Civica di storia
Maschilismo e femminismo :
Maschilista e femminista non sono parole equivalenti; in molti lo pensano ancora e la similitudine
delle due parole inganna, ma sono concetti molto distanti.
Il femmnismo è un movimento di rivendicazione dei diritti delle donne, le cui prime manifestazioni
sono da ricercare nel tardo illuminismo e nella rivoluzione francese; nato per raggiungere la
completa emancipazione della donna sul piano economico , giuridico e politico, auspica un
mutamento radicale della società e del rapporto uomo-donna attraverso la liberazione sessuale e
l’abolizione dei ruoli tradizionalmente attribuiti alle donne. Per quanto riguarda il femminismo e la
sua distinzione dal maschilismo è più immediato dire che cosa non sia: non è, innanzitutto, un
atteggiamento psicologico basato su alcune convinzioni. Non è cioè un comportamento basato sul
pensiero di una presunta superiorità della donna sull’uomo, né su un’idea di ruoli basata sul sesso,
quanto invece su un’analisi storica.
C’è una pericolosa e radicata ignoranza a riguardo del femminismo. Chi non ne sa nulla, di più che
il nome, può essere ingannato dalla sua somiglianza fonologica con il termine maschilismo, con cui
tuttavia non ha altro da condividere che una desinenza. Il maschilismo è una forma di sessismo che
sostiene la superiorità economica, politica e sociale dell’uomo rispetto alla donna.
Il femminismo non è il contrario. Chi è femminista non sostiene la superiorità della donna rispetto
all’uomo, ma difende la parità economica, politica e sociale dei due sessi. Parità e
non uguaglianza. Anche visivamente, uomini e donne non sono uguali. La parità vuole che, anche
essendo diversi, abbiano gli stessi diritti e la stessa dignità.
Purtroppo le incomprensioni non sono alimentate solo unidirezionalmente. C’è anche chi,
all’interno del movimento femminista, si spaccia per attivista mettendo alla luce i propri ideali
sbagliati e talvolta misandrici.
Uno dei dibattiti più recenti all’interno del movimento riguarda la proposta di modificarne il nome.
Forse se lo chiamassero egualitarismo, collegarlo al suo vero significato risulterebbe molto più
semplice, anche in assenza di qualsiasi altra conoscenza in ambito sociologico. Eppure
significherebbe ignorarne la storia, che ne costituisce la corteccia e si articola in quattro
grandi ondate.
La prima ondata comprende ogni singolo movimento precedente agli anni Sessanta: è stata
l’ondata che ha dato vita al movimento in sé. Le azioni più importanti compiute da queste donne
sono state ottenere il diritto di voto grazie alle suffragette agli inizi del Novecento. Le suffragette
continuarono ad animare anche la seconda ondata di femminismo, che si data al secondo
dopoguerra (1945 circa), combattendo ancora per il voto, il potere di decidere per il proprio corpo
(dall’abbigliamento all’aborto), e contro la dicotomia “Santa o Cortigiana”. Le femministe degli
anni Cinquanta volevano dimostrare di poter essere qualcosa di più che brave mogli dedite alla
casa e alla prole, o donne di strada, senza pudore e senza dignità.
Negli anni Sessanta iniziò la seconda ondata, iniziando a mettere in discussione tutte le
disuguaglianze fra uomini e donne nella società, concentrandosi sul porre fine alle disuguaglianze
fra sessi. In questo periodo nacquero diverse associazioni femministe e si discussero argomenti
come la pornografia, il ruolo della donna come casalinga e vennero fatte diverse manifestazioni.
Alla fine degli anni Ottanta il movimento antifemminista criticò i risultati ottenuti dal movimento
sostenendo che i nuovi equilibri sociali creati dal movimento avrebbero causato danni per
entrambi i sessi.
La terza ondata femminista inizia negli anni Novanta, con un movimento intenzionato a ottenere
un’uguaglianza fra i sessi in ogni campo e un ampliamento dei diritti anche a tutte le donne di
colore e vennero accolte anche le lesbiche. Questa ondata femminista si prese cura dell’aspetto
sessuale della vita della donna, in quanto sentiva fosse un passo importante per la liberazione di
quest’ultima. Vennero cosi intraprese campagne per l’accesso all’aborto e alla pillola
contraccettiva oltre che all’accettazione sociale della donna libera sessualmente. Della terza
ondata di femminismo, è stata protagonista la musica, con la comparsa delle prime band femminili
a svettare nelle classifiche dei generi pop (Spice Girls e Destiny’s Child) e punk rock (Bikini Kill). Le
donne non avevano bisogno degli uomini per lavorare, per guadagnare, avere successo; potevano
essere acclamate da un vasto pubblico sui palchi più ambiti del mondo. Il sesso maschile ne è
stato disorientato, fino alla conseguenza della sua demascolinizzazione.
La quarta e ultima ondata, nella quale ancora ci troviamo, inizia attorno al 2008 e sia avvale di
strumenti nuovi come i social network per diffondere le proprie idee. Nel movimento furono
incluse anche le persone transgender e gli uomini, inoltre viene dato un nuovo sguardo al sessismo
quotidiano, con progetti come il “Everyday Sexism Project”, un forum dove ogni donna può
raccontare le proprie esperienze di molestie. La storia del femminismo è molto più complessa e
ampia di quanto si possa immaginare, con lotte che ricoprono il campo musicale, letterario,
politico e anche religioso, è un viaggio lungo e tortuoso che ha cambiato il mondo per sempre.
L’attuale “quarta ondata di femminismo” vede protagoniste ancora le donne, con le donne, per le
donne, ma oggi il movimento si rivolge soprattutto al sesso maschile, invitandolo a parteciparvi.
L’appello si è concretizzato nella campagna “He for She”, presentata il 21 settembre 2014
dall’attrice britannica Emma Watson, in qualità di ambasciatrice del settore UN Women delle
Nazioni Unite. Nel suo memorabile discorso, il cui video ha ottenuto milioni di views sul web, la
Watson ha evidenziato come gli uomini rinuncino spesso a essere sé stessi perchè prede del
giudizio negativo della società verso determinati comportamenti, non a caso considerati più
“femminili”. Viene insegnato loro a mantenere un’aurea sacra di virilità a qualsiasi costo, anche a
costo di prendere la strada sbagliata, per risultare “veri maschi”, anche a costo di rinunciare a
manifestare spontaneamente le proprie emozioni, per non essere apostrofati “femminucce” dai
propri compagni.
Ma —come ha dichiarato la Watson— non è possibile cambiare il mondo se solo metà di esso si
sente invitato a partecipare alla conversazione.
Dal manifesto di He for She partono i presupposti per una futura, e si spera imminente, quinta
ondata di femminismo, la quale non vedrà più donne occuparsi di donne, o uomini occuparsi di
donne o donne occuparsi di uomini o uomini occuparsi di uomini.
Giovanna D’arco
La pulzella d’Orléans, come veniva chiamata, è una santa ed eroina francese. Nata in una famiglia
contadina agiata, trascorse l’infanzia nel contesto del sanguinoso conflitto inerente alla guerra dei
Cent’Anni, e a 17 arrivò a guidare l’esercito francese. Nel 1430 venne catturata dagli inglesi e
processata, accusata di eresia e stregoneria e assassinata sul rogo. A tredici anni, Giovanna d’Arco
comincia ad ossessionare i suoi genitori con un unico pensiero: Dio le ha imposto di combattere
per il bene, salvare la Francia e rimettere al suo posto quell’equilibrio che la Guerra dei
Cent’anni aveva compromesso. Di farle cambiare idea non c’era verso: schiaffi, punizioni e
tentativi di chiuderla in casa non servirono a nulla.
Nel 1429, appena quindicenne, la ragazza ne approfittò per scappare dica casa: c’era la possibilità
che un capitano dell’esercito da poco conosciuto la potesse portare direttamente a cospetto del
re. Così, capelli corti e pantaloni, lasciò la famiglia, il promesso fidanzato e partì a presentarsi
all’erede al trono di Francia, il futuro Carlo VII di Valois, nascosto nel frattempo nella fortezza di
Chinon. Non è difficile immaginare la faccia del futuro regnante davanti ad una ragazzina a dir
poco originale: ignorante in fatto di armi e di politica, pretendeva di essere ispirata da Dio e di
voler guidare un esercito da sola secondo le sue regole. Ma Giovanna aveva una forza non
comune e, una volta provata la sua vocazione profetica, coloro che le stavano intorno capirono
che se era proprio Dio che parlava, era forse meglio prendere la ragazzina sul serio. A Giovanna
venne allora affidata la missione più importante: liberare la citta di Orléans dall’assedio inglese. La
fine della storia la sappiamo: non solo la punzella libera Orléans ma, dopo pochi giorni, anche la
città di Paray.
Quello che forse non è ben nota è la strategia con la quale Giovanna riuscì a fare tutto ciò: un
piano militare impensabile per una donna, ma anche per un uomo. La ragazzina, infatti, si
trasforma in una vera e propria stratega. Capisce che per vincere c’è bisogno di rigore, di
passione e di fiducia in un qualche ideale. Se ci si convince di avere un Dio dalla propria parte, si
può tentare di tutto. Giovanna allora impose agli uomini che la seguivano uno stile di vita che
possiamo definire quasi monastico. Giovanna bandì le prostitute dagli accampamenti, impose il
veto su ogni violenza e saccheggio e, al contrario, introdusse momenti di preghiera davanti alla
bandiera francese e la confessione obbligatoria per ogni soldato. Questo piano non solo rese più
coeso l’esercito, ma restituì la fiducia persa negli uomini d’arme alla popolazione. Giovanna,
insieme al popolo e all’esercito, riuscì allora a realizzare qualcosa di mai visto prima.
Lei, la punzella dai capelli corti, venne accolta al suo rientro con feste trionfali. Carlo poté allora
raggiungere Reims e farsi incoronare re di Francia. Ma la vita per le donne coraggiose non è
semplice: gli inglesi colsero al balzo la possibilità di sbarazzarsi di questa giovane e il re di Francia,
da parte sua, non alzò un dito per difenderla: Giovanna aveva tra le sue piccole mani troppo
potere, ormai. Catturata dai Borgognoni, venne messa sotto processo dall’Inquisizione che la
condannò al rogo. A vent’anni, la prima donna stratega d’Europa, venne bruciata viva sulla piazza
del Mercato Vecchio a Rouen, il 30 maggio 1431.
Olympe de Gouges
La femminista rivoluzionaria che finì sulla ghigliottina
Marie Gouze – che poi avrebbe assunto lo pseudonimo di Olympe de Gouges, preso in parte dal
nome della madre – nacque nel 1748 a Montauban, cittadina nella zona dei Pirenei.
Era figlia di una famiglia della piccola borghesia di provincia, anche se già da ragazza venne a
sapere dalla madre di essere figlia naturale del poeta Jean-Jacques Lefranc, marchese di
Pompignan. Sposata ad appena 17 anni, divenne subito madre e vedova. Decise quindi di trasferirsi dalla
sorella a Parigi, per educare meglio il figlio Pierre, che sarebbe divenuto anni dopo pure generale
dell’esercito.
A Parigi entrò nel salotto dei Condorcet – lui matematico e filosofo che aveva collaborato anche
all’Enciclopedia, lei donna bella e intelligente – e si avvicinò alle posizioni politiche della borghesia
più moderna. Di quella borghesia, cioè, che chiedeva cambiamenti radicali al re.
Iniziò proprio in questi anni a scrivere per il teatro, realizzando commedie di buon successo e
spesso dedicate alle popolazioni di colore. A queste aggiunse anche il saggio Riflessioni sugli
uomini negri che, alla vigilia della rivoluzione, diede il via ad un ampio dibattito sull’abolizione della
schiavitù. Scoppiata la rivolta, aderì al club dei girondini, proponendo con insistenza il diritto di
voto alle donne.
Nel 1791 scrisse la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina che, ricalcata
sulla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, chiedeva la parità dei diritti tra
uomo e donna, l’introduzione del divorzio e di contratti tra concubini, il riconoscimento dei figli
nati fuori dal matrimonio e un sistema di protezione per le donne incinte e le madri.
Nel 1792 chiese poi di poter partecipare alla difesa del re messo sotto accusa dalla Convenzione.
Affermò infatti che «la donna ha il diritto di salire sul patibolo; ella dovrà anche avere il diritto di
salire sulla tribuna». Infine nel 1793, quando i girondini vennero messi fuorilegge dai giacobini, attaccò
Robespierre in maniera molto forte, accusandolo di mirare alla dittatura. Arrestata e condannata come
controrivoluzionaria, venne ghigliottinata nel novembre del 1793, a 45 anni.
Dopo la morte fu spesso irrisa dai capi rivoluzionari o, peggio, accusata di libertinaggio e
incapacità, con l’evidente scopo di minare la validità delle sue idee. Dimenticata per molto tempo,
si è ricominciato a studiare la sua figura negli ultimi anni tanto che nel 2007 l’esponente socialista
Ségolène Royal propose, durante la campagna elettorale contro Nicolas Sarkozy, di traslarne le
ceneri al Pantheon.
La sigla LGBTQIA+
Fin dalla fine degli anni ’80 la sigla LGBT è stata usata per riferirsi alla cosiddetta “comunità gay“.
Nel corso degli anni però questa sigla si è allungata e oggi l’acronimo LGBTQIA+ non si riferisce
soltanto al mondo gay ma a quella ancor più grande comunità di persone che non si riconoscono
negli orientamenti sessuali e nelle identità di genere considerati “tradizionali”.
Più in generale, lesbiche e gay si dicono OMOSESSUALI, cioè individui a cui piacciono persone del
loro stesso genere.
B sta per BISESSUALE, cioè una persona a cui piacciono sia uomini che donne.
Ma attenzione:
non TUTTI gli uomini e TUTTE le donne contemporaneamente
Negli ultimi anni, con la crescente attenzione verso i generi “non binari” (di cui parleremo a breve)
il significato di questa parola si è evoluto e oggi chi si definisce bisessuale intende dire che
è attratto da più di un genere.
Dalle stesse riflessioni parte un altro orientamento che ancora non ha la sua lettera nella sigla: si
tratta della PANSESSUALITÀ.
T sta per TRANSGENDER.
Una persona transgender si sente di un genere diverso rispetto a quello che le è stato dato alla
nascita.
Il modo giusto per parlare di queste persone è dire il genere in cui si riconoscono seguito dalla
parola “trans”.
Molte persone transgender però preferiscono essere indicate solo col genere in cui si
riconoscono.
In ogni caso, per essere sicuri al 100% di non sbagliare, la cosa migliore è chiedere alla persona in
questione come preferisca essere chiamata.
Non tutte le persone trans sentono il bisogno di modificare il loro aspetto per stare bene
con loro stesse.
Chi lo fa di solito soffre di “DISFORIA DI GENERE”, cioè un disagio così forte verso il proprio corpo
che può essere alleviato solo con interventi medici.
Il transgenderismo si riferisce solo all’identità di genere. Perciò una persona trans può
essere eterosessuale, omosessuale o avere qualunque altro orientamento.
La lettera Q indica anche le persone QUESTIONING, cioè che sono ancora alla ricerca di chi sono e
di cosa piace loro.
I sta per INTERSESSUALE.
Una persona intersessuale è una persona che ha caratteristiche sessuali diverse da quelle che
sono considerate di solito maschili o femminili, sia a livello di cromosomi che
di ormoni, apparati, genitali e altro.
L’intersessualità è una categoria ampia che comprende più casi diversi, come per esempio:
Persone con un solo cromosoma sessuale X presente e/o del tutto funzionante, situazione
chiamata Sindrome di Turner
Persone che hanno più di due cromosomi sessuali, come nel caso di chi ha il trio XXY,
situazione chiamata Sindrome di Klinefelter
Persone che da fuori sembrano donne ma che hanno i cromosomi sessuali maschili XY,
situazione dovuta alla Sindrome da Insensibilità agli Androgeni (o Sindrome di Morris),
cioè alla difficoltà dei tessuti di queste persone di recepire gli ormoni maschili
Persone che hanno le gonadi, ovvero le ghiandole sessuali, fatte sia di tessuto ovarico che
testicolare, cioè sia delle ovaie femminili che dei testicoli maschili.
In passato questa condizione veniva chiamata “ermafroditismo”, soprattutto se era visibile
dall’esterno, ma il termine medico corretto è “ovotestis“.
L’intersessualità è molto più diffusa di quanto si immagini, infatti pensate che per esempio:
L’intersessualità è una condizione così poco conosciuta, anche tra i medici, che spesso i neonati
intersessuali subiscono interventi che non servono alla loro sopravvivenza ma solo a farli
assomigliare di più a una donna o a un uomo. Ma questo causa loro pesanti danni fisici e
psicologici.
Infine, A sta per ASESSUALE.
Una persona asessuale non prova attrazione sessuale verso nessun genere. Detto in parole molto
semplici, è una persona che non prova la voglia di fare sesso.
È la stessa differenza che c’è tra una persona a dieta e una a cui non piacciono i dolci: se sei a
dieta, fai una fatica enorme a non comprare la cioccolata al supermercato, invece se non ti
piacciono i dolci non sai neanche quale sia lo scaffale della cioccolata.
Quindi a una persona asessuale NON manca il sesso, proprio come alla persona a cui non
piacciono i dolci non manca la Nutella. E nessuna delle due è “malata”.
Anche per l’asessualità esistono diversi tipi, in base al rapporto col romanticismo e col sesso.
Infatti si parla più precisamente di “spettro” dell’asessualità.
Una persona asessuale può volere una relazione stabile, oppure no.
Può essere schifata dall’idea del sesso, oppure farlo con piacere con la persona di cui è
innamorata.
Un asessuale infatti può fare sesso e provare piacere, solo che probabilmente non sarà lui o lei a
fare il primo passo.
C’è chi non sente il bisogno di usarle, chi le trova utili per capirsi meglio e perfino chi si comporta
in un modo ma si descrive con un altro!
All’epoca la polizia usava ogni pretesto possibile per giustificare un arresto a causa di atti
indecenti compiuti dalle persone omosessuali, tra cui: baciarsi, indossare abiti del sesso opposto o
semplicemente trovarsi nel bar al momento dell’ irruzione.
In quel giorno la polizia fece un incursione nello Stonewall Inn, uno storico gay bar del Greenwich
Village a New York solitamente frequentato dalla comunità LGBT del tempo, ma diversamente
dalle altre volte le persone all’interno del locale si ribellarono.
Prima fra tutti la transgender Sylvia Rae Rivera, che diede inizio alla rivolta lanciando una
bottiglia, alcuni dicono una scarpa, contro un poliziotto.
Presto il tumulto si accese tra la folla al grido di “Gay Power!“, i disordini continuarono anche nei
giorni seguenti dando vita ai Moti di Stonewall, facendo si che tutta la rabbia nata per come
erano stata trattata la comunità LGBT nei decenni esplodesse.
Iniziò una nuova fase militante, con la nascita di associazione che rivendicavano il diritto
alla felicità.
Dopo la fase dei Diritti Fondamentali l’attenzione del Movimento si concentrò sulla rivendicazione
dei diritti quali il riconoscimento delle coppie omosessuali e l’adozione per i gay.
E’ la bandiera arcobaleno, attualmente il simbolo più utilizzato e noto del movimento di
liberazione omosessuale.
Fu creata nel 1978 a San Francisco dall’artista Gilbert Baker, ed in origine aveva otto colori.
Per ragioni di difficoltà e costo nel reperire tutti i colori previsti le tinte si sono ridotte prima a sette
e poi alle attuali sei. I colori simboleggiano l’orgoglio gay e i diritti gay.
La bandiera arcobaleno originale nel 2015 venne acquistata dalla galleria di arte moderna MOMA
(cos’è questa nuova sigla incomprensibile? I writers si divertono a confondermi?).
Ogni colore rappresenta un aspetto del movimento: il rosa la sessualità; il rosso la vita; l’arancione
la salute; il giallo la luce del sole; il verde la natura; il turchese la magia/arte; il blu la serenità e il
viola lo spirito.
Generalmente, i moti di Stonewall del 1969, vengono identificati simbolicamente come il punto di
inizio per quello che sarà il movimento di liberazione omosessuale contemporaneo in tutto il
mondo. La rivolta prende il nome dallo storico locale Stonewall Inn, del Greenwich Village di New
York, che la comunità LGBT dell’epoca era solita frequentare. C’è da dire che le incursioni della
polizia nei locali LGBT erano una consuetudine abbastanza regolare negli USA fino agli anni ’60.
Tuttavia, il sesto distretto di New York era solito avvisare i gestori dello Stonewall Inn prima delle
retate, che avvenivano generalmente prima di sera, così da dare la possibilità in orario più tardo di
riprendere l’attività. La sera del 27 Giugno 1969, però, i gestori del locale non vennero avvisati e
dopo l’una di notte, gli ufficiali del distretto entrarono nel bar per arrestare coloro i quali erano
privi dei documenti di identità e tutte le persone vestite con abiti del sesso opposto, oltre ad alcuni
dipendenti. In verità, ci sono diverse versioni sulle modalità attraverso cui ebbe inizio la rivolta, la
più colorita delle quali vuole la donna transgender Sylvia Rivera scagliare il proprio tacco contro un
agente, dopo essere stata pungolata con un manganello. In ogni caso, presto la rivolta si accese tra
la folla, stimata in 2000 persone contro 400 poliziotti, al grido di “Gay Power!”. I disordini
proseguirono anche nei giorni seguenti, facendo emergere tutta la rabbia per il modo in cui era
stata trattata la comunità LGBT nei decenni precedenti.
A Luglio si formò il Gay Liberation Front, tra le cui prime azioni ci fu l’organizzazione di una marcia
contro la persecuzione degli omosessuali e da allora molti gay pride in tutti il mondo scelgono il
mese di giugno per commemorare i moti di Stonewell e rivendicare i propri diritti. Nel 1977,
Harvey Milk è il primo uomo dichiaratamente gay ad essere eletto consigliere comunale di San
Francisco, una delle maggiori città degli Stati Uniti. Le sue battaglie a favore di leggi per i diritti
della comunità LGBT sono note, soprattutto per quanto riguarda la sua opposizione alla
Proposition 6, la quale avrebbe previsto il licenziamento degli insegnanti dichiaratamente gay.
Purtroppo Harvey Milk viene assassinato nel 1978 insieme al sindaco, da un ex consigliere
comunale all’interno del municipio. La sera dell’omicidio, riuscì ad organizzarsi un corteo
spontaneo a lume di candela di oltre 30mila persone in memoria del consigliere.
Gli anni 80 sono gli anni in cui il movimento LGBT deve fare i conti con l’epidemia dell’AIDS.
Nell’opinione pubblica si diffuse l’idea che l’AIDS fosse correlata all’omosessualità, tant’è vero che
pochi sanno che all’inizio la sindrome era chiamata GRID, ovvero Gay-Related Immune Deficiency.
Nonostante i medici dell’epoca smentirono presto la correlazione tra AIDS e omosessualità,
purtroppo la propaganda di alcune Chiese diffuse la convinzione che la malattia fosse una
punizione di Dio per i gay. Purtroppo questa malattia fece moltissime vittime all’interno della
comunità LGBT, anche molto note, e infatti fino alle metà degli anni 90 i temi del sesso protetto e
della promozione dell’uso del preservativo per la prevenzione dell’HIV e dell’AIDS divennero
predominanti per i movimenti LGBT internazionali.
Con gli anni 2000 i movimenti LGBT di tutto il mondo iniziano a vedersi riconosciuti i diritti di
coppia. Ha infatti inizio la lunga serie di Paesi che promulgano leggi per istituire le unioni civili tra
persone dello stesso sesso, sebbene la Danimarca sia stata precorritrice dei tempi, promulgando la
legge nel 1989, mentre l’Italia ha dovuto aspettare più di 25 anni, fino al 2016.
Per quanto riguarda il caso specifico Italiano, bisogna risalire fino al 1922 per individuare il primo
tentativo di istituire un movimento di liberazione nazionale, ad opera dell’unico delegato italiano
al Congresso mondiale sulla libertà sessuale: Aldo Mieli. Il congresso si tenne in Germania dopo la
prima guerra mondiale, e fu organizzato soprattutto per merito di Magnus Hirscfeld, un medico
sessuologo ebraico, in prima linea per l’abrogazione del famoso paragrafo 175, una sezione del
codice penale tedesco che criminalizzava l’omosessualità, che raccolse le firme di importanti
intellettuali dell’epoca tra i quali Albert Einstein, Hermann Hesse, Thomas Mann, e Lev Tolsoj.
Purtroppo, l’ascesa del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori di Hitler ne impedì
l’abrogazione col tristemente noto risultato che gli omosessuali, come gli ebrei, gli zingari, i rom, i
prigionieri politici, ecc, saranno catturati e inviati nei campi di concentramento. Aldo Mieli, riuscì
per un primo periodo a portare avanti le sue battaglie nonostante l’ascesa del regime fascista,
tuttavia dovette abbandonare le sue lotte per rifugiarsi in Francia nel 1926.
Le prime associazioni LGBT iniziarono a nascere nel dopoguerra, ma soltanto dopo che la
Democrazia Cristiana perse gran parte del suo potere. Essa, infatti, aveva da sempre tentato di
bloccare qualsiasi tentativo di associazionismo omosessuale, come ad esempio la creazione della
prima rivista omosessuale “Tages” di Bernardino Del Broca. Le prime associazioni che nacquero
furono: la ROMA-1 (Rivolta Omosessuale Maschi Anarchici – prima fase) di Massimo Consoli nel
1963, che cambiò nome nel 1972 in Fronte Nazionale di Liberazione Omosessuale; il Fuori! (Fronte
Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) di Angelo Pezzana e Mario Mieli nel 1971, con sede
principale a Torino, che fondò anche un suo giornale dallo stesso nome; il CIDAMS (Centro Italiano
per la Documentazione delle Attività delle Minoranze Sessuali) nel 1973 sempre ad opera di
Massimo Consoli, che ebbe il merito di aprire ufficialmente all’interno del Partito Comunista
Italiano la cosiddetta “questione omosessuale”, ad un anno dall’assassinio di Pierpaolo Pasolini. Il
Fuori!, invece, aderisce al partito radicale, rinunciando in questo modo alla rappresentatività di
tutte le persone omosessuali italiane.
Proprio in polemica con questa scelta, Mario Mieli, teorico degli studi di genere, autore del famoso
saggio “Elementi di critica omosessuale” abbandonò l’associazione. Mario Mieli fu uno dei primi a
contestare apertamente le categorie di genere, dando anche motivo di scandalo per l’epoca. Morì
suicida nel 1983, all’età di soli 30 anni dopo un lungo periodo di depressione. Nello stesso anno
della sua morte, nel 1983 nasce a Roma l’associazione a lui dedicata, il Circolo di cultura
omosessuale Mario Mieli. L’associazione romana si trova subito a dover affrontare la delicata
questione dell’AIDS, offrendo in collaborazione con l’Ospedale Spallanzani, la possibilità di fare il
test dell’HIV. Dal 1990 è l’organizzatrice di una delle serate autofinanziate LGBT più famose della
capitale e di tutta Italia: Muccassassina.
La nascita di Arcigay, invece prende le mosse a partire da un evento di cronaca nera avvenuto a
Giarre, in Sicilia, nel 1980. Due ragazzi, Giorgio Giammona e Antonio Galatola, rispettivamente di
25 e 15 anni, vengono trovati morti, mano nella mano, uccisi con un colpo di pistola alla testa. Non
si è mai arrivati ad un colpevole nonostante le piste portassero a pensare che fossero stati uccisi su
incarico delle famiglie ed addirittura, sembra, con il benestare dei due ragazzi. Questo caso di
cronaca portò alla ribalta per la prima volta a livello nazionale la questione della discriminazione
contro le persone omosessuali. Da qui, a Palermo, nacque la prima sezione dell’Arci dedicata ai
gay, ad opera di un sacerdote apertamente omosessuale, Marco Bisceglia, e dei giovani Nichi
Vendola, Massimo Milani e Gino Campanella. Anche le donne lesbiche diedero vita al primo
collettivo lesbico siciliano “Le Papesse”. Il delitto di Giarre, viene considerato il punto di inizio del
movimento omosessuale italiano contemporaneo. Il 3 marzo 1985, all’assemblea di Bologna dei
circoli arcigay, si decise di unire i circoli in un’associazione nazionale assumendo il nome di
ArciGay, con presidente Beppe Ramina e segretario Franco Grillini. Nel 1996, dalla separazione di
Arcigay nasce Arcilesbica che, sebbene costituisca un soggetto autonomo da Arcigay, ne rimane
soggetto federato. Arcilesbica ha tra i suoi scopi anche il raggiungimento della totale parità tra i
sessi, indipendentemente dall’orientamento sessuale.
Nel corso degli anni, il movimento LGBT italiano si è distinto per la numerosità delle sue
associazioni e movimenti, tra i quali si ricordano l’A.GE.D.O. (Associazione genitori di uomini e
donne omosessuali), il MIT (Movimento identità transessuale) e Famiglie Arcobaleno (Associazione
Genitori Omosessuali). Il primo Gay Pride si svolse nel 1994 a Roma, con la partecipazione di oltre
10mila persone, mentre nel 2000 si svolse, sempre a Roma, in concomitanza del Giubileo, il World
Gay Pride con oltre 500mila persone ed infine nel 2011, ancora una volta a Roma, si svolse
l’Europride con la partecipazione di circa un milione di persone.
Quando un bambino nasce gli viene assegnato un sesso – maschio, M, o femmina, F – in base ai
suoi organi genitali esterni, cioè pene e testicoli da un lato, vulva dall’altro. Un tempo con “sesso”
si indicavano anche altre qualità di una persona, attinenti al suo comportamento e non solo alla
forma del suo corpo. Poi a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta la ricerca psichiatrica,
sociologica e antropologica americana ha cominciato a usare il termine “genere” per distinguere i
due aspetti.
Inoltre, il modo di percepirsi non necessariamente coincide con il sesso biologico assegnato alla
nascita. Per esempio, una persona transgender potrebbe identificarsi con genere donna pur
essendo nato con le caratteristiche anatomiche di un maschio. Il modo in cui invece una persona
comunica la propria identità di genere (attraverso i vestiti, il comportamento, la voce, le
caratteristiche del corpo) si definisce espressione di genere. L'espressione di genere di una
persona potrebbe non conformarsi alle aspettative sociali di mascolinità o femminilità.
Quando parliamo di genere non conforme ci riferiamo a persone la cui espressione di genere è
diversa dalle convenzionali aspettative di mascolinità o femminilità. Tuttavia, non tutte le persone
"genere non conforme" si identificano come transgender e non tutte le persone transgender si
identificano come genere non conforme.
L’esperienza interiore di tale costruzione è definibile come identità di genere. Secondo una celebre
definizione della filosofa americana Judith Butler:
Ciascun essere umano, in qualsiasi contesto socio-culturale sia inserito, riceve una serie indicazioni
(implicite, esplicite, più o meno rigide) su cosa appartenga al genere maschile e cosa a quello
femminile, e vi si relaziona in cerca di somiglianze e differenze con ciò che sente.
La disforia di genere si riferisce al disagio affettivo e cognitivo in relazione al genere che ci viene
assegnato e consiste in una condizione di scollamento tra sesso (o genere assegnato alla nascita) e
identità di genere: riguarda tutte le persone che sentono di appartenere a un genere diverso
rispetto a quello che l’anatomia assegna loro, oppure che non sentono di appartenere del tutto né
al genere femminile né a quello maschile, o la cui identità di genere è fluida, oscillando nel tempo
tra il femminile e il maschile. Il genere espresso da una persona va oltre a quanto ci viene
assegnato alla nascita. L’identità di genere infatti è qualcosa di più ampio rispetto alle semplici
caselline M o F da barrare su un certificato di nascita o su qualsiasi altro documento e può
comprendere alternative che vanno al di là degli stereotipi binari (M o F). Anche se non c’è un
parere unanime da parte della comunità scientifica internazionale, possiamo pensare a uno
“spettro” che collega i due estremi del genere maschile e del genere femminile.
Transgender è un termine “ombrello”, indica la persona che non segue aspettative, ruoli,
atteggiamenti legati al genere assegnato alla nascita.
Genere non binario è invece il termine adottato da chi non riconosce la costruzione binaria del
genere, ovvero l’idea che esistano solo il genere femminile e quello maschile; in questa definizione
rientrano sia le persone genderqueer, che si identificano in un mix personale dei due generi, sia le
persone genderfluid, la cui identità di genere è fluida e oscilla tra il maschile e il femminile.
Il nostro orientamento sessuale può essere fluido come l'identità di genere. Esso si estende lungo
un continuum all'interno di un ampio spettro e può dirigersi verso maschi, femmine, per entrambi
o per nessuno, esattamente come l'identità di genere. In questo ambito, non ci sono soltanto due
caselline da barrare, ma diverse sfumature da conoscere e rispettare. Queste sfumature sono state
studiate in particolar modo dal biologo e sessuologo statunitense Alfred Kinsey. Con i suoi studi,
alla fine degli anni Quaranta, ha introdotto un criterio di gradualità tra i diversi orientamenti
sessuali, e ha formulato una vera e propria scala, la scala Kinsey appunto, formata da sette livelli
dove lo 0 indica un orientamento esclusivamente eterosessuale, il 6 indica un orientamento
esclusivamente omosessuale, nel mezzo (3) si trova la bisessualità, e fra questi tre poli si trovano le
relative sfumature. Vediamo nel dettaglio cosa indicano le definizioni più comuni.
Eterosessuale è chi si identifica in un genere ed è attratto esclusivamente dalle persone del genere
opposto.
Omosessuale, al contrario, è chi si sente attratto dalle persone del suo stesso genere; questa
definizione include donne lesbiche e uomini gay.
Bisessuale è chi prova attrazione tanto per persone di genere maschile, quanto per persone di
genere femminile.
Pansessuale, invece, indica chi prova attrazione indipendentemente dal genere dell’altra persona,
includendo quindi anche chi ha un’identità fluida o non binaria; la diversa sfumatura di significato
tra bisessualità e pansessualità si chiarisce con l’etimologia delle due parole, perché il prefisso “bi”
significa “due” e in questo caso è un riferimento ai due generi, maschile e femminile, mentre
“pan” significa “tutto” e rappresenta meglio la pluralità di identità a cui si riferisce il termine
pansessuale.
Asessuale, infine, è chi non prova attrazione sessuale di alcun tipo, né per le persone del genere
opposto né per quelle del proprio stesso genere, pur essendo capace di provare sentimenti
profondi e di stabilire relazioni importanti.
L’orientamento sessuale non è un’etichetta che dobbiamo metterci in fronte da ragazzi e portare
per il resto della vita, ma è piuttosto una condizione fluida che può cambiare – poco o tanto – nel
corso degli anni, anche in età adulta. Molte ricerche psicologiche e scientifiche dimostrano infatti
che non è raro avere un orientamento sessuale fluido, e non c’è assolutamente niente di male.
La fluidità sessuale si manifesta sia nei maschi che nelle femmine, perché la capacità di modificare
le proprie tendenze sessuali è innata nell’essere umano, ma stando alle statistiche sono le donne a
essere più aperte e disponibili ad accogliere questi cambiamenti. Lo stesso Kinsey riteneva che il
“punteggio” di una persona nella sua scala potesse variare, anche significativamente, nel corso
della vita. Può essere un’esperienza destabilizzante, non è mai facile mettere in discussione la
propria identità, ma è qualcosa che non dovrebbe spaventare.
Il concetto di fluidità e di "spettro" è stato difficile da accettare dalla società occidentale rispetto
all'orientamento sessuale e l'identità di genere. Per semplificare si è scelto di fare categorizzazioni
(maschio, femmina, etero, gay ). Forse è un nostro modo per dare significato a cose che non
capiamo a fondo. Tuttavia, molte persone potrebbero sostenere che sapere chi sei e scoprire di chi
potresti innamorarti sono entrambe caratteristiche molto personali e molto complicate, ed è
proprio questa complessità e diversità che rendono la nostra società meravigliosa.
Si può definire transgender (trans: oltre, al di là, e gender: genere) chiunque non si riconosca nello
stereotipo maschile o femminile: tuttavia, in ambito psicologico, medico e legale il termine viene
usato per indicare un transessuale non operato ai genitali.
Proprio qui si trova il nodo che vogliamo sciogliere: non si tratta semplicemente di raccontare le
proprie avventure sessuali, ma di dire con forza e coraggio che si ama una persona. C’è, quindi,
tutto l’aspetto dell’affettività, che spesso non viene tenuto in considerazione. Per poca conoscenza
e, il più delle volte, per colpa di quel sistema di credenze e stereotipi che mantiene giustificabile la
discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale.
il Coming Out Day. Per spiegare il senso di questa giornata possiamo prendere in prestito le parole
di Robert Eichberg, lo psicologo del New Mexico che con l’attivista Jean O’Leary dall’11 di ottobre
1988 decise di celebrare con una ricorrenza annuale il coming out, ovvero la decisione di
dichiarare apertamente il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere. “Molte
persone - scriveva - pensano di non conoscere nessun gay o nessuna lesbica, ma in realtà tutti ne
conoscono almeno uno/a. È un imperativo morale che noi veniamo allo scoperto e lasciamo che le
persone sappiano chi siamo, distruggendo paure e stereotipi”.
Questa data fu scelta perché si trattava del primo anniversario della seconda marcia nazionale su
Washington per i diritti delle persone LGBT, una delle più partecipate in assoluto nella storia degli
USA, con circa 200 mila persone in corteo. Ma solo a partire dal 1990 il Coming Out Day coinvolse
tutto il Nord America, grazie in particolare al grande contributo di Human Rights Campaign, la più
grande associazione LGBT+ degli USA. Negli anni successivi hanno aderito al Coming Out Day molti
Paesi in tutto il mondo: dall’Australia alla Polonia, dalla Svizzera al Regno Unito.
E l’Italia? Nel nostro Paese manca ancora un’adesione istituzionale al National Coming Out Day.
Tuttavia, ogni anno sono moltissimi gli eventi organizzati dalle associazioni LGBT e ultimamente
anche da alcuni comuni italiani tra cui Torino e Varese.
Il termine outing, seppur in Italia sia più diffuso del primo, non è un sinonimo del termine coming
out. Quante volte abbiamo sentito dire in televisione e sui giornali che quel personaggio famoso
ha fatto “outing”? Purtroppo tante. Si tratta di un errore talmente diffuso - utilizzato spesso anche
da esperti della comunicazione - che, ormai, è diventato praticamente incorreggibile.
È fondamentale, quindi, conoscere questa importante differenza di significato tra i due termini,
così da evitare brutte figure.
Un caso recente di outing, in Italia, è quello di Albano Carrisi che, pochi anni fa, ha pubblicamente
dichiarato l’omosessualità di Paolo Limiti, in un programma che andò in onda su Rai Uno.
Per ben comprendere il significato del termine outing e l’uso improprio che spesso se ne fa
scambiandolo con coming out, anche se in realtà non sono sinonimi, possiamo considerare una
dichiarazione che Beppe Grillo ha affidato a un post del suo blog (15 luglio 2012), in tema di diritti
civili.
LE UNIONI CIVILI
Era il 5 giugno 2016 quando la legge sulle unioni civili è entrata in vigore in Italia con la firma del
presidente Mattarella. Le più ottimistiche previsioni parlavano di settembre ma tutto l’iter fu
inaspettatamente velocissimo. Nei primi due anni sono state 14mila le persone che sono andate in
comune a unirsi civilmente, mentre la senatrice Monica Cirinnà che firmò per prima la legge si
batte ancora perché un giorno vengano convertite in matrimoni egualitari, come in molti altri
paesi europei e come negli Stati Uniti. Pochi sanno che la storia di questa legge ha compiuto 30
anni di cammino attraverso varie denominazioni chiamate Pacs, Dico e così via, un lungo viaggio
con tanti protagonisti, di cui uno è Franco Grillini, detentore di un bel numero di primati nella
comunità gay italiana. Grillini è, infatti, uno dei fondatori storici del circolo gay Cassero di Bologna,
è stato il primo leader dell’Arcigay e anche il primo deputato gay ufficialmente riconosciuto.
Nessuno è più qualificato di lui per raccontarci questa storia a lieto fine con to be continued , dato
che in molti paesi il matrimonio gay o egualitario ha poi fatto seguito alle unioni civili, e a spiegarci
perché proprio quella volta andò bene, solleciti dell'Unione Europea a parte. «La legge sulle unioni
civili di Monica Cirinnà ha finalmente garantito tutti i diritti pratici alle coppie omosessuali, e nuovi
diritti a quelle etero», premette subito. «Ma soprattutto, ha sfondato quella cappa di piombo che
impediva all’Italia la modernizzazione del Paese».
ANIMALIZZAZIONE
Animalizzazione
agli animali sono percepiti come esseri irrazionali, immaturi, privi di cultura,
piegata nella storia per relegare l’altro a uno stadio subumano. L’animale è
rassegna gli animali che nel corso dei secoli hanno popolato lo spazio simbo-
pressi, sterminati, come avveniva per gli “uomini bestiali” (theriodes) del
dentale sono molteplici; similarità con gli animali sono state impiegate per de-
finire i barbari nel mondo classico o le popolazioni del Nuovo Mondo, a pro-
posito delle quali gli intellettuali della corte di Carlo V discussero lungamente
nimali. Infatti gli animali sono stati e continuano a essere anche emblemi di
che impiega diffusamente paragoni animali per parlare dell’uomo e dei suoi
è dato dalla metafora del gregge, che nel Cristianesimo ha una valenza positi-
2011), mentre nella pubblicistica politica ha una valenza per lo più negativa,
Shoah ha raffigurato gli ebrei andati alla morte come pecore al macello.
Demonizzazione
cetto di “mostro”, colui che “mostra” uno scarto dalle norme “naturali” che
regolano i rapporti tra specie animali e genere umano, scarto che può assume-
rante di membra appartenenti a specie diverse. I mostri, che nel mondo antico
stianesimo trasformò il mostro nel diavolo, che divenne l’essenza del male.
Biologizzazione
sono rappresentati come funghi velenosi), che trovano origine nel culto della
concettuali nelle metafore legate alla malattia, alla protezione dell’igiene, alla
quelle poste in atto per far fronte a emergenze ed epidemie, come pratiche di
pulizia, eliminazione, estirpazione, disinfezione, purificazione, alle quali si
Meccanizzazione
macchine, che non suscitano affetto, compassione, empatia. Gli esempi più
Oggettivazione
nalizzato l’alienazione del lavoro e del lavoratore nel sistema capitalista. Pri-
ma di Marx, il concetto era stato sviluppato da Kant (1790) che, nella Fonda-
zione della metafisica dei costumi, aveva usato il termine per indicare la ridu-
«che vengono separate dal resto della sua personalità e ridotte allo stato di
mero strumento o guardate come se fossero capaci di rappresentarla nella sua
et al., 1998) secondo la quale, quando sono oggettivate, le donne sono portate
zione trae origine dal ruolo subordinato delle donne e dal fatto che l’attrattiva
fisica era uno dei pochi mezzi loro disponibili per acquisire potere. Essa indu-
ad altri possibili interessi; così, se può essere stata funzionale nel passato,
Tantleff-Dunn & Thompson, 2010; Moradi & Huang, 2008). Lavori recenti
2010).
sarri, 2013).
che coniuga aspetti espliciti e aspetti sottili, dato che si basa sulla collusione
Il 5 agosto del 1938 usciva il primo numero de La difesa della razza, rivi-
sta fascista che si era data l’obiettivo di diffondere tra gli italiani razzismo e
caricature, fotomontaggi (si veda, nella Figura 6, la copertina del primo nume-
ro, nella quale un gladio romano divide il simbolo della “razza romana” da
ebrei e neri, esponenti delle “razze inferiori”). I primi numeri furono contras-
segnati da tirature elevate (150.000 copie per numero), che in seguito si ridus-
sero per le restrizioni nell’uso della carta dovute alla guerra. La rivista conti-