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I diversi valori del pH possono variare l’assorbimento del principio attivo di un farmaco
somministrato per via orale., questo soprattutto se si pensa all’assorbimento per diffusione
passiva. Le specie ionizzate, cioè dotate di una carica elettrica netta, non supereranno la
barriera dei fosfolipidi di membrana e quindi non vengono assorbite all’interno del torrente
ematico. Ci sono alcuni farmaci come il cloramfenicolo e la pirazinamide, non reagiscono con
l’acqua né come acidi né come basi e, per tale motivo, sono detti neutri. Questi composti non
posseggono gruppi funzionali influenzati dal pH, sono gruppi neutri. Sono dunque molecole
che per le caratteristiche dei loro gruppi funzionali, non variano l’assorbimento.
Esistono però altri tipi di molecole che avendo un gruppo carbossilico (COOH) o amminico
(NH2) e quindi si comportano da acidi o basi deboli. Esempi sono dati dalla penicillina G e
l’amantadina, si comportano come acidi o come basi deboli con l’acqua. In soluzione acquosa
questi farmaci sono coinvolti in equilibri in cui la forma neutra, priva cioè di una carica netta,
coesiste con la sua forma ionizzata, dotata di carica negativa o di carica positiva.
Gli acidi e le basi deboli quando vengono poste in acqua, raggiungono un equilibrio di
dissociazione e questo equilibrio è fortemente influenzato dal pH del mezzo esterno in questo
caso la soluzione acquosa.
Per la stessa penicillina G esiste un equilibrio di dissociazione che può essere proiettato verso
la produzione del gruppo COO- (per dissociazione del gruppo carbossilico) oppure in
ambiente fortemente acido, diventa una molecola protonata. Queste due diverse specie che si
possono formare, presentano un tipo di assorbimento diverso, infatti basta ricordare che le
molecole recanti gruppi carbossilici (proprio come la penicillina G) vengono meglio assorbite
a livello dello stomaco dove il pH è molto basso mentre a livello intestinale il gruppo COOH
può dissociarsi e andare quindi incontro ad un assorbimento variabile.
Se prendiamo in considerazione l’ amantadina (farmaco antinfluenzale) si osserva che ha il
gruppo amminico NH2. Questa molecola quando viene somministrata per via orale, a pH acido
tenderà a protonarsi formando una specie con NH 3+ e tale specie non può andare più incontro
all’assorbimento.
A livello intestinale, dove il pH non ha valori così bassi, l’amantadina si ritrova nella sua specie
che può essere assorbita.
Quindi sia la ionizzazione che il pH del mezzo esterno, può influenzare l’assorbimento del
principio attivo. L’equazione che quantitativamente descrive la possibilità che queste specie
possono essere assorbite è l’equazione di Henderson-Hasselback per la ionizzazione di un
acido debole HA, che può essere così derivata:
(L'equazione è utile anche nel caso si debba calcolare il pH di una soluzione tampone.)
Convertendo entrambi i membri dell’equazione precedente nel corrispondente logaritmo, si
ottiene:
Riarrangiando si ha:
e a questo punto si può eliminare il log scrivendo tale espressione nella seguente formula:
Da questa espressione si possono fare delle considerazioni importanti. Infatti sulla base di
questa espressione, si nota che se il pH coincide con il Pka della specie in esame, si avrà che il
rapporto [A-]/[HA] è uguale a 1.
Es. pH = 3 e pKa = 3, allora:
Si può allora dire che quando il pH all’interno del nostro organismo è uguale al pK a del gruppo
funzionale che si prende in considerazione, allora la concentrazione della specie dissociata è
esattamente uguale alla concentrazione della specie indissociata.
Altro esempio
pH ambiente = 8
pKa del farmaco = 7
con questi due dati ora risolviamo la formula di Henderson-Hasselbach
[A-]/[AH] = 10(pH - pKa) = 10(8 - 7) = 101 = 10
In questo esempio possiamo dire che prevale la forma dissociata, quindi è più polare e di
difficile assorbimento.
Più è alto il valore di [AH] e maggiore è la parte lipofila, quindi maggiormente assorbibile.
Nell’esempio n° 1 da tale espressione viene fuori che il valore del rapporto [A-]/[HA] è uguale
a 10/1 ciò significa ad esempio che su 11 molecole, 10 sono presenti sotto forma dissociate e
1 è presente come acido, lo stesso discorso vale anche per l’esempio 2 e 3.
Farmaci con carattere acido molto debole (es. fenitoina) con pKa>7 sono praticamente
in forma non ionizzata a tutti i valori di pH riscontrabili nei compartimenti biologici,
hanno un pKa molto simili a quello dell’acqua e quindi hanno una forma non ionizzata
per tutti i valori di pH dei vari compartimenti biologici. Quindi queste specie non sono
influenzate dal pH e avranno una loro capacità di essere assorbite, saranno assorbite
leggermente a livello dello stomaco e assorbite meglio a livello intestinale.
La maggior parte delle basi deboli è scarsamente o per nulla assorbita nello stomaco,
dove le sostanze a carattere basico si trovano, prevalentemente, in forma protonata,
che non è assorbibile per diffusione passiva.
L’influenza del pH è importante non solo per l’assorbimento dei farmaci ma anche per quanto
riguarda l’escrezione degli stessi farmaci, cioè regola anche la capacità dei farmaci di poter
essere eliminati dall’organismo. Quindi possiamo sfruttare il pH per incrementare
l’eliminazione di un farmaco, infatti, ad esempio i barbiturici (tranquillanti), che presentano
un debole carattere acido possono essere eliminati più rapidamente attraverso il processo di
alcalinizzazione delle urine (a tale scopo, si usa, generalmente NaHCO3); questo farà alzare il
pH, aumentare la quota dissociata di questo farmaco acido, la quale sarà eliminabile con più
facilità, perché non può essere riassorbita a livello renale, cioè in altre parole, i barbiturici
sono acidi e si solubilizzeranno subito all’interno delle urine alcalinizzate, saranno si
dissociati non andando più così incontro al riassorbimento tubulare ed in questo modo
vengono totalmente allontanati.
Nel caso di composti basici (es. amfetamine), viceversa, si possono rendere le urine acide
mediante la somministrazione di NH4Cl, favorendo in tal modo la loro eliminazione.
I farmaci acidi possono causare lesioni della mucosa gastrica tanto è vero che per alcuni è
farmaci a carattere particolarmente acido, è ipotizzabile la somministrazione sotto forma di
supposta. L’aspirina (acido acetilsalicilico), si accumula dal lato basale delle cellule esplicando
azioni lesive sulla mucosa. L’ acido acetilsalicilico è lesivo per due motivi principali:
1. La sua capacità di influenzare le ciclo-ossigenasi;
2. al contatto della catena carbossilica con la parete dello stomaco .
Questa lesione si verifica perché quando l’aspirina somministrata per via orale raggiunge lo
stomaco, la forma che tendenzialmente tenderà ad essere assorbita sarà quella protonata
COOH, questa forma quando poi si troverà all’interno del citoplasma delle cellule della parete
gastrica, incontrerà un pH pari a 7, essendo questo acido dotato di una buona costante di
dissociazione acida, si forma allora COO- + H3 O+ . La liberazione di ioni H+ da parte di questa
specie è quella responsabile delle lesioni della mucosa gastrica. Questa condizione la si può
by-passare somministrando il farmaco per una altra via, ad esempio supposte per via rettale,
ed in questo modo la lesione gastrica non comparirà.
Quindi in ambiente acido (come nell’interno dello stomaco) gli acidi deboli esistono, infatti, in
forma non dissociata; come tali attraversano molto facilmente le membrane cellulari. Una
volta penetrate in ambiente cellulare (con pH prossimo alla neutralità) le molecole di acido
acetilsalicilico possono nuovamente comportarsi come veri e propri acidi, liberando ioni H+
ed esercitando un effetto lesivo sulla cellula stessa.
Biodisponibilità
La biodisponibilità di un farmaco è la quota di farmaco, ossia la frazione della dose di farmaco,
che dopo la somministrazione attraverso una data via, raggiunge immodificata la circolazione
sistemica.
Alcune frazioni della quantità totale di farmaco che viene somministrato, saranno distrutte ad
esempio nell’intestino, oppure non assorbite proprio o ancora. Distrutta la metabolismo di
primo passaggio. Ad esempio se la biodisponibilità orale di un farmaco è del 60% significa che
60 mg di una dose di 100 mg raggiungeranno il circolo sistemico, mentre i 40 mg rimanenti
subiranno destini diversi (eliminazione con le feci, degradazione nello stomaco,
metabolizzazione epatica.)
Qual è il parametro che descrive quantitativamente la biodisponibilità, l’assorbimento, del
principio attivo?
È l’AUC ovvero area sotto la curva concentrazione-plasmatica/ tempo, quantità di principio
attivo presente nel flusso ematico in un intervallo di tempo, dopo somministrazione di un
farmaco.
Sostanza somministrata per via orale, inizialmente ha una concentrazione molto bassa che
tende però ad aumentare nel tempo fino ad arrivare ad un picco dopodiché tale
concentrazione tenderà a diminuire.
La curva concentrazione plasmatica nel tempo la si può determinare effettuando dei prelievi
ogni 5- 10 minuti da un volontario sano al quale è stato ad esempio somministrato la
compressa. Dal diagramma, si prende in considerazione l’area sotto la curva AUC (integrata)
rappresenta la vera biodisponibilità del principio attivo somministrato per via orale. Per
avere una migliore quantificazione è necessario effettuare un calcolo, cioè un paragone tra
l’AUC che si è realizzata per via orale e l’AUC che si realizza per via iniettiva )la quale ha un
valore di biodisponibilità del 100%) ottenendo così un rapporto tra l’area sotto la curva della
via orale diviso l’area sotto la curva della via iniettiva moltiplicato per 100.
Biodisponibilità = ·100
La biodisponibilità di farmaci assunti per via orale è compresa tra lo 0 e il 100%. La maggior
parte dei farmaci sistemici somministrati per via orale mostra valori di biodisponibilità
maggiori del 20%. In genere, anche nelle migliori condizioni, la massima BO possibile si aggira
attorno all’80-90%. Valori di biodisponibilità inferiori al 5% sono tipici dei farmaci ad azione
localizzata nel tratto gastrointestinale.
Andamento delle concentrazioni plasmatiche dello stesso farmaco somministrato per via
intravascolare (massimo al tempo zero) o attraverso diverse vie extra-vascolari. Si noti che le
curve per le vie di assorbimento extra-vascolari mostrano un picco di concentrazione
ritardato e più basso. Al picco esse incrociano l’andamento conseguente alla
somministrazione intravascolare (frecce) e di qui in poi determinano concentrazioni più alte.
È importante evidenziare che la concentrazione massima che si realizza di una stessa specie
somministrata per via parenterale, intramuscolare ed orale, si ottiene nel momento in cui questa
va ad intersecare la via endovenosa.
La biodisponibilità può anche essere estremamente diversa nello stesso individuo al quale si
somministra la stessa forma farmaceutica in diversi momenti della giornata. Questo può
essere una conseguenza del tratto gastrointestinale, ad esempio momenti della giornata in cui
si verifica maggiore acidità, stomaco pieno o digiuno, ci sono cioè degli andamenti circadiani
che devono essere presi in considerazione.
In definitiva si può allora affermare che per valutare la biodisponibilità si deve prendere in
considerazione un elevato numero di individui ai quali viene somministrata la stessa forma
farmaceutica per la stessa via di somministrazione. Si calcola così una biodisponibilità media,
ed in questo modo si può allora affermare che, ad esempio la biodisponibilità dell’acido
acetilsalicilico per via orale è del 78%.
BIOEQUIVALENZA
Due medicinali si dicono farmaceuticamente equivalenti se condividono:
principio attivo
dose
forma farmaceutica
via di somministrazione
Ad esempio MOMENT e NUROFEN hanno in comune ibuprofene, 200 mg, compresse e orale.
Questi due, sono farmaci non bioequivalenti ma farmaceuticamente equivalenti poiché i
farmaci per essere bioequivalenti, devono dare la stessa area sotto la curva oltre ai parametri
elencati per la bioequivalenza.
In particolare, i farmaci bioequivalenti si possono mettere in commercio con nomi generici,
questo succede per i farmaci il cui brevetto è scaduto e quindi viene data la possibilità da
parte del Ministero della Salute, di commercializzare farmaci semplicemente con il nome dello
stesso principio attivo. Naturalmente tutto questo lo si può fare garantendo al Ministero della
Salute, che il farmaco bioequivalente avrà la stessa biodisponibilità della specie presa in
considerazione. I tempi di procedura per la commercializzazione di un farmaco
bioequivalente saranno nettamente inferiore rispetto a quelli per la commercializzazione di
nuovi farmaci.
In definitiva vengono accettati come farmaci bioequivalenti, quei farmaci la cui area sotto la
curva è compresa tra lo 0,8 e 1,2 in rapporto ai farmaci già in commercio, ciò significa che
sono accettate le variazioni di biodisponibilità comprese tra l’80 e il 120%. Questo intervallo
di biodisponibilità è stato accettato anche in ragione della elevata variabilità biologica
esistente.
Per definire bioequivalenti due farmaci, non basta dire che abbiano solo l’ AUC compresa tra
l’80 e il 120%, ma bisogna valutare anche gli altri parametri, come ad esempio la
concentrazione massima, deve anch’essa rientrare nell’intervallo 80-120% e lo stesso dicasi
anche per il tempo massimo. Quindi, dal punto di vista grafico, si devono ottenere delle curve
quanto più sovrapponibili possano essere.
Per parlare di farmaci generici, bisogna considerare la via orale o quella intramuscolare e non
quella endovenosa
caratteristiche fisiche del principio attivo incorporato nella forma farmaceutica (es.
stato ;cristallino o amorfo)
natura e quantità degli eccipienti (es. agenti disaggreganti, agenti tamponanti);
modalità di allestimento della forma farmaceutica (es. forza impiegata dalla macchina
comprimitrice nella fabbricazione delle compresse).
GENERICO: Secondo l’OMS è “un farmaco intercambiabile con il prodotto innovatore; il
farmaco generico può essere messo in commercio quando siano scaduti il brevetto e il
certificato di protezione complementare (CPC: consente l’estensione del brevetto fino ad un
massimo di 18 anni, dopo la scadenza, per un totale di 38 anni dalla data di deposito del
brevetto) di quest’ultimo”.
Le linee guida che garantiscono la bioequivalenza dei medicinali “generici” o “equivalenti”
(specialità contenenti principi attivi il cui brevetto è scaduto) rispetto ai corrispondenti
medicinali “generatori” sono state fissate nel 2001 dal comitato tecnico dell’EMEA (Agenzia
Europea per la Valutazione dei Medicinali) e successivamente recepite in Italia dal Ministero
della Salute. Secondo queste linee guida due medicinali sono bioequivalenti se presentano
valori della Cp massima e dell’AUC che differiscono per meno del 20%.
•"area sotto la curva“ (AUC) come indicatore della quantità di farmaco reso biodisponibile;
•"concentrazione di picco massimo“ (Cmax);
•"tempo di picco massimo" (tmax).
Tali parametri rappresentano gli indicatori della velocità con cui il principio attivo è reso
disponibile cioè biodisponibile.
DISTRIBUZIONE
Per avere una buona efficacia, il farmaco oltre ad avere una buona biodisponibilità deve avere
anche una distribuzione efficacia, infatti può capitare che il farmaco venga assorbito molto
bene ma poi non si distribuisce bene, allora in quel caso sarà poco efficace. La distribuzione
dipende molto dal giusto bilancio lipofilo-idrofilo del farmaco. Bisogna poi prendere in
considerazione anche il grado di legame del farmaco con le proteine plasmatiche le cui
interazioni possono trattenere il farmaco all’interno del torrente ematico influenzando così la
distribuzione. Dopo l’assorbimento, il farmaco viene distribuito ai fluidi interstiziali e cellulari.
Le modalità e l’entità di tale distribuzione dipendono da fattori fisiologici (quali la
vascolarizzazione ed il flusso ematico in un dato distretto dell’organismo) nonché dalle
proprietà chimico-fisiche del farmaco stesso, come la liposolubilità e il grado di legame con le
macromolecole proteiche plasmatiche o tissutali.
Esso viene definito come il rapporto tra la quantità totale di farmaco presente in tutto il corpo
(Dt) e la concentrazione plasmatica (C) che si verifica dopo lo steady state.
Vd =
Se Dt viene espresso in mg e C in mg/L, il Vd sarà espresso in Litri. Se, invece, Dt è espresso in
mg/kg, e C sempre in mg/L, Vd sarà espresso in L/kg.
Viene definito volume apparente perché rappresenta la quantità di plasma che si dovrebbe
avere a disposizione per poter avere il farmaco uniformemente distribuito nell’organismo,
con la concentrazione pari a quella concentrazione plasmatica residua. Siccome il numero che
si ottiene è molto più grande del numero che esprime la quantità del plasma presente nel
nostro organismo, si deve allora parlare di volume apparente e non di volume reale. Quindi Vd
è detto anche volume di distribuzione apparente, per sottolineare che non è un'entità
anatomica, ma un volume teorico che indica il volume teorico che sarebbe necessario a
contenere la quantità totale di farmaco presente nell'organismo alla stessa concentrazione di
quella presente nel plasma.
Poiché la quantità Dt non può essere determinata, assimiliamo tale quantità a quella che
indichiamo con Do, cioè l’esatta quantità di farmaco somministrata per via endovenosa. Il
rapporto, allora, diventa:
Vd =
Le sostanze con alta affinità per i tessuti extravascolari possono avere un volume di
distribuzione molto superiore a quello dell'acqua corporea totale. Ad esempio, il volume di
distribuzione apparente della digossina in un uomo di 70 kg è di circa 760 litri.
Nel sangue un farmaco può essere libero o legato a proteine plasmatiche. Mentre l'albumina
lega i farmaci acidi, l'a1-g1icoproteina acida e le lipoproteine legano preferenzialmente i
farmaci basici. Solo la quota libera di un farmaco è in grado di uscire dal letto capillare e di
raggiungere gli organi bersaglio e quelli deputati al suo metabolismo ed escrezione.
Le sostanze lipofile si accumulano nel cervello e nel tessuto adiposo. Un esempio tipico sono i
tiobarbiturici che, essendo altamente lipofili, vengono prima distribuiti rapidamente al SNC e
poi si accumulano nelle masse adipose. Questo dipende anche dal fatto che l’equilibrio tra
tessuto adiposo e plasma è lento a causa della sua scarsa vascolarizzazione.
Si avrebbe come risultato che una certa quantità di waffarina che si era legata all’albumina,
viene spiazzata dalla penicillina G aumentano così la % di farmaco libero presente nel
torrente ematico. Bisogna quindi fare molta attenzione alla co-somministrazione dei farmaci
soprattutto per quelli che si legano alle stesse proteine plasmatiche.
Le proteine plasmatiche fanno parte, insieme ad altri componenti organici e inorganici, dei
soluti presenti nel plasma. Tra esse le più importanti sono: l’albumina sierica (60%), le
lipoproteine, le immunoglobuline, il fibrinogeno, la protrombina e le proteine di trasporto. I
farmaci antidiabetici, antiepilettici, barbiturici, O-lattamici, sulfamidici, si legano
principalmente all’albumina.
L’albumina è una proteina con un PM di 66 kD che presenta una carica netta negativa
possedendo 109 residui cationici e 120 anionici. Essa però lega soprattutto anioni per il fatto
che i residui carichi positivamente sono molto più accessibili. Generalmente, ma non sempre,
il rapporto che si stabilisce tra il farmaco e l’albumina è di 1:1.
Il fattore che influenza più di tutti la distribuzione di un farmaco è la sua interazione con le
proteine plasmatiche. Infatti, soltanto il farmaco libero da tale legame può essere distribuito ai
vari tessuti, altrimenti rimane confinato nel plasma. Per tale motivo, l’equilibrio “farmaco
libero/farmaco legato” è fondamentale nel determinare il passaggio dei farmaci ai tessuti.
Interazione farmaco-proteina
L’interazione farmaco/proteina è considerata in linea generale una reazione reversibile:
P + F ⇆ PF
dove
P = proteina libera
F = farmaco libero
PF = complesso farmaco/proteina
Il farmaco legato alla proteina è inattivo mentre solo quello libero può lasciare il torrente
circolatorio, muoversi attraverso i diversi compartimenti organici e raggiungere la sua
specifica sede d’azione, cioè la BIOFASE. Comunque, man mano che il farmaco libero si
distribuisce, l’equilibrio si sposta verso sinistra, rilasciando altro farmaco.
Ka =
Il valore della Ka può dare un indice che influenza la distribuzione dei farmaci.
Per ogni farmaco, esiste una minima concentrazione efficace nella biofase (cioè il
compartimento, o meglio il tessuto, in cui il farmaco esplica la sua risposta biologica) che deve
essere raggiunta con la somministrazione affinché si evidenzi una risposta biologica, cioè è
necessaria una certa concentrazione perché l’intensità dell’azione sia sufficiente a produrre
una risposta farmacologica.
Si devono considerare le due costanti di distribuzione k1,2 e k2,1
Nei due grafici sono riportate le concentrazioni ipotetiche di due farmaci A e B nel sangue e
nei tessuti. L’area tratteggiata rappresenta il farmaco legato, l’area chiara il farmaco libero. La
linea tratteggiata rappresenta la concentrazione minima necessaria per avere una risposta
biologica.
Dal grafico si osserva che il farmaco A raggiunge una concentrazione plasmatica più elevata
rispetto al farmaco B. Questo ci potrebbe indurre a dire ad esempio che il farmaco A avendo
una buona biodisponibilità, si distribuisca allora molto bene, ma ciò non è sempre vero infatti
facendo sempre riferimento al grafico, si osserva che il farmaco A pur avendo una
biodisponibilità maggiore rispetto al farmaco B presenta però una distribuzione minore
rispetto al farmaco B e di conseguenza si può affermare che il farmaco B ha una efficace
maggiore.
Dai diagrammi precedenti si nota che la concentrazione ematica di entrambi i farmaci è diversa
dalla loro concentrazione tissutale; infatti, nei tessuti può arrivare solo il farmaco libero non
legato alle proteine plasmatiche.
Nel caso del farmaco B, anche se la concentrazione ematica è inferiore rispetto al farmaco A, la
quota legata alle proteine è notevolmente inferiore, per cui esso passerà nei tessuti in quantità
maggiore del farmaco A, tale da raggiungere e superare la minima concentrazione efficace.
Consideriamo ora 4 farmaci A, B, C e D, per i quali k 1=k2=1, così da renderci indipendenti dai
parametri k1 e k2. Supponiamo, quindi, che per tali farmaci si abbia la seguente situazione: