavora a Palazzo Chigi, e
Christian Panicucci, hanno celebrato all’ambasciata di Francia il primo Pacs fra italiani suscitando
molto scalpore. Ricordate, sui Tg, il loro arrivo in una carrozza infiorata? A questo punto, quando
presenti un progetto di legge con tutte le firme, deve essere accolto dal servizio assemblea della
Camera dei Deputati, il quale lo assegna a una commissione. In questo caso fu assegnato alla
Commissione Giustizia, che si occupa del diritto di famiglia. E si entra nella fase in cui solo un
capogruppo può chiederne la calendarizzazione; non può farlo un singolo parlamentare, altrimenti
l’avrei chiesta io. Finché un capogruppo, che può essere un capogruppo di commissione giustizia o
un capogruppo dell’aula, non ne chiede la discussione, la discussione non si fa. Il Pacs era stato
firmato da 161 parlamentari, una delle leggi più firmate nella storia della repubblica sull’onda
dell’approvazione del Pacs in Francia, con il primo ministro Lionel Jospin. La votano tutti: Massimo
D’Alema, Piero Fassino, Walter Veltroni, Anna Finocchiaro, Luciano Violante, tutti. Ma non si riesce
a metterla all’ordine del giorno. Inizio a tormentare Violante, tormento Fassino. Sono sempre
stato un autentico talento come rompiscatole, detengo il copyright sulle tecniche dello sfinimento.
A un certo punto cambia il capogruppo in Commissione Giustizia e gli subentra Anna Finocchiaro.
Siamo a settembre 2005, tre anni dopo. La legislatura sta per terminare e rischiamo di aver fatto
tutta questa baraonda per poi non metterla nemmeno all’ordine del giorno. A quel punto Anna
Finocchiaro decide di fare un "atto di imperio", ovvero una forzatura: si presenta alla riunione dei
capogruppo della commissione e chiede la calendarizzazione. E quindi, per la prima volta viene
messa all’ordine del giorno. Anna Finocchiaro era l’unica a poter fare questo atto, senza il placet
del segretario. È uno shock. Il Vaticano protesta, ma intanto il ghiaccio è rotto. Forse senza questa
forzatura non saremmo arrivati al successo di oggi. Si era ormai messo in chiaro che si poteva
discutere una legge di questo tipo, che poteva arrivare in commissione, che si poteva nominare un
relatore. Che chiesi di non essere io perché volevo le mani libere.

E poi ci furono le nuove elezioni politiche, nel 2006.


Vengo rieletto e mi precipito a ripresentare il Pacs e chiedo disperatamente al capogruppo
Franceschini alla Camera di poterla mettere immediatamente all’ordine del giorno. Invece viene
mandata al Senato. Con i disastri che ne sono derivati, e le trasformazioni in Dico e Cus, i contratti
di unione solidale, e il naufragio. Franceschini ha poi ammesso che avremmo dovuto cominciare
alla Camera. Ma nessuno al tempo avrebbe pronunciato le parole di Renzi: «Ho giurato sulla
costituzione, non sul Vangelo».

Cosa è cambiato, quindi da allora?


In Italia era più forte la cultura del "si fa ma non si dice", "vizi privati, pubbliche virtù", "fai quello
che vuoi nella vita privata ma non rivendicarlo nella vita pubblica", che ora è stata spazzata via
ulteriormente perché le leggi producono anche degli stravolgimenti culturali, non solo dei cambi
del codice civile. È una mia opinione personale che Renzi abbia capito come sul terreno dei diritti
civili si possa dare un contributo alla modernizzazione del paese. Si è circondato di collaboratori
gay, e negli ultimi 20 giorni è anche successo qualcosa sottovalutato dai media, ma che è
importante per la comunità lgbt: le deleghe alle Pari Opportunità alla ministra Boschi. Così non c’è
più solo il Ministero della Famiglia, esiste un referente per la parità uomo/donna, per le politiche
di genere, e contro la discriminazione per la collettività lgbt. Significa l’attuazione dell’articolo 3
della Costituzione sull’eguaglianza formale dei cittadini. E la tempistica non è casuale: ora che
inizieranno a celebrarsi i primi riti ci sarà un profondo coinvolgimento nelle comunità locali, nelle
famiglie, fra gli amici delle coppie, e anche qualche reazione violenta. Era necessario avere un
referente per difendersi. Inoltre, la Chiesa non è più un monolite. Papa Francesco è una scelta
opposta al passato. E infatti, come avrete notato, non ha speso una parola contro le unioni civili.
Bergoglio non entra a gamba tesa nella politica: si occupa dei poveri, degli ultimi, dei sofferenti, un
terreno dove la Chiesa ha possibilità di recuperare un’autorevolezza e un ruolo minati dagli
scandali. Io la vedo così. Poi, cosa sia successo esattamente, perché questa situazione si sia
finalmente sbloccata, non lo sapremo mai. Ora pensiamo alle partite dei diritti civili ancora aperte:
la legge contro l’omofobia, la legge sulla fine vita, il divorzio immediato, la questione delle
adozioni. E anche il matrimonio egualitario. La battaglia è ancora lunga.
DEUMANIZZAZIONE
La deumanizzazione è una strategia di delegittimazione che esclude indi-

vidui o gruppi dall’umanità. Si tratta di una forma radi-

cale di deprezzamento e ostracismo che, nel corso della storia, ha costante-

mente accompagnato conflitti e stermini. La deumanizzazione si avvale di

strategie esplicite, che negano apertamente l’umanità dell’altro, e di strategie

sottili, che erodono in modo inconsapevole l’altrui partecipazione all’umanità;

le sue forme sono variegate e molteplici, il loro successo dipende di volta in

volta dal contesto sociale e dallo Zeitgeist.

ANIMALIZZAZIONE

Animalizzazione

La deumanizzazione animalistica nega a individui e gruppi le qualità che

sanciscono la superiorità dell’uomo sugli altri viventi. Gli individui assimilati

agli animali sono percepiti come esseri irrazionali, immaturi, privi di cultura,

istintivi, incapaci di autocontrollo. L’animalizzazione suscita in chi la subisce

sentimenti di degradazione e umiliazione; chi la mette in atto prova invece di-

sgusto e disprezzo, emozioni frequentemente collegate alla percezione di animalità.

La metafora animalistica (Figura 1) è la metafora più frequentemente im-

piegata nella storia per relegare l’altro a uno stadio subumano. L’animale è

sempre stato un punto di riferimento fondamentale nella definizione dell’i-

dentità umana; l’uomo si definisce attraverso il suo dominio sull’animale, e,

contemporaneamente, usa l’animale per giustificare la sua dominazione su al-

tri esseri umani. In Le zoo des philosophes, Le Bras-Chopard (2000) passa in

rassegna gli animali che nel corso dei secoli hanno popolato lo spazio simbo-

lico della filosofia occidentale, dividendoli in tre categorie che illustrano la

volontà di asservimento, la paura della bestialità, e il timore di perdere l’iden-

tità umana. La prima categoria raggruppa gli animali domestici, la seconda le


bestie selvagge, la terza i mostri e gli animali fantastici. I gruppi sociali di vol-

ta in volta esclusi dalla pienezza dell’umano – donne, barbari, popolo – sono

sottoposti a trattamenti che dipendono dalla percezione della loro pericolosità.

Quando sono paragonati ad animali domestici, divengono oggetto di atteg-

giamenti di paternalismo e di comportamenti di sfruttamento; quando sono

paragonati a fiere selvagge, sono considerati nocivi e quindi disprezzati, re-

pressi, sterminati, come avveniva per gli “uomini bestiali” (theriodes) del

mondo greco, combattuti mediante apposite battute di caccia.

Le forme di animalizzazione (Figure 2 e 3) impiegate nella cultura occi-

dentale sono molteplici; similarità con gli animali sono state impiegate per de-

finire i barbari nel mondo classico o le popolazioni del Nuovo Mondo, a pro-

posito delle quali gli intellettuali della corte di Carlo V discussero lungamente

se fossero uomini, homuncoli o scimmie (Stannard, 1992). Etichette simili so-

no state impiegate durante il colonialismo allo scopo di rafforzare la superiori-

tà europea, nei conflitti tra potenze per criminalizzare i nemici e, all’interno

delle nazioni, per stigmatizzare i gruppi inferiori (Jahoda, 1999; Lindqvist,

1992; Todeschini, 2007).

Gli studi psicosociali sulla deumanizzazione animalistica si sono sofferma-

ti sui suoi aspetti negativi, tralasciando le valenze positive delle metafore a-

nimali. Infatti gli animali sono stati e continuano a essere anche emblemi di

potere e punti di riferimento essenziali nella riflessione filosofica e letteraria,

che impiega diffusamente paragoni animali per parlare dell’uomo e dei suoi

problemi. Un esempio della complessità e dell’ambivalenza di tale patrimonio

è dato dalla metafora del gregge, che nel Cristianesimo ha una valenza positi-

va indicando il gruppo dei fedeli raccolti intorno al Buon Pastore (Bianchi,

2011), mentre nella pubblicistica politica ha una valenza per lo più negativa,

indicando la massa disposta a seguire acriticamente un capopopolo (Dionigi,


2011); un significato ancora diverso ha assunto quando nel discorso sulla

Shoah ha raffigurato gli ebrei andati alla morte come pecore al macello.

Demonizzazione

Le metafore sovraumane trasformano l’altro in demone, diavolo, strega, at-

tribuendogli poteri magici che ne accentuano la pericolosità e ne rendono pos-

sibile l’eliminazione. La genesi di tali rappresentazioni è nel con-

cetto di “mostro”, colui che “mostra” uno scarto dalle norme “naturali” che

regolano i rapporti tra specie animali e genere umano, scarto che può assume-

re la forma dell’eccesso, del difetto, della malformazione o dell’aggiunta aber-

rante di membra appartenenti a specie diverse. I mostri, che nel mondo antico

non erano necessariamente considerati in modo negativo, furono, in epoca

medioevale, rigettati nell’animalità. Il gigante, per esempio, era nel mondo

classico contrassegnato sostanzialmente dalla grandezza, ma diventò nei seco-

li successivi un bruto, un selvaggio, caratterizzato dalla pericolosità. Il Cri-

stianesimo trasformò il mostro nel diavolo, che divenne l’essenza del male.

Biologizzazione

Le metafore biologizzanti (ad esempio quando, gli ebrei

sono rappresentati come funghi velenosi), che trovano origine nel culto della

limpieza de sangre della Spagna cinquecentesca, hanno conosciuto un ampio

sviluppo nel corso dell’Ottocento, in parallelo con l’affermazione del razzi-

smo scientifico e del darwinismo sociale. La biologizzazione ha i suoi nuclei

concettuali nelle metafore legate alla malattia, alla protezione dell’igiene, alla

purezza, che trasformano l’altro in microbo, virus, bacillo, morbo, pestilenza,

cancro, tumore, sporcizia, inquinamento.

Dall’illuminismo in poi, la teoria dei germi ha sostituito il demonio come me-

tafora di un pericolo oscuro, da affrontare con misure drastiche, analoghe a

quelle poste in atto per far fronte a emergenze ed epidemie, come pratiche di
pulizia, eliminazione, estirpazione, disinfezione, purificazione, alle quali si

sono ispirati gli autori di tutti i genocidi dello scorso secolo.

Meccanizzazione

La meccanizzazione considera l’altro un organismo meccanico, un automa,

un robot, incapace di provare emozioni e di aprirsi agli altri. Gli individui

rappresentati attraverso metafore meccanicistiche sono giudicati indifferenti,

freddi, rigidi, privi di curiosità, immaginazione, profondità; sono considerati

macchine, che non suscitano affetto, compassione, empatia. Gli esempi più

significativi di deumanizzazione meccanicistica si riscontrano nell’universo

medico e tecnologico e nell’apparato industriale, nel quale il taylorismo ha

teorizzato la parcellizzazione della produzione e la subordinazione degli ope-

rai (Haslam, 2006).

Oggettivazione

Nell’oggettivazione l’individuo è considerato un oggetto, uno strumento,

una merce. Riflessioni fondamentali sull’oggettivazione sono state proposte

da Marx (1844) nei Manoscritti economico-filosofici, nei quali l’autore ha a-

nalizzato l’alienazione del lavoro e del lavoratore nel sistema capitalista. Pri-

ma di Marx, il concetto era stato sviluppato da Kant (1790) che, nella Fonda-

zione della metafisica dei costumi, aveva usato il termine per indicare la ridu-

zione di un essere umano a mero strumento sessuale. In anni recenti, il co-

strutto è stato approfondito dal pensiero femminista, che si è concentrato sulla

riduzione della donna a oggetto sessuale (MacKinnon, 1989, 2007; Papadaki,

2007, 2010); in tale prospettiva, l’oggettivazione indica il restringimento della

valutazione di una persona alla considerazione delle sue funzioni sessuali

«che vengono separate dal resto della sua personalità e ridotte allo stato di
mero strumento o guardate come se fossero capaci di rappresentarla nella sua

interezza» (Bartky, 1990, p. 26). Martha Nussbaum (1999) ha discusso sette

dimensioni dell’oggettivazione sessuale: la strumentalità, la negazione

dell’autonomia, l’inerzia, la fungibilità, la violabilità, l’essere di proprietà al-

trui, la negazione della soggettività.

Negli ultimi anni si è sviluppata, all’interno della psicologia sociale, una

teoria dell’oggettivazione sessuale (Fredrickson & Roberts, 1997; Fredrickson

et al., 1998) secondo la quale, quando sono oggettivate, le donne sono portate

a interiorizzare la prospettiva dell’osservatore, trattando se stesse come ogget-

ti da valutare sulla base dell’aspetto fisico. Storicamente, l’auto-oggettiva-

zione trae origine dal ruolo subordinato delle donne e dal fatto che l’attrattiva

fisica era uno dei pochi mezzi loro disponibili per acquisire potere. Essa indu-

ce però a focalizzare pensieri e comportamenti sull’aspetto fisico, sottraendoli

ad altri possibili interessi; così, se può essere stata funzionale nel passato,

quando le donne avevano poche possibilità di sottrarsi ai ruoli loro imposti,

risulta penalizzante nella società attuale (Volpato, 2013). La teoria dell’og-

gettivazione è stata corroborata da una lunga serie di lavori empirici, volti a

esaminare i legami tra auto-oggettivazione, immagine del corpo, comporta-

menti alimentari, prestazioni intellettuali (rassegne si trovano in Calogero,

Tantleff-Dunn & Thompson, 2010; Moradi & Huang, 2008). Lavori recenti

indicano l’emergere di processi di oggettivazione e auto-oggettivazione anche

in uomini, adolescenti e bambini (American Psychological Association,

2010).

Come accennato, le ricerche psicosociali si sono concentrate sull’oggetti-

vazione sessuale, mentre è stata trascurata l’incidenza del fenomeno in ambito

lavorativo; solo recentemente cominciano a essere studiati i processi di ogget-

tivazione e auto-oggettivazione di coloro che lavorano in condizioni partico-


larmente pesanti (per i primi risultati, si veda Andrighetto, Volpato & Baldis-

sarri, 2013).

Deumanizzazione per invisibilità

La deumanizzazione per invisibilità si pratica attraverso il silenzio, la di-

sattenzione, la noncuranza, il ricorso al dato statistico che annulla la salienza

dell’identità personale e sociale. Si tratta di una forma di deumanizzazione

che coniuga aspetti espliciti e aspetti sottili, dato che si basa sulla collusione

tra elementi di deumanizzazione esplicita, voluti dalle istituzioni, ed elementi

di deumanizzazione sottile, che permettono alla società civile di distogliere lo

sguardo e di non assumersi responsabilità per la deprivazione di umanità che

colpisce i meno fortunati.

Un esempio italiano: la deumanizzazione degli ebrei nelle pagine de La

difesa della razza (1938-1943)

Il 5 agosto del 1938 usciva il primo numero de La difesa della razza, rivi-

sta fascista che si era data l’obiettivo di diffondere tra gli italiani razzismo e

antisemitismo. Il periodico pubblicava articoli firmati da scienziati e intellet-

tuali in una cornice grafica aggressiva, caratterizzata da titoli sensazionalistici,

caricature, fotomontaggi (si veda, nella Figura 6, la copertina del primo nume-

ro, nella quale un gladio romano divide il simbolo della “razza romana” da

ebrei e neri, esponenti delle “razze inferiori”). I primi numeri furono contras-

segnati da tirature elevate (150.000 copie per numero), che in seguito si ridus-

sero per le restrizioni nell’uso della carta dovute alla guerra. La rivista conti-

nuò, tuttavia, a essere sostenuta e finanziata dal regime e il ministro Bottai ne

ordinò la diffusione nelle scuole di ogni ordine e grado.

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