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Università degli Studi di Milano – Facoltà di Filosofia

What is mind? Don’t


matter! What is
matter? Never Mind
Introduzione alla filosofia analitica
della mente
Dott. Davide Bordini

Francesco Marsigli
Anno accademico 2017/18 – I semestre
Sommario
Introduzione ......................................................................................................................................... 2
René Descartes..................................................................................................................................... 4
Gilbert Ryle e il comportamentismo .................................................................................................... 6
Hilary Putnam e le obiezioni al comportamentismo ........................................................................... 8
Smart e la teoria dell’identità psico-fisica.......................................................................................... 10
Il funzionalismo .................................................................................................................................. 13
Il problema della coscienza ................................................................................................................ 16
Risposte fisicaliste al problema della coscienza ................................................................................ 21
I tipi di fisicalismo ............................................................................................................................... 24
Forme di anti-fisicalismo .................................................................................................................... 26

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Introduzione
Che cosa è la filosofia analitica?
La filosofia analitica pone la sua attenzione sugli argomenti, che devono essere corretti sulla base
della logica formale, evitando quindi qualsiasi forma di contraddizione. La filosofia analitica si
propone di dare ragioni ed argomenti e comporta un tentativo di dire ciò che si pensa motivandolo
con argomenti precisi, unica base per convalidare un processo gnoseologico non empirico. Altro
elemento centrale che appare dalla citazione di Geach, è la discussione per prendere in seria
considerazione una tesi.
La filosofia analitica si propone quindi di:
1) Argomentare le nostre tesi e valutare gli argomenti altrui;
2) Non basarsi sul principio di autorità, né nel bene né nel male;
3) Mirare alla chiarezza, esplicitando le idee, assunzioni e intenzioni rilevanti e scomponendo i
problemi nei loro elementi fondamentali;
4) Essere caritatevoli nei confronti degli interlocutori, discutendo sempre la versione migliore
delle loro tesi.
La filosofia analitica non è una scuola o una dottrina, ma un metodo per approcciarsi alle tesi altrui.

• Cosa sono gli argomenti?


Sono diversi dalle asserzioni e si compongono presentando alcune ragioni che fanno da premesse
da cui si deducono conclusioni espresse dai connettivi logici “quindi”, “dunque”, “ergo”.

• Cosa dobbiamo fare quando leggiamo un testo?


A prescindere dalla nostra credenza nella tesi sostenuta, noi dobbiamo evidenziare questa tesi
principale (claim), elencare le ragioni offerte a sostegno della tesi e chiederci se sia ragionevole
credere a ciò che la tesi sostiene.

Che cos’è la Filosofia della mente?


Partiamo dall’assunto che esistono stati in prima persona, provati da tutti noi quotidianamente, e
che questi non si ritrovano nel cervello fisico; si può dire che si tratti di stati mentali, che
appartengono alla mente di una persona, ma allora bisogna chiedersi quale sia il rapporto tra la
mente e il cervello. Se mente e cervello sono due cose separate, dove si trova la mente? Quali cose
hanno una mente? Sappiamo che gli esseri umani ce l’hanno, gli oggetti fisici no, ma cosa possiamo
dire di animali, computer o robot? Sicuramente non la attribuiamo a cose prive di una vita interiore.
Prima ancora di iniziare a fare filosofia della mente, noi abbiamo delle intuizioni pre-teoriche:
intuitivamente, alla nostra prima esperienza, ci sembra che l’Essere sia biforcato: da un lato si trova
il mondo esterno e materiale, con gli oggetti e le loro proprietà primarie, dall’altro si trova il mondo
interiore e immateriale, la mente, le percezioni, le emozioni e le qualità secondarie. Abbiamo un

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dilemma in cui abbiamo una tensione tra la nostra intuizione della mente come oggetto non fisico
e la prospettiva scientifica materialistica secondo cui ogni cosa che esiste deve essere fisica.
Stiamo già facendo filosofia, ma quali sono le nostre domande?

• Che cos’è la mente?


o Che cosa sono gli stati mentali?
o Quale è il posto della mente nel mondo fisico? Qual è il rapporto tra mente e mondo
fisico?
Due sono le principali risposte a queste domande: fisicalismo (o materialismo), secondo cui la mente
è materia e la tensione è sostanzialmente illusoria; anti-fisicalismo: la mente non è materia, o
almeno non nel senso di “materia” presupposto dal fisicalismo. Il fisicalismo è necessariamente
monistico, mentre l’anti-fisicalismo può essere sia dualistico che monistico. Prendiamo come
esempio il teletrasporto di Star Trek: secondo il fisicalismo, per avere una persona con gli stessi stati
mentali di quella trasmessa basta ricombinare correttamente le sue proprietà fisiche; secondo
l’anti-fisicalismo servirebbe qualcosa di più.
Perché dobbiamo concentrarci su questo problema? Thomas Nagel (Mente e corpo) ci spiega che il
problema mente-corpo non è un problema locale ma coinvolge altri problemi:

• Qual è la natura ultima del reale? Di cosa è fatto e quali sono le caratteristiche dell’Essere?
C’è qualcosa di più della materia?
• La nostra mente opera su ragioni, verità astratte, norme razionali e valori. Ma cosa sono
queste cose? Esistono e possono realmente determinarci? Possiamo determinarci da noi o
siamo soggetti al determinismo?
• Vi è una connessione tra il possedere una mente ed essere una persona, dunque un soggetto
morale con dei diritti. Quale è questa connessione?
• Le nostre domande si possono riassumere con la seguente domanda: quale è il nostro posto
in quanto soggetti nell’ordine naturale?

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René Descartes
Partiamo dal primo filosofo a formulare sistematicamente i problemi che abbiamo visti, dando una
formulazione chiara alla questione di principio e alle intuizioni pre-teoriche da cui oggi noi
prendiamo il via. Descartes parte da un dualismo delle sostanze, ritenendo la mente una sostanza
immateriale e gli stati mentali delle proprietà di questa sostanza immateriale. Secondo Descartes il
rapporto mente-corpo non è intrinseco ma esclusivamente estrinseco: mente e materia sono due
sostanze diverse e distinte che esistono indipendentemente l’una dall’altra; la materia si estende
nello spazio ed è sottoposta alle leggi della fisica, la mente è invece pensiero e coscienza. Per
pensiero intende qualsiasi funzione cognitiva e specifica che la conoscenza è elemento necessario
per la presenza della mente. L’uomo è un composto di materia e mente.
La mente è immateriale, cosciente (provare qualcosa), autocosciente (sapere di essere coscienti),
trasparente al soggetto, che ha un accesso privilegiato ad essa, privata (non è accessibile in terza
persona) ed è in una relazione contingente ed estrinseca (causale) con il corpo. Tutti i termini
psicologici si riferiscono alla mente come sostanza e alle sue proprietà.
Nelle Meditazioni metafisiche, in particolare nella II e nella VI, Descartes propone il suo argomento
a supporto di ciò:
I. Dimostrazione della certezza della propria esistenza (II meditazione)
II. Dimostrazione del fatto che per essenza un uomo è una cosa che pensa (II meditazione)
III. Dimostrazione del fatto che mente e corpo sono due cose diverse (VI meditazione)

I. La dimostrazione della propria esistenza è presto fatta: se io penso, allora esisto, anche se tutto
ciò che penso sia ingannevole; un demone maligno che mi inganni deve per forza ingannare
qualcuno, ovvero me (argomento del cogito).
La premessa (1) è poiché io sono persuaso che p o mi inganno che p, allora sto pensando. Quali sono
le assunzioni di Cartesio?

• Assunzione 1: essere persuaso di qualcosa, o ingannarsi su qualcosa, vuol dire pensare


• Assunzione 2: la mia conoscenza della mente, la mia conoscenza introspettiva, è:
o Infallibile: se penso di essere in uno stato mentale, allora sono in quello stato
mentale.
o Trasparente: quando sono in uno stato mentale, allora so di essere in quello stato
mentale.
La premessa (2) è se x pensa, allora x non può non esistere, assumendo quindi che il pensiero implichi
consapevolezza della cosa pensata e consapevolezza di me che penso. Di fatto non può esserci
pensiero senza soggetto che compia l’atto di pensare.
Perché l’argomento del cogito funzioni, è necessaria la formulazione in prima persona della
premessa (1) e delle sue assunzioni.

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II. Il pensiero è l’unica proprietà che io possa attribuirmi con certezza, mentre di tutto il resto posso
dubitare. La mia essenza è allora quella di pensare, poiché “essenza” è ciò che rende una cosa quella
cosa ed è l’unica che non si può dubitare senza smettere di esistere.
Su questo punto si sviluppano un po’ di problemi, ad esempio legati all’identità personale. Esistono
infatti casi particolari in cui vi è una interruzione del pensiero (il coma, ad esempio).
La certezza di pensare determina quindi due cose: la mia esistenza e la mia essenza, ovvero che cosa
sono.
III. Il terzo argomento parta dal fatto che possiamo percepire in maniera chiara e distinta ciò che è
diverso e funziona in questo modo:
P. (1): Io posso concepire la mia mente come qualcosa che esiste senza il mio corpo.
P. (2): Se P. (1), allora è possibile che la mia mente esista senza il mio corpo.

Conclusione: Se P. (2), allora mente e corpo sono due sostanze diverse e separate.
Le due sostanze, mente e corpo, sono distinte ma di fatto interagiscono in maniera causale. La
posizione si chiama interazionismo: sono sostanze separabili (da Dio), la mente interagisce sul corpo,
guidandolo.
La P. (2) è problematica, poiché deduce una possibilità ontologica da una credenza preliminare:
passa dalla concepibilità (credere che qualcosa sia possibile) alla possibilità effettiva1 e infine alla
verità di una differenza, senza sapere la natura di questa distinzione. L’argomento si può riformulare
sostituendo Superman e Clark Kent a mente e corpo. L’argomento di Descartes è viziato dalla P. (2)
ma ciò non significa che la concezione dualista sia sbagliata: è sbagliata la ragione che ci dà Descartes
per credere al dualismo. Un’obiezione famosa a questo argomento è quella di Arnauld.
Il passaggio dalla concepibilità alla possibilità è giustificato da Cartesio ricorrendo a Dio: Dio è buono
e non mi inganna e se percepisco una cosa chiara e distinta, allora essa è vera poiché Dio non
vorrebbe che io mi ingannassi su ciò che mi appare evidente.
Un’altra obiezione è formulata da Elisabetta di Boemia e colpisce direttamente il dualismo: come
può una sostanza materiale causare qualcosa in un oggetto materiale? Due sostanze separate non
possono interagire ma questo è contrario ad una delle assunzioni pre-teoriche, ovvero che la mente
agisca sul corpo e viceversa.

1
Vi è una stretta connessione, anzi un passaggio da una dimensione epistemica (concepibilità) ad un piano metafisico
(possibilità) ad uno ontologico (realtà). Un passaggio di questo genere sembra essere molto difficile, se non impossibile,
e ingiustificato.
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Gilbert Ryle e il comportamentismo
Gilbert Ryle è critico verso la “dottrina ufficiale”, come chiama il dualismo cartesiano, perché ritiene
contenga un errore categoriale. Il dualismo cartesiano intende x come appartenente alla categoria
A, mentre in realtà x appartiene alla categoria B: con questo errore, si applicherebbero a x proprietà,
tipiche della categoria A, che a x invece non appartengono. Per Ryle, Descartes rappresenta i fatti
della vita mentale come se appartenessero ad una categoria logica (“sostanza”) quando in realtà
appartengono ad un’altra categoria logica.
Per Ryle, è un errore categoriale ritenere i termini psicologici si riferiscano ad una sostanza e alle
sue proprietà. Concepire la mente come qualcosa che appartiene alla categoria della sostanza ci
porta a costruire una teoria della mente come sostanza indipendente (con le proprie leggi e i propri
fenomeni). Il modo in cui la Dottrina ufficiale separa la mente dal corpo presuppone che mente e
corpo siano simili in quanto sostanze.
La dottrina ufficiale contiene diverse contraddizioni:
1. La dottrina ufficiale sostiene che è possibile uno studio scientifico della mente (come avviene
per la sostanza “corpo”) ma allo stesso tempo sostiene che la mente non sia osservabile in
terza persona. Questa critica di Ryle non è diretta tanto a Cartesio quanto alla prima
psicologia, interamente mentalistica e basata sulla dottrina ufficiale.
2. Come si fa a dare senso al nostro agire razionale? Se la mente è la fonte delle cause dell’agire
razionale ma le menti altrui sono inaccessibili, allora non è possibile attribuire con certezza
alle altre persone idee, comportamenti e azioni. Non è nemmeno possibile riconoscere la
razionalità in altri individui.
Che cos’è allora la mente secondo Ryle?
La risposta nasce dalle considerazioni al punto 2: la mente è attribuita alle creature con la capacità
di comportarsi in maniera intelligente; una creatura possiede una mente solo quando è in grado di
comportarsi in un certo modo, non esiste come un oggetto. L’unica cosa che esiste è il
comportamento (come gli edifici di Oxford) e la mente (come “l’università”) è un costrutto logico
utile a interpretare il comportamento altrui. Avere una mente vuol dire avere la capacità di mettere
in campo certi pattern comportamentali, dati alcuni stimoli. Attribuiamo la mente alle creature in
virtù di quello che essa fa o è disposta a fare, date certe condizioni.
Il comportamentismo afferma quindi che gli stati mentali sono in linea di principio osservabili, dato
che gli stati mentali sono in realtà comportamenti (o tendenze al comportamento) perfettamente
osservabili nel mondo fisico. I comportamenti sono meccanici, dato che sono risposte a condizioni
ambientali e stimoli.
Gli stati mentali sono ascrizioni (non entità) a partire da comportamenti o disposizioni a comportarsi
in un certo modo, date certe condizioni. Dunque gli stati mentali si possono attribuire in terza
persona, cosa che la dottrina ufficiale non permetteva.
Secondo il comportamentismo, è possibile una traduzione integrale una affermazione psicologica in
comportamenti: le affermazioni psicologiche non sono altro che abbreviazioni, utili per non dover
descrivere un intero comportamento. Vi è un rapporto di implicazione necessaria analitica tra i
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termini psicologici e i termini di comportamento. Il comportamentismo vuole infatti liberarsi del
concetto di mente come sostanza ma non vuole eliminare il linguaggio psicologico, a patto che lo si
usi per riferirsi al comportamento. Questo processo di traduzione dal linguaggio psicologico al
linguaggio del comportamento e delle disposizioni può essere definito riduzione semantica.
Cosa è una disposizione? Ad esempio, la fragilità del vetro, l’infiammabilità dell’alcool, la solubilità,
etc. Sono tendenze, capacità che un oggetto possiede ma che si manifestano solo in determinate
condizioni opportune: se un oggetto ha una certa proprietà disposizionale, quando si verificano le
condizioni opportune, si comporta necessariamente in un certo modo. Secondo i comportamentisti,
il comportamento umano (e dunque gli stati mentali) sono proprietà disposizionali degli esseri
umani. Non tutti i comportamenti sono infatti manifesti: credere che la terra sia tonda non è un
comportamento sempre manifesto, avere sete non è uno comportamento manifesto ma un
comportamento che si attiva in determinate condizioni e che diventa manifesto in condizioni
opportune (ad esempio, se c’è acqua un assetato bevo).
Il linguaggio disposizionale è molto più ricco di quello del comportamento manifesto e dunque è
preferibile per descrivere tutti gli stati mentali.

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Hilary Putnam e le obiezioni al comportamentismo
L’obiezione principale di Putnam dice che il linguaggio del comportamento non è sufficiente a
tradurre gli stati mentali e lo spiega con l’esperimento mentale dei super-Spartani. Il paper di
Putnam si basa su molti concetti di filosofia del linguaggio che bisogna chiarire nel mentre della
lettura.
Putnam attacca la versione debole del Comportamentismo: in essa si congiungono due tesi:

• Ci sono implicazioni analitiche tra enunciati sulla mente ed enunciati sul comportamento;
• Nel caso in cui fallisca la traduzione ciò è dovuto alla naturale ambiguità del linguaggio della
mente.
Putnam cerca di mostrare che gli stati mentali non sono costruzioni logiche a partire dal
comportamento e che non è contradditorio avere stati mentali senza i comportamenti ad essi
associati. Usa l’esempio del dolore. Il suo argomento è il seguente
P. (1): Se “dolore” significa un agglomerato di risposte comportamentali o disposizioni C, è
impossibile che qualcuno provi dolore senza avere C (questa tesi è quella
comportamentista).
P. (2): È invece possibile che qualcuno provi dolore senza avere C (super-Spartani).

Conclusione: C non cattura il significato di dolore.

Implicazioni analitiche: Kant sostiene che vi siano enunciati sintetici (informativi) veri a priori,
mentre per i neo-positivisti logici, tra cui Putnam, tutti gli enunciati sintetici sono veri o falsi a
posteriori. Gli enunciati analitici sono invece veri a priori solo in virtù del loro significato. Le
implicazioni analitiche sono quindi implicazioni la cui validità è data dal significato dei termini che le
compongono (ES: X è scapolo -> X non è sposato). Funziona bene con i sinonimi e funziona anche
invertendo premessa e conclusione.
Proviamo a vedere come funziona con un termine psicologico: X è nello stato mentale M -> X è
disposto a comportarsi in un modo C (che traduce lo stato mentale M)
Intensione: si contrappone ad “estensione”, ovvero la classe di enti a cui si riferisce un termine
(l’estensione di “bottiglia” è l’insieme di tutte le bottiglie del mondo). L’intensione di un termine è
invece il contenuto del concetto associato a quel termine 2 , è abbastanza simile al significato.
L’intensione di “scapolo” e “non sposato” è la stessa, mentre quella di “marito di Melania Knavs” e
di “45° Presidente degli Stati Uniti” è diversa.
Agglomerati: l’idea è che ad uno stato mentale non è associato un solo comportamento ma un
intero agglomerato di fenomeni comportamentali, nel caso del dolore ci sono le grida, le smorfie, il
toccarsi il punto dolorante, etc. Il concetto di dolore è dunque un concetto ad agglomerato, ovvero
un concetto la cui applicazione non è controllata da un solo criterio ma da un agglomerato di criteri.
Secondo Putnam, i criteri di applicazione di un concetto (i criteri che determinano l’appropriatezza
dell’uso di un concetto e non di un altro) sono determinati in modo interamente empirico. I criteri

2
Non è il modo corretto di definire l’intensione ma quello utile al nostro discorso.
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di applicazione sono infatti enunciati sintetici (veri a posteriori), dunque l’associazione fra
agglomerato e concetto è contingente e sottoposta a continua revisione.
Facciamo l’esempio del dolore: il dolore, come gli altri concetti psicologici, è un concetto ad
agglomerato, con numerosi criteri di applicazione. Il concetto di dolore è distinto dal concetto di
“scapolo”, poiché scapolo ha un solo criterio di applicazione, ovvero il rispetto dell’unica condizione
“non essere sposato”. La relazione tra scapolo e il suo criterio di applicazione non è contingente ma
necessaria: se modifichiamo il criterio infatti abbiamo un nuovo concetto.
Per il comportamentista, il concetto “dolore” si comporta come il concetto “scapolo” e il contenuto
di “dolore” è identico all’agglomerato di criteri, essendo associato in modo necessario
all’agglomerato. Cambiare i criteri di applicazione di “dolore” si cambierebbe anche il concetto di
“dolore”. Putnam invece la pensa al contrario, pur essendo d’accordo sul fatto che “dolore” sia un
concetto ad agglomerato: il concetto “dolore” non sta per un agglomerato di fenomeni
comportamentali ma ne è la causa. I comportamentisti e Putnam sono in disaccordo sulla relazione
che sussiste tra l’agglomerato di fenomeni comportamentali e lo stato mentale: per i
comportamentisti è una relazione di identità, per Putnam una relazione di causa effetto. La relazione
di causa-effetto ci fornisce un criterio stabile (ma non infallibile) per l’attribuzione del dolore e
implica necessariamente che dolore e manifestazione siano due cose diverse e non necessariamente
connesse. È quindi possibile (=non implica contraddizione logica) avere scenari in cui c’è dolore ma
non il fenomeno comportamentale.
Quest’ultimo punto lo mostra con l’esperimento mentale 3 dei super-Spartani: esistono degli
Spartani che sono in grado di reprimere ogni comportamento, anche involontario, legato al dolore;
eventualmente possono ammettere di provare dolore ma senza lasciarlo trasparire in alcun modo.
Una possibile evoluzione, in uno scenario radicale, sono i super-super-Spartani che sopprimono
anche il report verbale del dolore, non ammettendo neanche di conoscere cosa “dolore” voglia dire.
Nonostante questo anche loro provano dolore ma non hanno alcuna manifestazione del dolore.
Lo scenario ci pone davanti ad un dilemma: o (a.) è possibile che qualcuno provi dolore senza
manifestarlo oppure (b.) i super-Spartani non provano effettivamente dolore. Il corno (b.) è però
falso per ipotesi, dunque è vero (a.). Questa conclusione rende falsa l’intera teoria
comportamentista: il dolore non implica necessariamente certi comportamenti o disposizioni al
comportamento e il progetto di riduzione semantica fallisce perché il dolore non è un costrutto
logico a partire dal comportamento ma è la causa del comportamento.

3
Con un esperimento mentale si cerca di descrivere un mondo possibile, logicamente coerente, in cui non vi siano
contraddizioni logiche. Questo basta a contraddire una tesi dal punto di vista logico.
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Smart e la teoria dell’identità psico-fisica
È la teoria fisicalistica standard che promuove la perfetta identità tra mente e cervello; noi la
prendiamo in esame per come la propone Smart nel suo testo in lettura.
Pensiamo a dei resoconti di esperienze sensibili o percettive, come il dolore o una afterimage:
secondo la teoria dualista cartesiana, si tratta di resoconti genuini di esperienze (ovvero episodi
interiori, privati di cui siamo consapevoli direttamente e privatamente), il criterio di verità è dato
dall’esistenza di queste cose come appartenenti alla res cogitans. La teoria comportamentista
invece dice esattamente l’opposto: non esistono per il comportamentismo esperienze interiori, non
sono resoconti di esperienze ma al massimo possono nominare le nostre disposizioni
comportamentali.
Facciamo un passo indietro: in genere, quando facciamo metafisica e ci chiediamo “cos’è x?”,
abbiamo tre opzioni:

• Eliminativismo: x non c’è e viene eliminato dalla nostra ontologia. Posizione conservatrice.
• Primitivismo: x esiste ed è una sostanza, un irriducibile (= un primitivo). Posizione innovativa.
• Riduzionismo: x esiste ma non in senso irriducibile, x è in realtà un’altra cosa y. Posizione
conservatrice.
Il comportamentismo si colloca su una posizione eliminativista, poiché cancella la mente dal piano
ontologico, e fisicalista, ovvero sostiene che non esistono entità immateriali.
La conclusione del paper di Putnam non spiegava cosa fosse il dolore ma sembra lecito leggervi la
tesi per cui, qualunque cosa sia, il dolore è connesso ma non identico ad una certa disposizione a
comportarsi in un certo modo. Uno stato mentale deve essere qualcosa di più di una costruzione
concettuale che si sostituisce ad una disposizione a comportarsi. Rimane però una domanda: che
cos’è uno stato mentale?
Smart prova a rispondere a questa domanda dicendo che gli stati mentali sono identici a stati
cerebrali, ovvero gli stati fisici in cui si trova il cervello. Il comportamentista non valuta l’ipotesi che
gli stati mentali siano materiali, cosa che non è impossibile agli occhi di Smart. La mente è il cervello.
Se prendiamo i due esempi di resoconti da cui siamo partiti, Smart si trova su di una posizione
mediana tra dualismo e fisicalismo eliminativista: i resoconti sulle nostre esperienze sono genuini e
riguardano qualcosa che esiste nel mondo ma che non è immateriale (fisicalismo riduzionista).
Il principale motivo per supportare la teoria di Smart è, esplicitamente, il rasoio di Ockham: per
semplicità, tutto dovrebbe essere ridotto ai minimi elementi necessari per dare una spiegazione. A
parità di potere esplicativo, bisogna scegliere l’ipotesi che postula meno elementi.
P. (1): Dualismo e teoria dell’identità hanno lo stesso potere esplicativo nello spiegare i
fenomeni mentali.
P. (2): La teoria dell’identità è più parsimoniosa del dualismo.

Conclusione: Per il rasoio di Ockham, la teoria dell’identità è da preferire al dualismo.


L’argomento non supporta il fisicalismo ma ci dà una ragione per preferire la teoria. Smart non deve
difendere la P. (2), che è ovvia, ma la P. (1). Smart deve dimostrare che la teoria dell’identità è in
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grado di rispondere a tutte le obiezioni che le vengono sollevate, dunque presenta le possibili
obiezioni e vi risponde. Si tratta di un argomento difensivo, che non propone argomenti a favore del
fisicalismo, ma si difende dagli attacchi.
L’identità tra stati mentali e stati cerebrali secondo Smart è una identità forte, che comprende
identità di riferimento, identità numerica e identità di tipo (i tre modi dell’identità sono solo
specificazioni, non sono diversi: non si può avere identità di riferimento senza identità numerica).

• Identità di riferimento: il 45°presidente degli USA è il marito di Melania Trump. I due termini
dell’enunciato (“45° presidente USA” e “marito di Melania Trump”) si riferiscono allo stesso
ente nel mondo. Non vuol dire che i due termini dell’enunciato abbiano lo stesso significato
bensì che abbiano lo stesso referente nel mondo.
• Identità numerica: se fra x e y abbiamo una relazione di identità numerica, non stiamo
dicendo che ci sono due cose ma che ce n’è soltanto una. L’identità numerica si ha solo tra
una cosa e sé stessa: x e y sono una sola cosa, esattamente la stessa cosa.
• Identità di tipo: Marta e Marco hanno lo stesso telefono. Quando diciamo “stesso telefono”
intendiamo che hanno la stessa tipologia di telefono, non lo stesso oggetto fisico.
Dunque stati mentali e stati cerebrali si riferiscono allo stesso ente, sono la stessa cosa e sono lo
stesso tipo di cosa (non sono individuali). Stati mentali e stati cerebrali sono la medesima e unica
tipologia di cose, dove gli stati fisici sono il livello fondamentale su cui ridurre gli stati mentali.
Bisogna tenere presente che Smart fa riferimento specifico agli stati cerebrali del cervello umano,
non di altri enti.
Vi sono alcune obiezioni alla teoria dell’identità per come viene esposta da Smart a cui lui stesso
risponde.
Obiezione: Si può tranquillamente parlare di esperienze e di stati mentali senza conoscere nulla del
nostro cervello né di neurofisiologia: avremmo infatti due modi di parlare di una cosa sola, il che
implica che in realtà è probabile che ci siano due cose.
Risposta: uno può sapere cose sui fulmini e parlarne senza sapere che il fulmine è una scarica
elettrica. L’identità tra mente e cervello è solo contingente4, la cui scoperta potrebbe non essere
mai avvenuta: si tratta di una conoscenza a posteriori che ammette la possibilità dell’ignoranza e
dell’errore e impedisce un discorso a priori. La scienza procede per conoscenze a posteriori e prima
o poi arriverà ad una conoscenza più ampia.
Obiezione: Esiste una descrizione fenomenica e una descrizione fisica di certi stati in cui ci troviamo:
anche assumendo che si stia parlando della stessa cosa, se ci sono due descrizioni diverse, allora
devono esserci almeno due proprietà diverse, ciascuna delle quali giustifica una descrizione. Le due
descrizioni sembrano essere interamente separabili e indipendenti, ma allora anche le due proprietà
lo sono. Ergo, non c’è necessariamente un dualismo delle sostanze ma almeno un dualismo delle
proprietà.
Risposta: le proprietà, come ad esempio i colori, non sono episodi interiori localizzati nella mente
ma sono poteri degli oggetti di suscitare reazioni discriminatorie. Non è l’esperienza ad essere

4
Per Kripke le relazioni di identità non sono mai contingenti ma sempre necessarie, non sono descrizioni contingenti.
11
colorata, ma le cose ad esserlo. Se è così, allora le percezioni veridiche sono stati cerebrali causati
dalle proprietà fisiche degli oggetti.
Cosa succede allora nel caso dell’immagine postuma, dove non ho una esperienza veridica poiché
la cosa di cui ho una immagine non c’è realmente? Secondo Smart accade la stessa cosa di un caso
di percezione veridica: accade qualcosa che è come ciò che accade nel caso di una percezione
veridica. Se i due casi sono simili e per il caso della percezione veridica non è necessario ricorrere a
proprietà fenomeniche irriducibili, allora non è necessario ricorrervi anche nel caso delle immagini
postume: il soggetto si trova infatti in uno stato cerebrale sufficientemente simile a quello
dell’esperienza veridica il quale innesca la medesima reazione.
Questa risposta di Smart fa alcune assunzioni da valutare:
1) I colori sono proprietà fisiche;
2) I resoconti delle esperienze sono tematicamente neutrali: non ci impegnano rispetto alla
natura intrinseca di ciò che vediamo.
3) È possibile assimilare due cose senza specificare sotto quale aspetto quelle due cose sono
simili.
La teoria dell’identità non è una teoria della traduzione: termini psicologici e termini cerebrali hanno
significato diverso ma, di fatto, hanno lo stesso riferimento. Questo secondo Smart spiega perché
possiamo parlare di uno senza conoscere nulla dell’altro e motiva la contro-intuitività della teoria
dell’identità (e quindi la resistenza alla teoria).

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Il funzionalismo
La teoria dell’identità implica che creature senza un cervello e un sistema nervoso non hanno né
mente né stati mentali, ma questo implica anche che creature con un cervello ho un sistema nervoso
diversi da quelli umani, non hanno né mente né stati mentali. Questo offre il fianco all’obiezione
della realizzabilità multipla: la teoria dell’identità è una teoria “sciovinista”, che giudica poco
importanti altri tipi di cervello. Per Putnam, è possibile trovare due individui (di specie diverse) con
lo stesso stato psicologico ma diversi correlati fisico-chimici.
P. (1): La teoria dell’identità sostiene che il dolore è identico a una tipologia di stato
cerebrale.
P. (2): Se P. (1), allora la teoria sostiene che tutte le creature che provano dolore si trovano
nella stessa tipologica di stato cerebrale.
P. (3): È scientificamente implausibile che creature costitutivamente molto diverse abbiano
la stessa tipologia di stato cerebrale quando provano dolore.

Conclusione: la teoria dell’identità è scientificamente implausibile.


La P. (2) è giustificata dalla teoria stessa, mentre la P. (3) ha una giustificazione empirica. Bisogna
quindi ammettere una realizzabilità multipla: lo stesso tipo di stato mentale può essere realizzato
da stati fisici diversi. Accettando la realizzabilità multipla, non si può affermare che gli stati mentali
sia identici a tipologie di stati fisici (-> non c’è identità tra cervello e mente).
La teoria dell’identità si può riformulare relativizzando l’identità alla specie: per ogni specie, ogni
tipo di stato mentale è un tipo di stati cerebrali di quell’organismo. Dunque creature diverse
possono trovarsi in stati cerebrali diversi quando provano dolore. Ma il problema rimane: le creature
provano lo stesso tipo dolore, allora cosa rende questi diversi stati fisici di cervelli diversi, stati di
dolore? La teoria dell’identità non risponde oltre.
Gli stati mentali non sono disposizioni al comportamento ma hanno un ruolo nel causare il
comportamento, non sono tipologie di stati cerebrali ma possono essere realizzati da stati cerebrali.
Ma allora cosa sono?
Partiamo dall’assunzione che molte cose non sono descritte sulla base della loro struttura fisica o
del materiale, ma sulla base di ciò che fanno. Per esempio, un carburatore è un qualunque
dispositivo, fatto in qualsiasi modo o in qualsiasi materiale, che abbia la funzione di miscelare
carburante e aria. Altro esempio classico sono i software, che non sono definiti dall’hardware su cui
girano ma da ciò che fanno: non conta il dispositivo fisico, poiché è qualcosa che funziona su
qualsiasi dispositivo in grado di supportare quelle funzioni.
Per i funzionalisti, gli stati mentali sono catturati in termini della funzione che svolgono all’interno
di un sistema più ampio (la mente) e non in termini del supporto fisico da cui sono realizzati (il
cervello). Hanno la funziona di causare certi output comportamentali a partire da certi input
ambientali e trovandosi in una certa relazione con gli altri stati mentali. Prendiamo il caso del dolore:

• è tipicamente causato da danni ai tessuti o al corpo (input);


• si trova in combinazione con altri stati mentali, come credenze o stati emotivi;
• produce tipicamente un certo comportamento, come urlare, etc.
13
La descrizione funzionalistica di uno stato mentale richiede necessariamente tre elementi: input,
connessioni causali con gli altri stati della mente e output comportamentali. Il funzionalismo di
Putnam sostiene che gli stati mentali sono stati funzionali.
La mente necessita di un supporto fisico per poter funzionare ma non è identificata con nessuno dei
suoi possibili supporti fisici. La relazione che c’è tra stati mentali e stati fisici è una relazione di
realizzazione, non di identità 5 . Secondo questo funzionalismo, il mentale ha ancora una forte
dipendenza dal fisico: può esserci realizzatore senza funzione ma non può esserci funzione senza
realizzatore. È una relazione verticale, dal basso del fisico verso l’alto del mentale. La relazione tra
mente e comportamento è invece orizzontale: lo stato mentale causa il comportamento.
Per riassumere i punti fondamentali del funzionalismo:
• Gli stati mentali non sono comportamenti o disposizioni al comportamento, ma la causa del
comportamento.
• Gli stati mentali non sono neppure la stessa tipologia di cose degli stati cerebrali, i quali sono
invece i realizzatori degli stati mentali.
• Gli stati mentali sono delle funzioni -> la mente è il software che è installato e gira su un
certo hardware fisico (questa analogia supporta tutte le recenti riflessioni sulle intelligenze
artificiali).
• La conseguenza più importante è che, perché qualcosa abbia una mente come quella umana,
è che quella cosa sia in grado di replicare le proprietà funzionali che servono per avere una
mente come quella umana.
Nulla quindi vieta che esistano macchine in grado di avere una mente come quella umana, nella
misura in cui queste macchine replichino le proprietà funzionali rilevanti (=sono duplicati funzionali)
della mente umana.
Secondo il funzionalismo, tra i computer e le menti umane vi è solo una differenza quantitativa nel
numero di funzioni realizzate (la mente umana ne realizza di più, i computer hanno una maggiore
capacità computazionale) e non vi è alcuna differenza qualitativa. Per il funzionalismo non c’è alcun
problema di principio all’assimilazione di computer e mente umana, ma solo un problema empirico
temporaneo (quando conosceremo tutte le funzioni della mente, allora avremo dei perfetti duplicati
funzionali). Su questo tema si distinguono i funzionalisti da coloro che funzionalisti non sono: per
esempio, John Searle afferma che in linea di principio un computer non potrà mai essere una mente.
Come facciamo per avere una descrizione funzionale precisa di tutti gli stati mentali? Questa
domanda distingue diversi tipi di funzionalismo:

• Secondo alcuni (Armstrong, Lewis) basta la cosiddetta folk psychology: non serve la ricerca
empirica ma basta l’analisi concettuale rispetto ai nostri concetti ordinari di stati mentali.
Questa versione è chiamata funzionalismo analitico (non è quella vista fino a qui).
• Secondo altri (Putnam, Fodor) non basta l’analisi concettuale dei concetti ordinari ma serve
la psicologia scientifica. Serve quindi una ricerca empirica da parte degli psicologi, “specialisti
del mestiere”. Viene chiamata psicofunzionalismo.

5
Molti, tra cui Jaeg-Won Kim, sostengono che questa relazione re-introduca una forma di dualismo.
14
Nel funzionalismo abbiamo due tipologie di cose diverse, ovvero funzioni e stati cerebrali che
realizzano le funzioni: questo complicata il “fisicalismo” della teoria. Un modo di spiegare la
relazione tra fisicalismo e funzionalismo chiama in causa i concetti di type e token6: dal punto di
vista dei type abbiamo una distinzione tra funzione e realizzatore, mentre dal punto di vista dei
token abbiamo una identità tra funzione e realizzatore. A livello di type c’è una prevalenza del fisico
sul mentale, andando a rinforzare l’aspetto fisicalista del funzionalismo. Inoltre le proprietà mentali,
venendo catturate in senso funzionale, perdono la propria “aura” misteriosa e vengono pienamente
naturalizzate. L’accento sulla natura funzionale della mente ci porta a non chiederci più quale sia il
posto della mente nella natura.
Se confrontiamo il funzionalismo con le altre teorie fisicaliste, notiamo alcune differenze: il
fisicalismo eliminativista del comportamentismo nega totalmente gli stati mentali; il fisicalismo
riduzionista della teoria della identità psico-fisica riconduce gli stati mentali agli stati cerebrali,
sostenendo dunque che gli stati mentali sono ma non in senso forte; il funzionalismo si colloca
invece su di una posizione (dubbia e molto criticata) di fisicalismo non-riduzionista.
Riprendiamo il punto sull’Intelligenza artificiale e il funzionalismo da un dialogo tratto da Battlestar
Galactica. Apollo e Helo sostengono che il criterio per determinare una persona è il pensiero
autonomo e creativo: secondo Apollo i Cylon sono programmati a pensare, dunque non sono
autonomi, mentre secondo Helo, il fatto che uno di loro abbia fatto una scelta libera dimostri il
contrario. Il punto di disaccordo tra i due è se i Cylon possano avere o meno una mente come la
nostra, pur essendo macchine. L’assunzione di fondo delle tesi di Apollo è che ci sia qualcosa di
speciale riguardo alla mente umana, che una macchina programmata con tutte le sue capacità
computazionali non è in grado di eguagliare in linea di principio. I filosofi che hanno sostenuto
questa tesi affermano, criticando il funzionalismo, che la mente ha una proprietà essenziale non
riproducibile artificialmente che è il suo essere cosciente.

6
Type e token: type indica una classe o un genere di proprietà, token indica invece una singola occorrenza concreta
all’interno di una classe.
15
Il problema della coscienza
Il problema
La coscienza, all’interno della filosofia della mente, è intesa come una proprietà qualitativa del
mentale.
Ned Block critica il funzionalismo, sostenendo che si tratti di una teoria un po’ troppo “liberale”,
intendendo che il funzionalismo attribuisce una mente a troppi enti (a differenza del
comportamentismo che era sciovinista). L’esempio di Block è quello della nazione cinese: se una
mente è semplicemente un insieme di funzioni, allora conoscendo per intero le funzioni della mente
potremmo affidarle a persone (nell’esempio, i cittadini cinesi). Se il funzionalismo è vero e i cittadini
cinesi compiono la loro funzione in questa grande macchina, allora la nazione cinese dovrebbe
diventare uguale ad una mente umana. Secondo Block, questo non accade perché mancano i qualia7
del mentale (secondo la tesi di Nagel): mancano infatti gli effetti qualitativi propri della nostra vita
mentale. Ned Block formula quindi l’argomento degli absent qualia.
P. (1): Se il funzionalismo è vero, allora la macchina-nazione cinese è in grado di replicare
interamente ogni aspetto della nostra vita mentale.
P. (2): Se P. (1), allora deve replicare anche le nostre esperienze (=stati qualitativi, o qualia).
P. (3): La macchina-nazione cinese però non ha esperienze.

Conclusione: Il funzionalismo è falso.


Un altro esempio è quello dello spettro invertito: tutti concordiamo sul fatto che il rosso è il colore
di sangue, pomodori e Ferrari e che il verde sia il colore dell’erba. Sembra però concepibile che le
sensazioni visive siano sistematicamente invertite da persona a persona: il colore che X vede
“rosso”, Y lo vede invece di un colore che X chiamerebbe “verde”; ciò nonostante entrambi
concordano sul chiamare il colore in questione allo stesso modo.
P. (1): Se X e Y hanno lo spettro invertito rispetto al verde e al rosso, c’è una differenza nelle
rispettive esperienze di verde e rosso.
P. (2): Se il funzionalismo è vero, allora la differenza nelle esperienze di X e Y deve essere
una differenza nelle proprietà funzionali.
P. (3): La differenza non è nelle proprietà funzionali, dato che il funzionalismo sostiene che
X e Y, a parità di input e di output, siano duplicati funzionali.

Conclusione: Il funzionalismo è falso.


Se questi esperimenti funzionano allora il funzionalismo ha qualche serio problema nel rendere
conto delle proprietà fenomeniche.
Il funzionalismo non sembra in grado di offrire un resoconto soddisfacente delle proprietà
fenomeniche del mentale, ovvero della coscienza. Questo sembra indice della presenza di un
explanatory gap, termine coniato da Joe Levine.

7
Percezione di qualsiasi tipo, emozioni, sentimenti.
16
Ci sono vari tipi di problemi legati agli stati coscienti ma quello su cui ci si concentra è l’hard problem
per eccellenza: il posto della coscienza nella nostra descrizione dell’Essere e il tipo di relazione
(causale, di emergenza, etc) tra certi stati mentali coscienti e i corrispettivi stati neurali. La
correlazione tra stati mentali coscienti e i corrispettivi stati neurali appare arbitraria e sembra
mancare: questo si chiama explanatory gap, ovvero un salto ingiustificato tra la migliore spiegazione
scientifica che abbiamo e la nostra reale esperienza. Noi sappiamo che la coscienza, completa dei
suoi qualia, sorge in corrispondenza di determinati stati fisici ma non sappiamo, e non sembriamo
essere in grado di spiegare, perché sorge piuttosto che non sorgere e perché sorge in questo modo
piuttosto che in un altro. Il problema è che la relazione tra gli stati fisici e quelli mentali descritta
dal fisicalismo vorrebbe essere una correlazione necessaria ma, in qualunque modo la si guardi, essa
appare arbitraria e contingente.
Il problema è grave per il fisicalismo poiché nella migliore delle ipotesi si è costretti ad affermare
che si tratti di una teoria incompleta, dato che non rende conto della presenza dei qualia, mentre
nella peggiore della ipotesi, la presenza di uno iato esplicativo sembra condurci verso uno iato
ontologico. Il fisicalismo, posto di fronte al problema della coscienza, deve dimostrare o che il gap
esplicativo non esiste oppure che esso è solo esplicativo ed è riconducibile ad un limite della
conoscenza umana.
Dall’altra parte, il problema della coscienza apre per gli anti-fisicalisti uno spazio abbastanza ampio
in cui argomentare che la coscienza sia un fenomeno totalmente refrattario a qualsiasi tipo di
riduzione fisicalista e che quindi vi sia qualcosa di più della semplice materia.
Gli argomenti più famosi che partono dal tema della coscienza sono l’argomento della concepibilità
e l’argomento della conoscenza. Entrambi gli argomenti mirano a sostenere una forma di dualismo
(o almeno a criticare le forme di riduzionismo) partendo dalla coscienza e dagli stati mentali con
una fenomenologia (esperienze percettive, emozioni, dolore). Gli stati mentali coscienti diventano
il mezzo attraverso cui criticare il riduzionismo e sostenere un dualismo, dato che gli stati mentali
coscienti perdono il loro significato e la loro fenomenologia quando sono posti in una impostazione
riduzionistica. Vi è anche un terzo argomento, che non prenderemo in esame, che viene
comunemente chiamato “argomento della spiegazione”, esposto da Levine.

L’argomento della concepibilità


L’argomento della concepibilità viene proposto da Chalmers con riferimento agli “zombie”, copie
perfette di un essere umano sia nel corpo che nei comportamenti ma mancanti di esperienze
coscienti. Per come sono immaginati da Chalmers, gli Zombie sono dei perfetti duplicati fisico-
funzionali dei loro corrispettivi umani: se prendo Davide, allora Davide-Z è identico a Davide
molecola per molecola, funzione per funzione. Davide-Z si comporta esattamente come si comporta
Davide: agisce nello stesso modo, si muove nello stesso modo e interagisce con il mondo nello stesso
modo. Tuttavia gli zombie non hanno esperienze (=stati coscienti) in prima persona: di fronte al
colore rosso, sia Davide che Davide-Z dicono di vedere rosso ma in realtà Davide-Z non sta
esperendo alcun colore. L’argomento di Chalmers è quindi il seguente:
P. (1): Gli zombie sono concepibili.

17
P. (2): Se P. (1), allora gli zombie sono possibili.
P. (3): Se P. (2), allora il fisicalismo è falso.

Conclusione: Il fisicalismo è falso.


La P. (1) non vuole affermare che gli zombie descritti da Chalmers esistono realmente ma piuttosto
afferma che essi avrebbero potuto esistere, poiché la concepibilità si limita alla possibilità logica e
a quella reale.
Perché ci basta la possibilità degli zombie, ovvero la possibilità della separazione tra stati fisici e stati
mentali coscienti, per passare alla non-identità tra stati fisici e stati mentali coscienti? L’identità è
qualcosa che vale in tutti i mondi possibili, poiché è una questione necessaria (tutto o niente): è un
passaggio che si fonda sulla necessità dell’identità. Stiamo usando un senso della parola “identità”
che non è quello di “perfetta eguaglianza” o di “molta somiglianza”: nel senso che l’argomento
richiede, “identità” è qualcosa che riguarda uno e un solo oggetto. L’unico modo di usare la parola
identità in questo senso è la frase “una cosa è identica a sé stessa”. Una cosa è identica a sé stessa
in altri mondi possibili. L’identità è una relazione di equivalenza che detiene la proprietà transitiva
e la mantiene anche nei mondi possibili.
L’argomento si sviluppa, come quello di Cartesio per la separazione di corpo e mente, partendo dalla
concepibilità metafisica o logica (che devo solo rispettare il principio di non-contraddizione) e
deducendone la possibilità.

L’argomento della conoscenza: Nagel


L’argomento della conoscenza, tanto nella versione di Thomas Nagel quanto in quella di Frank
Jackson, cerca di mostrare che la descrizione fisicalista della mente è una descrizione incompleta
poiché esistono fatti relativi alla mente che il fisicalismo non è in grado di comprendere. Si deve
notare che in questi argomenti c’è un passaggio dalla “conoscenza” dei fatti della coscienza alla
“verità” dei fatti della coscienza: questo è giustificato perché la conoscenza non corrisponde alla
credenza. Logicamente ed epistemologicamente, la conoscenza è sempre rivolta qualcosa di vero:
“conoscere che p” implica “che p” ogni volta che l’affermazione relativa alla conoscenza è vera,
mentre “credere che p” implica “che p” solo se il contenuto della credenza (“che p”) è vero.
Thomas Nagel elabora il suo argomento nel 1974 con l’articolo What is like to be a bat?: Nagel si
chiede come sia essere un pipistrello e risponde che in linea di principio non possiamo e non
potremo mai saperlo. È abbastanza chiaro che i pipistrelli abbiano esperienze e che quindi vi sia una
fenomenologia dell’essere un pipistrello (un effetto che fa essere un pipistrello), caratterizzata da
una percezione fondamentale per questi animali data da un ecogoniometro. Per quanto questa sia
chiaramente una forma di percezione, essa non è minimamente simile nel suo modo di funzionare
ai nostri sensi e dunque non c’è ragione di credere che sia soggettivamente simile a qualcosa che
noi siamo in grado di immaginare e quindi tantomeno di farne esperienza o conoscere.
Dovremmo quindi cercare di elaborare un metodo che ci consenta di estrapolare la vita interiore
del pipistrello nella sua interezza a partire dal nostro caso personale di esseri umani dotati di cinque
sensi. Nagel propone due tentativi per fare questo:

18
• Si potrebbe immaginare di essere dei pipistrelli e di comportarci come loro, acchiappando
insetti con la bocca, dormendo a testa in giù, avendo membrane palmate e una vista molto
debole. Chiaramente questo tentativo non funziona, perché immaginare tutto questo può
solamente portare a sapere come sarebbe per un essere umano comportarsi come un
pipistrello, mentre noi vogliamo sapere come è per un pipistrello essere un pipistrello.
• Supponiamo allora che sia possibile trasformarsi gradualmente in un pipistrello: neanche
questo potrebbe aiutarmi perché non saprei mai come è essere un pipistrello, finché non
sono completamente trasformato in pipistrello.
In altre parole, per sapere come è essere un pipistrello, devo essere un pipistrello: non basta
proiettare il nostro punto di vista sul corpo e gli organi di senso che sappiamo appartenere ad un
pipistrello, dobbiamo proprio avere il punto di vista di un pipistrello. Questo punto di vista però non
sembra essere accessibile né replicabile a chi non è un pipistrello.
Il “com’è essere un pipistrello” sembra essere un fatto essenzialmente soggettivo: “soggettivo”
poiché è conoscibile esclusivamente da un punto di vista (quello del pipistrello, appunto),
“essenzialmente” poiché la connessione tra il “come è essere” e il punto di vista non è eliminabile
senza perdere entrambi i punti del discorso. Se infatti elimino dal discorso il punto di vista del
pipistrello, si perde anche il fatto di coscienza del “come è essere x”.
Secondo Nagel, tutti i fatti di coscienza sono essenzialmente soggettivi. Altri fatti, come ad esempio
il fatto che il fulmine sia una scarica elettrica o che l’acqua sia H2O, sono oggettivi, poiché sono
accessibili da molteplici punti di vista e, eliminando i vari punti di vista, il fatto rimane uguale.
La spiegazione fisico-funzionale della mente è in grado di catturare solo i fatti oggettivi relativi alla
mente (le connessioni neurali, la presenza di un ecogoniometro nei pipistrelli, l’attività della
corteccia nel cervello umano, etc.) ma non i fatti soggettivi. Questo avviene perché la spiegazione
fisico-funzionale della mente elimina di proposito e per principio il punto di vista e si propone di
studiare esclusivamente i fatti osservabili da diversi punti di vista e accessibili anche da individui con
sistemi percettivi differenti.
L’argomento di Nagel diventa allora il seguente:
P. (1): Ci sono dei fatti essenzialmente soggettivi.
P. (2): La spiegazione fisico-funzionale consente di catturare solo fatti oggettivi.
P. (3): Ci sono dei fatti, quelli essenzialmente soggettivi, che la spiegazione fisico-funzionale
non può catturare.

Conclusione: La spiegazione fisico-funzionale e il fisicalismo non danno una descrizione


esaustiva della realtà.

L’argomento della conoscenza: Jackson


Frank Jackson propone l’argomento della conoscenza nella versione di Mary la neuroscienziata.
Mary è appunto una neuroscienziata che viene passa tutta la sua vita in una stanza in bianco e nero
dove, sempre attraverso apparecchi in bianco e nero, ottiene tutta la conoscenza oggettiva dei fatti
fisico-funzionali che riguardano la percezione visiva umana. Un giorno Mary viene liberata dalla sua
19
stanza e riesce a vedere per la prima volta i colori, imparando qualcosa di nuovo; ma, se aveva già
tutta la conoscenza fisica relativa alla percezione, vuol dire che ci sono fatti relativi alla percezione
in più rispetto ai fatti fisico-funzionali, dunque il fisicalismo è falso.
Bisogna tenere ben presente che, per la buona comprensione dell’argomento, Mary deve essere
concepita come una conoscitrice ideale e perfetta: possiede tutta la conoscenza oggettiva dei fatti
fisico-funzionali relativi alla percezione umana, ne sa più di tutti sull’argomento e nessuno può né
potrà mai saperne più di lei.
L’argomento di Jackson viene schematizzato così:
P. (1): Quando è nella stanza in bianco e nero, Mary conosce tutti i fatti fisico-funzionali
concernenti la visione dei colori.
P. (2): Quando esce dalla stanza, Mary impara qualcosa di nuovo.
P. (3): Se P. (2), allora Mary non conosce tutti i fatti sulla visione dei colori quando è nella
stanza.
P. (4): Mary non conosce tutti i fatti sulla visione dei colori quando è nella stanza.
P. (5): Dunque, ci sono dei fatti sulla visione dei colori che non sono fatti fisico-funzionali.
P. (6): Ma, secondo il fisicalismo, tutti i fatti sulla visione dei colori sono fatti fisico-funzionali.

Conclusione: Il fisicalismo è falso.


La P. (1) è giustificata dall’assunzione che è possibile conosce tutto quello che c’è da sapere sulla
neurofisiologia della visione senza avere mai visto i colori. L’assunzione sembra plausibile, per come
la neurofisiologia pone la percezione dei colori: per studiare la visione come fenomeno fisico
prodotto da cause (una conoscenza in terza persona), non serve aver visto i colori. Come abbiamo
visto anche con l’argomento di Nagel, una descrizione fisico-funzionale non deve tenere in
considerazione i punti di vista
La P. (2) è giustificata da una intuizione abbastanza ovvia, ovvero che Mary impari davvero qualcosa
di nuovo appena percepisce i colori, il che ci porta direttamente alla conclusione della falsità del
fisicalismo.
La P. (3) è invece giustificata da due assunzioni: 1) il nuovo tipo di conoscenza di Mary è un tipo di
conoscenza proposizionale; 2) il fisicalismo non richiede solo che tutti i fatti sulla coscienza siano
fatti fisico-funzionali ma anche che le verità sulla coscienza sia interamente derivabili a priori dalle
verità fisico-funzionali.

20
Risposte fisicaliste al problema della coscienza
Vedremo alcune delle risposte date dai fisicalisti all’argomento della conoscenza (nella versione di
Jackson) e in base a queste risposte cercheremo di dare una classificazione dei fisicalismi secondo
quanto fatto da Chalmers. Le obiezioni dei fisicalisti vanno in genere a colpire la P. (2) e la P. (3)
dell’argomento di Jackson, in quanto sono le più controverse.

Blue Banana Trick (Daniel Dennett)


Una prima risposta del fisicalismo è quella di rigettare P. (2) e quindi l’intuizione che giustifica questa
premessa. A proporre un argomento in questo senso (Blue Banana Trick) è Daniel Dennett, secondo
cui Mary, essendo una conoscitrice ideale e perfetta, sa già in anticipo che effetto farà vedere un
colore. I carcerieri di Mary, prima di farla uscire, proveranno, per farle uno scherzo, a mostrarle una
banana colorata di blu, in modo che lei creda che quel colore, visto per la prima volta sia il giallo.
Mary però, avendo una conoscenza perfetta e ideale della percezione, sa esattamente che le banane
sono gialle e che il colore che sta osservando non è il giallo ma il blu, poiché il giallo appare in modo
totalmente diverso.
Secondo Dennett questo avviene poiché le nostre intuizioni sulla conoscenza perfetta di Mary sono
inaffidabili poiché noi abbiamo una differenza conoscitiva enorme rispetto alla sua: noi conosciamo
molto meno di Mary e non siamo in grado neanche di immaginare quale sia la parte in più della
conoscenza da lei posseduta. Secondo Dennett, l’intuizione che regge la P. (2) è solo frutto della
nostra ignoranza sulla perfezione e completezza della conoscenza di Mary.
Dennett sembra però compiere un grosso errore quando assume che c’è una differenza quantitativa
tra la nostra conoscenza e quella di Mary: l’argomento non ha infatti a che fare con la quantità di
conoscenza bensì con la qualità della conoscenza acquisita. Il punto dell’argomento è che
l’esperienza diretta dei colori fornisca un nuovo tipo di conoscenza, diversa da quella fisico-
funzionale che Mary già possiede per intero e a cui non può aggiungere nulla. L’obiezione di Dennett
non sembra cogliere questo punto dell’argomento e dunque cade in una petizione di principio,
assumendo fin dall’inizio che non vi sia alcun altro tipo di conoscenza che quella fisico-funzionale.

Aquaintance hypotesis (Conee, Tye) e ability hypotesis (Lewis, Nemirov)


Un’altra opzione per i fisicalisti è rigettare la P. (3), criticando una delle due assunzioni su cui essa si
fonda. Criticare la prima assunzione e quindi affermare che Mary non ottenga una nuova
conoscenza di tipo proposizionale, equivale a sostenere che Mary ottiene una conoscenza diversa
da quella teorico-scientifica (che è un tipo di conoscenza proposizionale) ma non una conoscenza di
fatti diversi: Mary potrebbe infatti ottenere una conoscenza acquaintance o una knowledge-how.
Per fare chiarezza tra i vari termini usati da questi argomenti:

• La conoscenza proposizionale è una conoscenza di fatti o stati di cose, ha la forma X sa che


P e non richiede una relazione diretta con l’oggetto conosciuto (permette la mediazione di
una autorità epistemica).
21
• Acquaintance è una conoscenza non-proposizionale, che non riguarda fatti o stati di cose, ed
è una conoscenza diretta, poiché richiede che il soggetto entri in contatto con l’oggetto nel
modo più diretto possibile.
• Knowledge-how: conoscenza di una abilità, che si ottiene solo esercitando quella abilità e
che non riguarda fatti o stati di cose.
L’idea della acquaintance hypotesis è che nella stanza in bianco e nero Mary ha solo una conoscenza
proposizionale teorica dell’esperienza dei colori ma non ne ha conoscenza diretta. Quando esce,
ottiene una conoscenza diretta delle qualità fenomeniche dell’esperienza dei colori ma non conosce
più fatti di quelli che conosceva prima: conosce solamente meglio, in maniera più diretta, gli stessi
fatti.
Secondo la ability hypotesis, vi è un contrasto tra conoscenza proposizionale (“sapere-che”) e
conoscenza di abilità (“sapere-come”): una persona potrebbe conoscere tutto riguardo alle
biciclette (storia, meccanica, economia, fisica, etc…) senza sapere come si va in bici. Una volta
imparata l’abilità, allora si ha una conoscenza diversa ma non si ha una conoscenza di fatti in più.
Mary nella stanza ha una conoscenza proposizionale della percezione, ma quando esce acquisisce
una abilità che prima non aveva: quella di classificare le esperienze dei colori su base introspettiva
(e non solo facendo riferimento alla lunghezza d’onda) e di ricrearle immaginativamente.
Alla acquaintance hypotesis si può rispondere che essa assume che vi sia una differenza tra proprietà
fenomeniche, conoscibili solo direttamente, e le altre proprietà incontestabilmente fisico-
funzionali. Non si spiega perché la acquaintance sia necessaria per ottenere una conoscenza
completa, anche se priva di più fatti, solamente delle proprietà fenomeniche, mentre non sia
necessaria per le altre proprietà, andando così a riprendere il tema dell’explanatory gap.
Alla ability hypotesis si può invece rispondere che essa assume, come fondamento dell’obiezione,
una distinzione netta tra “sapere-che” e “sapere-come” la quale distinzione non è né netta né
stabile: Stanley e Williamson ad esempio argomentano che in molti casi la knowledge-how è
semplicemente un diverso modo di esprimere una knowledge-that e che quindi tutte le abilità siano
in ultima istanza riconducibili a conoscenze proposizionali.
La ability hipotesis non sembra funzionare anche perché non sembra possibile che Mary acquisisca
soltanto una abilità senza acquisire nuovi concetti (e quindi proposizioni): per poter discriminare tra
i colori o immaginare le esperienze degli altri, Mary deve per forza conoscere un concetto benché
minimo che prima non aveva. Lo sostengono Loar (1990), Tye (1995, 2000) e Papineau (2002). Mary,
uscita dalla stanza, dirà cose come “Questo [riferendosi alla propria esperienza] è vedere il rosso!
Quest’altro è vedere il verde!”. Il termine “questo” riferito all’esperienza e il concetto fenomenico
del colore sono concetti che prima di uscire dalla camera non poteva conoscere e che si forma
appositamente per poter pensare, riconoscere, richiamare alla memoria e immaginare l’esperienza
del colore. Mary sicuramente impara una nuova abilità ma per acquisire questa abilità deve
comunque imparare nuovi concetti, ergo Mary acquisisce comunque una conoscenza
proposizionale di tipo nuovo e dunque conoscenza di fatti nuovi.

22
New knowledge/Old facts view (Horgan, Loar, Tye, Papineau)
Una nuova possibile strategia per i fisicalisti è quella dei concetti fenomenici (Horgan 1984; Loar
1990; Tye 1995, 200; Papineau 2002), la quale accetta l’idea che Mary ottenga una conoscenza di
tipo proposizionale (una “conoscenza fenomenica”) ma che comunque questa non comporti la
conoscenza di fatti nuovi non fisici. Viene quindi sostenuto che tutti i fatti sulla coscienza sono fatti
fisici ma questi possono essere conosciuti come fatti di coscienza soltanto tramite esperienze in
prima persona: vi sono quindi due modi diversi di parlare degli stessi fatti e Mary, uscita dalla stanza,
ottiene solo una nuova conoscenza proposizionale di fatti “vecchi”.
Pensiamo ai due enunciati “Daredevil è un esperto di arti marziali” e “Matt Murdock è un esperto
di arti marziali”: il fatto a cui si riferiscono è sempre lo stesso ma le due proposizioni sono
indipendenti e si possono conoscere indipendentemente. Alla scoperta dell’abilità nelle arti marziali
di Matt Murdock, Foggy imparerebbe sicuramente qualcosa di nuovo, ma imparerebbe un fatto
nuovo? Si può rispondere di no, poiché “Daredevil” e “Matt Murdock” si riferiscono allo stesso
individuo e dunque i due enunciati parlano dello stesso fatto.
Nel caso di Mary, lei acquisisce nuovi concetti fenomenici (“questo” e “rosso”) che però si riferiscono
sempre agli stessi fatti fisico-funzionali, nonostante siano disponibili solo dopo l’esperienza. I nuovi
concetti di cui ora Mary dispone non individuano nuove proprietà non fisico-funzionali e
intrinsecamente coscienti e dunque non implicano l’esistenza di fatti nuovi non fisico-funzionali e
intrinsecamente coscienti. Le nuove conoscenze di Mary sono soltanto un nuovo modo di sapere
quello che Mary sapeva già.

23
I tipi di fisicalismo
In base alle risposte che i diversi autori fisicalisti hanno dato alla sfida posta da Jackson con
l’argomento di Mary la neuroscienziata, Chalmers ha cercato di dare una classificazione dei diversi
indirizzi che prende il fisicalismo.
Questa teoria infatti non è una unica posizione ma comprende diverse sfaccettature, in
competizione tra di loro, rendendo molto difficile una definizione unitaria del termine. Se si pensa
al percorso fatto fin qui, si potranno infatti notare diverse posizioni relative ai problemi della filosofia
della mente che però afferiscono tutte al fisicalismo. Vi sono infatti:

• Diverse posizioni fisicaliste relative alla natura degli stati mentali: teoria dell’identità,
comportamentismo e funzionalismo.
• Diverse posizioni fisicaliste relative al problema della relazione tra proprietà fisiche e
proprietà mentali: eliminativismo, riduzionismo e non-riduzionismo.
• Diverse posizioni fisicaliste relative al problema della coscienza: tipo A, tipo B e tipo C

Fisicalismo di tipo A
La risposta di Dennett, la acquaintance hypotesis e la ability hypotesis fanno tutte parte del tipo A
di fisicalismo, secondo la classificazione che opera Chalmers. Secondo questa versione del
fisicalismo, non ci sono fatti nuovi che non siano fisico-funzionali che Mary possa conoscere una
volta uscita dalla stanza: o Mary possiede già tutta la conoscenza o Mary acquisisce una conoscenza
che non è di tipo proposizionale, dunque non impara fatti nuovi. Questa versione del fisicalismo
sostiene che, a partire dai fatti fisico-funzionali, sia possibile l’inferenza a priori della conoscenza di
ogni fatto.
Il fisicalismo di tipo A dunque mantiene la derivabilità a priori di tutti i fatti della coscienza a partire
dai fatti fisico-funzionali e nega la sussistenza dell’explanatory gap: questa posizione sostiene che
gli zombie di Chalmers non siano concepibili, che i qualia non esistano e in ultima istanza sembra
avvicinarsi molto all’eliminativismo.
Il fisicalismo di tipo A è sostenuto, tra gli altri, da Dennett, Dretske, Harman, Lewis e Nemirow.

Fisicalismo di tipo B
Il fisicalismo di tipo B invece viene ricondotto da Chalmers alla strategia dei concetti fenomenici.
Siccome questa strategia sostiene l’esistenza di due tipi irriducibili di concetti e conoscenze, delinea
una situazione in cui non c’è modo di derivare a priori gli enunciati che richiedono l’utilizzo di
concetti fenomenici a partire dagli enunciati che utilizzano i concetti fisico-funzionali. Ciononostante
la tesi rimane comunque una tesi fisicalista, poiché, anche se vi sono due tipi irriducibili di concetti,
i fatti reali sono solamente di un tipo, ovvero fisico-funzionale. Si tratta quindi di un fisicalismo
valido a posteriori, che accetta la prima assunzione della P. (3) dell’argomento di Mary mentre nega

24
la seconda. Chalmers chiama questa posizione fisicalismo di tipo B, secondo cui il fisicalismo è
postulato solo a posteriori, è “scoperto”.
Per i sostenitori del dualismo, il fisicalismo di tipo B si trova su una posizione di bilico poiché non
vuole sbilanciarsi ad ammettere che l’irriducibilità dei due tipi di concetti epistemici usati per
descrivere la mente e la coscienza sottintenda l’esistenza di due proprietà o di due sostanze
irriducibili a cui i due tipi di concetti fanno riferimento.
Il problema si sposta allora sulla questione dell’identità tra i fatti fisici e i fatti della coscienza:
l’identità tra fisico e mentale dovrebbe essere un principio epistemico primitivo, ma sarebbe l’unico
caso di identità come principio epistemico primitivo. Inoltre solo l’identità tra fisico e mentale
sembra essere un primitivo irriducibile, poiché gli altri casi analoghi di identità, come ad esempio
acqua-H2O, sono deducibili solo a posteriori.
Il fisicalismo di tipo B accetta l’explanatory gap e il fatto che, in linea di principio, non possa essere
chiuso mentre nega che le verità sulla coscienza siano interamente derivabili a priori dalle verità
fisico-funzionali. Per rispondere all’argomento di Mary segue la strategia dei concetti fenomenici,
ammettendo il dualismo dei concetti con cui parliamo della coscienza, mentre per quanto riguarda
l’argomento degli zombie ammette che essi siano concepibili ma non che siano possibili.
Sostengono questa forma di fisicalismo Levine, Loar, Lycan, Papineau e Tye.

Fisicalismo di tipo C
Secondo Chalmers esiste anche un fisicalismo di tipo C: questo accetta l’esistenza dell’explanatory
gap ma sostiene che si possa chiudere, in linea di principio, nonostante al momento ci sembri
impossibile. Questo tipo di fisicalismo insiste sul fatto che la nostra conoscenza attuale è limitata
ma che, una volta ampliata la nostra conoscenza e chiuso l’explanatory gap, sarà dimostrata la
derivabilità delle verità sulla coscienza a partire dai fatti fisico funzionali. Per quanto riguarda
l’argomento di Mary, viene sostenuto che solo attualmente ci sembra valida l’intuizione per cui
Mary impara qualcosa di nuovo; per quanto riguarda l’argomento degli zombie, sostiene che solo
attualmente ci sembrano concepibili.
Il fisicalismo di tipo C è una posizione intermedia tra quello di tipo A e quello di tipo B che però non
sembra particolarmente stabile o efficace e spesso può essere ricondotta ad uno degli altri due tipi
di fisicalismo.
Tra coloro che sostengono questa tesi vi sono McGinn e Van Gulick.

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Forme di anti-fisicalismo
Vi sono delle ragioni teoriche, derivate dagli argomenti relativi al problema della coscienza, per
sostenere delle posizioni anti-fisicaliste, le quali sostengono che le proprietà mentali siano elementi
primitivi del reale. L’idea alla base dell’anti-fisicalismo è che, nella struttura fondamentale del
mondo, vi è qualcosa di più delle sole proprietà fisiche o delle leggi fisiche. Questa idea si può
articolare in modi diversi:

• Dualismo (tipo D o tipo E, secondo Chalmers): ci sono due tipi fondamentali di proprietà
irriducibili che sono connesse tra loro in maniera più o meno estrinseca.
• Monismo (tipo F, secondo Chalmers): c’è una sostanza sola che due tipi di proprietà
irriducibili connesse tra loro in maniera non-estrinseca -> monismo (tipo F).
Nel caso del dualismo, la distinzione tra tipo D e tipo E è dovuta a come viene intesa la relazione tra
le due sostanze o proprietà fondamentali: il dualismo di tipo D, o interazionismo, sostiene che le
due sostanze interagiscano causalmente e vicendevolmente tra di loro; il dualismo di tipo E, o
epifenomenismo, sostiene invece che non c’è alcuna interazione causale reale tra fisico e mentale
ma solo apparente.
Entrambe le posizioni dualistiche sono sottoposte a pesanti obiezioni: nel caso del tipo D, si obietta
che una tale descrizione del mondo non rispetta il principio di chiusura causale del mondo fisico,
ammettendo che vi siano cause mentali che generano effetti fisici e viceversa. Al tipo E, che invece
rispetta il principio di chiusura causale, si obietta solitamente che tende a rendere le proprietà
fenomeniche e le proprietà mentali delle appendici prive di alcuna efficacia e funzione, rendendo la
descrizione, nei fatti, poco apprezzabile e vicina paradossalmente al fisicalismo.

Il monismo di tipo F si basa sull’idea di fondo che le proprietà fisiche siano proprietà disposizionali
della materia, spiegando bene il funzionamento delle cose ma non cosa effettivamente le cose
siano. Il mondo non si può ridurre alle sole proprietà disposizionali ma necessita anche di proprietà
categoriche, che giustificano l’esistenza delle disposizioni fisiche della materia stessa. Due versioni:

• Monismo neutrale (o russelliano): esiste un solo tipo di sostanza (la sostanza X) la cui natura
intrinseca non è né mentale né fisica, che dà origine alle proprietà fisiche e alle proprietà
mentali.
• Panpsichismo: le proprietà intrinseche della materia sono proprietà coscienti o proto-
coscienti. Queste proprietà coscienti fanno da base categorica per le proprietà disposizionali
della materia descritta della fisica. L’obiezione principale al panpsichismo è il combination
problem: il nostro essere coscienti sembra essere una proprietà semplice, ma se il
panpsichismo è vero allora il nostro essere coscienti sarebbe il risultato della combinazione
di elementi semplici già di per sé stessi coscienti. Come è possibile questo? Le discussioni
contemporanee sul panpsichismo girano tutte intorno a questo problema.
La differenza tra le due versioni di monismo di tipo F sta nella caratterizzazione della base categorica
per giustificare l’esistenza del mondo: nel monismo russelliano, la base categorica è neutra e dà

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forma tanto alle disposizioni fisiche quanto alle proprietà mentali; nel panpsichismo invece la base
categorica è già mentale e, in quanto tale, dà forma soltanto alle disposizioni fisiche.

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