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LA « QUAESTIO DE ALCHIMIA»
FRA DUECENTO E TRECENTO
EDITRICE ANTENORE
VIA G. RUSCA 15
PADOVA
Estratto da
MEDIOEVO · Rivista di storia della filosofia medioevale II (1976)
. '
CHIARA CRISCIANI
LA «QUAESTIO DE ALCHIMIA»
FRA DUECENTO E TRECENTO
1. Si tratta dell' Avicennae ad Hasen Regem epistola de Re recta della tradizione la-
tina (cfr. Anawati, 301- 339), dove si trova un altro passo continuamente ripreso
in relazione al dibattito tra fautori e oppositori dell'arte: «Milù autem excusatio
non fuit in arte mea quin scirem intentionem ambarum sectarum. Consideravi ergo
libros affirmantium artem et inverri eos vacuos a rationibus .. . et reperi plurimum
eius quod in ipsis continetur alienationi similius. Et aspexi libros contradicentium
et reperi contradictionem levem, cuius similis ars non destruitur ». Dopo quelle di
Avicenna, sono da segnalare, tra le altre, le riserve e le critiche nei confronti dell'al-
chimia espresse, nella prima metà del sec. XIII, da Abd al-Latif e da Al-Jawbari, su
cui cfr. G. Sarton, Introduction to the History of Science, Williams and Wilkins, Bal-
timore 19502 , Il- 2, 5u; 599; 634.
2. Wiedemann, in Encyclopédie de l'Islam, rr, 1070; cfr. anche Ibn Khaldun,
273-274.
122 Chiara Crisciani
tano alla creazione di una nuova differenza specifica, ma si limitano
a condizionare, ad orientare una data sostanza, che, così disposta,
riceve poi la nuova caratterizzazione dallo stesso Creatore, senza
che l'artefice debba percepire o conoscere in dettaglio come si attui
questo processo.
La disamina più completa, infine, sull'intero problema dell'alchi-
mia - le sue origini, i suoi cultori, le prese di posizione che ha su-
scitato, i molti piani (dalla ciarlataneria alla speculazione religiosa)
su cui si è mossa - viene sviluppata da Ibn Khaldun, 1 che scrive in
un'epoca in cui il fervore della ricerca diretta in area islamica si è
venuto senz'altro rallentando e mitigando, e che quindi presenta
in una panoramica esauriente l'intero arco di sviluppo di questa
disciplina. Vari sono i tipi di alchimista che Ibn Khaldun individua,
dai falsari, che per destinataria delle loro truffe scelgono la non
scaltrita popolazione delle campagne, ai fammlloni, che ingenua-
mente sperano di ottenere dall'arte ricchezze con facilità, agli stu-
diosi onesti, che però si fondano più su fantasiosi racconti di espe-
rimenti riusciti che su reali osservazioni. In ogni caso, la letteratura
alchemica cui costoro a vario titolo si rifanno presenta come ca-
rattere costante 1' uso di espressioni enigmatiche e fuorvianti: già
questo costituisce per Ibn Khaldun una prova che 1' alchimia non è
un'«arte naturale», ma piuttosto una sorta di magia - e forse stre-
goneria - i cui seguaci si cautelano con un oscuro linguaggio dal
rigore con cui la legge religiosa persegue simili pratiche. Inoltre,
nonostante appunto gli improbabili resoconti dei risultati conse-
guiti, non pare che alcuno abbia mai avuto successo in quest'arte.
Non può stupire pertanto che essa abbia suscitato in ogni tempo
quelle serie perplessità che Ibn Khaldun, soffermandosi special-
mente sulle posizioni di Alfarabi e Avicenna, riporta con ordine,
facendole seguire da alcuni suoi argomenti che giudica particolar-
mente decisivi contro 1' alchimia intesa come arte naturale. Innanzi-
tutto è assurda la pretesa di imitare il complesso processo di genera-
zione naturale dei metalli, le cui innumerevoli componenti e con-
dizioni sono presenti solo ali' onniscienza divina; inoltre, se 1' arte
consegtùsse veramente i propri obiettivi, perpetrerebbe con ciò
'Q
La «Quaestio de alchimia» fra '200 e '300 127
I. Per i testi relativi all'alchimia in Vincenzo cfr. Spewlum naturale, VIII, capp.
81-85 e Specu/um doctrinale, xr, capp. 105-132 (ed. Duaci 1624); cfr. inoltre Berthe-
lot, r, 280-289 e M . Lemoine, L'oeuvre encyclopédique de V. de Beauvais, in La pensée
encyclopédique au Moyen Age, A la Baconnière, N euchatel, 1966, 77- 85. Tra i motivi
presenti nella disanùna di Vincenzo sull'alchimia significativi sono l'appello, contro
alcuni naturalisti che dichiarano l'arte inesistente, all'autorità di Platone, Aristotele
e altri grandi filosofi che, suffragati dall'esperienza, sono invece a suo favore; il ricor-
so agli exempla delle generazioni spontanee in natura contro chi sostiene che non si
può trarre un genus da un altro; l'uso sempre di exempla contro chi nega la perma-
nenza del nuovo colore o la capacità di tollerare il fuoco nel metallo trasmutato.
J
130 Chiara Crisciani
pare suscitare - un ragionevole margine di credibilità? Sul primo
punto Vincenzo ritiene di poter fornire una risposta precisa ed
esauriente: l'alchimia è senz'altro un' ars mechanica, consistente pro-
priamente nell' operatio manuum, che si subalterna alla più generale
philosophia naturalis tramite il livello intermedio della scientia de
mineris.
Indubbia ai suoi occhi ne è comunque la «non parva utilitas »,
perché essa fornisce, oltre a vari preparati, anche un indispensabile
ausilio all' ars Jabrilis e alla medicina. Proprio per questa sua posi-
tività, è importante chiarire se quell' «aliquid vanitatis et mendacii »,
che l'alchimia sembra comportare specie nella pretesa trasmuta-
zione dei metalli, invalida aìla radice le fruttuose potenzialità di
questa ars.) ben vero infatti che alcune obiezioni indurrebbero a
ritenerla falsa: e qui Vincenzo affastella in uno stile abbastanza asi-
stematico e frammentario, citando prevalentemente dal De anima
dello pseudo-Avicenna, argomenti-contra con le confutazioni. In
particolare, risulta certo preoccupante la nota critica espressa da
Aristotele nel IV libro delle Meteore,' ma va precisato che molti
esprimono riserve sulla sua autenticità e anzi la considerano un'in-
terpolazione dovuta a qualche altro autore: pertanto - tenuto conto
anche della schiera di rilevanti personaggi che, secondo il De anima,
possono essere considerati maestri di questa arte, - Vincenzo, alla
domanda «U trum huius artis scientia vel operatio vera sit an falsa»
ritiene di poter rispondere affermativamente, giacché, nonostante
le obiezioni elencate, «tam ab antiquis philosophis quam ab arti-
fìcibus nostri temporis probatur esse vera»."
Non è qui certo individuabile wu vera e--propria quaestio de al-
chimia, ma piuttosto forse una raccolta - non troppo sistematica
né esauriente - di sentenze: quasi che, intorno ad alcuni enunciati
della letteratura alchemica (tratti da filoni dottrinari anche diffe-
renti, che risultano elencati ma non mediati in sintesi organica),
Vincenzo venga coagulando vari argomenti pro e contra special-
mente di tipo analogico ed ex auctoritate{ fndubbiamente però la
trattazione dello Speculum può essere interpretata sia come un inte-
ressante sintomo per valutare la diffusione ormai notevole di inte-
r. Cfr. qui p . 120 n. 4.
La «Quaestio de alchimia» fra '200 e '300 131
ressi alchemici, sia come spia della presenza di un già vasto dibattito
sulla legittimità e corretta collocazione dell' ars nella cultura latina,
sia infine anche come tappa iniziale - e pertanto forse necessaria-
mente frammentaria - verso più sistematici approcci tendenti ad
organiche trattazioni. I
A più maturi e sicuri'èsiti perviene invece Alberto Magno nell' ac-
curato esame di aspetti della problematica alchenùca condotto nel
De Mineralibus. 1 Sul problema dei metalli Alberto qui dichiara che,
esaminati gli excerpta del Filosofo al riguardo, riferirà con ordine
sia le opinioni degli auctores che i risultati della sua personale e
vasta esperienza,:z frutto di appositi viaggi in distretti minerari e di
colloqui con esperti. In questo quadro, la discussione di problemi
alchemici viene inserita nella più generale trattazione relativa ai me-
talli: infatti, pur facendo appello più volte alla fecondità che va
attribuita agli experimenta alchemici quali criteri epistemologica-
mente rilevanti per indagare la natura e le proprietà dei metalli,
Alberto precisa che sul tema della trasmutazione in senso proprio
non spetta tanto al fisico giudicare quanto all'esperto alchimista:
l'alchimia per altro, come l'arte di reperire luoghi metalliferi, rien-
tra in parte nella scienza naturale e in parte nella scienza magica e fa
uso anche di «occultis et divinis ... experimentis ».
Comunque, delineate queste riserve e puntualizzazioni, e dopo aver
organizzato, sulla scorta di tm metodo in cui experientia e auctoritas
si integrano, le varie teorie sulla generazione dei metalli in una
prospettiva unitaria ed articolata, Alberto esamina alcune tesi cen-
trali anche per il tema della trasmutazione, 3 procedendo secondo
questa sequenza argomentativa: dimostra che i metalli sono diffe-
renti per specie, che le specie non si possono trasmutare, ma che
I. Per temi alchemici in Alberto cfr. Berthelot, 1, 290-292; R. Partington, Albertus
Magnus on Alchemy, «Ambix», 1 (1937), 3-20; Thorndike, II, 567-573; in particola-
re, sul rilievo di Alberto - come di R. Bacone - quali mediatori tra la tradizione
alchemica araba e la cultura universitaria europea cfr. Multhauf, 177-179. Per i testi
si fa qui riferimento specialmente al 1. III, tract. r del De Mineralibus (Alberti Magni
Opera Omnia, 11, 244-253); per opere alchemiche attribuite ad Alberto, si rinvia agli
studi di P. Kibre.
2. «Dicam igitur rationabiliter aut ea quae a Philosophis sunt tradita, aut ea quae
expertus sum. Exul enirn. aliquando factus fui, longe vadens ad loca metallica, ut
experiri possem naturas metallorum» (244a).
3. Cfr. specialmente De Minerali bus, III, 1, vii-ix, 250-252a.
132 Chiara Crisciani
tuttavia - e qui egli si esprime con competente prudenza - non è
detto che la trasmutazione sia impossibile, se solo verrà individuato
un corretto metodo.~Per il primo punto si tratta di valutare l' opi-
nione di coloro che ntengono che i metalli in realtà si riducano ad
una sola specie, quella dell'oro, essendo gli altri solo oro incompleto,
e dunque aborti imperfetti da completare, malati da curare. rTre
sono gli argomenti a favore di questa tesi, cui Alberto risponde in
parte con confutazioni e in parte allegando argomenti-contra. Ana-
logamente, anche se con minor sistematicità, Alberto passa alla
confutazione della tesi opposta, che vuole che ogni metallo abbia
più forme e nature (occulte e manifeste, interne o esterne, domi-
nanti o latenti), per affrontare infine la questione « Utrum species
metallorum possint ad invicem transmutari sicut dicunt Alchimici ;;
Qui la discussione è imperniata sulla frase «sciant artifices alchimi'àe
species permutari non passe», attribuita da alcuni ad Aristotele, ma .11
secondo Alberto espressa da Avicenna: d'altronde lo stesso Avi-
cenna ha trovato contraddizioni e deboli argomenti tra gli oppo-
sitori della trasmutazione alchemica. Converrà allora ritenere che
gli alchimisti debbano operare come i medici, che la loro arte si
limiti cioè a «purgare» la materia dei metalli, a «confortare» le
sue virtù «elementales et caelestes », secondo la proporzione della
mistione del metallo che si intende ottenere: si lascerà poi operare
la natura, anche se verranno usati un calore e recipienti diversi
da quelli naturali. Il metodo corretto per effettuare queste opera-
zioni non è forse stato ancora messo a punto, ma è questa per Alberto
la via da seguire, e non quella che attualmente percorrono i molti
«deceptores » che si limitano ad adulterazioni anche abbastanza
grossolane.
È evidente come la padronanza dei testi aristotelici e della lette-
ratura alchemica, nonché la notevole experientia personale consen-
tano ad Alberto di muoversi con critico distacco rispetto alle
proprie fonti, e anzi di rifondere con competenza difformi e fram-
mentari nuclei dottrinari, che egli individua e pone a confronto con
L
sicurezza, in teorie unitarie più vaste ed articolate non siamo di ,
fronte ancora ad una quaestio de alchimia che esamini a fondo tutti i
problemi relativi a quest' ars: si tratta semmai di discussioni su de-
La «Quaestio de alchimia» fra '200 e '300 133
I. Anche il già citato Libellus de alchimia - circolante nella prima metà del sec.
XIV - fa riferimento ad un analogo peregrinare per città, castelli e miniere onde
effettuare inchieste tra i molti («literatos, Abates Praepositos, Canonicos, Physicos
et illiteratos ») che ormai si dedicano all'arte. Nel testo, prima della parte tecnico-ri-
cettaria, vengono rapidamente presentati consigli (su cui cfr. qui p. 127 n. 2) per evitare
i principali «errores, offendicula, deviationes » che portano l'operatore all'insucces-
so; esaminati questi limiti, che per essere dell'alchimista non invalidano certo l'arte,
si vuole provare «artem Alchemiae esse veram » contro quei «contradicentes » che
sono per lo più invidiosi (perché falliscono nell'opus) o ignoranti sulla natura dei
metalli. Stoltamente infatti essi lanciano la famosa frase «aristotelica », che in realtà
gli si può invece rivolgere contro, e sono definitivamente tacitati da argomentazioni
analogiche (exemp la) tratte però sempre dall'ambito minerale.
2. Tra la vasta letteratura dedicata al problema Djabir-Geber e all'originalità del
Geber latino cfr. Berthelot, l, 336-350; E. Darmstaedter, Die Alchemie des Geber,
Springer, Berlino 1922; J. M. Stillman, Petrus Bonus and supposed Chemical Forgeries,
« Scientific Monthly », 17 (1923), 318-325; J. Ruska, L'alchimie à l'époque du Dante,
«Annales Guébhard-Séverine », IO (1934), 4n-417; Ganzenmiiller, 19-32; Multhauf,
171-175.
3. Abel, 277. Le "novità" più rilevanti nella dottrina alchemica concernono
l'esclusione di ingredienti non minerali, l'accentuazione dell'importanza degli
acidi minerali, la generalizzazione dello «spirito» a costituente di quasi tutti i corpi,
l'insistenza infine su varie procedure tecniche di saggio.
134 Chiara Crisciani
verrà costituendosi come un testo base per la formazione degli alchi-
misti e come termine di confronto quasi obbligato nelle successive
ricerche: linfluenza di quest'opera sarà infatti assai rilevante sia per
lesaustività con cui, forse per la prima volta, l'argomento era stato
trattato, sia per le nuove teorie strettamente alchemiche, sia infine
per la chiarezza e la sistematicità che caratterizzano limpianto
generale del testo. L'intento di fornire una limpida e completa
summa, che elimini le lacune, le ambiguità, i troppo affrettati reso-
conti reperibili in altri testi suoi o altrui, è dichiarato da Geber nel
proemio, dove afferma che« totam nostram Scientiam hic in summa
una redigemus »: qui il lettore deve essere dunque sicuro che «. .. to-
tam artis operationem in capitulis generalibus universali disputa-
tione, sine diminutione aliqua sufficienter contineri ». 1
Se si riconoscono nei primi capitoli della Summa alcuni temi -
doti necessarie all'alchimista, suoi possibili errori, condizioni per un
corretto operare - tipici della letteratura alchemica specialistica,
questi, anziché ricorrere in modo frammentario, rapido e quasi
casuale, vengono sistematicamente affrontati perché ne possa emer-
gere sia un completo codice di comportamento per il perito, sia
lindispensabile base su cui fondare lapprendimento corretto dei
successivi capitoli. Geber non si sofferma analiticamente (non
giudicandolo evidentemente un problema, dalla sua ottica di spe-
cialista) su di un'esplicita disamina del tema della collocazione
dell' alchimia nel corpus delle scienze: la sua dignità - come ars e
come scientia - gli pare indiscutibile, tanto che la definisce «excel-
lentissima nobilisque pars Philosophiae»; né insiste nell'individua-
zione di rapporti di subalternatio in senso stretto tra alchimia e altre
scienze, anche se avverte che condizione necessaria per raggiungere
il fine dell'arte è una buona conoscenza dei «principia naturalia».
Più articolato è invece lesame delle condizioni psicofisiche che
dall'artefice devono essere rispettate per poter affrontare questa arte:
I. Uso il testo della Summa peifectionis magisterii edito in Mg. r, 519- 557: nel proe-
mio (Mg r, 519) Geber fornisce anche mia guida alla fruizione più produttiva
del testo indicandone lo schema generale. Compiacimento per la propria chiarezza
metodologica ed espositiva Geber m anifesta anche nel Liber investigationis magisterii,
dove ricorda (Mg. r, 558) la Summa come testo «in quo quaecumque vidimus et
tetigimus, complete secundum scientiae ordinem determinavimus, secundum ex-
perientiam et cognitionem certam ... ».
La «Quaestio de alchimia» fra '200 e '300 135
invano infatti si dedicherà ali' opus chi è inefficiente sia «ex parte
corporis », perché non dispone della forza fisica e della destrezza
manuale indispensabili a quella « ministratio naturae » che è alla
base dell'operazione, sia «ex parte animae », perché chi è volubile,
privo di ingegno, o predisposto ali' ira, o ha spirito fantasioso e fa-
tuo, non riesce né a comprendere le leggi della natura né ad appli-
carsi con costanza all'arte; chi poi è «servus pecuniae », potrà forse
aver chiare le corrette procedure ma, troppo cauto nell'investire le
proprie sostanze, per avarizia mancherà lo scopo. 1
Una volta individuati gli impedimenti interni, soggettivi, che
l'artefice dovrà cercare di prevenire o correggere, Geber, più che
da una riflessione filosofica specificamente dedicata a ciò, pare far
emergere la sicura certezza della legittimità della ricerca alchemica
dall'eliminazione di impedimenti in un certo senso esterni, cioè
dalla compiuta confutazione delle obiezioni - frivole o inconsisten-
ti o provocate da errori di fondo - che si sono levate nei confronti
dell'arte. Qui - ed è forse questo uno dei più originali contributi
di Geber alla sistemazione della quaestio de alchimia - egli procede
preliminarmente ad una chiara distinzione degli avversari in due
gruppi: se già nel proemio aveva avvertito che avrebbe disputato
contro «ignorantes et sophistas, qui propter eorum ignorantiam et
impotentiam ... artem interimunt, et ponunt non esse», 2 ora pre-
cisa che un diverso atteggiamento, anche argomentativo, va tenuto
nei confronti di coloro che in malafede, o comunque con argomenti
in sé inconsistenti e sofistici, «negant ... simpliciter » l'arte e quelli
che errano nell'opus perché procedono da ipotesi false, scaturite dalla
loro ignoranza, e quindi dichiarano l'alchimia impossibile. Mentre
dagli attacchi dei primi non escono che ridicoli sophismata e phan-
tasias, gli errori dei secondi (che sono onesti, anche se limitati,
studiosi in buona fede) possono avere ben più gravi conseguenze
I. Cfr. per questi temi Summa, Mg. r, 520-52rab. Questi i titoli dei primi capi-
toli: I, «De Impedimentis quibus impeditur huius operis Artifex» ; n, «De Impedi-
mentis ex parte Corporis »; III, «De Impedimentis ex parte Anima e »; IV, «De Impe-
dimentis fortuito casu supervenientibus »; v, «De hiis quae oportet Artifìcem con-
siderare». Segue (s2rcd-524ab) lo sviluppo della quaestio.
2. Summa, Mg. r, 519: il testo così prosegue: «Ponamus igitur omnes rationes il-
lorum, et postea eas evidentissime destruemus: ita quod prudentibus satis patefiat
aperte nullam illorum sophismata veritatem continere».
136 Chiara Crisciani
perché, col tramandare i loro falsi e unilaterali presupposti, essi
moltiplicano 1' errore e rendono più laboriosa ai posteri l'individua-
zione della verità: proprio perché di errori si tratta e non di argo-
menti-contra, la loro confutazione, o meglio correzione, più co-
gente sarà costituita dall'intero trattato di Geber.'
I Sophistae paiono però più pericolosi almeno ad un primo sguar-
do, perché non si muovono, come fanno sia pure inciampando gli
ignoranti, entro i parametri di una disciplina almeno inizialmente
accettata, ma puntano a minarne, alla radice e dall'esterno, la stessa
possibilità. È dunque urgente mostrare la fallacia, tortuosità ed
inconsistenza dei loro argomenti. Alcuni di essi segnalano l'impos-
sibilità di conoscere, e/o imitare, il processo seguito dalla natura: ci
sono ignoti infatti la proportio 2 dei miscibili nel misto (da cui con-
segue la forma dei diversi metalli), e il modo di commistione che la
natura adotta nelle miniere; diverso è anche il calore che essa usa e
lunghissimo il tempo impiegato nella generazione dei metalli. Al-
tri, che più che argomenti sono persuasiones retoriche, prendono lo
spunto dalla storia dell'alchimia: molti sapienti vi si sono dedicati,
molti principi e potenti hanno organizzato équipes di ricerca e sem-
pre invano; gli stessi alchimisti non osano tramandare i loro risul-
tati in modo chiaro: basta tutto ciò a qualificare 1' arte come frivola
e vana. Infine alcuni rilevano che «perfectio datur a stellis », che
ciascuna cosa cioè acquisisce l'essere in momento da una determinata
configurazione astrale che è il risultato di più moti componenti;
non solo questi, nella loro complessità, ci sono ignoti, ma se anche
individuassimo il «situm unius aut plurium stellarum certum, quo
datur metallis perfectio », ciò non gioverebbe nell'opus che si svolge
in fasi successive e non in instanti.
L'errore di molti argomenti consiste, per Geber, nella convin-
zione - che fuorvia anche numerosi alchimisti - che 1' arte debba in
1. Per Grossatesta cfr. De artibus liberalibus, in Die philosophische Werke des Robert
Grosseteste, ed. L. Baur, Aschendorff, Miinster r9r2 (BGPhM, 9), 5 (« ... nulla enim
aut rara est operatio, quae naturae sit et nostra, utpote vegetabilium plantatio,
mineralium transmutatio, aegretudinum curatio, quae possit ab astronomiae of-
ficio excusari. ») e 6 («In praeparatione vero lapidis, quo metallorum fit transmuta-
tio, non minus necessaria est horarum electio »). Tra i numerosi passi di Bacone su
questo tema cfr. Part of the Opus Tertium, ed. A. G. Little, Aberdeen University
Press, Aberdeen r9r2, r2 («Sicud enim naute et agricultores et alkmiste et medici per
vias astronomie considerant tempora electa in qui bus operentur ») e r4 (« Nam astro-
nomia habet proprias sapientie considerationes, prout rectificet omnia opera scien-
tiarum aliarum, ut Medicine, Alkirnie et agricolture ... quarum opera electa tem-
pora requirunt. »). Per Alberto cfr. Thorndike, rr, 569 e De Mineralibus, 252-253a.
2. In Aristotelis libros .. . Meteorologicorum expositio, L. III, I. rx (ed. R. Spiazzi,
Marietti, Taurini-Romae 1952, 644).
La « Quaestio de alchimia» fra '200 e '300 139
ze, specialistiche e non; sia dalla quasi totale assenza - anche nella
quaestio - di citazioni esplicite da auctores, giacché il patrimonio
della traditio è assorbito e rifuso in una impostazione autoconsi-
stente; sia infine dall'indicazione sistematica e realistica dei carat-
teri del vero peritusJ
Se la quaestio di Geber si presenta dunque come la riflessione orga-
nica di uno specialista sul proprio campo di ricerca, sui criteri me-
todologici che mette in opera nello sviluppare le sue indagini in
una specifica disciplina, la quaestio di Timone Giudeo sull'alchimia,
cronologicamente più tarda, costituisce, all'opposto, il contributo
che al dibattito sull'argomento viene offerto dall'esterno, cioè da un
fùosofo naturalista operante nel contesto universitario parigino
della metà del sec. XIV, e rappresenta un caso significativo di im-
patto tra l'alchimia e quella cultura universitaria che non sembra
averla per altro mai annov_erata tra le discipline costituenti il curri-
culum ufficiale degli studi. '. La quaestio di Timone non è inserita in
un'opera dedicata all'alchimia, ma fa parte delle Questiones super
quatuor libros Meteororum 1 ed è sviluppata secondo i canoni più
rigorosi della tecnica questionativa legata all'insegnamento e alla
cultura universitaria. ln-fatti! al titolo «U trum per iuvamen artis
possint fieri metalla sicut iris et halo artificialiter quandoque
fiunt», seguono l'elenco degli argomenti (otto contra e cinque pro),
la determinazione di punti notevoli (dove vengono considerate va-
rie teorie sulla generazione dei metalli), tre conclusiones e la confuta-
zione degli argomenti contrari alla tesi sostenuta.-!
Gli argomenti, anche se esposti in maniera tecnÙ:amente più arti-
colata, non presentano novità sostanziali rispetto all'elenco di Ge-
ber; quelli a favore sono fondati su significative analogie tra quanto
si realizza in ambito alchemico e generazioni di misti in altre sedi.
Timone accosta cioè ~ pur non ponendosi in modo esplicito il pro-
blema del carattere proprio dell'alchimia in quanto arte e del suo
Giovanni XXII nella sua decretale contro gli alchimisti aveva infatti
sottolineato in primo luogo il pericolo implicito nell'arte di fraudo-
lenti attentati ad un regolare andamento economico-finanziario,
John Dastin concludeva l'epistola dedicata al pontefice affermando
che «Hoc ergum magisterium pertinet ad reges et huius mundi
altiores, quia qui habet ipsum, indeficientem habet thesaurum»; 1
così il giurista Andrea Isernino nei suoi Commentaria in usus Jeu-
dorum considerava legittima l'attività dell'alchimista, purché questi
«non cuderet pecuniam Principis ... sine iussu Principis». 2 In que-
sta prospettiva significativo è infine l'interesse che nella Francia
stessa della prima metà del secolo la corte pare dimostrare verso
queste ricerche, dato che anche alcmù trattati e opuscoli alchimistici
sono a vario titolo connessi, per dedica o attribuzione, a membri
della famiglia reale. 3
r. Per la decretale « Spondent quas non exhibent » cfr. Corpus ]uris Canonici, ed.
E. Friedberg, Leipzig 1879 (ripr. Graz 1959), II, 1295; per Dastin, cfr. Epistola, 43.
2. Cfr. Johannes Chrysippus Fanianus, De iure artis alchimiae, in Mg. II, 212. Qui
sono riportate conclusioni sulla legalità dell'alchimia espresse da vari giuristi che,
pur tralasciando la confutazione degli argomenti contrari alla tesi sostenuta, elen-
cano succintamente, rifacendosi in buona parte a fonti giuridiche ma anche ad altre
testimonianze e a esperienze di contemporanei alchimisti, argomenti pro o contro
l'alchimia. Questi testi (tra i quali figurano, per il sec. XIV, quelli di Oldrado da
Ponte, Giovanni d'Andrea, Andrea Isernino) segnalano comunque l'attenzione con
cui alcuni problemi posti dalla diffusione dell'alchimia (sua legalità, possibili frodi)
vengono seguiti da giuristi spesso legati professionalmente anche a principi e signo-
ri. I giuristi per lo più si pronw1ciano (anche se con alcune riserve e cautele) per
la legalità dell'arte, mostrando wia sia pur generica competenza su teorie alchemiche
e ricorrendo ad argomentazioni schiettamente giuridiche (cfr. ad es. Oldrado da
Ponte, che giudica legittima un'arte che imiti la natura perché su questo rapporto
si fonda anche l'istituto dell'adozione, e che nota come da vari testi giuridici non
venga prevista una pena troppo rilevante per chi spaccia metallo vile per nobile).
Significativamente, infme, non si trova qui cenno alle pur contemporanee condanne
dell'alchimia emesse dagli ordini (domenicano, francescano, cistercense) e alla de-
cretale di Giovanni XXII.
3. Questi accenni non pretendono certo di esaurire una ricerca, ancora aperta,
sullo sviluppo dell'alchimia in relazione a richieste di metallo pregiato, a movimenti
inflattivi nel corso del sec. XIV, all'andamento dell'industria estrattiva e del diritto
minerario (per cui si vedan B. Gille, Les développements technologiques en Europe de
1100 à 1400, «Cahiers d'histoire mondiale», 3, 1956-57, 79; 91-92; 103; e U. Forti,
Storia della tecnica, Utet, Torino 1974, II, 159-160) e al dibattito in corso sul problema
dell'usura. Su quest'ultimo punto si può almeno accennare al fatto che l'argomento
invocato da Innocenzo IV (R. H . Tawney, La religione e la genesi del capitalismo, trad.
it., Feltrinelli, Milano 1967, 53 e G. Le Bras, Usure, in DThC, XV, II, 2350-2351)
contro l'usura (se si diffondesse, gli uomini per varie cause non si dedicherebbero
più all'agricoltura e si avrebbe wia generale carestia) presenta qualche consonanza
144 Chiara Crisciani
4. La quaestio de alchimia che si trova inserita nella PretiosaMarga-
rita Novella di Pietro Bono costituisce - come quella di Timone -
la disamina che uno studioso dotato di cultura universitariar (non
connesso però questa volta all'ambiente ed all'insegnamento uni-
versitari) sviluppa sull'alchimia dall'esterno e non in veste di ricer-
catore specialista; come nel caso di Geber, la quaestio fa qui parte di
un vasto trattato, assai poco rilevante però per quanto concerne
nuove teorie alchemiche in senso proprio e invece interamente de-
dicato ad una riflessione fìlosofìca sull'alchimia. Così, mentre in
Geber la discussione della quaestio rappresentava, come l'elenca-
zione delle doti dell'alchimista, un momento determinante soprat-
tutto in quanto propedeutico alla successiva trattazione di conte-
nuti specialistici e tecnici, in Bon.o1essa costituisce invece l'ossatura
teorica che regge tutto un trattatò volto a garantire quella fonda-
zione filosofica della portata dell'alchimia su diversi piani - scien-
tifico, religioso, tecnico - che l'autore ritiene indispensabile porre
prima di passare all'esecuzione dell' opus. 2 ·La quaestio di Bono si
significativa con quello che alcuni alchimisti allegano per giustificare la difesa del
segreto alchemico : ad es. Bono nella Pretiosa Margarita No vella (l'opera d'ora in
avanti verrà indicata con P. M. ed è edita in Mg. II, l-80), 33b, trae dalla tradizione
e cita, approvandola, la seguente opinione : «Ideoque patens opus lapidis aliis in lu-
cem non posuerunt, timentes ne luce manifesta, totus mundus vergeret ad occasum,
metendi, seminandi, plantandi, agriculturae periret exercitium». Va comunque
sottolineato che le aree in cui sembra darsi nel sec. XIV un forte impulso alla ricerca
alchemica e anche un interesse, sia pure oscillante, per essa da parte di sovrani,
sono quelle - Inghilterra, Francia, Italia settentrionale - in cui forse più avvertiti
risultano problemi di ordine economico-fmanziario (cfr. su ciò Thorndik:e, III,
173-174; Ganzenmilller, 92-96; F. S. Taylor, The Alchemists, Heinemann, London
1951, 123-130; G. Carbonelli, Sulle fonti storiche della Chimica e dell'Alchimia in
Italia, Istituto nazionale medico-farmacologico, Roma 1925, VIII-ne).
I. Bono è medico (si definisce «physicus subtilis »), salariato in quanto tale dai co-
muni di Pola (1330) e probabilmente di Traù (1323): di lui, oltre a questi dati forniti
nell'explicit dell'opera (P. M., 8oc), poco si sa (cfr. Stillman; Ruska, L'alchime à
l'époque du Dante; Thorndik:e, III, 147-162; C. Vasali, Pietro Bono, in Dizionario
biografico degli italiani, XII, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1970, 287-289;
C. Crisciani, The Conception of Alchemy as expressed in the Pretiosa Margarita Novella
ef Petrus Bonus of Ferrara, «Ambix», 20 (1973), 165-181). Notevole è invece la for-
tuna della sua opera: essa conosce numerose edizioni, parafrasi e traduzioni e, ben-
ché stroncata da G. Plattes, è apprezzata, tra gli altri, da Ludovico Lazzarelli e lo-
data, per l'ampiezza ed esaustività, da Olaus Borricchius.
/ 2. Bono infatti più volte dichiara di non essersi ancora cimentato nella pratica
dell'arte (P. M., 8c; 52b; Soc), anche se risulta al corrente di varie tecniche me-
tallurgiche (P. M., l7b; 56b; 61c; 68b).
La «Quaestio de alchimia» fra '200 e '300 145
dilata così da una parte in una puntuale argomentazione sull'inse- r
rimento dell'alchimia nel corpus delle scienze tramite un articolato
rapporto di subalternatio che valga a garantirle dignità scientifica,
dall'altro nell'esame degli aspetti che rendono l'alchimia più nobile
I t:
di altre discipline e autonoma in quanto frutto anche di una spe- r
ciale rivelazione divina~Questa trattazione di ampio respiro è dun-
que dovuta al fatto che, pur partito da un iniziale ed esclusivo in-
teresse per la quaestio in se stessa, Bono si era venuto convincendo
che senza un'opportuna «dilatatio sermonis », 1 che mettesse in luce
_ i due piani - scientifico e religioso - su cui si muove questa ri-
cerca, risultava di fatto impossibile una esauriente confutazione de-
gli avversari. /
E infatti, solo sulla base di una preliminare assegnazione all' al-
chimia di un ambito teorico suo proprio che le compete nella ca-
tena delle subalternationes interne alla philosophia naturalis, Bono può
individuare innanzitutto chi debba gestire la quaestio e dirimerla:
«solus ergo Alchemista ... - egli conclude - quia Philosophiae de
mineralibus subalternatur in mente potest hanc investigare quae-
stionem, cum ipse solus de hoc dubitet et sciat, tamquam suae pro-
priae considerationis »: suoi avversari sono non più, come in Geber,
l'ignorante e il sofista distinti solo per il tipo di obiezioni addotte,
ma piuttosto, visto che si è chiarito lo statuto ~pi~~emologico del-
1' alchimia, il philosophus naturalis e il philosophus Mineralium che,
dal loro punto di vista troppo generale, danno sull'argomento
giudizi necessariamente superficiali e non competenti; a fruire della
verità risultante dallo scontro sarà poi «quilibet doctus » che potrà
«secundum rationem cognoscere quae pars tenenda sit». Nell'im-
postare la quaestio Bono ha piena coscienza di inserirsi in una serie
ormai ampia di analoghi tentativi, ma anche di presentare un im-
pianto che, per rigore ed esaustività (sono elencati venticinque
argomenti-contra, - con relative, minuziose fino alla prolissità, con-
futazioni-, otto sono gli argomenti-pro corredati da numerosi esem-
I. P. M ., 24c, 29c. Come risulta dall'explicit (P. M., 8oc) Bono avrebbe scritto
nel 1323 una quaestio (probabilmente da individuare nel ms. Lat. 299 [ex alpha M.
8.16], Biblioteca Estense, Modena), che costituirebbe dunque il nucleo genetico del
posteriore più ampio trattato.
IO
•l I0 l(I
Chiara Crisciani
pi), si offre come tm contributo originale :1 i «predecessores » difatti
hanno argomentato «superfìcialiter », si sono lirpitati a confutare
alcuni argomenti-contra e/ o a fornire solo exempla a favore dell'arte,
nessuno ha tentato poi di addurre vere rationes in pro dell'alchimia)
In questa direzione specialmente, Bono ritiene il proprio apport;
assai valido e innovatore anche rispetto a Geber, che per altro egli
considera come auctor privilegiato e della cui opera si confessa in (
più punti debitore. Difatti molti argomenti-contra sono tratti quasi '
letteralmente dall'elenco di Geber o derivano comunque dalla
Summa perfectionis, anche se vengono spezzati in più sottoargomenti
autonomi, sistemati in una compiuta forma sillogistica e colle-
gati ad un discorso di più vasto respiro filosofico, in cui trovano
spazio notevole anche temi gnostico-ermetici e religiosi non repe-
ribili nell'opera di Geber.
Seguendo la Summa, anche Bono - come poi Timone - reputa
non indispensabile un particolare influsso astrale nell'opus di trasmu-
tazione, ma non esclude affatto la validità di discipline «in quibus
infunditur forma accidentalis nova et occulta a coelestibus », come
1' arte delle immagini o «de electionibus »: anzi, nel caso della fat-
tura del lapis - che Bono giudica in buona parte miracolosa, dovuta a
uno speciale intervento illuminativo divino, e cioè nel piano per
cui l'alchimia risulta «divina sive supra naturam», vengono fatte
valere per 1' alchimia stessa quelle considerazioni sull'unità del reale
e sulle corrispondenze occulte tra i suoi piani di cui non appariva
traccia nel .discorso geberiano. 2
Anche gli argomenti relativi all'ambiguo e fuorviante linguag-
gio usato dagli alchimisti trovano per Bono una soluzione nella
dimensione non dell'alchimia-scienza ma in quello dell'alchimia-
donum Dei. Se il lapis, per il parallelismo con Cristo che Bono isti-
tuisce, è portatore di interventi soteriologici sia per i metalli che per
1' operatore, se non c'è distacco ma corrispondenza tra magisterio
I. Per questi temi cfr. P. M., 23c; 53-54. Seguono le due rationes generali che suo-
nano così: «I. Omne quod habet transmutare metalla imperfecta et incompleta,
habet efficere aurum et argentum : sed lapis de quo dicunt Philosophi est huiusmo-
di: ergo, etc ... II. In quocunque reperiuntur proprietates et passiones et opera-
tiones omnes specificae alicuius rei, illud est idem penitus quod illa res: sed in auro
et argento per alchemiam generato reperiuntur omnia haec, quae sunt in argento
et auro minerali: ergo, etc.». Oltre che in questo capitolo, anche altrove Bono sot-
tolinea efficacemente la dimensione «experimentalis » dell'alchimia come ars,
come momento cioè di concreto intervento umano sui metalli: è in questo con-
' testo che vanno intesi sia i frequenti riferimenti ai procedimenti tecnici o alle
testimonianze di vetrai e «fossores », sia l'importanza assegnata all'«operatio ma-
nuum » e all' «intuitus visus» dell'artefice che voglia operare efficacemente.
· 2. Oltre che - come si è visto - in Vincenzo di Beauvais e in testi autentici o at-
tribuiti ad All:Jerto, questo passo ricorre, -tra gli altri, in Villanova (Quaestiones acci-
dentales, Mg. r, 7orc), in Bacone (ad es. in Part of the Opus TeT'tium, 47 e in Quaestio-
nes supra de plantis, ed. R. Steele; in Opera hactenus inedita Rogeri Baconi, x:r, Oxford
University Press, Oxford 1932, 251-252), in J. Dastin (Rosarium, Mg. II, p. 310 e
Epistola, ed. Josten, p. 39). Costoro attribuiscono la critica ad Aristotele e la risol-
vono o eliminando l'ultima parte della frase e forzando il testo in modo che ne
risulti l'invito del Filosofo alla riduzione alla prima materia come tappa iniziale di
un opus non sofistico; oppure attribuendo alla natura e non all'arte la trasmutazione
delle specie (Bacone, De plantis); o ancora (Dastin, Epistola) differenziando specie e
individui, per cui « . .. species per se non sunt subiecta actionibus sensibilibus cum
omnino sint incorruptibiles. Sed subiecta specierum optime permutari possunt,
quoniam corruptibilia sunt. ». In Timone il passo è attribuito ad Avicenna, in Geber
è parafrasato.
(\
La «Quaestio de alchimia» fra '200 e '300 149
r. P. M., 66-70.
2. P.M., l4a (« ... Aristoteles in fine 4. Metaphysicorum [sic], Alchemiam esse
veram expresse negat .. . : quamvis quidam dicant illa verba fuisse Avicennae, qui
ipsa addidit, quod non credimus. Quia Avicenna in principio suae Epistolae .. .
allegat de hac contradictione sic: Et fuit sententia, quam affirmant Alchemiam
profitentes ... quibus ille, scilicet Aristoteles ... contradixit») e 32d («Et quamvis
dicant aliqui hunc librum [i.e. de Secretis Secretorum] non fuisse Aristotelis cum
non redoleat eloquentiam eius ... tamen quia fama testatur eius fuisse et quia ma-
teria libri magis est narratoria quam inquisitiva, ita quod stylus facilis fuit utilior:
et quia invenimus autoritates eius libri allegatas a Joanne Mesue ... ideo credimus
ipsum fuisse suum»).
3. M. Vegetti, L'Aristotele redento di Werner ]aeger, «Il pensiero», 17 (19n), 17-36.
150 Chiara Crisciani
gomento e una delle principali auctoritates della traditio alchemica.'
'----- _ La maggior parte degli argomenti della quaestio costringe Bono
ad una ricostruzione del rapporto tra natura e alchimia. Questa ri-
costruzione procede a partire da una previa analisi sistematica delle
varie artes, classificate non tanto sulla base del tipo di lavoro ri-
chiesto o della destinazione dell'oggetto prodotto, quanto in rela-
zione a~ diverso grado di collabora~ne cli~ cia~c::lJ.lla in.treccia çon _
la natura e alla diversità delle_for_rne che cons~uenterpmte spe!-
. tano agli esiti di qi:i~sto rappo_!'t~ 2 N~ ~isulta inn.~n:~itutto che 1' al-
chimia non è un' ars mechanica, sia perché la forma che essa intende
enucleare - quella dell'oro - non è artificiale ed accidentale, ma na-
turale e sostanziale, sia perché il principio di generazione, nell' al-
chimia, è interno e non esterno alla materia : sarà invece un'« ars
artifìcialis sive potius naturalis» (naturale cioè «ex parte formae»,
~ale «ex parte ministrationis ») in cui dunque, più che al per-
seguimento di una servile imitatio naturae, si tende ad un fruttuoso
incontro e intreccio di natura e ars. Lo sviluppo di questa imposta-
zione è teoricamente
<\
consentito a Bono sulla scorta di tre basilari
considerazioni: l'interazione tra arte e natura è possibile innanzi-
tutto per la profonda analogia che le lega sotto un certo profilo, es-
sendo eJ.7.trambe modi e contesti di estrinsecazione di progetti ra-
zionali ;3 la natura inoltre non dispone di un modo necessariamente
unico di produzione dei me talli nobili e quindi 1' arte potrà indi-
viduare quello in cui le è possibile inserirsi con la sua funzione di
.le,....
"..VAlf..
~1-i .
Q./.tt1. l1 Si' "l.
-'Mtçl. '-U'-~
i\ .{':!
Chiara Crisciani
riore dimensione dell'alchimia, si rinvia opportunamente alla trat-
tazione svolta in altre parti del testo con un linguaggio ben diverso,
che non mira affatto a garantire l'inclusione dell'alchimia nel corpus
delle scienze, ma giustifica anzi, all'opposto, un prpcesso di auto-
segregazione e la costituzione di chiuse «società;di discorso». Ì 1
r. Insistenti sono infatti le preoccupazioni sulle molte spese che l'arte comporta:
cfr. ad es. Libellus de alchimia, 2a («Unde pauperibus non valet ars ista, quia ad mi-
nus vult habere expensas duo bus annis. ») ; Geber, Summa, 52ra («N on igitur haec
scientia bene convenit pauperi, vel indigenti: sed potius est ei inimica et adversa.»);
cfr. anche Timone (f. ccnva), che giudica «... periculosum ... huius artis studio
insistere» anche perché «... multi multotiens magnas expensas faciunt quas per-
dunt ... ».
2. Su questo tema cfr. anche G. Post - K . Giocarinis - R. Kay, The Medieval
Heritage of a Humanistic Ideai: «Scientia donum Dei est, unde vendi non potest », «Tra-
ditio », I l (1955) , 195-234.
3. P. M., 38d-39a: «Fere enim omnes qui addiscunt tam in artibus quam scientiis
quibuscumque, faciunt propter aurum et argentum acquirendum ... Ita quod non
La «Quaestio de alchimia» fra '200 e '300 r59
)<
160 Chiara Crisciani
Ad essa si risponde in vario modo, invocando diverse possibilità
aperte ali' inventiva tecnica, giungendo anche alla distinzione fe-
conda tra tempo della natura e quello della tecnica, ma mai ci si ap-
pella a una possibile collaborazione - contemporanea o successiva -
tra operatori, che renda il tempo, anziché ostacolo da aggirare o
durata da abbreviare con vittorie tecniche, comunque sempre dal
singolo, un coadiutore e anzi propiziatore dei successi che le gene-
razioni susseguentesi di ricercatori possono riportare sulla natura. 1
Determinante infine in queste questioni - e più in generale della
tematica alchemica - risulta appunto il problema del rapporto arte-
natura, 2 proprio perché si tratta qui di fondare e valutare gli intenti
modificatori dell'arte nei confronti di un settore della realtà natu-
rale: vasta è la gamma delle posizioni e diverse sono le giustifica-
zioni che sostengono, limitandone o ampliandone la portata, la
possibilità per l'artefice di mutare e manipolare enti o processi
naturali. Da chi - come Vincenzo di Beauvais - vede l'alchimia
strutturarsi epistemologicamente come mera ars mechanica, viene
sottolineata l'eccedenza insuperabile della natura sull'arte, i cui ri-
sultati saranno sostanzialmente diversi da quelli naturali e comunque
risulteranno rispetto a questi carenti e lacunosi: e infatti Vincenzo,
perplesso sulla effettuabilità della trasmutazione, affida all'alchimia
l'esecuzione di prodotti prettamente artificiali. Solo in parte si
orienta nella stessa direzione Jean de Meun3 quando delinea, nella
figura dell'Arte inginocchiata di fronte a Natura, l'intrinseca debo-
lezza e vanità dei tentativi di imitare, scolpendo o dipingendo,
la non riproducibile artificialmente vitalità degli esseri naturali:
r. Cfr. Eliade, 185-195; P. Rossi, Francesco Bacone, Laterza, Bari 1957, 80 ss.
2. Sul problema, qui certo non esauribile, del nesso arte-natura tra Medioevo e
Rinascimento, cfr. tra gli altri, oltre alle opere già citate di Garin, I. Panofsky, Idea,
trad. it. , La Nuova Italia, Firenze 1952, 25- 52; P. M. Schuhl, Machinisme et philoso-
phie, Alcan, Paris 1938, 21- 39; Perdita, la nature et l'art, «Rev. Méta. Morale >>, 51
(1946), 335-337; P. Rossi, 62 ss.; I .filosofi e le macchine, Feltrinelli, Milano 1962,
u-67; 139-147; K. Flasch, Ars imitatur naturam. Platonischer Naturbegriff und mittel-
alterlicher Philosophie der Kunst, in Parusia, Minerva, Frankfurt 1965, 265-306;
R. Lenoble, Histoire de l'idée de nature, Michel, Paris 1969, 221-263; 279- 307;
P. Zambelli, Il problema della magia naturale nel Rinascimento, «Riv. crit. Stor. Filos. »,
28 (1973), specie 285-290.
3. Cfr. Le Romande la Rose, ed. F. Lecoy, Champion, Paris 1966, 1575-1618; cfr.
anche G. Paré, Le Roman de la Rose et la scholastique courtoise, Vrin, Paris 1941,
73-86.
La «Quaestio de alchimia» fra '200 e '300 161
I. Multhauf, 199-200.
La «Quaestio de alchimia» fra '200 e '300 163
Benedetto Varchi, 1 - pur riprendendo il filo di un discorso che per
certi aspetti, nel contemporaneo fiorire di nuovi approcci alla te-
matica alchemica, 2 ha connotati arcaici, tuttavia motiva la ripro-
posta di una questi o de alchimia sulla base dell' «utilità grandissima
e quasi infinita, che si trarrebbe di cotal arte quando ella fosse vera»;
o di chi - come un J. J. Manget - ritiene necessario editare un'ampia
raccolta di testi di alchimia, ricerca ai suoi occhi utile non già per
gli scopi che essa si prefiggeva, ma per i fecondi risultati che ha con-
seguito senza saperlo e quasi suo malgrado. 3 -
Per un verso dunque i caratteri propri di una certa tradizione al-
chemica -1' ambiguità e confusione nel linguaggio, l'incertezza, ar-
bitrarietà, non-controllabilità nelle procedure metodiche, che, con
lo stile non pubblico e non collaborativo della ricerca, avrebbero
impedito il progressivo e sistematico conseguimento di utili risul-
tati - giocano come criteri di esclusione di questa linea dalla nuova
scienza. Per altro verso proprio all'interno della tradizione alche-
mica paiono non solo permanere prospettive che verranno ri-
proposte con nuova ampiezza in quadri diversi (è questo il caso dei
latenti motivi di tipo gnostico ed ermetico per i quali l'alchimia
riveste un non trascurabile ruolo nel processo di trasmissione), ma
anche maturare alcuni caratteri specifici della stessa nuova im-
magine della scienza. Senza voler con ciò attribuire all'alchimia
un peso decisivo e determinante, si può cioè dire che anche in que-
sta, come in altre sedi di ricerca, si sviluppano motivi rilevanti ai
fini di una ristrutturazione dello statuto e dei compiti dell'indagine
Dalla ed. Manget trascrivo qui, sintetizzandoli, gli enunciati degli argumen-
ta-contra della quaestio (1323-1330) di Bono (cfr. P. M., 9d-r6a, cap. I «In
quo probat Artem Alcherniae non esse veram») :'