L’educazione:
⮚ è una funzione fondamentale dell’uomo e ne accompagna il cammino sin dalle origini;
⮚ è un concetto polisemico (o polisemantico, cioè di vocabolo cui si riferiscono più significati), la cui definizione ha
interessato diverse generazioni di studiosi;
⮚ vi si possono ricondurre l’allevamento dei neonati da parte dei genitori; l’insegnamento delle attività basilari (parlare e
camminare) e delle altre connesse al soddisfacimento dei bisogni primari; l’introduzione graduale del bambino alle
relazioni con le persone e gli oggetti che lo circondano.
Le cure e i contenuti educativi sembrano essere, da sempre, per lo più riservati all’infanzia, tanto che, in termini ancora molto
generali, l’educazione può essere definita come un processo continuo di trasmissione alle giovani generazioni della cultura delle
generazioni adulte, dove per cultura si intende l’insieme degli usi, dei costumi, delle tradizioni, dei valori, dei principi, dei
comportamenti e delle attività propri di un determinato gruppo sociale.
Solo in tempi recenti si è acquisita la consapevolezza che l’educazione è un processo che si dispiega lungo tutto l’arco della vita, dalla
culla alla tomba, quindi ben oltre infanzia e adolescenza.
La storia dell’educazione deve tener conto della molteplicità dei protagonisti che danno vita alla relazione educativa e dei contesti
all’interno dei quali essi operano.
La storia e le acquisizioni di una ricerca scientifica multidisciplinare hanno mutato modalità e contenuti della relazione educativa
fondamentale, costituita dal binomio educatore-educando: i più antichi modelli monodirezionali, fondati sull’indiscussa autorità
dell’educatore, sulla subordinazione dell’educando e su un largo ricorso alle percosse e alle punizioni come metodo didattico
privilegiato, hanno lasciato il posto a modalità educative bidirezionali, nelle quali il rapporto educativo si dispiega, in termini di
relazione, tra soggetti uguali sul piano della dignità personale e al tempo stesso diseguali sul piano delle conoscenze e delle
esperienze. È un rapporto necessariamente squilibrato quello educativo.
L’educazione varia nello spazio e nel tempo e dunque, per accostarsi ad una modalità educativa, bisogna contestualizzarla in un
determinato tessuto sociale, all’interno della sua storia e della sua geografia. Società ed educazione stanno in un rapporto osmotico
di influenzamento reciproco in quanto, i diversi assetti sociali che si sono succeduti nella storia, le loro culture e le differenti
educazioni sono opera dell’uomo, che è sì immerso nella propria storia, ma al tempo stesso sa rinnovarla: la storia dei processi
educativi è la storia degli uomini e delle donne che a quei processi hanno dato vita.
Bernardo di Chartres: <<Siamo nani sulle spalle dei giganti venuti prima di noi>> →Significa che per quanto grandi siano state le
invenzioni e le scoperte accumulate dai nostri predecessori, per quanto elevate siano le vette che hanno raggiunto nei diversi campi
della scienza, della tecnica, della filosofia, della letteratura e delle arti, noi possiamo guardare più lontano, dall’alto di quel lascito
sapienziale che ci hanno tramandato, dentro il quale c’è anche l’invito ad andare oltre la cultura che riceviamo mediante
l’educazione, ad osservarla con animo aperto e spirito critico.
Una certa fiducia nel futuro è connaturata all’azione educativa. Non è importante che si pensi al futuro in termini di cambiamenti
piccoli e veloci o lenti e profondi, in molti casi le conseguenze di tante invenzioni e scoperte sfuggono agli stessi protagonisti: ad
esempio, il cacciatore-raccoglitore che ha iniziato a domesticare piante e animali non poteva immaginare che la nascita
dell’agricoltura avrebbe cambiato il cammino dell’umanità: la sua scommessa sul futuro aveva un’azione immediata, che tuttavia lo
portava a tentare modi nuovi di procacciarsi il cibo allontanandosi così da usanze millenarie. Considerazioni analoghe possono
essere fatte per la nascita della scrittura, il viaggio di Colombo, l’invenzione della stampa; chi ha costruito la prima automobile non
aveva previsto lo sconvolgimento urbanistico, del paesaggio e dei consumi connesso allo sviluppo della motorizzazione di massa.
Questi e molti altri possono essere considerati esempi di eterogenesi dei fini (=conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali):
l’importante è utilizzare le conoscenze acquisite per oltrepassarle.
Se il consolidamento scientifico della pedagogia si colloca tra XIX e XX secolo, l’uomo ha iniziato fin dall’antichità ad interrogarsi sui
fini, sulle modalità e sui contenuti dell’agire educativo, e lo ha fatto con gli strumenti che di volta in volta aveva a disposizione: dalla
filosofia e dalla religione giungendo, in epoca recente, ad utilizzare il portato di quelle scienze, come psicologia e sociologia, che al
pari della pedagogia si sono emancipate dalla comune matrice filosofica.
Capitolo 1
Preistoria e prime civiltà
_ Origini _
Preistoria = prima dell’invenzione della scrittura, quindi no testimonianze scritte. Ma se, senza scrittura, mancano quelle fonti
(documenti, epigrafi, racconti delle gesta di re e imperatori, leggi, registri, testi religiosi, ecc.) su cui si fonda il lavoro di chi interroga
il passato, allora l’educazione prima della storia è muta? No, esistono diversi reperti (fossili, manufatti, oggetti vari in bronzo e ferro,
ecc.) dai quali si possono trarre informazioni su molti aspetti della vita preistorica, e che inducono a ritenere che l’educazione, intesa
come allevamento, cura e graduale inserimento dei bambini nel gruppo sociale, accompagni l’uomo sin dai tempi delle società orali.
→[John Dewey, filosofo e pedagogista statunitense, in Democrazia ed educazione, 1916, definisce l’educazione come <<necessità
della vita>>.
Dewey distingue tra realtà biologica e dimensione culturale dell’uomo. Vediamo in che senso:
Anche se il ciclo vitale di ogni essere vivente è inevitabilmente scandito da nascita, crescita, maturità e morte, fintanto che il singolo
individuo conserva la capacità di adattarsi all’ambiente e di utilizzare le risorse a sua disposizione per sopravvivere, soccombe il
singolo ma la specie sopravvive. Ora, mentre per gli animali è questione di istinto e selezione naturale, per quanto riguarda l’uomo
qui avviene il passaggio dalla realtà biologica alla dimensione culturale, che si concretizza nella trasmissione di conoscenza: propria
di ogni sodalizio sociale, dal primo e più semplice sino alla società moderna, la trasmissione di conoscenze, dalle più basiche e
rudimentali a quelle più avanzate, è ciò che permette al genere umano di perpetrarsi. Ed è proprio in questo senso che va intesa
l’affermazione di Dewey secondo cui l’educazione è una necessità della vita: al termine del suo ciclo vitale il singolo scompare,
mentre il gruppo continua a vivere, di generazione in generazione, ma perché ciò avvenga è necessario che i membri immaturi
siano, non solo preservati in numero sufficiente, ma anche iniziati agli interessi, scopi, nozioni, abilità, abitudini, in una parola: alla
cultura, dei membri maturi.
La prima definizione scientifica di cultura si deve all’antropologo Edward Burnett Taylor, in Primitive culture, 1871: <<La cultura è
quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e
abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società>>. Si tratta di una definizione superata dai successivi sviluppi
dell’antropologia culturale, che però qui interessa per la precisazione finale: dire che la cultura è acquisita dall’uomo significa
parlare di educazione.
→La trasmissione di Dewey e l’acquisizione di Taylor altro non sono che l’educazione dei membri immaturi, introdotti alla cultura
del proprio gruppo, e soltanto l’educazione permette la continuità tra le generazioni.
→Quindi, educazione come necessità della vita nel senso di un continuo processo di trasmissione culturale tra generazioni per
permettere la continuità delle generazioni stesse, quindi della vita.]←
La conoscenza delle più lontane forme educative praticate dall’uomo si basa sulle ricerche delle scienze storiche, archeologiche,
etno-antropologiche e sullo studio dei gruppi sociali tradizionali che sono giunti fino ai giorni nostri conservando la propria cultura.
L’insieme delle ricerche consente di definire il concetto di educazione naturale, ossia quei principi, valori, comportamenti e abilità
che venivano insegnati, nella vita quotidiana, da quanti interagivano con il soggetto immaturo (famiglia, gruppo sociale).
L’educazione naturale:
- è stata l’unica conosciuta in età preistorica;
- è sopravvissuta nelle epoche successive in unione ad altre modalità educative;
- si basava sull’oralità e sull’imitazione;
- presentava bassa intensità formale;
- presentava ampia partecipazione del gruppo sociale.
L’educazione familiare era parte dell’educazione naturale e consisteva in quell’insieme di cure genitoriali finalizzate alla crescita della
prole e, al tempo stesso, alla sopravvivenza del gruppo sociale; varia al variare delle culture.
Fin dalle origini l’educazione è attenta alle differenze di genere, ed educare ai rispettivi ruoli maschi e femmine significava una
grande consapevolezza degli obiettivi educativi e delle modalità per raggiungerli:
- obiettivi educativi per i maschi erano la forza, il coraggio e la tenacia; su queste qualità si innestavano le abilità
del cacciatore-raccoglitore e del guerriero;
- l’educazione femminile, in quanto rivolta ad attività specifiche (cucinare, cucire, ecc), perseguiva un’ampia gamma
di obiettivi: preparare il cibo, per esempio, comportava abilità e conoscenze nella ricerca/raccolta dei frutti
della terra, nell’uso del fuoco, ecc.; inoltre, per molte funzioni la distinzione di genere era ancora debole e la
donna partecipava alla caccia, alla lavorazione della preda uccisa, alla costruzione degli utensili necessari; non era
così, però, per l’allevamento della prole.
(È difficile stabilire dove e quando tali mutamenti siano comparsi per la prima volta. Studi recenti considerano superata la visione
diffusionista, secondo cui quei cambiamenti si sarebbero prodotti in un certo tempo e luogo e di lì si sarebbero diffusi in altri
territori. Oggi prevale la teoria del cambiamento processuale, secondo cui non necessariamente un popolo doveva apprendere
l’agricoltura o la scrittura, ecc. dai vicini: gli stessi processi che l’avevano fatta sorgere in una parte del mondo potevano generarla
altrove).
La vita dei cacciatori-raccoglitori (nomadi) differisce molto da quella degli agricoltori (sedentari):
- i primi sono nomadi o semistanziali, i secondi si stabiliscono in un territorio e lo lavorano;
- i primi traggono da un ettaro di terra vergine una resa calorica minore rispetto alla terra coltivata;
- se li nomadismo limita la procreazione, la stanzialità consente e l’agricoltura addirittura richiede una prole
numerosa, che affianchi il lavoro dei genitori;
- i nomadi raccolgono/cacciano il necessario per vivere e non accumulano eccedenze, mentre gli agricoltori
producono derrate in quantità superiore al consumo immediato, e immagazzinano il surplus per il commercio.
Per questo insieme di circostanze le popolazioni sedentarie crescono a ritmi intensi e la loro organizzazione sociale conosce una
complessità storicamente inedita:
- per i nomadi clan e tribù sono organizzazioni egualitarie, con deboli strutture di comando;
- le popolazioni sedentarie sviluppano assetti più articolati: città-stato, regni o imperi, governati da oligarchie,
consacrati da una casta sacerdotale, gestiti da una struttura amministrativa e difesi da un apparato militare.
Il mantenimento e la ricchezza di questi strati sociali erano garantiti dal resto della popolazione. La nuova
organizzazione sociale tende quindi a forme rigide di stratificazione per ceti o per classi:
> in alto le élite aristocratiche, sacerdotali e militari;
> in basso il popolo: agricoltori, allevatori, pescatori e, in generale, quanti svolgevano un lavoro manuale;
> in mezzo le figure sociali espresse da altre attività, come artigiani e mercanti;
Altri prodotti della stanzialità:
> la città, dove lo spazio costruito assume un forte connotato simbolico: le opere insigni costruite all’interno, come
il Tempio e il palazzo del Re, sono manifestazioni ed esaltazioni del potere e della ricchezza;
> nelle antiche civiltà mesopotamiche e del Vicino Oriente (Sumeri, Assiro-Babilonesi, egizi, ebrei) insieme con la
nuova organizzazione sociale nascono nuovi e articolati sistemi di saperi. Un sistema sapienziale è un agglomerato
di nuclei conoscitivi diversi: indicazioni di comportamento, conoscenze pratiche, spiegazioni sull’origine del mondo,
ecc., che fa da collante culturale, poiché definisce l’identità di un popolo, e comprende, nello specifico, leggi,
divieti, prescrizioni, miti, precetti religiosi, osservazioni scientifiche, racconti di guerre e conquiste, favole,
poemi, proverbi. Per millenni la codificazione di un così vasto deposito sapienziale è stato affidato solo all’oralità
e alla memoria. Opere come l’epopea di Gilgames, l’Iliade e l’Odissea non sono nate per diletto: le vicende dei
protagonisti avevano una funzione educativa fondata sulla forza dell’esempio, e il verso ne facilitava
memorizzazione e divulgazione;
> uno degli elementi che segna la maggior distanza tra nomadismo e stanzialità è la fiducia nel futuro, prerequisito
della civiltà: chi accumula gradi quantità di ricchezze vive proiettato in un orizzonte di senso più vasto di chi,
giorno per giorno, conduce la dura lotta per la sopravvivenza. Senza fiducia nel futuro non ci spiegheremmo i
lasciti più rilevanti delle antiche civiltà: dalle ziggurat alle piramidi, dall’astronomia alla letteratura.
Sulla fiducia nel futuro si fonda anche e soprattutto l’educazione.
L’educazione non poteva restare estranea ai mutamenti in atto, e anzi era chiamata a rispondere alle nuove esigenze, si veniva
infatti modellando secondo la rigida stratificazione sociale assunta dalle società stanziali, nel senso che esser figli di un dignitario di
corte, di un artigiano o di un contadino comportava educazioni diverse:
- negli strati sociali elevati l’educazione era più articolata nei contenuti e nei metodi;
- all’apprendista artigiano era riservata un’educazione insieme manuale e intellettuale, affidata al mastro artigiano;
- nei ceti più umili la famiglia era l’unico soggetto educativo e i giovani venivano avviati agli stessi lavori dei padri.
> Quindi, cambiano i contenuti del processo educativo: scorrendo la scala sociale dall’alto verso il basso cresceva il
lavoro manuale, considerata un’attività servile, e diminuivano i saperi;
> e cambiano i protagonisti dell’azione educativa: affinché il giovane aristocratico acquisisse le vaste conoscenze
proprie del suo rango era necessario l’intervento di figure diverse che integrassero l’educazione familiare; la
famiglia restava il soggetto educativo primario ma non era l’unico. Al giovane contadino, invece, era riservata la
sola educazione domestica.
→Chi apparteneva per nascita alle élite dirigenti aveva il diritto e il dovere di acquisire le conoscenze che ne
garantissero la riproduzione; a tutti gli altri era consentito l’accesso alle sole competenze strumentali.
Man mano che altri nuclei conoscitivi si aggiungevano a quelli già esistenti era necessario che l’educando avesse il tempo necessario
ad acquisirli, e il tempo dell’educazione era una risorsa distribuita in modo ineguale tra i giovani appartenenti ai diversi gruppi
sociali: ne ha poco o non ne ha chi, avviato precocemente al lavoro, debba affannarsi tutto il giorno, tutti i giorni, per procurarsi di
che vivere; ne dispone in più larga misura, invece, chi sia sollevato dalle angustie della sopravvivenza.
_ Sumeri e scrittura _
La civiltà sumerica si sviluppa in Mesopotamia tra V e III millennio ac., e viene convenzionalmente considerata la prima ad aver dato
vita ad un sistema di scrittura (dopo aver percorso le tappe del processo sopra accennato: stanzialità →agricoltura →organizzazione
sociale →sviluppo dei saperi).
> La scrittura, in quanto prodotto esclusivo delle società stanziali, marca un’altra fondamentale differenza tra
popolazioni nomadi e società stanziali
> I primi sistemi di scrittura nascono in risposta alla necessità di quantificare e catalogare i prodotti della
agricoltura e annotare gli scambi, ma ben presto la scrittura oltrepassa le registrazioni contabili e si
impadronisce dell’insieme dei saperi, ridimensionando fortemente l’importanza dell’oralità (ma senza soppiantarla
del tutto)
> Nell’Atene del IV secolo ac Socrate guarda ancora con ostilità alla scrittura:
- l’idea che un testo scritto potesse insegnare qualcosa a qualcuno gli appariva un oltraggio all’oralità, alla memoria;
- le parole scritte manifestano una cosa sola e sempre la stessa, e per questo non possono difendere l’autore;
- il discorso scritto può arrivare nelle mani di chiunque, sia di chi lo capisce, sia di chi non ci ha nulla a che fare.
→Il suo atteggiamento segnala come l’adozione della scrittura incontrasse la resistenza, non solo di chi non ne
avvertiva la necessità, ma anche di chi ne paventava i rischi rispetto alla grande tradizione della memoria e
dell’oralità: povertà espressiva, rottura del rapporto dialogico e diffusione indifferenziata del sapere.
> Via via che aumentavano i contenuti da veicolare la scrittura diventava sempre più un compito tecnicamente arduo
(la narrazione di un mito era un’operazione ben più complessa rispetto all’elencare greggi e raccolti), rendendo
così necessaria la nascita di una figura precisa, lo scriba, che si occupasse della sua conservazione e trasmissione
> La scrittura, figlia e vestale dei saperi che esprimeva: li palesava e al tempo stesso li racchiudeva all’interno di
un sistema di segni inaccessibile a chi non ne condivideva il segreto, conserverà a lungo il suo carattere di sapere
misterico: era un ricco patrimonio da custodire gelosamente e da trasmettere solo a pochi iniziati dopo un lungo
apprendistato
→Tecnico della scrittura e della sua conservazione, lo scriba era depositario della maggior parte del sapere
> Il passaggio dall’oralità alla scrittura segna il definitivo tramonto delle civiltà illetterate
_ Nasce la scuola _
La scrittura ha un’importanza capitale nella storia dell’educazione poiché introduce, per la prima volta, la necessità di un tempo e di
un luogo dedicato alla trasmissione dell’arte della scrittura: è così che nasce la scuola, dalla necessità di formare lo scriba.
Quindi, dopo la nascita della scrittura, accanto all’educazione familiare e alle funzioni educative della vita sociale, che permangono,
nasce il germe di un’istituzione, la scuola, finalizzata a processi di insegnamento-apprendimento di contenuti la cui complessità
richiedeva competenze che né la famiglia e né la società erano in grado di assicurare: il patrimonio esperienziale e sapienziale
eccedeva ormai le capacità formative della famiglia e del gruppo sociale.
Anche se le grandi civiltà dell’antichità non hanno lasciato testimonianza di un’esplicita riflessione pedagogica, essa non è mancata
del tutto: si può parlare di pedagogia implicita, ma non per questo meno operate. Ad esempio:
> il ricorso alle punizioni corporali era comune a tutte le forme di rapporto educativo, il che lascia intendere come
l’affermazione del principio di autorità e l’abitudine alla subordinazione e all’obbedienza fossero, a un tempo,
mezzi e fini dell’educazione: i giovani andavano educati alla subordinazione/obbedienza alle tante autorità che
governavano la loro vita (capofamiglia, maestro, sacerdote, re, ecc.),
> anche il caso dello scriba è esemplare: un’istruzione mnemonica e ripetitiva, impartita come ammaestramento
passivo e mediata dal potere coercitivo delle percosse, aveva una fortissima valenza educativa, ben oltre
l’addestramento all’uso dello stilo o delle tavolette d’argilla: insegnava la dignità, la consapevolezza e la
responsabilità di chi a quell’arte si accostava.
_ Fenici ed ebrei _
II millennio ac, due popoli semitici, Fenici ed Ebrei, si stanziano nella fascia litoranea che va dall’Egitto alla Siria (odierni territori
palestinesi, Stati di Israele e Libano), una striscia di terra stretta tra il Mediterraneo e i monti e deserti retrostanti, adatti sia
all’agricoltura che al commercio marittimo.
Fenici
A loro si deve l’adozione dell’alfabeto fonetico, ottenuto riducendo a ventidue consonanti i precedenti e molto più complessi sistemi
di scrittura.
Si è trattato di una semplificazione destinata a grande fortuna: con la successiva aggiunta delle vocali, l’alfabeto fenicio sarà ripreso,
modificato e adottato da altre scritture dell’antichità (ebraico, greco, latino, arabo).
L’educazione era affidata ai soggetti tradizionali: famiglia, bottega artigiana, tempio, e di norma era orientata alla formazione pratica
dei mestieri.
Ebrei
Educare i più giovani ai contenuti della Torah era considerato un dovere ineludibile di ogni fedele.
Il Pentateuco racchiudeva la storia del mondo fin dalla creazione, la sua cosmologia e geografia, la creazione dell’umo e della donna,
ecc. e ne discendevano i 613 precetti che regolavano la vita religiosa, morale, civile e sociale del popolo ebraico: l’educazione era
quindi religiosa in un senso molto ampio, essendo sostanzialmente spiegazione e insegnamento della Torah.
Impartita dalla famiglia, aveva carattere popolare, senza distinzioni tra ricchi e poveri.
Le punizioni corporali erano non solo tollerate ma raccomandate.
In era cristiana sorgono delle scuole (case del sapere) istituite nelle sinagoghe, nella quali coesistevano la funzione liturgica della
preghiere e quella educativa. I primi insegnamenti concernevano la fede nel signore, nella sua unicità, nel nutrire per lui amore e
timore reverenziale, poi man mano che i giovani crescevano aumentava la complessità dello studio.
Capitolo 2
Mondo Greco
La cultura greca, con la sua filosofia, l’arte, la letteratura, la scienza e l’idea di democrazia, ha influenzato in profondità l’intero
occidente.
La sua visione del mondo e della storia si viene costruendo attorno a una centralità dell’uomo che rappresenta una delle novità più
importanti dell’antichità, e che è anche una delle ragioni per cui l’educazione, in Grecia, acquisisce un ruolo rilevante,
consegnandoci per la prima volta una pedagogia, cioè una riflessione sull’educazione, che non trova riscontro nelle esperienze e
nelle epoche precedenti.
_ Grecia arcaica _
III millennio ac, XXI-XV secolo ac, isola di Creta, civiltà minoica →Scrittura lineare A
Metà del II millennio ac, declino della civiltà minoica: una popolazione proveniente da Micene occupa Creta e dà vita alla civiltà
micenea →Scrittura lineare B
L’Iliade è ben più di un poema epico sull’ira di Achille: restituisce un eco della civiltà greca arcaica, ne disegna un grande affresco,
descrivendone la storia, la geografia, la religione, la morale…
L’Odissea conferma questo disegno, ma vi aggiunge il presagio dei cambiamenti che segneranno poi il passaggio dalla cultura arcaica
a quella classica.
Iliade e Odissea iniziano a circolare tra le popolazioni greche verso il IX secolo ac, ad opera di aedi e rapdosi, un po’ poeti e un po’
cantori, che non avevano un testo scritto da rispettare, ma si affidavano solo alla tradizione orale della memoria.
Per molto tempo verranno utilizzate come strumento educativo, anche in virtù della fz formativa dell’esempio:
- l’idea di uomo che scaturisce dall’Iliade unisce la virtù del guerriero a quella del saggio: è un ideale aristocratico; - l’uomo
dell’Odissea a questi tratti ne aggiungi altri: Ulisse torna ad Itaca come un vecchio mendicante
irriconoscibile e le prove della sua identità sono, per la nutrice, la traccia di un colpo di zanna di cinghiale, per la
moglie, il segreto della fabbricazione del letto nuziale da una radice d’ulivo, per il padre, un elenco di alberi da
frutta: tutti segni che non hanno nulla di regale e, anzi, accomunano l’eroe ad un bracconiere, un falegname, un
ortolano →È il preannuncio di una laicizzazione della concezione dell’uomo.
Ricorrente nell’Odissea è il tema della perdita della memoria: scordare il ritorno è il pericolo che incombe su Ulisse, ma è anche il
timore dell’aedo e del rapsodo, che si affidano esclusivamente alla memoria. È un’estrema difesa della tradizione orale di fronte
all’incipiente dilagare della scrittura.
_ Grecia classica _
Dall’VIII secolo ac si ha il rafforzamento del modello polito-sociale della città-stato (polis del periodo classico).
Esse presentano diversi modi di organizzazione del potere: monarchia, oligarchia, tirannide, prime forme di democrazia. Ad Atene,
per esempio, troviamo assemblee di cittadini e cariche di governo elettive, con una distinzione tra i ceti meno rigida rispetto al
passato; mente tutto il contrario accadeva a Sparta. La Grecia classica, dal punto di vista dell’assetto politico, si presenta dunque
come un mosaico.
Arte, letteratura, scienza, ma sopratutto la filosofia, sono il suo lascito più ricco e fondamento della nostra civiltà.
Per quanto riguarda la scrittura, viene ripreso l’alfabeto fenicio che, con l’aggiunta delle vocali e della direzione scrittoria da sinistra
a destra, diviene ancora più funzionale, ponendosi a fondamento dei modi di scrivere adottati e adattati in tutta Europa.
Dal periodo arcaico eredita l’idea della centralità dell’uomo (Protagora, V secolo ac, dottrina dell’homo mensura, per cui l’uomo è
misura di tutte le cose), ma se prima egli era un aristocratico eroe-guerriero, ora è un cittadino, membro di una comunità. Al
contempo ha luogo una più marcata laicizzazione dell’idea di uomo, anche in ambito mitologico: gli dei dell’Olimpo hanno natura
divina ma sono anche donne e uomini con passioni e debolezze umane.
L’educazione della Grecia classica, in particolare quella ateniese, riflette questi contenuti e:
- è affidata alla famiglia e alla bottega artigiana o alla scuola;
- permangono le differenze di ceto e genere;
- coinvolge anche le donne;
- diffonde l’uso della scrittura negli strati popolari;
- esalta l’eloquenza come capacità di persuasione e il pensiero critico che non si ferma davanti ai miti religiosi;
- modella un canone educativo fondamentalmente umanistico e retorico;
- una consapevole funzione educativa era svolta da diverse occasioni della vita associata:
> l’organizzazione civile e politica della polis era una grande scuola fatta di leggi, assemblee cittadine, elezioni,
decisioni assunte dal voto popolare;
> la rappresentazione delle tragedie sollevava problemi sui quali l’umanità si interroga ancora oggi;
> competizioni sportive;
> feste civili;
> cerimonie religiose.
Ad Atene si contrapponeva Sparta, con un assetto politico statalista, un’organizzazione sociale di tipo militare, divisa in classi e
chiusa verso l’esterno.
L’educazione spartana guardava alla formazione di un cittadino guerriero, e quindi riservava ampio spazio agli esercizi fisici, all’uso
delle armi, a incrementare doti quali coraggio, forza, obbedienza; la robustezza del corpo era un valore sia per l’uomo che per la
donna.
Socrate
(469 ac - 399 ac)
Platone
(427 ac – 347 ac)
Nelle sue opere utilizza la forma dialogica, sia per restare fedele ai contenuti e alle modalità dell’insegnamento socratico, sia perché
era egli stesso convinto che la parola e il dialogo avessero un grande valore educativo: utilizza i vantaggi della scrittura ma non
nasconde una preferenza per l’oralità.
Platone crede nell’immortalità dell’anima umana che, prima di incarnarsi in un corpo, vive nell’iperuranio, dove ha la possibilità di
contemplare le idee pure, eterne e immutabili.
L’incarnazione è la caduta dell’anima nella realtà terrena: entrata nel corpo essa dimentica l’iperuranio e vive nel mondo sensibile,
dove tutto è solo imitazione imperfetta delle idee pure, che tenta di conoscere a mezzo dei sensi.
Le sensazioni, tuttavia, sono ingannevoli: generano al più un’opinione (doxa). La vera conoscenza (episteme, scienza), invece,
consiste nel ricordare le idee pure e, secondo Platone, risvegliarne la memoria è un compito che spetta al
filosofo attraverso l’utilizzo del dialogo, in quanto speculazione e ricerca in comune, insegnamento rivolto all’anima affinché conosca
se stessa, o meglio, ciò che ha potuto vedere nel mondo delle idee.
Nei dialoghi e nell’insegnamento Platone si serve di un gran numero di miti per spiegare in modo semplice e razionale concetti
filosofici estremamente complessi.
Una parte della sua filosofia ha carattere civile: lo scopo è quello di indicare come vada organizzata e governata la città, per evitare
che accada, come per Socrate, che sia condannato il più giusto degli uomini.
Questa parte del suo pensiero è esposta nelle Leggi e nella Repubblica, nella quali immagina una città ideale divisa in tre funzioni o
classi di appartenenza:
- il governo è affidato ai filosofi, gli unici in grado, per la loro sapienza, di definire il concetto di giustizia e di
curarsi, non solo del benessere materiale dei cittadini, ma anche della loro educazione (paideia);
- ai guerrieri, per il loro coraggio, è affidata la difesa dello stato;
- i lavoratori, con la temperanza che li caratterizza, attendono alla sfera economica, della produzione.
L’appartenenza all’una o all’altra delle tre classi non è legata alla nascita o al censo, ma all’inclinazione di ciascuno e all’educazione
ricevuta.
Torna quindi l’importanza dell’educazione come uno dei compiti principali dello Stato, per la formazione completa dell’uomo e del
cittadino:
> la paideia dell’uomo mira ad educarne l’anima;
> la paideia del cittadino riguarda le sue relazioni sociali e civili, la dimensione politica del vivere associato.
Gli esercizi fisici, secondo Platone, tendono all’armonia del corpo mentre musica e poesia accostano l’anima al bello.
Via via che il giovani progrediva negli studi, i più diligenti venivano avviati allo studio delle scienze e, successivamente, ai migliori
erano riservate la filosofia e la dialettica, le forme più alte del sapere e quindi il culmine del processo formativo.
→Se conoscere = ricordare, l’anima non è un recipiente vuoto da riempire: l’educazione allora dev’essere una tecnica
di orientamento dell’anima, che le indichi il modo di muoversi nel campo della conoscenza.
→Per Platone la conoscenza nasce da una facoltà presente nell’anima di ciascuno e grazie alla quale si è capaci di
apprendere: l’educazione è quindi direzione dell’attività di questa facoltà, affinché tutta l’anima si volga verso
l’essere, il bene, il vero.
Aristotele
(384 ac – 322 ac)
A diciotto anni entra all’Accademia platonica dove, finito il periodo di studi, insegnerà retorica prima di diventare precettore di
Alessandro Magno in Macedonia. Nel 335 ac torna ad Atene e fonda la sua scuola, il liceo.
La riflessione di Aristotele abbraccia tutti i campi del sapere: dalla metafisica alla logica, dall’etica alla politica, dalla fisica alla
biologia.
La sua non è una filosofia delle idee pure, ma guarda al mondo naturale nel quale agisce l’uomo, che lo conosce e lo trasforma.
Il modello educativo aristotelico riprende e perfeziona quello platonico, ma non lo supera: nel complesso resta l’educazione
dell’uomo e del cittadino della polis.
La prima educazione, fino all’età di sette anni, è assicurata dalla famiglia; a questa seguono, o la formazione artigiana, verso il
lavoro, o l’istruzione scolastica (grammatica, ginnastica, musica, disegno, ecc), per chi aspirava agli studi filosofici, alle professioni o
alla vita pubblica.
Dopo la scomparsa di Alessandro Magno e la divisione del suo impero si apre la stagione dell’Ellenismo:
- si affievolisce il modello politico-sociale della polis a favore della monarchia;
- la concezione dell’uomo privilegia ora la dimensione intima e personale a scapito di quella pubblica, in una sorta di
ripiegamento intimistico: l’individualismo prevale sulla socialità, con conseguenze profonde su arte, letteratura,
politica, filosofia, ecc;
- rispetto alla paideia classica, l’educazione ellenistica accentua il formalismo, la pedanteria del grammatico, i
tecnicismi del retore: in assenza di una vivace vita politica, l’oratoria diventa un vuoto esercizio.
Capitolo 3
Mondo romano
Più di dodici secoli che hanno segnato in profondità la storia del mondo occidentale, e che hanno visto il succedersi:
- della monarchia, dal 753 ac, data della mitica fondazione ad opera di Romolo, al 509 ac, anno della cacciata di
Tarquinio il Superbo, ultimo re di Roma;
- della repubblica, dal 509 ac al 31 ac, anno della vittoria ad Azio di Ottaviano, futuro augusto e primo imperatore,
su Cleopatra e Marco Antonio;
- dell’impero, dal 31 ac al 476 dc, anni in cui, con la deposizione di Romolo Augustolo, di dissolve l’impero romano
d’occidente.
La cultura romana ha espresso una forte specificità e, al tempo stesso, è stata un grande crogiolo che ha assorbito e rielaborato in
termini originali gli influssi provenienti dalle maggiori civiltà (popolazioni italiche, Etruschi, Greci, popolazioni barbariche) e religioni
(cristianesimo) fiorite in quel lungo arco di tempo.
_ Monarchia _
(753 ac – 509 ac)
La nascente società romana presenta aspetti prevalentemente agricoli e pastorali e la sua cultura è legata alla terra e ai suoi lavori e
valori: frugalità, severità dei costumi, venerazione di divinità agricole.
Fortissimo è il senso della famiglia. Il pater familias è quasi un monarca della sua famiglia, con diritto di vita e di morte sui figli; è
guida, esempio, autorità da rispettare, obbedire e temere.
In questa fase si fonda il costume degli antenati, il mos maiorum, destinato a diventare un insieme di leggi civili.
> L’educazione dei giovani, per i primi anni di vita, è un compito riservato alla famiglia e, in particolare, alla donna,
che nella Roma arcaica è vista come un concentrato di virtù femminili: dedita alla lavorazione della lana, devota,
pudica, frugale, casta, legata alla casa.
> Grande è quindi il valore educativo attribuito all’esempio per la formazione dei giovani romani di ambo i sessi; la
novità è che, mentre la paideia della Grecia arcaica era popolata quasi esclusivamente di eroi uomini (anche nella
Roma monarchica le figure maschili di ispirazione incarnano atti di eroismo disinteressato, valore, attaccamento al
bene comune), nella Roma dei re la centralità della famiglia conferisce alla donna un nuovo ruolo.
> L’educazione si articolava per genere man mano che i ragazzi crescevano:
- le bambine restavano affidate alle cure materne e venivano indirizzate alla cura o al governo della casa;
- per i bambini l’educazione paterna acquisiva un ruolo crescente al crescere dell’età: contadini, mercanti, artigiani
patrizi, esponenti del ceto amministrativo o politico, ecc li avviavano gradualmente ai propri mestieri/professioni.
> L’educazione è qui segnata dalla volontà forte di introdurre i giovani di ambo i sessi ai valori della propria cultura:
1) attaccamento alla famiglia;
2) sollecitudine per la res publica, intesa come bene comune prima che come forma di governo;
3) operosità nel lavoro.
→Da queste 3 idee forza si snodava un impegno educativo ad ampio raggio: educazione morale, civile, oratoria, ecc.
Durante il periodo monarchico a Roma non ci sono scuole o sedi di istruzione comune, a dimostrazione del ruolo centrale della
famiglia nell’educazione.
_ Repubblica _
(509 ac – 31 ac)
Il passaggio dalla monarchia alla repubblica segna ben più che un cambiamento istituzionale: la cultura arcaica del mos maiorum si
avviava al tramonto, soppiantata da modelli ellenistici (<<la Grecia conquistata ha conquistato l’incolto vincitore>>).
Cicerone
(106 ac – 43 ac)
Introduce nell’educazione l’ideale dell’humanitas, riprendendo così il senso della paideia greca.
Per Cicerone l’educazione doveva avere carattere letterario, retorico e civile, essere quindi ispirata alle humanae
litterae, per assicurare la formazione dell’oratore, protagonista della vita sociale e civile dell’epoca.
Varrone
(116 ac – 27 ac)
In Varrone l’ideale educativo dell’humanitas, fortemente retorico e letterario, si arricchisce con l’insieme delle arti liberali del Trivio
e del Quadrivio, comprendendo anche i saperi scientifici.
> La scuola inizia a diffondersi nella Roma repubblicana, a differenza dell’età precedente;
> la funzione educativa della famiglia perde così la sua esclusività, e viene progressivamente affiancata dalla figura
del magister privato, al quale venivano affidati i figli degli aristocratici a partire dai 6-7anni di età.
> Si tratta di una figura ancora non bene definita e dall’incerta formazione, che si guadagnava da vivere insegnando
ai figli delle famiglie benestanti, talvolta direttamente nelle loro case, altre volte, invece, in un ambiente messo a
disposizione da lui stesso.
> L’educazione risente qui di una chiara origine greca, negli scopi e nella “didattica”, ma i contenuti restano latini.
> Frequente era il ricorso alle punizioni corporali, nella più profonda convinzione di agire per il bene dell’alunno:
1) egli avrebbe acquisito una buona conoscenza: in quanto appresa a suon di nerbate, non sarebbe stata dimenticata
2) avrebbe appreso un salutare rispetto per la figura del maestro e, per estensione, dell’autorità in quanto tale.
Il maestro non gode di uno status sociale di rilievo, come del resto tutti coloro che doveva lavorare per vivere: nella Roma
repubblicana è ormai decaduto il valore del lavoro, presidio fondamentale dell’età arcaica.
_ Impero _
(31 ac – 476 dc)
23 ac, Orazio segnala un ulteriore cambiamento nella società romana: nell’Ode a Mecenate, sostenitore di Augusto e uomo
estremamente ricco, che con le sue sostanze aiutava poeti e artisti (tanto che il suo nome verrà ad indicare, nei secoli a venire, il
protettore delle arti e della cultura), tesse l’elogio della vita consacrata alla poesia, contrapposta agli affanni di quanti, pur di
arricchirsi, affrontano rischi di ogni genere viaggiando per terra e mare.
Arti e cultura con Augusto diventano un connotato della romanitas, cioè i valori e gli ideali propri delle classi dirigenti romane: si
trattava di un disegno politico più che, o oltre che, culturale, che assegnava un ruolo unificante alla diffusione, nei vasti territori
dell’impero, della lingua latina, della letteratura, dell’arte, del diritto e delle opere pubbliche propri della cultura romana.
Quintiliano
(35 dc – 96 dc)
È la figura di maggior spicco della pedagogia romana, e la sua opera più importante è l’Institutio oratoria, un manuale sul quale si
formarono generazioni di insegnanti di retorica, che avrà fortuna fino al XIV secolo.
Quintiliano, il cui modello di cittadino restava quello tratteggiato da Cicerone e Varrone, sistematizza in vari gradi l’educazione
retorica e dedica la sua attenzione anche ai metodi per insegnare a leggere e scrivere a bambini e ragazzi, con osservazione di
psicologia e didattica. Il suo metodo di insegnamento resta in uso fino al medioevo.
La cultura umanistica e retorica impartita nelle scuole si diffonde in tutto l’impero, svolgendo una funzione unificante di popoli e
territori. Tuttavia, nei primi secoli del nuovo millennio, questa stessa cultura perde la sua carica, rispondendo sempre meno alle
esigenze dalle quali era nata: la società romana non era più quella della repubblica, e con l’ideale dell’oratore si avviavano al
tramonto anche la cultura e l’educazione che lo avevano espresso. Intanto, una nuova forza veniva alla luce: il Cristianesimo, che si
apprestava a diffondere un messaggio religioso, ma anche civile e politico, destinato a prendere il posto della cultura pagana.
_ Cristianesimo _
Il suo monoteismo si contrapponeva al politeismo del pantheon latino e si distingueva dall’ebraismo: come quest’ultimo erano una
religione del libro, ma integrava l’insegnamento vetero-testamentario con la parola di Cristo.
Esaltava valori che in molti casi erano opposti a quelli della tradizione romana (umiltà, solidarietà, rivalutazione del lavoro manuale),
e il suo rapporto con la cultura pagana fu complesso: all’inizio il rifiuto era netto e polemico; poi, terminato il tempo delle
persecuzioni, mentre l’impero viveva la sua lunga decadenza, la Chiesa consolida progressivamente la propria presenza oltre
l’ambito religioso, pervadendo quello politico e amministrativo. Ciò le consentirà di guardare alla cultura pagana con maggiore
apertura: di qui l’assimilazione di almeno una parte del lascito culturale greco e latino, che viene rielaborato in termini compatibili
con il messaggio evangelico.
Tra gli effetti dell’Editto di Milano, il processo che porterà alla supremazia, sulle altre comunità cristiane, della chiesa di Roma: esse
diventerà una potente istituzione, che sotto la guida del papa svolgerà una missione religiosa, politica, civile e anche educativa,
destinata a segnare il profondità la storia europea.
La storiografia ha ormai accantonato l’immagine del medioevo come un’età di mezzo, segnata da decadenza, barbarie e
oscurantismo, tra gli splendori della classicità e gli slanci dell’epoca moderna: si è trattato di un millennio, dal V al XV secolo, che ha
espresso una forte specificità e segnato da significativi avanzamenti nella cultura, nell’arte, nella religione e nella vita sociale e civile.
Il basso medioevo, dall’anno 1000 al 1400 (XI-XV secolo), sviluppa, in una direzione destinata a disgregare gli assetti alto-medievali, i
fermenti di rinnovamento che i secoli precedenti avevano espresso.
Il processo di risveglio sociale, civile ed economico di questi secoli ha il suo fulcro nella città, che dal XII secolo inizia ad animarsi di
una nuova vitalità: ne sono protagonisti artigiani e mercanti, e quei contadini che tra le mura cittadine riuscivano a sottrarsi alla
sottomissione feudale e alla sua soffocante economia di sussistenza.
Negli anni successivi all’anno 1000, nella città:
- si sviluppano commercio, scambi, corporazioni di arti e mestieri e una produzione artigianale sempre più ampia;
- si viene affermando un’economia pre-capitalistica;
- si amministrano la cosa pubblica e la giustizia, e quindi compaiono nuove figure per la gestione del governo locale:
notai, magistrati, consoli, podestà, ecc.;
- vede la luce la borghesia: una nuova classe sociale che, per quanto cristianamente ispirata, tralasciava preghiera e
meditazione per guardare alla libera iniziativa, all’accumulo e all’investimento di capitale e dunque al guadagno, e
vorrà presto partecipare alla direzione politica delle città, che si animano così di una cultura più laica.
In questo contesto, dall’XI secolo, si sviluppa la civiltà comunale. Gli statuti comunali variavano da territorio a territorio, ma
condividevano alcuni caratteri:
- rispondono all’esigenza di nuovi assetti civili ed economici che la rinascita urbana porta con sé;
- prevedono ordinamenti più liberi e autonomi, svincolando la popolazioni cittadina dagli obblighi feudali;
- sviluppano nei cittadini un senso di identificazione con il nuovo organismo sociale, una sentita consonanza di
interessi fondata sull’appartenenza a un ceto, una corporazione, un gruppo di potere.
Quanto all’educazione, i nuovi scenari comportano una domanda di saperi e competenze destinata a mutare la realtà scolastica e i
processi formativi.
_ Scuole monastiche _
Il monaco è inizialmente un eremita, che si isola dal mondo alla ricerca di una dimensione mistica di preghiera. Da questa pratica
nasce l’esperienza monastica, che persegue lo stesso fine ma all’interno di una piccola comunità.
Nati in Egitto e nel Vicino Oriente, dal III secolo i monasteri si diffondono in Europa secondo un modello omogeneo nelle linee di
fondo. Il modello monastico più importante si deve a San Benedetto da Norcia (480-547), che intorno al 530 fonda il monastero di
Montecassino e lo dota di una regula, un insieme di norme atte a regolare la vita di ciascun monaco e della sua comunità: un
precetto per la salvezza dell’anima attraverso preghiera, silenzio e meditazione e insieme per la retta conduzione della vita terrena
attraverso il lavoro.
Non sembra sia esistito un modello unico di scuola monastica: in molti monasteri non era previsto un insegnamento per quanti
intendessero formarsi alle professioni civili e l’educazione era rigidamente religiosa, con l’esclusione di discipline e testi profani,
legati alla tradizione greca e romana; altri monasteri, invece, accoglievano anche i laici e impartivano un’educazione più aperta alla
cultura classica, finalizzata anche ad un uso mondano.
Comunque, nel modello più tradizionale e diffuso, la scuola monastica accoglieva i novizi che venivano affidati al monastero dalle
loro famiglie; lì essi vivevano obbedienti alle regole, ai tempi e agli obblighi della comunità monastica, e seguivano un percorso di
formazione culturale e spirituale.
Fondamentale per l’educazione cristiana era lo studio del latino, il cui uso, nel corso del tempo, si era ristretto a esigui strati di
uomini di cultura, diventando la lingua ufficiali ed esclusiva del mondo cristiano nella liturgia, nello studio e nel commento dei testi
sacri.
La Bibbia era la fonte di tutte le conoscenze: la storia si imparava dall’Antico Testamento, l’astronomia e le scienze naturali dal libro
della Genesi, la morale e la filosofia dal Nuovo Testamento, la poesia dai Salmi.
Grammatica e retorica, considerate discipline profane, perdono l’importanza che avevano nell’educazione romana.
_ Scuole urbane _
La rinascita carolingia, tra VIII e IX secolo, favorisce la diffusione delle scuole, che si vengono articolando secondo tre direzioni:
1) scuole monastiche, di cui sopra;
2) scuola palatina, che provvedeva alla formazione del personale necessario al funzionamento e all’amministrazione
dell’impero carolingio; era frequentata in prevalenza da giovani appartenenti alle famiglie aristocratiche, anche
se in linea di principio non erano esclusi i giovani di più modesta condizione, ai quali si impartiva un’educazione
cristiana, tuttavia aperta al meglio della cultura classica;
3) scuole urbane, che vediamo qui.
Le scuole urbane si devono all’iniziativa di Carlo Magno, del Papa, di singoli vescovi o chiese, che istituivano nelle città scuola
cattedrali, episcopali o parrocchiali.
Esse mostrano significative differenze rispetto alle scuole monastiche e anche l’una dall’altra, tanto che non è facile ricondurre ad
un unico profilo la funzione educativa delle scuole urbane. Comunque, in via generale, esse:
- non sorgevano, come i monasteri, in luoghi isolati, ma accanto o dentro alle chiese cittadine: l’affermazione della
città comportava la necessità di una presenza pastorale nel secolo e di un’educazione che si confrontasse con gli
ideali e i valori profani della classicità;
- accoglievano giovani che vivevano nella società e, per questo, portatori di finalità e bisogni più laici rispetto ai
novizi del monastero: non intendevano prendere i voti, piuttosto desideravano una formazione per le professioni
civili; l’educazione delle scuole urbane assume così caratteri mondani, secolarizzati, oltre che religiosi;
- nelle scuole monastiche l’educazione era affidata in gran parte al silenzio della meditazione; le scuole urbane,
invece, erano animate dalle disputationes degli studenti, fra loro o con gli insegnanti;
- le scuole urbane si ponevano in concorrenza con quelle monastiche, sia per i contenuti, sia per i metodi educativi.
Le prime evolveranno verso gli studi superiori, le seconde andranno incontro ad un lento declino.
La distinzione di due modelli educativi (scuola monastica e urbana) rifletteva una più vasta tensione presente all’interno della
Chiesa, nella quale si scontravano sensibilità diverse, sia sul piano religioso che su quello educativo:
> una corrente di severa spiritualità, animata dal clero regolare, restava ancorata alla lezione di San Gerolamo,
assertore di una rigida morale cristiana all’insegna della preghiera, dell’astinenza e della penitenza.
Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), dottore della chiesa e fondatore del potente ordine cistercense, difendeva
l’ortodossia cattolica e la plenitudo potestatis del pontefice, ovvero la sua supremazia su tutti gli altri poteri;
negava il valore della ragione e della scienza, e considerava turpe curiosità il desiderio di conoscenza che andasse
oltre la Scrittura; guardava con fastidio la presenza nei monasteri di giovani che non fossero oblati o novizi;
> Tutt’altro orientamento esprimevano le scuole urbane, espressione di un clero secolare più aperto ai mutamenti
della società e dei suoi saperi: nell’XI secolo, attraverso la cultura araba, si era diffusa in Europa la conoscenza
delle opere di Aristotele, della medicina greca e della stessa scienza araba; nelle scuole urbane, intanto, si
consolida l’articolazione del sapere nelle sette arti liberali del Trivio (grammatica, retorica, dialettica) e del
Quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia, musica).
Esponente di maggior rilievo del nuovo orientamento religioso è Pietro Abelardo (1079-1142), che cercava di
conciliare ragione e fede applicando il metodo della dialettica anche alla sacre scritture.
Le scuole monastiche e urbane accoglievano una piccola parte, e quasi solo maschile, dei giovani, che qui venivano avviate alle varie
professioni richieste dalla società: medico, avvocato, notaio, ecc.; per il resto della popolazione operavano altri soggetti educativi:
- la famiglia mantiene la sua tradizionale funzione educativa che, per gli strati sociali più poveri, restava l’unica;
- nelle famiglie aristocratiche e benestanti era frequente la presenza di un precettore, che integrava in campi
specifici l’educazione familiare;
- il giovane che aspirava a un mestiere veniva mandato nella bottega di un mastro artigiano. Favorita dallo sviluppo
delle corporazione delle arti e dei mestieri (quanti esercitavano una stessa professione/mestiere si univano tra
loro per difendere il proprio lavoro, per assistere gli associati e le loro famiglie, per far sentire la propria voce
nel governo della città) cresce, in questa fase, l’importanza dell’educazione artigiana;
- diffuso e capillare rimaneva l’impegno della chiesa, che manterrà un ruolo quasi esclusivo nell’istruzione scolastica
fino al XVIII secolo, ma anche al di fuori della vita scolastica essa aveva nella liturgia, nei riti e nelle festività
momenti di forte contenuto educativo: erano efficaci strumenti pedagogici, potenti canali di educazione popolare.
Alla moltitudine degli analfabeti si rivolgeva la cosiddetta “Bibbia dei poveri”, quasi un grande libro di figure,
custodito nella fitta rete di chiese, abbazie e monasteri: affreschi, quadri, statue e pale d’altare narravano
episodi biblici, vite di santi e anche scene di vita quotidiana che alludevano sempre a contenuti devozionali, alla
laboriosità, alla purezza dei costumi.
L’uso educativo delle arti non è specifico della società medievale, che tuttavia vi ricorre con una pervasività
sconosciuta alle civiltà precedenti: se ne servivano i due grandi poteri del tempo, chiesa e impero, tra loro in
concorrenza anche sul terreno della formazione.
_ Università _
Lo sviluppo della città e della civiltà comunale aveva modificato anche la realtà educativa dell’epoca: i comuni, in risposta alla
crescente domanda di alfabetizzazione e di conoscenze qualificate, avevano iniziato a retribuire esperti in discipline diverse (diritto,
medicina, ecc.) affinché trasmettessero le loro conoscenze. Le autorità comunale, quindi, favorivano e gestivano l’istruzione, sia di
base, sia specialistica:
- il metodo di insegnamento restava quello tradizionale: lettura, disputa, commento, memorizzazione e ripetizione;
- cambiano le finalità, sempre più pratiche;
- cambiano i contenuti, estesi ora a saperi giuridici, economici, amministrativi, ecc. in un’impostazione educativa
che si allontanava sempre più da quella meditativa e religiosa propria dell’alto medioevo;
- incentivata dai comuni con retribuzioni e benefici, nasce una categoria di maestri sempre più competenti.
→In questo modo la città, da luogo di libertà civili e attività economiche, diventa centro di attrazione culturale e
vita educativa.
Nel XII secolo molte scuole urbane si trasformano in luoghi di formazione superiore (diritto, medicina, ecc.) e prendono il nome di
studia.
Il successivo passaggio studium → universitas non è omogeneo e lineare, ma frutto dell’iniziativa di soggetti diversi:
- a Bologna sono gli studenti, richiamati in città dalla sua fama di importante centro di studi giuridici, a dare vita a
un’universitas, la quale, simile a una corporazione, difendeva gli aderenti nel rapporto non sempre tranquillo con i
poteri locali, organizzava gli studi, assumeva i maestri ed eleggeva tra gli studenti i due rettori che vigilavano
sull’adempimento dei loro doveri da parte dei docenti;
- a Parigi, centro di insegnamento delle arti liberali e di studi teologici, l’università nasce invece come universitas
magistrorum, cioè per impulso delle corporazioni dei maestri;
- impero e chiesa, colta l’importanza degli studia cercano di ricondurli sotto la propria protezione, al fine di
assicurarsi il controllo della formazione superiore: è così che nasce lo studium generalium di Napoli, ad opera di
Federico II di Napoli, o lo studium urbis a Roma, per iniziativa di Bonifacio VIII.
Il passaggio dalle prime corporazioni di studenti o docenti alla vera e propria universitas studiorum avviene attraverso un processo
lungo e diversificato da città a città, che non è facile ricondurre ad un unico modello.
Si possono individuare alcuni tratti comuni:
- l’università medievale è una comunità di studenti e maestri dediti allo studio e alla ricerca secondo le modalità
della filosofia scolastica, che utilizzava la ragione per difendere la fede (da Alcuio di York e Anselmo d’Aosta
fino a Pietro Abelardo e Tommaso d’Aquino);
- l’insegnamento era svolto in latino e prevedeva:
> la lectio, cioè la lettura, da parte del maestro, di passi della Sacra Scrittura o dei classici dell’antichità;
> la disputatio, cioè la discussione tra studenti su temi (quaestiones) posti dal maestro stesso;
> il commento, cioè la spiegazione finale del maestro, che forniva la soluzione alla disputa.
- le corporazioni di studenti e maestri erano molto simili a quelle di arti e mestieri: agli associati erano riconosciuti
particolari diritti e privilegi o sostegni;
- un corso di studi superiori iniziava all’età di 14/16 anni e comprendeva un primo quadriennio, al termine del quale
si acquisiva un bacellierato (simile alla maturità) che consentiva l’ammissione agli studi successivi, i quali duravano
dai 5 ai 7 anni a seconda della facoltà, e conferivano il titolo dottorale (attuale laurea) e la licentia docendi.
Spesso i conflitti scoppiati all’interno delle università causavano l’emigrazione di studenti e/o maestri in altre università: così
dall’università di Bologna è nata quella di Padova, da quella di Oxford, quella di Cambridge, ecc.
[ In sintesi: scuole urbane → studia (centri di formazione superiore) → prime corporazioni di studenti e docenti (universitas) →
universitas studiorum ].
Capitolo 5
Età moderna
L’età moderna si fa iniziare con avvenimenti di grande portata storica risalenti alla seconda metà del XV secolo:
- caduta dell’impero romano d’oriente, 1453;
- scoperta dell’America 1492;
- discesa di Carlo Ottavo in Italia, che apre la strada alle dominazioni straniere nel nostro paese, 1494.
La fine dell’età moderna si fa coincidere con la rivoluzione francese, 1789.
All’interno delle vicende storiche accennate, e quindi in un quadro profondamente mutato rispetto al medioevo, si colloca un
rilancio dell’educazione e della riflessione sui fini e sui metodi per la formazione dell’uomo.
> Gli stati nazionali ampliano, in questa fase storica, le proprie funzioni in nuovi campi economici e sociali, dando vita
ad apparati amministrativi sempre più complessi e specializzati: all’istruzione scolastica spetterà il compito di
assicurare le necessarie competenze.
> All’economia fondata sulla proprietà terriera si affiancano nuovi modi di produzione, dal capitale finanziario al
commercio transoceanico: anche in questo caso, all’educazione si chiederà di provvedere alla formazione di una
vasta gamma di competenze e conoscenze.
La Riforma protestante, con la dottrina del libero esame, afferma la necessità di un rapporto diretto tra Bibbia e fedele, senza la
mediazione della gerarchia ecclesiastica: la conseguenza, in educazione, è la crescita dell’alfabetizzazione, in particolare tra gli strati
sociali più umili.
Difficili le condizioni di vita e scarsa la considerazione sociale di chi si dedicava all’insegnamento.
Vittorino da Feltre
(1378-1446)
Erasmo da Rotterdam
(1467-1536)
Cattolico per formazione e convinzione, il suo impegno educativo unisce l’amore per la cultura classica, propria dell’Umanesimo e
del Rinascimento, e alla quale attribuisce grande importanza educativa in quanto deposito sapienziale dell’umanità per la sua
ricchezza di legami sia con i grandi problemi dell’uomo che con il vivere quotidiano, alla formazione cristiana.
Nella sua visione, l’educazione familiare poneva le basi per la formazione successiva, e i pubblici poteri dovevano assicurare le
condizioni per una educazione seria ed equilibrata dei giovani.
Anche in Erasmo convivono l’attenzione per le inclinazioni e gli interessi dell’educando e per la disciplina.
Il tradizionale monopolio educativo della chiesa cattolica trova nella Riforma protestante un temibile concorrente.
A essa la curia romana, dopo il Concilio di Trento, 1545-1563, risponde in diversi modi:
> rilancia l’educazione cattolica;
> ribadisce l’importanza del magistero ecclesiastico, cioè della mediazione della gerarchia ecclesiastica nel
rapporto del fedele con le scritture;
> rinnova la liturgia;
> adotta un nuovo catechismo romano;
> rivolgendo un’attenzione particolare alle opere di misericordia spirituale, che imponevano di insegnare agli
ignoranti, sorgono ordini e congregazioni dediti a quelle finalità (Orsoline, Barnabiti, Somaschi, Oblate, ecc.):
è tutto un fiorire di iniziative religioso-educative a carattere popolare, in quanto rivolte agli orfani, agli
abbandonati e ai più poveri di ambo i sessi.
Compagnia di Gesù
Fondata da Ignazio di Loyola nel 1534, si distingue per il grande impegno educativo attraverso l’istituzione dei collegi gesuiti dagli
anni 40 del XVI secolo.
Sorti con lo scopo di istruire i sacerdoti destinati ad entrare nella compagnia, ben presto si volgono anche all’educazione dei giovani
aristocratici e della buona borghesia, per la formazione di un ceto dirigente colto e devoto alla chiesa cattolica.
> Le discipline erano insegnate in classi omogenee per età, con andamento progressivo da una classe alla successiva;
> il corso di studi durava otto anni: cinque dedicati agli studi linguistico-letterari e tre alla filosofia aristotelico-
tomistica, con l’aggiunta di poche nozioni scientifiche, prive di riscontri osservativi e sperimentali.
L’asse formativo era dunque fondato sulla supremazia delle humanae litterae, del latino e dei classici, e su una
filosofia contenuta nei confini teologici dell’ortodossia cattolica;
> largo era il ricorso alla memorizzazione e ripetizione di regole ed esercizi;
> non mancavano musica, teatro, ballo e addestramento alle buone maniere e allo stare in società, come si conveniva
a chi per nascita e per censo era destinato ad una funzione dirigente;
> ogni aspetto della vita dei giovani collegiali era rigidamente regolato, sorvegliato e, se del caso, punito, in una
dimensione educativa che tra lezioni, studio, funzioni religiose ed esercizi spirituali non trascurava neppure il
tempo libero; il tutto sempre in un clima di grande severità;
> agli studenti si chiedeva l’abnegazione di se stessi: annullamento, sottomissione e obbedienza ai superiori unita ad
una rigida disciplina spirituale.
Diffuse sono state le critiche della cultura laica alla pedagogia gesuitica, fino alle stroncature dell’Illuminismo.
Nel XVII secolo maturano ulteriormente i processi già avviati nei secoli precedenti:
- si inasprisce lo scontro tra Riforma protestante e mondo cattolico: le rivolte e i disordini a fondo religioso
scoppiati in Francia (guerra dei tre Enrici, guerre di religione contro gli Ugonotti, protestanti di orientamento
calvinista), Inghilterra (guerra civile che vede prevalere Oliver Cromwell, borghese puritano, su Carlo I Stuart,
interprete dell’assolutismo monarchico e capo di una chiesa anglicana accusata di tendenze cattoliche) e
Germania (guerra dei trent’anni, sorta come scontro fra cattolici e protestanti e poi diventata lotta per la
supremazia tra Francia e Impero asburgico) radicalizzano l’opposizione tra i due fronti e sconvolgono gli assetti
politici di tutta Europa;
- si rafforza lo stato moderno nella forma dell’assolutismo monarchico (eccettuato il nascente parlamentarismo
inglese), secondo il quale re e imperatori erano tali per diritto divino, con un potere pervasivo di tutte le pieghe
della società. Per i cattolici la monarchia assoluta rappresentava un ordine voluto da dio e la ribellione contro il
re era un’offesa al suo diritto divino; alcune confessioni protestanti vedevano nel re o nel principe il capo della
propria religione, secondo il principio per cui chi ha la potestà civile su un territorio ha anche quella religiosa e i
sudditi debbono conformarsi alla sua religione;
- cresce l’economia capitalista: all’economia mercantile e finanziaria si aprivano i nuovi territori d’oltreoceano,
ricchi di materie prime, metalli preziosi e schiavi;
- la borghesia protestante si afferma come il ceto sociale più dinamico e intraprendente;
- la scienza getta le basi di una vera e propria rivoluzione: rigore matematico, coerenza induttiva e spirito critico
concorrevano a definire, insieme al metodo della ricerca (si deve a Galilei l’adozione del metodo scientifico
sperimentale: osservazione di un fenomeno, misurazione, formulazione e verifica di un’ipotesi), un nuovo rapporto
dell’uomo con la natura e una nuova scienza, che minerà per sempre il principio di autorità; la Chiesa tenta di
combatterla con ogni mezzo, anche processando Galilei davanti al tribunale dell’inquisizione.
Educazione e pedagogia vengono influenzate dai caratteri del tempo e a loro volta li determinano:
> i luoghi della formazione restano famiglia, bottega artigiana, chiesa, mentre la scuola conosce un lento sviluppo
specie con i collegi sul modello gesuitico; non mancano iniziative private di alfabetizzazione degli strati popolari;
> nascono le accademie: associazioni di studiosi che, sull’esempio platonico, si impegnavano nello studio e nella
diffusione delle scienze (ad es. accademia dei Lincei o del Cimento), delle lettere (accademia delle Crusca), ecc;
> in pedagogia continua il processo di laicizzazione dei fini, sempre più volti alla professionalizzazione dei giovani e
al loro inserimento civile, e dei metodi, sempre più attenti alle differenze tra le varie fasce d’età.
Comenio
(1592-1670)
È stato uno dei pedagogisti più importanti dell’età moderna: dedica la sua vita all’educazione come insegnante, fondatore e
direttore di scuole e come autore di scritti educativi e pedagogici.
Uno dei testi più noti della sua vasta produzione è la Grande didattica (Didactica Magna), 1657: grande, spiega, perché non è rivolta
ad una sola disciplina ma è didattica della vita, arte universale di insegnare tutto a tutti (ottenere la pansofia (=totalità del sapere)
attraverso la pampedia (=educazione di tutto il genere umano)).
Per Comenio l’educazione doveva coinvolgere la dimensione individuale, sociale e religiosa dell’uomo, in un percorso modulato
sull’età dell’alunno. L’istruzione scolastica, di conseguenza, doveva procedere per gradi:
- scuola d’infanzia: per costruire le basi dell’insegnamento successivo;
- scuola nazionale: per insegnare a leggere e scrivere la lingua nazionale e la matematica, con un po’ di letteratura;
- scuola di latino: per coltivare le capacità espressive e di lettura e rafforzare il metodo del ragionamento;
- accademia: per collegare sapienza, virtù e fede.
L’insegnamento doveva essere impartito senza severità né costrizioni.
John Locke
(1632-1704)
Filosofo dell’empirismo: metodo di conoscenza fondato sull’esperienza guidata da un uso corretto della ragione.
Fra i padri del pensiero liberale e precursore dell’Illuminismo e del pensiero critico, come protestante difende diritti e principi della
borghesia mercantile inglese: libertà, uguaglianza, tolleranza religiosa e politica, importanza del lavoro, istruzione per tutti.
Pensieri sull’educazione, 1693, e altri scritti, sono dedicati all’educazione del gentiluomo, che non è tale in quanto aristocratico ma
in quanto espressione di virtù, saggezza, buone maniere e istruzione.
Si tratta di un’educazione rivolta alla classe borghese (in essa trovano posto discipline, come le lingue moderne, il latino, la storia, la
filosofia e attività, come l’equitazione, il ballo e la scherma, lontano dalle possibilità e dai bisogni educativi delle classi popolari), che
ha il suo ideale di riferimento appunto nella figura del gentleman, la cui formazione, secondo Locke, non deve servirsi della
coercizione e delle punizioni, ma far leva sulla libertà dell’educando, che va rafforzato nel fisico, nelle capacità di osservazione e
ragionamento, nelle doti morali e nel corretto uso dell’esperienza. Il precettore del gentleman deve evitare insegnamenti
nozionistici e intellettualistici, e tener conto degli interessi del bambino ponendosi a lui con la forza dell’esempio.
L’educazione morale, la più importante, tende alla virtù, al controllo dei propri istinti, all’uso della ragione, al senso di responsabilità,
all’osservanza della legge, ecc.
Sacerdote francese, fa dell’educazione dei poveri la sua missione di vita: andando oltre l’assistenza e la carità, costruisce per i
bambini poveri una vera e propria scuola elementare, organizzata nei metodi e pedagogicamente fondata, per insegnare loro a
leggere e scrivere, con un po’ di aritmetica e tanto catechismo (era assente il latino, e per questo molti guardavano con sufficienza
alle scuola lassalliane). Si interessa anche alla formazione tecnica e professionale dei ragazzi, per consentire loro di emanciparsi
dalla povertà a mezzo del lavoro.
Attento alla qualità dei suoi maestri, fonda una scuola dedicata in modo specifico alla loro preparazione.
In conclusione, nell’Europa del XVII secolo:
- si consolidano diversi percorsi educativi per gli strati sociali medio-alti, che hanno a disposizioni precettori
privati e collegi religiosi, e per il popolo, alla cui istruzione di base provvedono soprattutto le istituzioni religiose;
- si registrano anche le prime scuole gestite dal potere civile, specie nei paesi di cultura protestante, sia per la
fascia medio-alta che per quella popolare;
- la scuola approfondisce il processo di laicizzazione dei fini e dei metodi dell’educazione già avviato nel secolo
precedente e si avvia a diventare un’organizzazione sempre più orientata a finalità civili e gestita dallo Stato.
La spingono in questa direzione:
> la crescente affermazione della borghesia in tutti gli ambiti della vita;
> la necessità dello stato moderno di disporre di una vasta e competente amministrazione, di un esercito
efficiente, e quindi personale formato sul piano tecnico e affidabile su quello morale.
→Alla formazione del buon cattolico, che pure non viene abbandonata, si affianca sempre più quella del buon
cittadino, portatore di conoscenze specifiche e di una moralità laica attenta al bene della cosa pubblica.
Il XVIII secolo racchiude diversi momenti di rottura della modernità che immettono nell’epoca contemporanea:
> Rivoluzione industriale: prende avvio in Inghilterra nella seconda metà del XVIII secolo e ha come protagonista
principale la borghesia inglese che, con il favore di alcune innovazioni tecnologiche (macchina a vapore, telaio
meccanico, uso del carbone come fonte energetica, ecc) e di altre circostanze (aumento demografico,
inurbamento della manodopera dalle campagne, sfruttamento delle colonie, ecc), trasforma la tradizionale
economia agricola, commerciale e artigianale in un sistema industriale, capace di produrre e vendere grandi volumi
di prodotti; ciò comporta la nascita di un ceto operaio salariato che, nel corso del XIX e del XX secolo si
organizzerà come classe operaia, interprete di un nuovo protagonismo e antagonismo sociale.
Al di là dei cambiamenti immediati, la rivoluzione industriale produce effetti rilevanti sul medio e lungo periodo
tali da mutare gli assetti socio-economici e geo-politici del mondo contemporaneo;
> Rivoluzione americana, 1775-1783: è la guerra per l’indipendenza dalla Gran Bretagna di tredici colonie
nordamericane; al termine di una guerra sanguinosa, animata dalla borghesia e con un vasto seguito popolare,
nasce il nuovo stato, con un assetto federale inedito per l’epoca. La Dichiarazione d’indipendenza, 1776, e la
Costituzione degli Stati Uniti d’America, 1787, sancivano principi (separazione dei poteri, uguaglianza dei
cittadini) e garantivano diritti (libertà in tutti i campi della vita civile, compresa la religione, la proprietà e la
sicurezza personale, ecc) ispirati al pensiero liberale di John Locke, al giusnaturalismo e all’illuminismo;
> Rivoluzione francese, 1789-1799: la presa di potere negli Stati Uniti è il prologo della Rivoluzione francese
contro l’ancien régime, tanto che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino adottata dall’Assemblea
nazionale nel 1789 si ispirava ai principi della Dichiarazione d’indipendenza americana.
La Costituzione del 1793, inapplicata, proclamava il dovere della società di mettere l’istruzione alla portata di
tutti i cittadini: il tema dell’istruzione animerà il dibattito degli illuministi francesi, divisi tra una destra, per la
quale quel diritto non includeva le classi popolari, e una sinistra, che le ammetteva ai gradi inferiori di istruzione.
> Illuminismo: è la base filosofica e culturale delle trasformazioni intervenute nel XVIII secolo.
La definizione che, nel 1784, Kant dà dell’Illuminismo [ <<Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che
egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro.
Imputabile a se stessi è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d’intelligenza, ma dalla
mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere
aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo>>] non solo
esortava all’uso della ragione, ma rinviava un’eco della forza polemica che aveva animato i philosophes:
- polemica contro la religione, considerata una superstizione, causa di oscurantismo culturale, scientifico, ecc;
- polemica contro il principio d’autorità: antico retaggio, che considerava eterne e immutabili le conoscenze
risalenti ad una auctoritas (Bibbia, Aristotele, Padri della chiesa);
- polemica contro l’assolutismo monarchico dell’ancien régime per un ruolo più incisivo del Terzo Stato, cioè della
borghesia, nel governo della cosa pubblica.
L’Enciclopedia, o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, fu un potente strumento di
diffusione delle idee illuministiche: mostrava i risultati conseguiti dall’uomo con scienza e tecnologia, esaltando,
con la ragione, anche il primato dei saperi scientifici, sulla strada aperta da Galilei e Newton.
È stato un esponente tra i più importanti dell’Illuminismo e uno dei fondatori della pedagogia contemporanea.
Vive una vita inquieta, con interessi culturali diversi: filosofia, politica, sociologia, psicologia, educazione.
Le sue opere più importanti sono: Discorso sulle scienze e le arti, 1750; Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra
gli uomini, 1754; Contratto sociale ed Emilio, o dell’educazione, 1762.
Esse ottengono riconoscimenti entusiastici e critiche feroci: le autorità civili e religiose arriveranno a condannarne alcune, come
l’Emilio.
L’importanza dell’educazione deriva dal fatto che la libertà dell’uomo naturale può essere indirizzata indifferentemente al bene o al
male.
> Emilio
È un romanzo pedagogico sulla formazione dell’uomo e del cittadino, di cui è protagonista il piccolo Emilio, isolato
in campagna per proteggerlo dai guasti della società e lì educato secondo natura. L’opera è divisa in 5 libri:
- I libro: nascita - 3 anni, dedicato alle cure dell’allevamento e della nutrizione;
- II libro: 3 - 12 anni, dedicato allo sviluppo sensoriale e motorio di Emilio a contatto con la natura; il precettore
si limita a guidarlo nel gioco, ad assicurare il dispiegamento delle sue inclinazioni e a predisporre situazione che
siano educative più nei fatti che nelle parole;
- III libro: 13 – 15 anni, Emilio può affrontare lo studio: le conoscenze, selezionate in base alla loro utilità pratica,
sono acquisite attraverso esperienza e osservazione;
- IV libro: 16 – 20 anni, tratta dell’educazione morale e sociale di Emilio: dopo lo studio della storia, necessaria
per comprendere l’uomo e le sue vicende, viene avviato alla conoscenze di una religione naturale fondata sulla
ragione (si tratta di una visione non ortodossa che gli attirerà le critiche sia dei cattolici che dei protestanti);
- V libro: Emilio incontra Sofia, la ragazza che il precettore intende destinarGli come moglie. Sofia da sophia, cioè
sapienza, saggezza, buon senso: essa racchiude in sé le virtù della sposa e della madre. Emilio, però, deve prima
completare la sua educazione di cittadino con un lungo viaggio, per conoscere il mondo, i popoli, le culture. Al suo
ritorno i due si sposeranno.
L’Emilio consente a Rousseau di esplicitare i fondamenti della sua concezione dell’educazione:
> bontà della stato di natura VS corruzione della società;
> puerocentrismo: colloca l’educando, e non più l’educatore, al centro del processo formativo. È quella che Dewey
chiamerà la <<rivoluzione copernicana di Rousseau>>;
> bontà originaria del bambino, in quanto più vicino allo stato di natura: è possibile e necessario insegnargli l’arte di
saper vivere, di diventare prima di tutto un uomo, senza finalità lavorative, almeno fino all’adolescenza;
> educazione indiretta: l’educazione deriva al bambino dalla natura, dalle cose e dagli altri uomini;
> educazione negativa: la prima educazione dev’essere puramente negativa, deve cioè consistere, non nell’insegnare
la virtù e la verità, ma nel garantire il cuore dal vizio e la mente dall’errore. L’educatore dovrebbe non far nulla,
nel senso di lasciare all’educando la libertà di manifestare i propri interessi, limitandosi a correggerlo con
l’esempio o con la mano invisibile dell’intervento indiretto.
In realtà, Emilio, da un lato, deve poter fare quello che vuole, dall’altro, non deve volere niente di diverso da quello che l’educatore
vuole per lui: allora l’educazione di Emilio è spontanea o è assoggettata, in modo nascosto, alla volontà del precettore?
Quando Rousseau colloca il bambino al centro del processo educativo, il problema del rapporto tra la libertà dell’educando e
l’autorità dell’educatore si pone con una forza e una chiarezza inedite.
È un problema che, prima di Rousseau, era stato rimosso con il ricorso alla coercizione.
Pestalozzi
(1746 – 1827)
Educatore e pedagogista svizzero. Si è inserito, all’inizio, nel solco di Rousseau e dell’educazione secondo natura; successivamente,
però, se ne allontana per quanto riguarda i temi dell’educazione familiare, della centralità della figura materna e dell’importanza
dell’educazione morale. Sulla pedagogia di Rousseau ha pesato la mancanza di una relazione madre-figlio (la madre morì di parto), e
la sua Sofia è bene diversa dalla Gertrude di Pestalozzi, che incarna invece un ideale di madre capace di educare con amore e
istruire con buon senso.
La funzione educativa della famiglia è importante ma va affiancata dall’istruzione pubblica assicurata dallo Stato. Famiglia e scuola,
secondo Pestalozzi, debbono perseguire la formazione completa dell’educando nella dimensioni:
- del cuore →educazione morale;
- della mente →educazione intellettuale;
- della mano →educazione al lavoro.
Egli corregge la rousseauiana libertà dell’educando con metodi più severi, finalizzati all’adozione di abitudini ordinate e
comportamenti composti.
Dedica particolare attenzione all’istruzione all’uso del denaro, perché i poveri vanno abituati al risparmio, a spendere secondo
necessità e a difendere il loro onesto guadagno.
Il pensiero di Pestalozzi è ricco di temi illuministici e rousseauiani, ma al tempo stesso apre la strada ad una sensibilità romantica;
motivo per cui è considerato uno dei pedagogisti più importanti nel passaggio dalla modernità alla contemporaneità.
Capitolo 6
Età contemporanea
È in Germania che i principali movimenti culturali del secolo nascono o trovano le espressioni più significative.
Von Humboldt
(1767 – 1835)
Come ministro dell’educazione organizza la scuola prussiana in tre livelli, i primi due finalizzati all’acquisizione delle capacità generali
per la formazione disinteressata dell’uomo in termini morali e spirituali, mentre la formazione del cittadino, orientata alle specifiche
professioni, era compito del terzo livello:
> primo livello elementare, o popolare, per avviare alla conoscenza del numero e della parola;
> secondo livello scolastico: accanto alla già esistente Realschule, una scuola tecnica con insegnamenti di scienze,
geografia e lingue, Humboldt rilancia l’istruzione linguistica fondata su latino e greco, accompagnata dallo studio
di storia, geografia, matematica e fisica;
> terzo livello universitario: l’insegnamento accademico partiva dal sapere scientifico per arrivare allo studio della
filosofia, che rappresentava il grado più alto della conoscenza.
Humboldt pensava all’università come a una comunità di studenti e professori: relega la tradizionale lezione frontale ad un ruolo
solo trasmissivo, considerando ben più importante l’impegno personale in attività seminariali e di ricerca; in questo modo lo
studente avvertiva la responsabilità di contribuire all’avanzamento del sapere.
Froebel
(1782 – 1852)
Padre del Kindergarten, il giardino d’infanzia, ha una concezione del bambino in parte rousseauiana: è buono in quanto vicino alla
natura, che è buona a sua volta in quanto in essa Dio si manifesta e vive.
L’educazione del bambino, secondo Froebel, dev’essere all’insegna del libero sviluppo, con l’aggiunta di due importanti
considerazioni per quanto riguarda:
- la necessità di intrattenere intensi rapporti relazionali, perché se gli uomini sono fatti per gli altri uomini, anche i
bambini sono fatti per gli altri bambini;
- l’importanza del gioco, che gli consente di stabilire un contatto creativo con l’ambiente circostante (natura e
persone): anche quando gioca con le cose è come se giocasse con sé e con gli altri, per esempio, una bambola è
per lui una persona; il gioco è creazione oltre che ricreazione.
Su queste concezioni riposa la fondazione, nel 1837, del primo giardino d’infanzia, seguito da una scuola per maestre giardiniere.
Nel Kindergarten al bambino veniva affidato un giardinetto: è un gioco, ma per lui è un lavoro, attività che consente all’uomo di
esprimere la propria intima spiritualità, e lo accomuna a Dio, come divino creatore, in quanto come Dio fa nascere la vita dalla
natura.
Per favorire l’attività ludico-creativa del bambino Froebel elabora la teoria dei doni: solidi geometrici (sfera, cubo, ecc.) che,
attraverso un’attività di manipolazione, composizione e scomposizione, avviano il bambino a significati più profondi; la sfera, per
esempio, rappresenta l’unità e la totalità, la staticità e il movimento, il dentro e il fuori, il cubo invece con le sue facce, lati e angoli,
racchiude significati opposti a quelli della sfera.
La teoria del doni conferma come per Froebel il gioco fosse un’attività conoscitiva vera e propria, attraverso la quale il bambino
conosce i principi universali che sono già presenti nel suo spirito.
L’esperienza dei giardini d’infanzia conosce una notevole diffusione nell’Europa dell’800: la crescente industrializzazione poneva a
molte famiglie, alle prese con i pesanti orari del lavoro in fabbrica, il problema dell’affidamento dei figli; già dai tempi della
Rivoluzione industriale erano nate sale/asili di custodia, dove i bambini venivano assistiti da donne che non avevano altre
competenza se non la buona volontà: è Froebel a mettere in pratica una prima didattica per l’infanzia e ad affidarla a maestre
preparate, all’interno di una specifica pedagogia, definita nei fini e nei metodi, in un quadro riconducibile alla scoperta dell’infanzia.
Con l’espressione scoperta dell’infanzia gli storici indicano il processo che ha portato la cultura europea, dal XVII secolo, a guardare
in modo diverso al bambino: da sempre considerato un soggetto a rischio per via dell’alta mortalità infantile, le famiglie
rispondevano con un’elevata natalità, sapendo che solo alcuni figli sarebbero arrivati ai 6-8 anni, un’età di relativa sicurezza: a quel
punto, il profilo sociale del bambino passava immediatamente a quello di piccolo adulto; veniva così oltrepassata la specificità
dell’infanzia, con i suoi bisogni e le sue potenzialità.
In età contemporanea, mutate le condizioni di vita (alimentazione, igiene, cure mediche, ecc.), la cultura europea scopre il bambino
e la necessità di un’educazione infantile.
Herbart
(1776 – 1841)
Membro della borghesia intellettuale tedesca, le sue pubblicazioni testimoniano del suo interesse per una scienza che muoveva
allora i suoi primi passi.
In filosofia è contrario al Romanticismo e all’Idealismo: la conoscenza si fonda sull’esperienza, su ciò che viene percepito. Anche in
pedagogia contesta quasi tutte le teorie correnti, in particolare quelle rousseauiane: rifiuta l’idea di un bambino buono per natura,
lo spontaneismo educativo, la pretesa di educare Emilio al di fuori di una società nella quale dovrà comunque vivere, e il
puerocentrismo, che relega l’educatore in secondo piano.
È considerato tra i padri della pedagogia come scienza finalizzata al governo dei fanciulli, in collegamento alla psicologia e all’etica.
Notevole è il suo interesse per la psicologia, capace di cogliere il filo che lega il dato di realtà alla conoscenza, attraverso le
percezioni sensibili e le rappresentazioni che ne scaturiscono: le masse appercettive, ovvero le stimolazioni sensoriali e i loro
contenuti fattuali, si depositano nella mente come rappresentazioni della realtà e, partendo da una condizione di tabula rasa,
costruiscono le funzioni psichiche e le facoltà dello spirito.
L’etica concorre all’educazione accanto alla psicologia: unisce l’esperienza al senso del dovere e tende alla formazione di un
carattere autonomo e responsabile.
All’educatore spetta il compito di guidare l’educando e di controllare la correttezza del processo educativo. Nella sua funzione di
“governo del fanciullo” deve esercitare la propria autorità, anche ricorrendo a castighi e punizioni, per assicurarsi che la natura del
bambino si allontani da una spiritualità incontrollata e cresca verso l’autodirezione.
Consapevole che l’educando nutre una molteplicità di interessi, Herbart non li trascura, anzi, appositamente orientati, possono
essere utilizzati all’interno del processo di insegnamento-apprendimento.
_ In Italia _
Negli anni che vanno dalla Restaurazione, 1815, al Risorgimento e all’Unità, 1861, la scuola e la pedagogia italiane risentono degli
stessi cambiamenti in corso in Europa, con qualche specificità: se l’elaborazione pedagogica respira il clima europeo, la
scolarizzazione procede a rilento, con significative differenze da una zona d’Italia all’altra, a causa del frazionamento politico. La
pubblica istruzione, più avanzata al centro nord, langue nel resto della penisola:
- Regno di Sardegna: alla dura restaurazione di Vittorio Emanuele I, che aveva soppresso le istituzioni scolastiche
napoleoniche e restituito l’istruzione al controllo ecclesiastico, segue l’impegno di Carlo Alberto e Vittorio
Emanuele II, che tra 1848 e 1859, istituiscono la scuola statale, dalle elementari all’università;
- Regno Lombardo-Veneto: risente dell’illuminata politica scolastica asburgica, attenta in particolare all’istruzione
primaria e tecnica;
- Granducato di Toscana: grazie a Leopoldo II conosce un discreto sviluppo dell’istruzione popolare e professionale;
- Stato della Chiesa: rifiuta il principio dell’istruzione per tutti, frutto avvelenato dell’Illuminismo, e si affida alle
congregazioni religiose;
- Regno delle due Sicile: il ricordo della Repubblica napoletana del 1799 e i moti liberali del 1820 spingono la
monarchia borbonica ad una restrizione degli spazi di scolarizzazione che viene affidata agli enti ecclesiastici.
Fu rappresentante di una pedagogia attenta alle sorti degli strati più disagiati.
Cappellano nelle carceri di Torino, si rende conto che i comportamenti criminosi non erano dovuti tanto a una naturale disposizione
al male quanto alla miseria e all’ignoranza: se i giovani fossero stati istruiti, se avessero avuto la possibilità di svolgere un mestiere
con il quale guadagnarsi onestamente da vivere, nessuna disposizione naturale li avrebbe indotti a delinquere.
Dalla volontà di unire istruzione e lavoro sorge la prima esperienza educativa di Don Bosco: un oratorio divenuto, nel 1859, società
di San Francesco di Sales.
Negli oratori salesiani, accanto allo svago, trovava spazio la formazione al lavoro finalizzata all’emancipazione personale e sociale. I
mestieri erano quelli tradizionali, ma non solo (la crescente diffusione della stampa, per esempio, richiedeva lavori nuovi), nella
volontà di non escludere gli umili da un circuito culturale fino ad allora riservato alla borghesia colta.
Questi aspetti contribuiscono alla fortuna degli oratori salesiani, grazie all’appoggio degli ambienti ecclesiastici e di benefattori
privati: formare lavoratori capaci e cristianamente ispirati, sottrarli ai pericoli dell’indigenza e così alle lusinghe del socialismo
rappresentavano finalità persuasive.
Nel periodo considerato, anche se cresce l’attenzione per l’istruzione popolare, soprattutto dell’infanzia: nelle regioni del nord, la
borghesia più aperta si mostra sensibile al tema e ne favorisce lo sviluppo con iniziative private a sfondo filantropico, la sua sua
diffusione era tuttavia osteggiata dai cattolici tradizionalisti, dai proprietari terrieri e dagli esponenti dei ceti più retrivi, convinti che
il povero non dovesse essere colto ma soltanto retto, cioè devoto alla religione e sottomesso all’autorità: l’istruzione delle classi
popolari era considerata una minaccia per l’ordine sociale.
Danno notevole impulso alla diffusione degli asili d’infanzia (3-6 anni), ispirandosi a Pestalozzi e Froebel: gli asili aportiani e
lambruschini abbandonano la funzione custodialistica delle precedenti sale di asilo, in favore di attività educative organizzate
(insegnamento della lingua italiana, disegno, gioco, preghiera).
Enrico Mayer
Esponente di rilievo della cultura laica, si occupa di asili infantili, che considerava, sia come luoghi di istruzione popolare, sia come
servizio sociale. Vi era in lui una forte sollecitudine per i ceti disagiati i cui mali (miseria, malattie e ignoranza) andavano combattuti
anche e soprattutto sul terreno educativo: è il primo a cogliere con chiarezza l’importanza dell’educazione per l’emancipazione delle
classi subalterne.
_ Positivismo _
Movimento filosofico che si sviluppa a metà del XIX secolo e che ha rappresentato la filosofia, e più in generale la cultura, della
borghesia industriale.
Si fondava su alcune idee-forza, riprese in parte dall’Illuminismo e declinate in un contesto molto mutato:
- fiducia nel metodo sperimentale, sostenuta dall’avanzamento della scienza (fisica, chimica, medicina) e della
tecnica (ferrovie, fotografia, cinema, elettricità e sue applicazioni: telefono, radio, fonografo).
Il termine “Positivismo” rinvia ad un sapere certo, utile, produttivo e alla volontà di estendere il metodo
sperimentale alle scienze umane e sociali: sociologia, psicologia, antropologia, educazione, pedagogia.
Bersagli polemici erano il Romanticismo, l’Idealismo, la metafisica, che ostacolavano una visione scientifica della
realtà, e il nascente socialismo, avvertito come un pericolo per l’assetto sociale capitalista;
- idea di progresso: una sorta di filosofia della storia nutrita di fiducia nella capacità della borghesia, della sua
scienza e della sua economia, di accompagnare l’uomo verso il benessere, l’ordine, la felicità. Per raggiungere
queste finalità, alle risorse della scienza e della tecnica, andava aggiunta un’organizzazione sociale improntata ai
principi della libertà economica, della laicità e della democrazia: era il tentativo di costruire un modello di società
industriale guidata dalla borghesia.
Per il Positivismo anche la pedagogia doveva farsi scienza: sempre meno filosofica e sempre più osservativa e sperimentale.
Nell’educazione scolastica andavano privilegiati i saperi scientifici, esaltati sia per il loro valore formativo che per la la loro utilità
pratica nelle società industrializzate.
Aristide Gabelli
(1830 – 1891)
Esponente più importante del positivismo pedagogico italiano, redige nuovi programmi per le scuole elementari, nei quali
raccomandava il metodo dell’osservazione in luogo del nozionismo allora imperante e sottolineava l’importanza della disciplina per
formare nell’alunno l’abitudine ad adempiere ai suoi doveri. Fine dell’educazione era di dar vigore al corpo, penetrazione
all’intelligenza e rettitudine all’animo, facendo leva sull’esperienza, sull’osservazione e sulla curiosità, con meno regole, meno
dottrine e meno teorie.
La polemica di Gabelli era rivolta alle nozioni fini a se stesse, destinate a essere dimenticate, e non contro le conoscenze che
concorrono a sviluppare il pensiero, strumento con il quale può, attraverso l’esperienza, acquisirne via via delle altre e diventare
maestro di sé medesimo.
Due importanti intuizioni saranno approfondite dalla pedagogia del ‘900:
> formare lo strumento testa, intesto come capacità di pensiero riflessivo critico;
> imparare a imparare, cioè utilizzare il metodo dell’esperienza e le conoscenze apprese per apprendere altre
conoscenze e diventare maestro di sé medesimo.
Educare al metodo dell’esperienza poteva garantire risultati migliori dell’imbottire le teste con nozioni intellettualistiche. Formare lo
strumento testa, inoltre, aveva un che di democratico, era necessario ai ricchi come ai poveri.
Capitolo 7
Primo Novecento
Hobsbawm ha definito il ‘900 <<secolo breve>> = dalla prima guerra mondiale al collasso dell’URSS (1914-1922).
Il prologo è rappresentato dalla Belle époque: periodo di pace, dal 1870 al 1914, che ha segnato grandi avanzamenti in economica,
commercio, scienza, arte, ecc.
La prima guerra mondiale spazza via l’ottimismo e la fiducia di quel periodo: le conseguenze dei trattati di pace (dissoluzione di
quattro imperi: Austria-Ungheria, Germania, Russia, Turchia; e nascita di nuovi stati, tra cui l’URSS), unite alla crisi economica del
1929, determinano scontri e conflitti che aprono la strada a una serie di regimi totalitari e dittatoriali, con l’effetto di rendere
minoritaria, in Europa, la presenza di sistemi democratici.
Nel frattempo gli USA, nel passaggio dalla grande depressione al New Deal, si confermano come la più grande potenza economica e
militare del mondo, mentre l’impero giapponese afferma un aggressivo espansionismo in estremo oriente.
1) Nella prima metà del XX secolo si afferma un nuovo modello sociale: società di massa.
- La popolazione aumenta e si concentra nelle aree urbane;
- la scolarizzazione si estende a strati sociali prima esclusi;
- i partiti acquistano un’ampia base sociale, favoriti dal suffragio universale;
- si afferma un modello industriale standardizzato, con grandi volumi produttivi, grandi quantità di
lavoratori e spinta al consumo su vasta scala (=Capitalismo);
- nascono i sistemi di comunicazione di massa (giornali, radio, cinema), e quindi anche una cultura di massa,
distinta dalla cultura alta.
2) La società di massa definisce una nuova concezione dell’uomo, esaltandone al tempo stesso l’individualità e
l’omologazione: bisogni, progetti, stili di vita, ecc. acquistano una dimensione insieme individuale (fare ciò che si vuole) e
gregaria (fare come gli altri). Ciò favorisce l’allentamento dei principi etici e di responsabilità, con il conseguente prevalere
di elité di potere e governi autoritari.
3) Buona parte del ‘900 si consuma nello scontro tra regimi totalitari/dittatoriali e sistemi
liberal-democratici a economia di mercato. Di fronte alla questione, storicamente inedita, dell’esercizio del potere e della funzione
di governo da parte delle masse, i regimi totalitari rispondono con la soppressione delle libertà civili, politiche, economiche, cioè
con la negazione della tradizione liberale e della prassi politica e gli assetti sociali che vi si riconducevano; la risposta dei sistemi
democratici è, invece, la difesa di quella tradizione.
4) Per quanto riguarda l’acquisizione del consenso come legittimazione del proprio sistema sociale e politico, la dittature
agiscono soffocando il dissenso con la violenza e utilizzando una propaganda pervasiva, caratterizzata da forti cariche di
populismo, irrazionalismo e revanscismo territoriale, che non risparmia nemmeno l’educazione e la scuola; nei sistemi
democratici, invece, la ricerca del consenso si basa sull’espansione delle libertà civili, politiche, economiche, sulla capacità
del mercato di assicurare occupazione e benessere a fasce sempre più ampie della popolazione e sull’impegno educativo
(scolarizzazione, educazione degli adulti, intenso ricorso alle comunicazioni di massa).
La nuova concezione dell’uomo, della società e della sua regolazione hanno, per forza di cose, rinnovato anche finalità e metodi
dell’educazione e della ricerca pedagogica. E anche su questi terreni si è riproposta la forte contrapposizione novecentesca:
- per i regimi autoritari, lo Stato era fine e strumento dell’educazione, esaltata come asservimento allo Stato etico
e conformazione dell’uomo e del cittadino al nuovo ordine; la pedagogia veniva negata come scienza;
- la democrazia, invece, sposta l’asse educativo sull’educando, comprendendovi, oltre al fanciullo, anche l’adulto, la
donna, l’handicappato, il tutto in una visione progressista, tesa a valorizzare attitudini e meriti personali, senza
distinzioni di genere, ceto, credo religioso o politico, al fine di formare un uomo e un cittadino responsabile,
portatore di diritti e doveri. La ricerca pedagogica si ancora al pensiero scientifico e si fa luogo di mediazione di
altre scienze ormai mature: psicologia, sociologia, ecc. i cui contributi vengono via via acquisiti in virtù del loro
valore per i processi educativi.
In generale, nel ‘900, la scolarità cresce in risposta alla domanda delle famiglie (formazione, mobilità sociale, opportunità di lavoro,
ecc) e delle imprese (qualificazione, specializzazione), mentre il sistema della comunicazioni si afferma come potente strumento di
orientamento dell’opinione pubblica, come educatore di massa e, talora, come persuasore occulto.
_ Le scuole nuove _
Quando si parla di scuole nuove ci si riferisce ad un insieme di esperienze educative nate nei primi decenni del secolo in Europa e
negli Stati Uniti. Definite anche scuole attive (da non confondere con l’attivismo pedagogico), praticavano un’educazione nuova o
progressiva. Non si è trattato, inizialmente, di un movimento in senso proprio ma piuttosto di iniziative assunte da singoli insegnanti
ed educatori che, anche se non si conoscevano, operavano su un terreno comune:
dall’insoddisfazione per la scuola tradizionale, l’esigenza di innovare modalità educative ritenute superate;
● muovevano da una concezione dell’infanzia aggiornata alle ricerche della psicologia sullo sviluppo del bambino, che
confermavano la sua specificità, già più volte intuita a partire da Comenio, Rousseau e Froebel. Il bambino, spinto dalla
curiosità e motivato da interessi diversi, conosce la realtà attraverso il fare/l’agire nella realtà stessa: è attivo; gli educatori
(genitori, insegnanti), pertanto, devono metterlo in condizione di dispiegare il suo spontaneo dinamismo, dosando
sapientemente controllo e libertà d’azione;
● si voleva un’educazione aperta all’ambiente naturale, per favorire la motricità del bambino: il suo bisogno di toccare,
manipolare, fare esperienze. Egli, infatti, apprende in un modo globale, che tiene insieme attività intellettuale e attività
pratica (astrazione e concettualizzazione appartengono a momenti successivi della sua crescita, ai quali dev’essere avviato
con gradualità);
● l’apertura all’ambiente non andava intesa come un vivere allo stato di natura a la Rousseau, ma come continuità fra
dentro e fuori la scuola, tra scuola e ambiente sociale del bambino (famiglia, ecc). Continuità significava anche consentire
al bambino di portare dentro la scuola gli oggetti delle sue prime esperienze, utilizzandoli come sussidi didattici, per poi
accompagnarlo fuori dalla scuola e fargli osservare con occhi nuovi ciò che già conosce e insieme fargli conoscere aspetti
nuovi del suo stesso ambiente.
Nel 1917 avvia la sua prima esperienza innovativa, dove mette in pratica una sua interpretazione delle teorie di Maria Montessori
con bambini di 6-8 anni di condizione disagiata.
In una giornata tipo, all’inizio della lezione, gli alunni facevano ordine (posti, materiali, ecc), dopodiché conversavano con la maestra
che, a partire dai loro interessi e curiosità, svolgeva diverse attività didattiche.
→Il suo metodo dava ampio spazio alla libera espressione e alla spontaneità del bambino.
La sua esperienza più nota, tuttavia, è la scuola serena di Agno (1925-1951): un modello particolare di scuola nuova in cui al centro
si trovava l’attività del bambino, mentre il maestro ricopriva il ruolo di sollecitatore dell’impegno del bambino a sviluppare la sua
vita spirituale, creando le condizioni di un lavoro tranquillo, intenso, gratificante.
La scuola serena di Agno fu conosciuta e apprezzata dai maggiori pedagogisti dell’epoca.
Le sorelle Agazzi
Rosa (1866-1951), Carolina (1870-1945)
Nel 1885 fondano una scuola materna sul modello della scuola serena, nella quale si impegnano per un’educazione infantile ispirata
alla libera attività del bambino, il quale non deve avvertire la separazione tra il calore familiare e la scuola; pertanto la maestra, oltre
ad avere una buona formazione, doveva assolvere ad una funzione materna.
Particolarmente importante era il materiale didattico utilizzato:
il giardino, che segnava il superamento dell’esperienza froebeliana, aveva animali e piante, ed era luogo di libere attività,
scoperte, apprendimento indiretto ed educazione estetica;
le cianfrusaglie, forse l’idea più originale delle sorelle, che utilizzavano gli oggetti più disparati portati dai bambini come
spunti per lezioni e attività didattiche;
i contrassegni: semplici immagini con le quali i bambini segnavano i propri oggetti (calamaio, posate, ecc.).
Le sorelle Agazzi, come Boschetti Alberti, davano grande importanza all’educazione all’ordine (degli spazi, delle cose sia comuni che
personali, nella preparazione della tavola, nella cura personale, ecc.): le attribuivano un significato che andava ben oltre il semplice
“mettere aposto”, poiché, a loro avviso, ordinare gli oggetti per colore, forma e uso, stimolava la curiosità e l’osservazione; mentre
nominare gli oggetti favoriva l’apprendimento della lingua e la costruzione della frase. L’educazione linguistica era, infatti, un altro
importante obiettivo delle scuole nuove che operavano in situazioni marginali, nelle quali la povertà espressiva era un grave
handicap.
Sono state numerose le iniziative di scuole nuove in Italia e in Europa, nei primi decenni del XX secolo. Ciò segnalava un bisogno di
rinnovamento dell’educazione, non solo scolastica.
Sotteso all’impegno dei singoli insegnanti ed educatori, vi era il lavoro di ricerca teorico-pratica svolto dall’attivismo pedagogico:
movimento distinto dall’esperienza delle scuole nuove, alle quali ha fornito un retroterra teorico, affiancandole nello scenario
dell’educazione attiva.
_ Attivismo pedagogico _
Dalla fine del XIX secolo e fino alla metà del XX, l’attivismo pedagogico è stato un movimento di portata mondiale, animato da una
pluralità di studiosi attraverso pubblicazioni, dibattiti e polemiche; ha incontrato il favore di generazioni di insegnanti ed educatori;
ha raccolto l’eredità della riflessione pedagogica dall’Illuminismo in poi e l’ha rilanciata, sistematizzandola, alla luce delle successive
acquisizioni delle scienze umane e sociali (filosofia, psicologia, sociologia, ecc.); si è posto come paradigma educativo, con una
spiccata vocazione democratica e progressista, delle moderne società di massa, alle quali ha offerto i riferimenti teorico-pratici per
la formazione di un uomo-cittadino libero, critico, responsabile.
I punti più importanti dell’attivismo pedagogico:
● il puerocentrismo, ovvero quella che John Dewey ha definito la <<rivoluzione copernicana operata da Rousseau>>, che
aveva posto il bambino, e più in generale l’educando, al centro del processo educativo.
Di quell’intuizione rivoluzionaria resta ora la sostanza, depurata della dicotomia rousseauiana fra stato di natura e società corrotta e
della convinzione che il bambino sia buono per definizione.
Per l’attivismo la necessità di centrare l’educazione sul bambino nasce da una più moderna concezione dell’infanzia, alla quale la
psicologia dello sviluppo ha dato fondamenta scientifiche, valorizzando interesse, motivazione e modalità operative, ludiche, ecc.,
con cui il bambino conosce. La scuola tradizionale separava l’educando dall’interesse, considerato dispersivo e addirittura nocivo; al
contrario, l’attivismo lo intende come inter-esse, cioè come un legame, come ciò che “sta in mezzo”, che unisce il soggetto
conoscente e la cosa da conoscere: rappresenta, quindi, un utile risorsa educativa;
● il concetto di esperienza, che va oltre il fare, o il procedere per tentativi ed errori. Le azioni non sono attività fini a se
stesse, ma vanno ricondotte ad un momento riflessivo: fare e pensare rappresentano il tramite conoscitivo tra il soggetto
e il suo ambiente naturale e sociale. In questo quadro acquista importanza il gioco, in cui si realizza un equilibrio tra la
spontanea iniziativa dell’educando e le regole, liberamente scelte, che il gioco stesso comporta;
● l’educazione alla socialità,che orienta il bisogno relazionale dell’educando verso uno “stare con gli altri” in cui la propria
libertà rispetta la libertà altrui.
Sul terreno scolastico l’attivismo:
● rifiuta l’autoritarismo dell’insegnante, ma non la sua autorevolezza: ne ridefinisce il ruolo in termini di guida, direzione, e
non di padrone, del processo educativo; raccomanda un’adeguata formazione del docente, che gli fornisca le necessarie
competenze disciplinari, pedagogiche e relazionali;
● rifiuta il nozionismo della scuola tradizionale, che riduce l’efficacia dell’insegnamento. Stimolare l’interesse dell’educando
e utilizzare gli spunti forniti dal suo vissuto personale, sono tra le modalità che consentono un processo di
insegnamento-apprendimento più motivato e quindi più efficace;
● apre la scuola all’ambiente, considerato non più come fonte di distrazione rispetto alla sacralità dell’edificio scolastico, ma
come scenario dal quale, un’esperienza opportunamente guidata, trae stimoli e informazioni per esperienze di
conoscenza;
● apre la scuola alla democrazia, intesa come insieme di norme di comportamento, diritti, doveri, dei quali alunni e studenti
fanno concreta esperienza, per esempio gestendo in autonomia, secondo regole condivise, momenti di vita associata che
acquistano così un ampio valore educativo. Ma non solo: per l’attivismo la scuola deve coinvolgere anche chi ne era stato
tenuto ai margini: la popolazione femminile, gli svantaggiati sociali, i soggetti con handicap fisici o mentali, nel rispetto dei
principi di uguaglianza e di pari dignità.
Ovide Decroly
(1871-1932)
Medico, neurologo e psicologo. Approdato alla pedagogia provenendo da studi sui “deficienti”, trasferisce a ragazzi normodotati i
metodi educativi sperimentati con soggetti handicappati, elaborando principi destinati a restare nell’attivismo e più in generale nella
pedagogia contemporanea:
● individualizzazione: i processi educativi e di insegnamento sono sempre rivolti ad un determinato ragazzo, con propri
interessi, modi e tempi di apprendimento, stati emotivi e affettivi, che l’insegnante deve conoscere per costruire un
adeguato rapporto educativo con lo specifico “Emilio” al quale si rivolge;
● globalizzazione: il bambino, secondo Decroly, percepisce la realtà in modo unitario, globale, e solo nello sviluppo
successivo giunge a differenziare i particolari;
● centri di interesse: a partire dalle attività elementari dell’uomo (alimentarsi, vestirsi, ecc.), e da quanto lo circonda
(animali, piante, ecc.), i bambini osservano e confrontano i diversi modi in cui quella attività si svolgono. È uno “studio di
ambiente”, animato dall’interesse e che dev’essere guidato dall’insegnante verso obiettivi di apprendimento, graduati
sull’età degli alunni.
L’individualizzazione ha visto tanti insegnanti impegnati nel perseguire quell’obiettivo, nonostante la numerosità delle classi, il
tempo limitato, i contenuti dei programmi.
Il metodo globale e i centri di interesse sono entrati nella pratica educativa delle scuole europee, facendo di Decroly una delle figure
più importanti della pedagogia del primo ‘900.
Edouard Claparède
(1873-1940)
Medico e neurologo con interessi in psicopedagogia, nel 1912 fonda a Ginevra l’istituto Jean-Jacques Rousseau: uno dei centri più
accreditati in psicologia dell’educazione. È stato esponente di rilievo del funzionalismo pedagogico, un filone di ricerca interno
all’attivismo (Dewey), che studiava i fenomeni psichici come funzioni di adattamento dell’organismo all’ambiente fisico e sociale.
Due sono i punti salienti della pedagogia di Claparède:
● l’educazione funzionale: come nell’evoluzione della specie l’attività psichica risponde a bisogni di relazione con l’ambiente,
allo stesso modo l’educazione deve fondarsi su (e rispondere a) quei bisogni. Per questa via anche Claparède giunge a
sostenere un insegnamento individualizzato che parta dagli interessi dell’educando in relazione al suo ambiente;
● la scuola su misura: in continuità con i criteri dell’educazione funzionale, propugnava la necessità, sulla quale convergeva
anche tutto l’attivismo, di rinnovare contenuti, programmi e metodi della scuola tradizionale, in quanto non adeguati alla
realtà psicologica, all’esperienza concreta di alunni e studenti.
Funzionalismo
In genere, tendenza a dare particolare importanza alla funzione di ciò che si considera, a vedere un problema sotto l’aspetto della
funzionalità.
→In psicologia, indirizzo che attribuisce alle manifestazioni della vita mentale il carattere di funzioni nel generale processo di
adattamento dell’individuo all’ambiente.
→Più in generale, nelle scienze sociali, particolare approccio metodologico che privilegia il concetto di funzione nell’analisi dei fatti
sociali. All’origine vi è un particolare significato del termine ‘funzione’: quello di matrice organicistica, secondo il quale la funzione è
il contributo che una determinata componente apporta all’organizzazione dell’insieme cui appartiene. In quest’ottica vi è
un’evidente connessione tra funzione e bisogno, infatti, la funzione di un organo o di un elemento contenuto in un tutto può essere
compresa chiaramente solo se si hanno presenti il bisogno o i bisogni che questi devono soddisfare.
Maria Montessori
(1870-1952)
È stata una delle maggiori esponenti dell’attivismo pedagogico in campo internazionale. Si forma seguendo un percorso simile a
quello di Decroly e Claparède: laurea in medicina, studi in psichiatria, impegno con bambini anormali, utilizzando metodi non solo
psichiatrici ma soprattutto educativi, e applicazione di tali metodi ai bambini normodotati. I primi frutti del suo interesse
pedagogico sono stati l’esperienza della Casa dei bambini, fondata nel 1907, e Il metodo della pedagogia scientifica, 1909, che ebbe
grande risonanza internazionale.
Nella Casa dei bambini (non “per i” ma “dei” bambini, che la sentano come propria) sperimenta il metodo che la renderà famosa nel
mondo, articolato in due direzioni:
l’ambiente educativo, studiato fin nei dettagli per favorire lo sviluppo naturale dei piccoli e rispettarne bisogni e
potenzialità: gli arredi erano a misura di bambino e di colori vivaci, e comprendevano anche armadietti e appendiabiti nei
quali ogni bambino riponeva i propri oggetti, rendendosi indipendente.
In quell’ambiente la socializzazione nasceva dalla libertà di ciascuno, temperata dalla responsabilità del proprio agire: riordinare gli
oggetti, rispettare i compagni, attendere il proprio turno, ecc.;
il materiale di sviluppo, pensato per finalità sia ludiche che di potenziamento senso-motorio (percezione, comprensione,
chiarezza, ordine), e che consisteva in una serie di solidi da incastrare, oggetti da ordinare per forma, dimensione e colore,
lettere dell’alfabeto da manipolare e riconoscere al tatto (liscio-ruvido, grande-piccolo, ecc.), modelli di piante e animali, e
altri strumenti per imparare a contare, nella convinzione che il bambino partisse dalla singola qualità (dimensione, forma,
colore) di un oggetto, per poi giungere alla conoscenza globale, in un percorso inverso rispetto a quello ipotizzato da
Decroly.
Nella complessità del pensiero montessoriano, tre elementi vanno messi in risalto:
l’approccio scientifico, che inizia dall’osservazione attenta del bambino e della sua esperienza.
Montessori, positivista per formazione, fa della ricerca sperimentale il proprio metodo di lavoro, utilizzando gli apporti di discipline
diverse: fisiologia, antropologia culturale, psicologia, sociologia;
la fiducia nel libero svolgimento dell’attività del bambino: vi è un periodo sensitivo molto prolungato, fin quasi all’età di
cinque anni, che rende il bambino capace, in modo veramente prodigioso, di impadronirsi delle immagini dell’ambiente. È
il tema della mente assorbente del bambino, che assume attivamente le immagini a mezzo dei sensi; impostazione da cui
discende la fiducia nell’educabilità del bambino. Attraverso gli organi di senso l’ambiente irrompe nella sua mente: gli
adulti ammirano l’ambiente e possono ricordarlo, ma il bambino l’assorbe in sé, il che significa che riceve tutto, senza
giudicare né respingere. Dunque i materiali di sviluppo non sono il frutto di un tecnicismo freddo e scientistico, bensì della
necessità di guidare il farsi dell’esperienza infantile; e la guida è la maestra, che dirige e indirizza la relazione del bambino
con l’ambiente. Montessori, a riguardo, riprendendo quanto affermato da Dewey nel 1933: <<il maestro è una guida e un
direttore. Egli dirige il battello, ma l’energia che lo mette in movimento è dell’alunno>>, così si esprime: <<la maestra
insegna poco, osserva molto e soprattutto ha la funzione di dirigere le attività psichiche dei bambini e il loro sviluppo. Per
questo ho cambiato il nome di maestra in quello di direttrice>>;
l’aspirazione all’emancipazione sociale dei soggetti più deboli e dei diversi, che si traduce in un impegno in difesa dei diritti
dell’infanzia e della condizione femminile, a partire dall’esperienza della casa dei bambini, rivolta a bambini svantaggiati,
che venivano accolti per essere educati, nella convinzione che chi è emarginato dalla scuola sarà emarginato nella società
e che l’educazione intellettuale non doveva restare privilegio per pochi; per lo svantaggiato sociale, come per il minorato
mentale occorre, semmai, più scuola, assieme ad una pedagogia scientificamente fondata, che lo riscatti da un destino di
esclusione.
Montessori è stata una pedagogista scomoda: il neoidealismo pedagogico di Gentile non le ha mai perdonato le origini positiviste; il
fascismo l’ha inizialmente sostenuta per la fama di cui godeva e poi l’ha contrastata per il carattere non fascista del suo impegno; la
pedagogia cattolica l’ha accostata con molte cautele.
Oggi esistono moltissime istituzioni montessoriane sparse nei cinque continenti, e le sue opere sono tradotte in tutto il mondo.
John Dewey
(1859-1952)
È il più importante teorico dell’attivismo pedagogico. La sua formazione è stata influenzata dall’evoluzionismo, dal pragmatismo e
dalla psicologia; l’approdo alla psicologia lo ha avvicinato all’educazione e alla pedagogia; ha svolto un’intesa attività di
insegnamento ed è intervenuto nelle polemiche sociali e politiche del suo tempo, schierandosi a favore dell’emancipazione
femminile. Nella pedagogia deweyana ha un peso determinante la sua concezione della democrazia, e uno dei suoi libri più
apprezzati è Democrazia ed educazione, 1916.
Dewey sostiene la necessità:
di una buona formazione psicologica degli insegnanti;
di fondare fini e mezzi dell’educazione a partire dalla dimensione psicologica dell’educando;
che i fini dell’educazione comprendano una dimensione etica;
di centrare i mezzi dell’educazione sull’evoluzione psicologica dell’educando.
Anche Dewey, pur riconoscendo la portata della rousseauiana rivoluzione copernicana, da lui stesso definita così, ne rifiuta il
naturalismo e la colloca in un contesto filosofico e scientifico inevitabilmente mutato.
Nel 1896 dà vita all’esperienza della Hull House, un po’ scuola e un po’ centro di servizi sociali, dove istituisce una scuola
elementare a carattere sperimentale.
Pensava che la scuola non andasse separata dalla vita quotidiana dell’alunno, ma che anzi dovesse mantenere uno stretto rapporto
con il suo ambiente (famiglia, ecc): la scuola non è preparazione alla vita ma vita essa stessa.
Corrente filosofica sviluppatasi in Europa tra XIX e XX secolo sulla scorta dell’idealismo hegeliano.
Giovanni Gentile, Benedetto Croce e Giuseppe Lombardo Radice hanno rappresentato le punte più avanzate del neoidealismo
italiano e hanno affermato una visione dei problemi educativi in opposizione al positivismo, contribuendo al suo tramonto.
L’attualismo gentiliano e lo storicismo crociano hanno rinnovato la cultura italiana ma al tempo stesso hanno rafforzato il
tradizionale asse storico-umanistico, svalutato i saperi scientifico-sperimentali, ricondotto le scienze umane e sociali (psicologia,
sociologia, pedagogia, didattica, ecc.) nell’alveo di una filosofia neoidealistica lontana da altre correnti del pensiero novecentesco
(pragmatismo, neopositivismo, ecc.): ciò ha contribuito, complice l’autarchia culturale fascista, a un certo isolamento della cultura
italiana dal dibattito internazionale.
Giovanni Gentile
(1875-1944)
Padre dell’attualismo. Passa dall’amicizia con Croce alla polemica filosofica, fino alla rottura nel 1924: se Croce è stato il filosofo del
pensiero liberale, Gentile è stato il principale teorico del regime fascista, ispiratore del Manifesto degli intellettuali fascisti (1925), al
quale Croce risponde con il Manifesto degli intellettuali antifascisti.
Professore universitario di filosofia e pedagogia; ministro della pubblica istruzione 1922-1924, nel primo governo Mussolini;
fondatore e direttore, con Giovanni Treccani, dell’Enciclopedia italiana. Nel 1943 aderisce alla Repubblica sociale italiana e l’anno
successivo viene ucciso dai partigiani.
In polemica con positivismo e attivismo, per Gentile la pedagogia è la scienza filosofica che fonda il processo di insegnamento
sull’unione spirituale (comunione di anime) di maestro e alunno: da Rousseau in poi pedagogia e psicologia falliscono perché
mantengono distinti e separati i due protagonisti del rapporto educativo, che vogliono fondato sulla pretesa centralità
dell’educando e dei suoi interessi. Gentile restituisce al maestro, alla sua cultura, alla sua autorità, il posto centrale e preminente nel
rapporto educativo: la concezione gentiliana dell’insegnante recupera la tradizione secolare del magistrocentrismo. Tramontato
l’attualismo, di quella concezione resterà fino ai giorni nostri una semplificazione riduttiva: la funzione del docente è tutta nella
conoscenza dei saperi.
Gli effetti più rilevanti della pedagogia gentiliana si sono fatti sentire sulla scuola italiana attraverso la riforma del 1923, che porta il
suo nome: il senso era il ritorno allo spirito della legge Casati (1859), che dall’Unità governava la pubblica istruzione, e finalizzata in
via prioritaria alla riproduzione delle classi dirigenti. La riforma di Gentile:
- accentua il centralismo ministeriale della pubblica istruzione;
- rilancia il percorso ginnasio-liceo-università, fondato sull’asse umanistico ed effettivamente riservato ai “pochi”;
- conferma il carattere subalterno dell’istruzione tecnica per la formazione dei quadri intermedi;
- crea l’istituto magistrale per la cultura spirituale del maestro, privandolo però del tirocinio;
- istituisce un gran numero di esami, che assegnavano alla pubblica istruzione una rigida funzione selettiva;
- ripristina nella scuola elementare l’insegnamento della religione cattolica, considerata in grado di avviare i
bambini ai valori morali: bontà, rettitudine, obbedienza all’autorità, ecc.;
- dà grande importanza alla filosofia, come momento più alto della formazione spirituale espressa dalla triade arte,
religione, filosofia, mentre lascia in secondo piano le discipline tecniche e scientifiche.
Nel 1929, quando, con i Patte Lateranensi, la Chiesa introduce lo studio della religione cattolica anche nella scuola secondaria,
Gentile protesta per quella che considera un’invadenza confessionale nella scuola di Stato.
Della sua pedagogia sopravvive quasi solo la concezione dell’insegnante. Più duratura è stata invece la sua riforma scolastica: ha
resistito ai ritocchi con cui il regime ne ha attenuato la portata elitaria, è passata attraverso la fascistizzazione della scuola e le leggi
razziali, è sopravvissuto alla caduta del fascismo e alla costituzione repubblicana; per alcuni aspetti è giunta fino alla fine del XX
secolo, con l’istituto magistrale e il liceo classico.
Legge Casati
Regio decreto legislativo, del 1859, del Regno di Sardegna, entrato in vigore nel 1860 e successivamente esteso, con l'unificazione, a
tutta l’Italia. La legge, che prende il nome dal Ministro della Pubblica Istruzione Gabrio Casati, riforma in modo organico l'intero
ordinamento scolastico, dall'amministrazione all'articolazione per ordini e gradi ed alle materie di insegnamento, confermando la
volontà dello Stato di farsi carico del diritto-dovere di intervenire in materia scolastica a fianco e in sostituzione della Chiesa
cattolica, che da secoli deteneva il monopolio dell'istruzione, introducendo l'obbligo scolastico nel regno. La legge si ispirava al
modello prussiano sia nell'impianto generale che nel sistema organizzativo, fortemente gerarchizzato e centralizzato. Si proponeva,
inoltre, di contemperare diversi principi: il riconoscimento dell'autorità paterna, l'intervento statale e l'iniziativa privata. A tal
proposito, sancisce il ruolo normativo generale dello Stato e la gestione diretta delle scuole statali, così come la libertà dei privati di
aprirne e gestirne di proprie, pur riservando alla scuola pubblica la possibilità di rilasciare diplomi e licenze. La legge Casati era
costituita da numerosi articoli ordinati in cinque titoli: 1) Dell'Ordinamento della
Pubblica Istruzione: definiva l'organizzazione della scuola a livello centrale e locale, stabiliva le attribuzioni di ogni organo ed istituiva
a livello centrale il Consiglio superiore della pubblica istruzione; 2) Dell'Istruzione Superiore: dettava norme in
materia di studi universitari ed accademici; 3) Dell'Istruzione Secondaria Classica: istituiva e regolava
il ginnasio ed il liceo; 4) Dell'Istruzione Tecnica: istituiva e regolava le scuole e gli istituti
tecnici; 5) Dell'Istruzione Elementare: istituiva e regolava le scuole elementari.
_ Pedagogia cattolica _
Nel dibattito educativo e scolastico che interessa la prima metà del XX secolo, la pedagogia cattolica porta il contributo di un
impegno e di una presenza secolari: chiamato a confrontarsi con le sfide della contemporaneità sul terreno educativo e scolastico, il
mondo cattolico, pur in presenza di nuovi fermenti, ripropone gli aspetti più tradizionali del suo magistero e ribadisce con forza il
primato educativo della Chiesa:
posto che la vera educazione è solo quella cristiana, essa spetta innanzitutto e soprattutto, per diritto naturale e divino,
alla Chiesa e alla famiglia; vi concorre la società civile, con istituzioni educative, culturali, ecc. di ispirazione cattolica; allo
Stato resta il ruolo residuale di salvaguardare i diritti della Chiesa, della famiglia e della scuola;
la scuola laica è riprovata, e ai fedeli ne viene vietata la frequenza;
è condannato il naturalismo pedagogico e la pretesa autonomia e sconfinata libertà del fanciullo;
viene additato l’errore di quanti, insistendo sull’etimologia della parola educazione, pretendono estrarla dalla medesima
natura umana ed attuarla con le sue sole forze;
non manca un severo richiamo ai potentissimi mezzi di divulgazione, spesso subordinati all’incentivo delle male passioni e
all’avidità del guadagno.
Questa posizione del magistero resterà immutata fino al Concilio Vaticano II del 1965 ed eserciterà un peso notevole sui cattolici di
tutto il mondo.
Non sono mancati, tuttavia, educatori che hanno cercato di ricondurre, pur con qualche forzatura, l’esperienza dell’attivismo in un
orizzonte religioso.
_ Personalismo _
Filosofia sviluppatasi in Europa e negli Stati Uniti, tra XIX e XX secolo, a opera di studiosi cattolici.
Punti fondamentali del personalismo sono:
la centralità della persona umana, creata a immagine di Dio;
la polemica contro filosofie, come idealismo, positivismo, marxismo o esistenzialismo che, in nome di impostazioni
storiciste, empiriste o razionaliste finiscono per negare il valore della persona;
l’importanza dei valori cristiani nel solco della tradizione cattolica, aggiornata però in risposta alle sfide della società
contemporanea: se quest’ultima ha tra i suoi caratteri l’esaltazione dell’individualismo e al tempo stesso dell’uomo massa,
l’antropologia cristiana vi contrappone la persona, la cui centralità non riposa né sul dispiegamento di una libertà senza
limiti, né sulla capacità di produzione e consumo del singolo, ma sulla sua natura di immagine di Dio, che stabilisce un
rapporto indissolubile uomo-creatore.
Questi presupposti portano il personalismo a dedicare grande attenzione all’educazione e alla ricerca pedagogica.
Jacques Maritain
(1882-1973)
Emmanuel Mounier
(1905-1950)
Filosofo francese, fondatore del personalismo comunitario, riteneva necessario un forte impegno sociale a favore del mondo del
lavoro: accosta i valori cristiani alla realtà storica del socialismo europeo. La sua rivoluzione personalista ha carattere
essenzialmente educativo per la formazione integrale della persona umana vista nella sua dimensione comunitaria, nella relazione
con l’altro e nel confronto con la storia.
Capitolo 8
Secondo Novecento
Nella seconda metà del secolo si registra una notevole espansione delle attività formative scolastiche ed extra:
- nei paesi sviluppati si generalizza la scolarizzazione di massa, in risposta a esigenze di crescita democratica e di
accesso a possibilità di vita e lavoro incompatibili con bassi livelli di istruzione. Il fenomeno è favorito sia
dall’aumento del reddito disponibile delle famiglie, che hanno visto nell’istruzione un investimento per il futuro dei
figli, sia dalla necessità del mondo produttivo di disporre di manodopera, quadri e dirigenti sempre più qualificati,
e di rivolgersi a una platea di consumatori, utenti e clienti con un livello di istruzione adeguato ai prodotti e ai
servizi offerti;
- nei paesi in via di sviluppo si è fatto ricorso a vaste campagne di alfabetizzazione, e quelli che hanno
incrementato la spesa in formazione e ricerca hanno conosciuto i più alti tassi di crescita economica.
L’educazione degli adulti, dopo gli esordi nel XIX secolo, riceve nuovi impulsi dai mutamento del secondo ‘900.
L’UNESCO, agenzia dell’ONU per l’educazione, la scienza e la cultura, ne ha promosso la diffusione secondo le esigenze dei diversi
contesti territoriali:
- nelle zone depresse e nei paesi di recente indipendenza il problema più urgente era l’alfabetizzazione degli adulti
come prerequisito per lo sviluppo;
- nei paesi avanzati la popolazione adulta esprimeva bisogni di qualificazione e di forme più evolute di fruizione
culturale e di impiego del tempo libero.
→Le attività formative scolastiche ed extrascolastiche si sono ampliate sempre più nei nuovi spazi offerti dal
tessuto sociale e da un vero e proprio mercato della formazione, con modalità che hanno affiancato le sedi
tradizionali (famiglia, scuola, lavoro) e ne hanno minacciato la centralità educativa.
Si è resa così necessaria una tripartizione che mettesse ordine nella pluralità delle occasioni educative:
attività formative formali, che si svolgono in tempi e luoghi istituzionalmente finalizzati ai processi di insegnamento e
apprendimento: sono i sistemi scolastici che, dal grado primario all’università, hanno personale, finanziamenti, strutture
amministrative e rilasciano certificazioni o titoli di studio riconosciuti;
attività formative non formali, gestite da numerosi soggetti, di solito privati (centri e associazioni di varia natura), che
impartiscono conoscenze in campi molto diversi e con molteplici modalità (corsi, stage, tirocini, laboratori) e rilasciano
attestati di frequenza ma non titoli formalmente riconosciuti;
attività formative informali, che non sono legate a tempi o luoghi specifici e comprendono quei processi, anche non
intenzionali, che portano all’acquisizione di principi, valori, capacità e conoscenze, per l’azione esercitata da diversi
soggetti, come famiglia e ambiente sociale, luoghi di lavoro, di culto, associazioni politiche, sindacali, culturali, ricreative,
fino ai protagonisti del tempo libero (sport, web, spettacolo, musica, arte, ecc.), e la cui incidenza educativa, anche se
informale, può essere molto profonda. In questo senso, la crescita dei sistemi di comunicazione di massa, e in particolare
della televisione, ha messo in campo un nuovo soggetto educativo estremamente potente e pervasivo. Che la sua azione
sia educativa o diseducativa è ancora oggi oggetto di dibattito.
Nel 1972 l’UNESCO, con il rapporto Apprendre à etre, richiama l’attenzione su tre idee forza:
apprendere ad apprendere: l’insegnamento deve assumere l’obiettivo di insegnare a pensare, nel senso di avviare
l’educando a modalità di apprendimento trasferibili da un campo all’altro della conoscenza, andando oltre le specificità dei
saperi. Non si tratta di inventare una nuova materia scolastica, e tanto meno di declassare le conoscenze disciplinari, ma
piuttosto di stimolare l’attitudine all’apprendimento, potenziare il sapere e la capacità di acquisirlo lungo tutto l’arco della
vita. L’indicazione non era nuova, già Dewey l’aveva espressa, ma è stato importante che l’UNESCO l’abbia ufficializzata;
educazione permanente (lifelong learning): la crescente complessità economico-sociale e le trasformazioni del mondo del
lavoro rendono non più praticabile una formazione una tantum seguita da un lavoro sempre uguale per tutta la vita; è
piuttosto necessario imparare ad imparare, e per tutto il corso della vita: di qui l’impegno per un’educazione permanente,
con l’adozione di specifiche azioni formative rivolte all’età adulta per favorire la crescita, la competitività e l’occupazione;
comunità educante: prospettiva che nasce dalla consapevolezza della pluralità dei soggetti educativi, che in questo
periodo si moltiplicano ben oltre la famiglia e la scuola. Il rapporto ricorda che secondo Plutarco <<la polis è il miglior
maestro>>: affermazione tanto più vera nella contemporaneità, dove l’educazione è diventata e diverrà sempre più
esigenza sociale di base di ogni individuo. La scuola deve provvedervi, ovviamente, ma sempre meno avrà il diritto di
pretendere di gestire da sola le funzioni educative: luoghi di lavoro, formazioni sociali intermedie, associazioni, gruppi,
comunità locali, reti culturali, sistemi di comunicazione e di informazione esprimono una pluralità di opzioni, accessi,
possibilità di conoscenza che dà loro una grande responsabilità educativa. La comunità educante diviene così un approdo
di lungo periodo che vede famiglia, scuola, educazione extrascolastica e tessuto sociale, quindi attività formative formali,
informali e non formali, concorrere al raggiungimento di obiettivi educativi consapevoli e condivisi.
Delle tre idee forza, la prospettiva della comunità educante, che pure coglieva esigenze reali, ebbe minor fortuna in ragione della
sua carica utopica: si trattava di costruire un nuovo rapporto tra scuola e società, fondato, se non su una regia comune, né possibile
né desiderabile, su logiche educative convergenti.
Intorno agli anni ‘70 del secolo scorso molti studiosi hanno richiamato l’attenzione sul fatto che in tutto il mondo la spesa per
l’istruzione pubblica cresceva in modo considerevole e squilibrato rispetto a risultati formativi modesti. Era la stagione dei cosiddetti
descolarizzatori e dei teorici della morte della scuola, che adducevano dati e statistiche al fine di dimostrare che il costo della scuola
aumentava più rapidamente delle iscrizioni e del reddito nazionale; per di più, gravando sulla fiscalità generale, la spesa pubblica
per l’istruzione finiva per favorire gli studenti dei ceti medio-alti a scapito dei bambini poveri; e ancora, quella stessa scuola educava
ad una cultura standardizzata, carente di ideali, fatta di modelli consumistici, tradendo gli scopi che diceva di perseguire.
A fronte di queste criticità la proposta era descolarizzare la società e decretare la morte della scuola, accantonando gli insegnanti e
le loro pratiche autoritarie; si sarebbero così liberate risorse pubbliche da destinare alle famiglie affinché provvedessero ad educare
liberamente i propri figli.
Le idee dei descolarizzatori sembrarono allora un po’ provocatorie e un po’ utopiche, tuttavia, coglievano alcuni problemi reali,
inoltre, l’idea di liberare la società da una scuola troppo costosa, socialmente iniqua e dannosa sul piano educativo prefigurava una
comunità educante dai connotati ancor più radicali in confronto alla prospettiva indicata dall’UNESCO.
In quei decenni sorgono negli Stati Uniti nuove forme di istruzione riconducibili alle tesi dei descolarizzatori: non romantici tentativi
di qualche comunità hippy, ma sperimentazioni che riprendevano, talora estremizzandole, alcune tra le idee più diffuse
dell’attivismo pedagogico:
- interventi educativi dislocati più fuori che dentro la scuola;
- centralità dell’alunno;
- maggiore attenzione all’apprendimento che all’insegnamento;
- affidamento di pochi studenti ad ogni docente;
- utilizzazione di diverse figure tutoriali;
Accantonata la morte della scuola, a quelle prime esperienze ne sono seguite altre, ancora oggi in via di sviluppo:
l’ homeschooling: ripropone il modello dell’educazione e dell’istruzione in ambiente domestico, a opera dei genitori o di
persone da loro incaricate. Al fondo di questa scelta vi è il rifiuto della scuola, privata o pubblica, nel nome di una libertà
educativa consapevole e autodeterminata;
le charter school: scuole private autorizzate dai pubblici poteri, che danno vita a esperienze molto diverse tra loro, in
ragione della maggior libertà organizzativa rispetto alle scuole pubbliche, ma che condividono numerosi dei loro principi
fondanti:
- tempi e luoghi sono pensati in funzione delle esigenze dei frequentanti;
- l’insegnamento può essere mirato su particolari tematiche;
- sfruttano tutte le risorse didattiche, dallo studio ambientale all’e-learning;
- l’apertura a tutti gli studenti senza distinzione;
- l’ottimizzazione del loro rendimento;
- il forte spirito collaborativo tra studenti, famiglie e docenti;
- l’adeguamento agli standard valutativi statali e federali.
Altro aspetto caratterizzante la seconda metà del secolo è l’accresciuto interesse di alcuni organismi internazionali (UNESCO; Unione
europea; OCSE, organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico; Consiglio d’Europa, ecc.) per il monitoraggio e la
valutazione:
- dei sistemi scolastici e universitari;
- della qualità dell’istruzione;
- dei docenti;
- dei processi di insegnamento e apprendimento;
- delle competenze acquisite da diplomati e laureati;
- del rapporto tra costi e benefici.
Hanno in tal modo diffuso una cultura della valutazione connessa al concetto di capitale umano.
Il bagaglio culturale, le conoscenze e specializzazioni, la capacità di svolgere compiti complessi con tecnologie avanzate
rappresentano il capitale umano di ciascun soggetto, al quale si richiedono:
competenze linguistiche e di elaborazione dell’informazione necessarie per risolvere problemi e per incrementare i propri
saperi (apprendere ad apprendere);
adeguate conoscenze operative di specifiche tecnologie e processi produttivi;
conoscenze scientifiche e tecnologiche continuamente aggiornate (lifelong learning).
Tutto ciò costituisce un capitale immateriale da investire per finalità sia individuali (lavoro, retribuzione, accesso a servizi di qualità,
status sociale ecc.) sia sociali (sviluppo dell’economia, occupazione, benessere, diritti, ecc.).
I sistemi scolastici, le università, ecc. presiedono alla formazione del capitale umano, all’avanzamento dei saperi e quindi
l’ottimizzazione del loro funzionamento diviene un fattore strategico dello sviluppo: di qui la necessità di una cultura della
valutazione che ne razionalizzi processi, prodotti e costi.
_ Ricerca pedagogica _
Anche la pedagogia conosce un grande sviluppo nella seconda metà del XX secolo: compiuto il processo di affrancamento dalla
filosofia, la ricerca sull’educazione si afferma come pedagogia sperimentale.
Nel discorso pedagogico, accanto alla dimensione teoretica, orientata alle conclusioni (teoriche), si sviluppa la dimensione
sperimentale, orientata alle decisioni (pratiche):
Si tratta di un rapporto fra teoria e pratica proprio delle scienze in quanto tali, nel quale ogni soluzione teorico-
-pratica è un punto di arrivo e, al tempo stesso, un punto di partenza per affrontare altre questioni.
Nel suo cammino la pedagogia è stata accompagnata da una quantità di apporti conoscitivi provenienti da discipline per più versi
vicine ai processi educativi: la psicologia dell’età evolutiva, dello sviluppo, dell’apprendimento; la sociologia dell’educazione, della
conoscenza, della famiglia, dei piccoli gruppi, e tante altre.
In ragione dei numerosi contributi disciplinari, già dagli anni ‘80 del ‘900 alcuni studiosi hanno suggerito di sostituire il termine
“pedagogia” con la più ampia espressione “scienze dell’educazione”; la questione terminologica rimane però irrisolta, perché il
concetto di pedagogia viene espresso in modi diversi nelle diverse aree culturali.
In realtà, a ben vedere, la questione è tutt’altro che terminologica e chiama in causa lo statuto epistemologico della pedagogia, ben
oltre il suo essere punto di incontro o di mediazione di scienze diverse: oggetto della ricerca pedagogica è l’educazione, attività
umana di antichissima origine e continuità, la cui natura pluridimensionale (bambino, adulto, aspetti cognitivi ed emotivi, educatore
ed educando, famiglia e società, ecc.) si riverbera sulla natura pluridisciplinare della scienza che se ne occupa.
_ Comportamentismo (behaviorismo) _
Il comportamentismo, o behaviorismo, è una correnti psicologica che studia il comportamento (behaviour in inglese) direttamente
osservabile, tralasciando gli aspetti introspettivi che caratterizzano l’agire.
Il comportamentismo ha elaborato una teoria dell’apprendimento che ha dato luogo ad una teoria dell’istruzione.
Pavlov
(1849-1936)
La psicologia del comportamento nasce dagli studi del fisiologo russo Pavlov, che nel 1927 elabora il concetto di riflesso
condizionato. Sono noti i suoi esperimenti sul cane: quando gli si mostra del cibo (=stimolo incondizionato), l’animale reagisce
emettendo saliva (=riflesso incondizionato); associando al cibo il suono di una campana o la luce di una lampada (=stimolo
condizionato), il cane reagisce con analoga salivazione (=riflesso condizionato); se gli stimoli sono somministrati secondo regole di
contiguità e ripetizione, nel cane si stabilizza un riflesso di stimolo-risposta: l’animale ha appreso un comportamento.
Più che di apprendimento si trattava di condizionamento, ma per Pavlov il passaggio era breve, in seguito, infatti, elabora le prime
leggi dell’apprendimento in prospettiva comportamentista.
Thorndike
(1874-1949)
Osserva che un gatto chiuso in gabbia tenta confusamente di uscire fino a trovare la leva di apertura; ripetendo la prova gli errori
diminuiscono, e alla fine l’animale ha appreso l’uso della leva. Thorndike formula così la legge dell’effetto soddisfacente (1931), che
segna il passaggio dal reagire (Pavlov) all’apprendere e reagire: le catene associative tendono a fissarsi non in virtù degli stimoli che
le hanno provocate, ma per effetto delle risposte positive; l’attenzione si sposta così dallo stimolo alla risposta: se è soddisfacente
aumentano le possibilità che venga appresa.
Skinner
(1904-1990)
_ Cognitivismo _
Negli anni ‘50, dalla corrente psicologica della Gestalttheorie (teoria della forma) nasce il Cognitivismo.
Il Comportamentismo:
- indaga il comportamento osservabile e nega valore scientifico all’introspezione;
- valorizza l’associazione stimolo-risposta e trascura altre leggi mentali;
- in laboratorio isola il soggetto dalle interferenze sensoriali che possono distrarlo.
La psicologia della forma si differenzia dal comportamentismo nei presupposti, nell’oggetto di studio e nel metodo.
- intende scoprire le leggi mentali, definite forme o strutture, che presiedono alla percezione, all’assunzione e al
trattamento dell’informazione;
- interessata più alla natura del pensiero che al comportamento, ricorreva al metodo clinico, all’osservazione del
singolo piuttosto che agli esperimenti con cavie di laboratorio;
- per i gestaltisti il soggetto è investito da un flusso continuo di stimoli sensoriali che ordina in una forma, in una
struttura: così, per esempio, i singoli fotogrammi della pellicola cinematografica, scorrendo ad una certa velocità,
vengono letti come movimento. È il principio del movimento apparente o del movimento phi (dalla lettera iniziale
della parola greca phainòmenon, fenomeno, ciò che appare), secondo cui la mente elabora gli stimoli ben oltre la
semplice associazione e, per effetto della legge della buona forma, dà loro una Gestalt, una forma appunto. La
percezione pertanto svolge il ruolo di un organizzatore globale che, in certe circostanze, forza gli stessi dati di
realtà, come nel caso del movimento apparente. Anche le illusioni percettive, che i gestaltisti hanno studiato a
fondo, sono il risultato dell’incontro-scontro tra i dati e le modalità organizzative della percezione, che offrono
alla mente materiali informativi già strutturati, anche a costo di trarre in inganno la mente stessa;
- a differenza dei comportamentisti, che in laboratorio isolavano il soggetto da possibili distrazioni, i gestaltisti
studiavano un soggetto in condizioni simili alla quotidianità, impegnato a selezionare, elaborare, organizzare un
flusso di percezioni ambigue e incomplete;
- i gestaltisti prima, e i cognitivisti poi, si interessano a quel che accade nella mente, nella black box, quando riceve
un’informazione: per i comportamentisti la nuova informazione si collega alle precedenti come gli anelli di una
catena; per i cognitivisti, invece, la mente legge la nuova informazione alla luce delle conoscenze già possedute e
l’informazione nuova tende a ristrutturare tutto il campo delle conoscenze precedenti, retroagendo su di esse;
- quello cognitivista è un modello costruttivista della conoscenza, che non cresce su se stessa passo dopo passo, ma
procede per costruzioni e ricostruzioni successive, a partire dal precedente vissuto esperienziale del soggetto.
Jerome Bruner
(1915-2016)
Psicologo americano, ha percorso tutto il cammino dalla Gestalttheorie al cognitivismo, occupandosi di problemi educativi e
impegnandosi nella costruzione di strategie cognitive all’interno dei processi di insegnamento e apprendimento.
In The process of education, 1961, tradotto in Italia con un fragoroso Dopo Dewey, espone le proprie critiche a Dewey e Piaget:
- alla pedagogia deweyana rimprovera la concezione dell’educazione come trasmissione culturale tra generazioni:
secondo Bruner <<l’educazione non è semplicemente trasmissione di cultura, ma è anzitutto formazione di un
potere e di una sensibilità mentale che consentano a ciascuno di procedere da solo alla ricerca e costruirsi una
personale cultura interiore. L’insegnamento deve quindi essere uno sforzo ordinato e responsabile verso
l’autoapprendimento, uno sforzo per disporre ogni particolare conoscenza in un’ordinata rappresentazione del
mondo>>. La mancanza di tali presupposti andava a scapito dell’insegnare a pensare, pratica educativa e impegno
cognitivo che a Bruner interessava maggiormente (istanza già presente anche in Dewey, in realtà);
- per quanto riguarda Piaget, Bruner respinge la teoria evolutiva dello sviluppo infantile, a suo avviso inutilizzabile
per forzare tempi e modi della crescita, altro suo grande interesse.
Secondo Bruner lo sviluppo intellettivo del soggetto è influenzato dal modo in cui apprende a rappresentare il mondo in cui opera:
attraverso azione, immagine e simbolo.
La rappresentazione attiva consiste nel conoscere attraverso l’esecuzione di un’azione; è una modalità di conoscenza tipica
dell’infanzia ma utilizzata anche in età adulta;
la rappresentazione iconica consiste nel raffigurarsi mentalmente l’azione da compiere, il che non significa
necessariamente saperla compiere: osservare e raffigurarsi un’azione non determina la capacità di eseguirla. Quando
utilizza questa modalità di conoscenza il soggetto si raffigura le azioni compiute e ne ricava immagini, che organizza nella
mente e fissa nella memoria. Come la modalità attiva, non interessa solo un’età ma viene utilizzata lungo tutto l’arco della
vita;
la rappresentazione simbolica si realizza essenzialmente attraverso il linguaggio, a sua volta un sistema simbolico, che può
riferirsi a situazioni reali, fantastiche o evocative, rappresenta quindi una forma di conoscenza più ricca rispetto alle
modalità attiva e iconica. La rappresentazione simbolica affranca il soggetto dall’immagine e dall’oggetto in sé,
consentendo pertanto una serie di procedure mentali precluse alle altre forme di conoscenza.
Le tre modalità non rispondono ad un modello di sviluppo per stadi successivi: vanno acquisite e padroneggiate tutte per tutta la
vita.
Se i comportamentisti privilegiano l’apprendimento realizzato/il prodotto, rispetto al processo/al percorso seguito per ottenere
quegli apprendimenti, Bruner vuole invece potenziare la formazione delle categorie e delle strategie del pensiero e delle capacità
critiche piuttosto che la padronanza dei contenuti nelle diverse discipline, che pure non doveva essere trascurata.
Secondo Bruner, di ogni capacità o conoscenza esiste un’adeguata versione che può venire impartita a qualsiasi età si desideri
cominciare l’insegnamento: il concetto del poter insegnare qualunque cosa a chiunque e in qualsiasi età è uno dei punti più discussi
della psicopedagogia bruneriana e introduce al suo strutturalismo pedagogico, secondo cui una teoria dell’istruzione non può
limitarsi a provvedere all’apprendimento di nozioni destinate ad un rapido superamento, ma deve definire un’adeguata struttura
delle discipline e della loro didattica e guidare l’apprendimento a far propria quella struttura; in questo senso qualunque idea può
essere tradotta in modo confacente alla forma di pensiero e all’età del discente.
il programma a spirale: definita la struttura di una disciplina, se ne insegnano gli elementi più semplici per passare via via
a quelli più complessi, in un processo di approfondimento successivo che guida (e non segue) la crescita dell’alunno;
il metalinguaggio: Bruner osserva che le conoscenze disciplinari diventano spesso e velocemente obsolete a causa del
progresso scientifico, dell’avanzamento dei saperi, del mutamento tecnologico; molti lavori scompaiono, altri cambiano,
altri nascono ex novo, e per questo occorre riposizionare l’educazione e le sue finalità: più che inseguire il mutamento
sociale, chiedendo al sistema formativo di fornire tanti diplomati, laureati e tecnici quanti ne richiede una realtà ormai già
mutata, occorre fornire alle persone gli strumenti per guidare un mutamento sempre più rapido. Assegnare all’educazione
compiti di incremento delle capacità fondamentali, in un processo di apprendimento che proceda a spirale,
autoremunerativo e che possa iniziare precocemente, significa assegnarle il fine di sviluppare un metalinguaggio, inteso
come capacità di studiare le prospettive del possibile invece dei risultati acquisiti, e di comprendere il mutamento sociale
per governarlo e controllarlo, assicurando il senso della continuità pur nel cambiamento. In questo senso, nel momento
stesso in cui si insegna è necessario insegnare a pensare e a imparare, e cioè stabilizzare nel discente modalità di
apprendimento e strategie di conoscenza che possa accrescere e affinare ben oltre l’età scolare;
il problem solving: Bruner valorizza il metodo della scoperta e immagina un processo di insegnamento-apprendimento nel
quale allo studente si forniscono alcune informazioni, talora incomplete, che lo spingano a scoprire autonomamente leggi
e principi, in un’elaborazione cognitiva che perviene alla soluzione di un problema per il quale non si dispone di dati
sufficienti e metodo consolidati.
A tale risultato possono concorrere strategie diverse:
- insight = intuizione che ristruttura il problema stesso e porta alla sua soluzione;
- transfer = capacità di trasferire conoscenze e procedure da una disciplina o da un problema all’altro.
Queste strategie consentono di superare il fenomeno della fissità funzionale, ovvero quella condizione di blocco derivante
dall’incapacità di considerare gli oggetti in una prospettiva nuova, andando oltre l’informazione data e gli schemi predefiniti.
Bruner, e più in generale il cognitivismo, hanno avviato una svolta nella pedagogia contemporanea; più che di un superamento
dell’attivismo, si è trattato di un suo radicale aggiornamento alle mutate condizioni della seconda metà del XX secolo: tramontato il
naturalismo rousseauiano, viene accantonata la concezione deweyana di una educazione acquisita tramite l’esperienza del soggetto,
e viene messa in discussione anche la psicologia evolutiva di Piaget. L’attenzione dell’educatore resta puntata sull’educando, ma con
un significativo cambiamento dei metodi e dei contenuti della sua formazione: il processo di insegnamento-apprendimento non
deve attendere la maturazione, la crescita dell’educando: può guidarne le fasi accelerandone i tempi.
Jean Piaget
(1896-1980)
Psicologo e pedagogista svizzero, è annoverato tra i maggiori esponenti del cognitivismo. Negli anni ‘20 diventa direttore dell’istituto
Jean-Jacques Rousseau di Ginevra, e nel 1955 dà vita, nella stessa città, al centro internazionale di epistemologia genetica, un nuovo
settore di studi dedicato alla ricerca teorico-sperimentale sulle genesi e sullo sviluppo della conoscenza.
Per Piaget l’intelligenza è la modalità più efficace di adattamento del soggetto al suo ambiente, e avviene mediante due invarianti
funzionali: assimilazione e accomodamento.
- Con l’assimilazione il soggetto assimila un’esperienza o un’informazione nel proprio schema cognitivo, senza una
modificazione di quest’ultimo;
- invece, si ha accomodamento quando lo schema cognitivo del soggetto si modifica al fine di accogliere
un’esperienza o un’informazione che diversamente gli resterebbe estranea.
Ovviamente, accanto alle invarianti funzionali, operano nel processo di adattamento anche le varianti strutturali, rappresentate
dalle strutture cognitive.
Lev Vygotskij
(1896-1934)
Psicologo russo dal pensiero fortemente innovativo. È Bruner a patrocinare la scoperta e il lancio, in occidente, dello psicologo
sovietico, nel quale trovava più di una conferma alle proprie teorie e alla polemica verso Piaget.
Per Vygotskij, lo sviluppo dell’intelligenza del bambino è fortemente legato alle influenze dell’ambiente sociale: più abbondanti sono
le stimolazioni sensoriali e più intenso è lo scambio relazionale, più rapido sarà lo sviluppo del pensiero. Gioco, immaginazione e
creatività hanno grande importanza in questo processo, ma un ruolo fondamentale è svolto dalle interazioni verbali.
Secondo Vygotskij, pensiero e linguaggio hanno diverse radici genetiche e si sviluppano, inizialmente e per un certo tempo, lungo
linee differenti e indipendenti:
- fase pre-linguistica nello sviluppo del pensiero: il bambino molto piccolo compie gesti o azioni che non comportano
una verbalizzazione a livello mentale;
- fase pre-intellettuale nello sviluppo del linguaggio: il bambino piccolo balbetta, emette suoni e gridolini.
Le due funzioni del linguaggio: emotiva (dolore, paura, gioia) e sociale (relazionale), si manifestano in forma rudimentale giù nel
primo anno di vita, ma è nel secondo anno che avviene il cambiamento più rilevante: quando le curve del pensiero e del linguaggio,
fino ad allora separate, si incontrano e si uniscono per dare inizio ad una nuova forma di comportamento: il pensiero diventa
verbale e il linguaggio diventa razionale.
- La più grande scoperta nella vita del bambino si realizza quando comprende che ogni cosa ha il suo nome: è il momento delle
domande, dell’arricchimento del suo vocabolario, delle idee;
- il passo successivo è la comparsa e la crescita del linguaggio interiore: le strutture del linguaggio padroneggiate
dal bambino diventano le strutture fondamentali del suo pensiero.
→Pertanto, lo sviluppo del pensiero è determinato dal linguaggio e dall’esperienza socio-culturale.
Lo sviluppo intellettuale del bambino dipende dalla sua capacità di padroneggiare il linguaggio.
Con il concetto di zona di sviluppo prossimale, Vygotskij dimostra che anche l’apprendimento ha una forte valenza socio-culturale.
Egli distingue:
- la zona di sviluppo attuale, cioè il livello intellettuale del bambino in un dato momento,
- dal suo sviluppo potenziale, al quale può giungere mediante un aiuto o un sostegno esterno;
- la zona di sviluppo prossimale è lo spazio tra i due livelli: se il bambino viene opportunamente stimolato, per
esempio con problemi che non può risolvere da solo, ma per i quali necessita anzi di una guida esterna, apprende
nuove conoscenze e modalità di ragionamento, e il suo livello di sviluppo acquisisce una zona di sviluppo prossimale.
Decisivo quindi, in questo processo, il ruolo dell’insegnamento, che stimola lo sviluppo mentale, favorisce
l’organizzazione dei concetti in una struttura, produce nuove capacità.
L’impostazione di Vygotskij supera la fissità degli stadi evolutivi di Piaget e sottolinea l’aspetto socio-culturale dello sviluppo
dell’intelligenza, l’importanza del linguaggio per la crescita del pensiero e le possibilità offerte dal concetto di zona di sviluppo
prossimale.
_ Metodi e insegnamenti _
Negli ultimi decenni del ‘900 e nei primi anni 2000 i processi di insegnamento-apprendimento, soprattutto all’interno delle
istituzioni scolastiche, hanno conosciuto novità rilevanti: vi hanno contribuito le spinte provenienti dal mondo economico, le
innovazioni tecnologiche e i progressi delle scienze dell’educazione.
Nella seconda metà del ‘900 cresce l’interesse dell’economia per l’istruzione:
- a causa del peso crescente dell’istruzione sui bilanci pubblici, da cui la necessità di controllare il rapporto
costi-benefici;
- per la maggior propensione e possibilità delle famiglie di investire nell’istruzione dei figli;
- per il bisogno delle imprese di disporre di figure professionali qualificate;
- per presa di coscienza di quanto l’istruzione fosse una risorsa strategica per la crescita economica.
→Alla teoria del capitale umano si aggiunge quella dell’economia della conoscenza, secondo cui, la produzione, la diffusione e
l’utilizzo della conoscenza rappresenta un capitale immateriale, il cui incremento produce benefici che vanno a vantaggio del
singolo, delle famiglie e della società: è più rapida la crescita economica, il benessere più diffuso, la vita civile più consapevole.
Pertanto, dagli anni ‘80, queste teorie hanno spostato l’attenzione sulle modalità normative, organizzative e didattiche dei processi
di insegnamento-apprendimento. Il mondo scolastico, per parte sua, si è aperto all’esigenza di un’organizzazione razionale
dell’impegno formativo ed educativo.
Alcuni punti fermi dell’attivismo pedagogico, come la centralità dell’educando, la scuola su misura e l’apprendimento
individualizzato (=obiettivi educativi uguali per tutti, da raggiungere però con metodi didattici adatti a ciascuno), sono stati tradotti
in un apprendimento personalizzato che persegue il successo formativo di ogni studente mediante strategie personalizzate nei
metodi.
Una programmazione educativa e didattica inizia con una fase diagnostica, volta all’accertamento dei prerequisiti dello studente,
cioè della sua condizione iniziale in termini di conoscenze, competenze, esperienze, tempi e modi di apprendimento: definire il
punto di partenza permette di definire il punto di arrivo, cioè gli obiettivi che è possibile raggiungere; il percorso che separa l’uno
dall’altro va poi precisato in una o più unità didattiche, scandite nei tempi, nei contenuti, nella valutazione, ecc; prima della
valutazione finale si ricorre ad accertamenti in itinere, allo scopo non di giudicare o sanzionare, ma di evidenziare le criticità di
apprendimento di ciascuno e porvi rimedio.
La programmazione non è una gabbia ma un percorso monitorato.
È un’impostazione più vicina al concetto anglosassone di curriculum, nel senso di spazio da percorrere, che alla pratica del
programma indicato dall’alto. Il programma, che ha guidato per lungo tempo i sistemi scolastici, è un documento nel quale le
autorità preposte indicano, in modo prescrittivo, gli obiettivi didattici che vanno raggiunti da tutti gli studenti, senza tener conto
delle loro personali capacità.
Mastery Learning
Con queste esperienze siamo nel campo del Mastery Learning, cioè apprendimento per padronanza: l’idea è che la
maggior parte degli studenti possa raggiungere un elevato livello di apprendimento se vengono create condizioni favorevoli,
adeguate alle caratteristiche e ai bisogni di ciascuno. Le differenze nell’apprendimento sono considerate un fenomeno che è
possibile prevedere, spiegare e modificare, se ricondotto alle condizioni ambientali, cioè al sistema di istruzione scolastica e alle sue
variabili.
I risultati più noti si devono a Block e Bloom, che negli anni ‘50 del ‘900 hanno elaborato una tassonomia, cioè una classificazione di
obiettivi educativi relativi alle aree cognitiva, affettiva e psicomotoria.
Disporre di una buona tassonomia di obiettivi educativi e didattici, non solo consente un’adeguata personalizzazione
dell’apprendimento, ma si riflette anche sulle modalità di verifica e valutazione dell’apprendimento, e quindi, di riflesso,
dell’insegnamento. Più gli obiettivi sono generici, più difficile risulta la verifica del loro raggiungimento, con il rischio di valutazioni
contaminate da preferenze personali. Si definisce “effetto Pigmalione” il fenomeno per cui le aspettative, positive o negative, di un
insegnante nei confronti di uno studente influenzano, in positivo o in negativo, il suo apprendimento: il ragazzo che riceve
gratificazioni, sostegno e incoraggiamento sarà più stimolato a impegnarsi, rispetto a un altro che avverta l’indifferenza, se non
l’ostilità, del docente. Una corretta definizione degli obiettivi aiuta a superare le valutazioni personali e, sul piano
dell’insegnamento, consente al docente di verificare e valutare i suoi stessi metodi.
Cooperative learning
Metodo didattico che prevede che gli studenti lavorino insieme, in piccoli gruppi, per raggiungere obiettivi comuni: il processo porta
alla costruzione di una nuova conoscenza e al reciproco miglioramento dell’apprendimento e approfondimento del bagaglio
culturale. Esso utilizza il coinvolgimento emotivo e cognitivo del gruppo come strumento di apprendimento e alternativa alla
tradizionale lezione frontale.
“Cooperative learning” fa quindi riferimento ad un insieme di principi, tecniche e metodi di conduzione della classe che danno
origine a esperienze diverse, ma con una base comune: gli alunni affrontano lo studio disciplinare interagendo in piccoli gruppi, in
modo collaborativo, responsabile, solidale e ricevendo valutazioni sulla base dei risultati ottenuti individualmente e in gruppo.
Numerose istituzioni dell’educazione formale inseriscono percorsi di apprendimento cooperativo all’interno del proprio progetto
educativo.
Il ricorso alle TIC per la semplice trasmissione di conoscenza rappresenta solo una sorta di grado iniziale, a fronte delle grandi
possibilità che offrono:
- aumentano le modalità di comunicazione e la quantità di informazioni reperibili, ma si resta sempre all’interno di
un paradigma trasmissivo, per quanto tecnologicamente sofisticato;
- il passo successivo è la formazione di comunità di apprendimento on-line, nelle quali, a partire dagli stimoli
proposti da un docente, gli studenti interagiscono tra loro, scambiandosi materiali, informazioni, problemi, per dar
vita ad un lavoro di gruppo tra soggetti fisicamente lontani. L’aula tradizionale è sostituita dalla classe virtuale e
l’apprendimento si costruisce nell’interazione e nella cooperazione.
→Il concetto di apprendimento è superato da quello di costruzione della conoscenza, una costruzione
personalizzata e insieme dialogica e interattiva.
Professione docente
La professionalità docente, le conoscenze e le competenze che la sostanziano, e i percorsi per la sua formazione hanno conosciuto,
negli ultimi decenni, novità rilevanti. La fine del XX secolo ci ha consegnato alcuni punti fermi:
1) si è consolidata la convinzione che alla professionalità docente concorrano due arre distinte ma connesse:
- saperi disciplinari, cioè le discipline di cui il docente è titolare, in forza dell’ovvia considerazione per cui
non può insegnare una materia chi non la conosca a fondo;
- saperi professionali: la competenza disciplinare è una condizione necessaria ma non sufficiente se non è
accompagnata dai saperi professionali, o trasversali, riconducili alle scienze dell’educazione, sulla base
della considerazione, altrettanto ovvia, per cui essere un buon matematico non significa essere un buon
insegnante di matematica;
Molti studiosi hanno proposto le proprie indicazioni sulle competenze della professionalità docente, e da molti è stata sottolineata
l’importanza delle competenze relazionali: requisito più che fondamentale per una professionalità da sempre alle prese con le
tradizionali componenti della vita scolastica: studenti, famiglie, altri insegnanti, dirigenti; inoltre, l’apertura della scuola
all’extra-scuola ha accresciuto il numero e la varietà degli interlocutori: responsabili di centri e associazioni culturali ed educative,
esperti, ecc. Insomma, la competenza relazionale si rivela imprescindibile, dal momento che al docente è richiesto di cambiare, e
non solo di arricchire, l’orizzonte operativo del proprio impegno educativo: il docente esce delle aule per ideare, programmare e
organizzare progetti culturali, guidare comunità di apprendimento on-line, ecc.