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L'approccio relazionale alle comunità per minori intese come contesti di vita volti all'accoglienza,

alla riparazione dei danni relazionali, alla partecipazione e al benessere dei suoi ospiti.
1. La prima caratteristica è considerare le comunità come luoghi in cui si possano esprimere
relazioni autentiche e curative, centrate su interventi relazionali pensati e non improvvisati
sulla logica dell'urgenza e che implicano una comprensione più articolata e integrata dei
diversi livelli, espliciti e impliciti, che consentano di decodificare il bisogno\richiesta di un
minore ferito e arrabbiato. Si rende indispensabile garantire setting regolari di
formazione\supervisione a matrice relazionale ai professionisti a cui è attribuito un compito
così impegnativo.
2. La seconda caratteristica è che i bambini e adolescenti deprivati da esperienze significative
relazionali nella loro infanzia o incorsi in eventi luttuosi o traumatizzanti, con alta
probabilità si rivolgono in età più adulta a formazioni universitarie e professioni centrate
sulla relazione e sull'aiuto a terzi.
Questo è accomunato dal desiderio di ripararsi e ripartire cioè di offrirsi una seconda
occasione per riavvicinarsi a sé e agli altri ricercando ciò che è mancato e che si sarebbe
desiderato avere, disposti ad investire su se stessi e sull'aiuto degli altri.
Le esperienze di vita comunitaria sono meno frequenti ma altrettanto necessarie a chi opera
in comunità o si predispone a farlo, sperimentando l'accoglienza residenziale.
3. La terza caratteristica è la comprensione delle rappresentazioni dell'aiuto e della relazione
che ogni individuo interiorizza nel corso della sua esperienza di vita. Non tutti i modelli
interiorizzati mettono al centro la priorità del minore.
Le relazioni vissute in comunità sono portatrici di cambiamenti solo se assumono agli occhi
di chi le vive una connotazione di significatività. Le relazioni che curano soltanto quello che
rappresentano occasioni specifiche di risignificazione della propria storia relazionale
andando a perturbare aspettative reali e consentendo nel lungo periodo una lenta ma
possibile rimodulazione dei modelli della relazione interiorizzati; possono essere relazioni
intense ma limitate nel tempo e nelle occorrenze oppure relazioni che giorno dopo giorno
consentono di superare diffidenze e paure.
Le storie che rispondono a questi requisiti narrano di eventi che possono essere unici ma
talmente perturbativi che inducono alla necessaria risignificazione dei propri vissuti e degli
accadimenti della propria storia oppure sono narrazioni che li vede trasformarsi
progressivamente e reciprocamente ad estranei a persone conosciute e riconoscibili
attraversate da esperienze e ricordi in comune.
Nei modelli relazionali l'incontro di sé concesso all'altro è governato e monitorato in
maniera consapevole dall'adulto\educatore al fine di impiegare la propria persona per
costruire e rendere visibili all'altro lo spazio simbolico sempre accessibile che
l'adulto\educatore mette a disposizione di ciascun minore preso in carico; questo è uno
spazio dove il bambino può rispecchiarsi e ritrovarsi e si dilata e si amplia nell'accoglienza e
accettazione specifica di ognuno.
L'accessibilità a un altro significativo consente al minore in comunità di poter avviare una
possibile riorganizzazione di sé, delle relazioni e del mondo ristrutturando i modelli di
attaccamento e riuscendo a pervadere a una rappresentazione sicura.
4. La quinta caratteristica è la funzione perturbativa della comunicazione che fa esplicito
riferimento a quelle capacità comunicative degli adulti di non conformarsi ai ruoli e alle
comunicazioni avversive tipiche dei contesti di provenienza maltrattanti e abusanti.
Una corretta valutazione da parte degli enti competenti delle condizioni di disagio iniziale e
un'accurata risposta delle soluzioni più indicate consentono alla comunità di intervenire con
una progettazione individuale integrata con gli altri interventi diretti all'ambiente famigliare
e finalizzata a impedire quelle condizioni di trasmissione intergenerazionale del danno a cui
vanno addebitati esiti valutativi infausti.
5. La sesta caratteristica ha a che fare con la capacità di organizzare una vita quotidiana che
risponda alla domanda di accoglienza relazionale ripartitiva di cui le nostre comunità sono
espressione. L'organizzazione di una comunità richiede agli adulti la capacità di dare corpo
a:
​ accoglienza
​ impegno
​ reciprocità
​ responsabilità
​ creatività
​ fiducia
​ sicurezza
La vita quotidiana è il luogo dove routine, regole, significati e ruoli possono veicolare una
preoccupante continuità con gli ambienti di origine e assicurare la continuità della
deprivazione, della violenza, del danno. Regole, routine, luoghi e comunicazione quotidiana
possono essere espressioni della continuità di una realtà avversa e imposta o viceversa i
tasselli di una costruzione condivisa.
(Un'adolescente lancia una provocazione verbale ad un adulto per denigrarlo del suo aspetto
fisico e riceve una risposta di rimando alle regole e al rispetto dell'altro, quindi il rimandare
al dispiacere provato attiva nell'adolescente un meccanismo di empatia).
La perturbazione emotiva implica il potersi mettere nei panni dell'altro ed è realizzata solo
se l'educatore è disposto con autenticità emotiva a restituire il proprio vissuto a chi lo sta
offendendo.
I ragazzi “casi sociali” risolvono la giustizia con un atteggiamento violento quando
percepiscono provocazioni, la natura dell'intervento di comunità ha la dimensione costitutiva
nel conflitto.
La comunità svolge la funzione perturbativa quando riesce a penetrare nelle storie dei
ragazzi intervenendone senso e direzione, nei ragazzi in comunità si evidenzia la presenza
invasiva dell'emozione della rabbia e dell'aggressività (affetti subiti nell'infanzia).
Eventi negativi e la mancanza di un origine sono elementi traumatizzanti per un bambino in
quanto non gli consente di strutturare pensieri e spiegazioni per ciò che accade e a livello
comportamentale strategie di fuga o di evitamento che lo proteggono dal pericolo e gli
assicurano salvaguardia fisica o psicologica, quindi l'espressione della rabbia e
dell'aggressività si pongono come correlati interni di un aggressività vissuta a livelli estremi
di coinvolgimento con figure genitoriali imprevedibili, spaventanti e non adeguate.
Entrambi i versanti costituiscono un nucleo potenzialmente distruttivo per molti di questi
adolescenti, tradotte in comportamenti antisociali a scuola, in famiglia, nelle eventuali
famiglie affidatarie o nelle precedenti esperienze di accoglienza, dall'altra parte il rischio è
quello della ripetizione dei modelli relazionali interiorizzati e delle loro valenze disadattive.
Queste rappresentazioni interne non concedono spazio alla elaborazione del passato
ritornando su se stesse e rendendo l'individuo incapace di cogliere valenze relazionali
giocate si affetti diversi da quelli pervasivi che invadono il suo mondo interno e la sua
visione di se stesso, degli altri e delle relazioni con le altre persone, la conseguenza è la
precoce adultizzazione di molti e di conseguenza le condizioni di disagio in cui il bambino e
la sua famiglia si sono trovati a vivere.
Molti dei giovani sono di varia provenienza etnica e cultura, spesso vittime di guerre e
difficoltà economiche nei loro paesi di origine che hanno comportato l'emigrazione verso
l'Italia.
La precoce necessità di sopravvivere a tante prove risulta nell'autonomia ostentata dai
ragazzi e nella loro insofferenza alle regole ed agli adulti, rispetto ai quali spesso non
riescono ad instaurare legami d'intimità e fiducia. La violazione degli altri e delle regole è la
risposta frequente ai tentativi di vicinanza messi in atto nei loro confronti dalle persone che
si prendono cura di loro.
L'intimità e la fiducia sono due aspetti delle relazioni sconosciuti in tali contesti e
difficilmente accordabili dalla maggior parte dei ragazzi di comunità.
E' difficile apprendere a riconoscere le persone degne di fiducia sulla base di un'esperienza
in cui ognuno e ogni luogo nasconde un pericolo e in cui tutto può cambiare
imprevedibilmente e senza una ragione, un'altra difficoltà riguarda le capacità di pensarsi e
di pensare il futuro di questi giovani cresciuti in un mondo di espedienti basati sul qui e ora
e sull'immediato bisogno di arrivare al giorno dopo senza morire, per molti il futuro coincide
con il domani quindi il senso del tempo e dei tempi è un concetto distorto.
Il problema della modulazione delle distanze per entrare in contatto con questi ragazzi senza
colludere con le loro trasgressioni, fornendo modelli stabili accettanti e con la
consapevolezza che proprio in questo ruolo sono necessarie frustrazioni e improvvise cadute
delle acquisizioni raggiunte talvolta con gran fatica.

Le comunità possono configurarsi, nella molteplicità delle scelte strutturali e organizzative come
contesti strutturati per favorire l'esercizio di funzioni protettive nei confronti dei minori ospiti, le
quali contrapponendosi ai fattori di rischio di partenza mettono in atto una continua e continuativa
costruzione di relazione in cui la figura adulto\educatore gestendo processi di FORMAT,
TUTORING e SCAFFOLDING sostiene e accompagna il minore nel percorso di cambiamento e di
ridefinizione di sé, nel recupero dei significati da attribuire alla propria condizione e nella non
estensione pervasiva dell'iniziale situazione di svantaggio a tutto il sistema di personalità,
consentendo la possibilità di un assunzione di un sentimento di responsabilità e di
autodeterminazione funzionale rispetto ai propri percorsi di crescita.
SETTING ESTERNO → il contesto di vita quotidiana nel quale si estrinseca la vita comunitaria
SETTING INTERNO → spazio simbolico-dimanico definito dai vissuti emotivo-affettivi, dai
modelli culturali, dalle rappresentazioni mentali dei soggetti in relazione nella loro dimensione
intracontestuale, focalizzando l'attenzione sulla diade minore-educatore, educatore-educatore,
minore-minore fino a considerare in un'ottica interattivo-dinamica la ricorsività dei processi che
coinvolgono simultaneamente tutti gli attori del sistema nelle loro reciproche interazioni.
La comunità si configura come un sistema complesso e mette in campo una variegata costellazione
di variabili di tipo dinamico, orientate a ricostruire le dimensioni portanti della vita quotidiana
riproducendo un articolato campo relazionale che fonda sulla dimensione dell'intesoggettività il
criterio fondamentale per l'attivazione di processi evolutivi che attraverso la relazione educativa
implicano, una condivisione di “stati interni” dalle forti implicazioni psicodinamiche dove gli esiti
devono essere considerati come imprescindibili fattori di comprensione e interpretazione delle
dinamiche relazionali e dei meccanismi di simbolizzazione affettiva del contesto di interazione,
questo implica che la comunità su rivela come l'esito delle complesse processualità co-costruite e
co-determinate dai soggetti che condividono il contesto\ambiente fisico.
Il modello parte dalla considerazione che la complessità insita nelle sovrastimilazione emotiva a cui
sono sottoposti gli educatori in comunità porta a lavorare perminentemente sui vissuti degli
adulti\educatori, sui loro conflitti interni, sulle loro storie famigliari\relazionali precoci, sulla
necessità di dare risposte a interrogativi che non hanno ancora trovato una chiara formulazione
razionale\esplicita, questo mette in evidenza come il lavoro sul caso sia un pretesto\input per aprire
uno spazio di parola sull'adulto\educatore e dell'adulto\educatore aiutando il campo di riflessione ed
elaborazione finalizzata all'intervento riservato al minore.
Risulta necessario adottare un modello, che invece di riproporre la rigida dicotomia centrata sulla
contrapposizione tra spazio di lavoro sui vissuti dell'adulto come riduzione al silenzio della parola
sul minore, invece dare spazio al lavoro sul caso come evitamento del lavoro sui contenuti
emozionali dell'adulto\educatore, quindi risulta necessario lavorare sull'integrazione di due momenti
interrelati: la formazione come spazio di consapevolezza dei vissuti dell'adulto.
La supervisione si occupa di sostenere l'equipe educativa nell'impiego costante a far funzionare
dinamicamente il sistema comunità, e parte da una corretta analisi della domanda dell'inviante del
caso e prosegue con un'oculata comunicazione con la rete, con un'accurata progettazione e
valutazione del progetto educativo sul singolo caso e la realizzazione di un ambiente di vita
quotidiana che non perde mai le sue caratteristiche o cura.
L'integrazione fra il funzionamento del setting esterno (supervisione) e il setting interno
(formazione) permette di monitorare e sostenere la realizzazione di un contesto interattivo che
garantisca la stabilità relazionale dell'ambiente affinchè la stabilità si configuri come “base sicura”
orientata alla promozione del minore incrementandone l'autoefficacia nel presente, sicurezza nel
futuro e ristrutturazione delle componenti del proprio passato.
L'attenzione sull'esplicitazione e la consapevolezza dei sistemi rappresentazionali impliciti cche
indirizzano direttamente e indirettamente gli interventi educativi che consentono di indagare la
capacità dei modelli culturali degli educatori.
ANCORAGGIO MOTIVAZIONALE → sono quell'insieme di credenze sia esplicite che implicite
alle quali l'educatore fa riferimento nella giustificazioni del suo operato, ancoraggio al ruolo
“normativo” implica per l'educatore l'idea che ciò che compete principalmente il suo impegno
educativo in comunità sia stabilire con i minori delle regole, farle rispettare e richiedere le ragioni
per l'assenza del rispetto o nella loro trasgressione.
Il lavoro sugli ancoraggi consente di rendere espliciti e manifesti agli educatori i sistemi impliciti
che motivano l'azione e l'intervento educativo.
La formazione deve soffermare l'attenzione anche sui modelli culturali che orientano i sistemi di
alleanza messi in atto dagli educatori nella loro dimensione simbolico-affettiva.
Il supporto offerto dal formatore al gruppo rispetto all'acquisizione di una specifica
metodologia:l'analisi della domanda, necessita di una specifica competenza ovvero quella di leggere
e interpretare i processi in atto nella relazione educativa attraverso lo strumento di analisi della
domanda che si configura come una dimensione metodologica e che può:
​ facilitare l'instaurazione di una relazione efficacemente terapeutica per il minore
​ mettere l'educatore nelle condizioni di riflettere sui bisogni dell'altro monitorando
l'attivazione dei propri vissuti
L'analisi della domanda consiste nell'introduzione della riflessione sul contesto nei suoi aspetti
relazionali, per favorire la sospensione di tutti gli agiti collusivi, quindi l'analisi della domanda
consiste negli atteggiamenti mentali che l'educatore dovrebbe acquisire per considerare le diverse e
possibili strategie di intervento da mettere in atto per orientare il comportamento avendo ben chiare
le implicazioni insite in ogni esperienza interattiva.
Il lavoro formato consente di cogliere la dinamica emozionale generativa dei comportamenti, delle
azioni, delle interazioni, dei modelli relazionali e degli agiti intracontestuali, permettendo di
guardare al sistema di comunità come derivato dinamico della relazione individuo-contesto.
La complessità delle dinamiche messe in atto nella relazione educativa consente di rilevare che
all'interno del contesto relazionale, gli educatori non sono “immuni” dall'attivazione delle emozioni
e vissuti soggettivi, l'educatore è un professionista dell'educazione e la relazione educativa in
comunità attiva la dimensione del Sè, quindi l'educatore nell'interazione con il minore può impattare
con delle parti di sé attivate dal minore preso in carico.
L'educatore deve anche fare i conti con la rappresentazione delle figure genitoriali interiorizzate, la
relazione educativa attiva anche il sé genitoriale simbolico.
La formazione è intesa come un lavoro di notevole complessità che impegna il formatore in un
processo di analisi di oggetti diversi che si collocano su diversi livelli che contengono angosce e
difese inconsce che chiedono di essere riconosciute ed elaborate per evitare di produrre agiti
collusivi disfunzionali per il minore.
La supervisione rappresenta un livello di lavoro in cui le energie del gruppo vengono canalizzate
dal supervisore sull'apertura di spazi di riflessione orientati a elaborare strategie di intervento
centrate su una forte alleanza con il minore e le sue reali esigenze e aspettative.
La comunità per minori come opportunità relazionale di cura richiede uno spazio fisico, affettivo e
mentale dove gli educatori possono essere aiutati a non colludere con le dinamiche attive nelle
interazioni con i minori, essendo costantemente sostenuti nel mantenere una disponibilità
all'autentica accoglienza dell'altro con un centraggio sulla realtà della richiesta d'aiuto.
Gli obbiettivi della supervisione sono:

1. promozione e stabilizzazione di una cultura dell'organizzazione incentrata su


un'impostazione relazionale finalizzata all'accoglienza
2. effettuazione di un analisi della domanda che proviene dall'altro
3. progettazione di interventi sul minore

Il supervisore aiuta l'educatore a:

1. prevedere il raggiungimento di tappe evolutive del minore


2. favorire la costruzione di schemi dell' “essere con”
3. dare un contenuto pensabile alle percezioni e alle sensazioni che all'inizio sono prive di
sensore psichico
4. costruire una storia condivisa con il minore stesso e che possa sentirsi parte attiva inclusa e
dinamicamente proiettata nella continuità tra passato, presente e futuro.
Dal punto di vista teorico-metodologico l'analisi dei casi viene fatta in modo prevalente sulla
strutturazione di interventi in chiave d'attaccamento.
In comunità troviamo minori traumatizzati per i quali l'esperienza della mentalizzazione si
configura come fortemente compromessa, in quanto non hanno avuto la possibilità di costruire
modelli operativi interni di sé.
I teorici dell'attaccamento hanno identificato forti correlazioni fra la sicurezza dell'attaccamento e le
capacità del bambino di comprendere gli stati mentali, la mentalizzazione come capacità di vedere
se stessi e gli altri in termini di stati mentali si acquisisce facendo esperienza dei propri stati mentali
come oggetto di riflessione della figura di attaccamento.
Questi minori non sono sicuri di sé in quanto hanno sperimentato il fallimento dell'organizzazione
di sé, nella capacità di modulare i propri stati affettivi per giungere alla regolazione affettiva, questo
genera minori disorganizzati con tendenza all'acting.
Questi minori sviluppano un sé estraneo in quanto la disorganizzazione del sé porta alla
frammentazione delle relazioni di attaccamento, in tutte le relazioni intime; i minori possono
incorrere negli esiti psicopatologici riferibili all'organizzazione borderline che sottendono sia ai
disturbi della personalità sia ad alcuni disturbi dell'asse I del DSM- IV.
La supervisione assume il compito fondamentale di portare gli educatori all'imprescendibile
costruzione\strutturazione di dinamiche e processi relazionali ed emotivo-affettivi, che consentono
la realizzazione di un ambiente che interviene sui casi di deprivazione\maltrattamento, ricercando
uno specifico setting che deve essere teso a recuperare, ricostruire, attualizzare le primarie funzioni
strutturanti fallite, intervenendo il percorso di sviluppo disfunzionale determinato e avviato dai
precoci fallimenti ambientali.
La supervisione è rivolta a sostenere l'educatore nella costruzione di un adeguato contesto
relazionale con il minore, aiutando l'educatore a capire quali strategie educative possano consentire
l'emersioni delle parti scisse del minore inseguito ai decifit di mentalizzazione.
La relazione educativa può facilitare la riattivazione della capacità di mentalizzazione inibita da
processi evolutivi disfunzionali e fornire un'esperienza emozionale correttiva come strumento di
intervento sul protomentale e sulle modalità relazionali e comportamentali, questo permette di
instaurare una relazione con l'altro che può diventare una base sicura attraverso la quale riuscire a
dare nuovi contenuti alla organizzazione e rappresentazione del proprio sé.
Gli adolescenti che hanno vissuto esperienze di abusi e maltrattamenti nell'infanzia sono in grado di
elaborare positivamente la loro esperienza e il maltrattamento o l'abuso si disancoreranno
dall'ambito della psicopatologia.
Il compito della relazione educativa in comunità è quello di far pensare ai minori a sé e l'altro nella
relazione, l'obbiettivo della relazione è quello di raggiungere una sufficiente affettività mentalizzata
che rappresenta la comprensione esperienziale dei sentimenti in un modo che va oltre la
comprensione intellettuale.
Il supervisore deve fornire agli educatori una griglia mentale di riferimento con gli stili del minore,
con monitoraggio quotidiano dello stile relazionale.

DA CHE PARTE STO? Ci sono situazioni in cui si devono dare risposte davanti ad una cultura
istituzionale (regole e procedure) che non sempre da risposte adeguate.
Per capire il fondamento istituzionale è necessario comprendere le caratteristiche fondamentali che
hanno a che fare con quella istituzione.
La matrice istituzionale serve per adottare una matrice relazionale (mantenere attiva la relazione
con l'altro e deve avere come centralità la persona), mentre la matrice interpersonale significa usare
la propria persona per l'altro e questa si usa molto nel campo dell'educazione.
Se si interiorizza solo la cultura istituzionale ci si attiene solo al profilo istituzionale e non si mette
in atto la matrice relazionale quindi c'è poca attenzione per il singolo e quindi non sono in primo
piano le relazioni fra le persone, questo fenomeno si chiama DEPERSONALIZZAZIONE DELLE
PERSONE.
Quindi, gli educatori devono analizzare la domanda nel corso di tutta la loro carriera tramite un'
ATTENZIONE RELAZIONALE, ma comunque mantenendo una distanza affettiva dalle persone o
meglio mantenere la giusta distanza.

ILENIA
​ entra in comunità di sua spontanea volontà all'età di 15 anni perchè ha grosse
incomprensioni e litigi con la madre, voleva una pausa (quindi la riduzione del rischio è
nella riduzione del contatto con la madre, per aiutare Ilenia nei suoi processi evolutivi)
​ sembra arresa, triste, depressa con una grande chiusura in sé stessa (non bisogna
minimizzare i sintomi di bambini e adolescenti attraverso il linguaggio del corpo)
​ la comunità disponibile è quella di bambini con ingresso fino ai 6 anni, ma i responsabili
decidono di farla entrare comunque
​ Ilenia ha un forte vissuto di solitudine
​ Educatori hanno una visione molto steriotipata dei giovani in quanto dicono che Ilenia è
triste perchè non passa tempo con i ragazzi della sua età e non fa cose da “giovani”, quindi
quando c'è un pensiero che dal singolo si estende al gruppo cercando caratteristiche generali
si inciampa nel → PREGIUDIZIO
​ la gravità del problema non è il primo obbiettivo da conseguire in quanto una situazione
difficile incide sulla persona e spesso quest'ultima rimuove il dolore che ha provato
​ Ilenia si occupa dei bambini e stando con loro si sente felice, amata e indispensabile per loro
quindi non ricorre a misure di difesa dal mondo
​ richiesta di trasferimento presso una comunità di adolescenti voluta dagli educatori, lei in
quella comunità per adolescenti non voleva starci tanto che molte volte cerca di tornare alla
prima comunità, in questa situazione gli educatori pensano di aver sbagliato quando l'hanno
messa nella prima comunità perchè non aveva contatti con i giovani

​ Nessuno chiede il parere a Ilenia prima dell'inserimento, durante la vita comunitaria con
bambini più piccoli, quando la spostano in una comunità per adolescenti e non si curano di
lei neanche dopo averla spostata in un'altra comunità dove non voleva stare
​ vedeva la prima comunità come un luogo protetto dove non doveva interagire con la madre
e avere a che fare con i suoi coetanei dove il rapporto sarebbe stato più difficile di quello
avuto con i bambini
​ la comunità che l'accoglie (bambini) non la vede come risorsa e l'allontana in un'altra
comunità (adolescenti) dove si chiude in se stessa
​ esperienze relazionali di matrice genitoriale emotivamente ricche e rassicuranti consentono a
chi è stato deprivato di queste esperienze nel periodo evolutivo tipico di riappropiarsene,
vivendo routine relazionali tipiche dell'infanzia
​ Ilenia, adolescente allontanata da una madre con cui ha una relazione conflittuale ora è
accolta da altre figure materne e si trova a suo agio in questo ambiente caldo ed accogliente,
dove si trova bene con i bambini e per niente bene con i suoi coetanei
​ i piaceri che Ilenia prova in una comunità dove i tempi, gli spazi, le cure, la routine e la
comunicazione sono pensate per il benessere dei bambini piccoli nasce dal fatto che è
proprio grazie a queste condizioni che lei sta bene e si sente di aver accesso a una salvifica
regressione ovvero a una dimensione infantile di cura, affetto e protezione; esperienza a lei
negata in età infantile n quanto non aveva una relazione appagante con la madre
​ la comunità per bambini le da ora la possibilità di integrare più armoniosamente e con più
equilibrio le sue parti infantili con le sue parti adolescenziali\adulte
​ nella prima fase di inserimento nella comunità ha bisogno di riprendersi e di recuperare una
dimensione di accoglienza, affetto e accudimento materno per poi solo successivamente
riaffacciarsi nel mondo adolescenziale\adulto con maggior sicurezza e con un desiderio
evolutivo compiuto
​ la ripresa passa attraverso fenomeni di chiusura o di regressione che sono funzionali al
processo evolutivo e alla riparazione delle carenze subite, quindi l'allontanamento dalla
comunità dove aveva trovato rifugio è stato vissuto come un nuovo rifiuto dal mondo adulto
materno a lei nuovamente precluso.

FRANCESCA

​ entra in comunità a quattro anni, affamata


​ era molto sorridente ma un sorriso di resa versa i più forti, era piena di solitudini, emozioni
congelate e rimozioni importanti
​ era una bambina tranquilla, la si metteva in un posto e ci rimaneva finchè non la spostavano,
aveva sempre il sorriso e si guardava intorno solo quanto nessuno la vedeva
​ Francesca non chiedeva niente, le andava bene il cibo, il posto a sedere, le magliette
vecchie, i giocattoli che le lasciavano etc.. ma voleva una famiglia diversa da quella che gli
era capitata
​ voleva una madre e quando doveva incontrare la sua vera madre iniziava a scalciare e urlare
non la voleva vedere
​ entrata in comunità non le si è potuta cercare un'altra madre in quanto il primo pensiero è
stato farla rincontrare con la madre, il padre e tutti i parenti in quanto era il periodo di
valutazione di competenza genitoriale
​ aveva un ritardo evolutivo ma tanta voglia di imparare, di crescere, di essere amata e
coccolata
​ chiedeva con insistenza una mamma vera
​ i progetti educativi comprendevano il recupero della relazione con la famiglia d'origine e la
riparazione dei danni subiti da Francesca dovuti alla trascuratezza e inadeguatezza
dell'ambiente d'origine
​ Francesca cresce e inizia ad apprendere la cura di sé, con l'attenzione degli educatori impara
il valore della sua persona, con la lettura il valore della conoscenza e con la convivenza la
possibilità di esprimersi senza timore ma continuava a rifiutare il contatto con la famiglia
d'origine e mostrava stress al rientro dagli incontri e il desiderio rimaneva quello di avere
una vera famiglia
​ si avvia la procedura per l'adottabilità ma la madre naturale chiede di poterla avere con sé
quando Francesca ha ormai 8 anni e non volesse stare con la madre
​ la comunità ha dovuto arrendersi
​ oggi Francesca ha 12 anni e vive con la madre presso la comunità che è riuscita ad
accoglierle entrambe

​ Il tribunale ha prediletto la genitorialità di una madre non presente ai desideri di un bambino


quindi c'è una situazione dove è presente il conflitto tra: la scelta che privilegia i desideri del
minore e il diritto alla genitorialità
​ visto l'altro rischio di fallimento l'azione protettiva della comunità è fondamentale e svolge il
ruolo di un contenitore materno simbolico e dona alla fragile relazione il tempo di costruire
una storia condivisa, di conoscersi e riconoscersi; la comunità si costituisce come uno
sfondo genitoriale integratore consentendo a questo legame di diventare più saldo e
resistente
​ una madre “non sufficientemente buona” è stata una “figlia non sufficientemente amata” e
incapace di introiettare nella prima infanzia un modello di genitorialità responsiva,
sintonica, accudente e amorevole e ha permesso con l'entrata in comunità di lei e la figlia di
evitare che Francesca una volta madre commetta i suoi errori
​ il desiderio di volere la figlia da parte della madre per tradursi in comportamenti genitoriali
reali che mettano in campo comportamenti di cura sistematicamente prevedibili ed efficaci
ha necessità di un contesto di accoglienza stabile e sicuro
​ la comunità ha impedito la disgregazione della relazione madre\figlia supportandole.
Le nostre comunità hanno bisogno (dove non ci sia pericolo per i minori come abusi o violenze) di
trasformarsi da luoghi di accoglienza dei figli a luoghi riparativi e supportivi delle relazioni con i
famigliari, consentendo ai genitori e ai figli di integrare con le esperienze fallimentari passate quelle
nuove di segno positivo.

KHALID
​ Khalid figlio di una donna martoriata dal marito padrone che aveva come bersaglio la
moglie spaventata e il figlio che coraggioso senza mostrare paura o dolore affrontava il
padre
​ per anni Khalid aveva riconosciuto lo sguardo impaurito della madre e aveva fronteggiato il
padre senza avere paura e senza mostrare il dolore
​ la madre li temeva entrambi, il padre per la violenza e il figlio perchè diventava sempre più
simile al padre
​ Khalid non si piegava difronte al padre, non chiedeva di fermarsi lo guardava negli occhi e il
padre lo picchiava sempre di più senza fermarsi difronte agli occhi impauriti della madre
ormai immobilizzata perchè incapace di proteggere il figlio (sia quando era piccolo sia ora
che è un ragazzo)
​ va in affidamento ma la famiglia affidataria lo manda via di casa, la madre non lo vuole più
a casa e allora Khalid entra in comunità
​ nei primi tempi in comunità si impegnava per trattenere la rabbia quando anche le più
piccole ingiustizie arrivavano nella vita quotidiana
​ con il tempo Khalid inizia a far esplodere la rabbia e la rabbia a diventare furia (spaccava
sedie, piatti, bicchieri) e urlava di voler tornare a casa ma la madre non se la sentiva di farlo
tornare a casa e quando gli e lo comunicavano lui annuiva ma il suo corpo pretendeva di
tornare a casa presto
​ con il passare degli anni aumentano le parole urlate e anche i gesti violenti, Khalid non tenta
più di reprimere la rabbia e gli educatori si erano arresi
​ gli altri ragazzi lo temevano e lui temeva il potere acquisito che lo avvicinava sempre di più
al padre che tanto odiava
​ gli educatori arrivano anche a compromessi con lui per evitare discussioni andando contro i
principi della comunità
​ Khalid voleva solo tornare a casa e il giudice dopo aver deciso che non poteva stare in
comunità lo rimanda a casa
​ tre settimane dopo Khalid fu cacciato di casa dalla madre e gli educatori si sono trovati
davanti a un bivio: mandare Khalid in un'altra comunità dove si sarebbe sentito ancora più
solo e abbandonato o riprenderlo in comunità rischiando di rompere gli equilibri ristabiliti
con la sua uscita, così gli educatori decidono di mandarlo in un altra comunità

​ I ragazzi arrabbiati spesso portano dietro di sé storie di ingiustizia non riconosciuta e non
riparata
​ il vissuto di un bambino poi di un ragazzo tradito nei suoi diritti evolutivi fondamentali che
non ha trovato accoglienza ma violenza all'interno della famiglia dalla quale è stato rifiutato
e allontanato prova un senso di profonda ingiustizia e porta a diffidenza verso un mondo che
sente ostile e avverso
​ questi ragazzi che hanno vissuto la violenza hanno una sensibilità molto alta a cogliere ogni
sfumatura di ingiustizia e quando la richiesta di giustizia non viene accolta conduce al rifiuto
del ragazzo, al suo isolamento, alla punizione e all'esclusione dal gruppo con conseguente
espulsione
​ l'esito di questo processo ha un “vantaggio” a breve termine ovvero la conferma
dell'efficacia preditiva dei propri modelli interiorizzati
​ a un livello più profondo la rabbia corrisponde come risposte a un vissuto di profonda
ingiustizia non riparata e sostiene emotivamente l'individuo dalla possibile caduta in
depressione in quanto a rabbia è un sentimento vitale e mantiene elevati i livelli di
attivazione proteggendo l'individuo da un dolore antico e profondo la cui consapevolezza
porterebbe a cadute depressive
​ i ragazzi che hanno subito ingiustizie potenti e reiteranti tradimenti confermano il profondo
vissuto di ingiustizia mantenendo attivo il sistema difensivo caratterizzato dalle
manifestazioni di rabbia e aggressività
​ il passato di ingiustizia famigliare non può essere pervenuto, minimizzato e richiede un
tentativo di riparazione
​ per compiere il processo riparativo gli educatori devono pervenire alla consapevolezza che
spesso diventano i destinatari di un'agressività deviata rispetto al bersaglio originale
​ la comunità può accogliere la rabbia del ragazzo riconoscendone la legittimità e
restituendone un' ALLEANZA EMOTIVA (mettersi nei panni dell'altro e dire che la rabbia
che prova è comprensibile e che anche tu la proveresti al suo posto)
​ la costruzione di un'alleanza emotiva è propedeutica a qualsiasi intervento educativo e\o
psicoterapeutico perchè consente alla persona di sentirsi compresa e non giudicata
​ bisogna proporre un piano didattico di condivisione della rabbia, interrompendo il vissuto di
solitudine che l'aveva determinata, tramite una condivisione non collusiva del proprio
vissuto emotivo (spiegare che senti la sua rabbia e che insieme potete farcela e spiegare che
quando sente di arrabbiarsi può venire da te)
​ il secondo passaggio è contestualizzare l'emozione provata aiutando la persona a
comprendere se e come è possibile rimuovere la causa (spiegare che capisci quello che
prova cercando di spiegare come si può allontanare la causa) questo consente di costruire
un'alleanza di lavoro
​ partendo da un alleanza emotiva aiuta a costruire un primo ed essenziale patto educativo con
il ragazzo che si focalizza su obbiettivi reali contingenti e perseguibili
​ l'alleanza sul lavoro introduce uno spostamento dinamico dalla fonte di rabbia (ingiustizia e
il non poter tornare a casa) all'attualità (ora); si aiuta il ragazzo a transitare dalla solitudine
rabbiosa senza orizzonti al qui e ora nel quale si può so-stare con altri
​ in comunità si può provare a riprendere, tramite la mediazione degli educatori, la
comunicazione con la madre con l'obbiettivo di sostenere il dialogo tra madre e figlio
proteggendo l'uno e l'altra dalle reciproche emozioni, introducendo terzietà rassicuranti con
conversazioni emotivamente neutri rispetto al conflitto latente e non latente in atto, in
quanto il rapporto madre\figlio connotato da emozioni così potenti e pervasive vanno
protetti, dosati e curati
​ la comunità deve sostenere processi di riavvicinamento familiare con competenza,
attenzione e corretta tempistica per evitare la reiterazione dell'espulsione.

MARIA
​ Entra in una comunità di osservazione e accoglienza per mamma-bambino la signora Maria
con il suo quinto figlio, non è nuova alla comunità in quanto c'era già stata con la seconda
figlia che poi aveva abbandonato volontariamente e poi affidata al padre, la primogenita era
affidata a una zia, terza figlia affidata al padre e la quarta viveva nella comunità per minori
vicino alla comunità madre-bambino dove si trova ora Maria
​ con la nascita del quinto figlio c'è stato un inserimento in comunità per valutare le
competenze genitoriali di Maria che generava con molta facilità ma che poi non sapeva
prendersi cura dei suoi figli e il padre del bambino che è anche il padre della quarta bambina
era d'accordo con questo inserimento in comunità
​ Maria dice che quando è incinta i suoi figli non gli danno fastidio ma una volta nati si ferma
per un po' poi rincomincia, dice che i servizi dicono che l'aiutano quando si ferma, dice che
è la seconda volta che arriva in comunità e spiega che può stare con il figlio di giorno e
quando si stanca lo lascia alle educatrici che lo lavano, gli danno da mangiare e lo portano a
dormire nella casa dei minori. Alla mattina, dice che se lo fa portare, e non sempre è
soddisfatta di come lo trattano in quanto lo reputa sporco e le tutine costose che gli compra
sono grige dice di volerle lavare lei per lavarle bene e che vuole suo figlio pulito; parlando
della bimba (di quando va di là nella casa minorile) dice che la bambina non la guarda e ha
sempre i capelli disordinati e allora Maria sgrida le educatrici e dice che la bambina deve
sempre avere i capelli ordinati e i vestiti puliti (i vestiti costosissimi che lei gli compra
perchè dice di spendere tutti i suoi soldi per i vestiti dei bambini), alla fine ammette di essere
ancora incita
​ La bambina invece dice che vede i suoi genitori ogni tanto, dice di vivere li con bambini ed
educatrici gentili, dice di saper che la madre è tornata e che aveva il fratellino con lei e le
sere il bambino va con lei nella casa minorile a dormire e la madre passa ogni tanto la
mattina per vedere come sta il bambino e quando vede il bambino si mette ad urlare contro
le educatrici perchè lo ritiene sporco, dice che ogni tanto si mette di fronte a lei e la inizia a
guardare focalizzandosi sui capelli che non sono mai come dovrebbero, dice che la madre
dice di comprare i vestiti costosi perchè lei i soldi ne ha e ne ha tanti.

​ Il dilemma è sostenere il diritto di ogni figlio alla genitorialità o il diritto di ogni adulto alla
generatività
​ nei casi di reiterate gravidanze e nascite dopo allontanamenti dai figli quanto è possibile e
corretto sostenere una madre che ha già fallito più volte nel prendersi cura dei propri
bambini
​ quanto il supporto alla costruzione del legame con l'ennesimo figlio può prevenire una
trascuratezza precoce ma rappresentare un processo di separazione da una genitrice non
capace di provvedere ai propri figli
​ questo caso ci consente di comprendere che siamo di fronte ad una donna reiterante i propri
modelli di genitorialità strutturati sulla dimensione della delega e con contenuti rigidi e
poveri e la genitrice esige che la comunità provveda ai suoi bisogni\diritti
​ la pulizia è il nucleo centrale della cura ed è lei a voler provvedere al lavaggio dei vestiti non
fidandosi delle educatrici ma è disposta a delegare alle stesse educatrici tutte le altre
funzioni genitoriali
​ alla quinta nascita (reiterazione di un processo ormai noto) la comunità sceglie di osservare
ancora cosa possa modificarsi nello sguardo verso il proprio figlio che continua nelle sue
gravidanze e i successivi abbandoni, ma viene registrata una reiterazione di una routine
ormai nota → delega dei figli, controllo operato delle educatrici, rivendicazione e
gravidanza finale (sequenza nota e si ripropone con la stessa escalation)
​ la donna ha gravi carenze d mentalizzazione e progettazione
​ la donna vive delle gravidanze reiterate, della delega dei propri figli e l'ossessione dei
lavaggi come a dover ripulire e contrastare la sporcizia invasa e invadente derivante dal
processo che si avvia con l'impregnazione, prosegue con la nascita e si conclude con
l'abbanddono
​ questa donna non ha consapevolezza delle sue difficoltà materne che attribuisce a terzi
​ c'è il rischio che queste giovani mamme alle quali vengono tolti i figli perchè nelle
esperienze pregresse vengono ritenute inadeguate, sostituiscano il figlio mancato con nuovi
figli e nuove gravidanze a inoltranza
​ il tema dell'intervento di comunità quando si coglie il limite, il limite qui è rappresentato dal
sostegno alla genitorialità che è così presente e vissuto da tutto il contesto da essere
annunciata la sesta gravidanza
​ urge il tentativo di presa in carico psicologica e\o psicoterapeutica dove ci sono potenzialità
nelle risorse della donna e opportunità reali
​ alla comunità compete il compito del sostegno alla separazione, dell'accompagnamento a
ridurre la portata traumatica di questo processo con il tentativo di favorire una riflessività
materna che è completamente assente, inoltre deve sostenere i piccoli nelle azioni quotidiane
nelle interazioni di cura che possono riparare un contenitore materno totalmente bucato per
prevenire esiti disadattivi futuri proprio sul piano della genitorialità che si sviluppa nella
prima infanzia.

CLAUDIO
​ a settembre spostano Claudio di comunità, dice che erano due anni che stava nella vecchia
comunità e si era abituato, lui ci stava bene ma si domanda se non fossero gli altri a stare
male con lui ammettendo che neanche lui sta bene con lui e dicendo che se potesse se ne
andrebbe con “tutte le pasticche che mi danno”, la comunità è più vicina alle sue sorelle ma
più lontana dalla scuola che però avrebbe dovuto frequentare (Ragioneria), vede le sorelle
ogni tanto e a scuola ci va ogni giorno
​ il tutore dice che Claudio deve essere trasferito e nel paese dove stanno le sorelle c'è un
posto in comunità però la scuola deve rimanere la stessa in quanto il cambio di comunità è
già più che sufficiente
​ Il preside di Ragioneria dice che la scuola è molto complicata e che Claudio ha avuto molti
problemi negli anni quindi sarebbe meglio trasferirlo in un altra scuola tipo Agraria in
quanto la ritiene più adatta a lui perchè si sta all'aria aperta; l'insegnante di sostegno ribatte
che non si può trasferire in quanto il suo tutore non autorizza, quindi la scuola procede con
le attività integrative ad orario ridotto con il sabato presso un centro ippico, così gli
educatori pensano che nessuno pagherà mai per il centro ippico e che a scuola si sono
inventati l'orario ridotto perchè non lo vogliono
​ Claudio replica che nessuno gli ha chiesto cosa volesse lui

​ Qui vediamo un conflitto fra le istituzioni che anche se teoricamente condividono la stessa
finalità si contrappongono sull'interpretazione e sulle modalità di attuazione di questo
diritto, da una parte c'è la comunità che non vorrebbe rinunciare al diritto dei
bambini\ragazzi di frequentare la scuola per l'intero orario previsto, poi c'è il tutore e le
richieste delle istituzioni che sembrano rivolte a tutelare l'istituzione dall'onere di sopportare
questi ragazzi difficili da educare
​ come può la comunità inserire ragazzi che la scuola sta rifiutando? Visto che possono
prevalere delle logiche istituzionali connotate da processi di stigmatizzazione e di espulsione
a carico dei ragazzi che disturbano e creano disordine nel gruppo classe e quando un
bambino che vive in comunità è oggetto di movimenti espulsivi da parte della scuola, per gli
educatori la priorità è quella di avere un'alleanza emotiva e di lavoro con il ragazzo che
parta dal riconoscergli la fatica e il disagio di stare a scuola, con un obbiettivo comune da
raggiungere ovvero la sua non espulsione e il suo poter mostrare di valere qualcosa
​ il ragazzo vive nella frustrazione che quotidianamente sperimenta a scuola ed è importante
che il ragazzo possa sentire chiaramente l'alleanza con qualche adulto che lo sostiene, lo
protegge, sta dalla sua parte e lo aiuta a raggiungere qualche risultato scolastico per
acquisire l'autonomia e iniziare a rinunciare ad alcuni dei suoi comportamenti oppositivi e
fastidiosi agiti a scuola che sono espressione di una difficoltà a stare in quel contesto
​ è indispensabile da parte della comunità prendersi il tempo necessario al dialogo con la
scuola, allo scopo di individuare e dialogare le sue difficoltà che la scuola stessa incontra nel
rapporto con un'adolescente impegnativo con l'obbiettivo di sostenere il contesto scolastico a
rinunciare a una logica espulsiva ma ricercando modalità di lavoro che possano favorire
l'integrazione nell'ambito scolastico.

FEDERICA
​ Federica entra in comunità a cinque anni per maltrattamenti fisici e psicologici da entrambi i
genitori
​ situazione di grave incuria e deprivazione
​ vestiti inadeguati alla sua età, iperattività, aggressività, depressione, attenzione labile e
difficoltà di apprendimento
​ si isolava, non mangiava se non con le mani e caramelle e patatine
​ ritmo del sonno sballato
​ l'educatrice provava grossa indignazione e non capiva come si poteva fare così tanto male ad
un bambino distruggendo le sue potenzialità e il suo diritto all'infanzia
​ Federica doveva vedere i suoi genitori una volta a settimana in orari precisi ma quando si
faceva l'ora Federica non voleva vederli iniziava a piangere e dimenarsi dicendo di non
volerli vedere e abbracciava l'educatrice che l'accompagnava a questi incontri, l'educatrice
non riusciva a trattenerla nonostante lo avrebbe desiderato, ma con parole dolci e uno
sguardo pieno di lacrime la invitava ad entrare, l'educatrice stava malissimo in quanto
sentiva come suo il dolore di Federica e non riusciva ad interagire con i genitori e neppure
provare a dare alternative
​ anche la volontaria che accompagnava bambina e educatrice stava malissimo così propone
l'intervento di un supervisore
​ il supervisore riconosce che l'educatrice si era identificata in Federica in quanto lei da
bambina era non vista e scarsamente accudita mentre la volontaria si era riconosciuta come
mamma
​ l'educatrice ha potuto con l'aiuto dell'equipe sostenere la bambina che oggi vive in un'altra
famiglia
​ i genitori della bambina sono stati aiutati dalla comunità nel prendere coscienza dei
maltrattamenti che loro stessi avevano subito da piccoli portandoli a chiedere un supporto
psicologico
​ è importante che la bambina cresca in un ambiente sereno in quanto è importante che lei
abbia il diritto di accesso alla genitoralità non compromessa.

​ Quante volte è stato forzato un bambino nel vedere i suoi genitori maltrattanti?
​ Quante volte è stato imposto a un bambino di rispondere a una telefonata a cui non voleva
rispondere?
​ Sono tante le volte in cui l'educatore ha la necessità di fermarsi e trovare una risposta
equilibrata alla domanda “da che parte sto?” e l'educatore deve potersi dire che “come posso
comportarmi per stare dalla parte del bambino nonostante gli obblighi istituzionali e le
routine già consolidate?” la risposta comporta una perturbazione del setting rigidamente
predisposto e attiva uno spostamento necessario
​ inserendo una triangolazione necessaria e protettiva nella comunicazione genitori\figlio, una
triangolazione (educatore-genitori-bambino) che avvii un primo processo di riduzione del
trauma vissuto (genitori) riducendo i tempi dell'esposizione in solitudine e favorendo
nell'uno (figlio) e l'altro (genitore) ridefinizione della propria relazione
​ si può forzare un incontro riducendo tempi e contenuti traumatici e garantendo l'accessibilità
a un luogo relazionale rilassato e rilassante comprensivo, discreto e accudente
​ una triangolazione non collusiva è centrata sul monitorare la comunicazione in atto.

Il proprio conflitto interno tra una parte di se che avrebbe voluto rispondere in maniera sintonica al
ragazzo\a o bambino\a che stava reclamando attenzione e sostegno emotivo dove magari non è
disposto a leggere le domande sopratutto quando viene espressa con parole e tonalità del insulto,
della provocazione e del rifiuto.

MEGLIO AMICA O EDUCATRICE?


Ogni essere umano è fatto da un background di esperienze, emozioni etc.. che incorpora dentro di sé
sia a livello conscio sia a livello inconscio e quest'ultimo viene fuori in tutte le situazioni che la
persona si trova a dover vivere e gestire quotidianamente.
L'educatore vive quotidianamente conflitti proprio perchè costretto a interagire in ogni situazione, il
sé educatore, sé figlio e il sé genitore simbolico.
C'è un grosso rischio che è quello di essere visti più come “amici” che come figura autorevole e
questo equilibrio è quello di riuscire a immedesimarsi nelle situazioni che vivono gli adolescenti e
le loro problematiche facendo però capire che il mio ruolo rimane comunque quello di un adulto
comprensivo non colluso.
​ Un'adolescente di 15 anni, con un padre accolto in centro di lungodegenza perchè malato,
madre deceduta, sorella in comunità tossicodipendente e borderline.
​ La ragazza era abbandonata a sé stessa sia per la cura sia per l'aspetto educativo.
​ Lei aveva già un background esperienziale ricco ma negativo dovuto anche da cattive
frequentazioni.
​ Appena arrivata in comunità era molto sulla difensiva con tutte le persone che volevano
darle regole o consigli di vita quotidiana, non si fidava di nessuno e non riteneva il personale
all'altezza dal punto di vista emotivo ed educativo.
​ All'inizio il comportamento è stato quello di far si che si fidasse degli educatori e si aprisse e
ha portato la ragazza a vedere gli educatori come amici più grandi ed è diventato un grosso
problema in quanto ogni sua richiesta veniva sempre assecondata.
​ A quel punto si è dovuta prendere una decisione cioè una svolta che mettesse comunque la
ragazza in primo piano
​ si è riunito lei e tutta l'èquipe per spiegare alla ragazza che anche se continuava ad avere
l'appoggio degli educatori dovevano esserci anche delle regole e limiti, la scelta di far
partecipare anche lei è stata vincente.
​ A distanza di anni lei ringrazia il personale perchè con il tempo ha capito l'esigenza di
regole e di figure regolatorie.
L'adolescente arriva in comunità con un vissuto drammatico che comporta atteggiamenti molto
cauti nel confidarsi con l'adulto nella richiesta di aiuto e nell'affidarsi.
L'adulto cerca di favorire la confidenza e la fiducia accattivandosi la simpatia dell'adolescente per
ridurre le distanze e facilitare la comunicazione.
Il rischio è quello di minimizzare i confini generazionali e di ruolo per ricostruire l'importanza e la
funzione regolatorie di norme quotidiane che possono meglio supportare l'adolescente e consentono
all'adulto di riequilibrare e integrare alla funzione dell'ascolto empatico la funzione regolatoria,
altrettanto importante e di supporto.
La funzione di ascolto e la funzione regolatoria vengono esercitate con attenzione e tensione a una
loro costante dinamica interazione e integrazione, il ruolo educativo dell'educatore viene svolto al
meglio delle sue possibilità, riconosciuto dallo stesso adolescente che riesce a valutarne la sua
indispensabile portata formativa.

TI RISPONDO MALE O ME NE VADO?


​ L'educatore riprende Luca di 17 anni con trascorsi devianti per le modalità con cui si stava
rivolgendo ad un'altra ragazzina.
​ Luca alza il tono di voce e inizia ad inveire contro l'educatore insultandolo con parolacce,
l'educatore ignora la provocazione e Luca in questo comportamento vede come la paura
dell'educatore e gli augura il cancro e i figli in comunità.
​ Nell'educatore cresce la rabbia e avrebbe voluto riversare su Luca tutto quello che pensava
ma è riuscito a rimanere lucido e ad abbandonare la stanza e calmarsi.
​ L'educatore torna nella stanza comune dove Luca dopo essere stato ignorato, gli fa alcune
richieste come se non fosse successo nulla e come se l'educatore non potesse avere nessun
tipo di reazione emotiva.
​ Prima di dare le risposte l'educatore cerca di ragionare insieme a Luca sottolineando il fatto
che era li per i ragazzi e che certe cose non si dicono perchè distruggono l'altro, così Luca si
scusa con l'educatore.
​ In quel momento l'educatore si è appellato a:
1. il sé adolescente\figlio → voleva
rispondergli a tono per dimostrare che aveva
ragione lui
2. il sé educatore → delusione del non essere
protetto dal suo ruolo che non lo tutelava da
ricevere gli insulti e che non bastava essere
un educatore o parte di un istituzione per
essere rispettato e temuto
3. il sé adulto\genitore → senso di fallimento
​ L'educatore si sente come se sia scappato dalla situazione convinto di non poter mettere in
atto alcun tipo di intervento se fosse rimasto lì. Evitando il conflitto ha dato modo al sé
adolescente\figlio non riuscendo a gestire il conflitto e la relazione.
​ Solo in un secondo momento c'è stata l'occasione di intervenire e di portare alla riflessione il
minore.

ABBIAMO SBAGLIATO TUTTO?


​ L'educatore viene a conoscenza di una presunta violenza da parte di una madre che si trova
presso la comunità mamma-bambino da due anni dove è stato fatto un lavoro per la cura e il
sostegno alla genitorialità e autonomia
​ l'educatore decide di verificare la situazione che era stata presentata da Nadia (che aveva
anche registrazioni) insieme ad un consiglio legale
​ iniziano i colloqui con altre due madri presenti in comunità (in quanto le violenze si
consumavano in loro presenza e in presenza dei loro bambini) e loro confermano gli episodi
dicendo che questa violenza nasce dai piccoli capricci della bambina, una delle due madri
dice che ha provato a fermare la donna per proteggere la bambina
​ La madre dopo aver dimostrato di riuscire ad acquisire le competenze genitoriali necessarie
era stata spostata nel gruppo appartamento (più autogestito) dove erano presenti educatrici
per aiutarla con la figlia quando lei era a lavoro
​ La notizia dei maltrattamenti alla bambina ha creato all'interno della equipe una crisi
scatenando sentimenti di incredulità, imbarazzo, timore e frustrazione
​ Così l'equipe decide di rileggere tutti i verbali da quando la donna è entrata in comunità per
carpire segnali che erano passati inosservati
​ prima di questo non erano mai stati riferiti episodi di violenza né dagli educatori né dalle
mamme presenti e non aveva mai agito a comportamenti da lasciare presagire violenze
psicologiche e\o fisiche verso la bambina
​ la signora infatti aveva ricoperto diversi stili di accudimenti da quello affettuoso a quello
normativo ma non aveva mai destato sospetto per maltrattamenti
​ tra madre e figlia c'erano spesso episodi di contrasto ma anche scambi affettuosi a livello
verbale e fisico
​ quando la bambina era rimproverata anche in modo acceso, dopo l'intervento delle
educatrici che invitavano la donna a riflettere, lei sembrava cogliere i suggerimenti e a
correggersi e comportarsi in maniera diversa le volte successive
​ Si decide di convocare la donna per capire la sua versione e il modo in cui si poteva aiutarla
​ la donna dice che i suoi ricoveri in ospedale non erano per le cadute accidentali ma per le
lesioni che si procurava lei stessa per poter avere i benefici legati a risarcimenti
medico\legale.
​ La signora nega i maltrattamenti verso la bambina ma ammette di non reggere i suoi
capricci, inizia a rifiutare il supporto che gli era stato fornito perchè dice di poter gestire la
bambina con i suoi famigliari
​ inizia a dormire spesso fuori in quanto dice di voler stare vicina alla sorella che le ospita
​ l'educatore ha chiesto alle assistenti sociali di intervenire con un controllo adeguato e con
l'attivazione di n servizio educativo a domicilio
​ L'equipe si sente tradita in quanto non è riuscita a cogliere i segnali e non è riuscita a
mettere in campo strategie adeguate
​ Sè bambino della madre ha scatenato un forte senso materno che ha impedito di leggere in
modo obbiettivo i segnali provenienti dalla bambina con i capricci e il rifiuto, quindi il
conflitto ha attraversato tutte le dimensioni:
1. sé adolescente\figlio → colluso con i bisogni
della madre rendendo la bambina invisibile nei
suoi bisogni di cura e protezione
2. sé educatore → ha confidato troppo nelle
capacità della donna senza andare a fondo nella
realtà
3. sé genitore\adulto → incapace di prendersi cura
sia di mamma sia di bambina dai fantasmi del
passato e dai modelli genitoriali inadeguati
introiettati.
​ Alla fine c'è la dimissione della madre dalla struttura, il possibile affido della bambina ai
servizi sociali e un continuo investimento nella relazione madre-bambino.

​ Tema del tradimento


​ Si può supporre che sono avvenuti cambiamenti recenti quando la madre viveva in un clima
di maggior autonomia rispetto a quando entrata in comunità e questa autonomia ha
modificato un comportamento materno
​ la bambina ha 24 mesi e in quest'età molte madri sono impreparate ad affrontare la fase
evolutiva dei no tipica dei due anni, in questa fase i bambini affermano se stessi tramite la
differenziazione dagli altri e richiedono l'uso dei no da parte degli adulti così da poter
sperimentare sé stessi e i propri limiti
​ alcune madri hanno interiorizzato modelli inadeguati a sostenere il conflitto evolutivo che
richiede e spesso non riescono a superarlo positivamente
​ spesso queste madri sono state figlie maltrattate in concomitanza dei compiti evolutivi tipici
dell'età in cui si afferma l'identità personale
​ c'è un cambiamento nelle capacità di cura e di protezione nelle madri che sono state
bambine maltrattate

SONO SOLO FATTI TUOI O SONO ANCHE MIEI?


​ Luca urla ed aggredisce i suoi compagni e l'educatore pensa “forse sono fatti suoi” riferito al
fatto che dopo ripetuti richiami dove spiegava che non bisognava attaccare l'altro lui
continuava a farlo
​ era importante che lui sentisse di poter essere accettato
​ il ragazzo fuori dalla comunità (scuola e attività sportive) aveva atteggiamenti violenti e
socialmente non accettabili
​ con l'educatore aveva condiviso molti momenti di conforto riguardo alla possibilità di dara
un nome alle emozioni che lo devastavano
​ l'educatore sente di voler mollare in quanto non riusciva a sintonizzarsi con lui e provocava
frustrazione nell'educatore
​ come figlio, l'educatore, non riusciva a mettersi nei suoi panni
​ come genitore, la via al dialogo non gli sembrava la più praticabile
​ grazie al supporto dell'equipe e della supervisione l'educatore è riuscito a trovare i suoi
equilibri e a dare risposte adeguate a Luca
​ prendendosi cura di sé (l'educatore) è riuscito a mettersi nelle condizioni di potersi prendere
cura dell'altro

​ alleanza con il sé figlio → agire sul piano della competizione avrebbe ampliato le emozioni
negative
​ alleanza con il sé educatore → non poteva rimandare ad altri quello che stava vivendo in
quanto non poteva sottrarsi alle responsabilità di cura
​ alleanza con il sé adulto → riconoscere il pericolo degli agiti proiettivi

IO MI RICONOSCO IN TE (Rosario)
​ Rosario ha 10 anni è stato allontanato dalla famiglia per essere messo in comunità a causa
dell'evasione scolastica
​ è un bambino intelligente, socievole, ben educato e affettuoso ma con aria triste.
​ L'educatore lega subito con Rosario e più il tempo passava più il legame cresceva
​ a fargli visita veniva solo la nonna che Rosario chiamava “mamma” e con la quale aveva un
rapporto molto stretto
​ La nonna l'aveva cresciuto quasi da sola, prendendosi cura di lui e di tutte le sue necessità,
ma proprio la nonna\mamma era la responsabile della mancata frequenza a scuola in quanto
era ossessionata dallo stato di salute del nipote e aveva un attaccamento morboso per il
bambino e Rosario mostrava gradire le sue attenzioni
​ Durante gli incontri si cercava di minimizzare le angosce della nonna facendo capire ad
entrambi che un raffreddore non era nulla di grave
​ il lavoro su Rosario e la nonna andò molto bene finchè non arriva la madre biologica del
ragazzo e quest'ultimo divenne sempre più triste così l'educatore cerca di stargli sempre più
vicino rassicurandolo che sarebbe andato tutto bene e che presto sarebbe tornato a casa.
​ Durante il secondo incontro con la madre, l'educatore si accorge che Rosario cerca in tutti i
modi l'attenzione della madre mentre la donna reagisce in modo freddo e indifferente
​ così si inizia ad analizzare il comportamento della madre con Rosario, la situazione non
migliora e più cercava di compiacerla più provocava rabbia nell'educatore che pensava si
dovesse accontentare delle attenzioni della nonna
​ la mamma ripartì e rosario riacquista tranquillità
​ a giugno fu affidato alla nonna che si prende carico di Rosario con maggior responsabilità
​ l'educatore si chiede l'origine della sua rabbia nei confronti della richiesta di attenzioni di
Rosario alla mamma e ha trovato risposta nel:
1. sé bambino\figlio → i riconosceva nel
bambino reale che si trovava di fronte e
cercava la sua rivalsa, e doveva
accontentarsi di chi l'affetto te lo da
spontaneamente (nonna) e nota che da
bambina anche lei cercava di ottenere
attenzioni e affetto dalla madre che era
molto fredda e distaccata a causa di un
educazione molto rigida, fino
all'adolescenza ha cercato di entrare in
contatto con la madre senza riuscici, oggi
da adulta ha compreso che la mancanza
della madre è per l'incapacità a lasciarsi
andare tanto che ora (che è vecchia) è la
madre a volere affetto dalle figlie
definendole fredde.

​ La quotidiana esposizione al dolore di chi ricerca attenzioni e amore da parte di un genitore


distaccato è evocativo di un dolore rimosso dalla consapevolezza in età infantile
​ la rabbia che riemerge dai luoghi di rimosso è indirizzata verso un oggetto reale (genitore
del bambino di cui ci si prende cura) che consente in quanto oggetto neutro di essere esperita
e ha la funzione di poter rivedere la propria storia evolutiva di figlio non sufficientemente
riconosciuto e considerato e di poter provvedere a una sua ripartizione nell'attualità
attraverso l'identificazione con il bambino reale di cui ci si prende cura nella comunità
​ la rabbia decontestualizzata dal contesto originale riacquista la sua forza di sintomo
veicolante un significato potente e ora comprensibile e accessibile all'educatore il quale è in
grado di dialogare con quella parte di sé relativa al suo vissuto di bambino ferito e trascurato
​ l'educatore nell'infanzia ha dovuto rimuovere quel dolore per poter vivere psichicamente in
un contesto non empatico e che non risponde ai bisogni affettivi del bambino
​ nella riattivazione che è resa possibile dall'esposizione prolungata e reiterante di analoghe
interazioni della stessa natura deprivante e non sintonica vissuta tramite l'identificazione con
il bambino che subisce la stessa delusione\dolore che fa riattivare le diverse parti di sé
​ in questo processo interno che riprende attualità emotiva, il sentimento della rabbia, rimossa
inizialmente nel teatro interno della propria infanzia e questo consente una perturbazione
che potrebbe aprire una risignificazione
​ l'educatore deve sostenere il bambino in cui si è risignificato in modo da risolvere i suoi
conflitti (del bambino) che lui non è riuscito a risolvere nell'infanzia
​ rimuovere la rabbia per accontentarsi vuol dire accettare la definizione deviante del contesto
interattivo
​ il compito dell'educatore di riparare una riattivazione subita dall'esposizione a un dolore non
programmato non riesce a trovare il suo compimento
​ la madre del educatore che ora chiede attenzione e sintonizzazione emotiva rimane una
richiesta in attesa di risposta in quanto il figlio non da a lei ciò che chiede come non l'ha
fatto la madre quando lo chiedeva il figlio → REITERAZIONE NELL'ATTUALITÀ
​ rimane il potenziale aperto della rabbia in quanto non è accettata e se venisse accettata,
riconosciuta e compresa allora il bambino potrebbe risignificare la sua storia e riconoscere le
mancanze del genitore questo porterebbe un equilibrio fra il sé genitore e il sé figlio
restituendo uno sguardo amorevole al genitore vecchio e abbasserebbe il fastidio verso la
non rassegnazione del bambino avvertita come minaccia all'equilibrio interno raggiunto con
la propria rassegnazione nell'infanzia
​ con la riappacificazione tra istanze interne in conflitto potrebbe consentire un alleanza fra il
sé educatore e permetterebbe di accogliere il dolore e la rabbia sana del bambino preso in
carico
​ un educatore risolto ripara se stesso e protegge i bambini e gli adolescenti di cui si occupa
da pericolose dinamiche proiettive.
FLASHBACK
​ Alle ore 15, l'educatrice si è recata in comunità (aperta un anno fa per ragazzi dagli 8-20
anni, ora ci sono solo 8 ragazzi) per una riunione di equipe
​ l'educatrice arriva nervosa e non fa la solita routine ovvero quella di parlare con i ragazzi e
stare con quei ragazzi che la cercano costantemente
​ alle 15:30 va nello studio per preparare la riunione quando un ragazzo (l'ultimo arrivato) si
avvicina a lei per chiederle se poteva fare merenda, l'educatrice avvisata dal personale che è
un ragazzo che mangia in continuazione pensa che questo ragazzo voglia fare a lei la
richiesta perchè gli altri non gli e lo avrebbero mai permesso
​ l'educatrice infastidita si gira verso gli altri ragazzi che guardavano la televisione e gli viene
il flashback di lei adolescente dentro un orfanotrofio e si accorge che lei non si poteva
permettere quel benessere in cui vivevano i ragazzi oggi, lei pensava a quanto questi ragazzi
fossero fortunati e non se ne accorgessero in quanto vivono in una casa a misura di bambino,
colorata e personalizzata
​ il sé bambina va in conflitto con la parte adulta che oggi cura e che restituisce a se stessa
quelle attenzioni e quell'ascolto che per tanto tempo ha invocato e mai ricevuto

​ Qui c'è l'attivazione di un conflitto interno tra il proprio passato di un adolescente


istituzionalizzata e il proprio presente da educatrice (sé adolescente istituzionalizzato e il sé
educatore attuale)
​ si fronteggiano un adolescente reale e un adolescente antica tramite un conflitto interno
vissuto tra il sé adolescenziale e il sé educatore.
​ Prova un'irritazione verso quel gruppo di ragazzi incapaci di comprendere quanto in realtà
hanno
​ emerge l'irritazione per chi non comprende quanto sta ricevendo in senso assolto ma in
relazione a un'inevitabile valutazione comparativa con l'adolescente di decenni prima

TI VORREI AIUTARE MA NON POSSO (Alberto)


​ Alberto, 11 anni, la madre l'ha portato dagli assistenti sociali perchè non riusciva a gestirlo
​ madre di origine marocchina, venuta in Italia ha conosciuto un uomo con problemi di alcool
che la picchiava e dal quale ha avuto due figli (Alberto è il più piccolo), la signora chiede
aiuto ai servizi sociali che prima l'hanno messa in una comunità mamma-bambino dove lei
si è allontanata, poi in un'altra comunità e infine con interventi di assistenza domiciliare per
entrambi i figli
​ la signora si separa dal marito e cambia casa, dopo i primi incontri con il padre protetti lui
cambia città e non vede più i figli
​ Alberto è insofferente a scuola insulta i bambini e gli insegnanti spaventando entrambi ed è
anche violento verso cose e persone
​ picchia la madre che chiama spesso i carabinieri
​ Alberto racconta di essere stato molestato da un vicino di casa
​ Alberto prova alcune volte a togliersi la vita volendosi buttare giù da una finestra
​ Arrivato in comunità si comporta benissimo perchè si sentiva come il “cattivo” e voleva
smentire la sua fama
​ dopo qualche settimana non riesce più a controllarsi e inizia ad usare parole pesanti e a
picchiare i bambini più piccoli
​ a scuola riprendono i comportamenti violenti verso adulti e bambini e gli insegnanti
chiedono l'orario ridotto
​ l'equipe degli educatori si confronta con la psicologa e il supervisore e fanno ipotesi rispetto
al dolore di Alberto e si creano strategie per prevenire i suoi scatti di ira e aiutare il bambino
a rimanere nei contesti scolastici e comunitari
​ si cerca una relazione con Alberto che non sia ne troppo vicina ne troppo distante
​ Alberto è anche seguito dal neuropsichiatra
​ il tribunale limita la podestà genitoriale della madre e lei accusa gli educatori di maltrattare
il figlio arrivando all'accusa di abuso
​ diversi educatori finiscono in ospedale per le aggressioni di Alberto e il gruppo bambini è
destabilizzato, spaventato e si diffonde l'uso di parole a sfondo sessuale
​ Alberto minaccia di uccidersi e scappa dalla comunità senza successo
​ L'equipe ha visto in Alberto un fattore traumatico per i bambini più piccoli e quindi si
ipotizza un trasferimento verso un'altra comunità
​ Viene fatto il trasferimento in una comunità di pre-adolescenti che l'ha aiutato a controllarsi
e ha iniziato a tornare a casa per brevi periodi nel weekend, anche se la madre non ha mai
accettato di essere sostenuta da una psicologa
​ Secondo l'educatore che ha preso questa decisione di allontanarlo in lui è prevalso il sé
educatore (dimensione istituzionale verso i bambini presenti in comunità) e il sé genitore (la
situazione la sentiva come sfuggita di mano)
​ l'educatore sentiva il dolore di Alberto e pensa che avrebbe dovuto supportare
maggiormente l'equipe in modo da aiutare Alberto

​ Alberto è una vittima di profonde ingiustizie che non sono state riparate e mantengono attiva
una rabbia distruttiva da soggiogare educatori e bambini
​ la comunità non riesce ad arginare quella rabbia e neppure ad accoglierla restituendo al
bambino un dolore che ora può accettare e condividere
​ il sistema comunità non è in grado di accogliere un bambino così devastato e devastante

TI POSSO AIUTARE SE SONO IN EQUILIBRIO (Giacomo)


​ Gli educatori devono ricercare l'equilibrio in tre dimensioni per una buona riuscita degli
interventi che l'educatore compie ogni giorno
​ Con gli anni il modo di lavorare si modifica all'inizio all'interno dell'equipe dell'educatore il
sé educatore e il sé genitore erano dominanti e questo ha portato una certa rigidità con i
ragazzi
​ Giacomo ha la madre straniera e il padre Italiano.
​ Le insegnanti avevo sottolineato una certa irrequietezza e aggressività di Giacomo e allo
stesso tempo i genitori avevano detto di avere difficoltà a gestirlo
​ i genitori si separano e iniziano una lunga battaglia legale
​ Giacomo viene inserito in comunità dove emergono racconti in cui si evinceva che la madre
lo maltrattava chiudendolo in una bocca da lupo e frustandolo con il cavo della radio
​ Giacomo metteva a dura prova gli adulti e i coetanei e i bambini erano presi di mira da lui
​ Gli educatori da un punto di vista formale comprendono il disagio di Giacomo ma dall'altra
parte pretendevano che si adattasse alle regole della comunità che gli imponevano con rigore
​ questo non ha consentito al bambino di sentirsi capito in quanto anche gli educatori lo
avevano etichettato come bambino sbagliato
​ L'educatrice ammette che in quel periodo prevaleva la voglia di essere riconosciuta nel ruolo

​ all'inizio del lavoro in comunità nell'educatore prevalgono l'ancoraggio al ruolo istituzionale


e privilegia una dimensione normativa
​ la professionalità si raggiunge progressivamente con lo sforzo quotidiano e la comprensione
dell'altro e di se stesso in una tensione che rimanda alla volontà di poter stare nel giusto con
la consapevolezza dei propri limiti e con il desiderio di pervenire costantemente a equilibri
dinamici più funzionali

HO IMPARATO DA TE LA MIA PROFESSIONE (Letizia)


​ Letizia ora adolescente è arrivata in comunità quando era una bambina
​ invischiante e seduttiva nei modi, capisce il punto debole degli altri e incalza su quello
​ non è stata né amata né desiderata, sfruttata sessualmente, maltrattata
​ Viveva nella sporcizia e nel degrado
​ Letizia esprime attraverso il suo corpo la sua rappresentazione del mondo e il suo dolore
​ usa il suo corpo per sedurre e si offre all'altro in modo esplicito e senza pudore
​ non ama lavarsi
​ vicinanza con l'altro esprimendo un bisogno di reinfettazione più che vicinanza e
condivisione
​ lei non conosce i limiti del suo corpo
​ linguaggio carico di allusioni sessuali
​ piange disperatamente o ride in modo sguaiato passa dalla depressione all'euforia
​ diagnosi → borderline e disturbo misto della condotta
​ mangia troppo e in breve tempo aumenta di peso
​ Letizia è stata abbandonata precocemente dalla madre e affidata alla nonna incapace di
fornirle cure primarie

​ la distanza ha generato la possibilità di osservare, vedere e condividere


​ l'educatore ha usato il sé bambina come oggetto di cura, attenzione e amore
​ Letizia ha un impatto fondamentale sul desiderio infantile di risolvere i problemi
magicamente
​ il bambino ha un codice potente → vuol, pretende per una soddisfazione immediata del
bisogno; in comunità questo codice va contenuto

UN TRAUMA NON RICONOSCIUTO (Nadia)


​ Nadia ospite in comunità da circa due anni
​ personalità bordeline-schizoide con gravi difficoltà nella sfera affettiva e comportamentale
​ usa meccanismi di difesa arcaici in particolare l'identificazione proiettiva, la negazione e la
scissione, insieme al senso di impotenza narcisistica → difficoltà a integrare
rappresentazioni di se e dell'altro in un immagine completa e integrata con gravi problemi
con la realtà
​ Nadia aveva comportamenti impulsivi, promiscuità sessuale, difficoltà a gestire la rabbia,
angosce pervasive, senso di vuoto e isolamento, difficoltà a dare e ricevere, fare esperienza e
avere un senso di tempo e di spazio stabile
​ Era già stata affidata a un'altra comunità a causa di una situazione famigliare e ambientale
instabile (genitori tossicodipendenti)
​ infanzia caratterizzata da trascuratezza e abbandono da parte dei genitori
​ Nadia nel primo periodo era ostile con le educatrici rivolgendosi in modo oppositivo e
provocatorio
​ Con il tempo la situazione è migliorata, andando a confrontarsi con gli adulti quando aveva
dei problemi
​ raccontava cose poco aderenti con la realtà e si appropriava dei racconti degli altri →
encopresi questo disturbo cercava di nasconderlo
​ non prestava attenzione all'igiene personale e dedita a stupefacenti
​ la sfera dei rapporti interpersonali era la più compromessa in quanto era alla ricerca di
rapporti significativi importanti in particolare era alla ricerca del futuro marito con cui fare
una famiglia e per perseguire questo desiderio spesso si metteva in situazioni pericolose
​ nelle situazioni amicali passava da amici molto più piccoli di lei a quelli molto più grandi
(adulti) e non riusciva ad avere amici della sua età
​ nel periodo all'interno della comunità Nadia è stata accompagnata a capire che l'ambiente
esterno è in grado di riconoscere i suoi bisogni e ad accettarla per quello che è
​ per gli educatori è stato difficile accettare una ragazza che offriva prestazioni sessuali e
faceva uso di sostanze stupefacenti e allo stesso tempo una persona che non aveva coscienza
del suo corpo e come prendersene cura
​ L'educatrice si identificava in lei ma allo stesso tempo sapeva di essere un'adulto di
riferimento per la ragazza e doveva indirizzarla e proteggerla
​ Hanno cercato di farla interagire sia con persone adulte sia con persone della sua stessa età
​ è stato possibile inserire la ragazza in ambito lavorativo con orario ristretto per dargli
autostima
​ Nadia ha portato a termine il percorso lavorativo e quello comunitario e ora a 18 verrà
reinserita nella famiglia

​ c'è la presenza di un trauma sessuale non riconosciuto come causa dei comportamenti messi
in atto dalla ragazza e all'origine del disturbo diagnosticato
​ con il carico psicoterapeutico è stato possibile arginare la sua dipendenza da sostanze
stupefacenti
​ lascia amarezza il ritorno presso la famiglia in quanto non sembra in grado di occuparsene

LA GIUSTA VICINANZA → ovvero la giusta vicinanza affettiva, un giusto equilibrio nel gruppo
e una giusta risposta sintonica ai bisogni espressi dal bambino\adolescente.

ACCOGLIERE IL DOLORE (Andrea)


Se si riflette sulla genitorialità come funzione autonoma bisogna pensare che quella che si vive in
comunità è legata alla funzione di cura e di accudimento e naturalmente di amore.
Bisogna provvedere all'altro, garantire protezione da ambienti inadeguati dai quali proviene il
minore, sintonizzarsi affettivamente, dare limiti etc.. queste sono le funzioni fondamentali, ma
bisogna fermarsi a ragionare su cosa è giusto per il minore.
Creare un ambiente accogliente e protetto in cui il bambino possa esprimere i propri bisogni libero
da implicazioni e condizionamenti riconducibili a dinamiche famigliari devianti, favorendo la
crescita psicologica ed emotiva del minore in modo da stimolare l'affermazione di un'identità
personale e la costruzione di relazioni significative con adulti di riferimento, promuovere
l'autonomia legata ad aspetti pratici, aiutare il minore a rileggere in modo critico la sua storia così
da poter elaborare il suo vissuto passato e presente.
​ Andrea arrivò in comunità pieno di lividi su tutto il corpo a causa di un padre violento e una
madre incapace di reagire e ribellarsi
​ era un bambino solitario, non si relazionava con gli altri bambini ed esplorava l'ambiente in
modo timoroso
​ l'equipe offrì alla madre il sostegno psicologico in modo che se avesse avuto bisogno di
consigli sapeva a chi poteva rivolgersi
​ Andrea aveva diviso il mondo in cattivi e buoni e cercava di capire se gli educatori
appartenevano ad un gruppo o all'altro
​ sfidava gli educatori, non mangiando, sputando e saltando; iperattivo e violento con gli
educatori
​ dolce e protettivo verso i bambini più piccoli
​ gli educatori si interrogano se è giusto proteggersi da lui con una misurata distanza emotiva
o accogliere la rabbia rischiando di essere distrutti, in quel momento furono fondamentali le
riunioni di equipe per capire il percorso individuale e dare risposte a loro, la madre e il
bambino
​ la madre decise di lasciarsi aiutare, prima allontanando il padre da casa, poi dando in
affidamento Andrea
​ gli educatori aiutano il bambino nella crescita quotidiana a dare significati a ciò che aveva
vissuto
​ gli educatori sostengono la madre e fanno di tutto per fare in modo che il progetto (12 mesi)
andasse a buon fine
​ Andrea inizia a frequentare la scuola prima con diffidenza poi con entusiasmo
​ i genitori affidatari accolsero la madre con grande rispetto e comprensione

​ la giusta distanza è nell'osservare e comprendere quale modello relazionale il bambino ha


interiorizzato e mantenersi vigili ed emotivamente attenti per avvicinarsi a lui senza
intimorirlo o invaderlo rispettando quella prossimità che gli consenta di sentire la presenza
dell'altro senza percepirne l'intrusione
​ il movimento che parte da un bambino esposto a violenza ha necessità di tempo, attenzione e
rispetto in quanto chiede il tempo della verifica della non pericolosità del luogo nel quale si
vive

SOSTITUIRE LE FUNZIONI PRESERVANDO IL LEGAME (Dario)


​ Dario quando entra in comunità aveva sei anni
​ figlio di un padre anziano malato di cancro e una madre con ritardo cognitivo che anche se
voleva molto bene al figlio non era in grado di accudirlo e provvedere ai suoi bisogni
​ dal punto di vista educativo era abbandonato a se stesso
​ Dario conquista tutti perchè ha un carattere affettuoso, giocoso, curioso, goffo e con una
simpatia contagiosa
​ si è dovuto far capire a Dario e alla sua famiglia che la soluzione migliore per lui non era la
comunità fino ai 18 anni ma l'affidamento a una famiglia che avrebbe mantenuto saldi i
legami con i genitori naturali
​ è stato difficile spiegare alla madre e a Dario che il compito di un genitore è anche quello di
educare
​ con l'appoggio della madre è iniziato un percorso d'affido
​ oggi Dario vive ancora in questa famiglia e vede la madre una volta a settimana

​ la deprivazione cognitiva in un genitore sufficientemente sintonizzato sui bisogni emotivi


del proprio figlio assume i tratti di un'incompetenza famigliare relativa ad alcune specifiche
della genitorialità piutosto che relazionale che tende a manifestarsi con la crescita dei figli
​ i compiti genitoriali con la crescita dell'età dei figli tendono a complicarsi e iniziano a
manifestare fragilità e le proprie competenze
​ le alleanze che questi genitori buoni, ma non sufficientemente competenti, stabiliscono con
gli operatori dei servizi sono connotate da collaborazioni e gratitudine
​ mantenendo alto l'intaresse per il figlio
DOPO TANTE PERDITE, SCELGO PROPRIO TE (Sofia)
​ Sofia quando entra in comunità ha 14 anni, è bella, alta e slanciata
​ diagnosi di un disturbo bordeline che deriva da alcuni atteggiamenti violenti verso il padre
​ madre morta in un incidente quando aveva 7 anni
​ lui l'aveva affidata a degli zii, con due figli, lei si trovava molto bene e chiamava la zia
“mamma” scatenando le gelosie del padre
​ alla zia era stato riscontrato un tumore quindi il clima nella famiglia viene compromesso e
Sofia viene fatta entrare in comunità
​ Sofia aveva visto questo come una sorta di punizione e ingiustizia
​ dal secondo giorno mette in atto atteggiamenti di ambivalenza con gli educatori con urla e
gesti esagerati e allo stesso tempo cercava attenzioni con lo sguardo per riprendere le grida
di rifiuto
​ così si è trovato il modo di affrontarla, cominciando a sorridergli e imitarla e lei si è
rassicurata ed è diventata più serena
​ quando Sofia ha iniziato a legarsi alla comunità il padre ha iniziato a richiedere l'esclusività
affettiva ricoprendola di regali
​ gli zii gli negano l'accesso alla zia anche se lei la amava come una figlia
​ ha vissuti i rifiuti con molto dolore e tensione fino all'ingresso di una nuova educatrice a cui
ha rivolto tutte le sue richieste e attenzioni
​ l'educatrice ha mantenuto la sua funzione di ascolto rispetto alla rabbia provata verso il
padre, il senso di colpa per la madre e la paura di perdere la zia
​ l'educatrice ha un ruolo centrale nella vita di Sofia
​ Sofia ha cominciando ad aprirsi con gli altri educatori
​ ha iniziato a riconoscere una particolare vicinanza con l'educatrice ma è consapevole che se
un giorno si separeranno potranno mantenere il loro legame affettivo
​ Sofia con l'aiuto della psicologa ha iniziato a riformulare i conflitti irrisolti

​ qui è importante la corretta analisi della domanda


​ la ragazza ha subito un primo lutto traumatico ma non lo ha ancora risolto, al quale ne sono
seguiti diversi
​ al primo lutto ne sono seguiti diversi
​ nelle modalità relazionali la reiterazione nell'attivazione di modelli esclusivi della relazione
affettiva ripristina il rapporto interrotto con la morte della madre
​ la non rielaborazione del lutto attiva (in modo inconsapevole) la ricerca di legami esclusivi
che andrà a perdere successivamente
​ l'ambiente dove vive la ragazza collude con le richieste di legame esclusivo per confliggere
nell'esclusività con nuovi abbandoni e perdite mantenendole attiva la rabbia del lutto
​ la perdita materna comporta una reazione di rabbia che si trasforma in una risposta fisiologia
al lutto
​ la comunità deve introdurre modifiche che non devono colludere con l'esclusività ma
introduce un ampliamento dello spazio relazionale che non assume i caratteri
dell'indifferenziazione ma sfuma in quelli dell'esclusività
​ aiutare la ragazza a pervenire a una motivazione intrinseca alla richiesta di supporto
psicoterapeutico che consente di intervenire sul lutto complicato che origina il modello
relazionale disfunzionale procrastinato da questa adolescente e dal suo contesto famigliare
​ la comunità deve essere affiancata da una psicoterapeuta che in questo caso è bene che sia
donna
​ la comunità deve sostenere il contesto famigliare e pervenire una perturbazione del modello
interiorizzato a matrice “esclusivista” del rapporto con la ragazza
​ la comunità può ampliare i confini della comunicazione con la famiglia allargata rimanendo
su narrazioni neutre ovvero su temi incentrati sull'attualità della ragazza
​ l'intervento del sistema-comunità dimostra che la giusta distanza è il risultato di un processo
che richiede comprensione, letture adeguate, interventi che si aggiustano progressivamente e
senza fretta e non dimentichiamo mai lo spazio della riflessione e della riflessività personale
e di gruppo

SE PIANGI TROPPO, TI LASCIO SOLO


​ Bambino di cinque anni arrivato in comunità con i fratelli a causa di scarsa igiene personale
e della casa da parte della famiglia
​ il legame affettivo era molto forte
​ l'intervento andava fatto sulla famiglia
​ il bambino con il passare del tempo in comunità cominciava a diventare sempre più difficile
da trattare con crisi di pianto e urla che non si riuscivano a calmare
​ l'educatore cerca di capire con lui i motivi del pianto ma non ci riesce
​ questa situazione si ripercuoteva anche sugli altri bambini che vivevano lo stess
​ consultazione con psicologa e assistente sociale che dicono di calmarlo prendendolo in
braccio e rassicurandolo, ma anche così il bambino non si calma
​ così l'educatore decide di lasciarlo perdere quando piange
​ dopo un anno i bambini tornano a casa e il bambino smette di avere le crisi di pianto

​ la giusta distanza ha la misura e l'ampiezza di ciò che l'educatore riesce a sopportare


​ un pianto continuo nelle interazioni umane è uno dei comportamenti più difficili da
sostenere
​ il pianto inconsolabile infatti è uno dei fattori di rischio per maltrattamento
​ la frustrazione del educatore si vede quando il bambino viene lasciato solo per calmarsi ma
questa solitudine non è un esperienza positiva per un bambino traumatizzato
​ quel bambino protesta insistentemente, come fanno tutti i bambini allontanati dalle figure
significative della loro vita
​ una separazione comporta per un figlio in tenera età un vissuto traumatico connesso
all'evento in sé e al sentimento di ingiustizia che può volgere in protesta, se il
ricongiungimento con la figura significativa non avviene in un breve periodo
​ il sintomo depressivo cessa quando la sua diade si ricongiunge
​ un bambino che soffre così tanto non può essere lasciato solo nel suo dolore, in quanto il
dolore non si estingue nella solitudine ma danneggia gravemente la psiche minando alla
base il sentimento di sé e la fiducia nell'altri e in tutti gli atri, determinando l'attivazione di
potenti meccanismi di difesa arcaici come la rimozione e l'esclusione dagli affetti
​ un bambino traumatizzato ha bisogno della giusta distanza come abbracci, parole
rassicuranti e gioco ma anche l'accessibilità alle figure significative dalle quali è stato
separato
​ l'accessibilità è rappresentata dal contatto fisico e telefonico con i genitori
​ un bambino viene così rassicurato nella vita quotidiana lontana dai suoi genitori a perseguire
i suoi obbiettivi evolutivi e a mantenere il legame con i famigliari
LA GIUSTA DISTANZA
​ Apre la comunità nel 2001 con giovani suore, titolate ma prive di esperienza → sintesi tra i
principi pedagogici di S.Girolamo Emiliani (stare con in modo genitoriale) e i principi della
pedagogia moderna (ricerca della giusta distanza), il risultato fu un ambiente famigliare ma
educativamente privo del principio della regolamentazione affettiva in quanto ci si doveva
sintonizzare affettivamente alle loro emozioni ma non stimolava i minori a sintonizzarsi con
le emozioni altrui e questo non mette nelle condizioni della reciprocità e dello sviluppo della
teoria della mente e dell'intersoggettività cioè comprendere che anche l'altro è portatore di
sentimenti ed emozioni ma anche reprimendo i sentimenti che le loro reazioni provocavano
in noi
​ il supervisore si accorge di questo errore e consiglia di usare la frase “quando fai così mi
scateni questo”
​ l'errore l'educatrice lo ha chiaro solo nella giornata mondiale della gioventù dove i minori
sono incapaci di stare in un gruppo di pari perchè non comprendevano gli stati emotivi dei
coetanei e degli adulti
​ Nel 2009 quando diventa responsabile della comunità chiede aiuto ad una psicologa che
aiuta a mettere a punto alcune regole per avere la giusta distanza:
1. ognuno di noi ha una storia personale e famigliare che incide con
il modo di porci all'altro (sia minori sia educatori)
2. ognuno ha pregi e difetti, sogni, inclinazioni, competenze e
capacità (minori e educatori)
3. ognuno può dare e ricevere (minori ed educatori)
4. la comunità è una scuola di vita quindi i minori devono allenarsi
alla relazione con l'altro
5. le minori devono saper stare in tutti i contesti
​ la giusta distanza vuol dire cercare di essere se stessi, e si fonda su due bisogni essenziali:
quello che ci sia l'altro (grazie all'esserci l'altro che io mi manifesto come esistente e mi
riconosco) e la libertà.

CINEMA
Riflettendo sul cinema possiamo usare il MITO DELLA CAVERNA di cui Platone parla nella
Repubblica, dove gli uomini chiusi nella caverna sono li da sempre come bambini legati che
possono guardare solo la roccia che hanno davanti, dietro di loro c'è il fuoco e tra loro e il fuoco c'è
una strada percorsa da un muricciolo, lungo il muro altri uomini camminano portando oggetti di
ogni tipo → non è difficile paragonare la caverna alla sala cinematografica.
Lo spettacolo non porta alla veritas ma a ciò che è disvelato e gli spettatori saranno li a guardare e
subire il fascino della suggestione.
Il cinema dovrebbe essere sempre la scoperta di qualcosa e per questo creare una visione del
mondo.
Francesco Rosi scrive DIARIO NAPOLETANO in cui ripercorre le strade della città entrando nel
degrado urbanistico che fa da palcoscenico alla criminalità che si alimenta del lavoro minorile,
dispersione scolastica, assenza della famiglia o disgregazione.
Devianza e delinquenza minorile aumentano nei quartieri nati durante il boom economico.
Nel film, Rosi, entra nel carcere minorile e interroga i ragazzi e fa in modo che gli sguardi portano
alla verità dei bambini non protetti ai quali è stata negata ogni possibilità.
I primi e determinanti processi protettivi fanno riferimento alle competenze e cure genitoriali.
Da IL MONELLO in poi sono state prodotte opere riguardanti questo mondo così complesso e
vulnerabile; questa realtà minorile l'ha trasformata in uno specchio stimolante, inquietante,
disturbativo della società.
Il linguaggio del cinema ha esplorato il mondo dei minori con i suoi problemi e le sue peculiarità,
questo cinema testimonia dei cambiamenti ed è strumento di denuncia dei disagi vissuti e mezzo
efficace per gli operatori.

IL CINEMA IN COMUNITA'

1989 la convenzione nazionale sui diritti dell'infanzia sottolinea l'importanza dell'educazione del
minore e il suo diritto a partecipare alla vita culturale ed artistica. Nel 1994 l'assemblea generale
delle Nazioni unite dà avvio al decennio per l'educazione ai diritti umani.
I passi effettuati dalla normativa in materia di diritto minorile e di tutela dei ragazzi sono stati
giganteschi, legge del 1956 n.888 che iniziò a parlare del minore come “irregolare nella condotta e
del carattere” predisponendo le basi per un intervento non più punitivo ma rieducativo, si pone
l'attenzione sul disagio famigliare, sui problemi psicologici prima del 1968; si guardava al minore in
modo giuridicamente e sociale diverso con strutture adeguate che dovevano rispondere alle nuove
esigenze.
Legge Eduardo nel 1987 si pone in difesa dei minori a rischio e anticipa le regole in materia dei
minori inserite nel nuovo codice di processo penale del 1988.
La comunità per minori è una realtà nel panorama degli interventi che hanno come principio
fondamentale un'azione fondata sulla centralità della persona e sui suoi diritti tra questi il diritto
d'istruzione, alla cultura in quanto tutti hanno il diritto alla conoscenza e alla possibilità di scelta.
Il linguaggio del cinema può intervenire efficacemente come elemento terapeutico che può divertire
e contribuire a indurre coscienza sulla propria identità, modificando anche i comportamenti.
Cineterapia pone il cinema come strumento innovativo di cura del corpo e dello spirito con un
viaggio introspettivo verso la consapevolezza di sé e dell'altro.
Attraverso il cinema si può stimolare una riflessione sui propri comportamenti e su problemi legati
alla devianza minorile, delinquenza, disagio e si guarda alle differenze come elementi arricchenti e
non oppositivi che si può contribuire al confronto tra genitori e figli.
Firenze con il cineforum nella comunità di recupero di Villa Lorenzi con il progetto “ a spasso con
Baghera” che ha l'obbiettivo di sviluppare nella comunità territoriale un'attenzione e una
sensibilizzazione verso le tematiche del disagio, in particolare dei minori e delle loro famiglie, dell'
accoglienza, della diversità e incentivare lo strumento dell'affido famigliare come forma sia
d'intervento dei servizi sociali a sostegno dei minori sia di risposta della comunità ai bisogni dei
suoi componenti più deboli.

IL FILM TRA BAMBINI E ADOLESCENTI


L'universo della celluloide ha raccontato il mondo dei ragazzi e ne ha messo in luce i desideri, i
dolori e le gioie, le confusioni e le fragilità; ha colto problematiche come l'indifferenza e
l'insensibilità degli adulti, la crisi dell'istituzione famigliare, il dramma della violenza e degli abusi
sessuali.
Quando e come il cinema può essere usato in una comunità?
Bisogna fare una prima differenziazione: la fruizione del bambino e quella dell'adolescente.
Le reazioni e l'attenzione, sono diversi e diverso deve essere il linguaggio usato nel proporre il
cinema, per i bambini l'esperienza cinematografica è parte del continuum della vita fantastica in
quanto vivono senza pregiudizi e il bambino da spettatore\consumatore diventa lui stesso
creatore\fruitore, stabilendo un rapporto di interattività con ciò che sta guardando e ascoltando.
Ciò che il bambino guarda sullo schermo provoca in lui delle emozioni e lo porta a identificarsi e
proiettarsi con un determinato personaggio o in una precisa vicenda della storia.
Il guardare una pellicola d'animazione può essere cura e un'alternativa alla realtà dove rifugiarsi e
sentirsi migliori e\o diversi, e l'occasione per rivivere una propria esperienza attraverso qualcun
altro e prendere spunti per renderla visibile agli altri mettendosi in condizione di condividerla con
qualcuno.
Il cinema quindi è uno strumento importante per dare ai bambini (sopratutto quelli collocati fuori
dal contesto famigliare) un'alternativa per rivivere e affrontare qualcosa della loro vita che non
riuscirebbero a raccontare.
ORTONE E IL MONDO DEI CHI → diversità e rifiuto all'omologazione
IL GIGANTE DI FERRO → valore della comunicazione e del dialogo
LA GABBIANELLA E IL GATTO → condanna a cosa può fare l'uomo al suo pianeta
Il cinema fruito dagli adolescenti è una visione diversa rispetto a quella del bambino e parla
principalmente dei conflitti fra genitori-figli, difficoltà fra i pari, emozioni collegate allo sviluppo
sentimentale e sessuale, mondo della scuola e del lavoro, violenza, miseria economica e culturale
che portano al crimine.
1. LAVORO MINORILE →
​ Rossellini (Germania anno zero) con il tema della guerra e
dell'influenza che un maestro pedofilo può avere su un
minore che tra emarginazione e disperazione verrà portato
al suicidio.
​ Sciuscià e Ladri di biciclette: il bambino assume un valore
simbolico e la speranza verso il futuro.
​ I bambini e noi: condizioni dei bambini che lavorano nella
Napoli del Boom economico e che hanno lasciato la
scuola.
​ La promessa: dove Igor apprendista meccanico partecipa
all'attività illegale del padre che organizza traffici di
immigrati e clandestini e li sfrutta.
​ Il silenzio e il tempo dei cavalli ubriachi: bambini costretti
a diventare adulti presto.
Il lavoro è indispensabile ma anche fonte di sofferenza e sfruttamento per chi è debole e non
sembra avere il diritto all'infanzia.
1. DELINQUENZA MINORILE, RIFORMATORIO, CARCERE → carcere come unico
destino dei ragazzi nati senza diritti.
​Prision movies, il diritto minore.
​voci e volti: documentario e analisi per l'infanzia e
adolescenza.
​Certi bambini: Napoli che diventa metafora del degrado di un
mondo che non si ferma a salvaguardare il suo futuro e non
presta attenzione ai ragazzi che non hanno possibilità di
salvezza.
​Mary per sempre, non ci sto dentro: ingresso dei minori nel
circuito penale.
​I ragazzi del coro.
​Juizo e Picco: condizioni nelle carceri minorili brasiliani e
tedeschi.
1. VIOLENZA SESSUALE, PROSTITUZIONE MINORILE, PEDOFILIA
​ Mistic River: scruta gli animi dei bambini morti per
sempre con la violenza vissuta.
​ Sleepers: stupro viene fatto dalle persone che dovrebbero
tutelare la legge.
​ La bestia nel cuore: frammentazione dell'io davanti ad un
dolore troppo grande.
​ Il ladro di bambini.
​ Precious: adolescente,nera e obesa che viene presa di
mira con l'emarginazione e il bullismo, la violenza dentro
le mura domestiche (due figli con il padre) e indifferenza
della madre, questa ragazza lotta per appropriarsi della
cultura e il diritto a una vita serena.
​ La mala educacion: clero e il rapporto di un sacerdote con
un ragazzo.
​ Pianese Nunnzio 14 anni a maggio: un prete che vive in
un quartiere degradato a Napoli e da un lato lotta contro
la camorra e dall'altro subisce il fascino di un ragazzino
che senza di lui diventerebbe un criminale.
​ Sold: bambina nepalese che viene sfruttata per la
prostituzione.
​ L'amore buio: la violenza sessuale non ha una sola classe
sociale.
1. DEGRADAZIONE, INTEGRAZIONE →
​ Welcome: un ragazzino Iracheno di etnia Curda nel suo
viaggio verso l'Inghilterra dove incontra un istruttore di
nuoto.
​ Alì ha gli occhi azzurri: due adolescenti di una borgata
romana.
​ Fratelli d'Italia: guarda le vite di adolescenti immigrati in
Italia.
​ Quando sei nato non puoi più nasconderti: Sandro un
benestante bresciano, finisce in una barca di immigrati
nel loro viaggio della speranza.
​ La mia classe.
​ Cose di questo mondo: due giovani del Pakistan che
vogliono migrare a Londra.
​ Sognando David Beckham: giovane adolescente indiana
che vuole giocare a calcio.
L'analisi di una società ormai arcaica la cui obsolescenza è ancora più evidente, la visione
della donna, la diversità, l'ottusità delle istituzioni e l'inadeguatezza degli adulti verso il
cambiamento questi sono temi che ci pongono davanti. Solo i ragazzi che sono lasciati
crescere sani senza catene possono essere liberi.

INCONTRARSI NELLE STORIE


Nella comunità per minori il raccontare\leggere storie alle bambine\i e ragazzi\e, i libri proposti e
poi letti in autonomia dalle ragazze\i e le “chiaccherate” nate dai libri, sviluppando con i minori una
forte alleanza.
La forma narrativa è la struttura con cui costruiamo il mondo, in quanto i nostri ricordi sono storie e
ascoltare e raccontare storie risponde a un nostro bisogno primario che ci permette di esistere e
sentire.
La necessità di costruirsi un'identità è totalizzante.
​ Stephen l'Oscuro → scrive gli incubi di Marcus (fratello) alla ricerca di un elemento di
“verità” del loro passato.
​ Bud non Buddy → Bud ha poche certezze sulla propria vita, la madre è morta, il padre è
sparito e i ricordi con i genitori sono legati ad una valigetta con dentro degli oggetti, in
orfanotrofio (dove viveva) gli regala una vacanza da una famiglia d'appoggio, Bud però una
sera scappa e decide di partire.
​ Jim Bottone → isola più piccola del mondo a cavallo di Emma e il suo amico Luca il
macchinista per capire chi sono i suoi genitori e chi è lui.
​ Auslander → Peter cerca un identità, una storia comune, interconnessa con altre storie; i
genitori erano stati uccisi dall'esercito tedesco e lui era stato dato in affido a un'importante
famiglia tedesca.

Apprendiamo culturalmente delle dicotomie narrative come giusto-sbagliato, normalità-anormalità


ecc.. che diventano le nostre lenti interpretative-soggettive del mondo.
Quanto minor spazio intercorre tra gli estremi di queste dicotomie-narrative, tanto più piccole
saranno le nostre lenti e tanto inferiore la proporzione di mondo di cui possiamo prendere coscienza
e comporta una ridotta capacità di riconoscere e accettare l'alter nei suoi differenti modelli di vita,
meccanismi mentali, forme relazionali.
In queste dicotomie le storie possono avere un effetto simile ai “binomi fantastici” rodariani, dove
da una parte ci sono le nostre dicotomie-narrative e dall'altra la storia da leggere\raccontare e questo
binomio può creare una perturbazione tale da porci in una situazione decontestualizzante delle
nostre certezze, una forma di bi-locazione in cui possiamo vederci dall'altro.
​ Unwind → affronta il tema che i genitori per i figli si sacrificherebbero; ci troviamo nel
pianeta Terra in un futuro dove dopo una Guerra Morale il mondo si è dovuto schierare tra
favorevoli e contrari all'aborto e poi viene eletta una legge che permetteva ai genitori di
restituire allo stato i loro figli tra i 13 e 18 anni, gli adolescenti fallati venivano smembrati e
i loro organi trapiantati in altri ragazzi in questo modo la loro vita non sarebbe mai finita.
​ L'uomo in fuga → futuro devastato da analfabetismo, divisioni economiche, la tv domina il
mondo degli uomini con i reality show, il più importante è quello dell'uomo in fuga che
racconta di questo reality dove i giocatori erano volontari poverissimi che saranno braccati
dai serial killer e per ogni giorno in cui gli uomini in fuga saranno vivi riceveranno una
grossa somma di denaro.
​ Il dito magico di Roald → “cosa faresti se avessi la possibilità di punire le persone che si
comportano come tu non vorresti?”.
​ Piccolo blu e piccolo giallo, tutto cambia di continuo, orso buco → mettono in discussione
le premesse degli adulti.

Ci permette di sperimentare altre narrazioni di vita, che confrontandosi con la nostra mettono in
discussione occasioni in cui ri-narrarci con quante più storie entriamo in contatto, tanto più grande
sarà la distanza delle nostre dicotomie-narrative. Poichè i sistemi tendono all'omeostaticità
dobbiamo cercare e proporre nelle storie che non mettano troppo in allarme le dicotomie-narrative
del ricevente. Una storia troppo blanda rischierebbe di non essere avvertita né seducente, una che
propone dicotomie-narrative troppo lontane dal modo di organizzare il mondo del lettore\ascoltatore
potrebbe essere allontanata o non vista, ad esempio per evitare un conflitto non gradito.
​ L'isola del tempo perso → Giulia e Anna scivolano in un tunnel dove alla fine c'è c'è una
montagna di oggetti assurdi e diversi, si trovano nell'isola del tempo perso dove il tempo si è
fermato e dove ci sono gli oggetti dimenticati dalle persone.
​ Nelle terre selvagge → Brian cade con un aereo ed è solo e illeso davanti ad una realtà in cui
le regole e le certezze con cui è cresciuto dovranno essere abbandonate.
​ Abarat → Candy scopre l'esistenza di un mondo nuovo.
Quando affrontiamo un libro per bambini o ragazzi è necessario leggerlo in chiave metaforica,
relazionale ed emotiva.
Bisogna proporre storie sincere risulta non solo una carta fondamentale ma responsabile e vincente;
storie che parlano del nostro quotidiano attraverso generi come la fantascienza, il fantasy, l'horror e
il noir, un meccanismo fondamentale che permette di accogliere da una storia quanto si è
emotivamente in grado di sopportare senza che ciò inflici la qualità del romanzo.
Raccontare\leggere una storia è un gesto di cura fondamentale verso i minori che non hanno mai
goduto delle cure primarie , un adulto che racconta\legge una storia porta linfa dorata che nutre
alcuni vuoti:
​ è la risposta ad una necessità primaria d'affetto legata ai processi di identificazione
​ è un gesto di cura gratuito
​ è un gesto che dice “ti vedo sono qui per te” e facilita i processi di identificazione
​ dà piacere e crea un legame
​ offre nuovi materiali per costruire la propria storia personale
​ crea un'esperienza di “bellezza”
Al di là di quello che raccontiamo è la relazione che decidiamo di costruire, il nostro modo di
esserci e dedicarci alla persona, è importante la costruzione dei ricorsi e degli incontri che creano
ricordi. Se una persona si dedica a noi gratuitamente raccontandoci delle storie, noi avremmo nella
nostra storia di vita dei ricordi che ci rafforzano in quanto persone che sono state degne di cura
quindi è fondamentale la gratuità, solo per il piacere di incontro.
C'è un rapporto fisico anche nella lettura personale, raccontare è una danza di relazioni
bidirezionale, in cui sono attivi tutti i canali comunicativi e in cui il piacere deriva dall'incontrarsi.
Creare dei momenti in cui noi raccontiamo o leggiamo storie insieme rafforza il rapporto tra il
gruppo e chi racconta e di conseguenza l'equipe educativa.
Possiamo e dobbiamo prepararci, a stare nella storia, a essere pronti ad abitare le relazioni che si
creeranno ma non controllarne gli effetti. Noi possiamo abitare queste nuove storie che saranno poi
lette dai singoli e in questo modo ognuno potrà parlarne e potremmo discuterne e affrontare
attraverso i libri temi complessi e potenti e parlarne attraverso la storia dell'altro permette di
affrontare temi critici in uno spazio protetto.
Essere fautori di queste forme di relazioni diventare seduttori, avvicina e crea un legame personale
che permette di lavorare contemporaneamente col gruppo e rafforza la leadership dell'educatore.

Scegliere una storia da raccontare\leggere ad alta voce o un libro di cui consigliarne la lettura per
capire quali storie possono rispondere alle aspettative di chi sta dall'altra parte.
Il suo chiedere comunicare il suo essere lì per lei, il piacere di condividere il proprio sapere, il
proprio tempo e crea uno spazio in cui essere altro.
Nel parlare di ciò che uno vorrebbe leggere ci sta raccontando di quale nutrimento ha bisogno la sua
storia passata, presente e futura per continuare la propria autopoiesi.
Chiedere e credere è fondamentale, nella scelta di un libro ci sono degli elementi importanti da
valutare come la difficoltà del linguaggio e il mondo in cui vengono affrontate certe tematiche.
Il processo dovrebbe essere voluttuoso ossia di godimento, piacere. Storie coraggiose, irriverenti,
sincere.
Leggere storie moraleggianti o apertamente educative annoiano, perchè non lascia spazio di
inserimento nella storia alla nostra narrazione e raramente generano dubbi, questo non deve essere
tradotto in storie banali e scritte in linguaggio bambinesco.
Le storie evidentemente educative solitamente rassicurano l'adulto ma non emozionano chi ascolta
né creano conflitto, nel lavoro educativo dobbiamo accettare che non possiamo controllare tutto e
non basta parlare di bontà per creare persone buone, possiamo proporre esperienze letterarie, lette o
raccontate che ampliano le competenze dei ragazzi in quanto narratori della propria vita.
Quanto più le storie saranno sconvenienti più sarà il conflitto generato.
Diventare complici non significa essere amico dei ragazzi ma trovare libri che ci facciano
avvicinarci a loro non negando la realtà del mondo.
​ Nei panni di Zaff → Zaff vuole essere una principessa, questo racconto non cade nella
morale e crea una cornice ironica che ci offre domande importanti sia dirette che attraverso
le azioni compiute da Zaff e gli altri personaggi.
​ Il mostro peloso → re per salvarsi da un mostro gli offre un bambino morbido e cicciotello,
il mostro accetta così il re porta il primo bambino che vede che è Lucilla sua figlia, la
bambina sfida il mostro a suoni di rime.
Il tema è quello di un mondo adulto spesso incapace di fronteggiare i conflitti e i bamabini
in grado di fronteggiare i cattivi e cavarsela da sola e la soluzione non violenta è un valore
aggiunto.

PROGETTAZIONE EDUCATIVA PARTECIPATIVA


La narrazione di storie aiuta a trovare un senso agli avvenimenti, all'interno di una cornice di
significato, le diverse vite e all'interno della stessa vita, lega il passato con il presente e il presente
con il futuro. Le narrazioni riguardanti l'autobiografia e la storia della propria famiglia sono
costituite dal patrimonio interiorizzato di parole, script, schemi mentali e comportamentali, eventi
ed esperienze vissute nel corso dei processi evolutivi relativi alla costruzione di sé.
Stern pensa che i modelli narrativi possono riguardare anche elementi che non hanno mai fatto parte
dell'esperienza diretta della persona ma vengono tramandati attraverso le narrazioni famigliari. La
narrazione di storie comuni e condivise all'interno dello stesso gruppo famigliare è atto
interpretativo e oggetto di revisioni continue e garantisce la trasmissione da una generazione a
quella successiva dei modelli di funzionamento individuale e collettivo.
Sandler e Rosenblatt mettono in luce come il bambino si costruisca e strutturi le rappresentazioni
provenienti dalle diverse fonti, organizzandole in modo che abbiano un significato per lui
accessibile, ritengono che anche la stessa percezione sia un processo attivo che trasforma i dati
sensoriali grezzi in precetti significativi.
Stern evidenzia come la costruzione di un sé narrativo sancisca un'importante tappa dello sviluppo
infantile e l'acquisizione del linguaggio faccia maturare la capacità di narrare la propria storia
creando una distinzione tra l'azione del pensare e quella del narrare in quanto processi distinti e
implicanti diversi funzionamenti ella mente. I bambini costruiscono delle narrazioni che sono
all'inizio una storia autobiografica che diventerà una storia vera.
Lavagetto sottolinea che il racconto non è una modalità formale ma è un indispensabile strumento
di conoscenza.
Se consideriamo le fiabe, i racconti o le narrazioni cinematografiche vengono prese in
considerazione i conflitti interiori, il bene e il male sono onnipresenti e si incarnano nei personaggi
e nelle loro azioni questo lo troviamo nelle fiabe dove i buoni e cattivi sono distinti mentre nelle
narrazioni autobiografiche i buoni non è detto che siano buoni fino alla fine così come i cattivi.
Nelle interazioni che avvengono in comunità tra educatore e bambino, emergono tanti frammenti di
racconti nei quali si delinea la vita e la storia del bambino, le narrazioni a volte difficili per chi le
racconta in quanto raccontano di traumi sono utili per chi può ascoltare usando una risposta
empatica e coerente.
La storia non è solo ricostruzione o un susseguirsi di episodi ma anche comprensione degli
avvenimenti e percezione di un senso dialettico del divenire; è necessario avere disponibili
strumenti con i quali costruire previsioni, pensare obiettivi, produrre cambiamenti; cioè se se da una
parte fare narrazioni ci consente di organizzare il passato dall'altra ci permette di pensare al futuro.
La progettazione educativa offre ai bambini e ai ragazzi un'opportunità per narrare e ri-narrare a se
stessi la propria storia e fornisce all'educatore la possibilità di costruire insieme a loro uno spazio di
ascolto delle esperienze vissute, dei propri desideri e delle proprie necessità creando l'occasione per
cercare soluzione, nuove possibilità di sviluppo e via d'uscita.
La progettazione educativa consente ai bambini e agli adolescenti di focalizzare la propria
attenzione su determinati obbiettivi, accompagnati da una figura adulta che li aiuti nella
realizzazione degli stessi favorendo la percezione di sentirsi soggetti attivi della propria vita.
La metodologia usata è quella di SCAFFOLDING che consente di predisporre un'impalcatura
mediante la quale poter facilitare il raggiungimento di compiti e obbiettivi tramite la co-costruzione
partecipata del percorso e la possibilità di rimodulare in itinere i piccoli obbiettivi. Il
raggiungimento di questi micro-obbiettivi che dovevano essere perseguibili con un'altra probabilità
di raggimento rinforza il soggetto la consapevolezza di poter raggiungere con successo uno scopo
prefissato e il senso di autostima.
E' importante predisporre obbiettivi e azioni che un bambino o un ragazzo sia all'altezza di
conseguire tramite delle azioni quotidiane, nel tempo e nello spazio, si disegnano, costruiscono e
rappresentano traiettorie di vita; una buona progettazione sostiene e predispone anche le basi per
uno sviluppo adeguato delle capacità di planning. La possibilità di osservare il proprio percorso è un
modo per “pensarsi” vedersi e riflettere su di sé.
La co-costruzione del progetto educativo individualizzato e tutti i momenti di colloquio ad esso
legati rappresentano un momento di cura, e rappresenta il momento in cui il bambino o il ragazzo
sono posti al centro. L'uso delle schede informatizzate sono modalità efficaci e intuitive che
permettono la comunicazione degli andamenti, un'efficace descrizione e una valutazione all'interno
della comunità e all'esterno.

Con l'adolescente
1. fase di co-costruzione degli obbiettivi attraverso passaggi fondamentali, prima doveva
avvenire un colloquio approfondito tra educatore e l'adolescente o giovane adulto per
definire quali obiettivi il ragazzo si prefigge e come poterli raggiungere grazie al suo
impegno e a quello dell'educatore. Questo impegno che stabilisce un'impegno reciproco per
raggiungere obbiettivi comuni fra educatore e giovane; nel colloquio l'educatore e il ragazzo
scelgono insieme gli obbiettivi da raggiungere con un'impegno da tutte e due le parti tramite
azioni osservabili e raggiungibili in un tempo, questo incrementa la capacità di planning
dell'adolescente\giovane. Alla costruzione della lista degli obbiettivi segue la lista della
azioni predisposte appositamente per raggiungere ciascun obbiettivo da parte del ragazzo e
la lista delle azioni facilitanti da parte degli educatori per sostenere il raggiungimento del
risultato stesso.
2. L'educatore stila insieme al ragazzo una lista degli atti professionali tramite le azioni messe
in atto dagli educatori per raggiungere l'obbiettivo.
3. Nuovo colloquio tra educatore e ragazzo rispetto a quanto emerso dagli incontri tra gli
educatori avvenuti tra gli educatori o con gli altri referenti esterni al fine di condividere
eventuali aggiustamenti da apportare alla progettazione.
4. L'avvio della scheda di partecipazione informatizzata che rende il processo di monitoraggio
e di valutazione estremamente facie e accessibile da tutti gli attori in tempo reale, in ogni
step prevede la partecipazione del giovane e prevede il coinvolgimento di tutti gli attori
coinvolti.

Con il bambino →
1. incontri iniziali con il riferente del progetto, con la famiglia per chiarire il percorso, la storia
di vita, il motivo di inserimento in comunità, gli obiettivi che possono essere perseguiti e le
aspettative di tutti i soggetti coinvolti.
2. L'equipe educativa si incontra e decide gli obiettivi da inserire nella scheda.
3. Lettura di gruppo che permette di evidenziare convergenze e divergenze rispetto
all'importanza e alla priorità che ognuno ha dato sui diversi obbiettivi.
4. Alla fine del confronto tra i diversi partecipanti emerge una lista degli obbiettivi (devono
essere osservabili e operazionalizzabili e azioni che il bambino può mettere in campo).

Nella progettazione educativa è fondamentale la fase di monitoraggio dove ci deve essere un tempo
e un luogo adatto all'ascolto.

Scheda informatizzata →
E' uno strumento relativamente semplice che permette di:
1. inserire\modificare obiettivi
2. inserire\modificare gli atti educativi
3. inserire\modificare le azioni facilitanti
4. effettuare un monitoraggio delle azioni
5. visionare i grafici per singolo obiettivo o per tutti gli obiettivi contemporaneamente
queste sono le caratteristiche della scheda informatizzata:
​ fase preventiva: stabilire e inserire gli obiettivi → ogni obiettivo e ogni azione facilitante
inseriti possono essere modificati utilizzando il pulsante “modifica obiettivo” e scegliendo
successivamente l'obbiettivo da modificare. E' possibile modificare il nome dell'obiettivo e il
nome delle azioni facilitante, è possibile eliminare alcune azioni facilitanti tenendo presente
che il programma però eliminerà anche i relativi monitoraggi.
​ modifica ed eliminazione di un obiettivo → ogni obiettivo e ogni azione facilitante inseriti
possono essere modificati utilizzando il pulsante “modifica obiettivo” e scegliendo
successivamente l'obiettivo da modificare.
​ monitoraggio → una volta inseriti gli obiettivi e le azioni facilitanti può iniziare la fase di
monitoraggio ed è organizzato su base settimanale ma non è obbligatorio che avvenga ogni
settimana, si svolge tramite il pulsante “avvia monitoraggio” e scegliendo gli obbiettivi
inseriti.
​ monitoraggio di un obiettivo a tempo → consiste nell'indicare se ogni specifica azione
facilitante sia stata svolta nella settimana in corso, rende necessaria la scelta di azioni
semplici e in connotazione positiva.
​ monitoraggio di un obiettivo a risultato → consiste nell'indicare se ogni specifica azione
facilitante sia stata raggiunta o no.
​ risultati e grafici → i grafici possono essere visualizzati in ogni momento e sono creati sulla
base dei monitoraggi automatizzate. La visualizzazione dei grafici avviene premendo il
pulsante “aggiorna e visualizza grafici” essere fatta per singolo obiettivo e riassuntiva per
tutti gli obiettivi.
​ grafici di un singolo obiettivo a tempo → il monitoraggio si riduce alla dichiarazione di
svolgimento (SI) o meno (NO)di una determinata azione. Nel grafico è visualizzato
l'andamento temporale di SI o NO per ogni azione facilitante. Nel grafico se la barra è
rossa vuol dire che il risultato ha una positività inferiore al 60%.
​ grafici di un singolo obiettivo a risultato → il monitoraggio si riduce alla dichiarazione di
raggiungimento definitivo o meno di una determinata azione. Con una percentuale di azione
già raggiunte e ancora da raggiungere con le percentuali.
​ grafici di sintesi di tutti gli obiettivi → se si sceglie il grafico di riassunto di obiettivi e i
risultati di tutti gli obiettivi inseriti, allo scopo di avere una visione d'insieme della
situazione.
GLOSSARIO
ALTRO SIGNIFICATIVO → indica persone di riferimento importanti per i bambini capaci di
promuovere o ridurre il suo stato di benessere e in grado di influenzare lo sviluppo del sé,
l'esperienza infantile è organizzata in modelli relazionali conservati nel sistema sé sotto forma di
memoria o previsione che insieme alle strutture cognitive direzionano la percezione delle relazioni
presenti e future per tutta la vita.
L' altro significativo è una persona che si sceglie sulla base della fiducia, dell'affinità, delle sue
capacità d'ascolto e di attenzione, delle sue caratteristiche di personalità e sulla base del proprio
vissuto personale. La fortuna si trasforma in un diritto quello alla protezione e alla sicurezza, quindi
c'è bisogno che qualcuno abbia un pensiero o uno spazio mentale rivolto al bambino o adolescente
di cui si prende cura e riservi a lui del tempo per esserci. Un adulto presente e responsivo è una
sponda su cui approdare, capace di cogliere i propri stati mentali e quelli dell'altro, quindi
riconoscere le emozioni, accettarle, tradurle, restituirle, legittimarle. E' necessario riuscire a
integrare esigenze organizzative in una prospettiva relazionale che impone scelte di tempo e di
ricerca di soluzioni originali che tengano conto dell'integrazioni tra bisogni e risposte centrate sulla
relazione e riconoscimento delle proprie difese e dei propri ancoraggi difensivi di tipo istituzionale.
E' una fortuna o un diritto poter predisporre di un adulto che con pazienza si prenda cura di un
bambino o adolescente, avere accanto un adulto che sia disponibile a rendere prevedibile ai più
piccoli l'ambiente e il contesto in cui si vive tutelandoli e fornendo strumenti per comprendere,
integrare e rielaborare eventi e situazioni che bambini e adolescenti potrebbero dover affrontare da
soli.
E' fondamentale il riconoscimento delle proprie difese e dei propri ancoraggi difensivi di tipo
istituzionale attraverso un lavoro di supervisione.
AUTENTICITA' → essere autentici in una relazione professionale significa saper stare in una
relazione con un altro, un bambino, un adolescente, inizialmente sconosciuto che necessita della
nostra protezione e del nostro sostegno e aiuto.
Lo stare in comunità è intriso di emozioni difficili da comunicare e lo essere autentici significa
riconoscere e accogliere emozioni; l'educatore che agisce sarà disposto a riconoscere queste
dimensioni emotive e ad accettare un alleanza emotiva.
Se la risposta dell'adulto è autenticamente coinvolta dalla presenza dell'altro il minore può
concedersi di sentire e di esprimere in maniera libera.
Il contenimento e l'accoglienza sono connotazioni specifiche imprescendibili di una relazione
autenticamente connotata, la relazione è il principale strumento di lavoro.
La relazione si manterrà sempre su un piano di alleanza emotiva e da questa muoverà per la
ridefinizione dei limiti di una comunicazione costruttiva.
La restituzione delle parole al dolore e alla sofferenza diventa necessario saper trovare le parole per
dire e dirsi quanto sia difficile stare in una relazione oppositiva in cui il dolore è veicolato
dall'insulto, dall'aggressione e dall'opposizione, è l'unica strada per avviare processi di
cambiamento.
La paura di gestire un conflitto non trasmettono alleanze né un limite ma una negazione della
relazione, l'educatore deve essere in grado di conquistare uno spazio di autenticità che implica lo
stare nella relazione senza scappare e reprimere emozioni stabilendo limiti a ripristinare i significati
e i significanti della relazione. Autenticità è chiarezza e trasparenza, aspetti come credibilità e
consapevolezza sono aspetti che rivestono un importanza primaria nel quadro di una relazione
autentica e di fiducia.
CREATIVITA' → la comunità per minori intreccia storie diverse di bambini e adolescenti
accumulati da vissuto relazionale complesso, la comunità è vista come un'esperienza alternativa a
tali esperienze traumatiche e ricca di stimoli tesi a innescare processi di trasformazione.
Simonton definisce “creatività quotidiana” che include la capacità di risolvere i problemi di ogni
giorno e l'abilità necessaria per abituarsi al cambiamento, stabilendo nuove relazioni tra diversi
elementi preesistenti producendo qualcosa di utile per la comunità.
Un'azione educativa può essere il risultato di un'energia creativa (scardinando gli schemi abituali).
Le potenzialità creative dell'individuo possono essere promosse o inibite dal contesto sociale di
riferimento; gli educatori devono svolgere attività di accrescimento per tutti i bambini e ragazzi.
Una comunità creativa si muove con leggerezza all'interno delle necessarie routine quotidiane
interrompendo una catena predisposta di sequenze rivelando che esistono diversi modi per fare le
cose, dando la possibilità a ognuno di guardare e interpretare la realtà.
Il conflitto deve essere un posto dove si può migliorare e crescere.
DEVIANZA → con questo termine si segnala l'allontanamento da parte di un soggetto, dalle norme
sociali, la distanza rispetto alle attese, trasgressione rispetto agli stili di vita diffusi.
La devianza è frutto di una deprivazione sociale, culturale, formativa in un risultato di un processo
di esclusione e marginalizzazione. E' necessario rendere intelligibili e interpretabili le condotte
devianti e investire dal punto di vista educativo per rendere attuabili processi di trasformazione
positivi nel minore garantendogli l'accesso a nuove visioni di sé.
Le condizioni di devianza riguarda quelle condotte che pur allontanandosi che non configurano
ancora reato; devianza è diversa da disagio.
La devianza minorile declinata come delinquenza e messa in atto di comportamenti illeciti e questo
si concretizza con condotte antigiuridiche e provocatori. La delinquenza si caratterizza con quelle
condotte che si configurano come reati. La fatica è la capacità di resistere alle condotte
devianti-delinquenti e la reasponsabilità adulta è molto alta e gravosa ma irrinunciabile.
Un argine per il contrasto alla devianza minorile non può prescindere da una comprensione
prismatica e trasversale del fenomeno e dunque un aspetto di indagine sulle loro conseguenze
impegnato a superare le condizioni di difficoltà.
La capacità di resistenza è legata alla capacità di resilienza, resistendo a contesti sociali e ambienti
negativi che ogni individuo sperimenta la capacità di andare avanti.
Gli operatori che interagiscono con il minore deviante devono poterlo comprendere, curare e
ascolatare. La funzione centrale fra minore-educatore ovvero un cargiver capace di gestire ed
educare il minore alla resilienza e condividere la fatica.
La devianza ha sempre una valenza relazionale:
​ funziona dell'adultità (assunzione anticipata di comportamenti dei grandi)
​ funzione dell'affermazione di autonomia
​ funzione della differenziazione
​ funzione della trasgressione e superamento dei limiti
​ funzione dell'esplorazione di sensazioni
​ funzione dell'oltrepassare i limiti e provocare agli adulti
​ funzione dell'attirare l'attenzione di sé
LIBERTA' → l'educazione è associata alla parola LIBERTA', è importante combattere
quest'educazione alla competizione, il confronto e all'inserimento in categorie predefinite
concentrandosi di offrire una possibilità di liberare ciò che si ha dentro.
L'esperienza conferma che in un luogo dove venga valorizzata la diversità e nello stesso tempo
garantita l'uguaglianza, il bambino non si esprime a discapito degli altri ma insieme agli altri.
L'espressività del bambino è tutelata al massimo.
Esiste una relazione precisa fra regole e libertà, libertà non è far qualunque cosa senza regole e
limiti in quanto se si vuole essere liberi di usare ciò che si vuole bisogna imparare ad usarlo bene.
Tutti si è responsabili di qualcosa che si impara subito ad amare: viene fuori il rispetto in quanto lo
si vive senza insegnarlo.
Si impara ad accettarsi, ci si fortifica, si dialoga con sé stessi, ognuno può percorrere il proprio
mondo; si può educare alla libertà delle diversità di ognuno aiutando a crescere nella
consapevolezza.
PARTECIPAZIONE → la partecipazione politica e sociale è stata oggetto di studio in ambito della
sociologia e delle scienze politiche. Per quanto riguarda le scienze psicologiche si concentra sugli
aspetti che connotano la partecipazione in fattore determinante legato all'empowerment e
all'espressione dei diritti di cittadinanza.
L'esistenza di partecipazione: di fatto (appartenenza a un gruppo di età, mestiere, famiglia),
spontanea (adesione a gruppi di vicinato, pari, amici), volontaria (creazione di gruppi
auto-organizzati come sindacati, politici, associazioni), provocata (creazione di progetti di sviluppo
che riguardano la realtà territoriale).
Attivare processi partecipativi in comunità non è un aspetto secondario e contribuisce in modo
decisivo alla percezione di benessere, all'idea di poter influenzare e di avere controllo sulla realtà in
cui si vive.
Il coinvolgimento del minore nel suo progetto educativo deve avere una modalità partecipativa in
tutte le sue fasi e lo rende protagonista.
RESILIENZA → corrisponde alla capacità dell'uomo di fronteggiare le avversità della vita e
superarle uscendone rinforzato e trasformato, in psicologia non esiste una definizione condivisa di
resilienza.
Della resilienza la specie umana è naturalmente dotata e la visibilità variano da individuo a
individuo.
Sono stati individuati, in letteratura, sette elementi che caratterizzano un individuo resiliente:
​ insight → capacità di esaminare se stesso, analizzare il problema, leggere elementi relativi al
contesto e cercare soluzioni alternative.
​ indipendenza → mantenere identità, autonomia, indipendenza.
​ interazione e comunicazione → stabilire rapporti soddisfacenti con l'ambiente circostante.
​ proattività → acquisire ed elaborare informazioni in modo da poter leggere con chiarezza il
proprio ambiente.
​ creatività → creare l'organizzazione, nuovo ordine funzionale.
​ humor e ironia → distaccarsi dal problema sminuendo attraverso un gioco linguistico.
​ etica → sentirsi parte di un macrosistema condividendone i valori e le dinamiche.
I bambini in comunità hanno uno schema di attaccamento insicuro e bisogna intervenire per
prevenire psicopatologie future.
Secondo Bowly i cambiamenti in cui il bambino viene trattato possono far deviare il suo percorso in
una direzione più favorevole o in una più sfavorevole. Il bambino può instaurare una relazione di
attaccamento anche con una figura esterna alla famiglia che risulta significativa. Con la costruzione
di un legame empatico e di vicinanza trasforma la persona sconosciuta in un famigliare quindi è
importante per il bambino instaurare un legame di attaccamento solido e sicuro nonostante le
esperienze negative.
La comunità vuole risultare un luogo impregnato di relazioni e legami significativi e nel quale le
persone possono rielaborare la propria storia personale e crescere per costruire un progetto di vita
volto all'autonomia. Il bambino deve sentirsi ascoltato e accolto.
RIPARAZIONE → indica l'intervento volto ad attivare su un soggetto che ha subito un danno,
senza la riparazione l'oggetto non sarà in grado di funzionare, se è vivente il danno può bloccare il
suo percorso di crescita.
Il danno può essere psichico causato da violenze verbali ripetute e squalificanti, il comportamento
del bambino o ragazzo che ha subito questo danno è spesso inspiegabile per l'adulto in quanto ha un
comportamento oscillante, insicuro e privo di autostima, spesso avendo comportamenti di
isolamento.
Il comportamento del bambino\ragazzo può trarre in inganno ed essere scambiato per un disturbo di
personalità congenito, ritardo mentale, sindrome dissociativa, sindrome pre-psicotica.
Questi comportamenti di bambini e ragazzi vengono spesso visti come espressione di capricci
procedendo in termini di punizioni e squalifiche aggravando i comportamenti, è difficile capire che
si tratta di una personalità sana che ha subito un danno emotivo.
L'educatore in comunità può svolgere una funzione terapeutica in quanto la riparazione di questi
danni deve essere svolta in due ambiti: la psicoterapia e l'esperienza emozionale correttiva.
L'educatore ha la possibilità di cogliere gli sbalzi di umore improvvisi del bambino o ragazzo,
usando modalità riparative attraverso la comunicazione empatica e la capacità di reagire
positivamente alla “messa alla prova” da parte del bambino o ragazzo.
Queste modalità educative\riparative devono essere garantite a tutti gli ospiti della comunità.
RIVELAZIONE → consiste nel confidare a qualcuno un fatto, un pensiero, un'esperienza che il
soggetto ha tenuto nascosto per molto o poco tempo e che non ha mai comunicato a nessuno, nel
nostro caso si tratta di segreti che riguardano esperienze vissute o informazioni raccolte o scene a
cui ha assistito un bambino\ragazzo e che è stato impegnato al segreto o si è autoimpegnato al
segreto.
Il bambino\ragazzo dopo una serie di violenze vissute in famiglia spesso è lui stesso a chiudersi in
segreto in quanto la vittima si vergogna e si convince di essere giustamente punito perchè cattivo e
vive queste continue punizioni come un segreto incomunicabile.
Ma può anche essere che la ferita emotiva sia talmente grave da non permettere alla vittima di
trovare le parole per dirlo per un congelamento emotivo.
La vittima non parla ma per lei parla il suo comportamento.
Quando un bambino o ragazzo vive il segreto sotto ricatto o volontariamente si chiude in se stesso,
è inquieto, ribelle, sofferente, asociale, aumentano i comportamenti trasgressivi pubblici e privati,
quindi ha tutte le caratteristiche del disturbo post-traumatico.
Spesso all'interno delle famiglie questi comportamenti vengono visti come cattivo carattere e il
disagio della vittima passa in secondo piano.
L'ingresso in comunità porta un effetto di sorpresa e curiosità e dopo un primo periodo di messa alla
prova della pazienza e della disponibilità egli adulti, l'ospite trova il suo educatore di riferimento e
la tensione interiore si attenua.
Anche il clima complessivo della comunità è importante in quanto il clima è quello in cui più
facilmente l'ospite può aprirsi alla possibilità di rivelare esperienze traumatiche prima impossibili
da esprimere; spesso in età prescolare o nelle prime classi i bambini rivelano gli abusi tramite il
disegno.
Un ambiente di vita rassicurante e rasserenante dove sentirsi protetti e a proprio agio con un
caregiver ricco di intelligenza emotiva questo spesso è un ambiente incoraggiante alla rivelazione.
La vergogna e la colpa sono spesso l'eredità del trauma e riescono qualche volta a trovare una via di
comunicazione nella confidenza e nella fiducia.
Le rivelazioni del bambino offrono le relative raccomandazioni:
1. la rivelazione è la conseguenza della presa di contatto consapevole della propria esperienza
traumatica.
2. Per quanto è un passaggio positivo comporta il rischio di una temporanea riacutizzazione
della sofferenza post-traumatica.
3. L'entità di questo rischio dipende dal grado di riconoscimento nel ambito delle relazioni
significative, dei bisogni psicologici e fisici del bambino.
4. Quanto più il bambino è stato danneggiato dal abuso tanto più è danneggiata la sua capacità
di ricordare e raccontare.
5. La rivelazione è un processo e passa per fasi che possono non risultare lineari e logiche.
6. La rivelazione va sempre raccolta e approfondita, anche se si presenta frammentaria,
confusa e bizzarra.
7. Essa va accompagnata, mettendo in atto opportuni interventi di protezione e sostegno.
8. Essendo l'abuso sessuale un fenomeno fortemente marcato dall'ingiunzione del segreto e del
silenzio e dall'attivazione di sentimenti che inibiscono la narrazione, la raccolta delle
rivelazioni dovrà accompagnarsi a una grande attenzione nell'evitare elementi di suggestione
negativa.
9. Porre grande cura nell'evitare elementi di suggestione positiva nel dialogo, sovrapponendo
idee, ipotesi e sentimenti dell'adulto alla narrazione del bambino anticipando situazioni
particolari che possono condizionare il minore e alterare la qualità dell'ascolto.
Il momento della rivelazione è inquetante per tutti e l'educatore deve allontanarsi con la vittima dal
gruppo per avere un momento di intimità e un atteggiamento empatico.
SCAFFOLDING → individua la funzione di supporto e di aiuto che l'adulto fornisce al bambino
perchè questi sia in grado di elaborare un'adeguata conoscenza di sé e del mondo. Sono azioni di
accompagnamento delle relazioni significative, questo concetto nasce all'interno della prospettiva
interattivo-costruzionista e deriva etimologicamente dalla parola inglese scaffold che significa
impalcatura.
L'attività di giuda e supporto realizzata da un partner più competente nelle interazioni con un
partner meno competente, scaffolding indica quell'azione di regolazione competente svolta
dall'adulto nel fornire un'impalcatura capace di guidare l'azione del meno esperto.
Il bambino può più facilmente portare a compimento l'attività senza farsi carico da solo di tutto
l'impegno cognitivo ed emotivo necessario per raggiungere l'obbiettivo.
Il concetto di scaffolding può essere applicato anche alla dimensione del sostegno alla genitorialità.
SIMBOLIZZAZIONE → le esperienze raccontate e vissute rappresentano un tentativo di essere
nel mondo e spesso le esperienze di vita sono complesse e tortuose.
L'unico modo che ha l'uomo per essere nel mondo è abitare lo sguardo dell'altro, essere oggetto di
una rappresentazione e appartenere ad un mondo simbolico. Le parole non sempre riescono a
cogliere il significato ultimo che è sempre altro. Il gioco simbolico, la parola poetica riescono a
cogliere ciò che dice il suono, l'immagine evocativa che rappresentano il tentativo di raccontare
l'indicibile essenza dell'altro. Bisogna aver cura dell'altro significato nel proprio orizzonte,
un'identità costruita sulla cura genera pensieri e possibilità.
E' qualcosa di perturbante quello che ciascun essere umano, bambino o adulto, prova nel sentirsi
oggetto di uno sguardo altro e nel ritrovarsi derubato, ciascun uomo e bambino sperimenta di
esistere qui ed ora.
E' proprio la non esistenza, la non presistenza nel tempo e nel mondo che genera angoscia che
scorgiamo negli occhi dei bambini, il senso di frammentazione che rimanda lo sguardo e sorvola e
non abita.
La nostalgia di un primitivo benessere affonda le radici in uno scrigno leggero di sentimenti, in una
condizione angelicata che mai più si ripresenterà ma che potrà essere recuperata attraverso segni
materni che rimandano a significati materni e a un paradiso perduto, nel grembo materno dove si
viveva senza dolore, il bambino recupera la madre e il paradiso attraverso oggetti ed esperienze
transizionali capaci di rievocare e rappresentare il trascendente. Un bambino per rievocare il calore
materno deve avere provato esperienze d'amore, infatti quando c'è stata un assenza è impossibile per
il bambino tornare a quel momento perchè senza significato non si possono generare significanti.
Quando un bambino ha vissuto una catastrofe non riesce a gestire l'assenza del caregiver e non
riesce a esistere e a consolarsi attraverso il gioco simbolico, quindi il bambino vive inchiodato nel
dolore.
Eventi traumatici vissuti nell'infanzia incidono in maniera significativa sul sistema limbico e sulle
regioni frontali (aree che regolano affetti ed emozioni), quindi danneggiato dal trauma è la
connettività fra i due emisferi e bambini e ragazzi maltrattati presentano volumi celebrali ridotti.
Gli educatori coinvolti in un percorso educativo e terapeutico con i minori possono accedere a un
universo di segni condivisi per attivare processi di lettura, interpretazione e rappresentazione del
mondo simbolico nel quale siamo gettati fin dalla nascita.
Daniel Stern con studi e osservazioni sul mondo in cui il bambino studia e rappresenta il mondo che
conclude che difficilmente un adulto riuscirà a entrare nel vissuto dei bambini perchè ci sarà sempre
un osservazione di ciò che osserva, questo insegnamento ci impone di osservarci e dobbiamo alzare
la soglia di attenzione mentre incontriamo l'altro, diffidando dai nostri schemi concettuali e
considerandoci osservatori non neutri e operare cercando un registro comunicativo che contempli il
dubbio, l'incertezza, lo stupore e che ci permetta realmente di entrare in punta di piedi e fra mille
ostali in relazione con il mondo dell'altro.
Vico invece afferma che un'infanzia delle espressioni, una forza selvaggia e barbarica del gesto
espressivo che la normatività comunicativa linguistica mortifica e appiattisce, il linguaggio ostacola
la vivacità e l'originalità del gesto, del simbolo rappresentato.
La comprensione è sempre una relazione e bisogna conoscere e sapere che sono fenomeni
relazionali.
L'educatore può introdurre nella relazione quattro elementi fondamentali: il silenzio, l'ascolto dei
segni, l'accoglienza e la restituzione dello sguardo.
TRAUMA → e' un evento negativo che lascia ferite di natura fisica e\o emotiva, non facilmente
rimarginabili, possiamo classificare diversi tipi di trami in base a cosa sono causati:
​ eventi naturali; terremoti, trombe d'aria, lutti improvvisi.. queste situazioni sono
generalmente condivise e la condivisione attenua la gravità dell'impatto traumatico, questo
tipo di trauma viene definito acuto
​ eventi accidentali; incidenti, scippo, furto.. dove la vittima può elaborare il trauma con
maggiore sicurezza in quando può essere aiutato a capire che raramente queste esperienze si
ripetono più volte nella vita, questo tipo di trauma viene definito acuto
​ violenze fisiche subite (punizioni corporali) o viste agire (violenza domestica) da persone
con le quali si hanno rapporti frequenti e in una posizione subalterna, possono apparire di
minor impatto rispetto alle prime due ma la continua reiterazione pone la vittima in una
situazione di ansia permanente, questo tipo di trauma viene definito cronico.
Le lesioni fisiche sono meno facilmente trascurabili in quanto visibili e spesso sono
riconoscibili e riparabili ma le lesioni psichiche possono passare inosservate e\o essere
ignorate perchè la vittima può non chiedere aiuto o non essere creduta, spesso si trascura
l'impatto traumatico del trauma fisico.
La gravità dell'impatto dell'esperienze traumatiche sulla psiche della vittima dipendono da variabili
oggettive e soggettive:
​ l'età: il bambino in tenera età può essere inconsapevole e\o dimenticare la consistenza reale
di un'esperienza traumatica, ma la scossa emotiva potrebbe lasciare segni confusi nella sua
struttura psicologica o aggravare le conseguenze di un attaccamento insicuro e quindi
danneggiare e\o complessificare il suo sviluppo psicofisico e affettivo.
In età più avanzata (fase prepubere e adolescenza) c'è la percezione del rischio e del pericolo
da parte del ragazzo e la consapevolezza della loro gravità, la potenzialità mnestica e la
successiva riattivazione occasionale del trauma subito in quanto non sempre il trauma viene
facilmente elaborato.
​ Tempo intercorso fra il fatto e l'arrivo di assistenza: il trauma ripetuto ovvero il cronico e la
famiglia e la scuola sono i luoghi dove questo tipo di trauma si manifesta più facilmente.
Il bambino che giunge in comunità è smarrito, ferito, impaurito e diffidente e tutto questo lo tiene
per sé, nascondendolo o manifestandolo subito con un atteggiamento oppositivo e aggressivo e qui
è importante riconoscere la natura traumatica.
Il processo di adattamento richiede lunghi tempi e il minore vive chiuso in sé, altri bambini
manifestano da subito ostilità, modalità aggressive sia verbali che fisiche con crisi pantoclastiche.
L'educatore deve essere informato sul perchè il minore è in comunità.
La sintomatologia del disturbo post-traumatico da stress cambia da persona a persona, è importante
ricordare che l'educatore può subire un trauma dall'improvvisa rivelazione di un bambino\ragazzo
della comunità di cui si sta occupando, tramite il trauma contagioso, questo contagio del trauma
richiede all'educatore consapevolezza e prontezza dei riflessi perchè il confidente ha bisogno di
risposte serene.

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