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Introduzione
A certe condizioni il mercato produce delle allocazioni Pareto-ottime, le condizioni di Pareto
efficienza possono venir meno, pertanto si necessita l’intervento dello Stato. Anche in assenza
di fallimenti i mercati necessitano dello Stato per funzionare. L’Italia è un’economia mista in
quanto le attività economiche sono portate avanti dai privati e dallo Stato, che influenza l’attività
privata direttamente ed indirettamente tramite regolazione, tasse e sussidi.
Efficienza
Si ha un miglioramento paretiano quando in un insieme di persone, spostandosi dalla
situazione a a quella b, almeno uno degli individui aumenta la propria soddisfazione.
Ottimo Paretiano. Se nella situazione c tutti i miglioramenti paretiani sono esauriti, non è
possibile aumentare l’utilità di un individuo senza peggiorare quello di almeno un altro.
Alla base del criterio paretiano ci sono delle ASSUNZIONI:
- ogni individuo è il miglior giudice del proprio benessere.
- il benessere di una società è dato dalla somma del benessere degli individui che la
compongono
- il benessere della società aumenta se aumenta l’utilità di almeno un individuo senza
che peggiori quella di un altro.
Il Criterio di Kaldor-Hicks
Si ha un miglioramento di Kaldor-Hicks quando un cambiamento nell’economia aumenta il
valore totale raggiunto dalla società nel suo complesso. Questo tipo di cambiamento potrebbe
non avvenire in modo spontaneo, ma necessitare di un intervento esterno.
Il miglioramento K-H può implicare dei vincitori e dei perdenti. Fino a quando i vincitori
guadagnano più di quanto perdono i perdenti la società genera un guadagno netto che può
comunque essere redistribuito.
In quasi tutte le decisioni di intervento pubblico gli scambi paretiani (volontari) sono già stati
esauriti e rimangono i miglioramenti di Kaldor Hicks. Il criterio K-H è utilizzabile solo nel caso in
cui si decida di confrontare e sommare le utilità individuali (la cui somma era rifiutata da Pareto).
L’utilità è misurabile tramite la disponibilità a pagare.
In presenza di mercati completi, ogni posizione di ottimo paretiano può essere realizzata come
equilibrio concorrenziale previa un’appropriata allocazione delle risorse iniziali tra gli individui.
Un sistema di concorrenza perfetta non necessariamente risolve i problemi distributivi.
Implicazione normativa: un’autorità che sia in grado di modificare la distribuzione iniziale delle
risorse può ottenere, tramite il mercato, un’allocazione pareto-efficiente. Gli individui devono
essere messi in condizioni di partenza eque. Lo Stato ha pertanto una funzione redistributiva/
equitativa, mentre il mercato ha una funzione allocativa. Efficienza ed equità possono essere
ottenute distintamente con due meccanismi separati.
Limiti. Valgono anche qui i limiti imposti all’utilitarismo ed al criterio paretiano, in più la
redistribuzione ha dei costi elevati. Richiede molte informazione in capo allo Stato e gli individui,
le imposte sono distorsive in quanto modificano il comportamento, la macchina redistributiva ha
un costo (la burocrazia). Il raggiungimento dell’equità richiede una riduzione dell’efficienza.
I teoremi fondamentali sono validi solo nel caso in cui tutti i consumatori e tutti i produttori siano
price taker, in caso contrario l’allocazione delle risorse sarà inefficiente. Caso limite in cui i
produttori determinano il prezzo: monopolio, oligopolio e mercati in cui i beni sono differenziati.
Analizzando congiuntamente i due teoremi si evince che: nelle condizioni di concorrenza
perfetta il mercato è in grado di condurre ad allocazioni pareto efficienti (primo teorema), ed
attraverso un’opportuna divisione dei ruoli con lo Stato, può portare ad un’allocazione pareto
efficiente più equa (secondo teorema).
Nel caso in cui l’allocazione delle risorse determinata dal mercato è inefficiente, l’intervento
pubblico può provare a migliorare la situazione, ma non sempre ci riesce. In alcuni casi il costo
dell’intervento pubblico supera il costo dell’ esternalità stessa, e molte volte gli organi
governativi possono commettere degli errori.
Beni Pubblici.
Si distinguono in puri ovvero beni o un servizi il cui consumo non è rivale e non è escludibile; ed
impuri ovvero beni o servizi caratterizzati da diversi gradi di non rivalità e non escludibilità nel
consumo. Se tutti consumano la stessa quantità di bene pubblico non significa che tale
consumo debba essere valutato da tutti allo stesso modo, diversi individui hanno opinioni
divergenti sui beni pubblici. La natura di un bene pubblico non è assoluta e costante, ma evolve
perché dipende dalle condizioni del mercato e dai livelli tecnologici raggiunti.
Inoltre, non è detto che la non escludibilità e l’assenza di rivalità nel consumo siano sempre
associate, anche la non escludibilità di un bene dipende dalle tecnologie disponibili e dalle leggi
in vigore e pertanto non è una caratteristica assoluta del bene.
Per alcuni beni il consumo non è rivale ma l’esclusione è possibile ad esempio le pay - TV.
L’esclusione è efficiente quando crea incentivi per la produzione, che altrimenti non esisterebbe.
Non è efficiente quando induce il sottoconsumo di un bene il cui costo marginale è 0 (MC = 0 <
p).
Se l’esclusione è possibile, anche quando il consumo è non rivale, lo stato spesso richiede il
pagamento di tariffe. Ad esempio le tasse aeroportuali, i pedaggi o i canoni. Si tratta di
soluzione equa in quanto coloro che usano i beni di più pagano di più, ma al tempo stesso se il
consumo non è rivale, le tariffe o i pedaggi anche se equi, sono inefficienti.
Esistono cose che hanno caratteristiche di beni pubblici, ma che non sono classificate come
merci, come l’onestà e la buona fede.
Un bene fornito pubblicamente non è sempre prodotto dal settore pubblico.
I beni privati non vengono necessariamente forniti solo dal settore privato, in quanto esistono
diversi beni privati forniti pubblicamente. In quanto beni privati, questi sono caratterizzati da
rivalità ed escludibilità nel consumo, come ad esempio l’assistenza sanitaria e l’edilizia
popolare, i cd beni meritori.
Lo Stato produce questi beni perché i beni meritori producono esternalità positive oltre a
benefici privati, e per una questione distributiva. Spesso questi beni privati (MC>0) sono forniti
dallo Stato gratuitamente generando sovraconsumo le cui distorsioni possono essere enormi.
Per ovviare al problema del sovraconsumo si possono adottare diverse soluzioni:
1.Prezzi: si possono imporre tariffe per limitare la domanda. Esempio: ticket sanitario
2.Offerta uniforme: si può fornire a tutti la stessa quantità del bene. Esempio:
istruzione, anche se a volte l’offerta non riflette le esigenze personali (c’è chi ne vuole
più, chi ne vuole meno).
3.Code: si impone di sopportare un costo in termini di tempo d’attesa. Ciò consente
qualche adattamento del livello di offerta alle esigenze degli individui. Per esempio,
coloro la cui domanda di servizi sanitari è più forte saranno maggiormente disposti ad
attendere nello studio di un medico.
Allo stesso modo esistono beni pubblici forniti dal settore privato.
Lo stato ed il mercato possono essere complementari e coesistenti. In questo caso l’intervento
del primo potrebbe essere volto a correggere e indirizzare il funzionamento del secondo, e non
a porsi come soluzione antitetica.
La natura “pubblica” di determinati interessi in gioco non implica che un soggetto pubblico sia
capace di ottenere risultati migliori rispetto a quegli interessi, a causa delle numerose distorsioni
cui l’intervento pubblico dà origine.
Condizioni di fornitura efficiente dei beni privati: la curva di domanda per un bene privato si
ottiene sommando il numero di beni che ogni individuo consuma per ciascun prezzo. La somma
è orizzontale. Il mercato è in equilibrio quando la domanda e l’offerta si eguagliano.
C’è chi sostiene che il problema del free riding possa essere risolto tramite l’intervento dello
Stato, che usando il proprio potere coercitivo, può imporre a tutti gli individui di pagare per i beni
pubblici.
Esternalità
Quando l’attività di un soggetto economico influisce sul benessere di un altro soggetto
direttamente, ovvero non mediante variazioni nei prezzi di mercato, l’effetto viene definito
esternalità. A differenza delle variazioni dei prezzi di mercato le esternalità variano le condizioni
dell’efficienza economica. Una delle applicazioni più importanti della teoria delle esternalità
riguarda la tutela dell’ambiente.
Un’esternalità deriva dalla mancata assegnazione dei diritti di proprietà. Se il diritto di proprietà
fosse definito si dovrebbe pagare un prezzo per usufruire di un qualsivoglia bene (ad esempio
un fiume) e non saremmo in presenza di un’esternalità. Se una risorsa è proprietà di qualcuno,
il prezzo ne riflette il valore per usi alternativi e la risorsa viene impiegata in modo efficiente. Al
contrario, le risorse di proprietà comune vengono utilizzate in maniera non efficiente perché
nessuno è incentivato a economizzare i loro uso.
Le esternalità possono essere prodotte sia dalle imprese che dai consumatori, possono essere
positive. I beni pubblici possono essere considerati un tipo particolare di esternalità. Infatti
quando il consumo da parte di un individuo crea un’esternalità positiva su altri consumatori,
l’esternalità positiva ha il carattere di un bene pubblico puro in quanto il suo effetto è non rivale
e non escludibile. Ad esempio il consumo di un vaccino da parte di un singolo privato è
escludibile e rivale, ma i suoi effetti esterni positivi (immunità di gregge) sono non rivali e non
escludibili, ossia hanno le caratteristiche proprie di un bene pubblico puro.
Correzioni delle esternalità, soluzioni private.
In presenza di esternalità si verificano allocazioni inefficienti delle risorse. I singoli cittadini
possono autonomamente correggere le inefficienze allocative derivanti dalle esternalità.
- Fusioni
Un altro modo per combattere le esternalità consiste nell’internalizzarle, fondendo le imprese
coinvolte. In questo caso, il profitto ricavato dalla comune impresa sarebbe più elevato della
somma dei profitti ottenuti singolarmente. Il mercato fornisce dunque una notevole spinta alla
fusione. Una volta avvenuta la fusione il soggetto in carica delle gestione della nuova impresa,
terrebbe conto dell’esternalità nel decidere quale livello di output produrre.
- Sussidi
Supponendo che il numero di imprese inquinanti sia fisso, si può ottenere il volume efficiente di
produzione pagando chi inquina perché non lo faccia. L’impresa decide di non produrre un’unità
aggiuntiva di output se il costo marginale per produrla è maggiore del beneficio marginale, in
questo caso accetta il sussidio. Il sussidio induce l’impresa a produrre esattamente il livello
efficiente di output, dove il costo di opportunità totale, ovvero il costo marginale privato (MPC) +
il sussidio = beneficio marginale (MB).
L’introduzione di un sussidio presenta sia i problemi legati all’imposta pigouviana che altri. Il
numero di imprese deve essere fisso, ma il fatto che determini profitti più elevati può indurre, nel
lungo periodo, altre imprese ad inquinare in modo da ottenere il sussidio. Inoltre il sussidio deve
essere finanziato da delle imposte, che possono avere dei costi superiori all’esternalità stessa.
Se l’imposta è maggiore del costo marginale connesso alla riduzione dell’inquinamento (f*>MC)
l’impresa riduce l’inquinamento, in caso contrario l’inquinamento non verrà ridotto.
Il costo totale della riduzione risulta minimizzato quando i costi marginali sono uguali per tutti i
soggetti coinvolti.
Un’allocazione è efficiente in termini di costo quando consente di ottenere un dato livello di
riduzione dell’inquinamento al minor costo possibile.
Con un’imposta sulle emissioni si raggiunge l’allocazione efficiente in termini di costo e allo
stesso tempo equa tra le parti, in quanto l’impresa che riduce meno l’inquinamento subisce
un’imposizione più elevata.
Le imposte sulle emissioni ed il cap and trade sono politiche simmetriche, in quanto, in teoria,
per ogni imposta sulle emissioni esiste un sistema di cap and trade che permette di ottenere la
stessa allocazione. In pratica le due politiche hanno alcune differenze.
Per quanto riguarda la risposta all’inflazione l’imposta sulle emissioni deve essere corretta per
tener conto della variazione del livello dei prezzi ogni anno, in quanto una mancata correzione
determina la riduzione dell’imposta in termini reali. Il Cap and Trade si corregge
automaticamente in risposta all’inflazione.
Risposta alla variazione dei costi. È probabile che il costo marginale di riduzione
dell’inquinamento vari di anno in anno. Se si verifica un aumento dei costi marginali di riduzione
dell’inquinamento, la presenza dell’imposta sulle emissioni ha come conseguenza che
l’inquinamento si riduce meno di quanto sarebbe efficiente.
Nel caso di cap and trade, in base al quale il tetto massimo di inquinamento viene fissato al
livello efficiente, l’aumento dei costi marginali non varia il livello di riduzione dell’inquinamento.
Un sistema di cap and trade stabilisce un rigido limite all’inquinamento e non varia al variare
delle condizioni economiche. Tuttavia il costo di raggiungimento dell'obiettivo di riduzione può
diventare particolarmente oneroso con l’aumento dei costi marginali, perché aumenta il prezzo
delle autorizzazioni imponendo costi più elevati per le imprese.Questo sistema limita la quantità
di emissioni, ma comporta delle variazioni nel costo di riduzione dell’inquinamento al variare
delle condizioni economiche. Con il sistema di cap and trade l’inquinamento viene ridotto più
del livello efficiente.
Una soluzione potrebbe essere combinare il sistema di cap and trade e le imposte sulle
emissioni. L’autorità pubblica stabilisce un sistema di cap and trade che fissa la quantità di
inquinamento consentita e rende noto che venderà tutte le autorizzazioni richieste ad un prezzo
prestabilito, noto come prezzo di sicurezza o safety valve price. Questo prezzo di sicurezza può
essere piuttosto elevato in modo che venga utilizzato soltanto se il costo della riduzione
dell’inquinamento è maggiore rispetto a quello atteso.
Risposta all’incertezza. I costi di risoluzione di molte questioni ambientali sono incerti, ed in
condizioni di incertezza i due sistemi possono produrre risultati diversi.
Con i benefici marginali sociali (MSB) anelastici e costi superiori a quelli attesi, il sistema di cap
and trade comporta un’eccessiva riduzione dell’inquinamento, mentre un’imposta sulle
emissioni comporta una riduzione non sufficiente. In questo caso il sistema di cap and trade
risulta più efficiente. (grafico 5.11)
Con i benefici marginali sociali (MBS) elastici ed i costi sono superiori a quelli attesi, il sistema di
cap and trade comporta un’eccessiva riduzione dell’inquinamento, mentre l’imposta sulle
emissioni comporta una riduzione non sufficiente. In questo caso però l’imposta sulle emissioni
è più efficiente. (grafico 5.12)
Effetti in termini di distribuzione. Anche quando il sistema di cap and trade e l’imposta sulle
emissioni sono equivalenti dal punto di vista dell’efficienza, possono produrre conseguenze
diverse dal punto di vista della distribuzione. Nel caso di un’imposta sulle emissioni gli introiti
sono destinati allo Stato, nel caso del cap and trade, se lo Stato distribuisce gratuitamente le
autorizzazioni, lo Stato non ha introiti. Nel caso in cui le autorizzazioni non siano gratuite, ma
siano vendute direttamente dallo Stato ai soggetti inquinanti il cap and trade genera un’entrata
per lo Stato.
- Norme di tipo command and control
Le imposte sulle emissioni ed i sistemi di cap-and-trade sono considerati come delle forme di
regolamentazione per incentivi, in quanto forniscono ai soggetti inquinanti degli incentivi di
mercato a ridurre l’inquinamento. Fanno aumentare il costo di opportunità dell’inquinamento,
costringendo i soggetti inquinanti a tener conto dei danni marginali esterni associati al loro
comportamento. Lasciano molta flessibilità ai soggetti sul modo in cui ridurre le emissioni. L’idea
di base è quella di trovare il modo meno costoso di ridurre l’inquinamento. Pertanto l’approccio
più utilizzato per combattere l’inquinamento ambientale è stato quello delle norme di tipo
command and control. Cioè di politiche volte a raggiungere una data riduzione
dell’inquinamento con poca o nessuna flessibilità riguardo alle modalità di ottenerla.
Tra le norme di tipo command and control abbiamo lo standard tecnologico, cioè una norma che
impone alle imprese di utilizzare una determinata tecnologia per ridurre l’inquinamento. In
questo caso i soggetti inquinanti violano la legge se riducono l’inquinamento con altre modalità,
indipendentemente da quanto efficaci queste siano. Uno standard tecnologico non incentiva le
imprese a cercare modalità nuove e più economiche per ridurre l’inquinamento pertanto è poco
probabile che sia efficiente in termini di costi.
Un’altra norma di tipo command and control è lo standard di performance, che stabilisce un
obiettivo di emissioni per ciascun soggetto inquinante e lascia una certa flessibilità sulle
modalità per raggiungerlo. Presenta una maggiore efficienza in termini di costi rispetto allo
standard tecnologico, ma potrebbe comunque non essere efficiente in termini di costi poiché
l’onere di ridurre l’inquinamento potrebbe essere trasferito alle imprese che possono farlo in
modo meno costoso.
Un sistema di command and control può risultare preferibile rispetto ad uno per incentivi in
quanto quest’ultimo è possibile solo se le emissioni possono essere monitorate. Se non è
possibile farlo, o se il costo del monitoraggio è molto elevato, lo Stato non sarà in grado di
pagare un’imposta sulle emissioni per unità, oppure di stabilire se un soggetto inquinante ha un
numero sufficiente di autorizzazioni per coprire le emissioni. In alcuni casi uno standard
tecnologico può risultare più efficiente perché è più facile stabilire se un’impresa abbia installato
la tecnologia richiesta o meno.
Un altro problema dei sistemi basati sugli incentivi è che possono portare a concentrazioni di
inquinamento molto elevate in alcune zone e queste potrebbero causare più danni di quanti ne
procurerebbero se fossero più sparse. Le concentrazioni di emissioni prendono il nome di hot
spot, ossia punti critici. Attraverso le norme di command and control è possibile evitare che si
creino degli hot spot, limitando le emissioni da parte di ciascuna singola fonte di inquinamento.
In ogni caso anche con un sistema basato sugli incentivi è possibile risolvere risolvere il
problema dei punti critici. Per esempio nel caso di un’imposta sulle emissioni si possono far
pagare diversi livelli di imposta a seconda della fonte dell’inquinamento, nel caso di
cap-and-trade si può prevedere che alcune fonti riscuotano un numero maggiore di
autorizzazioni per unità di emissioni rispetto ad altre. Nonostante ciò queste risultano più
complesse delle norme di command and control.
Esternalità positive
Quando un individuo o un’impresa producono esternalità positive, il mercato fornisce una
quantità inferiore dell’attività o del bene, ma un sussidio adeguato può correggere l’inefficienza.
Rimangono tutte le difficoltà legate alla misurazione della quantità e del valore dell’esternalità.
Elasticità della domanda L’elasticità è un indicatore della reattività (variazione) della quantità
domandata sul mercato ad una variazione unitaria del prezzo. L’elasticità si calcola come
rapporto tra propensione marginale (m(Q)) al consumo e propensione media al consumo (Q).
Una buona approssimazione è il rapporto tra la variazione percentuale della quantità
domandata e la variazione percentuale del prezzo.
Q/ p *P/q
L’elasticità è negativa, quindi si fa riferimento al suo valore assoluto.
| | > 1: domanda elastica
| | = 1: una variazione del prezzo provoca una stessa variazione della quantità
| | < 1: domanda inelastica (o rigida)
Costi
Costo fisso (FC): costo che non dipende dal livello di produzione (affitto mensile, iscrizione alla
camera di commercio, etc.)
Costo variabile (VC): costo che varia al variare della produzione, normalmente indicato con
VC(q) (costo della manodopera, energia elettrica e materie prime)
Costo totale (TC): TC(q) = FC + VC(q)
Costo marginale (MC): costo di un’unità addizionale di output, ovvero MC(q) = TC(q + 1) −
TC(q) = TC (q)
Costo variabile medio (AVC): AVC(q) = VC(q)/q
Costo fisso medio (AFC): AFC(q) = FC/q
Costo medio (AC) o unitario: AC(q) = TC/q = AV C(q) + AFC(q)
Se il prezzo di vendita è inferiore al costo medio di produzione non è conveniente produrre
perché i ricavi sarebbero minori dei costi.
Se produrre un’unità aggiuntiva ha un costo superiore al ricavo marginale non è conveniente
produrla.
Concorrenza perfetta
In concorrenza perfetta si ha un comportamento price- taking, ovvero i venditori e gli acquirenti
non riescono ad influenzare individualmente il prezzo al quale il prodotto può essere venduto
perché esso è fissato dal mercato.
Il bene venduto è una commodity (bene identico). I consumatori considerano uguali e quindi
indistinguibili i prodotti delle varie imprese.
Monopolio
Si ha un monopolio quando sul mercato esiste un’unica impresa.
Possiamo avere monopoli pubblici o privati.
Nel pubblico i monopoli possono essere servizi di pubblica utilità (servizi pubblici locali) e reti
(energia, gas, ferrovie).
Nel settore privato è più complicato trovare degli esempi di monopolio puro, ma possono
esistere monopoli naturali regolati e privatizzati (autostrade, ferrovie).
Le assunzioni di base nel mercato monopolistico sono:
La domanda di mercato è la domanda dell’impresa. Questo significa che il monopolista conosce
la funzione di domanda del mercato.
Il monopolista vuole massimizzare il proprio profitto e può farlo scegliendo indifferentemente il
prezzo o la quantità (ovviamente non può scegliere entrambi).
Il monopolista è price-maker, visto che la sua domanda è quella del mercato stesso.
l profitto ( ) nel mercato monopolistico è la differenza tra ricavi totali, R(q), e costi totali, TC(q):
= R(q) − TC(q) = p(q)q − TC(q)
Il profitto ( ) è massimizzato quando i ricavi marginali sono uguali ai costi marginali:
MR(q)= MC(q)
MR è sempre inferiore al prezzo, ed il profitto è massimizzato quando la domanda è elastica.
(| | > 1)
Nel monopolio naturale la funzione di costo è subadditiva, il che significa che i costi sostenuti
da una sola impresa nel produrre l'intera quantità domandata sono inferiori a quelli che
sosterrebbero due o più imprese contemporaneamente presenti sul mercato.Nel caso di
monopolio naturale le caratteristiche tecnologiche del settore sono alti costi fissi, costi marginali
decrescenti e costi medi strettamente decrescenti.
Efficienza in monopolio
Il monopolio è un fallimento del mercato.
La concorrenza perfetta massimizza il benessere e l’allontanamento da una situazione di
concorrenza implica l’abbassamento del livello di benessere.
Con potere di mercato, il prezzo è inferiore al costo marginale (p > MC) e quindi il saggio
marginale di trasformazione non è uguale al saggio marginale di sostituzione (SMT ≠ SMS).
Il monopolio comporta una perdita di benessere per la collettività perché il prezzo a cui il bene
viene scambiato è maggiore del costo marginale (MC(q)).
Nella realtà un monopolio (un mercato in cui un'impresa occupa il 100% del mercato) esiste
raramente, specialmente nel settore privato. Non è invece infrequente una situazione di
mercato in cui un'impresa occupa da sola l'80% del mercato, oppure il 50%, e la restante parte
del mercato è suddivisa in un insieme di piccole imprese (modello dell'impresa dominante
circondata da una frangia concorrenziale) L’effetto di questo modello è che l’impresa dominante
è price maker, mentre gli altri sono price takers.
Il monopolio è un fallimento del mercato perché qualsiasi aumento dei profitti è frutto o di una
riduzione del surplus del consumatore, o di un miglioramento dell’efficienza di mercato, o di una
combinazione di entrambi.
In caso di monopolio infatti assistiamo ad un’inefficienza allocativa dovuta alla perdita secca
generata dalla riduzione della quantità prodotta, ad un’inefficienza tecnica, in quanto il
monopolista ha un minore incentivo alla minimizzazione dei costi, e ad un fenomeno
denominato rent seeking, secondo cui il monopolista ha un forte incentivo a destinare le proprie
risorse alla difesa della propria posizione di monopolio (può farlo attraverso la brevettazione o
l’azione di lobbying).
Con il potere di mercato l’inefficienza è anche dinamica: secondo Schumpeter una grande
impresa monopolistica ha una maggiore capacità di sfruttare laboratori costosi e complessi e
può sfruttare il mercato per monetizzare i vantaggi derivanti dall’innovazione; secondo Arrow
invece, il monopolista già presente nel mercato ha un minore incentivo all’innovazione rispetto
alle altre imprese che si affacciano nel mercato, perché per il monopolista i profitti
dell’innovazione si sostituirebbero ai profitti esistenti.
Un’impresa che ha potere di mercato ha una curva di domanda con pendenza negativa, per cui
se applica lo stesso prezzo a ciascun consumatore i ricavi che ottiene dalla vendita di un’unità
addizionale di output sono inferiori al prezzo praticato.
Il monopolista non soddisfa interamente la propria curva di domanda, che in parte rimane
inevasa pertanto risulta inefficiente.
Per ovviare al problema dell’inefficienza, il monopolista può applicare una discriminazione di
prezzo, ovvero vendere due unità dello stesso bene a prezzi diversi. La discriminazione di
prezzo potrebbe indurre il monopolista a vendere una quantità maggiore di output ed avvicinarsi
così agli esiti del mercato concorrenziale, rendendo il mercato in cui opera (ovvero quello
monopolistico) più efficiente.
La condizione necessaria per attuare la discriminazione di prezzo è, ovviamente, avere potere
di mercato, quindi essere un monopolista.
Esistono inoltre dei problemi cui bisogna fare fronte se si vuole applicare la discriminazione di
prezzo:
Identificazione, cioè capire dove si colloca il consumatore sulla curva di domanda.
L’identificazione può essere di primo, secondo o terzo grado, dando origine a
discriminazioni diverse (primo, secondo o terzo grado).
1. Identificazione di Primo Grado, il monopolista conosce esattamente il prezzo di
riserva del consumatore,
Molti esempi di discriminazione di terzo grado si presentano quando il venditore offre prodotti
differenziati. Facendo ciò il monopolista può ovviare al problema dell’identificazione, in quanto
individua le tipologie di consumatori tramite le decisioni dell’acquisto ed ovviare, almeno in
parte, al problema dell’arbitraggio in quanto consumatori diversi acquistano varietà diverse del
prodotto.
Un tipo di differenziazione del prodotto è la localizzazione delle vendite. In molti casi un prodotto
acquistato in un luogo non è uguale allo stesso prodotto venduto in un altro. Ad esempio una
Fiat 500 venduta in Italia costa molto meno rispetto ad una venduta negli USA.
In assenza di discriminazione di prezzo un monopolista ottiene dei profitti limitando la quantità
di output prodotta, fa pertanto diminuire il surplus del consumatore e di conseguenza il
benessere sociale. La discriminazione di prezzo di terzo grado è desiderabile dal punto di vista
sociale quando aumenta l’output prodotto, diminuendo la distorsione del monopolio. Il group
pricing ha infatti l’effetto potenziale di incoraggiare il monopolista a servire mercati che non
sarebbero serviti se non ci fosse la discriminazione di prezzo, ad esempio i mercati popolati da
gruppi con reddito molto basso; quando questo accade la discriminazione di prezzo può
effettivamente generare benessere sociale, anche in presenza di monopolio.
Proprietà pubblica Se lo Stato diventa proprietario dell’impresa monopolista, può conoscere
perfettamente la funzione di costo dell’impresa e può imporre il prezzo più basso possibile
senza fare perdita, ovvero un prezzo = al costo medio, (lo stato può imporre il prezzo = costo
medio anche quando il monopolio non è di proprietà pubblica) o può uguagliare il prezzo al
costo marginale (pA=MC(qA)) finanziando la perdita attraverso la fiscalità generale. Il problema
di quest’ultimo punto è che la perdita secca dovuta alla tassazione sarebbe maggiore della
perdita secca del monopolio, inoltre ricorrere alla proprietà pubblica implica una crescita del
debito statale ed un aumento dell’inefficienza (ricordiamo che il pubblico è più inefficiente del
privato in quanto non cerca la massimizzazione del profitto). Inoltre è molto difficile monitorare
un’azienda pubblica, infatti questo rimedio al monopolio naturale è stato abbandonato dopo gli
anni ‘80, lasciando spazio alla liberalizzazione.
remunerazione del capitale investito. Il limite di questo tipo di regolamentazione è che non
incentiva la riduzione dei costi di produzione (inefficienza produttiva). Solo un eventuale ritardo
nella regolazione garantisce un piccolo incentivo ad abbassare i costi, pertanto average cost
pricing e regolazione del tasso di rendimento sono incentivi a bassa potenza.
Il regolatore può altresì applicare il price-cap, ovvero un meccanismo di remunerazione del
monopolista che fissa il prezzo (o ne programma la sua crescita) per un determinato periodo. Il
regolatore può fissare il prezzo massimo che l’impresa può applicare, il limite di questa
regolamentazione è che può incentivare l’efficienza produttiva perché il monopolista si
appropria dei profitti derivanti da una riduzione dei costi, ma disincentivare gli investimenti in
qualità. Il price cap è un incentivo ad alta potenza perché il monopolista beneficia della
riduzione di prezzo per tutti il periodo, ma presenta dei problemi: se il periodo è troppo corto, è
equivalente a av. cost pricing; se il periodo è troppo lungo il beneficio del guadagno di efficienza
è tutto a favore del monopolista.
Aste. molto utilizzate per controllare il mercato. Il monopolio naturale rimane all’azienda
pubblica, mentre la sua gestione passa al privato. Lo Stato mette all’asta il diritto di monopolio e
guadagna il prezzo di riserva del monopolio ed i suoi profitti iniziali. Questo modo di
regolamentare il monopolio lo rende più efficiente, in quanto l’asta viene vinta da chi programma
di avere i costi più bassi. Le imprese non competono nel mercato, ma per il mercato, creando
una concorrenza EX ANTE.
Il problema dell’asta pubblica è che l’oggetto dell’asta non può essere definito in maniera chiara,
oggettiva e semplice. Le prime esperienze di aste pubbliche per assegnare il monopolio sono
state quelle per l’assegnazione delle frequenze telefoniche negli anni ‘90. Nel caso delle aste, la
concessione deve avere una durata ottimale, il che significa che non può essere troppo corta
perché i costi irrecuperabili sarebbero troppo grandi, creando una situazione in cui il
monopolista non riesce a generare abbastanza profitti, né troppo lunga perché in quel caso il
monopolista aumenterebbe troppo il suo profitto.
Mercati contendibili L’idea di base del mercato contendibile è che non è necessaria
un’effettiva competizione per generare gli esiti del mercato concorrenziale, può essere
sufficiente la competizione potenziale, ovvero il pericolo che altre aziende possano entrare a far
parte del mercato, rubando lo status di monopolista. Un mercato è contendibile quando la
concorrenza è di tipo hit and run, e le condizioni per cui questo possa essere possibile sono:
l’inesistenza di costi irrecuperabili nel lungo periodo, l’entrata nel mercato in tempi molto brevi,
la reazione immediata dei consumatori, la non iper-reattività dell’impresa monopolistica. Se
un’impresa può entrare nel mercato ed uscirne molto velocemente senza sostenere grossi costi
fissi, i profitti generati dall’azienda capace di entrare a far parte del mercato inducono altre
aziende ad entrare nel mercato, rendendolo concorrenziale.
Privatizzazione
Uno dei dibattiti di Politica Economica riguarda la privatizzazione, ovvero la cessione del
monopolio dallo Stato al privato. La privatizzazione può essere una buona soluzione in quanto
il rischio di fallimento induce il manager ad adottare incentivi corretti per massimizzare i profitti e
per raggiungere la dimensione ottimale del business, mentre nelle mani del pubblico l’azienda
rischia di non essere efficiente. I casi di privatizzazione reali dimostrano però che alcune volte i
vantaggi della privatizzazione possono venire meno e non si assiste al miglioramento delle
condizioni dell’azienda e della collettività, ma ad un aumento dei costi imponibili al cliente a
causa della speculazione del privato. Si privatizza tramite la restituzione, la vendita delle
proprietà dello Stato, con la distribuzione di massa o con sistemi di voucher o con la
privatizzazione dal basso.
democratici possano realmente funzionare. Bisogna rinunciare ad una qualsiasi delle sei
condizioni perché le altre cinque funzionino, e la scelta dipende dal tipo di votazione, dai propri
principi o dalle ideologie.
Il Teorema dell’impossibilità di Arrow afferma che non ci sono garanzie che la società sia in
grado di trovare una regola decisionale coerente. Secondo alcuni il vero significato del Teorema
di Arrow è che il corretto funzionamento di una democrazia richiede una quasi totale uniformità
delle preferenze individuali, pertanto l’obiettivo di molte istituzioni è modellare le preferenze
individuali in modo da garantire una certa uniformità, attraverso, secondo alcuni, l’istruzione
obbligatoria.
Altri ritengono invece che il teorema di Arrow non abbia in verità sostanziali applicazioni sui
processi democratici. Il premio Nobel James Buchanan ritiene che le contraddizioni del voto
maggioritario abbiano in realtà effetti positivi in quanto permette che le proposte siano adottate
in via sperimentale e provvisoria, sottoposte a verifica e sostituite da altre proposte, approvate
da un gruppo maggioritario sempre diverso.
Democrazia Rappresentativa.
Per spiegare la condotta dello Stato bisogna studiare l’interazione tra politici, funzionari pubblici
e gruppi di pressione.
I politici. Vista la complessità di numerose materie è molto più facile che i cittadini eleggano dei
rappresentanti che ne facciano le veci. Nella rappresentanza torna il concetto di elettore
mediano. È stato infatti dimostrato che, supponendo che le preferenze degli individui siano di
carattere unimodale, il politico che intende massimizzare i voti deve adottare il programma
preferito dall’elettore mediano, cioè del votante che si trova esattamente al centro della
distribuzione delle preferenze. Questo modello ha delle importanti conseguenze, in primis
dimostra come i sistemi politici bipolari siano più stabili, in quanto entrambi i poli tendono a
posizionarsi verso il centro, in secondo luogo dimostra come la sostituzione dell’elezione diretta
con un sistema rappresentativo non abbia effetti sui risultati in quanto entrambi portano a
riflettere le posizioni dell’elettore mediano. Se però l’identità dell’elettore mediano dipende dal
tema in oggetto, gli elettori mediani saranno ogni volta diversi e non necessariamente
coincideranno, in questo caso il teorema dell’elettore mediano non potrà più valere.
Inoltre le decisioni dei votanti possono essere influenzate non soltanto dal tema oggetto di
dibattito, ma da molti altri fattori, come ad esempio l’ideologia politica o la personalità del
candidato. I politici infatti non rispondono sempre passivamente alle preferenze degli elettori,
anzi possono molte volte influenzarne l’idea politica.
C’è inoltre da ricordare che se le posizioni dei candidati sono troppo vicine tra loro, alcuni
elettori potranno decidere di astenersi e che l’informazione molte volte ha un costo (non soltanto
monetario) che non tutti gli elettori, vuoi per pigrizia o vuoi per mancanza di possibilità possono
sostenere; ne deriva che il cittadino che decide di astenersi dal voto metta in atto un
comportamento opportunista, identico al comportamento del free rider.
Funzionari Pubblici, definiti burocrati, sono quelli che attuano effettivamente le leggi, spesso
molto vaghe, approvate dai parlamenti. Uno Stato moderno non può funzionare senza
burocrazia.
Nel 1971 Niskanen ha sostenuto che nel settore privato un individuo che voglia rendere più
redditizia la sua azienda è incentivato a farlo perché ha come ricompensa un salario più
elevato, l’interesse della burocrazia è focalizzato sulla reputazione, sul potere e sullo status, che
dipendono in modo molto stretto dalla dimensione del bilancio a disposizione del burocrate.
Pertanto questi cercherà di massimizzarlo. Il desiderio del burocrate di estendere il suo ufficio
porta ad una burocrazia sovradimensionata.
Niskanen ritiene infatti che sia stata la burocrazia una delle cause principali dell’incremento
dell’intervento statale in economia, e propone degli incentivi finanziari per controllare i burocrati.
Ad esempio propone di creare un rapporto di dipendenza negativa tra il salario percepito da un
alto funzionario statale e la dimensione del suo ufficio, così che il burocrate in grado di ridurre il
suo ufficio possa beneficiare di un aumento salariale. Questo sistema può però indurre ad una
riduzione del bilancio oltre il punto in cui i benefici marginali eguagliano i costi marginali.
Un’altra soluzione potrebbe essere fare ricorso alle aziende private per la produzione di beni e
servizi pubblici, con tutti i problemi che la privatizzazione può portare con sé.
Gruppi di pressione (Lobby)
Gli individui con interessi comuni, possono esercitare un grosso potere se sono in grado di agire
insieme. I gruppi di pressione dispongono spesso di ingenti somme di denaro con cui possono
influire ad esempio sulle campagne elettorali.
L’aspetto più importante della politica moderna dei Paesi occidentali è il c.d. Triangolo di ferro
ovvero l’interazione tra gruppi di pressione, burocrati, e rappresentanti eletti. Secondo alcuni il
triangolo di ferro è il motore della maggior parte delle decisioni politiche intraprese nelle
democrazie mondiali.
Spesa pubblica. L’intervento dello stato nell’economia è diventato sempre più importante.
Questo fenomeno può essere spiegato da diversi fattori come ad esempio la richiesta da parte
dei cittadini di maggiore intervento da parte delle istituzioni, la necessità da parte del settore
pubblico di espandersi per assorbire l’eccessiva produzione del settore privato, degli eventi
casuali, come la guerra, che costringono lo Stato a ad aumentare il suo intervento
nell’economia e nonostante l’evento si concluda un processo chiamato inerzia impedisce allo
Stato di riprendere il ruolo antecedenti all’evento stesso.
Il problema della spesa pubblica è stato ampiamente affrontato, ma non si è ancora riusciti a
trovare una soluzione davvero duratura e significativa. Si potrebbe, come già anticipato,
cambiare gli incentivi alla burocrazia, facendo sì che questa diminuisca l’ampiezza dei propri
uffici. Si potrebbe anche incentivare la concorrenza con il settore privato e riformare i processi
di determinazione del bilancio. Quest ultimo punto è particolarmente controverso: i vincoli di
bilancio, fino al 2012, venivano approvato da una legge statale, e come tale la legge poteva
essere modificata, abrogata o sospesa. Pertanto, i membri dell’Unione Europea hanno deciso di
sottoscrivere il Fiscal Compact, vincolando con la Costituzione il bilancio.
Tassazione
Nel linguaggio corrente i termini tassa, imposta e contributo vengono spesso utilizzati in modo
equivalente, ma in realtà, in sede giuridica, tali espressioni sono tra loro differenti.
Quando parliamo di tassa intendiamo il pagamento finalizzato a sostenere un determinato
servizio, divisibile, erogato al cittadino (es. Tassa sui rifiuti, TARI)
La tassa non deve essere confusa con le tariffe versate dall'utente per la fruizione di determinati
servizi pubblici, come il trasporto ferroviario, il servizio postale e telefonico, le forniture dei gas
ecc. In questi casi si è di fronte a veri e propri corrispettivi di natura contrattuale e non legale,
mentre la tassa è un tributo e, come tale, può essere stabilita solo con legge.
Quando parliamo di imposta parliamo di una prestazione obbligatoria di denaro dovuta dai
contribuenti, in relazione alla propria capacità contributiva (es. IRPEF). Con il pagamento
dell’imposta si finanziano le spese pubbliche.
Bisogna poi distinguere le imposte dirette da quelle indirette.
Le imposte dirette vengono immesse direttamente sul denaro che una persona produce in un
dato momento, questo comporta anche una variazione di tale imposta da soggetto a soggetto in
base a diversi parametri che possono essere i possedimenti o il reddito di una qualsiasi
persona. Alcuni esempi riguardanti questa imposta sono l’IRPEF, ossia una tassa personale
che va a incidere sui redditi prodotti all’interno dei confini italiani da ogni cittadino.
Le imposte indirette sono tutte quelle imposte che non colpiscono i guadagni prodotti sul
momento da una persona, ma quelle somme di denaro che vengono spese in qualsiasi modo.
Un esempio di imposta indiretta è l’IVA.
Quando parliamo di contributi indichiamo il prelievo coattivo effettuato per finanziare un’opera
o un servizio pubblico specifico (es contributi pensionistici).
Con il termine incidenza legale indichiamo il soggetto che è giuridicamente tenuto al pagamento
dell’imposta. Poiché i prezzi possono variare in seguito all’introduzione di un’imposta,
l’incidenza legale non fornisce alcuna indicazione su chi paga effettivamente l’imposta.
L’incidenza economica invece indica il soggetto che sopporta l’onere dell’imposta e rappresenta
la variazione nella distribuzione del reddito determinata dall’introduzione della stessa. La
differenza tra incidenza legale ed incidenza economica prende il nome di traslazione
dell’imposta.
Nell’analisi dei modi in cui le imposte ricadono sulla distribuzione del reddito bisogna tenere
conto di alcuni fattori.
Per l’economista sono solo le persone fisiche (azionisti, lavoratori, consumatori,
proprietari di beni mobili ed immobili) a supportare il carico fiscale.
Esistono due modi per classificare le persone fisiche ai fini dell’analisi dell’incidenza
economica.
1. Distribuzione funzionale del reddito. L’analisi dell’incidenza viene condotta
studiando il modo in cui l’imposta, ed in generale il sistema fiscale, modifica la
distribuzione del reddito tra i lavoratori, gli azionisti ed i proprietari di beni (le
persone fisiche).
2. Distribuzione quantitativa del reddito. Cerca di spiegare il modo in cui il reddito
viene distribuito tra gli individui, indipendentemente da chi genera il reddito
stesso.
Le variazioni nella distribuzione funzionale del reddito possono essere tradotte in
variazioni nella distribuzione quantitativa.
Bisogna considerare sia le fonti, sia gli impieghi del reddito. Se il prezzo aumenta, tutti
coloro che tendono a consumare molte unità del bene vedono peggiorare il proprio
benessere, se l’imposta riduce la domanda, sono i fattori impiegati nella produzione del
bene a vedere peggiorare la propria situazione perdendo del reddito.
L’incidenza dipende dalla modalità di determinazione dei prezzi. Nella maggior parte dei
casi la reazione alla variazione dei prezzi è maggiore nel lungo periodo. L’incidenza di
breve e lungo periodo di un’imposta può variare.
L’incidenza dipende dalla destinazione del gettito fiscale. Con l’analisi dell’incidenza con
bilancio in pareggio si calcola l’effetto dell’imposizione fiscale e della spesa pubblica
finanziata dalle imposte. L’effetto distributivo finale di un’imposta dipende anche da
come la P.A. spende il denaro. In alcuni studi si ipotizza che lo Stato impieghi il gettito
fiscale esattamente come un consumatore medio. Con l’analisi dell’incidenza
differenziale dell’imposta si analizza la distribuzione delle risorse confrontando imposte
alternative. Con l’analisi dell’incidenza assoluta dell’imposta si esaminano gli effetti
dell’imposta ipotizzando che non esistano sostituzioni con altri tributi o variazioni della
spesa pubblica. Si presuppone spesso che l’imposta sia un’imposta a somma fissa,
ovvero un’imposta i cui effetti non dipendono dal comportamento del singolo.
-
- Attraverso la suddivisione in scaglioni di reddito in cui l’aliquota media è applicata
solo al dato scaglione di reddito.
Abbiamo detto che le imposte influiscono sulla distribuzione del reddito in quanto producono
variazioni dei prezzi relativi. Quando si intende calcolare l’incidenza delle imposte si utilizzano
modelli di equilibrio parziale, ovvero modelli che considerano unicamente il mercato in cui viene
imposto il tributo ed ignorano gli effetti sugli altri mercati.
Le imposte specifiche, ovvero le imposte applicate come ammontare fisso su ogni unità di
bene venduto, generano una nuova curva di domanda percepita dai produttori, che ricevono il
prezzo del bene meno l’imposta specifica. La loro curva di domanda sarà pertanto più bassa
con l’introduzione dell’imposta specifica. L’equilibrio è individuato nel punto in cui l’offerta è
uguale alla domanda, con la nuova curva di domanda per i produttori, l’equilibrio si sposta. Con
l’introduzione dell’imposta la quantità Q venduta è minore. Il prezzo pagato dai consumatori è
uguale al prezzo di equilibrio (calcolato prima dell’introduzione dell’imposta) più il prezzo
dell’imposta specifica. In seguito all’introduzione dell’imposta il benessere dei consumatori
peggiora perché il nuovo prezzo è superiore a quello originale, peggiora anche il benessere dei
produttori. L’incidenza di un’imposta specifica è infatti indifferente al fatto che venga attribuita a
produttori o consumatori.
L’incidenza dell’imposta specifica dipende anche dall’elasticità della domanda e dell’offerta.
Più è elastica la curva di domanda, minore è l’imposta che grava sui consumatori (a parità di
condizioni), con una domanda elastica è più facile per i consumatori passare ad altri prodotti
quando il prezzo sale, in questo modo una percentuale maggiore dell’imposta sarà a carico dei
produttori.
Più è elastica la curva di offerta, minore è l’imposta che grava sui produttori (a parità di altre
condizioni).
Le Imposte ad valorem cioè le imposte con un’aliquota proporzionale al prezzo (IVA), nel caso
in cui sia legalmente a carico dei consumatori, sposta la curva di domanda verso il basso di una
stessa percentuale per ciascun livello di output. Generando una nuova curva di domanda, si
trova un nuovo punto di equilibrio dove la domanda (con l’imposta ad valorem) e l’offerta si
eguagliano. La quantità scambiata è minore, ed il prezzo sostenuto dai produttori si trova
calcolando la quantità efficiente sulla curva di offerta, il prezzo sostenuto dai consumatori si
trova calcolando la quantità sulla nuova curva di domanda.
variazione del prezzo del bene. Se la variazione equivalente è maggiore del gettito raccolto con
l’imposta, il tributo peggiora la condizione dell’individuo per un’utilità maggiore dell’entrata
tributaria che genera. Siamo davanti ad un caso di eccesso di pressione tributaria.
Non tutti i tributi generano un eccesso di pressione tributaria.
La somma fissa (lump-sum) è un ammontare fisso, senza alcuna corrispondenza con variabili
controllabili, come le caratteristiche e le dimensioni dell’oggetto da tassare. Un’imposta a
somma fissa genera lo spostamento parallelo della retta del vincolo di bilancio. Le entrate
derivanti dalle imposte a somma fissa sono uguali alla variazione equivalente, quindi questo tipo
di tassazione non causa un eccesso di pressione tributaria.
Un tributo che modifica i prezzi relativi dei beni è inefficiente perché riduce l’utilità dell’individuo
più di quanto sia necessario.
Nonostante sia efficiente, la tassazione a somma fissa non è uno strumento politico molto
utilizzato in quanto si tratta di un tipo di tassazione molto iniquo, perché deve essere pagato da
tutti indipendentemente dalla loro condizione economica.
Negli anni ‘90, la Thatcher introdusse in Gran Bretagna un’imposta a somma fissa sul capitale,
questa imposta non variava al variare del reddito o del patrimonio, ma al variare dell’area
geografica di residenza. Vista la sua iniquità, questa tassazione fu uno dei principali motivi della
caduta del governo Thatcher. Per produrre risultati più equi bisognerebbe fare pagare una
somma superiore a coloro che hanno un reddito maggiore, ma un’imposta del genere
condiziona le decisioni individuali a tal punto da far decidere di lavorare di meno, o non lavorare
per niente. Ne deriva che un’imposta sul reddito non può essere un’imposta a somma fissa e le
due imposte non sono equivalenti, poiché il reddito di ciascun individuo è sotto il suo controllo.
In un’economia moderna, la tassazione in somma fissa è considerata come riferimento per
valutare l’efficienza delle imposte, ma non può essere un’alternativa politico-fiscale.
Quando prendiamo in considerazione la tassazione del lavoro, bisogna distinguere tra effetto
sostituzione ed effetto reddito. L’effetto sostituzione è una modifica nella quantità consumata
di un bene imputabile alla sola variazione del prezzo relativo, nel caso in cui un’imposta riduca il
salario netto di un lavoratore, il costo opportunità del tempo libero diminuisce e quindi si tende a
sostituire il lavoro con il tempo libero. Quest’affermazione non è sempre vera, in quanto
potrebbe manifestarsi l’effetto reddito, cioè quell’effetto prodotto da una variazione del prezzo
sulla quantità consumata, imputabile esclusivamente alla variazione del reddito del
consumatore. In altre parole, qualunque sia il numero di ore lavorate, l’imposta riduce il reddito
individuale, e se il tempo libero è un bene normale, la perdita di reddito porta ad una riduzione
del tempo libero in favore delle ore lavorate.
Se prevale l’effetto sostituzione, le ore di lavoro aumentano all’aumentare del salario netto.
Sulla base di questa idea, l’economista Laffer crea un grafico, che prende il nome di curva di
Laffer e rappresenta la relazione tra aliquota d’imposta ed entrate tributarie. L’idea del modello
è quella secondo cui la riduzione dell’aliquota fiscale non necessariamente riduce le entrate
tributarie. Le entrate tributarie aumentano all’aumentare dell’aliquota fino a raggiungere un
livello massimo, dopo questo picco cominciano a diminuire portandosi fino a 0. La forma della
curva di Laffer dipende dall’elasticità del lavoro rispetto al salario netto, può essere vera solo se
prevale l’effetto sostituzione, se invece prevale l’effetto reddito la riduzione delle imposte e il
conseguente aumento del salario netto provocano una riduzione inevitabile delle ore di lavoro e
quindi una riduzione del gettito creato dall’aliquota. Inoltre è stato dimostrato che perché ci sia
un aumento del gettito, è necessario che la riduzione delle aliquote d’imposta faccia aumentare
l’offerta di lavoro in maniera molto consistente, così da generare maggior reddito.
Un altro comportamento che può essere influenzato dal sistema tributario è la decisione sul
risparmio. Le decisioni sul risparmio si basano sul modello del ciclo vitale, secondo cui gli
individui pianificano anno dopo anno le loro decisioni sul consumo e sul risparmio considerando
tutta la loro vita. Ciò che si risparmia ogni anno non dipende soltanto dal reddito di quel
determinato anno, ma dal reddito passato e da quello che si prevede di avere nel futuro.
L’individuo può decidere di consumare meno oggi e risparmiare per potere consumare più nel
futuro, oppure spendere di più oggi riducendo i propri risparmi e quindi le proprie spese future.
La tassazione del reddito da capitale riduce il costo opportunità del consumo presente e quindi
la propensione al risparmio.
l’aliquota media tra i due diminuisce, la decisione di avere figli è neutrale, l’elusione è neutrale,
la partecipazione di entrambi i coniugi al mercato del lavoro è neutrale;
si può tassare per parti (quoziente familiare). L’aliquota è una funzione della somma dei
redditi del nucleo familiare pesata in base al numero dei componenti familiari. La decisione di
sposarsi è favorita, se si sposano l’aliquota media tra i due diminuisce, la decisione di avere figli
è favorita in quanto l’aliquota media si abbassa con il numero dei figli, l’elusione è neutrale, la
partecipazione di entrambi i coniugi al mercato del lavoro è neutrale.