TESI DI LAUREA
CAPITOLO 1.................................................................................................................................. 4
L'IDENTITÀ LGBT………………………………………………………………………………….4
CAPITOLO 2………………………………………………………………………………………...9
2.5 Uno sguardo ai bisogni socio-sanitari lungo il ciclo di vita: adolescenti e anziani LGBT .... 27
CAPITOLO 3……………………………………………………………………………………….32
3.1 Esempi di linee guida e indicazioni per le buone pratiche per i professionisti socio-sanitari . 34
3.1.1 Le linee guida per la consulenza nell’ambito della Salute Mentale ................................ 34
3.1.2 Buone pratiche nel lavoro socio-sanitario con le persone LGB: l’esempio dell’Irish
Association of Social Workers ............................................................................................... 37
3.2 Le indicazioni del Social Care Istitute for Excellence (SCIE) per il lavoro con gli utenti
LGBT ....................................................................................................................................... 41
3.3 Il progetto Europeo Health4LGBTI per ridurre le disuguaglianze delle persone LGBTI in
ambito socio-sanitario ............................................................................................................... 45
3.4 Analisi delle tematiche LGBT-correlate nelle riviste Europee di Social Work ....................... 49
CONCLUSIONI…………………………………………………………………………………….53
BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………………………57
SITOGRAFIA............................................................................................................................... 62
RINGRAZIAMENTI .................................................................................................................... 64
INTRODUZIONE
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di
sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E`
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di
fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del
Paese.”1. Con questo articolo della Costituzione lo Stato si impegna a proteggere i cittadini e a
sancire il ruolo dell’eguaglianza come valore fondamentale per una comunità . Nonostante esistano
norme e valori legati all’eguaglianza, la società è comunque permeata da fattori che alimentano
comportamenti ed atteggiamenti discriminatori nei confronti di determinati gruppi sociali, i quali si
caratterizzano per determinati fattori, tra i quali l’età, disabilità, etnia, religione, genere ed
orientamento sessuale. È proprio riguardo la categoria sociale LGBT che si concentrerà l’elaborato
di tesi.
Affrontare questa tematica significa, innanzitutto far luce sul significato dei termini che rientrano
nell’acronimo LGBT, e dei concetti di orientamento sessuale e identità di genere, così da
riconoscere le sfumature dell’identità sessuale. L’elaborato è quindi finalizzato a descrivere i
fenomeni discriminatori, i pregiudizi e lo stress a cui possono essere soggette le persone gay,
lesbiche, bisessuali e transessuali. Il secondo obiettivo è quello di identificare e descrivere esempi
1
Articolo 3 della Costituzione Italiana.
1
nazionali e internazionali di buone pratiche per migliorare la presa in carico dell’utente LGBT e
approfondire quali competenze dovrebbero essere sviluppate nella relazione d’aiuto con questa
utenza. Ogni capitolo verte sull’importanza che rivestono la conoscenza e la comprensione di questi
fenomeni sociali da parte dei professionisti socio-sanitari, per la progettazione di interventi di aiuto
più mirati, inclusivi e rispettosi nei confronti degli utenti LGBT.
Per concludere, il terzo capitolo comprende l’analisi di aspetti più concreti legati al lavoro dei
professionisti socio-sanitari, tra cui la professione dell’assistente sociale. Il primo paragrafo prende
in esame un esempio di linee guida nazionali da applicare nel lavoro professionale nell’ambito della
salute mentale: “Linee Guida per la consulenza psicologica e la psicoterapia con persone lesbiche,
gay e bisessuali” di Lingiardi e Nardelli. Nello stesso paragrafo vengono quindi approfonditi altri
esempi di guide, prodotte a livello internazionale, specifiche per l’assistente sociale:“Lesbian, gay
& bisexual people: a guide to good practice for social workers” di Irish Association of Social
Workers (IASW) e le indicazioni “Implications for lesbian, gay, bisexual and transgender (LGBT)
2
people” stilate da Social Care Institute for Excellence (SCIE). Oltre a descrivere questi documenti,
la trattazione si concentra anche sul concetto di competenza culturale, che racchiude in sé una
pratica inclusiva e competente nei confronti di tutta l’utenza appartenente a categorie minoritarie. Il
terzo capitolo prosegue dedicando un paragrafo al progetto pilota europeo Health4LGBTI, il quale
si pone come finalità la diminuzione delle diseguaglianze in ambito socio-sanitario vissute da
persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali. È stata condotta un’intervista ad un
esperto per comprendere il contributo che il progetto può dare al lavoro dell’assistente sociale.
L’ultimo paragrafo di questo capitolo, descrive i risultati della revisione di Nothdurfter e Nagy
(2015), aggiornati attraverso una ricerca personale, in merito alla presenza di contributi su
tematiche LGBT nelle riviste di Servizio Sociale. Quest'ultimo capitolo permetterà di completare e
arricchire le conoscenze teoriche con conoscenze legate alla pratica del lavoro sociale presenti nella
letteratura nazionale e internazionale.
3
CAPITOLO 1
L’IDENTITÀ LGBT
L'acronimo LGBT ha origini anglosassoni, ma è divenuto di uso comune anche nel nostro Paese per
intendere collettivamente i soggetti appartenenti alle seguenti categorie sociali (Ufficio Nazionale
Anti discriminazioni Razziali2, 2015). Di seguito vengono riportate le definizioni dei diversi termini
che compongono l’acronimo in questione, esse sono state estrapolate dal glossario internazionale di
European Region of the International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association
(ILGA) e dal documento “Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender: Una guida ai termini
politicamente corretti” (Valerio e coll, 2013):
Il termine gay è un aggettivo che indica un uomo che è sessualmente e/o emotivamente
attratto dagli uomini. Gay è a volte usato anche come termine generico per indicare le donne
lesbiche e persone bisessuali. Tuttavia, questo uso è stato contestato da un’ampia parte della
comunità LGBTI. La parola gay fu utilizzata in passato con un significato dispregiativo e
stigmatizzante, in particolare con l'intendo di voler indicare una persona “lussuriosa” e
“libertina”;
Il termine lesbica, è anch’esso un aggettivo che indica donne che sono emotivamente e
sessualmente attratte da altre donne. Il termine deriva da Lesbo, l'isola greca nella quale era
ampiamente diffusa l'omosessualità femminile. Grazie alla nascita e successiva crescita dei
movimenti per la liberazione sessuale, le donne omosessuali hanno scelto di affermare la
propria identità autonoma, anche attraverso il linguaggio, con l'intento di distinguersi
dall'omosessualità maschile, assumendo il termine “lesbiche”;
2
UNAR fa parte del Dipartimento per le Pari Opportunità, che a sua volta è inglobato nella Presidenza del
Consiglio dei Ministri. Si occupa di registrare e studiare i fenomeni di discriminazione presenti su tutto il
suolo italiano, diretti ad ogni categoria minoritaria.
4
Il termine bisessuale (aggettivo), si riferisce a tutte quelle persone che vivono relazioni
affettive e/o sessuali sia con partner del proprio sesso, che con partner del sesso opposto;
Le persone sono classificate come omosessuali sulla base del loro genere e del genere del loro
partner sessuale. Quando il genere del partner è lo stesso della persona in questione, allora la
persona è classificata come omosessuale. Si consiglia di usare i termini gay e lesbiche, in quanto
neutrali e positivi, perché il focus è posto sull'identità della persona, invece di “omosessuale”. Il
termine “omosessuale”, oggi viene percepito dalle persone LGBT come eccessivamente
medicalizzato e troppo orientato alla componente sessuale. Il termine transgender non rientra
linguisticamente nel concetto di omosessualità, perché il primo è riferito all’identità di genere
mentre il secondo riguarda l’orientamento sessuale. “Il linguaggio è un medium importante per
cogliere le sfumature del sentire sociale” (D’Ippoliti e Schultzer, 2011). Per questo molta attenzione
è posta, come vedremo anche nel capitolo terzo, all’utilizzo di un linguaggio corretto e rispettoso.
Anche nell’elaborato di tesi, si presterà particolare attenzione nell’ utilizzo dei termini corretti. A tal
proposito si riporta un esempio di come usare i termini in modo corretto (Figura 1).
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Figura 1. Esempi di termini corretti, tratto da “Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender: Una guida ai
termini politicamente corretti” del 2013 (Valerio, Amodeo, Scandurra)
Infine si sottolinea come nel documento “LGBT: Una guida per i termini politicamente corretti”
(2013) l’acronimo LGBT possa presentarsi con l'aggiunta di due lettere “I” e “Q” (LGBTIQ), con il
fine di includere la condizione intersessuale e il termine inglese “queer”. Con intersessualità si
intende una persona che nasce con i genitali e/o i caratteri sessuali secondari non definibili
esclusivamente come maschili o femminili. Ciò che spesso accumuna le persone intersessuali sono
le esperienze di medicalizzazione della loro condizione intersessuale. La lettera finale “Q” vuole
indicare il termine Queer (in inglese “strano”, “insolito”), che veniva usato in senso spregiativo nei
confronti degli omosessuali. Ripreso più recentemente in senso politico/culturale e in chiave
positiva e più ampia rispetto alle sfaccettature dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale.
Il contesto italiano si è storicamente caratterizzato per un clima di negazione rispetto alle persone
con diverso orientamento di sessuale e di genere. Proprio in ragione di questo clima il movimento
omosessuale vede uno sviluppo tardivo nel suolo italiano rispetto agli altri Paesi Europei (D'Ippoliti
e Schuster, 2011). Il movimento gay in Italia nasce degli anni '70 condividendo molte delle
caratteristiche degli altri movimenti sociali che hanno scosso la vita sociale, politica e culturale del
paese del periodo. Il consolidamento organizzativo avviene negli anni ’80 con lo sviluppo nella
seconda metà del decennio. La mobilitazione sociale delle lesbiche avviene invece soprattutto
6
all’interno del movimento femminista, mantenendo una sua separazione dal movimento
omosessuale maschile. Negli anni '90 aumenta la visibilità della comunità gay e lesbica
parallelamente ad uno spostamento a livello internazionale alla rivendicazione di un ruolo pubblico
e sociale e all’attenzione sulla tutela delle identità non eterosessuali (D'Ippoliti e Schuster, 2011).
Sono presenti anche associazioni costituite da persone transgender, ma risultano essere poco
numerose, questo perché la minoranza non gode di particolare efficacia politica proprio per una
minore visibilità comunicativa e una presenza sociale meno incisiva (Lingiardi, Nardelli, 2014).
In questi anni di profondi mutamenti socio-culturali il movimento LGBT si colloca come un unico
gruppo sociale che tenta di riunire tutte quelle persone che non si riconoscono e non si identificano
in un modello strettamente eterosessuale in senso tradizionale (UNAR, 2015). Attualmente il
movimento continua a conservare principi di tolleranza e alleanza; in particolare l'attenzione si
concentra su:
Come vedremo nel terzo capitolo spesso la letteratura usa l’acronimo LGBT in riferimento a tutta la
comunità lesbica, gay, bisessuale e transgender; ma esistono comunque delle differenze interne
nelle esperienze personali a contatto con la società e i servizi di assistenza. Sebbene l’acronimo
LGBT sia poco utilizzato nel linguaggio comune, esso è utilizzato il più delle volte correntemente
dalle organizzazioni della società civile e nel lessico delle istituzioni internazionali, europee ed
italiane che agiscono per il contrasto di discriminazioni e violenze basate su orientamento sessuale o
identità di genere (Valerio e coll. 2013). Anche nel lessico dei movimenti per i diritti civili questa
sigla ha sostituito espressioni più riduttive o parziali. Nella guida citata si fa riferimento come possa
essere utile spiegare la sigla in modo semplificato parlando di “persone omosessuali e transessuali”.
7
1.2 L’ identità sessuale e le sue componenti
Per considerare la dimensione soggettiva e personale del proprio essere sessuato, si parla di identità
sessuale. Quest’ultima può essere definita grazie alle sue quattro componenti: il sesso biologico,
l'identità di genere, il ruolo di genere e l'orientamento sessuale (Batini, 2011). Il sesso biologico è
costituito da caratteristiche sessuali biologiche, quali i cromosomi (XX o XY), i genitali esterni, le
gonadi e i caratteri sessuali secondari (peluria, seno, eccetera). Con questo termine si denota
l’appartenenza ad una categoria biologica e genetica, ovvero maschio o femmina. Nell’ambito delle
condizioni sopracitate, vi è poi la condizione di intersex.
L'identità di genere indica il senso intimo, profondo e soggettivo di appartenenza alle categorie
sociali e culturali di ”maschio/femmina”, ovvero ciò che permette ad un individuo di dire “io sono
maschio, io sono femmina”, indipendentemente dal sesso anatomico di nascita. Si tratta del
riconoscimento personale e profondo, che può essere coscio o inconscio, di appartenere ad un sesso
e di non appartenere all’altro (Valerio e coll. 2013). “La connotazione dell'identità di genere è sia
psicologica che culturale” (Batini, 2011: pag 19) ed è un concetto slegato dal sesso di nascita. E’
possibile dare una definizione di “genere”, il quale viene usato in opposizione al concetto
sopraesposto, ed indica “un processo di costruzione sociale contrapposto a un mero dato biologico”
(Taurino, 2005: pag 9).
Il ruolo di genere viene definito come l'insieme dei comportamenti, agiti all’interno delle relazioni
sociali e delle attitudini che, nell’ambito di un dato contesto socio-culturale, sono riconosciuti come
propri dei maschi e delle femmine. Con ruolo si intende l'unità elementare di un sistema sociale,
attraverso il quale definiamo le nostre relazioni e il modo di percepirci di chi ci sta attorno. E’
quindi il modo in cui una persona esprime l’adattamento alle norme condivise su ciò che è
appropriato ad un genere, su attributi e condizioni fisiche (apparenza), gesti (manierismi),
adornamenti, tratti di personalità, interazioni sociali, interessi e abitudini (Valerio e coll. 2013).
L'ultima componente dell'identità sessuale di una persona è l'orientamento sessuale, il quale indica
l'attrazione affettiva ed erotica di una persona nei confronti di altri soggetti, i quali possono essere
dello stesso genere (omosessualità), del genere opposto (eterosessualità) o di entrambi i generi
(bisessualità). Rappresenta un concetto relazionale, riguardo le relazioni intime sessuali e
romantiche sentimentali e può attualizzarsi nei comportamenti oppure no, rimanendo solo un
desiderio (UNAR, 2015). A volte viene usata come equivalente l’espressione “preferenza sessuale”
8
che invece non ha lo stesso significato ed anzi, è da evitare perché sottintende l’idea della scelta.
Questi elementi dell’identità individuale possono combinarsi in molti modi, dando luogo a
configurazioni diverse. Lo sviluppo dell'identità sessuale è un tema molto complesso, perché,
usando le parole di Batini nell'opera “Comprendere la differenza” (2011), “si tratta di un costrutto
multifattoriale composto da quattro elementi, ciascuno dei quali ha una sua complessità notevole e
si sviluppa secondo modalità, influenze e tempi differenti”. Pur tra loro connesse, si può concludere
considerando che l’identità di genere, il ruolo di genere e l’orientamento sessuale sono dimensioni
identitarie differenti (Lingiardi, 2013).
9
CAPITOLO 2
I BISOGNI DELLE PERSONE LGBT: DISCRIMINAZIONI,
PREGIUDIZI E MINORITY STRESS
Questo capitolo approfondisce alcuni concetti quali il pregiudizio e il minority stress. Quest’ultimo
risulta essere una componente fondamentale nella vita individuale e sociale della persona, capace di
influenzare negativamente e positivamente la vita quotidiana. Esplorando il concetto di minority
stress, ho deciso di dedicare il paragrafo alla sua stressa correlazione con il benessere psicofisico
del soggetto. Dopo un discorso più generale ho preso in esame due fasce d'età, l'adolescenza e
l'anzianità, per mostrare i particolari effetti della discriminazione in questi due periodi problematici.
Infine nell’ultimo paragrafo è stato descritto il concetto di intersezionalità, termine ricorrente nella
letteratura di settore e nel far riferimento alla globalità della persona.
Componente affettiva, riguarda la reazione a livello emotivo che uno specifico oggetto
sociale suscita nelle persone, nel caso in cui queste emozioni sono caratterizzate da aspetti
negativi si può parlare di pregiudizio. “Ad esempio: quali reazioni emotive suscita
l’omosessualità o il transessualismo: paura? Disgusto? Rabbia?” (D’Ippoliti e Schuster,
2011: pag 19).
Gli individui costruiscono delle “categorie” di appartenenza che sono potenzialmente discriminanti,
e che si basano su differenti fattori, per esempio l’età, lo status sociale, religione, professione,
eccetera (Tajifel H., 1999). Per analizzare questi meccanismi si è ritenuto necessario prende in
esame la “Teoria dell’identità sociale”, teorizzata da Tajfel. Secondo l’Autore, gli individui sono
consapevoli di appartenere a determinati gruppi sociali, ed è proprio da questa consapevolezza che
derivano gli atteggiamenti nei confronti dei membri del proprio gruppo e verso le persone che
appartengono ad altri gruppi sociali (D’Ippoliti, Schuster, 2011). Questo processo viene messo in
atto in modo da facilitare il processo di riconoscimento dei membri (in-group) e la distinzione dei
non-membri (out-group). Dove con in-group si intende il proprio gruppo di appartenenza, sulla base
dell’età, dello status sociale, della professione, del credo religioso. Mentre l’out-group sono tutti gli
altri gruppi nei quali il soggetto non si identifica (Myers, 2013). Il meccanismo della
categorizzazione sociale implica anche la tendenza a massimizzare le differenze tra gli out-group e
a minimizzare e/o annullare le differenze presenti nel in-group. Esso rappresenta il risultato di un
atteggiamento sociale prettamente negativo caratterizzato da esclusione, rifiuto e allontanamento,
nei confronti di individui o gruppi. Questo modello di organizzazione basato sulla logica dell’in e
dell'out si traduce in un comportamento che riduce le opportunità sociali, giuridiche, economiche e
politiche di una determinata categoria socialmente definita di “minoranza” (Myers, 2013 e
11
D’Ippoliti, Schuster, 2011). La discriminazione determinata da fattori sociali e ha come “bersaglio”
tutti quei soggetti che esulano dai modelli culturali, impliciti ed espliciti, condivisi dalla comunità.
La discriminazione per orientamento sessuale ed identità di genere è definibile come quell'insieme
di stereotipi, rappresentazioni, pregiudizi emotivi e comportamenti orientati a determinare processi
di esclusione, condanna, stigmatizzazione, allontanamento, negazione, violenza, nei confronti di ciò
che non è inquadrabile nei modelli dominanti di orientamento sessuale e di identità di genere
(Taurino, 2005). Sotto intende una logica stigmatizzante rispetto ciò che devia dalla sessualità e dal
genere accettati a livello sociale. La discriminazione nei confronti delle persone omosessuali è
definita “omofobia”, questo termine è stato introdotto nel 1972 per indicare la paura irrazionale di
trovarsi in presenza di persone omosessuali, che ha come conseguenza reazioni di ansia, disgusto e
avversione nei confronti di persone gay e lesbiche (Lingiardi,2007). La parola omofobia contiene il
suffisso greco “fobia”, la quale indica reazioni fisiologiche e psicologiche spiacevoli e involontarie;
proprio alla luce di questa definizione, “omofobia”, non risulta essere il termine più adatto, perché
si concentra su cause individuali irrazionali, trascurando la sua componente culturale e sociale
(Lingiardi, 2007). Il soggetto omofobo “ritiene normale e giustificabile la sua reazione nei confronti
della persona omosessuale” (Lingiardi, 2007:pag 54), perciò non vive in modo problematico questa
situazione e non compromette il suo funzionamento sociale. Seguendo questo pensiero il termine
più adatto sarebbe “eterosessismo” o “eteronormatività”, cioè l'insieme degli atteggiamenti che
rifiutano e stigmatizzano ogni comportamento, relazione ed identità di tipo non eterosessuale, sotto
intendendo l'eterosessualità come l'unico modello legittimo per esprimere il proprio orientamento
sessuale (Lingiardi, 2007).
Livello personale, che riguarda i pensieri pregiudizievoli e stereotipati nei confronti della
comunità omosessuale;
Livello istituzionale, consiste nella discriminazione più o meno manifesta all'interno delle
agenzie di cultura principali presenti nella società, quali scuola, Chiesa, Stato, famiglia,
12
eccetera (Lingiardi, 2007).
Omofobia rimane comunque il termine più diffuso, per indicare un’attitudine negativa, sul piano
personale e collettiva, psicologica e sociale, nei confronti delle persone e delle esperienze
omosessuali (Lingiardi, 2007: pag58), dal generico disagio fino ad arrivare all'aggressività fisica e
verbale. A differenza del concetto sopracitato, la transfobia è un campo ancora in esplorazione e di
recente studio. Con questo termine si intende l'avversione nei confronti di persone trans, che ha
origine da pregiudizi e false credenze. Questa definizione riprende le tematiche centrali
dell'omofobia, e come questa, può portare a comportamenti fortemente discriminatori nella società,
nel lavoro, fino ad arrivare a manifestazioni aggressive e violente (D’Ippoliti e Schuster, 2011).
Il contesto italiano presenta criticità messe in luce anche da UNAR, attraverso il proprio Contact
Center, il quale si occupa di documentare, tramite ricerche e studi, i fenomeni di discriminazione in
Italia, basandosi su segnalazioni ricevute da diretti interessati o da terzi testimoni dei fatti. Degna di
nota è la prima indagine statistica italiana condotta dall'ISTAT nell'anno 2011, finanziata dal
Dipartimento per le Pari Opportunità e denominata “La popolazione omosessuale in Italia”.
L’indagine è stata condotta su un campione di intervistato, composta da 8.000 cittadini italiani di
età compresa tra i 18 e i 74 anni. Essa offre una panoramica rispetto l'atteggiamento che i cittadini
italiani riservano alla comunità omosessuale e gli episodi di discriminazioni vissuti da persone
omosessuali. La comunità LGBT ha dichiarato di aver subito e vissuto episodi di discriminazione
nelle seguenti situazioni sociali:
12,4% locali pubblici, tra i quali mezzi di trasporto, locali, uffici, ecc.
Come descritto nel documento UNAR (2015), questi dati subiscono delle variazioni in relazione al
genere, all’età e alla provenienza geografica.
Gli Autori sottolineano che la discriminazione si può manifestare in determinati ambiti: accesso ai
beni e servizi, la ricerca di un alloggio, mercato del lavoro, ambiente scolastico ed ambiente
sanitario. Nonostante ciò, nel documento sopracitato viene segnalato più volte che esiste un
problema di assenza di informazioni statistiche riguardo alla discriminazione per orientamento
sessuale ed identità di genere, a causa dell’assenza di raccolta di dati.
Rifiuto di coabitazione;
Come emerso dall’indagine internazionale “World Values Survey” (WVS), condotta da un gruppo
di ricercatori in 87 paesi provenienti da tutto il mondo (per quanto riguarda l’Italia, sono stati
intervistati 1012 persone, di età compresa tra i 18 e 74 anni), quasi un italiano su 4 non desidera
persone omosessuali come vicine di casa. Il dato mostra possibili difficoltà che un soggetto LGBT
può incontrare nella ricerca di un'abitazione, poiché se determinate persone non sono disposte ad
avere omosessuali come vicini di casa, potenzialmente non sarebbero a maggior ragione disposte a
coabitare o a concedere loro un'abitazione in locazione (Botti, D’Ippoliti, 2013 e D’Ippoliti,
Schuster, 2011). Come per l'accesso ai servizi, gli individui più a rischio rimangono gli individui
14
transessuali e transgender, a causa della loro visibilità. Di importanza rilevante risulta essere la
condizione di soggetti minorenni o giovani adulti che vivono un conflitto con la propria famiglia a
causa della propria sessualità si trovano, e si possono trovare obbligati ad abbandonare il proprio
nucleo abitativo in ragione dell'atteggiamento ostile e minaccioso nel quale vivrebbero. Queste
persone, come vedremo anche nel paragrafo relativo ai giovani adulti, possono essere esposte ad un
alto rischio sociale a fronte delle difficoltà che nascono nel trovare ed accedere a servizi pubblici di
assistenza (D'Ippoliti e Schuster, 2011).
Diverse possono essere le forme di discriminazione anche nel mondo lavorativo, legate sia
all'orientamento sessuale che all'identità di genere. Per la differente possibilità di celare la propria
identità, le persone omosessuali e bisessuali sono colpite maggiormente dalla discriminazione sul
posto di lavoro, a differenza delle persone transessuali e transgender che vivono maggiormente la
discriminazione nell'accesso alla sfera occupazionale. Questa situazione di “invisibilità pubblica”,
nella quale la persona decide di non esprimere la propria identità, come strategia di difesa in un
ambiente ostile, ha l'effetto di ridurre le condizioni di salute e il benessere psicofisico del soggetto.
Inoltre, nella dimensione lavorativa, ha effetti negativi anche nella socializzazione e nella
partecipazione del lavoratore alla vita aziendale (formale e informale) e riguardo la condivisione
degli obiettivi aziendali. Una delle forme di discriminazione, esistente nel campo lavorativo contro
le persone LGBT, è proprio la compromissione del proprio diritto alla privacy e
all'autodeterminazione, in quanto non sempre l'ambiente permette una piena espressione del sé
(Botti, D'Ippoliti, 2013). Nel profilo professionale, proprio a seguito di una minore spinta alla
produttività e all'affermazione professionale, il soggetto nutrirà una minore prospettiva di
avanzamento di carriera e retributiva. In generale, gli Autori sottolineano come la comunità LGBT
può subire: ostacoli all'assunzione o avanzamento di carriera, essere oggetto di ricatti, aggressioni
verbali e/o fisiche, molestie, mobbing 3 , licenziamento. È possibile distinguere tre ambiti di
discriminazione nel mercato del lavoro: le politiche delle risorse umane; le condizioni di lavoro,
come sopracitati il mobbing e le molestie e la retribuzione. Nell’ambito delle politiche delle risorse
umane, i soggetti LGBT possono subire discriminazioni nel momento dell'assunzione, in sede
promozionale e per quanto riguarda un possibile avanzamento di carriera o nel licenziamento
(D'Ippoliti e Schuster, 2011; Botti, D’Ippoliti, 2013).
3
Il termine si riferisce ad una sistematica persecuzione che viene esercitata sul posto di lavoro da parte di
colleghi o superiori nei confronti di un soggetto, può consistere in atti quotidiani di emarginazione
sociale, violenza psicologica, sabotaggio professionale, fino all'aggressione fisica. (Garzanti, 2016).
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Alla pari della società, anche l'ambiente scolastico può manifestare al suo interno una cultura
eteronormativa, nella quale l'eterosessualità viene data per scontata. Proprio per questo, può
trasformarsi in un ambiente discriminatorio, dove gli adolescenti LGBT possono diventare facile
bersaglio di ciò che viene chiamato “bullismo omofobico”. I giovani LGBT possono diventare
maggiormente vittime di atti di bullismo e di emarginazione, tanto da mostrare di essere tre volte
più a rischio rispetto a tentativi di suicidio, stress e depressione (Botti, D'Ippoliti, 2013).
Come nella discriminazione nel mondo lavoro, anche la discriminazione nell'ambito sanitario può
presentarsi attraverso diverse modalità. Come descritto in D'Ippoliti e Schuster, (2011), potrebbero
esserci discriminazioni da parte del personale medico e paramedico, il quale può mancare di
un'adeguata formazione in merito alla relazione professionale con le persone LGBT. In questo
scenario, si possono individuare diverse questioni fondamentali, quali la mancata prevenzione come
conseguenza del timore di essere stigmatizzati e le specifiche problematiche sanitarie affrontate
dalle persone transessuali (che tuttavia, visto che la situazione delle persone trans presenta
numerose specificità in campo sanitario, non verrà qui approfondita). La prima questione riguarda
le discriminazioni e la mancata prevenzione. Essa non è relativa solo agli effetti che la
discriminazione provoca sul benessere e sulla salute delle persone LGBT, ma anche l'impatto in
termini di comportamenti individuali. Il primo aspetto verrà trattato nel prossimo paragrafo,
descrivendo il concetto del minority stress, che può avere un impatto negativo sulla salute mentale
delle persone. Come descritto in D'Ippoliti e Schuster (2011), in merito al secondo aspetto, la
popolazione omosessuale maschile e femminile può mostrare difficoltà nei percorsi di prevenzione
sanitaria e, per timore di possibili discriminazioni (D'Ippoliti e Schuster (2011), Botti, D'Ippoliti,
2013). Un aspetto specifico lamentato dalle persone transessuali e transgender riguarda l'essere state
ospedalizzate sulla base dei proprio dati anagrafici. Ospedalizzare, per esempio, una persona trans
dall'aspetto femminile in un reparto maschile, può esporla a determinati pericoli, come ad esempio
derisioni, maltrattamenti ed esclusione da parte degli altri pazienti e può danneggiare da un punto di
vista psicologico la persona. In tale ambito, occorre un’azione di riconoscimento dei bisogni sociali
e sanitari e delle problematiche sopra citate vissute da persone gay, lesbiche, bisessuali e trans, da
parte dei servizi socio-sanitari. Questa consapevolezza può contribuire ad eliminare o ridurre gli
ostacoli che possono insorgere nel rapporto tra servizi assistenziali e comunità LGBT .
16
2.2 Il pregiudizio e i meccanismi del Minority stress
La nostra società si caratterizza per la prevalenza di valori e pensieri improntati sulla razionalità e
dalla maggior accettazione dei principi dell'uguaglianza, della tolleranza e della convivenza
democratica. Generalmente il pregiudizio si manifesta all'interno della relazione con l'altro, in
particolare con soggetti e/o gruppi che non rispecchiano e non appartengono alla cultura dominante,
o che deviano in un qualche modo dal modo di vivere inteso tradizionalmente da una determinata
società. È possibile definire il pregiudizio come un atteggiamento di rifiuto o di ostilità verso una
persona appartenente ad un gruppo, semplicemente perché appartenente a quel gruppo, e che per
tanto si presume in possesso di caratteristiche negative generalmente attribuite al gruppo medesimo
(Allport, 1973 e Mazzara, 1997).
Davanti all'estrema complessità presente nella realtà esterna e alla sovrabbondante mole di dati che
provengono da essa, la mente umana necessita di sorreggere le proprie rielaborazioni cognitive
tramite l'aiuto di categorie, cioè generalizzazioni, che permettono di semplificare ciò che ci circonda
per renderlo più facilmente etichettabile, e di conseguenza conoscibile. Questo processo è
inevitabile poiché ci permette di usare sistemi di classi e raggruppamenti semplici, che hanno la
funzione di “tipizzare” un evento o oggetto, classificarlo entro schemi mentali noti e permette di
agire di conseguenza (Allport, 1973 e Mazzara, 1997). La categorizzazione così utilizzata assume
un valore positivo, ma quest'ultima cambia nel momento in cui uno schema di semplificazione
mentale si tramuta in pregiudizio. Lo stereotipo costituisce il nucleo cognitivo del pregiudizio, cioè
un insieme di informazioni e credenze circa un determinato oggetto della realtà, le quali vengono
rielaborate in un'immagine coerente capace di sostenere il pregiudizio nei loro confronti. Si tratta di
immagini molto semplificate e rigide che hanno lo scopo di riproporre l'ambiente con il quale si
interagisce in modo più agevolato, poiché la mente umana non è capace di comprendere e
rielaborare una quantità infinita e complessa di elementi e sfumature attraverso i quali si presenta il
mondo circostante. Questo concetto si pone alla base alla tendenza di pensare e agire in modo
sfavorevole nei confronti di un gruppo, la quale a sua volta si basa su una convinzione che quella
categoria possieda in modo omogeneo tratti che vengono giudicati come negativi (Mazzara, 1997).
Un numero sempre più crescente di ricerche dimostra che il pregiudizio e la discriminazione sono
fattori rilevanti e misurabili di stress (Lingiardi, 2007). Il termine stress letteralmente significa
“pressione”, e descrive la reazione da parte di un individuo; il quale si differenzia dal termine
stressor (“evento stressante”), che descrive i fattori che stimolano la reazione di stress da parte della
17
persona (Sanavio, Cornoldi, 2010).
In particolare, il concetto di stress si può estendere all'ambiente sociale, sotto la denominazione di
stress sociale (Meyer, 1995). Quest'ultimo non comprende solamente gli eventi personali, ma anche
esperienze sociali fonte di stress che possono minare il benessere del soggetto, in particolare di
coloro che appartengono a categorie minoritarie bersaglio di pregiudizi e discriminazioni. Gli eventi
stressanti che ogni persona può incontrare nella propria vita possono essere la perdita del lavoro, un
lutto particolarmente importante, un divorzio, eccetera. Tutte queste situazioni influenzano la vita
del soggetto, il quale deve acquisire nuove capacità di adattamento davanti a determinate
circostanze.
Lo sviluppo psicologico di molte persone omosessuali è influenzato da vissuti di stress continuativo
e cronico, a livello macro e micro traumatico, a causa di ambienti ostili e di indifferenza. In
particolare la comunità LGBT vive in una cultura “eteronormativa”, nella quale l'eterosessualità e la
divisione del genere tradizionalmente concepita vengono considerati assunti fondamentali e
immutabili; questa continua svalutazione dell'esperienza omosessuale e trans provoca in questi
soggetti uno stato di stress cronico, dovuto proprio alla loro stigmatizzazione (Lingiardi, 2007). Con
il termine stigma si intende il fenomeno sociale che attribuisce una connotazione negativa a un
membro e/o gruppo sociale, in modo da svalutarlo, disapprovarlo, emarginarlo e declassarlo ad un
livello inferiore (Goffman, 1963). L'effetto di questo meccanismo è una continua vigilanza da parte
delle persone LGBT, i quali si aspettano determinati atteggiamenti negativi da parte della società.
La vigilanza è cronica, in quanto viene messa in pratica nella vita quotidiana. Mantenere alti livelli
di difesa comporta ad altrettanto alto livello di stress, dovuto al continuo dispendi odi energia in
operazioni quali, iper osservazione e iper attenzione nei confronti della possibile ostilità del mondo
esterno. Da questi presupposti ha origine il concetto di minority stress, inteso come uno stress di
tipo psicosociale che deriva dall'appartenenza ad un gruppo sociale considerato “minoritario”
(Meyer, 1995). Le caratteristiche principali che definiscono e rendono tale il minority stress sono
(Meyer, 2003):
Unicità, il minority stress rappresenta un fattore aggiunto allo stress comunemente vissuto
da ogni persona, che implica uno sforzo maggiore di adattamento;
Cronicità, questo fenomeno è collegato a strutture sociali che accompagnano il soggetto per
tutto l'arco della sua esistenza e dalle quali non è possibile slegarsi;
Socialmente basato, questa teoria trae origine da processi e dinamiche sociali che vanno
18
oltre la volontà personale della persona e ne sono indipendenti.
Ilan Meyer, docente di Scienze mediche e sociali alla Columbia University, nell'opera “Minority
stress and mental health in gay man” (1995), individua tre dimensioni che insieme concorrono alla
determinazione dell'evento chiamato minority stress: omofobia interiorizzata, stigma percepito ed
esperienze di discriminazione e violenza (Figura 2).
La prima dimensione è l'omofobia interiorizzata, essa si manifesta nell'accettazione da parte del
soggetto omosessuale di tutti i pregiudizi, attitudini, sentimenti, etichette negative e atteggiamenti
discriminatori nei confronti dell'omosessualità che vive nel contesto di vita. Avviene un processo di
interiorizzazione del pregiudizio, il quale viene assimilato e riprodotto sulla propria persona
(Lingiardi, 2007). Questo riconoscimento avviene quindi associando il proprio vissuto omosessuale
con i pregiudizi e stereotipi a riguardo; perciò si può definire una sorta di “gioco di ruolo”, nel quale
l'individuo omosessuale si osserva e si percepisce con gli “occhi” e i modelli cognitivi delle persone
che lo circondano. Questo meccanismo si manifesta in modalità acute nei primi tempi di “scoperta”
della propria sessualità, mentre si riduce o si attenua quando il soggetto arriva ad una maggiore
accettazione del sé. L'omofobia interiorizzata ha come conseguenza un rapporto conflittuale con il
proprio orientamento sessuale, arrivando a volerlo negare o contrastare. In casi estremi la persona
può addirittura nutrire sentimenti negativi e di repulsione nei confronti di altri omosessuali. È
considerato una della dimensioni più incisive perché il soggetto è esposto fin dalla nascita ad un
ambiente tendenzialmente riluttante nei confronti della comunità LGBT, che riesce facilmente ad
influenzare e manipolare i giudizi e immagini personali legate all'omosessualità (Lingiardi, 2007).
La seconda dimensione è rappresentata dallo stigma percepito, secondo il quale più il livello di
stigma e rifiuto sociale è alto e più alto sarà la sensibilità dell'ambiente, di conseguenza si innalzerà
il livello di “vigilanza” ed accortezza nell'individuo circa il timore di essere “identificato”. Da un
ambiente ostile la persona inizia a nutrire aspettative principalmente negative. Lo stato di vigilanza
è cronicamente alto nella vita quotidiana del soggetto omosessuale, tanto che diventa una fonte
rilevante di stress perché richiede un grande dispendio di energia psichica per metterlo in pratica
(Meyer, 1995). Lo stigma può essere definito come l’insieme di atteggiamenti, stereotipi e credenze
che un gruppo sociale o la società nel suo complesso nutre nei confronti di gruppi sociali particolari
(Sanavio e Cornoldi, 2010). Il processo di stigmatizzazione si esplica in quattro fasi:
1. La società crea un'etichetta con la quale descrivere ed identificare un determinato
19
gruppo sociale in senso negativo;
2. Questa etichetta viene associata agli stereotipi e pregiudizi che la società nutre nei confronti
dei membri del determinato gruppo sociale;
3. Tutte le persone che rientrano in questa etichetta vengono riconosciute solo in base a
quest'ultima;
4. A seguito di questo, le persone etichettate sono soggette ad una perdita di status che le fa
diventare bersaglio di discriminazioni.
L'ipervigilanza crea un circolo vizioso nel quale il soggetto per timore di essere “scoperto” come
omosessuale adotta una serie di strategie di adattamento all'ambiente circostante indirizzate al
camuffamento e alle menzogne, le quali alimenteranno a loro volta il senso di abbandono e di
distacco dalla comunità di appartenenza, con il relativo rischio di esclusione sociale (Meyer, 2003).
L'ultima dimensione del minority stress sono le esperienze di discriminazioni e violenze, le quali
aumentano di probabilità in corrispondenza dell'aumentare di visibilità di un soggetto LGBT.
Questa situazione di insicurezza mina la visione della realtà del soggetto, la quale si mostrerà come
priva di sostegno sociale e di supporto, generando una svalutazione generale sia della società come
rete solidale di individui, sia nei confronti di sé stessi, sentendosi immeritevoli di ricevere aiuto. Il
contesto eteronormativo compete nella manifestazione di questi episodi di intolleranza nei confronti
delle minoranze sociali, impedendo un reale superamento dei pregiudizi e stereotipi che stanno alla
loro base (Lingiardi, 2007).
Figura 2, Le tre dimensioni del minority stress in relazione tra loro, dalla più oggettiva alla più
soggettiva (Lingiardi, Nardelli, 2007).
Meyer non si limitò solamente a descrivere il fenomeno del minority stress, ma nel 2003 propose un
modello teorico nel quale ha ampliato la descrizione del suddetto concetto e ha chiarito la sua
azione nei confronti dei soggetti omosessuali.
20
Di seguito viene riportata la schematizzazione del modello teorico (Figura 3).
Figura 3. La cornice teorica del minority stress nelle persone omosessuali (Lingiardi, Nardelli,
2007 )
La figura 3 aiuta a capire come funziona il processo del minority stress nella popolazione
omosessuale. Un soggetto appartiene al gruppo di minoranza, in questo caso caratterizzato
dall'orientamento sessuale, (B), ed è inserito in un ambiente con determinate caratteristiche (A).
Questa combinazione composta da soggetto e ambiente compete nel definire il profilo della sua
identità (E), considerata minoritaria. Ogni persona, indipendentemente al gruppo o comunità di
appartenenza, può essere esposto a determinati stress considerati “generali”, per esempio perdita del
posto di lavoro, morte di una persona cara (C). Diversamente le persone appartenenti ad una
categoria minoritaria sono esposte a maggiori fattori stressanti, i quali possono essere di natura:
Oggettiva, per esempio casi di discriminazione e violenza (D);
Soggettiva, per quanto riguarda eventi più intimi e legati alla dimensione personale,
come per esempio il fenomeno dell'omosessualità interiorizzata e le aspettative di
rifiuto ed esclusione (F).
21
L'identità minoritaria (E) può comportare ad un innalzamento del livello di stress soggettivo per la
sola percezione di far parte di una minoranza stigmatizzata ed etichettata negativamente (F). Inoltre
può condurre ad una intensificazione o diminuzione importante dell'impatto dei fattori di stress, in
base alle caratteristiche del rapporto tra identità minoritaria e dimensione personale (G).
L'individuo, seppur appartenente ad una comunità minoritaria, appartiene comunque ad un gruppo
sociale che può offrire un ambito positivo di sostegno e supporto tramite le reti sociali più o meno
informali (amici e famiglia). L'interazione con il proprio gruppo diventa fonte di apprendimento
circa modalità difensive funzionali, capacità di problem solving e strategie di coping adattive (H). A
confronto con l'ostilità della società dominante, questa rete sociale di sostegno può contrastare gli
effetti negativi sul benessere psicologico e fisico del soggetto in questione. È importante ricordare
che anche condizioni favorevoli e sfavorevoli presenti nell’ambiente, predisposizioni personali,
condizioni biologica, situazioni attuali di vita, schemi di valutazione e coping, sono tutti elementi
che fanno parte del processo di stress e aiutano la sua comprensione.
Il fenomeno del minority stress non si perpetua solo nel mondo dell'età adulta, ma si può
manifestare anche nell'infanzia e nell'adolescenza, prendendo la denominazione di “bullismo
omofobico “ (Lingiardi, 2007). In generale si può definire il bullismo come un comportamento di
prevaricazione ripetuto nel tempo da parte di qualcuno (singolo o gruppo) nei confronti di qualcun
altro (singolo o gruppo). Le caratteristiche fondamentali per parlare di bullismo sono: la persistenza
degli episodi violenti e la reiterazione del comportamento (Batini, 2011). Per la vittima le
prepotenze subite costituiscono un forte fattore di stress di diversa entità e contenuto e di
conseguenza gli effetti a lungo termine possono essere di natura diversa: comportamenti di ritiro,
abbandono scolastico, auto emarginazione, depressione, ansia, attacchi di panico, alterazioni della
sfera emotiva-relazionale, comportamenti distruttivi che possono arrivare, nei casi più estremi, fino
al suicidio. Le forme del bullismo possono essere fisiche, se riguardo comportamenti concreti diretti
a danneggiare la vittima, per esempio calci e pugni. Può manifestarsi sotto forma verbale di insulti e
prese in giro. Infine possono essere atteggiamenti indiretti con lo scopo di escludere il soggetto da
gruppi di aggregazione formali e informali.
Seguendo queste informazioni possiamo definire il bullismo omofobico come quel tipo particolare
di bullismo che perseguita, scredita, isola, aggredisce soggetti ritenuti differenti per qualche tratto
dell'identità sessuale, generalmente perché le vittime sono ritenute, a torto o ragione, omosessuali
22
(Batini, 2011). Lingiardi, nel documento “Linee guida per la consulenza psicologica e la
psicoterapia con persone lesbiche, gay e bisessuali” (2014: pag 276) ne parla in riferimento “a
bambini e ragazzi che subiscono le azioni offensive a carattere omofobico da parte di uno o più
membri del gruppo dei pari, intenzionalmente e ripetutamente nel corso del tempo. Le aggressioni,
fisiche e/o verbali, sono dirette verso l’orientamento sessuale (reale o presunto) oppure verso il
ruolo di genere non conforme alle aspettative socioculturali. In altri casi le vittime vengono colpite
perché hanno un parente oppure uno o entrambi i genitori dichiaratamente gay, lesbiche o
transessuali ”.
Questo fenomeno presenta determinate specificità, che lo differenziano dalle altre forme di sopruso
e abuso di potere. Le prepotenze, in questo caso, mettono in causa la dimensione specificatamente
sessuale della persona, poiché non viene attaccato solo il soggetto in quanto tale, ma anche la sua
sessualità ed identità di genere. La vittima in questione a seguito degli episodi violenti può
incontrare particolari difficoltà nel chiedere aiuto a figure adulte di riferimento, poiché essere
bersaglio di bullismo omofobico significa richiamare l'attenzione sulla propria sessualità. Inoltre
queste figure possono avere a loro volta pregiudizi omofobici, attraverso i quali alimenterebbero i
sentimenti di ansia e vergogna nel soggetto. Svelare in questo modo e in età così giovane la propria
presunta omosessualità comprende anche il rischio di vedere sottostimati questi episodi violenti e il
rischio ancora maggiore di destare sospetti riguardo la “normalità” della persona in questione. Il
numero di soggetti che decidono di difendere ed intervenire negli episodi di bullismo sono di base
poco numerose, nel caso del bullismo omofobico il numero si abbassa ulteriormente (Lingiardi,
2007).
Un altro fattore che influenza l'intensità del minority stress è il livello di coming out. Con questo
termine ci si riferisce al “processo che indica la volontà e l’atto di rivelare agli altri (coming out
esterno) e così come a sé stessi (coming out interno) il proprio orientamento omosessuale e la
propria identità di genere (Valerio, Amodeo, Scandurra, 2013).
Se un soggetto decide di celare la propria omosessualità ad amici e parenti sarà meno bersaglio ad
esperienze dirette omofobe, ma non potrà vivere esperienze positive di validazione esterna e
riconoscimento. Differentemente una persona che decide di comunicare la propria sessualità
diventerà facile target di violenze, ma potrà vivere con più positività la propria rete sociale. Le
questioni legate all'invisibilità accompagnano le persone omosessuali per tutta la vita, poiché non
potrà mai prevedere la reazione esterna a seguito della dichiarazione o manifestazione della propria
23
omosessualità, la quale può essere una riposta accogliente o al contrario di rifiuto. Nel momento in
cui un soggetto omosessuale si identifica pubblicamente come tale potrà essere giudicato sulla base
del proprio orientamento sessuale e su quest'ultimo potrà essere costruita l'immagine globale della
persona, “è omosessuale quindi è...” (Lingiardi, 2007).
La risposta allo stress si esplica sia nel riconoscimento degli eventi stressanti, sia nella fase in cui il
soggetto decide di fronteggiare questi eventi. Quest’ultima fase viene chiamata coping, questo
termine indica il processo di reazione e fronteggiamento dello stress presente nella vita quotidiana
(Sanavio, Cornoldi, 2001).
Il minority stress presenta due tipi di coping considerati come più comuni e attuati dalla
popolazione LGBT (Meyer, 1997):
Evitamento, consiste nel allontanarsi fisicamente e psicologicamente da tutte quelle
situazioni e comportamenti prettamente legati o che rimandano al mondo omosessuale;
Aumento dell’arousal, l'individuo omosessuale si impone di controllare costantemente tutto
ciò che lo circonda e di diminuire i comportamenti che lo potrebbero identificare come
omosessuale (Meyer, 2003).
Nonostante l'obiettivo delle strategie di coping sia l'adattamento positivo del soggetto all’ambiente,
esso non sempre si dimostra essere funzionale e quindi capace di ridurre gli effetti del minority
stress. Nel caso di strategie non funzionali il livello di stress e vigilanza aumenta, peggiorando il
benessere psicologico della persona, la quale vede annullati i propri sforzi nel tentativo di celarsi,
provocando anche un sentimento di odio verso il sé e di inadeguatezza (Meyer, 1995). Queste
ricerche riguardo il minority stress e i suoi effetti possono distogliere lo sguardo da uno scenario che
comprende anche ampi margini di fattori ed aspetti positivi che permettono al soggetto di reagire
positivamente davanti a questi ostacoli. Le condizioni e le situazioni oggettive di discriminazione
non danno vita necessariamente a disturbi sul piano psicologico, ma nella relazione causale tra
eventi traumatici ed esiti patologici esiste un fattore importante di mediazione nominato resilienza.
In psicologia il termine resilienza assume una connotazione attiva, poiché rappresenta la capacità
dell'individuo di fronteggiare con successo e superare in modo funzionale ed adattivo le esperienze
che lo mettono in situazione di difficoltà e disagio. Le persone resilienti sono coloro che nel
24
momento in cui si trovano di fronte ad eventi traumatici riescono ad affrontarli e risolverli
acquisendo potenzialità maggiori, rispetto a quelle possedute prima, incrementando la fiducia in sé
stessi e nelle proprie risorse. Fronteggiare le avversità, comporta anche ad accumulare esperienze
utili per il proprio percorso di vita futuro, sia a beneficio personale, sia a beneficio altrui, attraverso
l'utilizzo delle proprie competenze per aiutare e sostenere chi sta vivendo una problematica
similare. La resilienza rappresenta un importante fattore di protezione e nell’ambito della Salute
Mentale per esempio l’Autore sottolinea come gli operatori che lavorano con questa utenza
dovrebbero essere in grado di riconoscerla e consolidarla (Lingiardi, 2007).
Un fattore riguarda la capacità di non lasciarsi “sottomettere” dagli stereotipi e subirne l'influenza,
ma di reagire attraverso il rifiuto di quest'ultimi, affermando così la propria unicità. Di conseguenza
diventa fondamentale per affrontare queste tipologie di stress l'accettazione della propria persona
nella sua autenticità, contrastando così l'azione dell'omofobia interiorizzata. Un altro fattore
protettivo è il sostegno della rete sociale di appartenenza. Il supporto sociale più immediato
dovrebbe nascere dalla famiglia, ma a causa di conflitti famigliari originati dalla mancata
accettazione della sessualità o identità di genere del soggetto, questi rapporti possono venire a
meno. In uno scenario simile diventa importante il ruolo della cosiddetta “famiglia scelta”,
composta da amici, partner e altre figure di riferimento liberi da pregiudizi omofobici, che possono
sopperire al mancato sostegno parentale. In questa famiglia possono rientrare le associazioni che
lottano per i diritti omosessuali, luoghi di ritrovo, circoli pubblici o privati e, non meno importanti,
forum di discussione su internet. Questi ambienti sociali possono aiutare la persona ad affrontare e
sopportare gli effetti del minority stress.
Il Ministero della Salute delinea così il concetto di salute mentale, definendolo come “uno stato di
benessere emotivo e psicologico, nel quale l'individuo è in grado di sfruttare le sue capacità
cognitive o emozionali, esercitare la propria funzione all'interno della società, rispondere alle
esigenze quotidiane della vita di ogni giorno, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri,
partecipare costruttivamente ai mutamenti dell'ambiente, adattarsi alle condizioni esterne e ai
conflitti interni”. Questo paragrafo porrà l’attenzione su come i diversi fattori legati alla
discriminazione e al minority stress possano essere associati ad un peggioramento della salute del
soggetto LGBT, ed in particolare, a problematiche di salute mentale. È importante per l’assistente
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sociale e per ogni operatore conoscere questi fenomeni ed avere consapevolezza del disagio che
questa utenza può sperimentare. Il minority stress, dovuto a discriminazioni, pregiudizi e stereotipi,
diventa un fattore di stress aggiuntivo nella vita quotidiana delle persone LGBT, con possibili
conseguenze negative sulla loro salute mentale.
In merito al tema della salute mentale, verrà riportato lo studio condotto da Richard Bränström in
Svezia. La ricerca è stata condotta nel 2011 e sono state coinvolte 30.730 persone tra persone
eterosessuali, gay, lesbiche e bisessuali. Le finalità dello studio erano quelle di: confrontare la
quantità di trattamenti e visite psichiatriche tra persone eterosessuali e persone gay, lesbiche e
bisessuali e descrivere l'influenza del minority stress e il ruolo di diversi fattori sociodemografici. In
aggiunta a domande che riguardavano il proprio orientamento sessuale (come il soggetto si
identifica), il questionario includeva domande riguardo all'ambiente famigliare (se attualmente
vivono con qualcuno), domande riguardo informazioni socio demografiche (ad esempio età, genere,
livello di istruzione, luogo di nascita), domande riguardo lo stato di salute e altre circostanze di vita
(ad esempio se è stato vittima di violenza o ha una fonte di supporto emotivo nella sua vita), le cui
risposte sono state unite con i dati del registro dei dati amministrativi contenenti le informazioni
sull’uso dei servizi (ad esempio trattamenti nei servizi di salute mentale).
Per quanto riguarda i risultati, in merito alle visite psichiatriche e ai trattamenti farmacologici con
antidepressivi, messi in atto nell'arco di 12 mesi di follow up, si evidenzia come il 5.8% delle
persone omosessuali, il 13,3% delle persone bisessuali e il 3,2% delle persone eterosessuali ha
avuto almeno una visita psichiatrica e il 15,5% degli individui omosessuali, il 17.9% degli individui
bisessuali e il 9.1% degli individui eterosessuali ha usato antidepressivi. Dalle analisi, sia persone
omosessuali che persone bisessuali, registravano un numero maggiore di visite psichiatriche e
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trattamenti farmacologici del gruppo eterosessuale. In particolare, le analisi suddivise per gruppo
diagnostico, hanno evidenziato che i soggetti omosessuali avevano un rischio più elevato di essere
trattati per disturbi d’ansia rispetto agli eterosessuali; mentre per i soggetti bisessuali la differenza,
era oltre che per i disturbi d’ansia, anche per i disturbi da uso di sostanze. In generale, l’autore
conclude esplicando come si confermi un elevato rischio di sviluppare disturbi mentali da parte
della comunità LGB, rispetto alla comunità eterosessuale. Tuttavia il livello di disparità cambia tra
gli individui con caratteristiche socio-demografiche diverse, mettendo così in evidenzia
l’importanza di considerare anche le molteplici identità di una persona nello studio dello stato di
salute delle minoranze sociali. Le disparità più consistenti, circa i trattamenti di salute mentale, sono
stati rilevati tra donne bisessuali, uomini omosessuali e giovani donne lesbiche. Lo studio condotto
contribuisce a confermare ciò che Meyer espose con la sua teoria riguardo il minority stress, poiché
mostra una effettiva correlazione tra una maggiore esposizione a fattori stressanti, come
l’esposizione alla vittimizzazione o la minaccia di aggressioni e la mancanza di supporto sociale, e
un peggioramento del benessere psicofisico della persona. Nonostante ciò lo studio ha rilevato un
effetto diretto del sostegno sociale sui risultati della salute mentale, ma nessun effetto protettivo per
quanto riguardo la vittimizzazione e le violenze, diversamente da quanto espone la teoria del
minority stress. L’effettiva elevata presenza di disturbi mentali tra gli individui LGB richiede una
maggiore ricerca, con lo scopo di apprendere i meccanismi di questi fenomeni e progettare
interventi mirati a prevenire ed affrontare efficacemente questa problematica.
2.5 Uno sguardo ai bisogni socio-sanitari lungo il ciclo di vita: adolescenti e anziani
LGBT
Data l'unicità personale, anche il vissuto e l’esperienza riguardo il proprio orientamento sessuale e
la propria identità di genere presentano un carattere di irrepetibilità. Alcuni gruppi sociali possono
essere più bisognosi di supporto da parte della comunità. Tra questi, descriveremo in questo
paragrafo alcuni bisogni socio-sanitari peculiari delle persone che rappresentano gli antipodi del
ciclo di vita: da una parte gli adolescenti LGBT e dall'altra gli anziani LGBT. Data la complessità
della tematica, si è scelto di prendere in esame le tematiche più generali, ma comunque legate
all’ambito socio-sanitario.
L'adolescenza e la giovane età adulta (lungo il periodo di anni che vanno dai 12 anni ai 24 anni)
consiste in una fase di passaggio in cui la persona presenta una maggiore fragilità, perché sta ancora
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scoprendo e costruendo la propria identità, spesso andando in contrasto con la famiglia e le norme
della comunità. Ogni adolescente affronta sfide “tipiche” di questa età evolutiva, come conoscere
nuove persone, cambiare città, cambiare ambiente scolastico, trovare un lavoro. Questi eventi
possono comportare elevati livelli di stress, ma per un giovane LGBT tali sfide si aggiungono alle
fonti di stress “aggiuntive” prima descritte. Ogni sfida “tipica” diventa maggiormente stressante per
chi viene considerato deviante rispetto alll'eteronormatività presente nella società e manca di
supporto adeguato (Harvey e coll. 2015). Le problematiche legate allo sviluppo, quindi, si
presentano nella quotidianità di ogni adolescente, e per un ragazzo o ragazza che si riconosce LGBT
possono essere vissute con una difficoltà maggiore legata ad un possibile contesto di stigma,
discriminazioni e violenze. A tal proposito, un numero sempre più alto di giovani appartenenti a
categorie sessuali e di genere minoritarie sperimentano sulla propria pelle violenze verbali e fisiche
(Gayles, Garofalo, 2015). I fattori di stress psicosociali descritti nei capitoli precedenti influenzano
la vita dei giovani LGBT; l'esposizione continua ad atti di bullismo e discriminazioni e la
mancanza di supporto possono avere ripercussioni per la loro salute psicofisica. Molti adolescenti
possono sentirsi isolati o marginalizzati e internalizzare sentimenti di vergogna e disprezzo e per
esempio possono mostrare sintomi legati all'ansia, depressione, iniziare l’uso di sostanze
stupefacenti ed alcool (McConnell e coll., 2015). Il fenomeno più allarmante rimane il suicido,
alcuni studi mostrano come gli adolescenti LGBT presentino un rischio di tentare di porre fine alla
propria vita più elevato rispetto ai propri pari eterosessuali (Silenzio e coll. 2002). Non è facile
indagare rispetto i motivi e le cause che possono aver spinto numerosi ragazzi a desiderare o a
commettere il suicidio, ma la teoria del minority stress trova una sua applicazione anche in questo
drammatico fenomeno.
L’attenzione verso questo tema è legata anche al fatto che questa fascia di età rappresenta in
generale un periodo particolarmente critico per quanto riguarda lo sviluppo di disturbi mentali,
proprio perché quest'ultimi vedono in questa fase l'età di maggiore manifestazione (Silenzio e
coll.,2007).
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disturbi mentali, proprio a causa delle violenze verbali e fisiche, più o meno gravi, presenti nella
società; ma la presenza di una rete di supporto positiva e competente può avere un effetto protettivo
nei confronti dei problemi di salute mentale (McConnell e coll-.2015).
Anche le relazione amorose possono ricoprire un ruolo importante nel concorrere al mantenimento
del benessere mentale dell'adolescente omosessuale o transessuale. Il minority stress influenza
anche le relazioni affettive, impedendo potenzialmente un loro sviluppo più armonico possibile,
mettendo in campo paure originate dall'etichettamento sociale (Russell, Fish, 2016). Il supporto che
deriva dall'ambiente sociale diventa così un fondamentale fattore di protezione nei confronti dello
stigma e degli effetti del minority stress sulla persona LGBT.
A differenza degli adolescenti omosessuali e transessuali, gli anziani LGBT risultano essere una
categoria maggiormente “invisibile”, nella quale spesso l’ambito sessuale non viene approfondito e
riconosciuto. Quando si parla di orientamento sessuale ed identità di genere legati a questa età è
importante considerare l'importanza dell'influenza che l'ambiente di vita, l'educazione ricevuta e i
periodi storici vissuti hanno avuto. Gli anziani sono nati e cresciuti in un contesto di maggior
intolleranza, nel quale le categorie sessuali minoritarie sono sempre state caricate di giudizi
negativi, spesso legati all'immoralità, al peccato e alla perversione. Indipendentemente dalla propria
volontà, gli anziani LGBT sono stati costretti dall'ambiente circostante a celare e mentire il proprio
orientamento sessuale e la propria identità di genere nel rapporto con gli altri (ad esempio operatori
socio-sanitari, familiari, datori di lavoro) e a volte anche verso sé stessi (Simone e coll., 2015). Gli
anziani sono stati maggiormente esposti a discriminazioni agli effetti del minority stress e ai
pregiudizi, e questi possono presentare conseguenze negative sul loro benessere psicofisico.
In particolare, sono risultati essere più restii nel dichiarare o affrontare questa tematica con gli
operatori socio-sanitari, a causa della paura di poter potenzialmente diventare bersaglio di
discriminazioni. La scarsa fiducia riposta nelle strutture socio-sanitarie e nei professionisti può
quindi condizionare il benessere degli anziani LGBT, i quali possono non ricevere trattamenti
preventivi e/o di guarigione da una malattia adeguati (Simone coll., 2015). Nell’ambito della salute
mentale, aver dovuto gestire stress sociali come pregiudizi, stigmatizzazione, violenza e omofobia
internalizzata per un lungo periodo può aumentare il rischio di alcuni disturbi mentali.
Quanto descritto, si presenta anche quando l'anziano non è più in grado di vivere autonomamente e
necessita di cura e assistenza nei Servizi. Ad esempio, se per una persona eterosessuale può
sembrare comunque un evento stressante il passaggio a strutture residenziali e questo può portare ad
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uno sconvolgimento alla propria quotidianità, per l'anziano LGBT diventa un fattore altamente
stressante in quanto può temere le discriminazioni per il proprio orientamento sessuale o la propria
identità di genere (Simone, e coll., 2015). I fenomeni discriminatori che possono potenzialmente
subire e dei quali hanno più timore gli anziani LGBT sono: i maltrattamenti fisici e verbali durante
il lavoro di cura dei professionisti, violenze messe in atto da parte di altri ospiti, ricevere un rifiuto
rispetto la propria richiesta di ingresso alla casa di cura, subire restrizioni circa le visite da parte di
parenti e/o amici. Per quanto riguarda l’utenza anziana transgender il timore è di vedere non
rispettato la propria identità di genere, attraverso il rifiuto di utilizzare il nome o pronome corretti
da parte dei professionisti. Inoltre possono veder rifiutata la propria richiesta di proseguire i
trattamenti ormonali fino ad ora assunti (Simone e coll.,2015).
Come molti anziani omosessuali e transessuali non più autonomi preferirebbero invecchiare accanto
ad altri anziani LGBT, in modo da poter vivere in un luogo più sicuro, poter condividere esperienze
di vita senza sentirsi giudicati ed essere curati da professionisti competenti (Simone e coll.,2015).
Un esempio di impegno nell’inclusione della comunità anziana LGBT in Europa si è registrata nel
2006 a Berlino, dove è nata la prima casa di riposo in Europa chiamata MehrGenerationeHaus,
letteralmente Casa Generazionale. Quest’ultima ospita anziani LGBTQI, di ogni etnia e religione,
che non possono o non desiderano più vivere da soli. Essi ricevono cure da professionisti e
volontari giovani, con il fine di favorire lo scambio intergenerazionale. In questo ambiente ogni
persona viene accolta sotto un approccio non giudicante che permette loro di non mascherare più la
propria identità, e viene assicurato un clima positivo di accettazione e non discriminazione.
Anche per gli anziani, il supporto sociale è il fattore cardine per la salute psicofisica di queste
persone (Harvey e coll.,2016). Gli anziani LGBT si possono trovare spesso in una situazione di
solitudine e senza il supporto tradizionale della famiglia che li possa aiutare con i bisogni legati
all’invecchiamento. Gli anziani omosessuali o bisessuali vivono da soli rispetto agli anziani
eterosessuali della stessa età, mentre le anziane lesbiche o bisessuali un terzo di più rispetto le
anziane eterosessuali (Simone e coll., 2015). In generale, la comunità anziana LGBT vive
maggiormente in solitudine e isolamento dei coetanei etero; questa situazione può implicare gravi
conseguenze (ad esempio una prematura istituzionalizzazione). Tuttavia, il sostegno sociale può
derivare anche da figure non legate dal soggetto biologicamente, come amici, partner e famiglia di
scelta. Per questo, nonostante questi dati, molti anziani LGBT vivono in salute e sono soddisfatti
della loro vita, in quanto sono riusciti a sviluppare una forte resilienza e presentano forme di
31
supporto e non sono isolati. Per concludere, è da sottolineare come all'interno della comunità LGBT
l'anziano risulta essere il soggetto allo stesso tempo più invisibile e più bisognoso di cure mirate alle
sue esigenze (Fredriksen-Goldsen e coll.,2013).
Una persona LGBT non deve essere riconosciuta solamente in virtù del proprio orientamento
sessuale o della propria identità di genere, ma, come ogni altro esse umano, porta con sé diverse
identità (ad esempio etniche, economiche, geografiche, eccetera) “contenute” tutte in un'unica
persona. Per indicare questa condizione è stato coniato dal movimento femminista il termine
intersectionality, in italiano intersezionalità, con il quale si vuole far riferimento “all'intersezione di
diverse identità ed esperienze di esclusione e subordinazione” (Harvey e coll. 2016). È la relazione
tra le diverse identità contemporaneamente presenti in un individuo e che insieme concorrono alla
formazione della persona stessa nella sua globalità; fa riferimento all'integrazione di tutte queste
“identità” contemporaneamente presenti e integrate a creare una persona “nuova” ed unica. Ogni
persona gay, lesbica, bisessuale e transessuale porta con sé non solo il bagaglio di esperienze in
riferimento alla propria sessualità e al proprio genere, ma bisogna riconoscere che ognuno di loro ha
una propria etnia, ognuno sta vivendo una determinata tappa di crescita nel ciclo evolutivo,
appartiene ad un gruppo religioso, ogni individuo presenta specifiche caratteristiche socio-
economiche, che implicano differenti vissuti riguardo la situazione economica, il livello di
educazione ricevuto e l'eventuale professione svolta. Un esempio di intersezionalità può essere una
donna lesbica che si trova nella fase adolescenziale, crede nella fede musulmana ed è una
immigrata.
La condizione di “doppia minoranza” concorre ad aggravare la situazione psicosociale del soggetto,
in quanto non viene stigmatizzato solamente a causa della propria sessualità o identità di genere, ma
anche per altri fattori oggetto di stigma sociale, per esempio etnia, religione, genere, situazione
socio-economica, età. In questo caso il minority stress sarà maggiore, perché una parte deriverà da
conflitti ”identitari” del soggetto, i quali si uniranno a conflitti esterni derivati dalla cultura e dalla
società esterna (Lingiardi e Nardelli, 2014). L’American Psychological Association nel documento
“Guidelines for Psychological Practice with Lesbian, Gay, and Bisexual Clients” (2012) indica gli
atteggiamenti rispettosi dell’intersezionalità degli individui LGBT, che ogni professionista della
32
cura dovrebbe includere nella propria pratica:
Riconoscere che le persone LGB possano appartenere anche a minoranze di tipo etnico e per
questo essere soggette ad ulteriori stigmatizzazioni;
Riconoscere e valutare l’impatto che può avere il credo religioso sul benessere e
sull’accettazione della persona LGB, in questo caso è utile operare una ricerca rispetto le
religioni che non condannano l’omosessualità;
Considerare le problematiche e le esperienze che i soggetti LGB devono affrontare in ogni
età evolutiva;
Riconoscere l’impatto che malattie quali HIV e AIDS hanno sulle persone e nella comunità
LGB. Una persona LGB affetta da una malattia sessualmente trasmissibile richiederà
un’attenzione clinica e sanitaria maggiore. Proprio a causa di queste malattie, è necessario
prendere consapevolezza rispetto all’ulteriore stigmatizzazione presente nei contesti sociali.
33
CAPITOLO 3
In questo capitolo verranno descritti diversi esempi di buone pratiche nella presa in carico delle
persone LGBT in ambito socio-sanitario. Tali esempi sono stati identificati attraverso una ricerca e
un’analisi della letteratura “grigia” nel panorama nazionale e internazionale. Il capitolo
approfondisce linee guida, raccomandazioni, proposte formative e aspetti di tipo pratico, legate
all'esperienza concreta del lavoro degli operatori nell’ambito socio-sanitario. Inoltre, con la
descrizione di un progetto pilota Europeo, viene sottolineato l'impegno della comunità europea nel
ridurre le disuguaglianze di salute per le persone LGBT e favorire l’accesso ai servizi. Pur portando
esempi che coinvolgono diverse professionisti nell’ambito socio-sanitario, particolare attenzione è
stata data alle buone pratiche che riguardano il lavoro degli assistenti sociali. Per questo, l'ultimo
paragrafo è stato dedicato all’analisi di come gli assistenti sociali possono trarre informazioni
rispetto la pratica sociale con utenza LGBT; osservando l'attenzione riservata a questa tematica da
parte delle principali riviste scientifiche internazionali di servizio sociale.
3.1 Esempi di linee guida e indicazioni per le buone pratiche per i professionisti socio-
sanitari
35
ogni soggetto che decide più o meno spontaneamente di accedere ad un servizio socio-sanitario. Gli
Autori suggeriscono di utilizzare un linguaggio il più possibile neutro, riportando alcuni esempi
specifici di frasi da preferire che sono riassunte nella seguente Tabella (Tabella 1).
Tabella 1 Esempi di linguaggio inclusivo
Linguaggio non inclusivo: Linguaggio inclusivo:
Sei sposato/a? Attualmente hai un partner?
Hai una fidanzata/ un fidanzato? In questo periodo stai vivendo una relazione
sentimentale?
C’è stata qualche relazione particolarmente importante
dal punto di vista amoroso o sessuale?
Come si chiama tua moglie/ tuo marito? Come si chiama il tuo partner?
Possiamo dare un nome a questa persona?
Desidererebbe una moglie/ un marito? Che tipo di relazione le piacerebbe?
Ad una domanda di stampo eteronormativo, può derivare una chiarificazione da parte dell'utente del
proprio orientamento sessuale, ma questo lo pone in una relazione nella quale viene data per
scontata la propria sessualità, come se non fossero possibili altri orientamenti. Differentemente,
quando l'utente decide di condividere la propria sessualità, l'operatore potrà adattare il linguaggio di
conseguenza, evitando uno stile neutro per non dare feedback negativi. Un utente può definire il
proprio orientamento sessuale in modi diversi e usando terminologie differenti, quali: omosessuale,
gay, lesbica, etero, oppure può decidere di non adeguarsi ad una etichetta. Qualsiasi sia il caso
l'operatore deve saper ascoltare come la persona si definisce, come racconta le sue esperienze e
quali sfumature utilizza (Lingiardi, Nardelli, 2014). Anche la scelta di non comunicare al servizio la
propria sessualità deve essere rispettata, non obbligando l’utente ad affrontare la tematica, ma
dimostrando la propria apertura nei confronti di queste tematiche.
Come già indicato nel primo capitolo, quando comunichiamo a persone omosessuali o trattiamo
temi LGBT-correlati è importante utilizzare i termini cosiddetti “politicamente corretti”, dato che il
linguaggio è uno strumento potente per la costruzione della realtà e dell'identità dei soggetti
(Valerio e coll. 2013).
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3.1.2 Buone pratiche nel lavoro socio-sanitario con le persone LGB: l’esempio dell’Irish
Association of Social Workers
Molte sono le linee guida, raccomandazioni e esempi di buone pratiche sviluppate per i
professionisti dell’ambito socio-sanitario negli ultimi anni a livello internazionale. Tra queste si
individuano indicazioni emerse da Irish Association of Social Workers (IASW), pubblicate nel 2011
in collaborazione con Gay + Lesbian Equality Network (GLEN). IASW riconosce che le persone
LGBT detengono bisogni sanitari e sociali influenzati dalla loro sessualità, che dovrebbero essere
riconosciuti da pratiche inclusive messe in atto dai servizi socio-sanitari. Con pratiche inclusive
IASW intende:
Riconoscere e rispettare le differenze presenti tra gli utenti del servizio;
Creare un servizio accessibile e competente;
Individuare e conoscere le problematicità presenti nei diversi gruppi sociali ed essere in
grado di rispondere ai bisogni dei membri.
Questa pratica non si applica solamente alle persone LGBT, ma ad ogni diversità. La guida
sottolinea anche l’importanza di avere consapevolezza dell’impatto che il minority stress ha sul
benessere dell’utente e come può modificare il rapporto tra persona LGBT e servizi. IASW afferma
che l’assistente sociale può assumere un ruolo attivo rispetto la riduzione o eliminazione degli
ostacoli che questo gruppo sociale incontra nel momento di fruizione dei servizi. Gli stessi autori
citano le linee guida “Guidelines for psychological practice with lesbian, gay, and bisexual clients”
(2012) dell’American Psychological Association (APA), di cui si è parlato precedentemente,
affermando che il documento contiene linee guida capaci di supportare ed incoraggiare i
professionisti ad applicare un approccio affermativo nella pratica con utenti LGBT.
La prima parte del documento prodotto da IASW richiama l’importanza di un linguaggio rispettoso,
molto simile ai contenuti già emersi in precedenza. In particolare, introduce un aspetto innovativo
secondo il quale se l’operatore erroneamente opera dando per scontata l’eterosessualità dell’utente,
non deve ignorare questa situazione, ma dovrebbe porre le proprie scuse e, se necessario, parlarne
con la persona. Il professionista può venire a contatto con utenti restii nel confidare la propria
sessualità e che mettono in atto atteggiamenti evitanti circa questa tematica. In questo caso è
compito dell’operatore assicurare che il carattere del colloquio è prettamente confidenziale, perciò
ogni informazione rimane riservata.
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L'operatore che decide di affrontare tematiche legate alla sessualità comunica al soggetto che è
disposto ad accoglierlo nella sua globalità ed è disposto a supportarlo nelle fasi precedenti,
intermedie e finali del processo di coming out. In merito ad esso, la guida descrive alcune possibili
modalità corrette per esplorare questo processo e ciò che comporta. Vengono riportati alcuni
esempi:
Qualcuno sa che è gay/ lesbica/ bisessuale?;
Hai mai fatto coming out davanti a qualcuno della tua famiglia?;
Com'era il rapporto con te stesso e con gli altri prima del coming out?;
Conosci persone gay/ lesbiche/ bisessuali con le quali puoi parlare della tua situazione? Si
dimostrano essere supportive?;
Hai vissuto esperienze negative dopo il coming out?.
L'utente LGB che si presenta al servizio può anche trovarsi a vivere una situazione complicata
riguardo il processo di coming out. In questo percorso conoscitivo è importante che il servizio si
mostri sensibile e capace di rassicurare l'utente attraverso l'ascolto attivo, un comportamento non
giudicante e rispettoso, instaurando un rapporto fiducioso e accogliente, capace di creare un
ambiente positivo nel quale la persona può sentirsi sicura. Questo atteggiamento risulta importante
nel momento in cui l’utente decide volontariamente di non comunicare la propria sessualità. La
persona LGBT deve anche essere rispettata per la propria autodeterminazione.
La guida si concentra poi sugli atteggiamenti degli operatori. Nonostante l’omofobia sia un aspetto
che molti operatori non considerano come presente nel loro operare, essendo il professionista prima
di tutto una persona, possono essere comunque presenti pregiudizi e stereotipi legati
all’omosessualità. Nell'ambito del lavoro di cura quest'ultimi vengono chiamati bias anti
omosessuale (Lingiardi, Nardelli, 2014), ovvero preconcetti negativi circa gli orientamenti sessuali
non etero. E ’importante che, se presenti, l’operatore ne diventi consapevole in modo che la sua
pratica non venga influenzata da questi sentimenti, che possono diventare ostacoli alla relazione
professionista-utente e all'intervento di aiuto, in termini di raggiungimento degli obiettivi ed
efficacia dello stesso. I bias anti omosessuale possono influenzare la volontà di esporsi del soggetto
LGBT, il quale può attuare meccanismi di difesa ed evitare di affrontare la comunicazione circa la
propria sessualità. Le linee guida IASW indicano quali sono gli effetti di una pratica professionale
anti omosessuale:
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Esagerare o minimizzare il ruolo dell’orientamento sessuale nella vita dell’utente, non
riuscendo così ad avere un quadro chiaro della situazione del soggetto;
Cambiare argomento o porre fine anticipatamente alla discussione nel momento in cui si
affrontano le problematiche dell’utente legate alla sua sessualità;
Continuare a perpetuare sentimenti negativi e di non accettazione nei confronti di utenti
LGBT.
Differentemente l’approccio affermativo si basa sulle seguenti idee, che concorrono alla creazione
di un rapporto di fiducia e rispetto:
Non dare per scontato l’eterosessualità dell’utenza;
Credere che il problema sia il fenomeno dell’omofobia e delle discriminazioni correlate, non
l’orientamento sessuale o l’identità di genere del soggetto;
Operare riguardo la possibile presenza di omofobia interiorizzata nell’utente, in modo da
stabilire un’immagine corretta e positiva della sessualità;
Conoscere le diverse teorie riguardo il fenomeno del coming out nei soggetti LGB;
Riconoscere ed affrontare i propri bias anti omosessuali.
Per dimostrare l’inclusività di un servizio è possibile anche collocare all’interno degli uffici simboli
di attenzione e di rispetto della comunità LGBT, come per esempio l’immagine dell’arcobaleno,
poster di associazioni gay, linee telefoniche di supporto alle persone omosessuali. La guida IASW
suggerisce di esporre nella struttura del servizio un cartello capace di mettere in evidenza la politica
inclusiva, in particolare la formulazione può essere la seguente “Riconosciamo e apprezziamo la
diversità di tutte le persone che usufruiscono del servizio, senza discriminazioni per l’età,
orientamento sessuale, genere, etnia, stato civile, religione, disabilità”.
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Questo documento rinforza il concetto di “cultura”, inteso come la capacità di comunicare e mettere
in pratica azioni inclusive, indipendentemente dall’etnia, dall’età, dal genere e dalla sessualità delle
persone. Anche il concetto di “competenza” viene rivisitato da NASW come un indicatore di
atteggiamenti, conoscenze e capacità professionali. La competenza culturale nel lavoro sociale
viene definito come una forte consapevolezza circa le differenze che caratterizzano l’esperienza di
ogni persona, e la capacità di saperle contestualizzare nella società e nell’ambiente nella quale
queste persone vivono. La competenza culturale è un processo formato da comportamenti,
atteggiamenti e schemi mentali congruenti e rispettosi nei confronti di ogni persona (National
Association of Social Workers, 2015). L’articolo “Defining culturally competent practice with
sexual minorities: Implications for social work education and practice” (2004) ad opera di Van Den
Bergh e Crisp, esamina la competenza culturale nella pratica con utenza LGB. In particolare gli
Autori affermano che questa competenza si applica in tre dimensioni, la dimensione degli
atteggiamenti, della formazione professionale e delle abilità professionali.
La dimensione degli atteggiamenti comprende tutti i pensieri e gli schemi mentali del professionista
riguardo l'orientamento sessuale (Van Den Bergh e Crisp, 2004). È in questa dimensione che
possono manifestarsi pensieri omofobici e/o eteronormativi, sui quali il professionista deve
interrogarsi e porre rimedio. I “campanelli di allarme” circa questi atteggiamenti negativi possono
essere, sentirsi a disagio nello scoprire l’omosessualità dell’utente, interrompere la conversazione
quando si direziona verso la sessualità dell’utente, minimizzare o esagerare l’importanza
dell’orientamento sessuale per la sfera sociale e sanitaria della persona ed esporre idee e pensieri
eteronormativi. Se l’utente è un adolescente LGB, il professionista può erroneamente definire
l’omosessualità o la bisessualità come un “periodo di transizione” destinato a concludersi. Come già
sottolineato precedentemente, questi atteggiamenti sono indice di scarsa efficacia dell'assistenza
offerta alla persona che si presenta al servizio con un determinato bisogno.
La dimensione delle conoscenze rispecchia l'effettiva formazione personale e professionale che
ruota attorno alle tematiche LGB-correlate (Van Den Bergh e Crisp, 2004). L’operatore competente
è colui che utilizza una terminologia corretta, inclusiva (come visto precedentemente) e il più
possibile neutra. Inoltre deve essere a conoscenza delle caratteristiche interne alla comunità LGB,
come le caratteristiche demografiche, le differenze interne al gruppo, la storia legata
all’omosessualità (per esempio la medicalizzazione e gli anni di repressione) e le risorse interne
presenti nella comunità (per esempio circoli e punti di ritrovo). Come è stato più volte ripetuto il
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professionista deve anche avere consapevolezza riguardo le teorie sociali legate alla condizioni di
categoria minoritaria, come il minority stress e l’omofobia.
L'ultima dimensione è quella delle abilità pratiche, cioè della capacità professionale di applicare
metodologie di lavoro il più possibili inclusive (Van Den Bergh e Crisp, 2004). Le azioni sono state
già esplicitate nei precedenti paragrafi riguardo le Linee Guida nazionali e internazionali, ma
possiamo riassumerle così: creare un ambiente positivo ed accogliente, non dare per scontata la
sessualità dell’utente, supportare chi sta affrontando un periodo conflittuale con la propria
sessualità, riconoscere i sentimenti legati all’omofobia interiorizzata, includere la rete sociale nella
presa in carico della persona LGB e supportare l’utente in ogni fase del processo di coming out. Per
mettere in pratica tutto ciò risulta di fondamentale importanza mantenere costantemente aggiornata
la propria formazione professionale e personale riguardo le tematiche LGB-correlate (Van Den
Bergh, Crisp, 2004).
3.2 Le indicazioni del Social Care Istitute for Excellence (SCIE) per il lavoro con gli
utenti LGBT
In materia di buone pratiche nell’ambito del lavoro sociale con l’utenza LGBT, e più generalmente
di cura alla persona, risulta importante descrivere le indicazioni pubblicate nel 2011 da Social Care
Istitute for Excellence (SCIE). SCIE è un ente pubblico riconosciuto dal Sistema Nazionale
Sanitario, con il fine di supportare e migliorare dei servizi di assistenza sociale e sanitaria nel Regno
Unito, esso lavora con differenti tipologie di utenze, quali: famiglie, adulti, bambini, anziani e
adolescenti. Inoltre mantiene un continuo contatto e rapporto con i suddetti servizi. Il fine ultimo
dell'agenzia consiste nel migliorare la qualità di vita delle persone che necessitano di cure e
supporto. Le azioni che permettono di raggiungere questo obiettivo sono:
Individuare, per poi condividere, le conoscenze in merito a ciò funziona nei servizi e quali
sono le novità presenti;
Sostenere le persone che lavorano nell'ambito di cura e assistenza, in modo da favorire una
integrazione tra teoria e pratica; formare, influenzare e ispirare la pratica assistenziale.
Questo lavoro è supportato da approcci centrati sulla persona, i suoi bisogni e le sue risorse:
Approccio co-produttivo e collaborativo, il confronto con l'utenza stessa gioca un ruolo
fondamentale per capire i punti di forza e debolezza dei servizi. Inoltre viene promossa
41
l'uguaglianza nei trattamenti assistenziali, capaci di valorizzare e rispettare la diversità di
ogni persona;
Approccio centrato sull’utente, il quale cerca di individuare i bisogni delle persone per
migliorare la qualità dei servizi;
Approccio capace di cogliere nuove conoscenze ed innovazioni, con lo scopo di offrire una
formazione costantemente aggiornata.
A Febbraio 2017 si è condotto una ricerca usando la parola chiave “LGB” all’interno del archivio
online del sito SCIE. Da tale ricerca sono emersi 18 documenti che evidenziavano indicazioni o
contenuti inerenti alle tematiche LGBT-correlate. Nei paragrafi che seguono verranno descritti due
di questi documenti in quanto ritenuti di maggior rilevanza: il primo è “Implications for lesbian,
gay, bisexual and transgender (LGBT) people” (2011), una guida rispetto le prassi corrette da
adottare con soggetti LGBT; il secondo è “Dementia care and LGBT communities: a good practice
paper,” (2016), che si concentra in particolare sull’utenza anziana LGBT affetta da demenza e le
buone azioni professionali in merito.
In un breve documento sulla personalization care SCIE in collaborazione con Consortium
of LGBT Voluntary and Community Organisations vengono discussi alcuni aspetti in merito al
lavoro professionale con persone LGBT, in particolare la valorizzazione delle loro risorse interne ed
esterne (SCIE, 2011). Il documento “Implications for lesbian, gay, bisexual and transgender
(LGBT) people” prodotto nel 2011, fornisce alcuni esempi di buone prassi, anche se come indicato
sul portale web. necessita di ulteriori aggiornamenti. Secondo le indicazioni contenute in questo
documento i servizi di cura e assistenza alla persona dovrebbero centrare i loro programmi, le loro
offerte e i loro obiettivi sulla base di questi tre valori: persona al centro del proprio percorso di cura,
inclusione e personalizzazione delle cure.
La comunità LGBT non necessitano di ricevere trattamenti particolari, ma il servizio deve tenere in
considerazione comunque l’aspetto della sessualità nel momento della presa in carico. L'utenza
deve essere posta al centro di ogni azione fatta in nome del suo benessere, quindi bisogna
identificarla nella sua globalità e non solamente per l'aspetto che viene stigmatizzato dalla società.
Proprio per questo ad un buon supporto deve precedere un'altrettanta buona ed approfondita
conoscenza della persona, del suo contesto di vita, della sua rete famigliare ed amicale ed
esperienze significative in positivo ed in negativo. Quando si lavora con soggetti LGBT, o in
generale utenti discriminati, l'apertura mentale è uno degli strumenti che permette di affrontare il
42
percorso di aiuto senza pregiudizi;
Il concetto di inclusione fa parte delle buone prassi di ogni servizio che si mette a disposizione della
comunità. In questo caso con inclusione si può erroneamente pensare al concetto secondo il quale
bisogna trattare tutte le persone allo stesso modo. Nonostante sia un pensiero positivo e di buon
auspicio per un servizio, esso non basta per mettere in pratica una vera e propria inclusione delle
categorie minoritarie. Applicare a tutta l'utenza lo stesso trattamento e gli stessi atteggiamenti non è
rispettoso nei confronti dell'unicità della persona, la quale presenta aspetti personali ed esperienze
che fanno di lei un soggetto irripetibile. L'inclusione deve prevedere l'adozione di pratiche
rispettose nei confronti delle diversità, in modo da garantire a tutti i membri della comunità lo
stesso rispetto che meritano. Per fare ciò è importante sviluppare le capacità di ascolto attivo e
comprensione circa i vissuti di ogni utente, considerandolo come originale e al quale non è possibile
applicare un percorso di aiuto uguale ad un'altra persona. Un semplice esempio che può chiarire
l'idea di inclusione è l'impegno che i professionisti sociali e sanitari dovrebbero assumersi nel
utilizzare più spesso la parola partner, nel momento in cui si vuole indagare riguardo la rete sociale
dell'utente. Dato che l'eterosessualità non è un'esperienza comune, riferirsi ad un utente in termini di
moglie o marito può metterlo in una posizione difensiva, la quale può compromettere il rapporto
professionale;
La personalizzazione delle cure è il concetto più importante per quanto riguarda le buone prassi, in
quanto da esso traggono origine i valori del rispetto, dell'unicità della persona e del suo diritto
all'autodeterminazione. Con personalizzazione delle cure si intende il riconoscimento di ogni
individuo come soggetto detentore di risorse interne e capacità positive, il quale deve assumere un
ruolo attivo all'interno del suo percorso di aiuto. Questo approccio coinvolge l'utente nella presa di
decisioni riguardo i propri bisogni e come e in quale momento ricevere determinati supporti nel
corso della sua vita. Per metterlo a tutti gli effetti in una posizione attiva deve ricevere le giuste ed
adeguate informazioni, in modo da operare scelte il più possibili consapevoli. Il processo di
attivazione non riguarda solamente l'utenza, ma anche la comunità, la quale deve essere supportata
nel diventare competente, cioè sensibile e capace di offrire sostegno ad ogni categoria sociale.
Il Regno Unito si mostra un paese all'avanguardia rispetto le buone prassi da tenere nei confronti
delle categorie minoritarie, tanto che SCIE indica diversi esempi di progetti capaci di trasformare la
comunità da ambiente ostile ad ambiente positivo e supportivo. A Londra è stato ideato un progetto
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chiamato “Opening Doors”, esso riceve una determinata quota di denaro da parte della Lotteria
Nazionale, la quale ha scelto di donare parte del budget a cause socialmente utili. Questo progetto
mira a creare un punto di incontro per persone LGBT con più di 50 anni d'età, in modo da
combattere l'isolamento, promuovere l'autonomia e la stima di sé. Per fare ciò sono state ideate
attività ricreative, di incontro e servizi di call center sempre attivi. Opening Doors è stata pensata
per sopperire alle difficoltà quotidiane, come episodi di discriminazione, difficoltà nel muoversi
fisicamente all'interno della comunità, difficoltà a livello di salute, eccetera. Con queste azioni il
progetto cerca di migliorare e/o offrire un buon supporto all'adulto LGBT.
Differentemente a Brighton (Regno Unito), è stata creata MindOut, un'organizzazione composta da
volontari formati nel supporto alle persone LGB con problematiche a livello mentale. I volontari
sono soggetti anche loro LGB che hanno seguito corsi di formazione riguardo la malattia mentale e
la relativa relazione d'aiuto. L'organizzazione offre incontri con volontari formati, gruppi di auto
mutuo aiuto durante i quali poter condividere i propri vissuti e paure. Inoltre i volontari possono
sostenere il soggetto LGB nell'orientamento ai servizi assistenziali presenti nella comunità,
fornendo informazioni a riguardo e facilitandone l'accesso. Questi progetti, nonostante presentino
organizzazioni differenti, mirano entrambi allo stesso obiettivo, cioè creare una rete di supporto
positiva e competente per quei soggetti LGBT che presentano il rischio di emarginazione sociale.
La creazione di una rete può aiutare la persona ad acquisire più fiducia negli altri e verso sé stesso,
attenuando sia gli effetti del minority stress, che la sfiducia nei confronti della società.
Come detto precedentemente la ricerca ha evidenziato anche un marcato interesse circa l’area
anziani LGBT. Il documento “Dementia care and LGBT communities: a good practice paper, in
Social Care Institute for Excellence” pubblicato nel 2016 da SCIE prende in esame proprio questa
situazione, stilando buone pratiche ed azioni professionali da dedicare ad anziani LGBT che
soffrono di demenza. L’esperienza della malattia in una persona omosessuale non deve tenere conto
solamente della dimensione sanitaria e clinica, ma deve comprendere anche la dimensione legata
alla sessualità e al minority stress subito nell’arco della vita. Gli anziani LGBT possono quindi
vivere:
La paura di vedere “smascherata” la propria sessualità dal personale di cura dei servizi
socio-sanitari;
Una maggiore situazione di isolamento ed emarginazione sociale, a causa del proprio
coming out o per la decisione volontaria di nascondere la propria identità come meccanismo
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di difesa;
Uno stato mentale confusionario a causa della malattia degenerativa, il quale può alterare
maggiormente la percezione negativa dell’omosessualità derivante dall’ambiente di vita del
soggetto anziano.
Attualmente la ricerca non ha ancora sviluppato una risoluzione dalla malattia in questione, ma i
servizi socio-sanitari possono comunque intervenire nell’ordine di migliorare la qualità della vita
degli anziani LGBT, offrendo loro sostegno sociale.
Health4LGBTI è un progetto pilota finanziato dalla Commissione Europea iniziato a Marzo 2016,
finalizzato a diminuire le diseguaglianze in ambito socio-sanitario vissute da persone lesbiche, gay,
bisessuali, transgender e intersessuali (LGBTI). L’accezione “pilota” del progetto si riferisce alla
sua natura sperimentale. Il progetto si concentra sull’indagine dei bisogni, sulle disuguaglianze
rispetto l'accesso e la fruizione dei servizi e le difficoltà affrontate nell’ambito dei Servizi socio-
sanitari dalle persone LGBTI, analizzando anche i principali ostacoli incontrati dagli operatori
quando forniscono assistenza a questa tipologia di utenza. Come si può notare, il progetto riguarda
anche le tematiche relative alle persone intersessuali. I paesi europei mirano alla sensibilizzazione
dei professionisti del campo socio-sanitario riguardo ai bisogni di questa popolazione, fornendo loro
conoscenze e strumenti pratici per contribuire al superamento di barriere e disuguaglianze. In
particolare, si concentra anche sul superamento delle discriminazioni e di trattamenti non egualitari
o inappropriati riservati a diverse categorie minoritarie all’interno della popolazione LGBTI, quali
anziani, giovani, rifugiati, immigrati, disabili e chi vive in povertà; quindi considera il ruolo
dell’intersezionalità in relazione alla discriminazione.
Gli obiettivi specifici del progetto sono:
Migliorare ed approfondire la conoscenza riguardo le diseguaglianze nella fruizione e nei
trattamenti socio-sanitari riguardo la popolazione LGBTI;
Aumentare la consapevolezza nei professionisti del settore riguardo gli ostacoli e le barriere
incontrate da questa categoria sociale nel momento in cui necessitano di supporto e cure;
Aumentare la consapevolezza circa questa situazione di disuguaglianza nella comunità in
45
generale;
Fornire ai professionisti della cura alla persona strumenti ed abilità specifiche per
contrastare le problematiche riscontrare ed offrire un servizio rispettoso nei confronti della
persona e il più possibile efficace ed efficiente.
Il progetto per la sua realizzazione vede messi in campo differenti attori, tra i quali si è formata una
partnership mirando ad una azione il più globale possibile.
I partner coinvolti sono i seguenti:
Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, Italia (capofila del partenariato);
University of Brighton, Regno Unito;
The European Region for the International Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender, Intersexual
Association (ILGA). È un’organizzazione internazionale non governativa che riunisce 490
organizzazioni provenienti da 45 paesi Europei, con il fine di attivare un cambiamento
politico, legale e sociale rispettoso dei diritti umani.
The National institute of Public Health- National Institute of Hygiene, Polonia;
EuroHealthNet (Belgio). È una partnership no profit formata da aziende con il fine di
promuovere un sistema sanitario equo in tutta Europa.
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Conduzione di 6 focus group 4 in differenti Stati Membri dell’Unione Europea (Polonia,
Italia, Belgio, Bulgaria, Lituania, Regno Unito) per poter descrivere le disuguaglianze, le
barriere, ma anche le possibili risorse e buone pratiche, attraverso l’esperienza diretta di
operatori e di utenti;
La progettazione di moduli di formazione per aumentare le conoscenze e migliorare le
attitudini e le competenze dei professionisti che lavorano nell’ambito socio-sanitario. Il
training sarà testato e valutato nei sei paesi prima citati, per poi poter essere diffuso e
utilizzato in tutti i paesi europei;
Una conferenza Europea finale alla quale partecipano le organizzazioni che rappresentano o
operano con determinati gruppi sociali, gli operatori socio-sanitari, le organizzazioni
Europee, i responsabili delle politiche nazionali, regionali e locali nel campo della salute.
Con lo scopo di ampliare le conoscenze ad oggi relative al progetto e capire le sue implicazioni, è
stata condotta un’intervista al Professor Francesco Amaddeo (Professore di Psichiatria
dell’Università degli Studi di Verona), membro del progetto e responsabile del lavoro di
costruzione, implementazione e valutazione del training formativo per gli operatori dei servizi
socio-sanitari.
In merito ai focus group, anche a Verona sono stati svolti due focus group: il primo composto da
operatori socio-sanitari e il secondo ha visto la partecipazione di persone appartenenti alla comunità
LGBTI. Dal primo focus group è emerso un reale ed effettivo vuoto di preparazione da parte dei
professionisti, i quali hanno riconosciuto in prima persona una carenza rispetto nelle proprie
conoscenze e competenze riguardo alle tematiche e ai bisogni degli utenti LGBTI.
Il Professore specifica come il progetto si rivolga a differenti figure professionali: medici di base e
medici specialisti in diverse aree (per esempio chirurghi, urologi, ginecologi, infettivologi),
infermieri, assistenti sociali, ostetriche, psicologi. Aggiunge, inoltre, come il miglioramento
dell’accesso alle cure e l’appropriatezza dell’offerta socio-sanitaria passi anche da chi in prima
battuta accoglie e orienta l’utente nei servizi alla persona. Per questo, si è ritenuto di includere
anche il personale amministrativo e di front office nella formazione. Atteggiamenti discriminatori
verso le persone LGBTI possono infatti potenzialmente iniziare allo sportello nel momento del
riconoscimento della propria identità e, viceversa, una modalità comunicativa inclusiva può essere
utilizzata per favorire un’accoglienza e un aggancio positivo al Servizio. A tal riguardo, il training
47
proposto non vuole formare gli operatori in merito a specifiche competenze tecniche specialistiche,
proprie di ciascuna disciplina (medica specialistica, psicologica o sociale) nel lavorare con l’utente
LGBTI, ma piuttosto sensibilizzare gli operatori in merito alle possibili barriere e disuguaglianze,
aumentare le conoscenze generali sui bisogni degli utenti LGBT e potenziare quelle competenze
comunicativo-relazionali proprie della relazione d’aiuto operatore-utente nell’ambito socio-
sanitario.
Nello specifico, è stato chiesto al Professore quale è stato finora il coinvolgimento della figura
dell’assistente sociale e quali possono essere per questa professione le ricadute del progetto.
L’opinione degli assistenti sociali, in merito alle difficoltà nel lavoro con questa utenza e alle
possibili barriere e risorse dei servizi, è stata raccolta durante il focus group con gli operatori.
Inoltre, la componente del training sulle conoscenze relative alle disuguaglianze di salute e alle
discriminazioni in ambito socio-sanitario possono essere utili per gli assistenti sociali che operano a
contatto con utenze complesse che vedono una coesistenza di bisogni sanitari e sociali, come
nell’ambito della salute mentale, il settore ospedaliero e delle tossicodipendenze, ma anche per tutti
gli assistenti sociali che lavorano con altri ambiti di fragilità come nell’ambito dei Servizi per gli
anziani, disabilità o immigrazione. La parte del training relativa alle attitudini e alle abilità
comunicativo-relazionali, oltre che in questi ambiti, possono essere viste come una competenza
aggiuntiva per tutti gli assistenti sociali che lavorano nei servizi alla persona.
Il target del training è rappresentato sia da professionisti che lavorano nei servizi socio-sanitari, sia
da studenti a diversi livelli di formazione. Da un’analisi delle esperienze formative su tematiche
LGBTI, condotta in tutti gli Stati Membri, attraverso punti di contatto legati ad ILGA-Europe, è
emerso come nella maggior parte di questi paesi emergano esempi di attività formative, tuttavia
molto diverse tra loro. Tali attività sono rivolte a diversi operatori socio-sanitari, tra cui anche gli
assistenti sociali. L’analisi della letteratura scientifica più recente ha messo in evidenza la presenza
di alcuni studi nell’ambito della formazione a queste tematiche. Un’attenzione particolare sembra
emergere rispetto ai bisogni di giovani e anziani LGBT. Inoltre, se in alcuni paesi le tematiche
LGBTI possono essere inseriti nella formazione degli operatori (ad esempio infermieri) in moduli
per lo sviluppo di competenze culturali, il Professore afferma come “In Italia, a differenza di altri
paesi Europei, queste competenze non rientrano nel curriculum formativo dei professionisti socio-
sanitari”. La formazione è stata progettata per essere implementata attualmente in 6 paesi europei.
In futuro, dopo la sua valutazione, potrà essere disponibile anche per tutti gli altri paesi europei.
48
Il Professore ritiene che la formazione riguardo le tematiche LGBTI-correlate debbano far parte
delle competenze di ogni professionista che operi sia nell’ambito sanitario che sociale. Tutti gli
operatori che lavorano nei Servizi alla Persona, continua, nel corso della propria carriera, “possono
venire a contatto con utenze LGBTI senza saperlo e proprio per adottare un corretto atteggiamento
del professionista e sviluppare attenzione e sensibilità, diventa fondamentale la formazione di
competenze adeguate per mantenere una relazione di aiuto efficace”. Si è chiesto al Professore
anche qual è stata la sua percezione riguardo alla partecipazione e l’interesse dei professionisti
rispetto al progetto. “Determinate aree della salute del soggetto, come salute mentale, ostetricia e
urologia, mostrano un forte interesse riguardo ai temi LGBTI, mentre altre aree professionali
sembrano ignorare la problematica, dimostrando una scarsa sensibilizzazione”. L’ostacolo più
importante registrato dal Professore Amaddeo in merito alla partecipazione ai percorsi formativi su
queste tematiche riguarda proprio le “barriere” personali, legate ai pregiudizi e ai bias anti-
omosessuali. Dal focus group svoltosi a Verona ad esempio è emerso come “Le problematiche
vissute da omosessuali, bisessuali, transessuali, intersessuali vengono considerate come non urgenti
a confronto di altre problematiche sanitarie, ciò dimostra che esiste un atteggiamento
discriminatorio, che vuole nascondere le difficoltà e le scarse competenze del servizio”. Permettere
ai soggetti LGBTI di godere del proprio diritto alle cure e all’assistenza socio-sanitaria adeguata è
uno degli obiettivi principali del progetto e il risultato auspicabile. Per concludere, come da lui
affermato, “Spesso si ritiene che aggiungere un diritto ad una categoria equivalga a sottrarlo ad
un’altra categoria, in questo caso migliorare il diritto di un egualitario accesso alle cure mediche per
le persone LGBTI non equivarrebbe a modificare questo diritto per la cittadinanza eterosessuale. In
realtà, aumentare i diritti di alcuni significa migliorare la qualità ed il valore della vita di tutti. E’
quindi fondamentale riconoscere l’esistenza di sessualità e generi differenti, come esperienze umane
naturali che meritano uguale rispetto”.
3.4 Analisi delle tematiche LGBT-correlate nelle riviste Europee di Social Work
Il lavoro sociale è fortemente permeato da buone prassi e conoscenze, che sono di importanza
fondamentale per il benessere delle persone LGBT, perché permettono una assistenza efficace e su
misura per il soggetto. Nell’articolo “Few and far from radical? LGBT-related contributions” di
Nothdurfter e Nagy (2016), emerge come il lavoro sociale con persone LGBT non deve essere
considerato come un settore specialistico, ma richiede comunque una formazione appropriata e deve
49
presentare tutti i valori e le pratiche di rispetto ed inclusione proprie del lavoro sociale. Possedere
una buona conoscenza delle tematiche LGBT rappresenta un fondamentale requisito per una presa
in carico corretta nei confronti di questo gruppo di persone. Ad oggi, all’interno della letteratura
scientifica, è possibile osservare una notevole presenza di ricerche circa l’esperienza LGBT nei
rapporti con i servizi socio-sanitari. La revisione sistematica della letteratura condotta da
Nothdurfter e Nagy nel 2016 ha avuto proprio come obiettivo quello di individuare quanti articoli
con tematiche LGBT sono stati pubblicati nelle riviste scientifiche europei di servizio sociale
nell'arco temporale che va dal 2010 al 2015. Gli Autori sottolineano che i principali mezzi capaci di
veicolare queste conoscenze sono proprio le riviste scientifiche, le quali costituiscono il luogo più
rigoroso, metodologicamente fondato e facilmente accessibile nel quale poter apprendere le basi
della professione sociale. Per l’elaborato di tesi si è deciso di approfondire la ricerca, da loro
sviluppata, ampliando l'indagine agli anni 2016 e Gennaio 2017.
Lo studio originale ha preso in esame cinque riviste europee ad alto indice di impatto circa il
servizio sociale:
The British Journal of Social Work;
European Journal of Social Work;
Journal of Social Work;
International Social Work;
Social Work Education.
La scelta di queste riviste europee è stata determinata dai seguenti criteri di inclusione:
Avere una redazione editoriale europea;
Avere propositi e obiettivi applicabili in tutta la comunità europea;
Trattare un largo spettro di tematiche sociali e relative al lavoro sociale professionale,
ricerche, studi e formazione;
Essere una rivista indicizzata (Web Science Citation Indexing).
Gli autori partono dal presupposto, che assistenti sociali, educatori, studenti e ricercatori che non si
dimostrano particolarmente sensibili alle tematiche legate all’omosessualità o all’identità di genere
difficilmente si informeranno su questi temi attraverso riviste specialistiche di settore. Per questo
motivo la ricerca ha preso in esame riviste mainstream, quindi accessibili a chiunque, con un target
di lettori molto ampio, proprio con lo scopo di mostrare che le conoscenze nell’ambito
dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere non sono argomenti professionali specialistici.
50
Le tematiche, infatti, coinvolgono trasversalmente diversi ambiti del lavoro sociale, l’educazione, le
buone prassi e la ricerca.
La ricerca da parte degli autori è stata condotta attraverso una ricerca nell'archivio tramite parole
chiave, quali: omosessualità, transgender, LGBT, orientamento sessuale, identità di genere,
eteronormatività, omofobia, eccetera.
La ricerca originale ha portato ai risultati riportati nella tabella sottostante (Tabella 1).
Tabella 1. Tratto da ““Few and far from radical? LGBT-related contributions” di Nothdurfter e
Nagy (2016)
I risultati hanno messo in evidenza che sono due le riviste che hanno pubblicato più articoli legati
alla tematica LGBT, il The British Journal of Social Work e il The International Journal of Social
Work. Generalmente si riscontra una bassa presenza di articoli a tema LGBT-correlati nelle riviste
Europee nell’ambito del lavoro Sociale.
Dallo studio è possibile evidenziare due argomenti principali che dominano le pubblicazioni. Il
primo ambito riguarda la formazione e l’educazione nel lavoro sociale:
Esperienze e raccomandazioni di studenti LGBT di servizio sociale;
Atteggiamenti ed eventuali pregiudizi riguardo l’omosessualità sia degli assistenti sociali,
sia degli studenti che stanno affrontando il percorso di studio di servizio sociale;
Il coming-out nel contesto scolastico e il ruolo che può avere l’insegnante in questo
processo ;
Dibattiti tra sessualità e credo religioso
Pregiudizi circa la sessualità manifestati da professionisti del sociale;
Educazione nel lavoro sociale riguardo le problematiche di tipo sessuale.
51
Il successivo argomento comprende le azioni professionali nei confronti di utenti LGBT anziani e
generalmente le buone pratiche del lavoro di cura:
L’invecchiamento delle persone LGBT in contesti di vita rurali;
Gli anziani LGBT;
Rete sociale di supporto a favore degli anziani LGBT.
Per quanto riguarda la prosecuzione del lavoro sono state prese in esame le due riviste che, sulla
base della ricerca originale presentavano un numero maggiore di articoli LGBT pubblicati negli
anni presi in esame: The British Journal of Social Work e The International Journal of Social Work
Education.
E’ stata condotta una ricerca online nei siti ufficiali delle riviste scientifiche analizzando per ciascun
volume pubblicato nel 2016 e 2017 gli articoli pubblicati. Dall’analisi del titolo e dell’abstract sono
state selezionati gli articoli con tematiche LGBT legate al servizio sociale.
In The British Journal of Social Work sono emersi altri 9 articoli a tema LGBT nell’anno 2016, dei
quali 2 dedicati alle buone prassi della professione sociale (inclusione, lotta all’emarginazione,
rispetto dell’utente, personalizzazione delle cure) e ben 7 dedicate alla formazione degli assistenti
sociali riguardo le tematiche LGBT (omofobia, bullismo omofobico, episodi di violenze fisiche nei
confronti di persone transgender, transfobia).
In The International Journal of Social Work Education sono emersi altri 3 articoli a tema LGBT
nell’anno 2016, dei quali 2 legati alle buone pratiche della professione sociale (inclusione e lotta
all’emarginazione) e 1 legato alla formazione (omofobia).
52
CONCLUSIONI
Il termine-ombrello LGBT è un acronimo utilizzato per riferirsi a persone lesbiche, gay, bisessuali e
transgender/transessuali. Le persone LGBT possono divenire oggetto di discriminazione ed
esclusione sociale, in quanto membri di una categoria socialmente considerata come minoritaria.
Esempi di discriminazioni si presentano in diversi ambiti della vita delle persone lesbiche, gay,
bisessuali e transgender/transessuali: accesso ai servizi, compresi l’accesso e i trattamenti nei
servizi socio-sanitari, ricerca di un alloggio, educazione e mondo della scuola e accesso e
permanenza nel mondo del lavoro. Le esperienze di discriminazione rappresentano una componente
del Minority stress, inteso come una tipologia di stress psicosociale che deriva dall'appartenenza ad
un gruppo sociale considerato “minoritario” (Meyer, 1995). Il Minority Stress è definito come “una
dimensione di stress continuativo, micro e macro traumatico, conseguenza di ambienti ostili o
indifferenti, episodi di stigmatizzazione, casi di violenza” (Lingiardi, 2007: pag 76). Oltre alle
esperienze vissute di discriminazioni esso si compone di altre due dimensioni: l’omofobia
interiorizzata e lo stigma percepito. Gli episodi di discriminazione dovuti ai pregiudizi e allo stigma
presente nella società, i vissuti legati ad omofobia interiorizzata, lo stigma percepito, possono
incidere sulla vita quotidiana delle persone lesbiche, omosessuali, bisessuali e transessuali e sul loro
benessere psicofisico. Il minority stress è stato studiato come uno dei fattori che possono aumentare
il rischio di alcuni problemi di salute mentale nelle persone LGBT.
Nonostante queste criticità, un importante fattore di mediazione è rappresentato sia dal supporto
sociale, che può derivare dalle reti sociali più importanti per la persona, come quella familiare ed
amicale, sia dalla resilienza, intesa come la capacità di ogni individuo di affrontare con successo e
superare in modo funzionale ed adattivo le esperienze che lo mettono in situazione di difficoltà e
disagio. A differenza di altre minoranze, tuttavia le persone LGBT non possono sempre contare sul
riconoscimento e sostegno della famiglia, che può quindi rappresentare una fonte ulteriore di stress.
Nel suo complesso il secondo capitolo ha esplorato le difficoltà e i bisogni sperimentati dalle
persone LGBT, con particolare attenzione ad alcune tematiche di interesse per il lavoro nei contesti
socio-sanitari. Approfondire tali tematiche, risulta particolarmente importante per il lavoro
professionale sociale e sanitario, poiché senza aver coscienza dei bisogni e delle problematiche che
l’utente incontra non è possibile progettare un intervento di aiuto il più possibile efficace.
53
Differentemente dai primi due capitoli, il terzo ed ultimo capitolo ha approfondito aspetti legati alla
pratica dei professionisti socio-sanitari nel porsi in relazione d’aiuto con l'utenza LGBT, per poi
concentrarsi sulla figura dell’assistente sociale. Il concetto che ricorre nelle buone prassi e nelle
linee guida esaminate è quello di “inclusività”; trattare “come tutti gli altri” le persone gay, lesbiche,
bisessuali e transessuali è un buon punto di partenza, ma è necessario riconoscere le diversità per
attuare un vero e proprio cambiamento verso l’inclusività. Le persone LGBT necessitano di veder
riconosciuti i propri vissuti e i loro bisogni. Per mettere in pratica una professione inclusiva e non
giudicante è importante che l’operatore sviluppi conoscenze e competenze specifiche. Esse vengono
enfatizzate nei documenti internazionali esaminati.
L'omosessualità, nonostante la visione scientifica, risente ancora di numerosi pregiudizi e falsi miti,
in particolare viene ancora intesa come una anomalia se non una “(psico)patologia”, e non come
una variante naturale della sessualità umana. Gli operatori socio-sanitari potrebbero limitare la loro
pratica professionale all’ascolto rispettoso, cioè un ascolto libero da pregiudizi. Nonostante ciò, i
pregiudizi, gli stereotipi e gli atteggiamenti stigmatizzanti possono influenzare l’operato del
professionista e il processo di aiuto nelle professioni socio-sanitarie. Spesso i pregiudizi nascono
dalla mancanza di informazione. Risulta quindi importante riconoscere lo strumento della
formazione, indirizzata alla crescita dell’attenzione verso le tematiche LGBT e allo sviluppo di
competenze specifiche.
“Mettere al centro la persona” consiste nel riconoscere la persona come portatrice di bisogni, che si
presentano come unici, perché ogni soggetto presenta esperienze con sfumature differenti e nessun
problema è paragonabile ad un altro di uguale natura. L’esperienza umana è irripetibile e per questo
non può ricevere risposte standard, ma devono essere personalizzate e rispettose dei vissuti della
persona. Come descritto nel documento SCIE del 2011 “una cura e un supporto efficaci si basano
sul riconoscimento delle circostanze di vita della persona, la sua storia, la rete familiare, la rete
amicale, e tutte le figure supportive, bisogna anche tenere in considerazione i vissuti legati alla
discriminazione”. Inoltre, “Personalizzare le cure significa riconoscere gli utenti come persone che
hanno punti di forza, preferenze e metterli al centro della loro assistenza e sostegno”. Nel momento
in cui l’assistente sociale deve confrontarsi con una utenza LGBT deve avere coscienza rispetto il
bisogno di essere riconosciuti come persone e cittadini, accettati al loro bisogno. Riconoscere la
centralità della persona e della sua globalità è un concetto principe della pratica sociale, menzionato
54
anche nel Codice Deontologico Titolo II, articolo 7, “L’assistente sociale riconosce la centralità
della persona in ogni intervento. Considera e accoglie ogni persona portatrice di una domanda, di un
bisogno, di un problema come unica e distinta da altre in analoghe situazioni e la colloca entro il
suo contesto di vita, di relazione e di ambiente, inteso sia in senso antropologico culturale che
fisico”. L’approccio non giudicante è lo strumento che permette di instaurare un rapporto di fiducia
con l’utente. Il processo di aiuto si esplica nel colloquio professionale, inteso come uno scambio
comunicativo tra soggetti all’interno di un servizio. È un momento importante nella pratica sociale,
perché è in esso che si manifesta la relazione come tramite per conoscere l'utente, con il fine di
costruire insieme l'intervento di aiuto. Per fare ciò è importante conoscere la storia di vita della
persona, la quale si deve sentire libera di parlare ed esporsi. Proprio rispetto a questa tematica, i
documenti esaminati nel Capitolo 3 sottolineano l’importanza di una buona competenza
comunicativo-relazionale, proprio per gestire al meglio il colloquio e la relazione con l’utente,
utilizzando un linguaggio e uno stile comunicativo che non alimenti sfiducia verso i Servizi, ma
favorisca accoglienza, ascolto e rispetto e riduca le possibili barriere nell’accesso e nel trattamento.
A tal proposito il progetto europeo Health4LGBTI ha deciso di focalizzare i propri training
formativi sull’acquisizione di conoscenze e competenze rispetto la relazione operatore-utente
LGBTI, con particolare attenzione alla dimensione comunicativa.
Infine, gli assistenti sociali, e ogni professionista dell’aiuto dovrebbe riconoscere che
l’orientamento sessuale e l’identità di genere sono solamente uno degli aspetti che caratterizzano
55
l’identità delle persone LGBT. Divenire consapevoli e considerare nel processo di aiuto tutte le
possibili “identità” (per esempio l’età, lo status sociale, il credo religioso, l’etnia)
contemporaneamente presenti e integrate nell’utente permette di riconoscere veramente la globalità
dell’utente, i suoi bisogni specifici e le sue risorse interne ed esterne.
Per concludere, le conoscenze corrette e le pratiche inclusive sono fondamentali per mettere in
azione una pratica professionale che sia rispettosa nei confronti di tutte le categorie minoritarie e
che metta la persona al centro dell’intervento socio-sanitario.
56
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63
RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato nella realizzazione della mia tesi.
Ringrazio la mia Relatrice di Laurea Donisi Valeria per avermi indirizzata e per avermi
aiutata con dedizione nella stesura della tesi, rendendosi sempre disponibile ad ogni mio
dubbio.
Ringrazio il Professore Amaddeo Francesco per essersi reso disponibile ad una intervista e
offrendomi la possibilità di inserire nel mio studio importanti informazioni riguardo il
progetto Helath4LGBTI.
Ringrazio il Dottore Farinella Federico per avermi aiutata nella ricerca del materiale e per
aver partecipato alla revisione del mio elaborato.
Il ringraziamento più importante e profondo va alla mia famiglia, in particolare ai miei
genitori, per aver sempre creduto in me durante tutto il mio percorso scolastico. Senza il
vostro supporto, i vostri insegnamenti e i vostri sacrifici non avrei potuto raggiungere questo
importante obiettivo. Il traguardo è dedicato a voi, per tutto ciò che avete fatto per la mia
felicità.
Un grazie anche agli amici dentro e fuori all'università con i quali ho passato le gioie e le
difficoltà del percorso universitario. Infine, ma ugualmente fondamentale, ringrazio Carlo
Alberto per essere stato sempre presente, per aver condiviso con me ogni momento e per
l’affetto.
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