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FARMACI ANTIMICOBATTERICI
Farmaci Antitubercolari e Antilebbra
I Micobatteri
I micobatteri, diversamente dai batteri intesi in senso stretto, sono dei microrganismi che non
possono essere classificati né come Gram+ né come Gram- in quanto non possiedono le
caratteristiche chimiche di nessuno dei due gruppi, ma che si presentano alla visualizzazione
microscopica sotto forma filamentosa, con alcune ramificazioni in analogia a quanto si verifica,
più evidentemente, nel tallo dei funghi o miceti filamentosi. Essi sono pertanto detti batteri
fungisimili. Questo aspetto somiglia molto a quello dei miceti, dei funghi. Sono quindi un ibrido
tra i funghi e i batteri e pertanto parliamo di Micobatteri. Non possono essere classificati né
come Gram+ né come Gram- perché sono caratterizzati, nella superficie della parete batterica
esterna, da uno spessore talmente grande di parete che non sono in grado di essere colorati né
con la colorazione con la fucsina che si utilizzava per i Gram+ né con il liquido di Lugol, violetto
di Genziana e né l'altra colorazione azzurra di Gram. Di conseguenza non possiede
caratteristiche chimiche in grado di far penetrare questi coloranti che invece vengono utilizzati
per la tradizionale colorazione dei batteri Gram. Pertanto utilizzando tali metodiche, questi
microrganismi non verranno visualizzati al microscopio proprio a causa della loro parete
cellulare molto particolare che è poi quella responsabile della patologia.
impermeabilità ai coloranti
insensibilità a molti antibiotici
resistenza all’effetto battericida di sostanze fortemente acide o basiche
resistenza alla lisi osmotica
resistenza ad ossidazioni altrimenti letali e capacità di sopravvivere all’interno dei
macrofagi.
Questa parete cellulare contiene quindi peptidoglicano, acidi micolici e poi una ramificazione
tra gli acidi micolici viene garantita dalla presenza di uno zucchero, un polisaccaride che
contiene unità di arabinosio e di galattosio unite insieme(arabinogalattano). Questa stretta
ramificazione di acidi micolici, arabinogalattosio e peptidoglicano costituisce una membrana
che non si lascia oltrepassare da niente. C'è infatti impermeabilità ai coloranti, insensibilità alla
maggior parte degli antibiotici che non riusciranno a superare l'elevato spessore della parete
cellulare e di conseguenza non riusciranno a raggiungere quelli che sono i target tradizionali
degli antibatterici e che sono: i ribosomi, la traduzione e trascrizione delle proteine, oppure
enzimi, nel caso dei sulfamidici che venivano antagonizzati competitivamente. Quindi c'è la
necessità di entrare all'interno della cellula per poter funzionare. Siccome c'è questa completa
impermeabilizzazione, perdono di efficacia quasi tutti i farmaci antibatterici. C'è persistenza
all'effetto battericida anche di sostanze acide o basiche e di sostanze che sono in grado di
determinare lisi osmotica o ossidazione. Sono dei batteri che sono in grado di vivere in qualsiasi
condizione o mezzo che li andiamo a mettere, sono in grado di resistere a pH estremamente
acidi o alcalini, sopravvivono addirittura all'interno dei macrofagi una volta penetrati all'interno
del nostro organismo. Infatti i macrofagi li riconosceranno come non self e li potranno
internalizzare per poi presentarli al sistema immunitario come normalmente avviene, ma non
vengono degradati, e si replicano anche all'interno dei macrofagi. C'è quindi una grande
resistenza sia alla chemioterapia antibatterica classica, sia all'attività del nostro sistema
immunitario. Questa elevatissima resistenza è dovuta essenzialmente alla caratteristica
principale di questi microrganismi, ovvero che hanno una replicazione estremamente lenta.
Ciclo cellulare
Un’altra peculiare caratteristica dei micobatteri, in particolare di quelli patogeni, è
rappresentata da un ritmo di moltiplicazione notevolmente lento, se paragonato alla maggior
parte dei batteri.
E’ stato ipotizzato che questa caratteristica possa essere messa in relazione proprio con la
particolare struttura della parete cellulare, la quale rallentando gli scambi metabolici con
l’ambiente esterno condizionerebbe il ritmo del metabolismo cellulare.
I micobatteri patogeni per l’uomo sono numerosi, i più importanti sono il Mycobacterium
tubercolosis (o bacillo di Koch, che lo ha identificato nel 1882) e il Mycobacterium leprae (o
bacillo di Hansen, che lo ha identificato nel 1873). Il primo ha un tempo di duplicazione di 12-
24h, il secondo di circa 10 giorni. Tutte queste caratteristiche peculiari e proprie dei
micobatteri comportano una certa difficoltà di intervento da parte dei farmaci.
Quindi mentre per la crescita dei batteri c'è una fase logaritmica di crescita nel corso della quale
rapidamente (nel corso delle 24 h) possiamo assistere alla duplicazione da a 2-4-8-12-24
cellule, in questo caso la replicazione del micobatterio avviene con un tempo che richiede 12-24
h per una singola replicazione del micobatterio della tubercolosi, e addirittura 10 giorni per la
duplicazione cellulare del micobatterio della lebbra. Di conseguenza questo lentissimo
metabolismo che è dovuto all'estrema impermeabilizzazione della quale il micobatterio vive e
che lascia passare poco anche i costituenti fisiologici da un lato all'altro della membrana.
È proprio il metabolismo del micobatterio che è lento e ne consegue una duplicazione
estremamente lenta.
L’acido-resistenza dei micobatteri e l’elevata lipofilia della membrana fa si che la colorazione della fucsina resista a
trattamenti decoloranti drastici (acidi e alcol).
Questo metodo di colorazione è fondato sull'estrema resistenza agli acidi, agli alcool e a tutte le
sostanze decoloranti che noi possiamo applicare sul nostro vetrino. Si prevede allora di
prendere il nostro preparato, strisciarlo sul vetrino e trattarlo per 5 minuti con l'unica sostanza
che è in grado di penetrare all'interno della parete cellulare del micobatterio e che è la fucsina
fenicata di Ziehl che da appunto il nome alla colorazione. Si riscalda questo vetrino sulla fiamma
del becco bunsen in modo da lasciare penetrare bene questo colorante all'interno delle cellule
del micobatterio. Dopodiché su questo vetrino si fa un trattamento molto drastico, si lava prima
con l'acqua e si aggiunge l'acido solforico al 20%, quest’ultimo andrebbe a distruggere altri
microrganismi e ad eliminare sicuramente la colorazione che avevamo potuto aggiungere, ma
siccome c'è questa parete estremamente lipofila che assorbe molto bene il colore, quest'ultimo
viene trattenuto. Sono batteri che vengono pertanto definiti Acido alcool resistenti. Per cui non
basta, ma si lava di nuovo con acqua distillata e si aggiunge alcool etilico al 95% per provare di
nuovo la decolorazione. Ci sarà resistenza sia al trattamento con l'acido e sia al trattamento con
l'alcool, quindi se ci sono dei micobatteri, la colorazione rimarrà sullo striscio che abbiamo
realizzato. A questo punto si aggiunge un colorante di contrasto che è una soluzione di Blu di
Metilene in modo tale da andare a colorare eventuali microrganismi che sono residuati dopo
trattamento con acido e alcool ma che non sono micobatteri, perché il colorante Blu di Metilene
non potrà entrare all'interno dei micobatteri nei quali è già presente la fucsina fenicata di Ziehl.
Il risultato di tutta questa colorazione è che se andiamo a guardare il vetrino vediamo dei
filamenti rosa che sono i micobatteri, su un campo chiaro dove ci sono delle tracce di azzurro
che rappresentano altri microrganismi che non sono dei micobatteri. È possibile dalla conta di
questi filamenti andare a determinare la quantità e la presenza eventualmente di quale
micobatterio si tratta. Questa colorazione è valida per tutta la famiglia dei micobatteri, sia per
quelli della tubercolosi, sia quello della lebbra e anche di altri micobatteri che sono meno
patogeni per l'uomo.
Quindi, grande resistenza a trattamento con acidi, con alcool e lentissima replicazione dei
micobatteri.
Tubercolosi
La tubercolosi (TBC), o tisi, causata da Mycobacterium tuberculosis, attacca comunemente i
polmoni (la tubercolosi polmonare) ma esiste la possibilità che questi microrganismi si
diffondono in altri tessuti nel nostro organismo e quindi può anche interessare:
il sistema nervoso centrale
il sistema linfatico
l'apparato circolatorio
l'apparato genito-urinario
le ossa e le articolazioni la pelle.
Ciò dipende dal distretto nel quale il microorganismo si è andato ad annidare e che viene
individuato come sede per la sua replicazione. Replicazione che è estremamente lenta e che dà
luogo allora nel corso del tempo a determinate manifestazioni cliniche che coincidono
normalmente in un dolore al torace, tosse prolungata (2-3 settimane nel caso della tubercolosi
polmonare), perché il micobatterio si annida all'interno dei polmoni e con la sua lenta
replicazione causa delle lesioni vere e proprie del tessuto polmonare. Queste lesioni portano ad
una difficoltà respiratoria, alla tosse, all'affaticamento perché si ha difficoltà a respirare,
l'emottisi (comparsa di sangue nella saliva), perdita di peso, pallore, affaticamento molto
frequente. Questi sono i segni classici della patologia che poi viene diagnosticata attraverso lo
striscio tissutale polmonare e la colorazione di Ziehl Neelsen.
Il 75% dei casi sono TBC polmonare. I sintomi includono dolori al torace, emottisi, e una tosse di
durata maggiore a tre settimane. Sintomi sistemici includono febbre, brividi, sudorazione
notturna, perdita di appetito, perdita di peso, pallore, e una tendenza ad affaticarsi molto
facilmente.
Il Contagio
Come si contrae la patologia? Il primo contatto con M. tubercolosis avviene per inalazione di
bacilli tubercolari che si trovano diffusi come nuclei essiccati nelle goccioline di saliva emesse
con tosse e starnuti da malati di TBC. Questi
microrganismi sono in grado di resistere anche
abbastanza bene nell'ambiente esterno e quindi
possono essere inalati da un soggetto diverso che
è a contatto con chi è ammalato della tubercolosi.
I batteri inalati vanno a localizzarsi nei polmoni,
ma le persone infettate non sviluppano
necessariamente la malattia, perché il sistema
immunitario tiene sotto controllo i bacilli, cioè
tiene sotto controllo questa replicazione che di
per sé già è lenta e viene ulteriormente inibita
dall'attività dei macrofagi alveolari che pertanto
possono rimanere silenti per anni. A volte è
necessario che intercorrano 2-3 anni prima della comparsa di una sintomatologia clinica che ci
fa rendere conto di aver contratto la patologia.
Quando però il soggetto è immunodepresso, o diviene tale, questa replicazione può manifestarsi
in maniera leggermente più spinta e veloce e si possono iniziare a manifestare queste lesioni
polmonari quindi i bacilli cominciano a replicarsi e si manifesta la malattia, patologicamente
caratterizzata da lesioni degenerative e necrotiche dei tessuti colpiti con formazione di
GRANULOMI TUBERCOLARI O TUBERCOLI, entro i quali il micobatterio protetto prolifera e
non viene attaccato neanche più dal sistema immunitario. Infatti quando arrivano i macrofagi il
micobatterio continua a replicarsi anche all'interno dei macrofagi perché la parete cellulare è
resistente all'attacco con acidi e alcool prodotti ad esempio da enzimi lisosomiali ecc.
Normalmente queste lesioni prendono il nome di lesioni caseose perché si viene a formare nel
polmone un vero e proprio tessuto cavernoso con degli essudati di colorazione bianca che
somigliano al formaggio, perciò si parla di lesioni caseose all'interno del tessuto polmonare.
Ceppi Multiresistenti
Si definisce MDR-TB (multidrug-resistant tuberculosis) la condizione patologica causata da
micobatteri insensibili alla terapia a 2 farmaci di prima scelta come isoniazide e rifampicina.
Si parla, invece, di XDR-TB (exstensively drug resistant-TB) una condizione più rara in cui
perdono efficacia anche i fluorochinolonici ed almeno uno dei farmaci di seconda scelta.
Meccanismi di resistenza: mutazione del gene che codifica per catalasi-perossidasi mutazione
di geni implicati nella sintesi di acidi micolici.
Occorrono anche farmaci meno costosi e compatibili con una concomitante terapia
antiretrovirale per l’HIV, a causa del crescente problema rappresentato dalla co-infezione da
tubercolosi e HIV: 1/3 dei 39 milioni di persone infettate da HIV sono anche infettate dal M.
tubercolosis.
Perché ci stiamo interessando di queste patologie che a noi sembrerebbero non interessarci
per niente? Infatti i casi in Italia, analizzando la letteratura, nel corso del 2010 ci sono stati in
Italia 2 casi di tubercolosi. Quindi parliamo di una condizione molto poco rilevante. Questo
perché nel nostro paese non sussistono le condizioni igienico-sanitarie per lo sviluppo della
patologia. Tuttavia è una condizione che si sta iniziando a sviluppare soprattutto nei paesi nei
quali l'HIV ha dato grande sviluppo. Se prendiamo la fascia subsahariana, dove circa un terzo
della popolazione ha contratto l'HIV, in quelle popolazioni si ha una condizione di
immunodepressione molto spinta e lo sviluppo del micobatterio della tubercolosi è favorito dal
fatto che si abbassino le difese immunitarie e quindi si tratta di agenti opportunisti che si vanno
ad addizionare all'immunodeficienza causata dal virus dell'HIV. Ecco perché dalla metà degli
anni 90 si ha avuto un risveglio della tubercolosi in tutto il globo, soprattutto nelle popolazioni
che presentano una maggiore incidenza del virus dell'HIV. Si è avuto pertanto la necessità di
sviluppare dei nuovi farmaci anti-tubercolari. Infatti nell’ immagine precedente è riportato un
elenco di farmaci con le rispettive date di quando sono stati sviluppati. Si può notare che questi
farmaci hanno avuto sviluppo intorno agli anni 40/50/60, poi il vuoto (circa per 30 anni) per
poi riprendere la ricerca intorno agli anni 90. Questo perché si riteneva che la patologia fosse
stata completamente eradicata, almeno dal mondo occidentale che è quello che fa ricerca per lo
sviluppo dei farmaci. Poi siccome con l'HIV si ha avuto la recrudescenza anche nella
popolazione statunitense, europea, a questo punto si è iniziato di nuovo a fare ricerca nel
settore della tubercolosi e sono stati progettati nuovi farmaci. Questi farmaci dovevano essere in
grado di curare la MultiDrug-Resistant Tuberculosis (MDR-TB), ecco perché persa l'efficacia dei
farmaci degli anni 30/40/50 sono stati sviluppati nuovi analoghi della Rifampicina (ovvero la
rifabutina e la rifapentina rispettivamente nel 1992 e 1998) e ci sono stati dei farmaci utili a
determinare una somministrazione meno frequente, meno continuativa per diminuire quel
fenomeno psicologico di dover prendere il farmaco reiteratamente e per un arco di tempo
eccessivamente prolungato. Poi si aveva ancora la necessità di fare farmaci meno costosi.
Oggi si ha questo dato che mostra come si ha una coinfezione tra la tubercolosi e l'HIV. Un terzo
delle persone che hanno l'HIV hanno contestualmente anche l'infezione da Mycobacterium
Tuberculosis. La diminuzione dell'attività del sistema immunitario crea l'opportunità a questi
organismi opportunisti di determinare una sovrainfezione da tubercolosi. Da un punto di vista
storico il primo farmaco antitubercolare è stata la Streptomicina, è un farmaco antibatterico,
un antibiotico. Ricordatevi che tutti i farmaci che hanno desinenza: micina, vengono prodotti dai
miceti, è quindi una sostanza che viene prodotta direttamente da uno Streptomices e che è stata
isolata. Appartiene alla classe degli antibiotici aminoglicosidici.
Questa patologia veniva chiamata peste bianca per differenziarla dalla peste bubbonica
caratterizzata da bubboni neri, ed era una malattia mortale per il 50% delle persone che
l'andavano a contrarre. Invece con la scoperta della streptomicina si iniziò drasticamente a
determinare una riduzione dello sviluppo della patologia. La tubercolosi, oggi, rimane un
infezione notevolmente diffusa. Per quanto ci sia da noi il concetto che la patologia non esiste
più, restano 2 miliardi di persone, ovvero un terzo della popolazione mondiale che ha questa
patologia e che uccide ogni anno 2 milioni di persone. É per questo motivo che ci sono questi
farmaci e a cui noi prestiamo attenzione.
Terapia Antitubercolare
Da un punto di vista di interesse terapeutico divideremo i farmaci in 2 categorie: farmaci di I
scelta e farmaci di II scelta. Quest'ultimi si utilizzano solamente quando i farmaci di prima scelta
perdono di efficacia.
I farmaci di I scelta che vengono utilizzati sono:
Isoniazide
Rifampicina, Rifapentina
Etambutolo
Pirazinamide
Streptomicina
L'Isoniazide è il farmaco antitubercolare più importante del mondo perché è l'unico che
possiede un attività battericida, tutti gli altri sono batteriostatici. La Rifapentina è un analogo
della Rifampicina. La Streptomicina che viene ancora utilizzata oggi.
I farmaci di II scelta che vengono utilizzati sono:
Acido p-amminosalicilico
Etionamide
Cicloserina
Tioacetazone
Tiocarlide
Moxifloxacina
Capreomicina
Amikacina, Kanamicina
Terapia iniziale (2 mesi): Normalmente si prevede di iniziare con una terapia di attacco più
aggressiva. Per i primi 2 mesi si danno contemporaneamente l'Isoniazide, Rifampicina e
Pirazinamide (a quest'ultimo si può dare alternativamente l'Etambutolo che ne è il sostituto).
Quindi si utilizzano contemporaneamente 3 farmaci con meccanismo d'azione differente per
aggredire simultaneamente lo sviluppo del micobatterio.
Terapia di mantenimento (4 mesi): Finita questa prima fase di 2 mesi si valutano le
condizioni generali del paziente e si sceglie di fare una terapia di mantenimento che comunque
non è data da un farmaco solo ma da una cosomministrazione di 2 farmaci che sono
essenzialmente l'Isoniazide e la Rifampicina che sono i 2 farmaci più potenti che abbiamo a
disposizione per la terapia della tubercolosi. La Rifampicina è estremamente coniugata. Questo
è uno di quegli antibiotici che ha un effetto collaterale particolare. Infatti è dotata di un
cromoforo molto intenso che dà una colorazione rossa sia alla polvere, sia nei liquidi nella quale
la polvere si va a solubilizzare. Quindi una volta assunta questa sostanza, questa si distribuisce
all'interno del nostro organismo e così come si distribuisce così si elimina. Pertanto bisogna
avvisare il paziente che se la saliva appare rossa, o l'urina, la lacrimazione ecc. è normale!
Isoniazide
Il primo farmaco antitubercolare che è poi è quello più importante, quello migliore da un punto
di vista dell'efficacia terapeutica è l'Isoniazide. L’isoniazide o idrazide dell’acido isonicotinico
(INI) è stata scoperta casualmente. Idrazide perché: NH2-NH2 è l'Idrazina. Se ne facciamo
l'ammide si parla di Idrazide. Quindi questa è l'idrazide di quale acido? Se scrivo qui COOH
ottengo l'acido isonicotinico. L'acido nicotinico avrebbe il COOH in posizione meta. Spostandolo
di posizione si ottiene l'acido isonicotinico. Facendone l'ammide con l'idrazina si ottiene
l'idrazide dell'acido isonicotinico. Come è nato questo farmaco? Per pura fortuna! Infatti prima
dell'Isoniazide l'unica molecola che era riconosciuta per una blandissima attività
antimicobatterica era questa sostanza che si chiama Tioacetazone.
Acido nicotinico
Nella lezione scorsa abbiamo visto i sulfamidici e ricordiamo che questi sono caratterizzati da
un anello aromatico, da questa porzione amminica che poteva eventualmente essere protetta
nell'ultimo step. Dall'altro lato c'è il gruppo gruppo solfonammidico che poteva essere
derivatizzato. Nelle varie modifiche del gruppo gruppo solfonammidico si decise di partire dalle
aldeidi, in questa posizione H-C=O e di fare delle basi di shiff (immine, ossine è uguale) tra il
C=O e un ammina si forma il C=N e quindi bastava prendere questa molecola che aveva NH 2-
NH-C=S-NH2 e si formava questa prima molecola: il Tioacetazone che venne quindi fuori dallo
studio dei sulfamidici.
Questa molecola è in grado di legare metalli pesanti come dei chelati e induceva tossicità sul
micobatterio, anche se in maniera blanda. Pertanto si decise di fare degli analoghi del
Tioacetazone e si decise di cambiare questo anello aromatico (concetto di isosteria). Quindi
cambiarono il benzene con la piridina, come nucleo di base, e quindi si doveva partire da questa
struttura aldeidica provandone a fare le basi di shiff, provandone a fare gli Idrazoni (così si
chiamano le basi di shiff di queste aldeidi).
Il caso ha voluto che nell'aggiungere a questa struttura l'NH-NH2, cioè l'idrazina, la prima
molecola che si otteneva era immediatamente l'isoniazide che venne saggiata e funzionava
eccezionalmente. L'isoniazide è ancora oggi il farmaco più potente perché è l'unico che è
dotato di un'attività battericida oltre che batteriostatica. Questa è una condizione dose
dipendente. L'unico difetto alla somministrazione del farmaco è che immediatamente compare
la resistenza. Per evitare ciò cosomministriamo l'isoniazide con tutti gli altri farmaci:
Rifampicina, Etambutolo ecc. per bombardare il micobatterio. Dopo la somministrazione si
assorbe molto bene all'interno dell'intestino, non ha gruppi facilmente ionizzabili, c'è un
ammide da un lato infatti. Supera tutte le barriere, supera perfino il liquido cerebrospinale e
viene metabolizzata per acetilazione e infine escreta sotto forma di derivato acetilato all'interno
delle urine.
Quindi l’Isoniazide è batteriostatica o battericida a seconda della concentrazione ed i batteri ne
acquisiscono resistenza molto rapidamente (poche settimane di terapia).
Per questo motivo viene di solito somministrata in associazione con altri farmaci (PAS e
streptomicina).
E’ ben assorbita dall’intestino e diffonde in tutti i tessuti e fluidi corporei incluso il
liquido cerebrospinale; è inattivata per acetilazione ed è escreta nelle urine.
Metabolismo dell'Isoniazide
La via metabolica principale (che inattiva oltre il 50% della dose somministrata) è la seguente:
Vi sono popolazioni che, essendo rapidi acetilatori, eliminano subito l’isoniazide, mentre gli
acetilatori lenti impiegano più tempo. I veloci sono i latino-americani (ma anche i giapponesi e gli
eschimesi), i lenti i caucasici.
Meccanismo d'azione
L’isoniazide è un profarmaco il cui meccanismo di azione è stato completamente chiarito
solo nella seconda metà degli anni ’90 con degli studi dei meccanismi biochimici del
micobatterio
Per azione di una catalasi-perossidasi micobatterica (KatG), l’isoniazide dà origine ad
una specie radicalica altamente instabile che blocca l’NADH e di conseguenza l’enzima
enoil-ACP reduttasi (InhA; enzima NADH-dipendente), la cui attività è necessaria per
operare la riduzione di acidi grassi insaturi in acidi grassi saturi che andranno a formare
gli acidi micolici, costituenti essenziali e specifici della parete cellulare del micobatterio.
Una volta che è stato compreso il meccanismo d'azione dell'isoniazide è stato possibile
sviluppare delle relazioni struttura-attività. Adesso che abbiamo compreso che la formazione del
radicale è indispensabile per il meccanismo d'azione, diventa immediatamente chiaro che la
porzione che non si può modificare all'interno di questa molecola è C=O-NH-NH2.
In particolare questa molecola, questa idrazide (ammide con l'idrazina), è caratterizzata da una
tautomeria, infatti è possibile scrivere la molecola in cui il doppio legame non con C=O, ma è
presente affianco con l'azoto C=N (guarda immagine rettangolo verde). C=N e l'idrogeno che
stava sull'azoto in posizione 1 si va a spostare a formare l'OH. Questa tautomeria amido-
amidolica è fondamentale per il riconoscimento da parte dell'enzima Kat-G, infatti se viene a
mancare questa tautomeria la molecola perde di efficacia. Allora è indispensabile creare degli
analoghi dell'isoniazide se vogliamo farne delle molecole nelle quali andiamo a modularne
l'efficacia, ma nei quali non dobbiamo alterare la presenza della tautomeria amido-amidolica.
Andiamo a vedere allora cosa si è provato a modificare.
Si è provato a convertire la funzione idrazinica in altre funzioni carboniliche come
semplicemente l'ammide C=O-NH2. In questo caso la tautomeria amido-amidolica era più
difficile, perché meno stabilizzata da un punto di vista delle strutture di risonanza, e quindi la
molecola non funzionava. Anche la conversione in acido idrossamico C=O-NH-OH va ad
interferire con la tautomeria e di conseguenza modificare la porzione C=O-NH-NH2 ci dà
conferma che si perde l'attività del farmaco, dobbiamo quindi lasciare questa struttura
idrazinica. Altra possibilità è stata quella di immaginare di alchilare l'azoto in posizione 2 e di
allungare questa struttura rendendola leggermente più lipofila, perché l'isoniazide già supera
molto bene tutte le barriere del nostro organismo ma siccome il punto principale della
metabolizzazione è quest'azoto nella posizione 2 che viene acetilato, infatti il primo passaggio
del metabolismo è proprio l'acetilazione di questo azoto che poi si stacca e si va incontro alla
coniugazione con la glicina. Se quindi su questo azoto si mette un metile, un etile, aumentiamo
la lipofilia e impediamo il metabolismo. Ci aspetteremo una molecola che si assorbe di più e che
viene meno metabolizzata. Con questo tipo di strategia, di progettazione, venne sintetizzata
l'iproniazide, semplicemente attraverso l'introduzione di un gruppo alchilico, in questo caso un
isopropile, su questo azoto in posizione 2 dell'isoniazide. Ebbene non ci si aspettava che questa
modifica desse un riconoscimento con degli enzimi nostri, ovvero le monoamino ossidasi
(MAO), cioè quegli enzimi che sono in grado di ossidare le monoammine. Pertanto l'inibizione
delle MAO determina una maggiore sopravvivenza dei nostri mediatori endogeni, in particolare
primo tra tutti la serotonina. Di conseguenza da un farmaco anti-tubercolare che era
l'isoniazide, facendone l'iproniazide, quindi un inibitore delle MAO, è nato fuori un farmaco
antidepressivo, che innalza i livelli della serotonina e un pò anche della dopamina. In questo
modo si era persa la funzione di farmaco anti-tubercolare ma si era scoperta quella di
antidepressivo. Pertanto abbiamo visto come l'alchilazione dell'azoto in posizione 2 porta
all'effetto collaterale, ovvero l'inibizione delle MAO, qualsiasi sostituente carbonioso sia alchilico
che arilico, quindi sia alifatico che aromatico si va ad introdurre in questa posizione porta
all'inibizione delle MAO. Del legame C=O non si può toccare niente, quindi rimane l'azoto in
posizione 1.
Possiamo alchilare l'azoto in questa posizione andando a fare questi derivati, ovvero
C=O-NR-NH2? Non servono a niente perché si perde la possibilità della tautomeria
amido-amidolica.
Ci deve stare l'NH in posizione 1 perché il doppio legame si deve spostare e
l'idrogeno deve andare dall'altro lato come OH. Se tolgo l'idrogeno dall'atomo di
azoto adiacente creo semplicemente questa struttura (figura a lato), ovvero un
ammide secondaria che non sarà più in grado di essere riconosciuta dalla Kat-G e
che quindi non darà più un effetto anti-tubercolare.
Gli effetti collaterali dell'isoniazide sono semiclassici, questo perché dopo la somministrazione
del farmaco può nascere innanzitutto una blanda epatotossicità, ma poi soprattutto una
tossicità sul sistema nervoso centrale. Il farmaco infatti supera molto bene tutte le membrane e
tra queste anche la barriera ematoencefalica, entra nel liquido cefalorachidiano e
concentrandosi all'interno di questo liquido, perché sufficientemente lipofilo, determina una
serie di effetti neurotossici che vengono avvertiti dal paziente come dei formicolii alla periferia.
Questo effetto collaterale è il segno classico del fatto che il farmaco si sta accumulando e quindi
bisogna ridurre la dose perché ricordiamo che questa terapia va prolungata per un anno e di
conseguenza è probabile che si possano assumere altri farmaci che possano determinare un
inibizione della metabolizzazione. Ad esempio se contestualmente alla tubercolosi si dovesse
contrarre un’ influenza, può succedere che dei farmaci anti-influenzali possano interferire con il
metabolismo dei farmaci anti-tubercolari. Infatti possono interferire con gli enzimi
dell'acetilazione, inibendoli, e pertanto tenendoli occupati l'isoniazide non si metabolizza più
determinando così un aumento della sua concentrazione facendo comparire i suoi effetti tossici
che si manifestano con il formicolio discusso prima. Questo è ancora più eccentuato nella
popolazione europea che ricordiamo non è una popolazione che è in grado di dare
un'acetilazione molto rapida. Questa neurite periferica, se compare, può essere curata senza
dover diminuire la concentrazione di farmaco. In commercio l'isoniazide è presente in un unico
dosaggio uguale per tutti. E' possibile ridurre questi effetti somministrando la vitamina B6 per
un meccanismo chimico, infatti la vitamina B6, piridossale, non è nient'altro che un aldeide, ha
questo gruppo aldeidico. L'isoniazide ha invece l'NH 2 libero in questa posizione, pertanto
ricordiamo che tra le aldeidi e le ammine primarie si formano le basi di shiff (le ossime, le
immine). Di conseguenza somministrando la vitamina B6 si ha la formazione di C=N con la
struttura del farmaco. Andando a legare l'isoniazide in questa posizione è come se si sottraesse
l'isoniazide al torrente ematico e pertanto è come se si stessi determinando una riduzione della
dose in funzione di quanta vitamina B6 si vada a cosomministrare al paziente. Questa base di
shiff che si viene a formare tra il farmaco isoniazide e la vitamina B6 (piridossale, così si chiama
anche) si forma l'idrazone (basi di shiff con le aldeidi si chiamano anche idrazoni, tra l'idrazina
e le aldeidi) e questa sostanza, cosi inattiva, viene trovata all'interno delle urine perché
sufficientemente polare per poter essere successivamente escreta. L'ultima possibilità è quella
delle reazioni allergiche, ma questo è un effetto del tutto o nulla, o si è allergici dopo 21 giorni di
somministrazione del farmaco o la terapia può essere prolungata poi nel corso del tempo.
Sintesi dell'Isoniazide
Il composto chiave per la sintesi dell’isoniazide è l’acido isonicotinico il quale può essere
trasformato nell’idrazide corrispondente: 1) direttamente; 2) previa trasformazione
nell’etilestere o 3) nell’ammide corrispondente che per reazione con idrazina idrata danno
l’isoniazide.
Esistono essenzialmente 3 processi sintetici, analoghi l'uno rispetto all'altro, perché la chiave
della sintesi dell'isoniazide è quest'acido : l'acido isonicotinico. Quest'acido o si acquista o ce lo
possiamo preparare partendo dalla 4-metilpiridina e trattandola con il Permanganato di
Potassio qualsiasi gruppo alchilico che è localizzato qui scompare tutto e diventa COOH (nelle
immagini sopra la freccia di reazione bisogna aggiungere KmnO 4) ottenendo così l'acido
isonicotinico che è la chiave della nostra sintesi perché noi vogliamo realizzare nient'altro che
l'ammide. Una via di sintesi (non riportata nelle immagini) molto semplice che potremmo
realizzare in un laboratorio di piccole dimensioni è quello di prendere questa molecola e di
trattarla con la DCC (dicicloesilcarbodiimmide) attivando la funzione carbossilica, aggiungiamo
l'ammina con il quale vogliamo farlo reagire ottenendo cosi il nostro legame peptidico.
Tuttavia attraverso questa strategia di sintesi otterremo un sottoprodotto dopo l'attivazione,
ovvero la DCU (dicicloesilurea) che è difficile da allontanare, così come tutti gli altri metodi di
attivazione della funzione carbossilica. Allora cosa si preferisce fare:
Via n.1: Si prende l'acido isonicotinico, si prende l'idrazina con la quale la si vuol far
legare e si riscalda industrialmente a 130 °C. Questo calore violento induce la formazione
dell'ammide direttamente, portando alla formazione dell'isoniazide. Tuttavia la via di
sintesi termica è una via dispendiosa perché dobbiamo considerare questo processo a
livello industriale, e pertanto dato che stiamo parlando in tal caso di grandi quantità da
riscaldare il tutto avrà un costo molto elevato. Di conseguenza possiamo scegliere una
via diversa che poi è quella che viene di fatto utilizzata ovvero la seguente via:
Via n.2: Si tratta con un acido qualsiasi come ad esempio acido solforico ed etanolo e si
ottiene la formazione dell'etil estere. L'estere rappresenta una sorta di forma di
attivazione, dopodiché si aggiunge l'idrazina e si ottiene direttamente la formazione del
prodotto finale: l'idrazide dell'acido isonicotinico.
Via n.3: Si forma l'estere e poi si aggiunge prima un'altra base ovvero l'ammoniaca, in
modo tale da formare l'ammide, e poi si fa una reazione di transamidazione cioè di
conversione di un ammide nella altra. Si aggiunge poi l'idrazina che vogliamo che si vada
a legare, si riscalda questa volta ad una temperatura leggermente più bassa (100°C) e che
comporta un dispendio energetico leggermente inferiore.
Ricorda che per la sintesi dell'Isoniazide in realtà esistono tante strategie, queste sono quelle
principali e la via n.2 è la più importante, quella maggiormente utilizzata.
Etambutolo
L’etambutolo è attivo anche su bacilli insensibili all’isoniazide ed alla streptomicina. In vitro la
resistenza si instaura lentamente; è un tubercolostatico.
Ha due funzioni basiche ed è commercializzato come dicloridrato. idrossimetilpropil)
etilendiammina. Ha due centri chirali, quindi dovrebbero essere possibili 4 stereoisomeri, ma
poiché la molecola ha un piano di simmetria vi sono solo 3 stereoisomeri, 2 antipodi ottici ed
una mesoforma. L’antipodo destrogiro è il più attivo, il levogiro è inattivo e la mesoforma è due
volte meno attiva del destrogiro.
Meccanismo d'azione
La diversa attività, 200-500 maggiore per l’isomero (+), suggerisce un’interazione con un
recettore specifico. Esso, infatti, interferisce nella costituzione della parete batterica in
particolar modo con la formazione della porzione Arabinofuranosilgalattosidica (AG). Blocca
l’enzima arabinosiltransferasi che catalizza la polimerizzazione del D-arabinofuranosio a dare
arabinofuranosilgalattosio.
La sintesi di questo composto si basa sulla reazione tra dicloruro di etilene con un eccesso di
(+)-2-ammino-1-butanolo
Il fatto che l'isomero destrogiro sia 500 volte più riconosciuto rispetto all'altro suggerisce un
interazione con un recettore. Proseguendo negli studi si è compreso oggi che il fulcro del
meccanismo d'azione è l’enzima arabinosiltransferasi. Questo enzima fa sì che ci sia il legame
tra l'arabinosio e il galattosio nelle strutture che creano la reticolazione con gli acidi micolici.
Infatti ricordiamo che c'è un 60% di acidi micolici e una parte di arabinogalattano che è
fondamentale nella struttura crociata che deve costituire la parete batterica. Siccome
l'interazione tra l'arabinosio e il galattosio viene riconosciuta per una precisa orientazione delle
molecole, è questo che fa sì che ci sia completo riconoscimento di un antipodo ottico e dell'altro
completamente no. Per cui la sintesi viene effettuata in maniera stereo e regioselettiva.
È necessario ottenere direttamente la molecola che ha il centro chirale (S), senza alcuna
formazione dell'altro isomero ottico.
Per realizzare allora la sintesi dell'etambutolo in maniera così mirata si parte dalla molecola con
il centro chirale (S). Ovvero si compra il (S)-2-ammino-butan-1-olo e lo si fa reagire con il 1,2-
dicloroetanolo. Basta mettere 1 equivalente dell'1,2-dicloroetanolo e 2 equivalenti del (S)-2-
ammino-butan-1-olo e alla fine si ottiene direttamente l'etambutolo nella condizione
stereoselettiva ed enantiomerica che noi desideravamo.
Pirazinamide
La pirazinamide, sempre farmaco di prima scelta, non è nient'altro che un ammide dell'acido
pirazincarbossilico, cioè dell'acido pirazinoico. Venne introdotta in terapia nel 1949 ed
utilizzato ininterrottamente fino al 1985 quando poi è diventato addirittura terzo farmaco
antitubercolare in ordine di importanza e quindi utilizzato in prima battuta. Esplica un'attività
solo tubercolostatica, ed inoltre si osserva che quando i micobatteri sono resistenti
all'isoniazide sono mediamente sensibili alla pirazinamide, cioè non c'è una resistenza crociata
tra questi 2 farmaci.
Il metabolismo di questo farmaco prevede che un amidasi è in grado di scindere la molecola e di
liberarne il prodotto di partenza, ovvero l'acido pirazinoico, il quale può poi subire direttamente
la coniugazione con la solita glicina per formare la molecola più polare escreta con le urine, o
l'altra alternativa è che in para all'acido carbossilico si ottenga la reazione di idrossilazione
aromatica piuttosto spinta. Nelle immagini vedete i 2 metaboliti che quindi vengono ritrovati in
seno a l'una o l'altra via metabolica.
Meccanismo d'azione
Il batterio possiede un’amidasi che converte la pirazinamide ad acido pirazinoico, l’effettiva
molecola tossica per il batterio. La mutazione del gene che codifica questo enzima rende il
batterio resistente alla pirazinamide. Pertanto, sebbene il meccanismo d’azione della
pirazinamide sia sconosciuto, si ipotizza che essa agisca da profarmaco dell’acido pirazinoico.
Sulla base di questa ipotesi sono stati sintetizzati svariati esteri dell’acido pirazinoico, e molti di
questi, in particolare quelli più lipofili (estere n-decilico, npentadecilico ed esteri sostituiti con -
Cl in posizione 5 della pirazina) sono effettivamente risultati molto attivi in vitro.
Ancora oggi non è ben chiaro il meccanismo d'azione della pirazinamide. Possiamo dire che la
usiamo per dogma. Probabilmente esiste l'amidasi iniziale che converte l'ammide nell'acido
carbossilico che libera l'acido pirazinoico, il quale dovrebbe essere la molecola che poi esplica
efficacia e tossicità nei confronti del micobatterio inibendo la sintesi degli acidi micolici, ma non
possiamo sapere con certezza con quale meccanismo d'azione. Sulla base di queste ipotesi,
dato che la molecola che esplica l'azione farmaceutica è data dall'acido pirazinoico e dato che
nell'organismo le esterasi sono molto più abbondanti delle amidasi, si è pensato allora di
sintetizzare svariati esteri dell'acido pirazinoico. Recentemente infatti sono stati sintetizzati
degli esteri molto lipofili (estere n-decilico, n-pentadecilico). Questo perché aumentando la
lipofilia dell'estere, la molecola penetra di più all'interno della parete, estremamente lipofila, del
micobatterio. Una volta arrivata all'interno del citosol, si stacca la porzione dell'estere, si libera
l'acido pirazinoico e si determina l'efficacia. Sono stati saggiati su colture cellulari di micobatteri
e sono risultati essere effettivamente molto attivi. Questo conferma che il farmaco di
riferimento è l'acido pirazinoico, anche se non sappiamo ancora bene qual è il suo reale
meccanismo d'azione, cioè su quale enzima esplica la sua attività.
Terminati i farmaci di prima scelta, ad esclusione della rifampicina e della streptomicina che
andremo ad analizzare in un altro momento, passiamo ora ai farmaci di seconda scelta.
Farmaci di II scelta:
Il PAS non ha un punto di fusione ben preciso perché scaldandolo si decarbossila, diventando
una miscela di PAS e di m-aminofenolo. Il PAS trova scarso uso come tale anche per la sua
instabilità all’aria ed alla luce. I sali più usati sono quelli di sodio e di calcio. Il PAS ed i suoi sali
possono dare fenomeni di intolleranza gastrointestinale (dovuti al
carattere acido del PAS), tenuto conto, anche, dell’elevata dose massima
giornaliera (15 g) somministrata per via orale per lunghi periodi di
tempo. Per questo motivo si preferiscono alcuni suoi derivati meglio
tollerati dal tratto gastroenterico, quale il fenamisale (estere fenilico del
PAS) e l’ Npreferiscono Nbenzoil- PAS calcico. Il PAS è, dunque,
controindicato nei pazienti già ammalati di ulcera, nonché nelle
insufficienze renali ed epatiche. Il farmaco è, ciononostante, ancora
molto usato perché in associazione con la streptomicina e
all’isoniazide è molto efficace sui ceppi resistenti.
Quindi l'acido para-amminosalicilico rappresenta il farmaco di II scelta più importante.
nomenclatura: il benzene con il COOH è l'acido benzoico, se a fianco ci mettiamo l'OH abbiamo
l'acido 2-idrossibenzoico o orto-idrossibenzoico, ovvero l'acido salicilico (chiamato così perché
presenti in grandi quantità nella corteccia del salice), se poi andiamo ad acetilare in posizione 2,
quindi O-C=O-CH3, otteniamo l'acido acetilsalicilico, ovvero l'aspirina. Infine invece di acetilare,
se mettiamo un gruppo amminico in posizione para (quindi in posizione 4, dando posizione 1
al carbonio che reca il carbossile) rispetto al carbossile, otteniamo l'acido p-amminosalicilico o
acido 4-amminosalicilico (PAS). Questo farmaco è un analogo strutturale dei sulfamidici.
Ricordiamo che i sulfamidici agiscono sull'enzima pteroato-sintetasi, andando a competere con
l'acido p-amminobenzoico nell'occupazione dell'enzima. Questa molecola ha lo stesso
meccanismo d'azione dei sulfamidici, solo che riesce, grazie a questo gruppo ossidrilico in più
rispetto all'acido p-amminobenzoico, a sfruttare delle permeasi che sono presenti sul
micobatterio grazie alle quali riescono ad entrare all'interno e quindi vengono riconosciute
dall'enzima del micobatterio, di conseguenza ci devono essere delle isoforme dell'enzima
micobatterico per la sintesi dell'acido tetraidrofolico che sono leggermente diverse dalle
isoforme dei batteri tradizionali. Sfruttando questa diversa struttura dell'enzima della sintesi dei
folati si fa sì che questa molecola viene riconosciuta, va a competere, e determina un inibizione
della produzione dell'acido tetraidrofolico. Quindi meno unità monocarboniose che possono
essere donate e quindi impossibilità della replicazione del micobatterio. Un meccanismo
d'azione completamente diverso da quello dell'isoniazide, dell'etambutolo e della pirazinamide.
Questo meccanismo d'azione pertanto possiamo utilizzarlo come riserva quando i farmaci di
prima scelta perdono di efficacia. Il fatto che sia un farmaco di riserva è dovuto alla sua tossicità
che sta nella dose. Questo infatti è l'unico farmaco che troviamo in commercio in cui la dose
media giornaliera è 15 g. I farmaci normalmente hanno dose di 150 mg, 200 mg, massimo 1g
volendo esagerare in alcuni antibiotici. Siccome è un acido carbossilico, quando arriva
all'interno del tratto gastrointestinale è acido, e a contatto con la mucosa gastrica determina
lesione diretta per contatto tra il farmaco e la mucosa gastrica. Tant'è che piuttosto che
somministrare il PAS così com'è, è preferibile somministrare dei derivati dell'acido p-
amminosalicilico. Ad esempio la fenamisale non è nient'altro che l'estere fenilico dell'acido p-
amminosalicilico. Questa molecola supera bene le barriere del tratto gastrointestinale, anche
perché è più lipofila, arriva all'interno del micobatterio, viene scisso l'estere e libera un'altra
volta l'acido p-amminosalicilico. Altre problematiche dell'acido p-amminosalicilico derivano
dalla sintesi di questa molecola. Infatti l'acido p-amminosalicilico è instabile alla luce, all'aria e
quindi è necessario una conservazione della polvere perché esponendolo eccessivamente
all'aria, l'acido p-amminosalicilico tende a perdere anidride carbonica, infatti la CO2 da questa
parte della molecola viene persa, formando così il meta-aminofenolo che però perde di efficacia
perché bisogna emulare l'acido p-amminobenzoico per avere l'effetto nei confronti della sintesi
dell'acido folico. Quindi esponendo già la molecola all'aria, questa perde la CO2 e pertanto perde
di efficacia perché si crea questa miscela PAS e m-aminofenolo che significa avere una
diminuzione della dose. Questa condizione comporta che dobbiamo aumentare ancora di più la
dose della quantità di polvere che andiamo a somministrare per essere certi che ci sia un a certa
quantità di acido p-amminosalicilico. Questa molecola allora è controindicata nei pazienti che
hanno l'ulcera (ricorda la tossicità di questa molecola, è già acida e se ne danno 15g al giorno),
nonché nei pazienti che hanno insufficienza renale ed epatica perché una volta somministrata,
questa molecola deve essere metabolizzata ed escreta (ricorda 15g al giorno per un anno), di
conseguenza si crea un affaticamento del sistema microsomiale epatico e del sistema di
filtrazione glomerulare. Il farmaco viene comunque ancora usato perché è efficace nei confronti
dei ceppi resistenti all'isoniazide, all'etambutolo, alla rifampicina e quindi quando è necessario,
quando perdono di efficacia questi farmaci è chiaro che si decide di optare per la
somministrazione dell'acido p-amminosalicilico.
Quindi sebbene il PAS possa essere preparato per riduzione dell’acido p-nitrosalicilico, l’unico
metodo di sintesi, valido su scala industriale, è rappresentato dalla carbossilazione del m
aminofenolo:
Etionamide
Relazioni struttura-attività
Variazioni che abbassano l’attività della molecola:
Cosa possiamo andare a sostituire in questa molecola? Si è visto che lo spostamento della
funzione più amidica porta ad un abbassamento dell'efficacia della molecola perché il
meccanismo, anche qui non è ben chiaro nei dettagli molecolari, anche se probabilmente sarà
uguale a quello dell'isoniazide perché le molecole sono molto somiglianti.
Cosa invece lasciava invece inalterata la possibilità di avere l'attività della molecola? Lo
spostamento di questa catena alchilica, perché c'era quella a 2 termini,
cioè con l'etile e si chiama etionamide. Poi si è provata quella a 3 termini
ottenendo così il farmaco protionamide, cioè con il propile invece che
con l'etile e questa molecola funziona allo stesso modo dell'etionamide. È
probabile, anzi, che insieme a questa porzione contribuiscano questi
residui alchilici alla formulazione del radicale. Radicale che poi dovrà
intervenire con il NAD in forma ossidata impedendo la formazione del
NAD ridotto e quindi la formazione degli acidi micolici. Però anche qui,
quale sia l'enzima coinvolto in questo processo non è ben noto.
Meccanismo d’azione
Il meccanismo d’azione del farmaco non è stato completamente delucidato, ma è comunque
analogo a quello dell’isoniazide. L’etionamide, così come l’isoniazide, è, infatti, un profarmaco
che viene attivato da un sistema enzimatico del micobatterio. Nel caso dell’isoniazide si tratta di
KatG, nel caso dell’etionamide il sistema enzimatico non è stato ancora identificato. Il prodotto
dell’azione enzimatica, va a inibire, in ultima analisi, la sintesi degli acidi micolici. L’etionamide
viene rapidamente assorbita per os ed è velocemente escreta nelle urine. Gli effetti collaterali
sono numerosi e comprendono dei disturbi olfattivi ed epatotossicità.
ANTILEPROTICI
La Malattia
La LEBBRA (o morbo di Hansen) è una malattia infettiva cronica, è una patologia invadente
causata dal batterio Mycobacterium leprae, che colpisce la pelle e i nervi periferici in vari modi e
gradi, anche molto invalidanti. Un tempo considerata una maledizione di Dio e incurabile, in era
moderna si è rivelata molto meno temibile e meglio curabile di quanto ritenuto in passato.
L'agente eziologico è il Mycobacterium leprae o Bacillo di Hansen (BH), bacillo alcol-acido
resistente (si colora con la metodica di Ziehl-Nielsen), intracellulare obbligato, poco patogeno.
È difficile stabilirne la contagiosità perché è difficile diagnosticare i quadri asintomatici. Il BH si
moltiplica molto lentamente e raddoppia in 18-42 giorni, molto meglio nelle parti più fredde del
corpo (la pelle, le orecchie, le vie respiratorie superiori).
Il periodo di incubazione di questa malattia si aggira intorno ai 4-5 anni(più di quello della
tubercolosi) ma si può arrivare anche a dieci anni a causa del ciclo riproduttivo del M. leprae che
è particolarmente lento e del sistema immunitario predisposto alla difesa dell’organismo. I
bambini ed i maschi contraggono la malattia molto più difficilmente rispetto alle donne. Si
hanno due tipi di lebbra:
TIPO TUBERCOLOIDE: molto più evidente, in quanto presenta una sintomatologia
immediata.
TIPO LEPROMATOSA: apparentemente più benigna in quanto i sintomi compaiono
gradualmente per poi raggiungere un decorso parallelo al tipo tubercoloide.
Se lo sviluppo della patologia avviene in modo estremamente lento nel tempo si parla di lebbra
di tipo lepromatosa, altrimenti nel caso in cui c'è una bassa attività del sistema immunitario e la
lebbra si sviluppa abbastanza rapidamente, si parla di lebbra di tipo tubercoloide, perché inizia a
somigliare alla cinetica della tubercolosi.
La lebbra può essere confusa con l’affezione provocata dal Mycobacterium ulcerans, che
consiste in ulcerazioni cutanee croniche.
Quindi la replicazione del micobatterio della lebbra è estremamente lenta, di più di quella del
micobatterio della tubercolosi, infatti mentre il micobatterio della tubercolosi si replica ogni
12/48 h, nel micobatterio della lebbra parliamo di una replicazione ogni 10 giorni. Quindi ci
rendiamo conto che la forma di iniziale sviluppo della patologia, può durare 5/10 anni. Dopo
questo periodo inizia a comparire una sintomatologia di lesioni che si localizzano
essenzialmente nelle porzioni più fredde dell'organismo, questo perché c'è un tropismo verso i
tessuti con una minore temperatura per una questione del metabolismo del micobatterio.
Pertanto le estremità, le parti fredde del corpo (mani, piedi, la pelle, vie respiratorie superiori
che si vanno a desquamare) la replicazione del microorganismo causa la lesione, così come nella
tubercolosi la causava all'interno del polmone per localizzazione immediata nel caso
dell'inalazione. In questo caso il tropismo è dettato dalla temperatura degli arti e quindi si
generano queste lesioni. Lesioni che non devono spaventare subito perché c'è un altro
micobatterio che si chiama Mycobacterium ulcerans che dà delle lesioni quasi uguali. Quindi è
necessario fare una diagnosi molto ben studiata per essere certi che si tratti di lebbra e non
dell'altra condizione molto meno patologica, meno difficile da eradicare che è quella del
Mycobacterium ulcerans. Quindi dopo questa replicazione così lenta il Mycobacterium leprae
interagisce con il nostro organismo. I bambini e gli uomini contraggono la malattia più
difficilmente rispetto alle donne, evidentemente per un problematica ormonale che comporta
una diversa temperatura alle estremità del corpo, sfavorendo così la replicazione del
micobatterio.
La Diffusione della patologia
Secondo l'OMS negli anni 80’ erano circa 12 milioni e negli anni 90’ sarebbero scesi
drasticamente a 2.5 milioni circa. Le maggiori prevalenze si hanno in India, Africa sub-
Sahariana e Sud America. L’ India è al primo posto al mondo, seguita dal Brasile, per numero
assoluto di ammalati di lebbra.
Nel 2003 vediamo che esistono ancora delle sacche di resistenza della patologia che poi
coincidono con quelle descritte precedentemente, ovvero l'area sub sahariana e in questo caso
anche Brasile e India. I 9 paesi che hanno tasso d'incidenza pari a 10 casi ogni 100.000
abitanti (e non è poco) sono:
Nepal, Brasile, Congo, Rep.dominicana, India, Mozambico, Madagascar, Tanzania e Rep. Centro-
africana. Quindi ci sono ancora paesi e condizioni dove la patologia esiste e dove la si può
contrarre.
Farmaci
Vediamo ora quali sono i farmaci. Esistono sostanzialmente 2 categorie di farmaci antilebbra e
sono i Solfoni e le Imminofenazine (noi tratteremo solo i solfoni).
I Solfoni
La scoperta dell’attività antibatterica del più semplice dei solfoni aromatici, il DAPSONE (4-4’-
diamminofenilsolfone; DDS o difenilsolfone) si collega agli studi sui sulfamidici. Il dapsone,
infatti, non è altro che il vinilogo ciclico (fenilogo) della sulfanilamide. Tutti i solfoni di interesse
clinico sono derivati del Dapsone.
I solfoni hanno lo stesso meccanismo d'azione dei sulfamidici rispetto ai quali il Dapsone
rappresenta il vinilogo della sulfanilamide. Cioè l'introduzione di un anello aromatico tra il
gruppo amminico e il gruppo solfonico non altera la possibilità di creare una stabilizzazione
della carica negativa nella struttura del Dapsone e quindi di emulare la struttura dell'acido p-
amminobenzoico. Il primo farmaco che venne utilizzato fu appunto il Dapsone. Bisognava
somministrarlo per via orale e questa terapia, nel caso della tubercolosi durava almeno 6 mesi,
nel caso della lebbra dura almeno 2 anni. Se contestualizziamo il discorso ci rendiamo conto che
questo farmaco allora doveva essere assorbito, e poi era necessario continuarlo a
somministrare nel tempo in popolazioni dove trovare un ospedale è una condizione piuttosto
difficile. Infatti nella fascia del deserto del Sahara non è facile trovare un villaggio dove c'è il
medico e che ha anche il Dapsone. Di conseguenza si decise di provare un approccio
farmacocinetico migliorativo nei confronti della patologia. Allora si comprese che si potevano
fare dei derivati più solubili (più idrofili) o più lipofili rispetto alla struttura del Dapsone, senza
alterarne le caratteristiche del farmacoforo. In particolare il Sulfoxone sodico non è nient'altro
che un Dapsone solubile in acqua perché questo gruppo è carico, questo sale che si viene a
formare tra il gruppo solforico e il sodio fa sì che la molecola si sciolga in acqua. Questa molecola
solubile in acqua la si può utilizzare per via parenterale come dose d'attacco, senza dover
aspettare una somministrazione di tipo orale. Poi però, contestualmente a questa
somministrazione, il farmaco che ha avuto più diffusione è l'Acedapsone. Questo non è
nient'altro che un derivato ancora più lipofilo del Dapsone perché ha 2 gruppi amminici
primari che sono stati acetilati e quindi quella che era la minima interazione che ci poteva stare
di questa molecola con l'acqua, con questi NH 2, viene ulteriormente soppressa. La molecola
pertanto è estremamente lipofila, tant'è che la si può somministrare in un mezzo oleoso, si
scioglie il farmaco e se ne fa un iniezione intramuscolare. Dall'olio, che in questo caso viene
utilizzato come tessuto di deposito, si crea un farmaco ritardo, cioè man mano, lentamente,
questi gruppi acetilici vengono scissi dalle amidasi e si libera Dapsone, il quale entra in circolo
gradualmente e va ad esplicare l'attività terapeutica antilebbra. Si può così somministrare
l'Acedapsone per via intramuscolo ogni 2/3 mesi, si fa una grande dose e la si somministra a
livello muscolare e quindi sostanzialmente si possono realizzare delle vere e proprie migrazioni
di villaggi nell'unica struttura ospedaliera che ha l'Acedapsone.
Questa è il motivo per cui l'Acedapsone ha soppiantato definitivamente il Dapsone nella terapia
della lebbra.
Relazioni Struttura-Attività
Qualunque tipo di modifica comporta la perdita di attività:
I raggruppamenti amminici non possono essere sostituiti da altri gruppi (elettron-
attrattori o elettron-donatori), né possono occupare posizioni diverse da 4 e 4’.
L’introduzione sugli anelli benzenici di altri sostituenti altera completamente il quadro di
attività.
Risulta essere di rilevante importanza anche il gruppo solfonico: derivati in cui lo zolfo
sia presente con un numero di ossidazione minore risultano inattivi.
L’unica modulazione possibile, che porta ad un prodotto con un analogo spettro d’azione,
mai entrato in terapia, è stata la sostituzione di un anello benzenico con un isostero per
ottenere il tiazolsolfone.
Quindi qualunque tipo di modifica, come abbiamo già detto la volta scorsa, fa perdere l'attività.
Infatti nei sulfamidici potevamo modificare l'ammina primaria che stava dall'altro lato? No,
perché si doveva emulare l'acido p-amminobenzoico. Se tolgo l'NH2 da questo lato qua, pero di
attività. Potevo modificare l'anello aromatico? No, perché si modificava la lunghezza e la
larghezza della molecola e quell'anello aromatico non si poteva assolutamente toccare. Non si
poteva sostituire neanche l'atomo di zolfo con un numero di ossidazione minore, perché
perdeva di efficacia quella struttura carica negativamente. L'unica modificazione possibile era
quella di cambiare l'altro anello aromatico, quello che costituisce il vinilogo, che tanto serve solo
a distanziare il gruppo NH 2 da quello SO2. E allora posso sostituire l'anello aromatico del
benzene ad esempio con il tiazolo, che è ancora una volta il principio di isosteria, ovvero
cambiamento di una struttura con un'altra, sempre aromatica ma che non comporta
modificazione. In verità siccome questa molecola non ha nessun vantaggio rispetto al Dapsone,
anzi costa solo in più e quindi è preferibile realizzare la più semplice struttura del Dapsone e
che in fatti è l'unico derivato che ancora oggi sta in commercio.
Meccanismo D'Azione
I solfoni, analogamente ai sulfamidici, agiscono come antifolici. La loro azione viene
antagonizzata dal PABA. Considerando un sulfamidico tipico, si può scrivere un equilibrio:
Per il dapsone possiamo scrivere un equilibro mesomerico:
Nei solfoni rispetto ai sulfamidici manca l’NH ma ciò non è importante perché ai fini dell’attività
è necessaria solo la disponibilità elettronica sull’ SO2.
Come abbiamo già detto il meccanismo d'azione è lo stesso dei sulfamidici. Per comprendere
bene che è realmente così, nell’ immagine precedente è stata riportata la Sulfadiazina. Nella
Sulfadiazina ci deve stare un azoto protonabile, un anello aromatico e una carica negativa che
andava ad emulare il COOH dell'acido p-amminobenzoico. Questa carica negativa si genera per
dissociazione di questo idrogeno acido e poi può essere ulteriormente delocalizzata, è come se
si dividesse questa carica negativa in queste varie strutture di risonanza e quindi alla fine
abbiamo una disponibilità di carica negativa in tutta questa porzione della molecola. Per il
Dapsone non c'è l'NH e quindi come si genera questa carica negativa?
In realtà possiamo scrivere una struttura a separazione di carica, perché è possibile che questo
doppio legame si sposta qua e si forma un a carica positiva ma contemporaneamente dall'altro
lato si viene a generare la carica negativa per la mancanza del legame. È questa disponibilità di
carica negativa ad una certa distanza tra il gruppo amminico crea la stessa condizione dell'acido
p-amminobenzoico. Questa molecola quindi ha lo stesso meccanismo d'azione dei sulfamidici
ma è più lipofila perché ha un altro anello aromatico e quindi entra di più all'interno della
struttura del micobatterio e riesce a determinare l'azione. L'Acedapsone è ancora più lipofilo del
Dapsone tanto da costituirne il farmaco ritardo che può essere quindi somministrato ogni 3
mesi.
1. Metodo
L'intermedio principale per l'ottenimento di questa sintesi, come si può vedere nelle
immagini, è questa molecola che ha posizionato SO 2Cl da questo lato e quindi ricorda
molto la sintesi dei sulfamidici che abbiamo fatto la scorsa volta. Ricordiamo invece che
nei sulfamidici qui avevamo NHCOCH3. Questo intermedio coinvolto nella sintesi del
dapsone si chiama cloruro di p-clorobenzensolfonile e in questa reazione lo facciamo
reagire con il clorobenzene in presenza del catalizzatore tricloruro di alluminio (AlCl3). Il
tricloruro di alluminio è un acido di Lewis. AlCl3 deve interagire con questa molecola,
ovvero con SO2Cl e si forma un addotto, cioè una molecola che è l'allumino con 4 atomi di
cloro tutti intorno. L'addotto si rompe e si forma AlCl4 con carica negativa e sull'atomo di
zolfo resta una carica positiva. Si forma così l'elettrofilo che poi porta l'attacco elettrofilo
sull'atomo del benzene in para rispetto al sostituente già posizionato e si ottiene questo
derivato che stiamo vedendo in questa posizione. Quindi il meccanismo è ancora una
volta una sostituzione elettrofila aromatica catalizzata dal tricloruro di alluminio. Il 4,4'-
solfonilbis (clorobenzene) che quindi si è formato lo trattiamo con ammoniaca sotto
pressione e otteniamo così direttamente il Dapsone.
2. Metodo
Partiamo dal p-nitro-clorobenzene. Questa molecola la si tratta con il solfuro di sodio e
l'atomo di zolfo va a dare sostituzione rispetto al cloro. Lo zolfo si lega e il cloro si stacca.
Di conseguenza lo zolfo va a fare da ponte rispetto a 2 di queste molecole, si va a legare 2
volte, e si ottiene la molecola già con i gruppi nitro a destra e sinistra. Questi gruppi nitro
già sappiamo che dopo li dobbiamo andare a ridurre, però prima di farlo ci conviene
andare a trasformare quest'atomo di zolfo nel derivato solfonico perché abbiamo detto
che solamente lo stato di ossidazione SO2 garantisce l'attività. SO o S da solo non
darebbero efficacia al farmaco, quindi è necessario ossidare quest'atomo di zolfo, e lo
facciamo con il perossido di idrogeno (ovvero l'acqua ossigenata: H 2O2) che è un buon
ossidante e di conseguenza trasformiamo S in SO2. Ultimo passaggio è l'induzione dei
gruppi nitro, con zinco e acido cloridrico, in gruppi amminici.
Perché non ho scritto H2 carbone palladiato? Perché l'idrogenazione catalitica di
conversione del nitro ad ammina primaria sarebbe talmente spinta da ridurre un'altra
volta il gruppo solfonico al gruppo S, cioè al solfuro, e questo mi porterebbe di nuovo ad
aver annullato l'effetto ossidante dell'acqua ossigenata. Mentre che reazione si ottiene
tra la polvere di zinco e l'acido cloridrico? Quello che succede è un ossidoriduzione,
perché se ci pensiamo lo zinco, in questo caso è una polvere, una limatura di zinco (il
metallo), si prende un pochettino di polvere di zinco metallico che ha numero di
ossidazione 0 (ricordiamo che tutti gli elementi nello stato metallico hanno numero di
ossidazione 0), quando reagisce con l'H+ presente all'interno della soluzione di HCl, che è
completamente dissociata in H+ e Cl-, dà luogo ad un ossidoriduzione e lo zinco passa dal
numero di ossidazione 0 al numero di ossidazione +2 (Zn+2) e quindi si ossida. Invece H+
si deve ridurre, e dal numero di ossidazione + (che ha lui) diventa H 2, ovvero idrogeno
gassoso con numero di ossidazione 0. In pratica stiamo sviluppando idrogeno, ed è
proprio l'idrogeno che va a dare la reazione di riduzione, come se facessimo un
idrogenazione catalitica molto lenta nel tempo perché l'idrogeno lo facciamo sviluppare
direttamente in situ e non lo andiamo a pompare dall'esterno con un elevata pressione.
Un po dell'interazione tra zinco e acido cloridrico sviluppa idrogeno gassoso il quale è
responsabile della riduzione da un gruppo nitro a gruppo amminico senza eccessivo
catalizzatore data dal carbone palladiato.
Sintesi dell'Acedapsone
L' Acedapsone è diverso rispetto al Dapsone? No! Si prende il Dapsone poi acido acetico e
anidride acetica e acetilate i 2 gruppi esterni (reazione molto economica per poter ottenere
l'Acedapsone rispetto al Dapsone). Se ne vogliamo descrivere una sintesi completa è quella dei
sulfamidici, cioè dal nitrobenzene, riduzione con idrogeno e carbone palladiato e si ottiene
l'anilina. Protezione della porzione amminica e si ottiene l'Acetanilide, poi acido cloro solforico e
si ottiene il derivato SO2Cl reattivo e pronto a reagire con l'acetanilide in presenza del
catalizzatore AlCl3. Che fa AlCl3? Reagisce con questa molecola e si forma AlCl4- che si rompe, e
quando rimane la carica positiva questa va a portare attacco dall'altro lato rispetto al sostituente
già posizionato e la struttura che ne deriva è direttamente è l'Acedapsone.
Quindi oltre alla ovvia possibilità di acetilare il Dapsone, l’Acedapsone può essere sintetizzato
anche con la seguente procedura sintetica: