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2a lezione

I diversi valori del pH possono variare l’assorbimento del principio attivo di un farmaco
somministrato per via orale., questo soprattutto se si pensa all’assorbimento per diffusione
passiva. Le specie ionizzate, cioè dotate di una carica elettrica netta, non supereranno la
barriera dei fosfolipidi di membrana e quindi non vengono assorbite all’interno del torrente
ematico. Ci sono alcuni farmaci come il cloramfenicolo e la pirazinamide, non reagiscono con
l’acqua né come acidi né come basi e, per tale motivo, sono detti neutri. Questi composti non
posseggono gruppi funzionali influenzati dal pH, sono gruppi neutri. Sono dunque molecole
che per le caratteristiche dei loro gruppi funzionali, non variano l’assorbimento.

Esistono però altri tipi di molecole che avendo un gruppo carbossilico (COOH) o amminico
(NH2) e quindi si comportano da acidi o basi deboli. Esempi sono dati dalla penicillina G e
l’amantadina, si comportano come acidi o come basi deboli con l’acqua. In soluzione acquosa
questi farmaci sono coinvolti in equilibri in cui la forma neutra, priva cioè di una carica netta,
coesiste con la sua forma ionizzata, dotata di carica negativa o di carica positiva.

Gli acidi e le basi deboli quando vengono poste in acqua, raggiungono un equilibrio di
dissociazione e questo equilibrio è fortemente influenzato dal pH del mezzo esterno in questo
caso la soluzione acquosa.
Per la stessa penicillina G esiste un equilibrio di dissociazione che può essere proiettato verso
la produzione del gruppo COO- (per dissociazione del gruppo carbossilico) oppure in
ambiente fortemente acido, diventa una molecola protonata. Queste due diverse specie che si
possono formare, presentano un tipo di assorbimento diverso, infatti basta ricordare che le
molecole recanti gruppi carbossilici (proprio come la penicillina G) vengono meglio assorbite
a livello dello stomaco dove il pH è molto basso mentre a livello intestinale il gruppo COOH
può dissociarsi e andare quindi incontro ad un assorbimento variabile.
Se prendiamo in considerazione l’ amantadina (farmaco antinfluenzale) si osserva che ha il
gruppo amminico NH2. Questa molecola quando viene somministrata per via orale, a pH acido
tenderà a protonarsi formando una specie con NH 3+ e tale specie non può andare più incontro
all’assorbimento.

A livello intestinale, dove il pH non ha valori così bassi, l’amantadina si ritrova nella sua specie
che può essere assorbita.
Quindi sia la ionizzazione che il pH del mezzo esterno, può influenzare l’assorbimento del
principio attivo. L’equazione che quantitativamente descrive la possibilità che queste specie
possono essere assorbite è l’equazione di Henderson-Hasselback per la ionizzazione di un
acido debole HA, che può essere così derivata:

(L'equazione è utile anche nel caso si debba calcolare il pH di una soluzione tampone.)
Convertendo entrambi i membri dell’equazione precedente nel corrispondente logaritmo, si
ottiene:

risolvendo rispetto a log[H3O+], si ottiene:


Da questa espressione si ricava che :

Riarrangiando si ha:

e a questo punto si può eliminare il log scrivendo tale espressione nella seguente formula:

Da questa espressione si possono fare delle considerazioni importanti. Infatti sulla base di
questa espressione, si nota che se il pH coincide con il Pka della specie in esame, si avrà che il
rapporto [A-]/[HA] è uguale a 1.
 Es. pH = 3 e pKa = 3, allora:

Si può allora dire che quando il pH all’interno del nostro organismo è uguale al pK a del gruppo
funzionale che si prende in considerazione, allora la concentrazione della specie dissociata è
esattamente uguale alla concentrazione della specie indissociata.

Esempio in ambiente acido


pH stomaco = 1,4
pKa del farmaco = 3,4

Con questi due dati ora risolviamo la formula di Henderson-Hasselbach


[A-]/[AH] = 10(pH - pKa) = 10(1,4 - 3,4) = 10-2 = 1/100
In questo esempio possiamo dire che prevale la forma indissociata, quindi maggiormente
lipofila e facile da assorbire. Ricordiamo che un acido debole in un ambiente acido è
maggiormente assorbibile. Però se l'Aspirina viene presa a stomaco vuoto c'è la possibilità di
incorrere a ulcere della mucosa gastrica.

Altro esempio
pH ambiente = 8
pKa del farmaco = 7
con questi due dati ora risolviamo la formula di Henderson-Hasselbach
[A-]/[AH] = 10(pH - pKa) = 10(8 - 7) = 101 = 10
In questo esempio possiamo dire che prevale la forma dissociata, quindi è più polare e di
difficile assorbimento.
Più è alto il valore di [AH] e maggiore è la parte lipofila, quindi maggiormente assorbibile.

Esempio in un ambiente neutro


pH plasma = 7,4
pKa del farmaco = 3,4
con questi due dati ora risolviamo la formula di Henderson-Hasselbach
[A-]/[AH] = 10(pH - pKa) = 10(7,4 - 3,4) = 104 = 10000
In questo esempio possiamo dire che prevale la forma dissociata, un acido debole viene
maggiormente assorbito con un pH acido.

Molto importante ricordare che se abbiamo un farmaco acido debole e lo mettiamo in un


ambiente acido, ne favoriamo l'assorbimento. Se invece lo stesso medicinale lo si mette in un
ambiente basico la sua possibilità di assorbimento diventa scarsa.

FARMACO ACIDO DEBOLE ASSORBITO BENE IN AMBIENTE ACICO


FARMACO BASE DEBOLE ASSORBITO BENE IN AMBIENTE BASICO

Nell’esempio n° 1 da tale espressione viene fuori che il valore del rapporto [A-]/[HA] è uguale
a 10/1 ciò significa ad esempio che su 11 molecole, 10 sono presenti sotto forma dissociate e
1 è presente come acido, lo stesso discorso vale anche per l’esempio 2 e 3.

Si possono verificare anche situazioni in cui il rapporto [A-]/[HA] è completamente diverso da


quello citato prima, può essere ad esempio 10/1, 100/1 etc ed in questo caso si allora la
predominanza della specie protonata rispetto alla specie dissociata la quale sarà meglio
assorbita a livello dello stomaco (pH basso) e meno assorbita a livello intestinale. Di seguito
vengono riportati alcuni esempi.

Quindi per l’assorbimento va considerato non solo la superficie e lo strato tissutale(mono o


pluristratificato) ma anche il pH ed il pKa.
In definitiva si può affermare che le specie acide iniziano ad assorbirsi principalmente a livello
dello stomaco ma poi tale assorbimento continua anche a livello dell’intestino mentre le
specie basiche non si assorbono a livello dello stomaco ma solo a livello intestinale.

Ionizzazione e pH: influenza sull’assorbimento


 Farmaci con carattere acido debole si trovano prevalentemente in forma non ionizzata
ai bassi valori di pH presenti a livello dello stomaco; l’assorbimento di tali composti,
dunque, può avvenire già a livello gastrico per poi continuare nell’intestino. È il caso di
alcuni FANS caratterizzati dalla presenza di un gruppo COOH il cui assorbimento inizia
a livello dello stomaco proseguendo poi nel tratto intestinale.

 Farmaci con carattere acido molto debole (es. fenitoina) con pKa>7 sono praticamente
in forma non ionizzata a tutti i valori di pH riscontrabili nei compartimenti biologici,
hanno un pKa molto simili a quello dell’acqua e quindi hanno una forma non ionizzata
per tutti i valori di pH dei vari compartimenti biologici. Quindi queste specie non sono
influenzate dal pH e avranno una loro capacità di essere assorbite, saranno assorbite
leggermente a livello dello stomaco e assorbite meglio a livello intestinale.
 La maggior parte delle basi deboli è scarsamente o per nulla assorbita nello stomaco,
dove le sostanze a carattere basico si trovano, prevalentemente, in forma protonata,
che non è assorbibile per diffusione passiva.

L’influenza del pH è importante non solo per l’assorbimento dei farmaci ma anche per quanto
riguarda l’escrezione degli stessi farmaci, cioè regola anche la capacità dei farmaci di poter
essere eliminati dall’organismo. Quindi possiamo sfruttare il pH per incrementare
l’eliminazione di un farmaco, infatti, ad esempio i barbiturici (tranquillanti), che presentano
un debole carattere acido possono essere eliminati più rapidamente attraverso il processo di
alcalinizzazione delle urine (a tale scopo, si usa, generalmente NaHCO3); questo farà alzare il
pH, aumentare la quota dissociata di questo farmaco acido, la quale sarà eliminabile con più
facilità, perché non può essere riassorbita a livello renale, cioè in altre parole, i barbiturici
sono acidi e si solubilizzeranno subito all’interno delle urine alcalinizzate, saranno si
dissociati non andando più così incontro al riassorbimento tubulare ed in questo modo
vengono totalmente allontanati.
Nel caso di composti basici (es. amfetamine), viceversa, si possono rendere le urine acide
mediante la somministrazione di NH4Cl, favorendo in tal modo la loro eliminazione.

È possibile dunque modificare il pH delle urine (acedificandole o alcalinizzarle) modulando


così l’eliminazione dei farmaci.

I farmaci acidi possono causare lesioni della mucosa gastrica tanto è vero che per alcuni è
farmaci a carattere particolarmente acido, è ipotizzabile la somministrazione sotto forma di
supposta. L’aspirina (acido acetilsalicilico), si accumula dal lato basale delle cellule esplicando
azioni lesive sulla mucosa. L’ acido acetilsalicilico è lesivo per due motivi principali:
1. La sua capacità di influenzare le ciclo-ossigenasi;
2. al contatto della catena carbossilica con la parete dello stomaco .
Questa lesione si verifica perché quando l’aspirina somministrata per via orale raggiunge lo
stomaco, la forma che tendenzialmente tenderà ad essere assorbita sarà quella protonata
COOH, questa forma quando poi si troverà all’interno del citoplasma delle cellule della parete
gastrica, incontrerà un pH pari a 7, essendo questo acido dotato di una buona costante di
dissociazione acida, si forma allora COO- + H3 O+ . La liberazione di ioni H+ da parte di questa
specie è quella responsabile delle lesioni della mucosa gastrica. Questa condizione la si può
by-passare somministrando il farmaco per una altra via, ad esempio supposte per via rettale,
ed in questo modo la lesione gastrica non comparirà.
Quindi in ambiente acido (come nell’interno dello stomaco) gli acidi deboli esistono, infatti, in
forma non dissociata; come tali attraversano molto facilmente le membrane cellulari. Una
volta penetrate in ambiente cellulare (con pH prossimo alla neutralità) le molecole di acido
acetilsalicilico possono nuovamente comportarsi come veri e propri acidi, liberando ioni H+
ed esercitando un effetto lesivo sulla cellula stessa.

Biodisponibilità
La biodisponibilità di un farmaco è la quota di farmaco, ossia la frazione della dose di farmaco,
che dopo la somministrazione attraverso una data via, raggiunge immodificata la circolazione
sistemica.

Alcune frazioni della quantità totale di farmaco che viene somministrato, saranno distrutte ad
esempio nell’intestino, oppure non assorbite proprio o ancora. Distrutta la metabolismo di
primo passaggio. Ad esempio se la biodisponibilità orale di un farmaco è del 60% significa che
60 mg di una dose di 100 mg raggiungeranno il circolo sistemico, mentre i 40 mg rimanenti
subiranno destini diversi (eliminazione con le feci, degradazione nello stomaco,
metabolizzazione epatica.)
Qual è il parametro che descrive quantitativamente la biodisponibilità, l’assorbimento, del
principio attivo?
È l’AUC ovvero area sotto la curva concentrazione-plasmatica/ tempo, quantità di principio
attivo presente nel flusso ematico in un intervallo di tempo, dopo somministrazione di un
farmaco.
Sostanza somministrata per via orale, inizialmente ha una concentrazione molto bassa che
tende però ad aumentare nel tempo fino ad arrivare ad un picco dopodiché tale
concentrazione tenderà a diminuire.

La curva concentrazione plasmatica nel tempo la si può determinare effettuando dei prelievi
ogni 5- 10 minuti da un volontario sano al quale è stato ad esempio somministrato la
compressa. Dal diagramma, si prende in considerazione l’area sotto la curva AUC (integrata)
rappresenta la vera biodisponibilità del principio attivo somministrato per via orale. Per
avere una migliore quantificazione è necessario effettuare un calcolo, cioè un paragone tra
l’AUC che si è realizzata per via orale e l’AUC che si realizza per via iniettiva )la quale ha un
valore di biodisponibilità del 100%) ottenendo così un rapporto tra l’area sotto la curva della
via orale diviso l’area sotto la curva della via iniettiva moltiplicato per 100.

Biodisponibilità = ·100

Il risultato di questa espressione rappresenta la vera biodisponibilità del farmaco in


questione.
Importante ricordare che la biodisponibilità, descritta in questo modo, è valida solo per quei
farmaci che si possono somministrare per via parenterale proprio perché si deve fare poi
questo paragone.
Dal grafico si osserva inoltre che per quanto riguarda un farmaco somministrato per via
iniettiva, si ha subito un massimo assorbimento e quindi una concentrazione elevatissima che
andrà incontro poi alla fase di metabolismo e di escrezione e quindi la curva tende così a
scendere. Tale curva però non tende a scendere come una retta ma ad un certo punto rallenta
poiché diminuendo le concentrazioni del farmaco nel tempo, rallentano anche i meccanismi di
metabolizzazione e quindi di escrezione, descrivendo così’ un’iperbole discendente.
La curva del farmaco somministrato per via orale, tenderà prima ad arrivare ad una
concentrazione massima per poi decadere.
La biodisponibilità riferita alla somministrazione endovenosa è del 100% perché in questo
caso l’intera dose di farmaco è immessa direttamente nel circolo sistemico. Le
somministrazioni intramuscolari e sottocutanee sono caratterizzate da valori di
biodisponibilità uguali o di poco inferiori al 100%. Tale concentrazione dopo una
somministrazione orale si definisce biodisponibilità orale (BO).

La biodisponibilità di farmaci assunti per via orale è compresa tra lo 0 e il 100%. La maggior
parte dei farmaci sistemici somministrati per via orale mostra valori di biodisponibilità
maggiori del 20%. In genere, anche nelle migliori condizioni, la massima BO possibile si aggira
attorno all’80-90%. Valori di biodisponibilità inferiori al 5% sono tipici dei farmaci ad azione
localizzata nel tratto gastrointestinale.

È possibile misurare la biodisponibilità associata ad altre vie di somministrazione che


prevedono la fase di assorbimento. Attraverso il metodo descritto non è possibile determinare
la biodisponibilità di farmaci non somministrabili per via endovenosa a causa della loro scarsa
solubilità.

Andamento delle concentrazioni plasmatiche dello stesso farmaco somministrato per via
intravascolare (massimo al tempo zero) o attraverso diverse vie extra-vascolari. Si noti che le
curve per le vie di assorbimento extra-vascolari mostrano un picco di concentrazione
ritardato e più basso. Al picco esse incrociano l’andamento conseguente alla
somministrazione intravascolare (frecce) e di qui in poi determinano concentrazioni più alte.

In queste curve raffigurate, devono essere presi in considerazione alcuni importanti


parametri oltre all’ AUC, come la concentrazione massima (Cmax, punto più alto della curva) e
tempo massimo( Tmax, inteso come il tempo per raggiungere la concentrazione massima).
Questo perché si può verificare che per le diverse curve, l’AUC è uguale ma si hanno
comunque dei profili di assorbimento diversi in quanto cambia la concentrazione massima o il
tempo massimo.
Nel grafico riportato di seguito, si osserva che a seconda delle diverse vie di somministrazione
scelte, si avranno curve con andamento diverso.

La biodisponibilità, comparabile alla concentrazione plasmatica di farmaco assorbito, è spesso


estremamente diversa anche nello stesso soggetto trattato con la stessa posologia, ma con
preparazioni diverse (come provenienza) contenenti lo stesso principio attivo.

È importante evidenziare che la concentrazione massima che si realizza di una stessa specie
somministrata per via parenterale, intramuscolare ed orale, si ottiene nel momento in cui questa
va ad intersecare la via endovenosa.

La biodisponibilità può anche essere estremamente diversa nello stesso individuo al quale si
somministra la stessa forma farmaceutica in diversi momenti della giornata. Questo può
essere una conseguenza del tratto gastrointestinale, ad esempio momenti della giornata in cui
si verifica maggiore acidità, stomaco pieno o digiuno, ci sono cioè degli andamenti circadiani
che devono essere presi in considerazione.

Facendo riferimento al grafico precedente si può osservare che vengono effettuate 4


somministrazioni date allo stesso soggetto (sempre due compresse di digossina da 0,25 mg
accompagnate da 100 ml d’acqua). B e C peraltro sono state prodotte dalla stessa ditta.
Nel caso A (curva A) si ha un ottimo assorbimento e si raggiunge quindi molto velocemente la
concentrazione massima, dopodiché inizia la fase di metabolizzazione e di eliminazione del
farmaco. Lo stecco vale anche per le curve B C D, dove variano però le concentrazioni massime
e i tempi massimi, variano inoltre anche le AUC.

In definitiva si può allora affermare che per valutare la biodisponibilità si deve prendere in
considerazione un elevato numero di individui ai quali viene somministrata la stessa forma
farmaceutica per la stessa via di somministrazione. Si calcola così una biodisponibilità media,
ed in questo modo si può allora affermare che, ad esempio la biodisponibilità dell’acido
acetilsalicilico per via orale è del 78%.
BIOEQUIVALENZA
Due medicinali si dicono farmaceuticamente equivalenti se condividono:
 principio attivo
 dose
 forma farmaceutica
 via di somministrazione

Ad esempio MOMENT e NUROFEN hanno in comune ibuprofene, 200 mg, compresse e orale.
Questi due, sono farmaci non bioequivalenti ma farmaceuticamente equivalenti poiché i
farmaci per essere bioequivalenti, devono dare la stessa area sotto la curva oltre ai parametri
elencati per la bioequivalenza.
In particolare, i farmaci bioequivalenti si possono mettere in commercio con nomi generici,
questo succede per i farmaci il cui brevetto è scaduto e quindi viene data la possibilità da
parte del Ministero della Salute, di commercializzare farmaci semplicemente con il nome dello
stesso principio attivo. Naturalmente tutto questo lo si può fare garantendo al Ministero della
Salute, che il farmaco bioequivalente avrà la stessa biodisponibilità della specie presa in
considerazione. I tempi di procedura per la commercializzazione di un farmaco
bioequivalente saranno nettamente inferiore rispetto a quelli per la commercializzazione di
nuovi farmaci.
In definitiva vengono accettati come farmaci bioequivalenti, quei farmaci la cui area sotto la
curva è compresa tra lo 0,8 e 1,2 in rapporto ai farmaci già in commercio, ciò significa che
sono accettate le variazioni di biodisponibilità comprese tra l’80 e il 120%. Questo intervallo
di biodisponibilità è stato accettato anche in ragione della elevata variabilità biologica
esistente.

Due medicinali farmaceuticamente equivalenti sono definiti bioequivalenti (GENERICI) se la loro


somministrazione produce curve di livello plasmatico sovrapponibili, in pratica se generano in
ciascun istante valori simili di Cp.

Per definire bioequivalenti due farmaci, non basta dire che abbiano solo l’ AUC compresa tra
l’80 e il 120%, ma bisogna valutare anche gli altri parametri, come ad esempio la
concentrazione massima, deve anch’essa rientrare nell’intervallo 80-120% e lo stesso dicasi
anche per il tempo massimo. Quindi, dal punto di vista grafico, si devono ottenere delle curve
quanto più sovrapponibili possano essere.

 I farmaci A e B hanno la stessa biodisponibilità ed hanno anche una equivalenza per la


Cmax e per Tmax e quindi si posso commercializzare come farmaci bioequivalenti.

 Il farmaco C non è bioequivalente ai farmaci A B e D perché ha una biodisponibilità


diversa, area sotto la curva diversa.

 Il farmaco D, non è bioequivalente a nessuno degli altri farmaci nonostante abbia la


stessa biodisponibilità del farmaco A e B, presenta infatti una Cmax ed un Tmax
inferiore rispetto ad A e B .

La condizione di bioequivalenza implica valori simili o identici di biodisponibilità. Invece


due o più medicinali che presentano uguale biodisponibilità non sono necessariamente
bioequivalenti.

Per parlare di farmaci generici, bisogna considerare la via orale o quella intramuscolare e non
quella endovenosa

Che cosa può influenzare la biodisponibilità e la bioequivalenza?

 caratteristiche fisiche del principio attivo incorporato nella forma farmaceutica (es.
stato ;cristallino o amorfo)
 natura e quantità degli eccipienti (es. agenti disaggreganti, agenti tamponanti);
 modalità di allestimento della forma farmaceutica (es. forza impiegata dalla macchina
comprimitrice nella fabbricazione delle compresse).
GENERICO: Secondo l’OMS è “un farmaco intercambiabile con il prodotto innovatore; il
farmaco generico può essere messo in commercio quando siano scaduti il brevetto e il
certificato di protezione complementare (CPC: consente l’estensione del brevetto fino ad un
massimo di 18 anni, dopo la scadenza, per un totale di 38 anni dalla data di deposito del
brevetto) di quest’ultimo”.
Le linee guida che garantiscono la bioequivalenza dei medicinali “generici” o “equivalenti”
(specialità contenenti principi attivi il cui brevetto è scaduto) rispetto ai corrispondenti
medicinali “generatori” sono state fissate nel 2001 dal comitato tecnico dell’EMEA (Agenzia
Europea per la Valutazione dei Medicinali) e successivamente recepite in Italia dal Ministero
della Salute. Secondo queste linee guida due medicinali sono bioequivalenti se presentano
valori della Cp massima e dell’AUC che differiscono per meno del 20%.

Esistono 2 tipi di farmaci fenerici:


1. GENERICI BRANDED: copie di specialità medicinali recanti un proprio marchio
distintivo. Sono esempi di farmaci “copia” il Sulidamor®, prodotto dalla DAMOR, e il
Mesulid®, prodotto dalla Pfizer, contenenti entrambi come principio attivo la
nimesulide, brevettata dalla Roche come AULIN®. Tutto questo naturalmente è stato
possibile farlo dopo che il brevetto della Roche era scaduto. Viene dato un nome di
fantasia che però non lascia intendere che si tratti di un farmaco generico.
2. GENERICI PURI O UNBRANDED: commercializzazione del prodotto con il nome di
nimesulide ed il nome della marca, l’identificazione della specialità è affidata al nome
del principio attivo, è il caso del generico Amoxicillina prodotto dalla Biologici Italia,
oppure dai laboratori della Lifepharma, o anche da altre imprese; o del generico
Nimesulide, prodotto da diverse ditte tra cui la EG e la DOC che hanno aggiunto solo la
marca.

VALUTAZIONE DELLA BIOEQUIVALENZADEI FARMACI GENERICI

La valutazione della bioequivalenza di un prodotto generico rispetto all’originale viene


condotta utilizzando una serie di parametri chimici e fisiologici, con procedure semplificate
rispetto alla registrazione del farmaco originale. In particolare la bioequivalenza di un
prodotto farmaceutico viene valutata dal PROFILO MEDIO DELLE CURVE CONCENTRAZIONE-
TEMPO del principio attivo MISURATO SU UN CAMPIONE DI SOGGETTI, generalmente
volontari sani, e utilizzando i parametri:

•"area sotto la curva“ (AUC) come indicatore della quantità di farmaco reso biodisponibile;
•"concentrazione di picco massimo“ (Cmax);
•"tempo di picco massimo" (tmax).

Tali parametri rappresentano gli indicatori della velocità con cui il principio attivo è reso
disponibile cioè biodisponibile.
DISTRIBUZIONE

Per avere una buona efficacia, il farmaco oltre ad avere una buona biodisponibilità deve avere
anche una distribuzione efficacia, infatti può capitare che il farmaco venga assorbito molto
bene ma poi non si distribuisce bene, allora in quel caso sarà poco efficace. La distribuzione
dipende molto dal giusto bilancio lipofilo-idrofilo del farmaco. Bisogna poi prendere in
considerazione anche il grado di legame del farmaco con le proteine plasmatiche le cui
interazioni possono trattenere il farmaco all’interno del torrente ematico influenzando così la
distribuzione. Dopo l’assorbimento, il farmaco viene distribuito ai fluidi interstiziali e cellulari.
Le modalità e l’entità di tale distribuzione dipendono da fattori fisiologici (quali la
vascolarizzazione ed il flusso ematico in un dato distretto dell’organismo) nonché dalle
proprietà chimico-fisiche del farmaco stesso, come la liposolubilità e il grado di legame con le
macromolecole proteiche plasmatiche o tissutali.

Normalmente quando viene somministrato un farmaco con una buona biodisponibilità,


questo sarà maggiormente distribuito in alcuni tessuti rispetto agli altri e questo dipende ad
esempio dal fatto che laddove si distribuisce meglio, c’è più vascolarizzazione oppure i
capillari sono costituiti da una fenestratura che si lascia attraversare dalle molecole di tale
sostanza (ex: cervello, cuore, fegato, reni organi molto perfusi). Successivamente, si avrà una
più lenta e graduale cessione del farmaco da queste sedi verso gli altri tessuti, cioè gli altri
compartimenti, fino a raggiungere, dopo un certo tempo, l’equilibrio di distribuzione, detto
steady state, cioè uno stato di equilibrio in cui la concentrazione di farmaco libero si mantiene
costante nei vari distretti organici riducendo quelle differenze iniziali dovute al diverso grado
di irrorazione o di affinità.

Per esprimere quantitativamente la distribuzione di un principio attivo bisogna fare


riferimento ad un parametro che prende il nome di volume apparente di distribuzione (Vd).
Parametro farmacocinetico che esprime per ogni farmaco l’entità della distribuzione.

Esso viene definito come il rapporto tra la quantità totale di farmaco presente in tutto il corpo
(Dt) e la concentrazione plasmatica (C) che si verifica dopo lo steady state.

Vd =
Se Dt viene espresso in mg e C in mg/L, il Vd sarà espresso in Litri. Se, invece, Dt è espresso in
mg/kg, e C sempre in mg/L, Vd sarà espresso in L/kg.

Viene definito volume apparente perché rappresenta la quantità di plasma che si dovrebbe
avere a disposizione per poter avere il farmaco uniformemente distribuito nell’organismo,
con la concentrazione pari a quella concentrazione plasmatica residua. Siccome il numero che
si ottiene è molto più grande del numero che esprime la quantità del plasma presente nel
nostro organismo, si deve allora parlare di volume apparente e non di volume reale. Quindi Vd
è detto anche volume di distribuzione apparente, per sottolineare che non è un'entità
anatomica, ma un volume teorico che indica il volume teorico che sarebbe necessario a
contenere la quantità totale di farmaco presente nell'organismo alla stessa concentrazione di
quella presente nel plasma.

Poiché la quantità Dt non può essere determinata, assimiliamo tale quantità a quella che
indichiamo con Do, cioè l’esatta quantità di farmaco somministrata per via endovenosa. Il
rapporto, allora, diventa:

Vd =

Solo in questo modo possiamo determinare Vd. Il volume di distribuzione apparente è


influenzato dalla liposolubilità e dall'entità del legame proteico.

Le sostanze con alta affinità per i tessuti extravascolari possono avere un volume di
distribuzione molto superiore a quello dell'acqua corporea totale. Ad esempio, il volume di
distribuzione apparente della digossina in un uomo di 70 kg è di circa 760 litri.
Nel sangue un farmaco può essere libero o legato a proteine plasmatiche. Mentre l'albumina
lega i farmaci acidi, l'a1-g1icoproteina acida e le lipoproteine legano preferenzialmente i
farmaci basici. Solo la quota libera di un farmaco è in grado di uscire dal letto capillare e di
raggiungere gli organi bersaglio e quelli deputati al suo metabolismo ed escrezione.

Es. influenza del legame alle proteine plasmatiche

Nel becher di sinistra, la concentrazione di farmaco è uniforme al suo interno ed il volume


apparente di distribuzione è pari alla capacità del becher (rappresentante il paziente). Nel
becher di destra è stato aggiunto del carbone attivo: ad equilibrio raggiunto, la distribuzione
del farmaco tra la soluzione (rappresentante il plasma) ed il carbone (capace di adsorbire il
principio attivo, rappresentante vari tessuti corporei) è differente. La maggior parte del
farmaco è trattenuta dal carbone, lasciando una concentrazione, C0 , minore in soluzione: in
questo caso, il volume di distribuzione risulta maggiore.
(Nel nostro organismo, alcune proteine hanno la capacità di adsorbire il principio attivo
dando così origine ad un volume apparente).

Il volume apparente di distribuzione è indice di 2 fattori:


1. Quantità di farmaco che si lega alle proteine plasmatiche;
2. Indice di quanto farmaco tenderà ad andare all’interno dei tessuti.
Maggiore è il volume apparente di distribuzione, maggiore sarà la penetrazione della sostanza
nei tessuti. Avere un elevato volume di distribuzione, significa il farmaco o si distribuisce
molto bene o che il farmaco si lega molto alle proteine plasmatiche.

Le sostanze lipofile si accumulano nel cervello e nel tessuto adiposo. Un esempio tipico sono i
tiobarbiturici che, essendo altamente lipofili, vengono prima distribuiti rapidamente al SNC e
poi si accumulano nelle masse adipose. Questo dipende anche dal fatto che l’equilibrio tra
tessuto adiposo e plasma è lento a causa della sua scarsa vascolarizzazione.

I tiobarbiturici sono dati dalla condensazione dell’acido malonico ed hanno un elevatissimo


volume di distribuzione perché non stanno bene nel plasma in quanto non è il loro ambiente
favorevole e quindi tenderanno a distribuirsi nei tessuti.

Le sostanze cariche positivamente e negativamente tendono a interagire diversamente con le


proteine plasmatiche.
Le sostanze cariche positivamente, invece, si accumulano negli acidi nucleici, in quanto i
gruppi fosforici a pH fisiologico si trovano carichi negativamente. Le sostanze cariche
negativamente si accumulano prevalentemente sull’albumina, che presenta 109 residui
cationici e 120 anionici solo che i primi sono molto più accessibili perché localizzati
all’esterno della struttura proteica.
Oltre ai legami ionici giocano ruoli determinanti ai fini della reversibilità dell’accumulo anche
altre forze secondarie quali: legami idrogeno, forze di van der Waals, interazioni idrofobiche,
etc.
La valutazione del legame farmaco-proteine è una condizione importante perché influenza i
volumi di distribuzione e poi perché si può così quantificare la quota di farmaco libera che
potrà andare a distribuirsi nei tessuti.
Ad esempio se prendiamo in considerazione la waffarina (anticoagulante), una volta
somministrato, si lega per il 99% della dose all’albumina e di conseguenza solo l’1% del
farmaco presente nel torrente plasmatico può distribuirsi esplicando la funzione
farmacologica sulle piastrine andando a competere con la vitamina K.

Se ad un individuo a cui è stato somministrata la waffarina venisse somministrata anche la


penicillina G (entrambi i farmaci si legano all’albumina), cosa succederebbe?

Si avrebbe come risultato che una certa quantità di waffarina che si era legata all’albumina,
viene spiazzata dalla penicillina G aumentano così la % di farmaco libero presente nel
torrente ematico. Bisogna quindi fare molta attenzione alla co-somministrazione dei farmaci
soprattutto per quelli che si legano alle stesse proteine plasmatiche.
Le proteine plasmatiche fanno parte, insieme ad altri componenti organici e inorganici, dei
soluti presenti nel plasma. Tra esse le più importanti sono: l’albumina sierica (60%), le
lipoproteine, le immunoglobuline, il fibrinogeno, la protrombina e le proteine di trasporto. I
farmaci antidiabetici, antiepilettici, barbiturici, O-lattamici, sulfamidici, si legano
principalmente all’albumina.

L’albumina è una proteina con un PM di 66 kD che presenta una carica netta negativa
possedendo 109 residui cationici e 120 anionici. Essa però lega soprattutto anioni per il fatto
che i residui carichi positivamente sono molto più accessibili. Generalmente, ma non sempre,
il rapporto che si stabilisce tra il farmaco e l’albumina è di 1:1.

Il fattore che influenza più di tutti la distribuzione di un farmaco è la sua interazione con le
proteine plasmatiche. Infatti, soltanto il farmaco libero da tale legame può essere distribuito ai
vari tessuti, altrimenti rimane confinato nel plasma. Per tale motivo, l’equilibrio “farmaco
libero/farmaco legato” è fondamentale nel determinare il passaggio dei farmaci ai tessuti.

Interazione farmaco-proteina
L’interazione farmaco/proteina è considerata in linea generale una reazione reversibile:

P + F ⇆ PF
dove
P = proteina libera
F = farmaco libero
PF = complesso farmaco/proteina

Il farmaco legato alla proteina è inattivo mentre solo quello libero può lasciare il torrente
circolatorio, muoversi attraverso i diversi compartimenti organici e raggiungere la sua
specifica sede d’azione, cioè la BIOFASE. Comunque, man mano che il farmaco libero si
distribuisce, l’equilibrio si sposta verso sinistra, rilasciando altro farmaco.

È possibile calcolare una costante di associazione tra il farmaco e la proteina la quale


rappresenta la possibilità che il farmaco ha di interagire con la proteina stessa.
All’equilibrio la costante di associazione Ka può essere calcolata come il rapporto tra la
concentrazione del complesso farmaco proteina [PF] e il prodotto delle concentrazioni del
farmaco libero[F] e delle proteine libere [P] :

Ka =

Il valore della Ka può dare un indice che influenza la distribuzione dei farmaci.

Per ogni farmaco, esiste una minima concentrazione efficace nella biofase (cioè il
compartimento, o meglio il tessuto, in cui il farmaco esplica la sua risposta biologica) che deve
essere raggiunta con la somministrazione affinché si evidenzi una risposta biologica, cioè è
necessaria una certa concentrazione perché l’intensità dell’azione sia sufficiente a produrre
una risposta farmacologica.
Si devono considerare le due costanti di distribuzione k1,2 e k2,1

Consideriamo 2 farmaci A e B, a cui corrispondono i seguenti grafici:

Nei due grafici sono riportate le concentrazioni ipotetiche di due farmaci A e B nel sangue e
nei tessuti. L’area tratteggiata rappresenta il farmaco legato, l’area chiara il farmaco libero. La
linea tratteggiata rappresenta la concentrazione minima necessaria per avere una risposta
biologica.
Dal grafico si osserva che il farmaco A raggiunge una concentrazione plasmatica più elevata
rispetto al farmaco B. Questo ci potrebbe indurre a dire ad esempio che il farmaco A avendo
una buona biodisponibilità, si distribuisca allora molto bene, ma ciò non è sempre vero infatti
facendo sempre riferimento al grafico, si osserva che il farmaco A pur avendo una
biodisponibilità maggiore rispetto al farmaco B presenta però una distribuzione minore
rispetto al farmaco B e di conseguenza si può affermare che il farmaco B ha una efficace
maggiore.

Dai diagrammi precedenti si nota che la concentrazione ematica di entrambi i farmaci è diversa
dalla loro concentrazione tissutale; infatti, nei tessuti può arrivare solo il farmaco libero non
legato alle proteine plasmatiche.
Nel caso del farmaco B, anche se la concentrazione ematica è inferiore rispetto al farmaco A, la
quota legata alle proteine è notevolmente inferiore, per cui esso passerà nei tessuti in quantità
maggiore del farmaco A, tale da raggiungere e superare la minima concentrazione efficace.

Consideriamo ora 4 farmaci A, B, C e D, per i quali k 1=k2=1, così da renderci indipendenti dai
parametri k1 e k2. Supponiamo, quindi, che per tali farmaci si abbia la seguente situazione:

Avremo la seguente situazione:


A: la k1,2 è molto più bassa della k2,1 per cui il farmaco si trova per lo più in circolo o meglio la
velocità del processo di distribuzione dal sangue ai tessuti è molto più bassa di quella del
processo inverso.
B e C: la situazione è intermedia
D: la k1,2 è molto più alta della k2,1 per cui il farmaco si trova per lo più nei tessuti e, quindi, si
verifica la situazione opposta al caso A.

Analizzando i due estremi:


Da tali esempi deduciamo che non sempre avere un farmaco con un’elevata concentrazione
ematica ci garantisce una adeguata risposta biologica, ma è importante anche una buona
concentrazione tissutale.
Dal plasma ai tessuti Quindi il farmaco deve essere ben assorbito (e questo è indicato da una
elevata concentrazione plasmatica) e ben distribuito ai vari organi e tessuti (elevata
concentrazione tissutale).

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