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5a lezione

ESCREZIONE E TOSSICITA’

Proseguendo il percorso del farmaco, una volta somministrato dopo la fase di


metabolizzazione, viene la fase in cui il farmaco viene reso più idrofilo, quindi più idoneo ad
essere eliminato attraverso le principali vie di escrezione. I farmaci normalmente vengono
traslati, come gli xenobiotici, quindi sottoposti alle reazioni del metabolismo, che sono delle
reazioni che avvengono perché esiste un metabolismo endogeno, non perché esistano degli
enzimi per i quali i farmaci specificamente vengono progettati per essere metabolizzati, e poi
piano piano le sostanze rese più idrofile devono essere eliminate. I Farmaci, (sostanze
estranee all’organismo), seguono il destino delle scorie metaboliche e vengono pertanto
eliminati attraverso tutti gli emuntori naturali; per ogni singola sostanza esiste una specifica
via attraverso cui essa viene eliminata preferenzialmente.
Le vie di eliminazione principali sono quella RENALE e quella EPATICA e, pertanto, la maggior
quantità di farmaco somministrato sarà eliminato sottoforma di glucuronidi, di fenintrati con
gli amminoacidi, di coniugati con il glutatione, e quindi con i gruppi tiolici, all’interno delle
urine e delle feci. Però vi sono anche altre vie di escrezione importanti(Vie secondarie) che, a
seconda delle casistiche, in alcuni casi diventano la via principale di escrezione, e possono
essere:
 polmonare
 cutanea
 attraverso il latte materno
 attraverso la saliva
 attraverso il liquido lacrimale

Ci sono dei farmaci molto volatili che vengono eliminati attraverso la respirazione, dei farmaci
che possono essere eliminati con la sudorazione, che può essere pertanto accelerata per
favorire l’escrezione di queste molecole. Inoltre c’è una quota di farmaco che non dobbiamo
trascurare, che può essere oggetto di escrezione attraverso il latte materno, la saliva e il
liquido lacrimale. Questo per ricordarvi che quindi ci sono una serie di vie di escrezione e non
soltanto quelli principali che consideriamo come il fegato e come il rene. In commercio c’è un
antibiotico che si chiama rifampicina (farmaco antitubercolare), che ha la caratteristica di
essere fortemente colorato di rosso, e quando veniva somministrato all’inizio della sua
scoperta, bisognava avvertire il paziente della colorazione, della pigmentazione rossa dei
liquidi biologici, perché poi il farmaco aveva come principale via di eliminazione la
sudorazione.
Normalmente la principale via di escrezione è quella renale, che avviene attraverso tre
fenomeni principali. Il plasma, una volta arrivato a livello del glomerulo renale, del neurone,
(unità funzionale del rene), viene sottoposto a tre fenomeni:
1. Filtrazione glomerulare
La filtrazione glomerulare è dovuta alla differenza di pressione che esiste tra il microsistema
arterioso delle arteriole e le venule localizzate a livello glomerulare. Inoltre il farmaco può
essere anche oggetto però di una secrezione attiva all’interno del tubulo renale, cioè ci sono
dei farmaci che vengono filtrati in quella che prende il nome di preurina, che viene sottoposta
a concentrazione e poi all’eliminazione.
2. Secrezione tubulare attiva
Ci sono dei farmaci che attivamente, attraverso dispendio di energia, vengono pompati da dei
carrier proteici all’interno del sistema renale, in modo tale da aumentare ancora di più quella
che è la fase di escrezione, quindi come vi era la possibilità di un trasporto attivo in
assorbimento, vi è anche la possibilità di un trasporto attivo nella fase di escrezione.
3. Riassorbimrnto tubulare attivo e passivo
Fase alla quale possono essere sottoposti i farmaci che, se posseggono il giusto bilancio
lipofilo/idrofilo per andare incontro all’assorbimento, è anche molto probabile che, se non
hanno subito reazioni di metabolizzazione, una volta arrivati nella preurina, vengano di nuovo
riassorbiti, perché sono capaci di superare le membrane biologiche. Invece, una volta soggetti
alle reazioni del metabolismo, una volta resi molecole più idrofile, vengono portati a livello
dell’ultrafiltrato glomerulare e là restano, perché sono più idrofile, non saranno più in grado
di superare le membrane dei fosfolipidi e di andare incontro al riassorbimento tubulare attivo
e passivo.
Non necessariamente intervengono contemporaneamente tutti e tre i processi; in alcuni casi
ci sarà solo una Filtrazione Glomerulare, in altri, si possono associare uno dei due o tutti i
processi precedentemente detti.
N.B. Ricordiamo che la quota di farmaco che può subire l’escrezione renale o l’escrezione in
genere è quella relativa alla quota di farmaco libero, poiché il farmaco legato alle proteine
(come ad esempio l’albumina o l’ α-glicoproteina acida) e questi farmaci non saranno in grado
di essere ultrafiltrati, perché la presenza di farmaco legato alle proteine all’interno dell’urina è
segno solamente del danno renale, perché le proteine che hanno un elevato peso molecolare
non vengono soggette al fenomeno dell’ultrafiltrazione.

Com’è fatta l’unità funzionale renale, cioè il nefrone?

A livello renale c’è la capsula di Bowman, all’interno della quale ci sono delle arteriole e delle
venule, c’è una differenza di calibro notevole tra l’arteriola e la venula; l’arteriola è molto più
larga, in modo tale che la portata di plasma che riesce ad arrivare alla capsula renale è elevata.
C’è normalmente un disequilibrio di circa 35 mmHg tra la quantità di plasma che arriva e la
quantità di plasma che viene portata via dal sistema delle venule. Questa elevata
sovrapressione fa sì che tutti i componenti dall’interno dei vasi tendano a stravasare per finire
all’interno del sistema dei tubuli.
Quanti tubuli esistono all’interno dell’unità funzionale? Esiste dapprima il tubulo contorto
prossimale, a li vello del quale già avviene una prima parte del riassorbimento delle molecole,
e quelle più lipofile si riassorbono di più rispetto a quelle idrofile, che si riassorbono di più di
quelle cariche, questo perché le molecole elettricamente cariche, quelle con carica positiva o
negativa netta non supereranno mai i fosfolipidi di membrana. Successivamente il farmaco e
tutti i costituenti naturali come il glucosio, ma anche amminoacidi, sodio, ione cloruro sono
soggetti a questa fase di riassorbimento, arrivano a livello dell’ansa di Henle, dove avviene la
maggior parte del riassorbimento grazie a fenomeni di carrier di tipo attivo. L’ansa di Henle è
quella preposta al maggior riassorbimento di sodio e di ioni cloruro, tant’è vero che i diuretici
più potenti che sono in commercio sono in grado di inibire il riassorbimento a questo livello,
lasciano sodio all’interno delle urine, il sodio necessariamente deve essere idratato e quindi
richiama acqua facendo sì che ci sia un effetto “saluretico”, cioè di eliminazione attraverso le
urine dei sali, che comporta l’effetto diuretico molto spinto dei diuretici dell’ansa di Henle. poi
C’è poi il tubulo contorto distale, anche qui una nuova fase di riassorbimento possibile, fino a
quando poi alla fine si arriva a livello del dotto collettore, si ha la formazione della preurina
raccolta nella vescica, che viene poi direttamente eliminata insieme a tutti i componenti che
essa contiene, quindi anche i farmaci metabolizzati.
Nel rene ci sono un milione di nefroni e la quantità di plasma che viene filtrata ogni giorno è di
circa 170-190 litri, passano in un minuto 650 ml di plasma (corrispondenti ad 1,2 litri di
sangue) e il volume del filtrato glomerulare è pari a 120-130 mL al minuto.
I farmaci possono essere allora sottoposti a questi tre fenomeni: ultrafiltrazione,
riassorbimento e secrezione tubulare.
Al netto di tutte le fasi di riassorbimento e di secrezione che potrebbero avvenire, cioè se una
molecola sottoposta solamente alla fase di filtrazione che poi non subisce né riassorbimento,
né secrezione attiva, viene solo filtrata e portata nella preurina, viene eliminata con una
velocità pari a 120-130 ml/min, che poi corrispondono a 170-190 litri al giorno. Quindi di 650
ml di liquido, solamente 120-130 saranno quelli che verranno eliminati con il fenomeno
dell’ultrafiltrazione.
L’ultrafiltrazione abbiamo detto che avviene all’interno della capsula di Bowman, avviene
solamente per le molecole non legate all’albumina ed avviene perché c’è quel disequilibrio di
35 mmHg dovuti alla differenza di calibro tra le arteriole e le venule che vanno a costituire il
sistema di filtrazione. Successivamente alla fase di ultrafiltrazione possono avvenire i
fenomeni di assorbimento e/o di secrezione e questi possono dipendere innanzitutto dal pKa
della sostanza.
Quando si è parlato dei farmaci nella fase di assorbimento, si è detto che la maggior parte dei
farmaci sono delle basi deboli, ma vi sono anche dei farmaci a carattere acido debole, e che il
pH urinario poteva essere alterato attraverso la somministrazione del cloruro d’ammonio o
del bicarbonato di sodio, che fanno sì che la forma ionizzata o dissociata di queste molecole sia
più presente, in modo da favorirne l’assorbimento o la loro eliminazione.
Allora queste fasi di riassorbimento dipendono innanzitutto dalla possibilità di passare
indisturbate a livello tubulare, solamente per filtrazione glomerulare, altrimenti ci possono
essere delle sostanze che possono essere anche riassorbite dopo essere state filtrate, le quali
avranno un valore di eliminazione inferiore ai 130 ml/min, infatti per esempio il glucosio
viene sottoposto alla fase di filtrazione glomerulare e va nella preurina, ma esistono dei
carrier specifici per il suo riassorbimento. Oppure ci possono essere delle sostanze che
vengono secrete, non gli basta di dover essere sottoposte alla fase di filtrazione glomerulare,
ma ci sono delle strutture proteiche che le riconoscono, le prendono dal torrente ematico e le
portano all’interno dell’urina; per queste molecole troveremo un valore di eliminazione
superiore ai 130 ml/min.
Questo valore di riferimento che stiamo prendendo in considerazione è quello della
creatinina, una sostanza che è stata individuata come prototipo di molecola che viene
sottoposta soltanto alla fase di filtrazione glomerulare. Per valutare se il rene funziona
correttamente nella sua fase di filtrazione si calcola la clearance della creatinina, ovvero la
capacità della creatinina di essere eliminata; se questo valore è intorno ai 130 ml/min vuol
dire che il rene funziona correttamente, mentre se otteniamo dei valori di clearance della
creatinina intorno ai 500 ml/min, vuol dire che la funzionalità renale del riassorbimento e
soprattutto dell’ultrafiltrazione è alterata, e potrebbe trattarsi di un caso di cancro renale.
Quindi, RIASSORBIMENTO E SECREZIONE si verificano maggiormente a livello del tubulo
contorto prossimale, sono attraverso le membrane e sono legati alla diffusione in quanto
dipendono:
 dal pka della sostanza,
 dal pH urinario (variabile da 5 a 7)
 dalla liposolubilità della forma indissociata, cioè la capacità di andare incontro al
riassorbimento, di superare questi fosfolipidi di membrana e di ritornare indietro
all’interno del torrente plasmatico.

Riassorbimento tubulare
E’ possibile controllare il riassorbimento del farmaco dal tubulo ai capillari agendo sul valore
del pH del contenuto tubulare. Quando l’urina è acida, infatti, i farmaci basici sono
maggiormente ionizzati, meno riassorbiti e pertanto escreti in maggiore quantità. Viceversa, i
farmaci di natura acida sono escreti in misura maggiore nell’urina alcalina.
I farmaci idrofili, sono escreti come tali dopo l’ultrafiltrazione ed eliminati rapidamente.
Infatti, il metabolismo di I e II fase trasforma i farmaci in sostanze dotate di maggiore polarità
e, quindi, maggiore idrofilia, più facilmente eliminabili e meno facilmente riassorbibili.

Secrezione tubulare
La secrezione tubulare è la fase che più ci interessa per capire il destino di un farmaco, perché
abbiamo compreso che tutti i farmaci, quelli non legati alle proteine plasmatiche, vengono
soggetti all’ultrafiltrazione glomerulare con una velocità costante di 130 ml/min, dopodiché i
farmaci potranno essere leggermente riassorbiti, sempre se non sono delle molecole
fortemente polari, per le quali non ci sarà riassorbimento, o sempre se non abbiamo
modificato il pH delle urine, ma poi ci potranno essere dei farmaci che vengono secreti
attivamente. In questo caso, i sistemi trasportatori a livello renale non saranno influenzabili
dal pH delle urine, perché il farmaco lo prendono dal torrente ematico, e di conseguenza non
posso alterare il pH del torrente ematico per influenzare questa velocità di escrezione, questa
velocità di trasporto all’interno dell’urina.
Alcuni farmaci possono essere secreti nel tubulo, contro gradiente di concentrazione,
attraverso un trasporto attivo dal plasma all’urina tubulare.
I sistemi dei trasportatori a livello renale sono di due tipi:
1. uno specifico per sostanza acide
2. l’altro per quelle basiche;
In entrambi i casi è la forma ionizzata ad essere trasportata con questo meccanismo. I sistemi
non sono dotati di specificità, ed è possibile la competizione tra sostanze diverse con affinità
per lo stesso trasportatore. La competizione può essere sfruttata per modificare
l’eliminazione dei farmaci in senso positivo o negativo.
Esistono dei trasportatori specifici, trasportatori per le sostanze a carattere acido e
trasportatori per le sostanze basiche; è sempre la forma ionizzata che viene trasportata con
questo meccanismo, e l’unica possibilità che abbiamo di influenzare l’eliminazione di queste
sostanze è di dare contemporaneamente due molecole che devono essere soggette ad
escrezione a secrezione attiva tubulare attraverso lo stesso tipo di carrier. E a proposito esiste
un esempio farmacologico che si può prendere in considerazione.
Al fine di aumentare la durata d’azione di farmaci come le penicilline, è possibile co-
somministrarle a sostanze acide come il Probenecid che, presentando una maggiore affinità
per gli stessi sistemi di trasporto a livello tubulare, ne riducono la secrezione, e, di
conseguenza, l’escrezione.

Cenno storico:
Alla scoperta degli antibiotici β-lattamici, la penicillinaG venne isolata da parte di Fleming ed
iniziò ad essere utilizzata con grande efficacia, soprattutto nella seconda guerra mondiale,
perché a quel tempo bastava una piccolissima ferita, una piccolissima infezione che purtroppo si
era destinati alla morte, molto spesso per gangrena. Ma i farmaci erano ancora poco noti, se ne
conoscevano pochissimi in grado di debellare i germi, per cui, quando si scoprì la penicillinaG fu
il farmaco che ha cambiò la storia dell’uomo.

La penicillinaG veniva somministrata per via parenterale, perché non si assorbe per il tratto
gastro-intestinale, è acido-labile, ciò significa che si scinde l’anello β-lattamico.
Dopo la sua somministrazione parenterale, siccome è una molecola sufficientemente idrofila,
ha un sacco di gruppi polari, questa molecola rapidamente tende a concentrarsi a livello
urinario e viene eliminata. Inoltre, non basta l’elevata filtrazione glomerulare di questa
molecola, perché essa, essendo dotata di una carica netta negativa è una molecola acida, nella
sua porzione non legata all’albumina plasmatica, viene secreta attivamente all’interno del
tubulo renale; questo fa sì che la penicillinaG abbia un’emivita al di sotto delle 2 ore. Per poter
effettuare una terapia sufficiente con livelli di concentrazione plasmatica del farmaco idonei,
era necessario reiterare la somministrazione parenterale del farmaco 5-6 volte al giorno.
(Pensate a una persona che si deve fare 5-6 iniezioni al giorno se è d’accordo a farsi la terapia
o vuole lo studio di strategie alternative).
Ebbene nello studio di farmaci si è verificato che un’altra molecola, scoperta per puro caso, il
Probenecid, somiglia quasi ad un sulfamidico, infatti i sulfamidici hanno l’anello aromatico, il
gruppo SO2N dall’altro lato, in quanto sono solfonamidi, e l’NH2. Si provarono a fare, in pratica,
degli isosteri dei sulfamidici, cambiando completamente il gruppo funzionale, da basico si
provava a mettere il COOH acido, e venne fuori questa molecola che si chiama Probenecid.
Il Probenecid cosomministrato è anch’esso una molecola a carattere acido, utilizza lo stesso
carrier della penicillinaG per poter essere secreto attivamente all’interno della preurina. Per
cui se insieme a una iniezione di penicillina G viene somministrata una buona concentrazione
di Probenecid si avrà una competizione tra le due molecole nei confronti della stessa struttura
proteica, recettoriale, che deve operare questo trasferimento all’interno della preurina.
Quale sarà il risultato noto? Il Probenecid che viene somministrato in grande quantità tiene
impegnato il canale che opererà il trasporto all’interno della preurina e contemporaneamente
la penicillinaG resta più tempo all’interno del torrente ematico, quindi può essere più
facilmente distribuita e potrà localizzarsi nei tessuti bersaglio, dove andrà ad esplicare il suo
meccanismo d’azione.
Una volta scoperto che esistevano delle molecole come il Probenecid, che erano in grado di
interagire con questi carrier che operano il trasporto delle sostanze a carattere acido e/o
basico, sono venuti fuori una serie di composti simili al probenecid, detti “Probenecid-like”,
che sono in grado di promuovere la permanenza di altre sostanze all’interno del torrente
ematico, oppure sono in grado di favorire l’eliminazione di determinate sostanze. Quindi i
“probenecid-like” prolungano l’azione anche di altri farmaci e, bloccando il sistema
trasportatore in senso ambivalente, ostacolano sia la secrezione sia il riassorbimento di
farmaci acidi a livello del tubulo renale. E’ inoltre possibile inibire il riassorbimento di
composti dannosi all’organismo, con l’uso di farmaci che competono con il sistema di
trasporto specializzato.
Infatti si possono somministrare affinché dovranno interagire con il carrier delle sostanze
acide, impedendo il prelievo di una determinata sostanza dal torrente ematico, oppure
possono fare sì che il Probenecid o suoi analoghi si concentrino a livello delle urine insieme
alla sostanza che dovrebbe essere riassorbita, impedendone invece il suo riassorbimento
all’interno del torrente ematico, per cui la sostanza resterà di più all’interno delle urine e
potrà essere maggiormente eliminata.
Quindi mentre prima si è visto il probenecid sfruttato nel prolungare l’efficacia di un farmaco,
è possibile anche l’effetto contrario, cioè quello in cui queste sostanze a carattere netto acido o
parzialmente acido, come il sulfinpirazone, possano essere in grado di favorire l’eliminazione
di una molecola a carattere acido. In particolare l’associazione sulfinpirazone/acido urico è
particolarmente diffusa.
Nella terapia antigottosa, ad esempio, il Probenecid e il Sulfinpirazone, andando a competere
con il riassorbimento tubulare degli urati, favoriscono l’eliminazione dell’acido urico.
La gotta è una patologia caratterizzata da un’eccessiva presenza di prodotti di degradazione
delle purine.

L'ACIDO URICO è una sostanza a carattere fortemente acido. Si


forma negli organismi viventi superiori come sottoprodotto nel
metabolismo degli aminoacidi e delle purine. Appartiene al gruppo
delle triossipurine ed è formato da un anello pirimidinico (a)
condensato con un anello imidazolico (β).

Se guardate questa struttura è una triossipurina, caratterizzata da un anello pirimidinico e un


anello imidazolico condensato, e prende il nome di acido urico. E’ caratterizzata solamente da
un unico idrogeno dicarbonilico e una delle caratteristiche dei composti dicarbonilici è la
possibilità di formare una carica netta negativa in questa posizione, e quindi la possibilità di
cedere H+, è stabilizzata dalla risonanza, perché una volta che si forma la carica netta su
quest’atomo di azoto, si potrà avere che la carica netta potrà andare, per fenomeni di
risonanza, su questo CO oppure sull’altro C doppio legame O.
All’aumentare del numero delle strutture di risonanza possibili, aumenta la stabilità delle
molecole, di conseguenza la cessione di questo idrogeno da parte dell’acido urico è una
condizione possibile, e quindi la molecola avrà un carattere netto finale di tipo acido grazie a
questo idrogeno.
Questa molecola quindi, che deriva dal metabolismo delle purine, è a carattere acido, si
concentra a livello delle urine dove viene eliminata, ma in parte viene sottoposta a
riassorbimento da parte del carrier che riconosce le sostanze a carattere acido e le riporta
all’interno del torrente ematico. Se si somministra una molecola anch’essa a carattere acido si
può impegnare questo carrier per un certo tempo e far sì che l’acido urico tenda a essere
eliminato maggiormente. Perché è necessario eliminarlo? Perché nella patologia della gotta, la
concentrazione di acido urico che si realizza a livello plasmatico è eccessiva, e questa molecola
a livello delle articolazioni periferiche tende a precipitare sottoforma di cristalli e determina
una condizione estremamente dolorosa, si formano delle vere e proprie deformazioni delle
parti finali delle ossa. La precipitazione di cristalli di acido urico la dobbiamo fronteggiare con
delle molecole che lo faranno eliminare maggiormente, chiamati farmaci uricosurici. Il
sulfinpirazone, nato per tutt’altri motivi, come antinfiammatorio, si è scoperto un buon
farmaco uricosurico.
Perché quest’altra molecola è anch’essa acida? Quindi la si può utilizzare come farmaco anti-
gottoso?

Se l’andiamo a guardare, non ci sembrerebbe acida per niente, però è da notare che qua esiste
un carbonio al quale è legato anche un idrogeno, non è esplicitato nella struttura, ma si può
vedere che forma un legame con questo carbonio qua, un legame con quest’altro carbonio
carbonilico, un legame con la catena spaziatrice, e poi c’è l’atomo di idrogeno al di sotto del
piano. Quest’atomo di idrogeno è localizzato tra due gruppi carbonilici, allo stesso modo
dell’acido urico, e infatti il sulfinpirazone viene riconosciuto dallo stesso carrier che
opererebbe il riassorbimento dell’acido urico. Il sulfinpirazone è una molecola leggermente
acida che compete con il riassorbimento tubulare degli urati e produce l’eliminazione
dell’acido urico.
(Stiamo giustificando quindi, con meccanismi di tipo chimico, che ci possa essere una
variazione del riassorbimento o della secrezione tubulare attiva di alcune molecole, e quindi è
possibile interagire con questi carrier per favorire o per sfavorire la loro fase di eliminazione).

Clearance renale
Si definisce clearance renale il volume di plasma espresso in mL che viene depurato dai reni,
nell’unità di tempo (ore o minuti), da una sostanza. La clearance, descrive l’aspetto più
importante della funzionalità renale e cioè la capacità depuratrice del rene nei confronti di
costituenti endogeni ed esogeni. Farmacologicamente, la clearance correla la velocità di
eliminazione del farmaco con la concentrazione plasmatica di quest’ultimo.
La corretta funzionalità renale viene valutata attraverso la determinazione della clearance
della creatinina, una sostanza eliminata esclusivamente mediante filtrazione glomerulare.
Questa molecola, una volta somministrata, viene depurata dai reni solamente attraverso il
fenomeno della filtrazione glomerulare, non è soggetta a riassorbimento tubulare attivo, non è
soggetta a secrezione tubulare attiva e passiva, di conseguenza questa molecola, così come
viene filtrata, così la si troverà all’interno delle urine. Il suo valore di clearance è compreso tra
i 95-140 ml/min. Abbiamo detto sempre 130 ml/min, ma esiste un intervallo di valori, perché
esiste un fenomeno, ovvero la variabilità biologica, nei confronti della quale non possiamo
fare niente. Abbiamo giustificato il fatto che l’AUC dei farmaci con uguale biodisponibilità era
compresa tra i 120-80%, e potevamo mai pensare che i farmaci si eliminavano tutti alla stessa
precisissima velocità? Quindi esiste un intervallo. Il dato medio è 130 ml/min nell’uomo, ma è
chiaro che una clearance normale è compresa tra un minimo e un massimo 95-140 ml/min
nell’uomo, 85-130 ml/min nella donna.
Valori inferiori sono indice di un’alterata funzionalità renale, è tanto più alterata quanto più
basso è il valore della clearance; non ci sarà filtrazione glomerulare, ci sarà una diminuzione
del valore della clearance della creatinina.

Esiste un’espressione che è in grado di determinare il valore della clearance espresso in


ml/min? Ebbene il valore della clearance, ovvero la quantità di farmaco che viene depurato
dal plasma nell’unità di tempo (definizione di clearance) è dato dalla seguente formula:

U= Concentrazione urinaria del farmaco


V= Volume di urina escreta in un minuto
P= Concentrazione del farmaco nel plasma

Ogni farmaco ha quindi un suo “regime di escrezione”

dove la concentrazione urinaria del farmaco per il volume di urina che viene escreta in un
minuto, diviso la concentrazione di farmaco presente nel plasma è uguale a questo parametro
della clearance. E’ necessario, per poter calcolare la clearance di una determinata sostanza,
fare un monitoraggio su due sistemi, contemporaneamente si devono valutare le urine, ma si
devono valutare anche il plasma e si deve andare a calcolare la concentrazione di farmaco
all’interno del plasma. E’ necessario quindi il prelievo contestuale di urine e plasma per
valutare la clearance di un farmaco, perché si deve sapere quanto ne è stato messo nel plasma
per stabilire quanto ne è andato a finire nelle urine; senza conoscere la quantità che era stata
messa non potremmo conoscere il valore della clearance del farmaco. Fermo restando che al
posto del valore di P è possibile talvolta, se non ci sono tempi di emivita lunghissimi dei
farmaci, quindi per farmaci a breve emivita, equiparare la concentrazione data per via
endovenosa di farmaco attraverso la somministrazione parenterale con la concentrazione
plasmatica che si realizza a tempo zero. Se la vogliamo calcolare dopo pochi minuti possiamo
assumere che la concentrazione plasmatica sarà ancora quella che io ho somministrato per via
parenterale, che però non è una buona simulazione, perché dopo un certo numero di ore, per
farmaci che non hanno un’emivita così breve, subentrano le reazioni di metabolismo, e di
conseguenza la concentrazione di farmaco nel plasma non è quella che abbiamo
somministrato.
I valori di clearance variano da 0 a 650 ml/min,
 Clearance = 0: il farmaco è completamente riassorbito a livello tubulare.
 Clearance = 650 (uguaglia cioè il flusso plasmatico renale): tutto il plasma che
attraversa i capillari viene depurato dal farmaco; 130 ml sono ultrafiltrati, il resto
viene depurato mediante secrezione tubulare; il riassorbimento è infine nullo.
 Clearance = 130: il farmaco è solo ultrafiltrato (ES. creatinina).
 Clearance < 130: indicano che si verifica il fenomeno del riassorbimento tubulare.
 Clearance > 130: dimostrano l’esistenza di un certo grado di secrezione tubulare.

infatti un farmaco con clearance pari a zero viene sottoposto alla fase di ultrafiltrazione, alla
quale non si può sottrarre, e poi verrà completamente riassorbito, nella formula questo
rapporto è pari a zero poiché la U è pari a zero, e di conseguenza, un farmaco con clearance=0
viene completamente riassorbito attraverso un meccanismo di riassorbimento tubulare molto
spinto. Il glucosio è una sostanza che ha un valore di clearance che tende a zero, non è zero, in
quanto c’è una parte di glucosio che viene eliminata, tant’è vero che è possibile calcolare la
sua concentrazione a livello urinaria. La clearance pari a 650 è una condizione che uguaglia il
flusso plasmatico renale, 650 ml vengono filtrati in un minuto, dopodiché, al netto dei
fenomeni di riassorbimento, una sostanza solo ultrafiltrata dovrebbe essere escreta con
concentrazioni pari a 130, se invece raggiungo valori di 650 vuol dire che il farmaco non solo
viene ultrafiltrato, ma il resto viene portato in circolo attraverso secrezione tubulare attiva
molto spinta, e poiché il riassorbimento è pari a zero, raggiungo valori massimi di 650
ml/min, quindi viene filtrato, viene secreto, ma non viene riassorbito. Il nostro organismo in
pratica nei confronti di queste sostanze è tarato per poterle eliminare.

Normalmente però, le condizioni che si vengono a realizzare non sono mai queste, non
troverete mai sostanze con clearance pari a zero o pari a 650, ma troverete sostanze con
clearance pari a circa 130 ml/min come la creatinina, che subisce solo l’ultrafiltrazione,
farmaci che hanno un valore leggermente inferiore ai 130, che dopo la fase di filtrazione
vengono meglio riassorbiti piuttosto che secreti, oppure viceversa vengono meglio secreti
piuttosto che riassorbiti aventi un valore leggermente superiore ai 130 ml/min.

Escrezione Via epatica


Dopo la via di escrezione renale, dobbiamo prendere in considerazione una per volta tutte le
vie che ci consentono l’escrezione, e per importanza, la seconda via di escrezione dei farmaci,
in termini di quantità, è la via epatica.
Numerosi farmaci si ritrovano in notevole quantità nelle feci. Questi possono avere una
duplice provenienza, essere cioè eliminati dall’organismo tramite due vie:

 una principale: la via biliare


 una secondaria: secreti dalla mucosa gastrica o intestinale

Questa via di escrezione(epatica) fa sì che i farmaci si ritrovino, dopo il passaggio all’interno


della bile, di nuovo all’interno dell’intestino, dal quale magari erano stati prelevati per
l’assorbimento. Ma i farmaci saranno stati modificati dal metabolismo, resi molecole più
idrofile, difficilmente riassorbibili, e pertanto verranno eliminati in grandi quantità attraverso
le feci.
E’ possibile però che il trasporto all’interno della bile avvenga in due modi:
 da processi di diffusione: regolati dal gradiente di concentrazione del farmaco tra il
tessuto epiteliale e il lume intestinale, nonché dal giusto bilancio idrofilo-lipofilo.
 dal trasporto specializzato (trasporto attivo o facilitato): quest’ultimo si verifica
soprattutto a livello epatico, dove esso è fisiologicamente implicato in larga misura sia
nella formazione della bile.

Quindi anche il passaggio all’interno del dotto biliare può avvenire per trasporto attivo,
facilitato, cioè mediato dalle strutture che sono in grado di veicolare queste molecole dal
parenchima epatico all’interno della bile, dove vedete questi trasporti specializzati sono già
progettati per la formazione della bile. Sarà necessario allora che queste molecole che si sono
venute a realizzare a livello epatico siano sufficientemente idrofile da poter essere
immediatamente veicolate all’interno della bile e, in questa forma, eliminate a livello del
sistema intestinale attraverso il dotto collettore.

Escrezione epatica
È da ricordare l’importanza a questo livello del “circolo“ enteroepatico tramite cui certe
sostanze eliminate con la bile, possono venire riassorbite a livello del tenue e ritornare così al
fegato per via portale; così, l’eliminazione è lentissima. È questa la via seguita dalla digitossina
e da alcune tetracicline.

Quindi nel caso dell’escrezione epatica del dotto biliare, si deve prendere in considerazione
una possibilità particolare, cioè quella in cui il farmaco, pur sottoforma di metabolita, venga
escreta attraverso la bile, portato a livello intestinale e, in questa sede, essere metabolizzato di
nuovo da parte degli enzimi della flora batterica intestinale, che potrebbero fare una reazione
inversa a quella che è stata fatto all’interno del nostro organismo, riliberando il farmaco nella
sua forma tradizionale, dando luogo nuovamente al riassorbimento attraverso la vena porta
che conduce nuovamente il farmaco nel sistema epatico. Stiamo quindi prendendo in
considerazione il caso in cui il farmaco dia luogo al circolo entero-epatico, che si può
realizzare sia per le molecole poco metabolizzate, che quindi arrivano al fegato-vengono
liberate nella bile-di nuovo nell’intestino, e poi riassorbite, perché la molecola è sempre la
stessa; sia per le molecole che vengono metabolizzate, ma che poi subiscono il processo
inverso, ad esempio di riduzione, da parte della flora batterica intestinale.

Questo perché noi favoriamo le reazioni di ossidazione, mentre la flora batterica intestinale
preferisce le razioni di riduzione. Questi due fenomeni posti l’uno contro l’altro potrebbero dare
vita ad un prolungamento dell’efficacia di alcuni farmaci, perché noi li andiamo ad eliminare a
livello del sistema di escrezione biliare, e i farmaci potrebbero essere nuovamente riassorbiti. Le
tetracicline, la digitossina, hanno un elevata possibilità di fenomeno di circolo entero-epatico che
non può essere trascurato nel calcolare i fenomeni di accumulo che ne potrebbero derivare dopo
successive somministrazioni.
Escrezione Vie secondarie
Dopo la via di escrezione epatica dobbiamo prendere in considerazione quelle altre vie che
consideriamo importanti per determinate categorie terapeutiche, e principalmente dobbiamo
considerare la via polmonare.

VIA POLMONARE: i farmaci gassosi e volatili, quali ad esempio, alcuni anestetici generali ed i
principi attivi terpenici e fenolici degli olii essenziali, vengono di preferenza eliminati
attraverso questa via (l’area della superficie alveolare è di 50-200 m2). Un tipico caso è anche
quello dell’alcool etilico, facilmente percettibile dall’alito di chi abbia ingerito bevande
alcoliche.
I farmaci gassosi e volatili diffondono attraverso l’epitelio alveolare, ampio e riccamente
irrorato, in base al gradiente di concentrazione: all’inizio la velocità di eliminazione è
massima, visto che la concentrazione è elevata nel sangue, e nulla nell’aria alveolare.

Si tratta di un epitelio monostratificato, con dei capillari molto fenestrati, quindi è una sede in
cui i farmaci possono entrare oppure uscire molto facilmente. Per poter uscire è necessario
però che siano delle specie molto volatili.
Anche in questo caso l’eliminazione è concentrazione-dipendente, cioè all’inizio, in
conseguenza dell’elevata concentrazione del farmaco all’interno del torrente plasmatico,
l’eliminazione è molto veloce, perché c’è grande quantità all’interno del plasma e niente
all’esterno, quindi si ha un’eliminazione che avviene secondo gradiente di diffusione passiva a
livello dell’epitelio alveolare. All’inizio la velocità di eliminazione è massima, poi tende a
diminuire perché tendono a diminuire le concentrazioni di alcool etilico nel torrente
plasmatico. Nel caso dell’alcool etilico, bisogna dire che non è proprio la via elettiva di
eliminazione, che resta quella urinaria, in seguito a metabolizzazione ovviamente, perché
abbiamo visto che l’alcool etilico in parte viene sottoposto all’azione dell’alcol deidrogenasi
che lo riporta ad acido acetico e lo riutilizza all’interno del ciclo di krebs. Inoltre questa via di
eliminazione è in funzione del gradiente di concentrazione, allora la possiamo vedere come
via di assorbimento e di eliminazione, a seconda di dove andiamo a realizzare la
concentrazione del farmaco. Quando parliamo di somministrare un anestetico generale
creiamo una grande concentrazione all’interno dell’aria che raggiunge i polmoni, in modo tale
che ci potrà essere il passaggio all’interno del torrente ematico; al contrario nel caso dell’alcol
etilico ce n’è una maggiore concentrazione nel torrente ematico, e per effetto di
volatilizzazione si riesce a realizzare un’eliminazione del farmaco a livello del tessuto
polmonare.

VIA CUTANEA: alcuni farmaci sono escreti dalle ghiandole sudoripare ed


eliminati così nel sudore. Il volume della secrezione sudorale è normalmente
esiguo e la quantità di farmaco eliminata per questa via è di scarso rilievo:
tuttavia, nel caso di insufficienza renale, può essere necessario incrementare
l’eliminazione cutanea, con l’utilizzo di farmaci diaforetici (cioè che
incrementano la sudorazione, tra questi il paracetamolo). Hanno tale
proprietà le sostanze antipiretiche ad azione centrale, in particolare l’acido
acetilsalicilico e gli altri salicilati e la pilocarpina (parasimpaticomimetico ).

quindi i farmaci per eccellenza che sono in grado di favorire la sudorazione sono appunto i
“parasimpatico-mimetici”.
Nel nostro organismo esistono due sistemi contrapposti, adrenergico e colinergico; quello
colinergico è connesso ad una vita sedentaria, alla maggiore rilassatezza, che tende a
predominare nel momento in cui mangiamo, nel momento in cui si sta tranquilli, e si
aumentano le secrezioni attraverso la stimolazione del sistema parasimpatico, aumenta la
salivazione, la lacrimazione, la sudorazione, cioè aumenta la liberazione dei liquidi dalle
strutture ghiandolari, e quindi se diamo una sostanza come la pilocarpina che è in grado di
stimolare i recettori del sistema parasimpatico a funzionare, si ottiene un aumento della
sudorazione che può essere contemporaneamente associato all’eliminazione di un farmaco
che io volevo far eliminare.
Quindi i farmaci diaforetici, con gli antipiretici come l’acido acetilsalicilico e il paracetamolo,
ma soprattutto i parasimpatico-mimetici, sono quelle sostanze che vengono utilizzate per
favorire l’escrezione di alcuni tipi di farmaci attraverso la sudorazione.

LATTE: la presenza dei farmaci nel latte materno è come già evidenziato da tener presente
perché si ripercuote sul lattante sia in senso terapeutico, in quanto si può somministrare alla
nutrice un farmaco utile a curare il bimbo, sia in senso tossicologico. Anche la possibile
presenza di farmaci nel latte di mucca può rappresentare un pericolo, somministrare ai bovini
grandi concentrazioni di antibiotico garantisce a chi fa allevamento piuttosto spinto in piccole
dimensioni di terreno, che questi animali non contraggano patologie e che non si contamino
gli uni con gli altri. Se pensate che questi animali hanno un costo e quindi non è possibile che
si sviluppi un focolaio di batteri tra di loro, molto spesso ci troviamo di fronte al fatto che a
questi animali si somministrano buone concentrazione di antibiotici, ad esempio la
penicillinaG come antibiotico β-lattamico. E’ stato ad esempio ipotizzato che fenomeni di
ipersensibilità alla penicillina possano essere causati dall’ingestione di latte proveniente da
mucche trattate con l’antibiotico. La penicillinaG viene facilmente eliminata attraverso il
tratto urinario, ma una parte va a finire anche a livello del latte, e quindi nel caso delle mucche
va a finire in quel latte che viene portato poi, successivamente alla fase di mungitura, sulle
nostre tavole. Per cui può capitare di assumere piccole concentrazioni, perché saranno quelle
residuali, di antibiotici non desiderati che provengono dall’alimentazione.

Quindi oltre al fatto che bisogna fare attenzione nel caso in cui non si vuole che il farmaco
giunga al bambino, si può anche utilizzarla a nostro favore, nel caso in cui si voglia
somministrare una piccola concentrazione di farmaco al lattante, e in quel caso il farmaco
viene somministrato alla mamma se siamo certi che verrà eliminato con grande
concentrazione attraverso il latte materno. Diventa semplicemente pericolo di trasmissione
del principio attivo, in una dose sicuramente ridotta perché sarà al netto di tutti fenomeni di
metabolizzazione e di distribuzione che avvengono nell’organismo della mamma. Quindi è una
via in cui si può somministrare il farmaco, oppure si deve temere, in senso tossicologico, la
presenza del farmaco che non è desiderata nel caso del lattante.

Per poter essere allergici ad una sostanza bisogna entrare in contatto con questa sostanza
almeno due volte nella vita; alla prima volta non può succedere assolutamente niente, perché
è necessario che si producano degli anticorpi nei confronti di questa sostanza riconosciuta
come non-self, e questa produzione richiede almeno 20-21 giorni per poter avvenire, di
conseguenza, di lì alla nuova somministrazione, che può essere pure il giorno dopo,
continuerà a non succedere niente, perché è necessario che siate entrati in contatto con la
sostanza almeno 3 settimane prima, per essere allergici. Ebbene può succedere che con certe
sostanze siamo entrati in contatto per colpa dell’alimentazione, cioè è possibile essere
allergici agli antibiotici β-lattamici, che sono una classe di farmaci che dà spinta farmaco-
allergia, perché li abbiamo già presi con il latte. Di conseguenza alla prima somministrazione,
mentre in teoria non dovrebbe succedere niente, vi procurate uno shock anafilattico o una
reazione piuttosto violenta nei confronti della somministrazione di queste sostanze.
In particolare è necessario essere allergici non solo alla penicillinaG, ma ad un complesso che
la penicillinaG forma all’interno del nostro organismo.

SALIVA e LACRIME: sono anch’esse vie di eliminazione generalmente trascurabili.

Si deve ora prendere in considerazione la fase farmacodinamica, cioè il momento in cui il


farmaco reagisce con il recettore, l’enzima, la macromolecola, per determinare l’effetto
biologico desiderato.

TOSSICITA’
Prima che il farmaco sia immesso nel ciclo degli studi di farmacologia clinica vengono
effettuati i saggi di tossicità. Questi saggi spesso partono da test in vitro su colture cellulari
allo scopo principale di esaminare gli effetti del farmaco su cellule in riproduzione e, quindi,
identificare potenziali effetti carcinogenici. Si passa poi in genere alla somministrazione del
farmaco in vivo ad animali da laboratorio (es. topi transgenici) per valutare le tossicità su
periodi più lunghi dell’ordine alcuni mesi, alla fine gli animali vengono sacrificati ed i loro
tessuti vengono analizzati per verificare la presenza di danni o di mutazioni cancerose.

Quindi, nella fase di ricerca e sviluppo dei farmaci, dove non solo si prendono in
considerazione i possibili fenomeni di farmacocinetica, ovvero dove andrà il farmaco, con
quale metabolismo, quali metaboliti si verranno a formare, in quanto tempo sarà soggetto ad
escrezione, ma si fanno anche una serie di test, prima in vitro e poi in vivo, per verificare che
la nuova entità chimica non sia tossica per l’organismo, quindi che il rapporto
beneficio/rischio associato alla sua somministrazione sia sempre a favore del beneficio, in
vista delle definizione di farmaco, con la quale intendiamo delle sostanze in grado di
determinare un beneficio o almeno quelle in cui questo rapporto è notevolmente spostato a
favore del beneficio. Quindi in farmacologia clinica si devono effettuare sempre dei saggi di
tossicità, che vengono effettuati dapprima in vitro, per poter esaminare tutti gli effetti sulle
cellule e individuare i possibili effetti di cancerogenesi e mutagenesi che si possono verificare,
e poi si passa a varie specie animali per iniziare a studiarne il comportamento a lungo
termine. Questo perché su una coltura cellulare si possono fare dei test di durata piuttosto
breve, al contrario su un animale in vivo è possibile fare un’esposizione per 3-4-6 mesi in cui il
farmaco sistematicamente viene somministrato all’animale, dopodiché purtroppo l’animale
viene sacrificato e tutti i suoi singoli tessuti vengono sottoposti ad una valutazione per
verificare che non ci siano state delle malformazioni, delle mutazioni all’interno dei singoli
apparati o delle singole strutture cellulari.

Fino a qualche tempo fa la misura principale della tossicità di un farmaco era data dalla DL50
(la dose necessaria per uccidere il 50 Dose Letale 50 % degli animali trattati) una misura
piuttosto rozza della reale tossicità in quanto non rende conto di effetti non letali o che si
presentano a lungo termine.
Questo faceva sì che grossolanamente si calcolasse una condizione, cioè la “dose letale 50”,
che però non si utilizza più come indice di tossicità di un farmaco, ma si preferisce calcolare la
distanza tra la dose efficace 99 e la dose tossica 1, questo intervallo di maneggevolezza del
farmaco o margine di sicurezza è sicuramente espressione della condizione oggi studiata
senza andare a sacrificare il 50% degli animali, che tra l’altro era anche una condizione
talvolta difficile da raggiungere, in quanto bisognava portare alle stelle la concentrazione di
una sostanza come unico scopo quello di far morire il 50% degli animali di un esperimento,
condizione sicuramente superata.

In vitro, prima di arrivare alla reale efficacia di queste sostanze, molto spesso per le molecole
si fa un test di mutagenesi prendendo in considerazione soltanto i test più semplici. Un
esempio è il test di Ames.

Test di Ames

Ideato da Bruce Ames nel 1973, è un test genetico per l'analisi della mutagenicità, viene
condotto su un ceppo modificato di salmonella, la Salmonella Typhimurium, alla quale manca
un enzima, cioè si prende questa coltura di salmonella che non è in grado da sola di produrre
istidina come aminoacido essenziale. Questa condizione di delezione che si viene a creare
andando a modificare il patrimonio genetico del ceppo di salmonella, può essere però
revertita dalla presenza di un mutageno, sostanza che induce variazioni nelle sequenze del
DNA. Quindi se una sostanza è in grado di alterare in maniera piuttosto spinta il DNA potrà
togliere questo blocco che era stato introdotto, e quindi il nostro ceppo che non era in grado di
sopravvivere in assenza di questo aminoacido essenziale, adesso continuerà a vivere, per cui
ci rendiamo conto che si tratta di una sostanza potenzialmente mutagenica. Il saggio si fa
contemporaneamente su due ceppi di salmonella in parallelo; si prende una coltura di
salmonella con la delezione, che la rende incapace di produrre istidina, e la si pone in un
mezzo di coltura in assenza di istidina, o almeno povero di istidina, tipo presente per i primi
3-4 giorni, e dopo incubazione con il un potenziale mutagene si va a verificare se c’è stata
crescita o meno, se c’è crescita è una sostanza sicuramente mutagenica e viceversa, se non c’è
crescita si tratta di una sostanza che non dovrebbe avere effetti mutagenici, perché potrebbe
essere un mutagene ma non essere in grado di revertire il blocco della produzione
dell’istidina.
Fino a quando non si è compreso che bisognava fare una serie di screening tossicologici prima
di mettere in commercio le nuove entità chimiche, si sono avuti tutta una serie di grossi
problemi nella storia dello sviluppo devi farmaci. La talidomide rappresenta un esempio
famoso, perché i farmaci che si utilizzavano per la terapia dell’insonnia, che inducevano un
sonno quanto più simile a quello fisiologico, definizione di ipnotico-sedativo, hanno visto
un’evoluzione nel corso degli anni.

Nel corso dello sviluppo della Talidomide, un farmaco che fu venduto negli anni '50 e '60 come sedativo,
anti-nausea e ipnotico, rivolto in particolar modo alle donne in gravidanza. Si trattava di un farmaco che
aveva un profilo rischi/benefici estremamente favorevole rispetto ai barbiturici. Venne ritirato dal
commercio alla fine del 1961, dopo essersi diffuso in 50 paesi poiché nessuno aveva preso in
considerazione la possibilità che un farmaco potesse condurre a deformità fetali (15.000 casi) e, quindi,
non esistevano saggi al riguardo.

All’inizio degli anni ’30 si utilizzavano delle molecole come l’etanolo, il cloralio idrato, un
analogo dell’etanolo che però dava un alito pestilenziale poiché si formavano delle aldeidi, ma
in condizioni più maneggevoli perché in polvere, e poi vennero fuori i barbiturici. I barbiturici
sono stati i farmaci che negli anni ’50 - ‘60 hanno dominato il mercato degli ipnotici-sedativi;
sono dati dalla condensazione dell’acido malonico sostituito con una molecola di urea, si
forma questa struttura anellare che è l’acido barbiturico sostituito che si poi si concentra a
livello, o meglio, oltre la barriera emato-encefalica dove interagisce con i canali del Cl e dà
luogo ad una iper-polarizzazione delle cellule, di conseguenza non si generano bene i
potenziali d’azione delle cellule, perché c’è un potenziale di riposo più basso, e quindi si ha un
effetto di tipo sedativo, o addirittura ipnotico se si innalzano le concentrazioni dei barbiturici.
I barbiturici però hanno un problema, in primo luogo, (l’abbiamo visto nel metabolismo), era
necessario incrementare la dose di volta in volta per mantenere lo stesso effetto ipnotico-
sedativo e questo comportava che bisognava innalzare le dosi in maniera indiscriminata, se
poi questo veniva protratto nel corso degli anni si poteva arrivare a delle dosi tossiche,
talmente tossiche che si può morire, soprattutto in miscela con alcool ci sono tanti che si sono
suicidati con i barbiturici, perché si blocca il centro del respiro, in quanto l’eccessiva iper-
polarizzazione che si viene a realizzare fa si che in quella sede non si generi più il potenziale
d’azione e si perde la stimolazione a respirare.
Dopo i barbiturici, ma prima delle benzodiazepine, che sono i farmaci oggi utilizzati che hanno
soppiantato tutti gli altri, è venuta fuori questa molecola che è il talidomide. Era stata
progettata soprattutto come sedativo, antinausea, ipnotico, e lo si dava alle donne in
gravidanza perché molto spesso proprio in gravidanza, forse l’ansia del cambiamento di vita,
forse le condizioni dovute alla crescita e allo sviluppo del bambino, portavano a questi due
fenomeni associati, non si dorme e si vomita notevolmente, di conseguenza una molecola che
potesse determinare un effetto di distensione era il massimo che si potesse ottenere. Ebbene
questa molecola ha fatto scandalo, ha fatto ricredere sulla possibilità che i farmaci potessero
effettivamente avere sempre un effetto benefico, perché sono venuti fuori oltre 15.000 casi,
soprattutto negli USA, dove si aveva la nascita di bambini focomelici, il nome deriva dalla foca
che non ha le braccia, quindi si aveva una malformazione dovuta ad una mutazione genetica
che portava a questo fenomeno. E’ chiaro quindi che in questo caso il rapporto tra il beneficio,
che è quello di dormire, e il rischio, che è quello di generare un figlio con problemi di sviluppo
agli arti, non era sicuramente a favore del beneficio, e quindi il farmaco è stato ritirato dal
commercio con grande scandalo.
Ci sono oggi al Ministero della Salute delle procedure che mirano a rivalutare questa molecola,
perché questa molecola nell’uomo funziona, quindi perché bandirla da una possibile
commercializzazione? Non va bene nelle donne, soprattutto se in gravidanza, ma nell’uomo va
benissimo, potrebbe avere degli effetti benefici, ed inoltre si è scoperto che potenzialmente è
in grado di interferire con lo sviluppo del micobatterio della lebbra, allora la si sta rivalutando
come un possibile farmaco antilebbrotico, ma utilizzato solamente in quelle condizioni in cui
viene presentato un certificato che non si è in gravidanza, perché in quel caso il rapporto del
rischio/beneficio va a spostarsi a sfavore del beneficio.

Presenza di impurezze
Altra cosa da considerare quando si sviluppa una nuova identità chimica è il processo
sintetico con il quale la si è ottenuta, cioè non basta, quando si va a registrare un farmaco
nuovo dimostrare che quel farmaco non è tossico, che ha un elevato profilo di sicurezza, sono
stati fatti tutti gli studi in vitro, in vivo sugli animali e gli studi clinici sull’uomo, ma bisogna
registrare anche il processo sintetico con il quale si ottiene quella molecola, perché non
sempre, per arrivare ad una determinata entità chimica, si passa per gli stessi step di sintesi.
Infatti si può arrivare ad una stessa molecola con una strategia di sintesi più breve o più lunga,
ma le impurezze che vengono fuori nel processo sintetico saranno diverse, e siccome le specie
che vengono commercializzate non sono mai pure al 100%, ma avranno sempre una
piccolissima concentrazione di impurezze, in alcuni casi pari all’1-2%, bisogna dimostrare a
chi autorizza l’immissione in commercio che pure le impurezze non sono caratterizzati da
questi fenomeni di tossicità, per cui è necessario presentare in quel dossier, che nel caso di un
generico è quanto più piccolo possibile, ma nel caso di una nuova identità chimica è quanto
più grande possibile, tutta una documentazione che dimostra che, a livello industriale, anche
le impurezze nel farmaco e i metaboliti che derivano dalle impurezze non sono tossici.

Per cui alla fine si può arrivare a scoprire che un’entità chimica è molto valida ma, per poter
arrivare alla sua registrazione, bisogna fare un processo di sintesi talmente vasto, che decade
il beneficio economico e in quel caso il farmaco non entra in commercio, perché poi a tutto
questo è sempre sotteso un discorso economico. Ci sono grossi filoni di ricerca in patologie
dove c’è una potenziale redditività e non c’è per niente ricerca in tutto il mondo nei confronti
di patologia dove ci sono pochi pazienti, sono quelle patologie devo si parla di farmaci orfani,
dove determinate condizioni sono presenti in una persona su un milione, in quel caso non c’è
interesse da parte dell’industria farmaceutica allo sviluppo di una nuova molecola, perché ci
saranno costi che non saranno compensati dall’immissione del farmaco in commercio, che
vedrà venduti pochi pezzi. Al contrario invece, quando si è diffusa una patologia che poteva
potenzialmente mettere a repentaglio l’intera popolazione mondiale come l’AIDS,
contemporaneamente si è avviata una fase di ricerca e di sviluppo tale che oggi si cono almeno
40-50 farmaci efficaci contro il virus dell’HIV, patologia alla quale oggi si sopravvive (male),
un certo numero di anni ma non si muore. Questo a dimostrazione del fatto che c’è ricerca
solamente dove c’è una potenziale redditività. H1N1 se si fosse sviluppata in tutto e per tutto,
si sarebbe trovato il vaccino, perché interessava la popolazione più industrializzata, e quindi
immediatamente si sarebbe concentrata la potenza di ricerca, a meno che non ci distrugge in
un tempo così breve da non poter avviare in tempi ragionevoli una fase di ricerca.
Detto questo, bisogna ricordare che ci sono delle molecole che non sono tossiche e restano
non tossiche, ma ci sono anche molecole non tossiche che diventano tossiche e addirittura il
contrario, che molecole tossiche grazie al metabolismo diventano molecole non tossiche.
Molte sostanze chimiche sono tossiche non come tali ma dopo metabolizzazione

Carcinogenesi chimica

1) La maggior parte delle sostanze cancerogene (80-90 %) sono inattive, ad esempio gli
idrocarburi policiclici aromatici quali: il benzopirene, le nitrosoammine e le ammine
aromatiche.
2) Tali sostanze entrano nell’organismo attraverso: la via orale, la pelle, i polmoni, etc. Vi
entrano sotto forma di: contaminanti nei cibi, nell’acqua, nell’aria e nelle polveri, di costituenti
del fumo, di prodotti chimici in usi diversi.
3) Esse sono metabolizzate a composti estremamente reattivi.
4) Parte delle molecole così prodotte sono detossificate attraverso le principali vie
metaboliche.
5) Le molecole che riescono ad evitare tale detossificazione reagiscono con le più importanti
macromolecole biologiche (acidi nucleici).
6) Queste sono le fasi iniziali della carcinogenesi chimica.

Alcuni potenziali gruppi tossicofori


• Anelli aromatici ossidati a epossidi e chinoni
• Gruppi alchilici polialogenati ridotti a radicali
• Ammine primarie aromatiche ossidate a specie reattive Nossigenate e ioni nitrenio
• Nitrocomposti aromatici ridotti a specie reattive N-ossigenate e ioni nitrenio
• Tioli ossidati a disolfuri misti
• Acidi carbossilici che formano derivati acil-glucuronidi reattivi
• Acidi carbossilici che formano composti coniugati con il Coenzima A e successivamente
residui lipofili

Esempio: tossicità di toluene e benzene


 La tossicità acuta del benzene e del toluene è comparabile
 La tossicità cronica dei due solventi è estremamente differente a causa del loro
differente metabolismo
Lento metabolismo che porta alla formazione di metaboliti
altamente tossici che causano leucemia. La benzina senza piombo ad
alto numero di ottani (98) contiene:
• benzene 1-2 %
• toluene + xilene + etilbenzene 10-20 %
L’incidenza di leucemia nella popolazione cresce all’aumentare dei
livelli di benzene nell’aria

Quindi i derivati del benzene e del toluene, che in teorie sono delle molecole entrambe
estremamente tossiche e cancerogene, ma che presentano un profilo metabolico
estremamente diverso, tanto da far sì che il toluene, che ha soppiantato il benzene in tutto e
per tutto, è una molecola tossica ma che nel nostro organismo viene convertita molto
rapidamente in una specie non tossica, cosa che col benzene non succede, e quindi la
cancerogenicità è molto elevata nel caso del benzene che a lento metabolismo produce
metaboliti tossici che conducono alla leucemia. Anche nelle benzine si ha una sostituzione che
dal benzene porta ai derivati del toluene, che è il metil-benzene, oppure allo xilene, che è il
dimetil-benzene, dove questa reazione di metabolizzazione avviene in maniera più spinta e
porta alla formazione di derivati meno tossici. Perché il toluene è meno tossico del benzene?
Se vediamo il toluene, quali reazioni di metabolizzazione ci possiamo aspettare all’interno del
nostro organismo?

Abbiamo detto che la reazione più diffusa che può avvenire è quella operata dai citocromi a
livello epatico, la reazione di ossidazione, soprattutto a livello della posizione benzilica, della

reazione da parte del citocromo P450. Quindi poiché il toluene ha un metile, il citocromo
P450, in particolare la sottofamiglia 2E1, è in grado di convertire il toluene in questo derivato
alcolico, che è l’alcol benizilico, il quale diventa poi oggetto di una deidrogenasi, come gli altri
alcoli, diventando aldeide (benzaldeide), 1° grado di ossidazione, poi acido carbossilico (acido
benzoico), 2° grado di ossidazione, ed infine l’acido benzoico viene sottoposto a coniugazione
con la glicina (acido ippurico) e viene eliminato in maniera molto spinta, per oltre l’80% della
dose, quindi ci rendiamo conto che la potenziale cancerogenicità del benzene e del toluene
non è la stessa, perché queste reazioni che abbiamo visto per il benzene non possono
succedere, l’unica cosa che tende a succedere, dopo un certo tempo, è un’epossidazione, e
l’epossido è molto reattivo, tant’è vero che è molto simile a ciò che avviene nel caso del
benzoapirene, che in pratica è una struttura con anelli aromatici fortemente condensati, e non
si formano immediatamente metaboliti più polari, ma l’unica possibilità era che si venisse a
formare un epossido in posizione 7-8, che si poteva poi andare ad aprire formando il diolo,
che però si andava nuovamente ad epossidare in quest’altra posizione, portando quindi alla
, che
può indurre reazioni di alchilazione del DNA, mutazioni genetiche, quindi può essere
responsabile del fenomeno di cancerogenesi.

Attivazione metabolica stereoselettiva del benzopirene:

Questa situazione può interessare tutti farmaci, in quanto di possibili cancerogeni chimici ce
ne sono un sacco; in seguito alle reazioni che avvengono all’interno del nostro organismo, una
parte di molecole per detossificazione evitano problemi, ma un’altra parte come quelli con gli
anelli aromatici che vengono trasformati in epossidi o in chinoni, molto reattivi, i gruppi
alchilici poli-alogenati che possono dare dei radicali, le ammine primarie aromatiche che
possono dare uno ione nitrenio per reazione di solfatazione, come avviene anche nel
metabolismo delle ammine, dove dal metabolita ottenuto per solfatazione, essendo poco
stabile si stacca lo ione solfato e si forma lo ione nitrenio con carica positiva sull’azoto che
agisce da alchilante inducendo una modifica sull’azoto in posizione 7 della guanina. Ancora i
nitro-composti aromatici, che sono simili alle ammine aromatiche, perché dal composto nitro
si forma rapidamente l’ammina primaria aromatica, la quale viene sottoposta a solfatazione e
si forma lo ione nitrenio, cancerogeno chimico.
FARMACODINAMICA

Fase in cui il farmaco esplica la sua reale attività terapeutica nei confronti del suo bersaglio,
ovvero quella fase in cui il farmaco opera il suo meccanismo d’azione. Esistono dei farmaci che
hanno un’attività di tipo aspecifico e specifico:
Aspecifica→ capaci di interagire con una serie di bersagli ubiquitari nel nostro organismo,
semplicemente grazie alle loro caratteristiche di lipofilia e idrofilia, e non c’è un vero e
proprio riconoscimento tra il farmaco e la struttura enzimatica o recettoriale con la quale il
farmaco va a legarsi. Quindi il farmaco non possiede necessariamente dei requisiti strutturali,
stereochimici, configurazionali, conformazionali, etc… es. Gli ANESTETICI GENERALI non
hanno caratteristiche strutturali che li accomunano ma è il complesso delle loro proprietà
chimico-fisiche che determina la perturbazione delle membrane biologiche inducendo la
risposta finale rappresentata dall’anestesia.
Specifica→ Il farmaco possiede precisi requisiti strutturali che lo rendono in grado di stabilire
delle interazioni specifiche con un determinato target biologico. Es. gli ANTIBIOTICI β-
LATTAMICI esplicano la loro azione battericida solo in virtù della presenza di determinate
caratteristiche strutturali che sono presenti in tutte le molecole di questa classe di farmaci.

Gli anestetici generali entrano nel nostro organismo per via inalatoria perché molto spesso
sono dei gas e, siccome hanno un bilancio lipofilo/idrofilo particolare, si mettono all’interno
della membrana plasmatica e la depolarizzano, poiché la destabilizzano fisicamente, in quanto
non è un meccanismo di tipo chimico, ma un meccanismo di tipo fisico quello effettuato dal
farmaco, che avverrà su tutte le cellule in maniera generale, tant’è vero che vengono definiti
anestetici generali. Lo stesso meccanismo lo opera l’etanolo, il quale in maniera spiccata tende
a penetrare nella barriera emato-encefalica, e ne vediamo gli effetti, ma su tutte le cellule, non
solo su quelle dell’encefalo, l’etanolo è in grado di localizzarsi dove stanno i fosfolipidi di
membrana, dotati di testa lipofila e coda idrofila. La struttura dell’etanolo è CH 3CH2OH, l’OH è
polare e la coda è lipofila, quindi l’etanolo entra nelle membrane e occupa spazio tra i
fosfolipidi destabilizzandoli, alterando la permeabilità della membrana, facendo sì che ci
possa essere un fenomeno di eccitazione o di iperpolarizzazione a seconda di quali ioni
possano essere favoriti nel passaggio: se passano più facilmente gli ioni Na2+ dall’esterno
verso l’interno avremo un fenomeno di eccitazione, al contrario se aumenta l’ingresso di ioni
Cl- si ha un fenomeno di iperpolarizzazione, e da questo derivano gli effetti completamente
aspecifici di questi farmaci. Ma normalmente invece, i farmaci sono caratterizzati da precisi
requisiti strutturali che fanno sì che ci sia un determinato bersaglio nei confronti del quale
sono stati programmati. E’ possibile infatti la progettazione di molecole che saranno
specificamente in grado di interagire con quella controparte proteica o macromolecolare, che
poi non è nient’altro che il target biologico che vogliamo raggiungere ad elevate
concentrazioni. Un esempio sono gli antibiotici β-lattamici che sono in grado di interagire
solamente con una struttura che posseggono i batteri, quindi nel nostro organismo non
determinano degli effetti tossici, ma li determinano solo in maniera molto spinta a livello della
struttura della cellula batterica, nella quale impediscono la formazione della parete e quindi
impediscono la divisione cellulare e la progressione della patologia di tipo infettivo.

Quali sono questi target che possono essere individuati come bersaglio dai nostri farmaci?
Vengono individuati con il nome generale di recettori, poi nell’ambito dei recettori ci possono
essere bersagli che sono realmente proteine di membrana, in quanto il recettore lo
immaginiamo come una struttura localizzata sulla superficie della membrana cellulare, alla
quale il farmaco può arrivare e può legarsi con un meccanismo che viene individuato con
un’analogia, quello della chiave con la serratura. Ma al di là delle proteine di membrana, ci
sono anche dei recettori citoplasmatici che sono localizzati all’interno del citosol delle cellule,
anche in questo caso il farmaco deve essere in grado di superare la membrana plasmatica per
potervi interagire, ci sono poi gli enzimi che sono localizzati in determinati distretti e che
normalmente catalizzano una reazione fisiologica che con i farmaci possiamo modulare, in
modo tale da riportare la condizione della patologia in una condizione di fisiologia.
In ultimo ci sono le macromolecole, DNA, RNA, che possono essere bersaglio dei farmaci, tipo
quelli antitumorali che agiscono sulle cellule in elevata replicazione, sono ciclo-specifici, e
fanno si che ci sia una riduzione dei fenomeni di divisione cellulare e quindi il loro bersaglio è
il materiale genetico contenuto all’interno delle cellule.
L'esistenza di recettori venne per la prima volta 1899 ipotizzata da Paul Ehrlich (1854-1915
Polonia) che stabilì, «i parassiti vengono uccisi solo da quelle sostanze per le quali hanno una
certa affinità, possono cioè legarsi... (e) le tossine esplicano la loro tossicità sulle cellule
perché si legano a componenti specifici che io ho caratterizzato come recettori».
Si rese conto che c’era un’interazione covalente in alcuni casi, legami ionici, forze deboli ad
idrogeno, forze di Van der Waals, che erano sottese all’efficacia di determinate molecole nei
confronti di determinati target biologici.
Oggi i recettori vengono classificati in 3 grandi famiglie:

Primo target che prendiamo in considerazione sono gli enzimi, che sono delle strutture
proteiche localizzate nel nostro organismo, che hanno quindi una sequenza primaria, una
struttura secondaria ed una struttura terziaria che sono in grado di accelerare delle reazioni,
senza la loro presenza determinate reazioni non potrebbero avvenire all’interno del nostro
organismo.

Sono quindi dei catalizzatori e, come ogni buon catalizzatore, non partecipano direttamente al
fenomeno chimico, ma fanno solo abbassare l’energia di attivazione della reazione che deve
avvenire. Qualsiasi reazione parte da una condizione di partenza in cui c’è l’enzima e il
substrato e si deve venire a formare un complesso ad elevata energia dal quale poi si potrà
avere la formazione dei prodotti di reazione, molto spesso
caratterizzati da un’energia libera più bassa, e la condizione
chiave per far avvenire questa reazione è il raggiungimento di
questo picco di energia di attivazione. Gli enzimi non fanno
altro che abbassare questo tetto di energia a cui bisogna
arrivare favorendo l’incontro tra i reagenti, forniscono infatti
una superficie all’interno della quale far avvenire la reazione.
Se due sostanze si devono legare ed entrano entrambe,
perché ne sono attratte, in una determinata cavità, ad
esempio per la presenza di gruppi idrofili sulla molecola e
all’interno della tasca enzimatica, andandosi ad accomodare
all’interno del sito catalitico dell’enzima ne risulta favorito il loro incontro, o meglio gli enzimi
dispongono i reagenti nella posizione giusta per poter far avvenire la reazione, per
raggiungere quello stato di transizione, dopodiché si indeboliscono i legami e si formano i
prodotti di reazione.
In definitiva, gli enzimi hanno la funzione di catalizzare le reazioni cellulari, che in loro
assenza sarebbero troppo lente per essere utili. Un catalizzatore non influenza l’equilibrio di
una reazione, ma soltanto la sua velocità, stabilizzando lo stato di transizione e riducendo,
quindi l’energia di attivazione.
I fattori mediante i quali gli ENZIMI contribuiscono a questo effetto sono i seguenti:
• i catalizzatori forniscono una superficie di reazione o un ambiente in cui la reazione può
avvenire;
• favoriscono l’incontro dei reagenti;
• dispongono i reagenti nella posizione migliore per realizzare lo stato di transizione;
• indeboliscono i legami esistenti tra le diverse specie;
• partecipano al meccanismo di reazione.

Gli inibitori enzimatici possono essere:


• reversibili
• irreversibili
Gli inibitori reversibili possono essere a loro volta classificati come:
• competitivi
• non-competitivi
Gli inibitori irreversibili, invece, possono essere classificati come:
• non specifici
• diretti al sito attivo
• con meccanismo “suicida”

I farmaci possono essere allora degli inibitori enzimatici, che possono essere reversibili o
irreversibili. Un inibitore irreversibile si lega covalentemente alla tasca enzimatica e in questo
modo rende non più utilizzabile il sito catalitico dell’enzima. L’enzima per essere nuovamente
presente all’interno del nostro organismo deve essere distrutto attraverso il catabolismo delle
proteine e nuovamente sintetizzato dal nostro organismo; tutto questo richiede dei tempi, ci
vogliono più o meno 2 settimane per ripristinare il pool enzimatico e risintetizzare nuove
proteine all’intermo nel nostro organismo. Questa quindi è una condizione che si viene a
creare quando si ha la formazione di un legame chimico non più scindibile. Al contrario
invece, gli inibitori reversibili sono quelli che vengono ad occupare il posto del substrato, nei
confronti del quale instaurano una competizione per essere localizzati molto spesso
all’interno del sito catalitico dell’enzima. Per cui possiamo identificare degli inibitori
reversibili di tipo competitivo, ovvero delle molecole che somigliano al substrato che
dovrebbe essere accomodato nella tasca del sito catalitico e che, grazie al fatto che
posseggono più o meno le stesse caratteristiche chimiche, vengono scambiati dall’enzima per
il substrato naturale, l’enzima lo accoglie all’interno del sito catalitico ma la reazione non può
avvenire perché ovviamente non si tratta del substrato che deve essere legato. In questo
modo l’enzima viene tenuto occupato per un certo tempo e si ottengono degli effetti biologici
dovuti a questa occupazione. Oltre a questa condizione esistono gli inibitori reversibili non
competitivi, dove il legame che si viene a formare è un legame debole, cioè un legame di tipo
elettrostatico o ad idrogeno o di Van der Waals, ma che non interessa il sito catalitico
dell’enzima, cioè la tasca nella quale la reazione deve avvenire, ma un sito diverso che prende
il nome di sito allosterico. In questo modo attraverso il legame al sito allosterico si influenza il
sito catalitico dell’enzima. Gli inibitori irreversibili, che si legano in maniera covalente,
possono essere aspecifici, per cui non sono buoni farmaci; esistono delle sostanze che si
legano covalentemente a tutto quello che c’è nel nostro organismo, ma sono più sostanze a
carattere tossico che sostanze dotate di efficiente profilo terapeutico, oppure possono essere
diretti al sito attivo o possono avere un meccanismo suicida.

Inibitori enzimatici reversibili con un meccanismo di tipo competitivo


Possono essere ad esempio i Sulfamidici. Essi sono una classe di chemioterapici, cioè di
antibiotici di sintesi chimica, ed agiscono bloccando la sintesi dell’acido folico. Vediamo a
questo punto come avviene la sintesi dell’acido folico nei batteri e come avviene invece nel
nostro organismo, poiché avendo come target questo tipo di razione, ovviamente i due
meccanismi avverranno in maniera differente nei batteri e nell’uomo, in quanto i sulfamidici,
come i β-lattamici, sono dotati di una tossicità selettiva nei confronti dei batteri, cioè sono in
grado di influenzare una tappa enzimatica di cui sono dotati i batteri e che noi non
possediamo. La differenza nella sintesi dell’acido folico tra l’uomo e i microrganismi sta nel
fatto che noi assumiamo acido diidro- o tetraidro-folico con la dieta, l’alimentazione e non ce
lo produciamo da soli, invece i batteri che non potrebbero assumerlo con l’alimentazione
esterna, hanno un intero processo sintetico che porta alla formazione dell’acido tetraidro-
folico. L’acido folico trasporta unità monocarboniose, tipo metili, metileni, che sono
importanti per la formazione dei nuclei ad esempio dell’eme, dotati di ponti metilenici,
importanti per la formazione delle basi del DNA, dove la disponibilità di queste unità
metileniche è fondamentale per la vita, infatti non avere acido folico significa non poter
produrre una nuova cellula, e significa quindi che la resistenza dei batteri nel nostro
organismo cessa di esistere.
L’inibizione competitiva si verifica quando substrato e inibitore competono entrambi per il
sito attivo dell’enzima.

La sintesi dell’acido folico nei batteri parte dalla diidropteridina, alla quale viene legato
l’acido para-aminobenzoico su questo gruppo ossidrilico tramite un enzima che si chiama
diidropteroato sintetasi e si forma l’acido diidropteroico. (schema di sintesi che dobbiamo
sapere molto bene). Michele precisa che lo schema di sintesi sta specificato bene nella lezioni dei sulfamidici.
L’acido diidropteroico reagisce poi con l’acido glutammico formando una struttura che
prende il nome di acido diidrofolico, e poi per riduzione di questo doppio legame da
diidrofolico si forma il tetraidrofolico, ricordiamo che al diidrofolico manca un doppio
legame e al tetraidro ne mancano due a quest’anello. Dove agiscono i sulfamidici? Se
prendiamo in considerazione la loro struttura generale, la sulfanilammide, quella che viene
fuori dalla riduzione del Prontosil rosso, è costituita dal benzene con un NH 2 da un lato ed un
SO2NH2 dall’altro, in pratica sono delle solfonammidi con anello aromatico e gruppo
amminico. Se la si confronta con l’acido para-aminobenzoico ci si rende conto che c’è l’anello
aromatico in entrambi, l’NH2 è lo stesso, poi lì dove c’è una carica negativa c’è il gruppo
solfonamidico che in realtà può perdere un H+, in quanto se dalla SO2NH2 si libera H+ e si
forma una carica negativa, la carica negativa che si formerebbe sul gruppo amminico si può
delocalizzare sugli S doppio legame O, di conseguenza la molecola da un punto di vista delle
cariche, di ingombro sterico, delle distanze interatomiche, è sovrapponibile all’acido para-
aminobenzoico, e se somministrata, il batterio la riconosce come acido para-aminobenzoico,
la ingloba molto bene nel suo processo biochimico e la diidropteroato sintetasi viene bloccata
reversibilmente, perché il sulfamidico entra in competizione con l’acido para-aminobenzoico.
Di conseguenza se si da una grande concentrazione di sulfamidico non si formerà l’acido folico
e si avrà l’impossibilità della cellula batterica di replicarsi. Ad un certo punto subentra pure il
nostro sistema immunitario se io fermo la replicazione nei batteri e il fenomeno dei focolai
batterici che si generano nell’organismo vengono completamente radicati.
Questo è il meccanismo d’azione dei sulfamidici che abbiamo preso come modello solo per
dire che esistono degli inibitori enzimatici di tipo reversibile e competitivo, perché si instaura
una competizione tra l’acido para-aminobenzoico e i sulfamidici.

Inibitori enzimatici reversibili con un meccanismo di tipo non competitivo


Inibitori enzimatici invece reversibili non competitivi sono quelle molecole che non
interagiscono con il sito catalitico dell’enzima ma si legano su un sito allosterico, ovvero che
sta in una posizione diversa della struttura proteica dell’enzima. Il legame causa uno shift
nella conformazione dell’enzima, che determina una riduzione dell’efficienza catalitica, cioè
una volta che vi si lega induce un riarrangiamento della struttura enzimatica, ne altera la sua
struttura tridimensionale, e questa alterazione interessa anche la tasca del sito attivo dove
quello che ci doveva entrare, cioè il substrato, non ci entra più bene, di conseguenza, per tutto
il tempo in cui esiste l’inibitore allosterico, cioè rimane legato, non si avrà la catalisi di quella
reazione enzimatica. Quindi siamo di fronte ad un farmaco che non entra in competizione,
cosa molto positiva, in quanto, riguardo ad esempio i sulfamidici, i batteri ad oggi li riescono a
distinguere dall’acido para-aminobenzoico, per cui hanno una scarsa efficacia terapeutica, in
quanto i batteri innalzano la produzione di acido para-aminobenzocio vincendo la
competizione. Questa qua invece non è una competizione, perché semplicemente il farmaco
lega un sito diverso che cambia la geometria del sito catalitico e quindi fa si che ci sia una
ridotta efficacia dell’enzima.
Gli inibitori enzimatici di tipo irreversibile
Gli inibitori enzimatici irreversibili sono in grado di legarsi in maniera permanente al sito
attivo di un enzima. Questi si comportano come non competitivi, cioè si legano
covalentemente all’enzima e si può innalzare la concentrazione del substrato endogeno
quanto si vuole, senza mai vincere la competizione nei confronti di una struttura legata
covalentemente. Tipicamente essi agiscono formando un legame covalente tra il farmaco e
l’enzima. Sono dei legami molto stabili, dei legami forti non scindibili e che quindi non sono
sormontabili attraverso l’innalzamento del substrato endogeno. Gli inibitori irreversibili
possono essere classificati come:

•non specifici
•diretti al sito attivo
•con meccanismo “suicida”

Possono quindi essere aspecifici e non sono buoni farmaci, oppure possono essere diretti al
sito catalitico o con meccanismo suicida.

Inibitori enzimatici irreversibili diretti al sito catalitico


Tra quelli diretti al sito attivo possiamo prendere come esempio gli antibiotici β-lattamici,
riportata qua in rosso c’è la struttura delle penicilline, quella in blu la struttura generale delle
cefalosporine.

La differenza è solamente l’anello che accompagna la struttura β-lattamica; “β” perché


interessa il carbonio carbonilico immediatamente adiacente al carbonio α, e “lattame” invece
perché è un’ammide ciclica, che s
Quello che cambia quindi è il nucleo accessorio, che in questo caso
-lattamici), mentre nell’altro è un anello diidrotiazinico
(cefalosporine), ma di questo ne parleremo più avanti.
Gli inibitori irreversibili diretti al sito attivo danno inizialmente un’interazione specifica, non
covalente con il loro sito di binding, e in un secondo momento, in virtù della disposizione
favorevole di gruppi reattivi all’interno del sito attivo, lo alchilano/acilano/fosforilano
permanentemente (es., penicilline).
Sono inibitori irreversibili diretti al sito catalitico, diretti contro i microrganismi, hanno una
grande selettività d’azione, perché agiscono ancora una volta su un enzima di cui il batterio è
dotato e noi no, sono quindi associati ad una tossicità selettiva grazie alla quale noi non ne
subiamo gli effetti. Una volta all’interno del sito attivo lo vanno ad occupare con la formazione
di un legame covalente. Dove agiscono i β-lattamici? Agiscono nella sintesi della parete
cellulare dei microrganismi. I batteri oltre alla membrana plasmatica hanno una struttura
esterna, che può essere più o meno spessa a seconda dei germi Gram+ o Gram-, costituita da
una struttura che prende il nome di peptidoglicano, dotato quindi di un’unità amminoacidica
come un peptide e da glucidi, cioè da strutture zuccherine. In particolare chimicamente il
peptidoglicano è fatto da acido N-acetil muramico e da N-acetil glucosammina, quindi una
parte glucidica alla quale vengono legate delle sequenze, delle strutture di tipo
amminoacidico. Una parte di questa struttura, detta Nucleotide di Park, è costituita da un
pentamero di glicine, una pentaglicina, che si va a legare alla porzione terminale della
sequenza lineare D-Alanina D-Alanina, in modo tale da formare dei legami crociati che sono
quelli che, come una maglia di un cancello, tendono a rendere più stabile queste strutture. La
parete cellulare è molto rigida se si formano questi legami crociati tra le strutture di
pentaglicina e il dimero D-ala D-ala, se non si formano questi legami la struttura è molto lassa.
Chi opera questa reazione tra glicina e D-ala? La opera un enzima, la transpeptidasi, che ha il
ruolo di far avvenire questi legami cross-linked. E’ caratterizzata da un residuo di serina
all’interno del suo sito catalitico in modo da far accomodare prima il dimero D-ala D-ala, si
lega a questo dimero allontanando una delle due D-ala ma lascia legata alla sua struttura la
prima parte con una sola D-ala, l’altra è il gruppo uscente; arriva il pentamero di glicina e si
lega lui alla struttura con la D-ala e l’enzima viene ripristinato nella sua struttura iniziale.
Questa è la catalisi operata dalla transpeptidasi, che con il suo OH serinico forma un
intermedio ad elevata energia in cui è legata alla struttura della D-ala e dopo l’arrivo della
pentaglicina si formerà il legame crociato.

Gli antibiotici β-lattamici entrano all’interno del sito catalitico della transpeptidasi e vengono
riconosciuti come se si trattasse della struttura D-ala D-ala, infatti il loro vantaggio è quello di
somigliare proprio al dimero D-ala D-ala, in questo modo vengono riconosciuti ed entrano
all’interno del sito catalitico poiché l’enzima si confonde. Una volta che entra si lega e,
pensando di trovare un legame peptidico, quello che congiunge le due D-ala, e quindi ci si lega:
l’ossidrile porta l’attacco e l’anello β-lattamico è molto tensionato, perché un anello con angoli
di legame di 90° tende ad aprirsi, di conseguenza l’OH porta l’attacco, il doppio legame sale
sopra, si forma la carica negativa, poi torna indietro perché si stacca il legame con l’ammide.

Il meccanismo di azione ipotizzato è che la transpeptidasi apra l’anello G-lattamico dell’antibiotico e ne sia bloccata irreversibilmente in quanto
nè le catene pentagliciniche nè le molecole d’acqua sono più in grado di scindere il legame estereo creatosi sull’ossidrile del sito attivo.
Quello che si ottiene è un’acilazione del sito catalitico della transpeptidasi, con la formazione
di un legame covalente. Questo è un inibitore irreversibile diretto al sito catalitico dell’enzima,
si è andato a legare covalentemente e a questo punto potranno arrivare tutti i pentameri di
glicina che volete ma non cambierà niente, in quanto non è una questione di concentrazione
ma di un’occupazione irreversibile del sito catalitico. Per poter far avvenire nuovamente
questa reazione sarebbe necessario distruggere completamente tutto il pool delle
transpeptidasi e risintetizzarlo da capo da parte dei batteri, e mentre i batteri fanno tutto
questo non saranno in grado di formare nuova parete cellulare ed il risultato della mancanza
della parete cellulare è la morte per lisi osmotica, perché ci sarà efflusso di liquidi eccessivo.
Questa alterata permeabilità di membrana fa si che i germi muoiono e quindi sono dei farmaci
battericidi per lisi osmotica, mentre i sulfamidici sono solo dei batteriostatici, si ferma la
replicazione del batterio e poi interviene il sistema immunitario per eradicare completamente
l’infezione batterica.

E’ stato proposto in realtà anche un altro meccanismo degli antibiotici β-lattamici, cioè quello
in cui non sarebbe direttamente il sito catalitico ad essere oggetto del legame irreversibile, ma
sarebbe un sito immediatamente adiacente, in cui sarebbe interessato un altro gruppo
ossidrilico che non sta proprio perfettamente all’interno della tasca enzimatica, il meccanismo
di catalisi sarebbe lo stesso, cioè l’OH porta l’attacco, si apre il legame ammidico e la molecola
rimarrebbe comunque acilata creando semplicemente un effetto a ombrello, un ingombro
sterico che impedirebbe l’accesso al sito catalitico.

In realtà è più probabile il primo meccanismo, perché è stato dimostrato effettivamente quale
residuo di OH serinico viene interessato dal legame con i β-lattamici, fermo restando che o si
tratta del primo o del secondo meccanismo, si ha la formazione di un legame covalente. Si
tratta di un inibitore non competitivo del sito catalitico, o delle adiacenze del sito catalitico,
della transpeptidasi.

Inibitori enzimatici con meccanismo suicida


Anche questi inibitori legano in modo covalente il proprio enzima bersaglio. La differenza
rispetto ai precedenti è che il gruppo elettrofilo reattivo è mascherato all’interno della
struttura, e viene generato proprio ad opera dell’enzima stesso, che successivamente ne viene
alchilato e quindi inattivato permanentemente. Poiché la forma nativa del farmaco non è
reattiva, viene eliminata ogni possibilità di alchilazioni non specifiche al di fuori del sito attivo.

Un modo per evitare l’inattivazione degli antibiotici a


struttura β- lattamica ad opera delle β lattamasi batteriche è
quello di cosomministrare un inibitore delle β- lattamasi,
come nel caso dell’associazione amoxicillina + acido
clavulanico (Augmentin®).
Inizialmente microrganismi erano molto sensibili ai β-
lattamici, poi però l’evoluzione tende a selezionare meccanismi di difesa di tutti gli organismi,
cioè la continua esposizione a β-lattamici ha fatto si che alcuni iniziassero a difendersi dalla
presenza delle penicilline e delle cefalosporine, sono infatti in grado di secernere all’esterno
della loro struttura, quindi subito fuori alla parete cellulare, delle sostanze che si chiamano β-
lattamasi. Sono in pratica una struttura proteica tridimensionale che emula un po’ il sito
catalitico, quindi nel suo arrivo il β-lattamico si ferma fuori perché vede la β-lattamasi, pensa
che si tratti del sito catalitico, ci entra dentro e si lega covalentemente e quindi tutta la dose di
β-lattamici andata a somministrare viene sprecata, perché non entra all’interno del batterio.
Scoperto questo meccanismo di difesa dei batteri, la ricerca è andata a vanti e oggi non si
somministrano più i β-lattamici da soli, ma in associazione con una sostanza accessoria,
esempio l’amoxicillina con l’acido clavulanico, che è un inibitore enzimatico per suicidio delle
β-lattamasi. E’ lui che in grande quantità e con grande capacità si andrà a legare ed occupare
le β-lattamasi, in modo che i β-lattamici non vengono più sequestrati, entrano bene all’interno
del batterio e possono legare le transpeptidasi continuando ad esplicare il loro meccanismo
d’azione.

E’ una sorta di guerra, i chimici farmaceutici trovavano il meccanismo terapeutico e i batteri si


difendevano, ed è per questo che è stata introdotta quest’altra classe di farmaci, di inibitori per
suicidio, che consentono ancora di funzionare al farmaco col quale vengono associati.
L’associazione amoxicillina-acido clavulanico è a dose fissa, 850 mg dell’uno e 150 dell’altro che
porta la dose ad 1g, che sta nell’Augumentin.

La differenza rispetto ai precedenti è che il gruppo che si viene a scindere è mascherato


all’interno della struttura dell’acido clavulanico e non agisce immediatamente, viene prima
attivato dall’enzima stesso, ovvero saranno le β-lattamasi a dare il via alla reazione, e la danno
più rapidamente su questa molecola piuttosto che sull’altra. Vedono entrambi, iniziano a
trasformare l’acido clavulanico, il quale si lega non una volta, ma due volte covalentemente
all’interno del sito catalitico e quindi è più favorito nella formazione di legami rispetto alle
penicilline, per cui è l’enzima il suicida che preferisce legarsi al suo inibitore.
Il sito catalitico delle β-lattamasi è quasi uguale a quello della transpeptidasi, proprio perché il
batterio le produce per ingannare l’antibiotico β-lattamico, e quindi ci sarà il solito gruppo
ossidrilico della serina che sarà quello che le penicilline andavano ad acilare.
Incontrando l’acido clavulanico che cosa succede? Che l’ossidrile della serina attacca il
carbonile lattamico, quindi l’OH porta l’attacco, la carica negativa sale, torna indietro e si
rompe il legame ammidico.

Il gruppo –OH di un residuo di Ser attacca il carbonile lattamico (1), e ne causa l’apertura. Il gruppo –NH forma un
legame covalente (2) che causa l’apertura NH2 dell’anello ossazolidinico dell’ac. Clavulanico (3).

Il gruppo amminico a questo punto sta soltanto nel sito catalitico delle β-lattamasi, quindi è
stato sfruttato questo meccanismo perché c’è questa differenza con le transpeptidasi, la quale
ha solo la parte di sotto. Le β-lattamasi erano strutturate con la presenza di un gruppo
amminico proprio di fronte a dove avveniva la reazione, questa è stata la sfortuna dei batteri.
Capito che c’era un gruppo amminico esattamente posto di fronte si è fatto si da far legare
l’acido clavulanico, ma una volta che c’è il gruppo amminico di fronte questo causa l’apertura
di quest’altro anello ossazolidinico presente solo nell’acido clavulanico, mentre nelle
penicilline c’è l’anello tiazolidinico, che si apre e porta alla formazione di quest’altra struttura,
di questo secondo legame covalente di cui vi parlavo. A questo punto c’è ancora un doppietto
elettronico disponibile sull’NH che si è andato a legare pure lui covalentemente, questo
doppietto va a formare un doppio legame e si stacca una molecola che ne costituisce il gruppo
uscente dell’inibitore per suicidio. La struttura uscente si chiama “acido 2-ammino-5-idrossi-
3-oxopentanoico” nella numerazione si da priorità all’acido carbossilico e si procede cercando
di attribuire agli altri carboni un numero più basso in funzione di quelli che sono i gruppi
funzionali presenti.

Il doppietto elettronico dell’N rientra (4) e determina l’eliminazione di una molecola di acido 2-ammino-
5-idrossi-3-oxopentanoico (5). L’eliminazione di uno ione H+ porta alla formazione di un doppio
legame che blocca in maniera irreversibile l’enzima (6).

Ma qual è il risultato importante dell’acido clavulanico? Che poi va via anche l’ H in una
reazione di eliminazione intramolecolare e si ha la formazione di questa struttura con i doppi
legami coniugati, doppio legame, legame singolo, doppio legame, legame singolo(fig.6), e non
si staccherà mai più perché si sono formati due legami covalenti che hanno chiuso
completamente il sito catalitico delle β-lattamasi. L’acido clavulanico che è in grado di formare
questi due legami è termodinamicamente favorito nell’interazione con la β-lattamasi rispetto
alla penicillina, che se va a finire qua dentro potrebbe al massimo avvenire la prima parte
della reazione, ma non si formerebbe il secondo legame, e questo fa si che da un punto di vista
numerico la reazione tende ad avvenire di più sull’acido clavulanico che blocca le β-lattamasi
all’esterno. L’amoxicillina quindi entra all’interno del sito catalitico e blocca irreversibilmente,
con il suo meccanismo di inibitore enzimatico non competitivo, il sito catalitico dell’enzima.
Quindi l’inibitore enzimatico per suicidio viene chiamato così perché in questo caso è l’enzima
che è suicida nei confronti del farmaco che va a smascherare un nuovo gruppo reattivo
andandosi a legare proprio in virtù della sua potenzialità nucleofila che non c’era nel sito
catalitico delle transaminasi.

Inibitori enzimatici irreversibili nono specifici


Inibitori irreversibili non-specifici, come il diisopropilfluorofosfato (DFP), sono capaci di
stabilire legami covalenti con parecchie molecole biologiche oltre alla proteina target. Tali
inibitori irreversibili non-specifici sono in grado di alterare la struttura e di conseguenza la
funzionalità di molti enzimi. In genere si tratta di:
− riducenti (rompono i ponti -S-S-)
− alchilanti
− metalli pesanti (Pb, Hg)
In tutti i casi si tratta di xenobiotici/farmaci che mancano di tossicità selettiva.
Recettori specifici macromolecolari: DNA, RNA, RNAR

L’atomo di cloro non è un buon gruppo uscente ma l’effetto del doppietto elettronico sull’atomo
di carbonio cui esso è legato ne favorisce l’eliminazione portando alla formazione dello ione
aziridinio, potente elettrofilo, che va ad alchilare il DNA. Il sito di alchilazione più comune è la
posizione N7 della guanina, sebbene possano essere alchilati anche altri siti sulla guanina, sulle
altre basi e sugli ossigeni del gruppo fosfato. Poiché le mostarde azotate sono agenti alchilanti
bifunzionali, una stessa molecola può alchilare due posizioni del DNA producendo legami intra-
o inter-filamento. I legami interfilamento impediscono la separazione dei filamenti di DNA e
danno citotossicità.

Quindi un altro target che può essere bersaglio dei farmaci sono le macromolecole e gli acidi
nucleici. Nel caso delle terapie antineoplastiche è necessario avere come bersaglio
determinate posizioni del DNA, e una classe specifica di farmaci antitumorali, che prendono il
nome di alchilanti, è caratterizzata da una porzione chimica caratteristica, ovvero la presenza
di gruppi N-CH2-CH2-Cl. Il doppietto dell’azoto, ancora un buon nucleofilo, porta l’attacco su
questo atomo di carbonio dotato un δ+, quindi di una carica parziale positiva dovuta alla
presenza dell’atomo di cloro, dotato invece di un δ-, come se ci fosse una polarizzazione, in
quanto il Cl è un elettron-attrattore, tende ad attrarre di più gli elettroni. Di conseguenza il
doppietto dell’azoto vede questa mancanza di elettroni sul carbonio e porta un attacco
nucleofilo, quindi il risultato è quello di formare un anello a tre termini, un ciclo a tre termini,
che prende il nome di nucleo azinidinico attivo. Questo nucleo a tre termini però è
estremamente tensionato, se quello dei δ-lattamici voleva reagire perché aveva gli angoli di
legame di 90°, il nucleo azinidinico, qualunque nucleofilo vede lo lega, questo perché la carica
netta positiva che si forma sull’atomo di azoto fa si che questo legame non sia ripartito in
maniera omogenea, c’è una maggiore attrazione da parte della carica positiva di questi
elettroni, e quindi sul carbonio resta il δ+ e subisce un attacco nucleofilo da qualunque
nucleofilo. Il migliore nucleofilo che ci sta sulla struttura del DNA è l’azoto in posizione 7 della
guanina, che alla fine darà questa sostituzione nucleofila come risultato, si apre l’anello
azinidinico e si ha la formazione di questa struttura. La reazione però non è ancora finita
perché c’è un altro gruppo N-CH2-CH2-Cl che forma un altro nucleo azinidinico attivo,
attaccando l’azoto in posizione 7 di un’altra guanina, andando a formare un ponte tra due
guanine, e questo porta ad una distorsione della struttura del DNA che non si può più
replicare. Questa reazione si avrà soprattutto nelle cellule che hanno un’elevata replicazione
del DNA e quindi, sfruttando la velocità del ciclo cellulare nelle cellule tumorali, possiamo
andare a sviluppare una strategia di distruzione delle cellule tumorali.

La difficoltà sta nel fatto che non posso fare inibitori enzimatici recettoriali selettivi perché il
bersaglio sta nel batterio e non nell’uomo, quelle sono cellule umane e di conseguenza non ci
saranno bersagli selettivi specifici. Possiamo giocare sulla velocità di tossicità della nostra
sostanza, infatti queste molecole sono più tossiche sulle cellule a più elevata velocità di
replicazione, meno tossiche sulle cellule sane. Quindi la formazione di legami inter- o intra-
filamenti, cioè tra guanine appartenenti al filamento positivo e quello negativo del DNA
oppure si possono legare due guanine dello stesso filamento, fa si che non si ha la possibilità
dell’apertura della doppia elica del DNA che deve fungere da stampo per la replicazione. Di
conseguenza anche le macromolecole DNA e RNA possono essere bersaglio di determinati
farmaci.

Recettori di membrana

Schema che illustra le varie famiglie di recettori di membrana. Canali ionici (A) aperti dal
legame con il neurotrasmettitore. Recettori (B) accoppiati a proteine G con la caratteristica
struttura a sette zone transmembranarie. Recettori (C) per la matrice extracellulare integrine,
cioè controllano l’adesione cellulare. Recettori (D) per le citochine. Recettori (E) che possiedono
attività protein chinasica intrinseca (cilindri neri) che fosforila residui aminoacidici tirosinici.
Recettori (F) che possiedono una attività guanilato ciclasica intrinseca.

I recettori sono delle strutture macromolecolari proteiche che possono essere localizzate sulla
membrana o all’interno del citosol. I recettori di membrana però non sono tutti uguali,
esistono dei recettori canale, detti anche recettori ionotropici che sono in grado di far
passare determinati elettroliti come Na2+ K+ Cl- da un lato all’altro della cellula, e poi esistono
i recettori transmembranari caratterizzati da 7 eliche che attraversano la membrana, dove
c’è una porzione N-terminale e una C-terminale localizzate una all’esterno l’altra all’interno del
citosol e in cui il meccanismo di trasduzione del segnale non è affidato a una variazione del
potenziale d’azione, ma a dei secondi messaggeri che vengono attivati in seguito alla
stimolazione di questi recettori.

Recettore ionotropico
Esso è costituito da 5 subunità, 2α, δ, γ e ε . La differenza tra queste sub unità sta nella
composizione degli amminoacidi che le vanno a costituire. Queste si mettono insieme a
formare una struttura tridimensionale che costituisce un poro centrale, all’interno del quale
possono passare gli ioni Na2+ e K+, che sono distribuiti diversamente all’interno e all’esterno
della cellula. Per poter avere l’apertura del recettore nicotinico è necessaria l’interazione sulla
superficie delle subunità α di due molecole del ligando endogeno che è l’acetilcolina.
L’acetilcolina si lega sulla prima subunità α, un’altra molecola legherà la seconda subunità α, e
questo darà l’energia sufficiente per indurre una modificazione conformazionale del canale,
che si aprirà e consentirà agli ioni Na2+ e K+ di poter circolare, di innescare un potenziale
d’azione e di determinare quelli che sono gli effetti biologici del legame della nicotina o
dell’acetilcolina su questi recettori.

In realtà esistono solamente 4 porzioni transmembranarie di queste strutture proteiche dove

canale. Di grande importanza è la porzione che riveste l’interno del canale, perché
responsabile della selettività del passaggio degli ioni da un lato all’altro, è importante
ricordarci questa cosa perché se andiamo a guardare quali sono gli amminoacidi che
compongono il recettore ionotropico, ci rendiamo conto che un canale che lascia passare ioni
Na è diverso dal canale che lascia passare ioni Ca2+ , in funzione solamente di 3 anelli che
accompagnano la porzione M2. Cioè oltre alla parte M2 che costituisce la porzione interna del
canale, immediatamente sopra e poi due volte immediatamente sotto è come se ci fossero 3
anelli di amminoacidi carichi negativamente. Una volta che il poro si apre il sodio sta
all’esterno e deve attraversare il canale per entrare nella cellula, ma non può essere attratto
solamente dalla differenza di potenziale, sarebbe troppo lento questo meccanismo, ad un
certo punto tenderebbe a saturarsi. Per cui la presenza di amminoacidi tutti con carica
negativa, come glutammato e aspartato, tendono ad attrarre gli ioni sodio carichi
positivamente, che quindi passano attraverso il canale venendo attratti da questi tre anelli di
amminoacidi carichi negativamente, e quando li supera poi si muove in funzione della
differenza di potenziale e tende ad entrare all’interno della cellula. E’ come se ci fosse un
movimento concertato a flipper, e questo flipperaggio che deve fare lo ione Na 2+ o Ca2+
richiede delle dimensioni specifiche, infatti se prendo un canale del calcio, poiché lo ione Ca2+
è più grande rispetto al sodio, ha due cariche positive, la differenza sta nella composizione
degli anelli all’interno del canale, invece di glutammato ci sono tutti aspartato, poiché l’acido
aspartico ha la catena laterale più corta rispetto all’acido glutammico e permette più
facilmente il passaggio dello ione calcio all’interno del canale. Nel canale del sodio invece
troviamo tutti glutammato perché essendo più spinti verso l’interno, lasciano uno spazio più
piccolo per passare facendo si che può entrare solo il sodio e non il calcio. All’interno quindi di
una struttura ionotropica è necessaria la presenza di 5 subunità, di una struttura
transmemranaria M2 e di 3 anelli carichi negativamente, o positivamente se deve entrare lo
ione cloruro, quindi anelli composti da arginina e lisina, che consentono con questo modello
concertato il passaggio degli ioni da un lato all’altro della membrana e la genesi del potenziale
d’azione. (NB: spesso nel compito viene chiesto di illustrare il meccanismo di attivazione dei
recettori canale!!)
Recettori accoppiati a proteine G
Altra struttura presente sulla superficie della membrana. Si tratta di recettori
transmembranari a 7 eliche, ovvero il filamento proteico attraversa, entra ed esce dalla
membrana per sette volte, in modo tale da generare dei loop intracellulari ed extracellulari.

Figura A: i recettori accoppiati a proteine G sono formati da un unico filamento proteico che attraversa 7 volte la
membrana plasmatica; si formano in tal modo 3 loops intracellulari e 3 extracellulari.
Figura B: è riportato un modello tridimensionale dei recettori accoppiati a proteine G con in evidenza i 7 tratti
transmembranari; è possibile notare come la proteina G sia localizzata tra il loop intracellulare 3 e la porzione
carbossi-terminale.

In questo caso il legame del ligando endogeno ai domini transmembranari non genera una
variazione conformazionale che provoca l’apertura di un canale, ma induce un’interazione tra
il loop intracellulare numero 3 e la porzione C-terminale, dove normalmente è localizzata una
struttura, una sequenza che è quella responsabile della produzione del secondo messaggero,
che è l’AMP ciclico.
Perché si chiamano recettori accoppiati a proteine G? Perché al di sotto di questa struttura che
abbiamo visto è localizzata la proteina G, una struttura trimerica, composta da tre subunità,
α,β e φ, la quale, nel momento in cui si viene a legare il mediatore endogeno o il farmaco, è in
grado di determinare il distacco della sua subunità α che è quella responsabile dell’attivazione
dell’adenilato ciclasi, e quindi la modulazione dei livelli di AMP ciclico all’interno della cellula.

Ciclo della proteina G


Chiaramente però questa subunità α non esplicherà nei confronti dell’adenilato ciclasi un
meccanismo irreversibile, ma dopo un po’ di tempo l’aumento di livelli di AMP ciclico deve
terminare perché si ha la scissione del legame tra la subunità α e l’adenilato ciclasi, il
ripristino della struttura trimerica α,β e φ, e il recettore è pronto a poter dare un nuovo ciclo
di interazione con altre molecole, neurotrasmettitore o farmaco.

Un esempio quindi di interferenza su questo meccanismo di recettore accoppiato a proteine G


è la tossina colerica, che impedisce il distacco della subunità α dall’adenilato ciclasi e questo fa
si che le cellule dell’epitelio intestinale siano in continua attività, vedono sempre AMP ciclico,
e questo si traduce in una continua peristalsi intestinale, perdita di elettroliti e disidratazione,
caratteristiche del fenomeno del colera.

Il meccanismo dei farmaci invece è quello di interferire con questa struttura recettoriale, e
quindi quella di liberare più o meno subunità β,φ quindi più o meno secondo messaggero cioè
cAMP.
Il meccanismo della maggior parte dei farmaci è dipendente da quale recettore viene
stimolato dalla loro presenza, con meccanismo ad esempio da agonista recettoriale, che farà si
che si liberi una determinata subunità α della proteina G. Queste subunità α si dividono in tre
tipi: Gs, Gq, Gi.

Gs è responsabile dell’interazione con l’adenilato ciclasi, che sarà in grado di innalzare i livelli
di cAMP, che ha come suo effettore la PKA, dotata di subunità regolatoria e subunità effettrice,
che va a fosforilare le proteine all’interno del citosol, e si ha l’attivazione dei fenomeni
cellulari. Se la cellula è in grado di secernere una determinata sostanza, ne secernerà di più, se
invece è in grado di determinare vasocostrizione, si otterrà un aumento della costrizione
vasale, e così via. Chiaramente i farmaci interagendo con questi recettori possono avere effetti
diversi, ma devono essere però strutturalmente analoghi ai mediatori endogeni. Quindi la
noradrenalina agisce su determinati recettori noradrenergici che sono localizzati nel nostro
organismo, determinando una serie di effetti collegati alla fosforilazione di proteine, tra cui
l’aumento della contrazione cardiaca; quindi se io vado a fare un farmaco che somiglia alla
noradrenalina mi devo aspettare come effetto biologico la tachicardia.

Altro tipo di recettori sono quelli sempre accoppiati a proteine G, ma quello che cambia è la
natura della subunità α, che non è una Gs stimolatoria, cioè che aumenta la produzione di
cAMP, ma una Gq. La subunità α Gs viaggia lungo la parte interna della membrana plasmatica
fin quando non incontra l’adenilato ciclasi, la Gq invece è più solubile nel citosol, infatti si
muove verso il reticolo endoplasmatico dove incontra la fosfolipasi C, la quale è in grado di
scindere i fosfolipidi di membrana in DAG (diacilglicerolo) e IP 3 (inositolo trifosfato), facendo
si che si stimoli il rilascio di calcio dal reticolo sarcoplasmatico. L’aumento di calcio fa si che si
aumenta la fosforilazione di alcune proteine (da parte della PKC), e come risultato finale
abbiamo sempre attivazione di alcuni meccanismo biologici.
Bisogna ricordare che il calcio è uno degli ioni responsabili dell’attivazione cellulare, i suoli
livelli intracellulari normalmente sono 10-7M, se si raggiunge una condizione di 10 -6M si ha
attivazione della cellula, se invece abbiamo valori di 10 -5M si ha stress cellulare, mentre a
valori di 10-4M si ha morte cellulare, per cui vanno ben controllati i livelli di calcio
intracellulare.
Ultima possibilità è che il recettore sia accoppiato ad una subunità α Gi inibitoria, il cui
bersaglio è sempre l’adenilato ciclasi, ma induce una riduzione della produzione di cAMP, con
una conseguente riduzione dell’attivazione della PKA e una riduzione della fosforilazione di
alcune proteine.

Stimolazione e inibizione sono indicate con + e - e sono indotte da interazioni con GTP-as o GTP-ai rispettivamente.
La stimolazione dell'adenilato ciclasi porta ad aumento della concentrazione intracellulare di cAMP e a
conseguente attivazione della protein chinasi A (PKA) ed inibizione delle fosfatasi. Il cAMP è infine idrolizzato dalle
fosfodiesterasi.

La PKA è costituita da due subunità, una catalitica e una regolatoria. Queste sono associate
in assenza di cAMP, mentre all’aumentare del cAMP tendono a dissociarsi perché si forma un
legame tra il cAMP e la subunità regolatoria, che si stacca da quella catalitica, che potrà andare
a fosforilare i residui di tirosina di treonina delle proteine, e la fosforilazione significa
attivazione delle nostre cellule e innesco della risposta biologica.
La concentrazione di cAMP può regolare una reazione metabolica, una secrezione, una
proliferazione cellulare, è secondo messaggero di tutto ciò che avviene all’interno
dell’organismo.
Recettori citoplasmatici

Schema del meccanismo di trasduzione del segnale dei recettori per gli ormoni steroidei. In questo esempio il
recettore per il progesterone (PR) è associato con tre heat-shock proteins (hsp) ed è inattivo. Quando il
progesterone si lega al recettore, esso cambia conformazione, si dissocia dalle HSP, dimerizza ed è quindi
trasportato nel nucleo. Qui interagisce con sequenze specifiche di DNA, dette progesteronQresponsing element
(PRE) presenti nel promotore di geni sensibili al progesterone. In tal modo viene attivata la trascrizione del gene.

Sono quindi dei recettori più difficili da raggiungere da parte dei farmaci, infatti pochi farmaci
sono in grado di interagire al di là della barriera dei fosfolipidi all’interno del citosol, e per
poterlo fare devono avere una struttura fortemente lipofila, perché bisogna sperare bene i
fosfolipidi di membrana e arrivare a livello di queste strutture recettoriali che normalmente
vengono mantenute nella loro forma inattiva dall’interazione con delle strutture proteiche
chiamate hsp, heat shock proteins. Quando invece arriva il farmaco che si lega a questo
recettore, le hsp vengono allontanate, il recettore dimerizza e, sottoforma di dimero, entra
all’interno del nucleo, andando ad agire come fattori trascrizionali, inducono un aumento
della trascrizione e quindi della traduzione di determinate sequenze genetiche. Questo è il
meccanismo che hanno i cortisonici, tutti i derivati caratterizzati da quel nucleo
ciclopentanoperidrofenantrene, che essendo fortemente lipofilo può penetrare nei fosfolipidi
di membrana, trova i suoi recettori cellulari, e farà si che vi sia la migrazione all’interno del
nucleo. I recettori citoplasmatici hanno un ruolo importante nella regolazione della
trascrizione e generalmente sono cortisonici, steroidi androgeni, steroidi estrogeni, strutture
ormonali, in grado di penetrare nei fosfolipidi e di innescare questo meccanismo di
dimerizzazione.

I recettori citoplasmatici hanno un ruolo molto importante nel regolare la trascrizione genica.
I ligandi per questo tipo di recettori attraversano la membrana cellulare per poterli
raggiungere (es., ormoni steroidei, di natura idrofobica). Il recettore degli steroidi contiene un
sito di legame per l’ormone e uno per il legame con il DNA. In seguito al legame con lo steroide
il complesso LR dimerizza, entra nel nucleo attraversando la membrana nucleare e lega un
sito accettore sul DNA, attivando la trascrizione in mRNA e la successiva sintesi proteica.

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