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<Saari Zazza>
<2016>
3
Copyright © <2016> by <Saari Zazza>
Tutti i diritti riservati. Questo libro e ogni sua parte non può essere
riprodotta o utilizzata per altri scopi senza il permesso dell’autore
ad eccezione di recensioni in riviste o giornali scolastici.
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Dedico
Grazie.
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Ringraziamenti
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Introduzione: Il Patto di Ac Gath En
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quest’occasione per invadere i territori umani,
motivando quest’atto come un gesto di pietà.
Permisero agli uomini di essere liberi solo in cambio di
tributi a tutti gli elfi, e non avrebbero mai più avuto un
impero, un’indipendenza, una bandiera.
Fu fondata così la Lega Bianca , costantemente succube
delle scelte delle altre fazioni.
Dopo un lungo alternarsi di pace e conflitti, gli uomini
riuscirono a risollevarsi, e poiché le forze degli elfi
s’indebolivano, decisero di farsi avanti rimettendo in
discussione la loro posizione, ma proprio mentre
stavano per riemergere dalla rovina…
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Libro Primo
I custodi della chiave
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La Zona Verde
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come fossero fatte di metallo ed avvertiva la testa legge-
ra, svuotata da tutta la confusione del mondo.
I ricordi si concentravano, diventando come puntini
appartenenti ad un’unica immagine; gli balenavano nel-
la mente i volti sorridenti e sereni dei suoi cari che lo ac-
coglievano con frasi di benvenuto e gesti gentili.
Poteva vederli anche ad occhi aperti.
Sognò la sua terra, la sua dimora circondata da una di-
stesa di robusti alberi; ricordò il fresco vento d’estate che
trasportava il profumo dei fiori, l’immenso e sconfinato
lago che si estendeva lungo la vallata, e lo scorrere delle
stagioni e degli anni che accarezzavano la sua superficie.
Riaffiorò l’idea che, quella mattina, sarebbe stata
l’ultima della sua esistenza.
Dal volto coperto dal fango e piccoli tagli, spuntò
l’accenno di un lieve sorriso e tese il suo braccio sinistro
verso l’alto, per tentare di prendere e stringere a sé quei
ricordi.
Inalava l’aria, inspirando sempre più lentamente.
D’un tratto avvertì qualcosa in lontananza e fu violen-
temente dissolto dai suoi fragili pensieri: sembravano
essere dei rumori di zoccoli lenti in forma di passeggiata,
che provenivano da una piccola stradina poco più ad est
rispetto a lui.
Una speranza? Pensò.
Egli iniziò a porsi la stessa domanda più e più volte, si
ricordò quanto la vita fosse stata arcana con lui; nono-
stante tutto non voleva morire. Non lì, non in quel mo-
do.
Con un grande sforzo si girò poggiandosi sulla spalla
sana e fece leva con il braccio, rimettendosi in ginocchio.
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Gli venne impossibile trattenere un lamento. Sbuffava
gelida aria dalle labbra e dalle narici, creando nuvolette
di vapore acqueo.
Il suono del calpestio dell’animale diventava sempre
più distinguibile. I passi del quadrupede erano accom-
pagnati da due toni di voce molto diversi tra loro, intenti
a conversare, e da un rumore di cigoli: ora non aveva
alcun dubbio, sapeva che qualcuno stava andando verso
di lui.
Tentò di levarsi in piedi, ma ricadde sulle ginocchia, la
fatica era tale da procurargli un grande giramento di te-
sta. La stanchezza stava prendendo il sopravvento.
Cercò quindi di puntare lo sguardo più che poteva, si-
no ai margini della poca luce filtrante tra le piante.
Cominciarono ad apparire delle sagome alla guida di
un cavallo, di cui una era molto bassa, non arrivava
neanche a metà addome dell’altra; la bestia trainava una
specie di carro di forma quadrata, sul quale sedevano i
due condottieri.
Inizialmente spaziò le iridi sulla zona, alla ricerca di un
buon punto dove nascondersi, ma ricordò che non sa-
rebbe stato capace di andare tanto lontano in così breve
tempo.
Di fatti, ogni singolo movimento richiedeva ben troppa
energia, così si sdraiò a terra, per confondersi tra i nu-
merosi corpi distesi, ponendosi in ascolto. Man mano
che si avvicinavano incominciò a capire cosa dicevano
nelle loro conversazioni, nonostante ciò non poté avere
un’idea delle intenzioni dei due; infatti erano per lo più
solo esclamazioni di stupore o domande riferite alla car-
neficina di cui erano testimoni i loro occhi. Rimase in at-
tesa, sdraiato al suolo, respirando a fatica.
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«Non credo che troveremo niente andando in questa
direzione. Più avanti dovrebbe trovarsi il punto centrale
dello scontro, a giudicare dalla quantità dei corpi. Forse
ci conviene cercare più addietro, verso est.» commentò
una delle due figure.
«Sì, hai ragione! Poi non mi piace per niente l’aria che
tira qui; non riesco quasi più a respirare, si sta facendo
sempre più densa. Dai retta a me, torniamo indietro,
questo posto è stato maledetto, ormai.» esclamò l’altro.
Appena riuscì a capire qualcosa, spalancò gli occhi e le
labbra si aprirono tirando un sospiro di sollievo, rilas-
sando anche il volto. Con uno scatto provò ad alzarsi in
piedi rapidamente, sapendo di non avere molto tempo
per poter invocare il loro aiuto; avvertì un fitto dolore
alla testa proprio mentre enunciava le parole, ma lo
sforzo compiuto andava oltre le sue possibilità, infatti
non riusciva neanche a sussultare.
Aveva perso molto sangue ed era talmente indebolito
da non tenersi in piedi; il suo corpo divenne improvvi-
samente pesante da sostenere e cadde a terra con un
gran tonfo e privo di sensi.
«Hai sentito? Ho avvertito un rumore. Attendi qui, ma
non esitare a fuggire se non mi vedi di ritorno in breve
tempo, hai capito? Stai in guardia!» disse la sagoma più
alta.
«Ehi! Non andare! Potrebbe essere solo una trappola!
Torna subito indietro, testardo di un mulo!» rispose in-
vano quello più basso.
Con aria preoccupata e sottomessa, si prestò a prendere
la mazza appuntita da dentro il carro e si mise in posi-
zione di guardia sopra il carretto, per avere una visione
più ampia. Aveva un’espressione seria e rigida che ren-
deva il suo viso ancora più rugoso.
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I passi velati dell’amico si persero nelle penombre della
foresta e non riusciva a distinguerli dal fruscio del vento;
rimase lì attento a tutti i rumori che udiva: i rami delle
piante emettevano uno scricchiolio che gli faceva venire
la pelle d’oca. Tenne lo sguardo fisso nel punto in cui
l’altro s’era imboscato, finché quella brezza smise di agi-
tare le foglie e un inconsueto silenzio scese su quel bo-
sco.
Alzò qualche secondo gli occhi al cielo, fissando le alte
cime degli alberi immobili su di lui. Improvvisamente
avvertì qualcosa corrergli incontro, dalla sua sinistra: il
rumore diventò sempre più rapido e in breve tempo riu-
scì a visualizzare una strana sagoma con una grande
gobba, che non stentava a rallentare.
«Eccomi, Amtor! Fa presto, dammi un po’ d’acqua, ne
ho trovato uno e sembra messo male! Le ferite hanno già
fatto infezione. Dannazione! È un miracolo che sia so-
pravvissuto.» gridò quello alto, mostrando un sorrisino
di soddisfazione verso il compagno.
Stringeva in braccio un giovane malandato e privo di
sensi, eppure, s’era mosso con tale destrezza da non es-
sere stato udito.
Quello basso era completamente paralizzato, tanto da
non riuscir nemmeno a sibilare una parola; stringeva tra
le mani e il petto la propria mazza, tenendo gli occhi
spalancati su di lui con la bocca saldamente chiusa, come
se avesse visto un fantasma.
«Cosa diamine fai, sei forse impazzito? O tenti di farmi
morire di paura sbucando dal nulla?» fece poi con tono
severo e molto irritato. «Te lo tolgo io il vizio di fare
questi scherzi. Tieni a te! Questa è la nostra ultima ac-
qua, vedi di non sprecarla tutta, perché non mi fermerò
a prenderne dell’altra.»
20
Quello alto prese l’acqua dal suo compagno e cominciò
a versarne un po’ nella bocca del ferito, prima di posi-
zionarlo delicatamente nel carro.
«Che diamine! È un elfo?» disse, osservando l’ospite
raccolto dal compagno. Aveva un viso più allungato ed
orecchie appuntite che s’inarcavano verso l’alto, supe-
rando quasi il capo.
«No, vecchio zoppo. Ancora non hai imparato a distin-
guerci? È un mezzo sangue.» rispose seccato.
«Avanti, sali sul carro, dobbiamo andare veloci. Non
vorrei fare brutti incontri proprio ora che cominciavo a
sentirmi fuori da questo postaccio!» disse nuovamente.
Con un salto acrobatico montò sul carro, il quale partì
sfrecciando tra gli alberi, alla guida del piccolo uomo.
«Non è possibile...» sussurrò l’alta figura, guardando il
suo volto con molto interesse.
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Accanto c’era una strana figura che sedeva quasi in po-
sa di meditazione, con gli occhi chiusi e concentrato nei
propri pensieri: era avvolto da un lungo e pallido man-
tello, sporcato alle punte dalla fanghiglia di quel terreno.
Le vesti erano per lo più ombrate, ma riuscì a scorgere
l’elsa di una lama. C’era di più: era un elfo.
Provò a dire qualcosa ma, anziché enunciarsi, tossì ri-
petutamente e dovette riprendere fiato.
«Devi stare fermo, nelle tue condizioni. Non rendere
vana la fatica che ho fatto per riportarti tra i vivi.» si levò
la voce dello sconosciuto, donandogli una fredda acco-
glienza; anche il suo sguardo non era dei più caldi: chiari
occhi argentati lo fissavano.
«Dove mi trovo?» parlò a fatica. Con il braccio destro
fece leva per tirarsi su, lasciando l’altro poggiato
sull’addome, poiché era bloccato da una fasciatura im-
provvisata con i lembi delle proprie vesti, che erano state
strappate.
«Ehi! Il cucciolo ha parlato! Tu devi stare simpatico a
qualcuno lassù ragazzo, te lo dico io!» esclamò con seve-
rità l'altra persona alla guida, mentre fumava da una
lunga pipa in legno chiaro. Aveva una voce rauca, che
portava un timbro gutturale.
«Vedo che sei uno che capisce al volo. Ti ho detto di
stare giù!» L’elfo tese una mano verso la spalla del ra-
gazzo e, con ben poca delicatezza, imprimé la giusta for-
za per rispingerlo con la schiena sulla lignea superficie
del carretto. Ci fu un sussulto di dolore, ma il ragazzo
non fu in grado di reagire.
«Non toccarmi.» tossì ancora.
«Adesso calmati. Se ti avessi voluto morto staresti an-
cora marcendo in quella putrida fogna.» persistette
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l’elfo, mostrandogli anche un ghigno. «Hai perso molto
sangue quando ho estratto il dardo. Quindi vedi di non
muoverti. Come ti ho detto, non rendere vana la mia fa-
tica.» disse, tornando a cozzare con la schiena sul bordo
del carro, e l’occhio vigile che si perse nuovamente tra
gli alberi della foresta.
Il ragazzo non prese bene quel gesto e gli rivolse uno
sguardo di sfida, ma non aveva né le possibilità né la
voglia di perseguire la conversazione. I ricordi iniziaro-
no rapidamente a tornare alla mente e rammentò le urla,
il dolore ed il calore del rosso sangue che gli colava sulla
pelle.
«Molto bene, allegria portaci via!» tentò di sdramma-
tizzare l’altro alla guida.
«Manteniamo tutti la calma e ci rifaremo davanti qual-
che alcolico. Siamo ancora nella merda, finché restiamo
in questo posto.» commentò poi, volgendosi preoccupa-
to in direzione della strada che stava percorrendo.
«Ricordo la battaglia, ma non il suo svolgimento.»
Il giovane era così privo di forze da abbandonarsi anco-
ra in uno stato di semi-incoscienza.
«È svenuto di nuovo» commentò l’elfo, scuotendo la
testa.
«Direi che è normale, Aelon» rispose Amtor
«Sei pensieroso…» continuò.
«No, ti sbagli.» fu secco nella risposta.
«Dannazione! Ti conosco fin troppo bene, non puoi
mentirmi!» replicò, mostrando un tono irritato. Sbuffò,
dopo qualche manciata di secondi.
«E va bene, tieniti pure i tuoi stupidi segreti.» borbottò.
«Se vuoi sapere la mia, penso che sia uno dei capitani di
Thilia. Saranno stati decimati ancor prima che potessero
comprendere di essere stati circondati, poveretti.»
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Sputò in terra il residuo del tabacco che gli era finito in
bocca attraverso il canalino della pipa.
«Dannata, ti brucerò e ne comprerò un’altra alla fine di
questa missione.» fu solo un vago parlottare con se stes-
so.
Nel frattempo procedevano ad andatura più che mode-
rata e la strada fangosa, piena di buche, rendeva il viag-
gio su quel carretto estenuante per chiunque. Qualcuno
avrebbe potuto pensare che fossero stati folli ad inoltrar-
si così tanto nella foresta; dopo tutto la battaglia, era tra-
scorsa da non più di due giorni e l’aria era ancora satura
di putredine, a causa dell’enorme quantità di cadaveri.
L’allontanarsi da quel posto li rinvigoriva sempre di più.
«Sta continuando a perdere sangue. Devi sbrigarti, Am-
tor.» sebbene il suo tono fosse calmo e contenuto, le pa-
role avevano un suono amaro.
«Vado più in fretta che posso! Credi che ci tenga a ri-
manere qui?» rispose infastidito.
«Arrivati, voglio che lo sorvegli. Gli farò avere delle cu-
re, ma tieni gli occhi aperti.» La radura iniziò ad appari-
re all’orizzonte e con essa comparve anche un vento più
leggero a dargli il benvenuto.
«Merda, il puzzo di questo posto non mi si toglierà di
dosso tanto facilmente.» Amtor sbuffò.
«Non lamentarti sempre. Hai scelto tu di venire con
me.» in quel momento, l’elfo si passò la man destra a
massaggiarsi le tempie.
«Certo, ma avevi detto che sarebbe stato un giro di per-
lustrazione, non che saremmo arrivati fino al cuore della
foresta. Ci vorranno ancora un paio d’ore prima di arri-
vare all’accampamento!» rispose prontamente, in modo
brusco e severo: fu quasi un verso d’ammonizione, tut-
tavia non ottenne più risposte da quel momento. Stava-
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no per abbandonare i confini della Zona Verde, eppure
nessun posto sarebbe stato mai abbastanza lontano per
dimenticare quel che avevano visto.
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ne colto da un conato di vomito che durò per diversi se-
condi.
Trattenne il disgustoso stimolo e, preso qualche respiro,
incominciò ad osservarsi in giro: era dentro una larga
tenda bianchiccia; abbastanza alta da permettere di so-
star in piedi. Adibita in modo inappropriato ad avampo-
sto medico, sicuramente era predestinata ad altri scopi
prima del suo arrivo.
Alla sua destra, sopra uno scaffale, vi erano degli in-
dumenti più o meno puliti, pronti per essere indossati e
poco più in là due spade corte, armi piuttosto semplici.
Molto simili a quelle che possedeva lui durante l’ultimo
scontro: dalla forma di mezza luna molto allungata, era-
no le tipiche lame di chi amava essere armato sia con
una mano che con l’altra, così taglienti do poter arrecar
danni anche nelle innocenti mani di un bambino.
Si bloccò immediatamente quando vide qualcosa avvol-
to nella carta, riposto su di un piccolo sgabello poco più
avanti; sembrava proprio aver tutto l’aspetto di cibo.
Venne colto contemporaneamente da una sensazione di
disgusto e di bruciore, dovuto ai morsi della fame; in so-
stanza, non gli andava di mangiare, ma il corpo non la
pensava allo stesso modo. Lasciò la testa ciondolare tra
le gambe, concentrandosi per prendere dei lunghi respiri
ed a fatica si levò in piedi, cercando di vedere se le gam-
be fossero finalmente pronte a sostenerlo.
Sto bene, posso farcela. Pensò.
Il viso s’era fatto completamente rosso e stava sudando,
a causa dell’alta fatica di sopportazione del dolore.
«Devi stare attento, non sei mica guarito. L’alba sarà tra
meno di tre ore, quindi riposa finché puoi, ragazzo.»
disse una voce rauca alle sue spalle, verso l’entrata della
tenda. In effetti, lo aveva colto di soprassalto.
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Assunse una posizione ricurva su se stesso, poggiando
le mani sulle ginocchia e respirando profondamente.
«A questo punto tanto vale presentarsi, dico bene?» ri-
spose, abbozzando un sorriso, riconoscendo quel timbro
di voce.
Osservò un particolare che non aveva notato: uno dei
due che l’avevano soccorso era un ghor dan, più comu-
nemente conosciuti come nani.
«Che hai da fissare in quel modo?» fece qualche tiro
della pipa, noncurante che il fumo entrasse all’interno
della tenda.
«Amtor, tu chiamami Amtor.»
Il ragazzo annuì scuotendo la testa. «Ehlan» rivelò il
proprio nome senza troppi giri di parole.
«Allora, dove ci troviamo? Che genere di posto è que-
sto?»
Il nano varcò l’entrata, oltrepassando i lembi penzolanti
che davano sull’esterno e in poco tempo l’ambiente si
riempì della cortina bianca di quella pipa.
«Sei nell’avamposto ovest inviato per ordine della Lega
Boscosa. Siamo nel Passo del Daw, ora.» il nano fu es-
senziale nel dire.
«Sono l’unico?» Aggrottò la fronte.
«Non ne ho idea. Gli altri avamposti sono sparsi in giro
per la valle» rispose.
«Cosa ci fa qui la Lega Boscosa?»
Le domande continuarono.
«Queste non sono questioni che ti riguardano, ragaz-
zo.» il nano lo scrutò con poca discrezione.
«Non mi riguardano? Siete fuori dai vostri confini, non
potete allestire avamposti come v’aggrada. La Lega Bi-
anca…»
27
«La Lega Bianca? Ha, ha, ha.» si lasciò sfuggire una ri-
sata sgarbata. «Fammi il piacere. Per quanto ne so io, la
Lega Bianca ha perso il controllo della situazione da
tempo. Adesso rimettiti a dormire e ringrazia che il tuo
sonno avrà un risveglio, perché poteva essere eterno!
Ha, ha, ha!»
Si voltò su se stesso e sparì nuovamente, ma Ehlan poté
udire la risata del vecchio nano allontanarsi nella notte.
Riposto su quello sgabello, c’era veramente del cibo:
una ciotola con un freddo liquido verdastro che un tem-
po si sarebbe potuta chiamare minestra, ma ora ne era
solo un lontano ricordo.
Tornò a poggiare le proprie natiche sul letto improvvi-
sato e le mani salirono per incontrarsi con il volto ed af-
ferrare i capelli. La sua mente probabilmente era ancora
contagiata dalle urla di cui era stato testimone e non
c’era silenzio che potesse rilassarlo.
Allungò un braccio, per portarsi vicino la mobilia con il
pasto. Pervenne un sospiro profondo e, alla fine, iniziò a
banchettare, disturbato solo dai propri pensieri. Infatti,
sebbene l’atmosfera all’esterno della tenda fosse molto
tranquilla e non udisse altro che i canti degli insetti not-
turni, in lui c’era l’eco confuso di quei giorni. Scelse di
mangiare velocemente, per ignorare il sapore della mi-
nestra che si stava inacidendo: non aveva un palato raf-
finato e, avendo partecipato a molte battaglie, si faceva
poco schizzinoso.
Abbandonò quella ciotola svuotata sulla superficie li-
gnea dello sgabello e volse lo sguardo alla sua destra,
dove sullo scaffale erano riposti i nuovi abiti. Ora indos-
sava una semplice maglia pallida, così lunga che avrebbe
potuto sembrare una vestaglia.
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Si alzò ancora e, questa volta, andò ben oltre e iniziò ad
inventare i suoi primi passi. Sbuffando e soffrendo, rag-
giunse i vestiti.
Saranno per me? Pensò.
I capelli di un color castano chiaro erano abbastanza
corti da non necessitare di molta cura, un gran vantaggio
per chi era sempre in viaggio. Il ragazzo aveva un viso
pulito e di bell’aspetto, un fisico asciutto e atletico come
quello che ci si aspetterebbe da un combattente.
Gli occhi possedevano il colore di una razza più antica,
erano chiari tanto da sembrar bianchi, potevano incutere
timore per chi non fosse abituato ad osservarli.
Iniziò indossando la maglia pesante, poi passò ai panta-
loni, infine si infilò i lucidi stivali marroni.
Certamente quegli abiti non incontravano i suoi gusti,
ma erano estremamente caldi. Si concesse qualche mo-
mento, prima di spedirsi verso l’uscita.
Ho bisogno una boccata d’aria fresca. Pensò.
Non appena fu all’esterno, un poco piacevole venticello
lo sfiorò, procurandogli un duraturo brivido attraverso il
corpo, e percepì immediatamente l’impatto con
l’umidità che scendeva dal bosco non lontano.
Riempiendo d’aria il torace, prima di sedersi in terra,
pensò di puntare lo sguardo per vedere in che genere di
accampamento si trovasse.
Notò che il campo era composto da non più di venti
tendoni e si estendeva dalla fine della foresta chiamata
“Zona Verde dei Piani Selvaggi”, sino al Passo del Daw.
Lui era collocato al limite esterno che dava in direzione
del bosco e dovette voltarsi per osservarsi attorno. Es-
sendo piena notte, poche erano le luci che gli permette-
vano una chiara visione; di tanto in tanto passava qual-
cuno avente una lanterna legata alla cinta.
29
Tutto era pervaso dal silenzio. Decise, quindi, che era
giunta l’ora di sedersi e lo fece proprio lì, sull’erba umi-
da, vicino ai teli della sua tenda.
Il cielo limpido e sereno, era decisamente contrastante
con quello che aveva dentro di se. Colse quell’ironia e
sorrise con amarezza.
Era vivo. Nonostante tutto, era vivo.
La sua mente masochista e sadica, non lo faceva dormi-
re riportandolo al giorno prima: circondato da cadaveri,
alcuni anche in avanzato stato di decomposizione, con
occhi morti rivolti ovunque. Gli venne alla mente anche
quell’aria satura di putredine.
Cosa è stato a tenermi in vita? Pensò.
Gli fu impossibile calcolare quanti minuti avesse tra-
scorso a ragionare sulle ultime esperienze; non era mai
stato facile, per lui, riprendersi dopo una battaglia. Di-
sprezzava combattere, dopo tutto.
Un rumore improvviso distolse Ehlan: si voltò un se-
condo verso destra, notando il ritorno del vecchio. Per
lunghi istanti non disse nulla, attese che fosse abbastan-
za vicino.
«Serataccia, eh? Turno di guardia?» disse, mostrando
l’ombra di un ironico sorriso.
«Non fare lo spiritoso. Questo è il Passo del Daw, non
una scampagnata tra le montagne.» rispose, facendo una
buffa smorfia e fissando l’espressione di Ehlan mentre
sorrideva, seduto sul prato.
«Cosa ci fa un ghor Dan in un’impresa come questa?
Sarebbe interessante comprendere come voi siate finito a
lavorare per gli elfi.»
«Che diamine! Certo che ne hai di domande per uno
che ha attraversato le porte della morte!» il nano sputò
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in terra qualcosa, preoccupandosi poco della presenza
del ragazzo.
«Non mi piacciono le persone che fanno troppe do-
mande.»
Egli si sedette vicino al ragazzo, che fissava i ciuffetti
d’erba illuminati dal lume di candela proveniente
dall’interno della tenda. Amtor prese dalla tasca la pipa,
la quale sembrava aver visto molti anni. Poi, infilandoci
dentro qualche foglia essiccata dal rossiccio colore, si
fermò un istante a guardare Ehlan.
«Merda, se devo stare qui a farti da balia tanto vale dir-
ti qualcosa! Una pallida mattina, mi trovavo nella mia
casa di pietra, tra le mura che amo di più. A quei tempi
ero giovane e robusto e sarei stato in grado di affrontare
qualche nemico in più. Qualunque, assaltatori o semplici
Mog-hown! Comunque, per un’arcana ragione, mi fu
ordinato di accompagnare uno straniero presso la gran-
de distesa di pietra, nelle caverne, a nord della mia casa.
Non era che a meno di un’ora di viaggio, quindi decisi
di andare, ma l’epilogo fu più difficoltoso di quello che
ci aspettassimo. Avrebbe dovuto esserci un piccolo ac-
campamento con una nuova guida inviata da Gathol.»
Accese finalmente la pipa, aspirando il fumo, per poi
gettarlo fuori dalle narici.
«Al nostro arrivo, l’unica cosa che si poteva ancora di-
stinguere erano i corpi bruciati dei miei compagni, am-
massati come carcasse di bestiame. Non dimenticherò
l’odore pungente delle carni carbonizzate. Comunque,
abbreviando la storia, Aelon era stato incaricato di veri-
ficare l’esistenza di una fonte d’energia arcana, all’in-
terno di un vecchio tempio abbandonato. Era insolito,
ma sarebbe stata un’ottima arma se fossero riusciti a pre-
levarla. Qualcuno però se n’era impossessato rapida-
31
mente, trucidando i miei compagni. Decisi di seguire
Aelon, per venire a capo di questo mistero. Alla fine
scoprimmo l’esistenza di una setta segreta, e beh… la
nostra avventura iniziò proprio da lì.»
Ehlan ascoltò la sua storia e fu impassibile. Non era il
primo né l’ultimo triste ricordo che gli venisse racconta-
to o che lui stesso avesse vissuto.
Il giovane si alzò in piedi sforzandosi molto, poiché tut-
to gli doleva a tal punto da rendere quella semplice
azione una vera sfida.
«Credo che mi metterò a riposare. Ne ho abbastanza di
questa giornata.» disse in direzione del nano e si diresse
verso l’entrata della tenda.
«Ragazzo, non buttare la tua vita in una guerra senza
fine. Dai retta a me.» Ehlan si voltò verso il nano, quasi
per esclamare una contrarietà, ma Amtor aveva già pre-
so in mano la sua lanternina e iniziando ad allontanarsi
per un altro giro di perlustrazione. Ehlan rientrò per poi
sdraiarsi sul letto.
35
«Avete notizie dagli altri avamposti?» domandò secco
il ragazzo.
«So cosa vuoi sapere, ma no. Non ho neanche io le ri-
sposte che cerchi, almeno finché non raggiungeremo il
punto prestabilito, dove le compagnie si riuniranno.»
spiegò con tranquillità.
«Probabilmente saprai quello che sto per dirti, ma non
confiderei nella speranza. È stato già un vero miracolo
ritrovare te. Queste terre non avranno reso una facile fu-
ga alle tue genti.»
Il Passo del Daw si estendeva attorno tutta la Zona
Verde: era una grande valle di rocce e bianche montagne
luccicanti sotto la luce del sole, raramente era bazzicata
dagli uomini o dagli elfi, date le leggende che si traman-
davano sui malefici di quel posto; ma era la via più ra-
pida per giungere a Thilia, una delle cittadelle commer-
ciali maggiormente ricche e importanti dei Piani Selvag-
gi.
«Alle mie genti?» Ehlan aggrottò la fronte perplesso.
Aelon sbuffò rumorosamente, lo sguardo cadde in bas-
so e spaziò tra i pochi fili d’erba che crescevano affron-
tando le avversità di un terreno roccioso.
«Ti facevo più perspicace, Ehlan.» parlò a bassa voce.
«I nostri esploratori dicono che l’orda nemica stazioni a
nord tra Duhregoul e la Valle Sola. Prevedevamo
l’invasione completa dei Piani Selvaggi, poiché ora nul-
la gliel’avrebbe impedito. Tuttavia, sembra che si stiano
ritirando verso il nord. Questo è insolito, ma credo co-
munque che prima raggiungiamo il Bosco Fatuo, prima
saremo in salvo.» Aelon s’interruppe solo per qualche
istante, donando così al giovane il tempo di riflettere su
quanto detto fino ad ora.
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«Thilia è stata la prima a cadere. Rasa al suolo la notte
prima che noi arrivassimo. Non che avremmo potuto far
nulla, siamo solo un piccolo avamposto. Non era rimasta
in piedi neanche una casa e della legna stava ancora bru-
ciando sotto il passaggio del male. Decine di corpi sono
stati ritrovati nel villaggio, dentro la grande casa sulla
collinetta, dove credo attendessero l’arrivo dei nemici.
Sappiamo, quindi ,che non ce l’hanno fatta. I maghi ov-
viamente non sono riusciti a contrastare la minaccia e
neanche voi. I Maghi di Faer si son operati per purificare
la zona dando pace a tutti coloro che erano caduti, im-
pedendo che le anime venissero attratte dall’oscurità.
Quindi abbiamo deciso di percorrere la parte est della
Zona Verde per trovare sopravvissuti, così ci siamo divi-
si in gruppi e per poter aumentare le nostre probabilità
di successo, fondando quattro campi, distesi più a ovest
rispetto a noi, dove potevamo accogliere molti sventura-
ti. Tuttavia, nel nostro campo, tu sei l’unico ad essere
stato salvato. Devi sapere, che in realtà, erano passati
ben quattro giorni dalla fine della tua battaglia nella fo-
resta.»
Ehlan era scosso dalle sue parole, ma in cuor suo sape-
va che non avrebbe potuto aspettarsi buone notizie.
«Un secondo fa sembravi restio a dirmi il tuo nome.
Perché mi racconti tutto questo?» aveva un tono di voce
decisamente basso.
«Credevo che volessi sapere.» rispose sollevando le
spalle. «Tu eri il capitano della cittadella, l’ho intuito
dalla tua armatura.»
Il giovane si portò ancora le mani tra i capelli. Gli occhi
si chiusero e la bocca aiutò le narici ad inglobare l’aria,
cercando di allungare il respiro.
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«Non dovrei essere qui.» le iridi del mezz’elfo erano
lucide, ma nulla più si manifestò da esse.
«So esattamente cosa provi, Ehlan. Quasi tutti in questo
dannato mondo, ormai, hanno la sfortuna di saperlo. Sei
fortunato, ad essere vivo nonostante tutto. Sfortunato,
poiché dovrai ancora lottare per rimanerci.»
Aelon iniziò a muoversi per tornare al lavoro, o quanto
meno far accelerare i lavori ai propri esploratori.
«Così la Lega Bianca dovrà ricominciare...» affermò
Ehlan, rivolto a se stesso.
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In marcia verso est
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Amtor poté, così, sfruttare l’occasione per non incrocia-
re lo sguardo con quello dell’elfo.
«Finalmente. Ah andiamo, ti do una mano a salire!» Il
nano si alzò, spostandosi all’interno del carretto e tese il
corto, ma robusto braccio al giovane. Ehlan salì sbuffan-
do e tossendo, digrignò anche i denti: aveva fitte ovun-
que.
«Forza! Forza! Non fare il mollaccione che son due ta-
glietti! Ha, ha, ha!» sdrammatizzò il nano, tornando a
sedere al suo posto. «Ora mettiti comodo e vedi di non
distruggermi niente, eh! Ho strumenti importanti là den-
tro.»
«Dovrò frustare il vecchio Ragol sino a fargli perdere
quei chiletti di troppo che ha messo su nello scorso viag-
gio, per arrivare alla meta secondo l’orario stabilito.»
borbottò il vecchio a bassa voce, mentre guardava il ca-
vallo che muoveva la testa su e giù, tentando di arrivare
all’erbetta sotto di lui. Anche Aelon raggiunse il fianco
del carro, ma né lui né il mezz’elfo sembravano interes-
sati a ciò che diceva.
L’elfo ripartì silenziosamente per dare un occhiata in
giro; anche se era quasi tutto pronto, si voleva assi-
curare non ci fossero impedimenti. Il nano allentò quindi
le redini lasciando che il cavallo potesse arrivare a man-
giare l’erba, anche perché era stanco di tirargli continua-
mente su il muso.
43
«No, infatti. E' qualcosa di diverso, antico e maligno.
Comunque ci fermeremo al punto stabilito, là riposerò e
tutto apparirà più chiaro, poiché la notte mi porterà con-
siglio.»
La risposta di Aelon non convinse molto il nano, tutta-
via non sembrava opporsi oltre alla decisione del suo
amico e fece cenno ai carri dietro di lui di proseguire la
marcia, compiendo un gesto con la mano per indicare la
direzione in cui si stavano incamminando.
Amtor si grattò la nuca e sciolse le spalle per scaricare
lo stress e la fatica dovuti alla pesante guida del carro,
dopo qualche minuto iniziò anche lui ad avvertire i sin-
tomi del sonno e lanciò un lungo sbaglio.
«Ti vedo molto provato, lascia che sia io a condurre il
carro da ora in poi. Vai a coricarti assieme ad Ehlan. Ti
chiamerò io appena saremo giunti a destinazione.» disse
Aelon, facendo un leggero sorriso verso il suo amico.
«Non posso negarlo, tuttavia non è la stanchezza o le
forti emozioni provocate da quest'ultimo viaggio, ad ap-
pesantirmi. Sto invecchiando, Aelon, e questa merda sta
diventando troppo maleodorante per me.» disse a bassa
voce il nano, mentre fissava incantato il luccichio della
lanterna posizionata sul carro elfico dinanzi a loro.
«Cosa intendi fare?» Domandò Aelon, guardandosi at-
torno con aria abbattuta.
«Domanda sciocca, no? La fine che fanno tutte le vec-
chie carcasse come me.» borbottò nervosamente.
«Personalmente non avrei nulla per cui biasimarti.» ri-
prese l’elfo.
«Certo, cosa ne puoi capire tu? Del resto, non hai i miei
stessi problemi. Ha, ha, ha.» quella risata fu contenuta,
poi tossì più volte.
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Aelon osservò spesso il vizio del fumo del compagno
ed anche in quel momento si stava rilassando con qual-
che tiro.
«Sai, dovresti pensare di smettere.» intervenne.
Amtor sputò il bianco fumo dalle narici, socchiudendo
appena gli occhi.
«Lasciami godere quel poco che mi rimane, in santa pa-
ce. Non ricominciare con le tue perle di saggezza.»
commentò ironicamente il nano, tornando a fissare il
lume del carro davanti.
Trascorsero circa una quindicina di minuti. Il tempo
continuava ad essere gradevole nonostante il freddo ed
almeno per ora non sembravano avvicinarsi pericoli
imminenti.
Il percorso scelto era stato studiato a pennello dagli
esperti esploratori di cui la Lega Boscosa poteva vantare:
c’era un’antica strada, all’oggi, in parte nascosta tra le
rocce, che gli permetteva anche un’an-datura abbastanza
spedita. Ogni tanto qualche dosso provocava violenti
scossoni al carro, rendendola una superficie poco idonea
al riposo per chi avesse il sonno leggero.
«Andrò via. Questa è l’ultima, Aelon.» il nano si es-
presse ermetico, ma deciso.
L’elfo non rispose subito, per la prima volta gli com-
parve un mezzo sorriso sul volto sempre rigido e tirato.
«Capisco.»
«Vedi di non dimenticarti di me nei tuoi lunghi e sfor-
tunati anni futuri.» ironizzò ancora Amtor.
«Sarebbe impossibile. Sei, davvero, un ricordo troppo
inquietante.» rispose ora con toni ridenti.
«Inquietante è stato per me vederti mentre lavavi i tuoi
lunghi capelli come una donna. Ha, ha, ha. Usi ancora
quella saponetta?» ora il suo riso fu più esteso.
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Aelon s’ingrugnì appena.
«Barbaro, che ne sai tu di raffinatezza?» commentò.
«Più o meno quanto ne sai tu di palle, nulla! Ha, ha,
ha!»
I due continuarono a fare dell’ironia per qualche minuto,
nel frattempo Ehlan aveva avuto modo di svegliarsi.
Benché gli occhi rimasero serrati, fu in grado di avverti-
re le ultime conversazioni che si scambiavano i due.
«Voi siete sempre così affiatati?», disse una giovane vo-
ce assonnata. Aelon si voltò, tendendogli una mano per
aiutarlo a sedersi sopra una piccola tavola di legno, usa-
ta per riporvi sopra gli oggetti più delicati.
«Tu origli sempre le conversazioni degli altri?» do-
mandò a sua volta l’elfo.
«Sono contento di vedere che stai meglio, ragazzo. Tra
poche miglia arriveremo alla meta. Tieniti pronto, lì po-
tremmo sostare e mettere qualcosa sotto i denti. Non
dovremmo correre alcun pericolo.», disse Aelon.
«Non sono un ragazzo. Ho ben più anni di quello che il
mio volto non vuol mostrare.» confidò Ehlan massag-
giandosi le meningi. Nascondeva un volto ancora prova-
to dalla stanchezza. L’alto elfo mostrò poco interesse per
tale richiesta, mentre Amtor sembrava leggermente con-
trariato.
«Giovanotto, se pensi che dopo aver vissuto tra questi
orecchie a punta, io mi lasci impressionare dalle tue pa-
role, cadi in fallo. Ricorda che ai miei occhi sarai sempre
un ragazzo, per lo meno fin quando non mi dimostrerai
il contrario.» ribadì il nano, soddisfatto delle proprie pa-
role.
L’aria era diventata fredda e le temperature erano scese
col calare del sole, che oramai era scomparso del tutto;
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camminarono dunque sotto il luccichio delle stelle e del-
la luna, che risplendevano alte nel cielo.
Continuarono ancora per circa un’ora, quando, d'un
tratto, Amtor aguzzò bene la vista: finalmente
all’orizzonte si scorgevano le cime degli alberi del confi-
ne del Bosco Sacro.
«Guardate, quelle laggiù sono le cime che più alte pri-
meggiano ai confini della terra di Erim, Signore del Bo-
sco Fatuo.» esclamò il nano con gioia, balzando in piedi,
e in pochissimo tempo dai carri addietro si udì dagli
uomini un grido di vittoria. Amtor era esaltato: sembra-
va si fosse dimenticato del pericolo costante che lo aveva
tenuto in tensione per tutto il viaggio.
Ehlan si alzò in piedi e scostò i capelli che il vento gli
portò sulla faccia, per osservare meglio l'orizzonte.
«Ci fermeremo dietro questa collinetta. Amtor, monta
la tenda e prepara anche i letti, ma non disfare nulla se
non l’essenziale. Voglio essere pronto a rimetterci in
marcia in breve tempo.» ordinò l'elfo.
«E mentre io mi spezzo la schiena, tu cosa farai, eh?» le
parole uscirono come una lamentela.
«Io andrò a controllare i carri dietro e vi porterò anche
due ciotole di minestra, non appena saranno pronte. È la
tua ultima avventura, goditi questo momento, no?» Ae-
lon fece dell’ironia che fu poco gradita all’amico.
In men che non si dica, Amtor lanciò un grido verso la
carovana, facendo cenno di fermarsi e mentre l'elfo bal-
zava agilmente fuori dal carro ancora in leggero movi-
mento, il ragazzo iniziò a tirarsi su, inginocchiandosi
lentamente e stendendo il busto.
«Ah! Come al solito lui si diverte gironzolando e a me
toccano i lavori più fastidiosi e antipatici. Diamoci una
mossa, prima che mi passi la voglia!» commentò a voce
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alta il nano. Sembrava, tuttavia, molto più rilassato,
adesso che il confine poteva vedersi ad occhio nudo, ac-
carezzato dai raggi della luna argentata.
Ehlan scese dal carro solo quando quest’ultimo s’era
fermato e come prima sensazione avvertì un forte dolore
alla gamba, ma iniziò comunque a sgranchirsi le stanche
membra, intorpidite dal troppo star fermo. Amtor, inve-
ce, si prestò a raccogliere da dentro il carro il telone della
tenda e i vari attrezzi per sorreggerla.
«Cos'è qui questa roba?» chiese Amtor, mentre osser-
vava qualcosa nel carro. Ehlan si voltò verso di lui incu-
riosito; il nano sollevò un grande telo bianco completa-
mente stropicciato, sembrava quasi uno straccio per pu-
lire il pavimento.
«Credo proprio sia la nostra tenda.» rispose il ragazzo,
grattandosi la fronte.
«Si. Lo vedo che è la nostra tenda, ma si può sapere
come hai fatto a ridurla in questo stato mentre dormivi?
Che fine hanno fatto gli stracci che servono per i letti?
Merda, è tutto un casino qui dentro!» domandò perples-
so e colmo di ira. Ehlan rifletté un attimo e infine fece un
lieve sorriso e parlò.
«Ora credo di ricordare. Ho l'impressione di averlo usa-
to come coperta.»
Amtor rimase con gli occhi spalancati fissi sulla tenda.
«Ok. Sinceramente non voglio sapere come tu sia riu-
scito a metterti ben sei metri di telo sopra, ma la prossi-
ma volta apri questo fagotto e prendi una coperta da lì.
Quelle più calde sono in fondo.», disse sfinito il nano,
mostrando a lui una grande sacca di pelle marrone leg-
germente rovinata dagli anni.
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«La prossima volta?» il ragazzo si strinse nelle spalle:
non era molto sicuro che ci sarebbe stata una “prossima
volta”
«Certo, tranquillo.» l’accontentò.
«Lascia che vi aiuti, mi sono stancato di starmene fer-
mo.»
Il nano scese infine dal carro con gli attrezzi necessari
per montare la tenda.
«Apprezzo il tuo entusiasmo, ragazzo, ma non ho ne-
cessità di aiuto in questo momento, e nelle tue condizio-
ni mi rallenteresti solamente.» disse il nano con aria at-
territa.
«Se vuoi davvero dare una mano, vai a vedere agli altri
carri della carovana, magari risparmi loro qualche picco-
la fatica.» detto ciò, il nano si mise finalmente a lavoro.
La carovana si era disposta in forma circolare; soltanto
il carro di Amtor e quello dei maghi di Faer, erano più
esterni, verso est.
Il mezz’elfo aveva camminato per qualche metro, fer-
mandosi ad osservare qualcuno intento a lavorare.
«Buonasera.» disse, rivolgendosi allo sconosciuto.
«Vedo che sei ancora agli inizi. Ti do una mano io.»
disse senza imbarazzo. L’elfo si voltò, fissandolo dritto
in viso.
«Dhem Gahrd.» salutò e gli tese una mano, aiutandolo
a salire sul carro.
«Nelle tue condizioni, non credi che sia meglio starsene
fermi?» osservò la fatica che il giovane provava nel
compiere anche i più semplici movimenti del corpo.
«Stare fermo non mi aiuta.» rispose secco.
«Vieni da Thilia, dico bene?» gli chiese, osservandolo
meglio sotto la luce della lanternina.
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«Si.» gli sembrò una risposta così ovvia che quasi fu
sorpreso di quella domanda, anche perché era l’unico
non appartenente al popolo degli elfi.
«Mi dispiace per la tua gente.» aggiunse, infine.
Ehlan non rispose, non lo trovò necessario. Fece un
semplice movimento del capo, per donargli un tacito se-
gno d’assenso.
«Sono Randol Guru, lieto di fare la tua conoscenza.»
«Ehlan Silveril. Piacere mio.» rispose brevemente.
«Ti ringrazio per la tua offerta.» disse, indicando la di-
rezione. «Stavo giusto radunando la legna nel carro, per
accendere il falò al centro del campo. Se davvero te la
senti, puoi legarla con queste corde e passarmela.» pro-
pose infine.
«A lavoro, allora.» rispose.
Nascondeva il dolore causato dallo sforzo, ma lo star
fermo gli permetteva di riflettere ed era l’ultima cosa che
avrebbe voluto fare in quel momento. Tra i due tipi di
male scelse quello fisico.
Nonostante il freddo che iniziava ad accanirsi, Ehlan
stava sudando, ma in breve tempo era già riuscito passa-
re tutta legna necessaria allo scopo.
Innalzarono, infine, un grande falò proprio al centro
dell’avamposto; esso servì da luce, da calore e fu utile
per cucinare pasti che fossero quanto meno tiepidi e
mangiabili.
Ehlan s’inoltrò per l’accampamento per andare a seder-
si qualche secondo accanto al fuoco; a seguirlo c’era
Randol, il quale neanche lui disprezzava l’idea di una
breve pausa.
«Niente male ragazzo, ne hai di resistenza a quanto ve-
do. Se sei stoico al dolore almeno la metà di quanto mi
hai dimostrato sta sera, non ti peserà sapere che per il
50
prossimo falò la legna andrà tagliata da capo.» disse
l’elfo, con occhi fissi sulle fiamme che si espandevano
assieme all'appagante scricchiolio della legna. Ehlan le-
vandosi in piedi si voltò verso Randol.
«All’interno di una foresta sarà certamente difficile tro-
vare della legna. Capisco i motivi che ti spingono a chie-
dere il mio aiuto.» ironizzò divertito. Non aggiunse al-
tro, solo un muto saluto con il palmo della mano. Si in-
camminò silenziosamente verso est e non si accorse che
l’elfo continuò a fissarlo, fino a quando la sua sagoma
non sparì nel buio.
Ehlan proseguì passeggiando lentamente, immerso nei
propri pensieri. Poteva guardare le stelle della volta not-
turna, ora che si era allontanato da quasi ogni fonte di
luce, e l’astro riuscì a mostrarsi in tutta la sua magia.
Si accasciò a terra, distendendosi ove cresceva l’erba
rigogliosa. La notte aveva gelato rapidamente, e presto
iniziò a sentire la mancanza di quel bel fuocherello cal-
do; in effetti, rammentò che l'autunno era ormai giunto
al termine, e lo ricordò nel peggiore dei modi: scosso da
brividi che lo elettrizzavano.
Ciò nonostante, riuscì a trascorrere diversi minuti in
tranquillità, ascoltando i suoni provenienti dalla natura.
D’un tratto, sentì dei passi provenire da dietro di lui. Si
sollevò velocemente per voltarsi e vedere chi fosse giun-
to sino a là, e ne rimase a bocca aperta: una donna, o per
meglio dire un’elfa. Aveva un lungo vestito verde, cinto
da un manto scuro sul quale ricadevano, soffici, lunghi
capelli castani. Portava con se un’asta ornata di simboli e
scritte in elfico arcaico.
«Spero di non averti spaventato, arrivando senza an-
nunciarmi.» chiese quella singolare figura.
51
«No, o meglio sì. Dopotutto, non è prudente avventu-
rarsi da soli in questi luoghi. La colpa è per lo più mia.»
rispose Ehlan.
Quindi s’alzò in piedi, cercando, per quanto gli fosse
possibile, di nascondere la propria espressione sofferen-
te.
«La mia presenza ti mette forse a disagio?» fece nuo-
vamente, mostrandogli un sorriso.
«Perché?» chiese il giovane.
«Ti stai scomodando.» rispose schietta.
«Non è per quello. Beh, non capita tutti i giorni di par-
lare con una dama elfica, per lo meno non nella mia ter-
ra.» rivelò Ehlan.
«Nella tua terra? Thilia.» sospirò pensierosa «Mi spiace
per l’accaduto.» fece, abbassando lo sguardo.
La sua voce era vellutata e dolce, in netto contrasto con
tutto ciò che aveva trascorso negli ultimi giorni.
«Grazie.», rispose il giovane.
«È per questo che ti sei isolato, cerchi di scavare nel tuo
dolore?» domandò l’elfa, che rimaneva ferma a fissarlo
con i suoi chiari occhi argentati.
«Cosa?» non fu in grado si negare.
«Non devi vergognartene, erano tuoi amici dopo tut-
to.» aggiunse lei.
«Il mio nome è Ehlan Silveril ed ero capitano di Thilia.
Ho comandato io gli uomini nella battaglia della Zona
Verde.» rivelò lui con poco entusiasmo. «Si tratta di re-
sponsabilità, i sentimentalismi non c’entrano nulla.»
L'elfa guardò Ehlan negli occhi per qualche secondo
prima di enunciarsi.
«Sei turbato, posso comprenderlo.»
«Non c’entra nulla l’essere turbato. Forse non mi sono
ancora del tutto reso conto della situazione.» il ragazzo
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strinse le mani e digrignò i denti. Le nocche gli divenne-
ro bianche tale era la forza che stava imprimendo. «Ho
perso tutto.»
«Tu sei il figlio di Calad Silveril, dico bene?» l’elfa cam-
biò discorso, la trovò una saggia decisione «Il mio nome
è Luine Ahre, figlia di Aduial Ahre.» Ehlan rimase per-
plesso.
«Conosci la mia discendenza? Non ho memoria di voi.»
L'elfa prese un lungo respiro e si sedette vicino ai piedi
del ragazzo, che la seguì subito dopo, mantenendo uno
sguardo fisso di lei. La situazione iniziava a diventare
surreale.
«Non hai memoria, ma dovresti. Forse hai battuto forte
la testa durante una delle tue battaglie.» disse scherzo-
samente, sorridendo.
«Probabile, ma mi ricorderei comunque di te.» rispose.
«Mio padre mi ha insegnato la lingua elfica e la sua
scrittura, portandomi per qualche tempo in una città di
nome Malgalad. Da allora, però, non ho più vissuto con
gli elfi e sono sempre rimasto fuori dai loro confini.» rac-
contò, rimuginando sul proprio passato.
Appena il ragazzo smise di parlare, approfittarono
ambedue della riflessione che solo il silenzio poteva of-
frire, assistiti da una delicata brezza che portava con sé
gli odori del bosco al confine.
D'un tratto, Ehlan avvertì nuovamente l'avvicinarsi di
qualcuno alle loro spalle.
«Ah, eccoti finalmente!» era il vecchio Amtor, che si
enunciava con tono irritato ed il fiatone per aver percor-
so la collinetta ove si trovavano.
«Hai una vaga idea di quanto tempo sia trascorso? Per
fortuna che Randol aveva visto la direzione in cui eri
scomparso. Se vuoi farti ammazzare, fallo almeno quan-
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do non sei affidato alla mia guardia.» disse, indicando la
via percorsa per arrivare da lui.
Il sorriso fu accompagnato anche da Luine;
quest’ultima si levò in piedi, passando le mani sul lungo
e fino abito, per far cadere le foglioline d'erba rimastevi
attaccate.
«Molto bene.» disse, rivolgendosi prima verso Ehlan e
poi verso il nano, in successione. «Credo che anche per
me sia giunto il momento di rientrare, potrebbero essere
in pensiero. Auguro una buona nottata ad entrambi.»
l’elfa prese a muoversi lungo la via, tornando sui propri
passi, ma prima che svanisse nell’ombra si voltò nuo-
vamente.
«E che la notte ti possa aiutare a ritrovar ricordi lonta-
ni.»
si rigirò e prosegui sino a scomparire dalla stessa oscuri-
tà da dove ella era arrivata.
Ehlan osservava i limiti del buio e, successivamente,
mormorò qualcosa di incomprensibile per chiunque.
«Di che miseriaccia stava parlando?» intervenne il na-
no.
«Merda! Incamminiamoci anche noi, prima che Aelon
si accorga della tua passeggiata notturna! Poi vorrei met-
tere qualcosa sotto i denti al più presto.» Amtor aveva
portato con sé la sua piccola lanternina con cui faceva
strada ad Ehlan.
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L'atmosfera stava cambiando man mano che si avvici-
navano al focolare, ove si era radunata molta gente. In
lontananza, si sentivano elfi che progettavano qualcosa,
discutendo tra loro in gran chiasso.
«Cosa sta succedendo qui? Cos’è che andate blateran-
do? Parlate, su!» chiese il nano con voce tonante, avvici-
nandosi ad un gruppo di persone, incuriosito dal bacca-
no che si espandeva lungo tutto il campo.
«Non so bene Amtor, ma alcuni compagni dicono di
aver visto arrivare dei soldati» spiegò l'elfo. «Si tratta di
Igril e Dener. Arrivano dall’avamposto est e, a quanto
pare, sono giunti sino a noi con la morte alle spalle. Ora
qualcosa marcia verso di noi!»
«Sciocchezze!» commentò il vecchio nano. «Sono sicuro
sia solo un vespaio tirato su da qualche buono a nulla,
impaurito e goffo. Non c'è nulla di cui dobbiate preoc-
cuparvi.»
«Amtor, credo che potrebbe esserci qualcosa di vero in
tutto questo.» intervenne Ehlan a bassa voce. «Tutta
questa confusione non può essere nata da una semplice
burla e non credo neanche che queste siano il genere di
persone che intendi tu. Forse faremmo meglio a trovare
Aelon.»
«Non dubito!» sussurrò Amtor, mostrando un sorriso
finto verso gli elfi, mentre muoveva leggermente la boc-
ca rivolgendosi ad al ragazzo«Non dubito delle loro pa-
role, ma è bene evitare il panico.»
Nel frattempo, i due venivano guardati con aria per-
plessa da chi avevano davanti, i quali non sembravano
aver capito nulla dei loro mormorii.
«Amtor, ci sono forse problemi?»
Il nano attese qualche secondo prima di rispondere ed
intanto anche gli elfi, già coricatisi all'interno delle pro-
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prie tende, iniziarono ad uscire, disturbati dalla confu-
sione generale.
«No, nulla d’importante.» fece il nano seccato.
«Credo sia saggio che riposiate per beneficiare delle
forze perse quest'oggi.»
Amtor riprese a camminare verso il fuoco ardente, che
non era ormai molto distante, seguito da Ehlan, il quale
sbuffava copiosamente aria dalla bocca. L'espressione
del nano era seccata quando giunse alla sua meta: molti
si erano radunati, tanto che gli era impossibile avvedersi
del compagno.
Iniziò a farsi largo, infilandosi goffamente tra gli alti elfi
che spiccavano sovrani, e per il ragazzo fu quasi difficol-
toso seguirne la scia, senza considerare che per stargli
dietro doveva sopportare non poco il dolore proveniente
dalle gambe.
«Ehi, Aelon, sei qui!» esclamò il nano, il cui occhio vigi-
le aveva finalmente trovato la sua figura. «Sono riuscito
a trovarti! Cos’è questo vespaio di terrore che si sta al-
zando nell'accampamento? E, per tutte le ninfe, dove so-
no le nostre porzioni di minestra?!» chiese, forse più
preoccupato per il pasto che non per la situazione.
Ehlan notò che vicino ad Aelon c'erano due elfi dal
sangue puro, i quali sembravano provati dalla stanchez-
za e dalla sete, come se avessero corso per ore: erano
grondanti di sudore tanto da bagnargli i capelli e uno
dei due aveva macchie di sangue che gli ricoprivano la
corazza; ma, a giudicare dai suoi movimenti lineari e
privi di agonia, doveva appartenere a qualcun altro.
«Allora è così!» esclamò improvvisamente Ehlan, atti-
rando l'attenzione di Amtor, che lo guardava perplesso.
«Giungete da Est. Qual è la situazione?»
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«Calma Ehlan, calma.» rispose tonante Aelon «Questo
non è il momento più opportuno per parlarne.»
Aelon si trovava davanti un robusto tavolo di legno
portato vicino al fuoco; sopra di esso, vi era una grande
e dettagliata mappa, su cui erano state segnate con pic-
cole croci delle zone che rientravano nei confini del Pas-
so del Daw.
«Mio Signore, Aelon, non né siamo sicuri», fece uno dei
due con voce abbattuta.
«Il sole si trovava già ad assetto da tramonto, quando ci
siamo diretti qui con la speranza di trovarvi. Per diverse
ore abbiamo proceduto sulla via assegnata, ma è difficile
da percorrere, le rocce sono salde e affilate come lame.
Passare attraverso queste distese nella notte è anche più
rischioso.»
«Non così rischioso, se saremo guidati da voi.» esclamò
il loro comandante «Conosco il rischio e temo le conse-
guenze, tuttavia non sarò io quello che fuggirà stanotte.»
Amtor ascoltava attentamente i loro discorsi.
«Merda, parlate! Cosa vi ha ridotti in questo stato?» fe-
ce il nano «Vedo su di voi i segni inconfondibili di uno
scontro e mi domando: con quale genere di mostro stia-
mo avendo a che fare?»
Ehlan, nel frattempo, osservava minuziosamente la
mappa, con sguardo preoccupato e pensieroso.
«Non so dirvi, Amtor.» rispose l’altro elfo: il solo ricrdo
della battaglia, gli impediva di pronunciare rapidamente
le parole. «Nel loro attacco e nella loro forma, non ho ri-
conosciuto niente che io non avessi già visto prima: era-
no guidati da furia sanguinaria, ciò nonostante erano or-
ganizzati ed intelligenti. Umani, rinnegati, demoni.»
Amtor rimase perplesso ascoltando le parole del solda-
to, il quale aveva occhi gonfi ed arrossati. Era difficile
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che combattenti così preparati potessero lasciarsi andare
a simili atteggiamenti di terrore.
«So cosa sono!» esclamò improvvisamente Ehlan,
guardando in volto Aelon, il quale lo fissava a sua volta
con espressione preoccupata.
Inarcò le labbra in un breve sorriso, poi sbuffò.
«Credo che lo sappia anche tu! È per questo che nessu-
no oltrepassa mai i territori del Passo Nero, quantomeno
noi nei Piani Selvaggi ci preserviamo di compiere il giro
attorno al Daw per molte miglia. Sono gli spettri del
Daw.» Alcuni lo guardarono perplesso.
«Ti burli di noi, mezz’uomo?» quelle parole uscirono
quasi con disprezzo.
«Lo stesso nome viene dato a questa distesa, che ha
come significato Passo dell'Abisso: fu chiamata così dal
re, che migliaia di anni fa fu esiliato all'interno delle sue
terre e prese il nome del Re Caduto; non poté mai più
uscire dal suo stesso regno, né permettere che arrivasse-
ro esterni e, quando tutte le scorte ed i viveri si esauriro-
no, le persone iniziarono a morire. Desideroso di vendet-
ta, maledisse sé stesso, la terra e le sue genti, le quali
trovarono nuovamente la vita dopo la morte. Tuttavia,
non sono né vivi né morti e, incapaci di ritrovare la luce,
vagano in queste terre, in attesa che qualcuno le attra-
versi, portando loro la vendetta che dal re gli fu assegna-
ta di compiere.» mentre Ehlan raccontava la sua storia,
gli sguardi che gli erano rivolti sembravano divertiti.
Immediatamente, si alzarono delle risa, e s’espansero,
contagiando chiunque.
«È una storiella per bambini! Voi dell’est avete una
mente ristretta e rattrappita su leggende e maledizioni.
Torna nella tua tenda e lasciaci lavorare…» uno dei tanti
espresse il suo parere, e pareva essere condiviso da tutti.
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Il ragazzo digrignò i denti, colmo d’ira.
«Sciocchezze, ragazzo.» fece irritato e scontroso il nano
«Non vorrai farti spaventare da una storia per bambini.
Quale persona potrebbe mai credere a una cosa del ge-
nere? Non dovremmo perderci in chiacchiere simili!»
Il nano si manifestò irritato per la mancanza di pron-
tezza da parte di Aelon, ciò nonostante l'elfo non sem-
brava avere fretta di misurarsi con questo pericolo e ri-
mase in silenzio ancora qualche secondo.
«Hai ragione, Amtor.» disse Aelon «Questa è una storia
nata per impaurire i fanciulli, ed impedir loro di attra-
versare terre simili.» Il nano sembrò più rilassato nel ve-
dere che il silenzio dell'elfo non era dovuto al fatto che
credesse alla storia di Ehlan.
«Infatti, la realtà è leggermente differente.» continuò il
comandante.
Ora tutti si zittirono e piombò un sordo silenzio.
«Non fu lui a maledire se stesso e non so con certezza
né le cause né le motivazioni e, ad essere sincero, non ho
interesse nell’approfondire quest'argomento in simili
circostanze; tuttavia, ciò che ha detto il ragazzo non è
menzogna.» Ehlan godé, osservando l’elfo che l’aveva
deriso.
«Non per niente gli elfi del Bosco Fatuo tengono ben
più di un occhio puntato a sorvegliare queste terre» ri-
prese l'elfo «Di rado le usiamo per raggiungere le mete
che ci vengono assegnate: un’antica forza ora muove
verso di noi. Gli spettri del Daw sono creature forse
peggiori dei comuni nemici ma, a differenza degli altri,
non hanno una fonte che li comanda.»
«Mio Signore, ma è assurdo!» fece sempre lo stesso sol-
dato «Tutti conosciamo le storie degli spettri, ma non
potete credere alla loro esistenza. Il Daw è una pianura
60
senza controllo ed è solo questo il motivo per il quale
cerchiamo di evitare l’ingresso tra i suddetti confini.
Non si sa chi mai possa varcarle.»
«Tu.» Aelon lo indicò «Verrai con me, stanotte, e se sa-
rai così fortunato da far ritorno, allora conoscerai la veri-
tà.»
Nonostante tutto, Amtor non sembrava del tutto con-
vinto dai discorsi dei due.
«Forza, forza.» ripetè, portando la mano a massaggiare
le meningi
«Cerchiamo di agire pensando a qualcosa di più con-
creto, non serve a nulla star qui a farneticare tra noi.»
Aelon mosse qualche passo verso destra e stese le sue
lunghe orecchie ad est, dinanzi a lui. Gli parve quasi di
avvertire qualcosa.
«Non possiamo restare qui, ma non ho intenzione di
abbandonare i miei uomini.» riprese il comandante.
«Ascoltatem…»
Un assordante suono di corno si levò dall'alto di una
collinetta ad ovest, subito dietro l'accampamento: era
uno dei loro corni.
«Durn, cosa giunge da est?» gridò Aelon verso la cima
del piccolo colle.
«Carri mio signore, carri!» gridò l’elfo con voce eufori-
ca. «I nostri carri!»
L'alto elfo corse girando attorno la collinetta, sino ad
arrivare all'inizio della strada che conduceva all'accam-
pamento; in lontananza, dall'ombra della notte, si inizia-
rono a vedere sagome di cavalli che procedevano a pas-
so lento, poi spuntarono le figure degli elfi.
«Uomini, preparatevi ad accogliere i nostri compagni.»
gridò nuovamente Aelon ed in breve tempo la grande
folla si dissolse ed alcuni tornarono verso le proprie ten-
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de, mentre altri presero oggetti da lavoro e viveri da ser-
vire.
«Dhem Gahrd a voi, mio Signore Aelon.» disse uno alla
guida del carro, capeggiando la spedizione. «Coraggio,
preparatevi ad accamparvi!»
«Quanti siete?» disse ansiosamente il comandante, pun-
tando lo sguardo alle retrovie.
L'elfo osservò Aelon con perplessità.
«Noi siamo tutti, Comandante.» disse «Sia nel mio che
nell'accampamento di Midgon non manca nessuno e non
abbiamo trovato grandi ostacoli lungo la via. Ci siamo
uniti poco dopo il mezzo dì, ma temo che né l’uno e né
l’altro siano riusciti a trovare sopravvissuti da Thilia o
dallo scontro. Voi avete forse incontrato problemi? Di-
temi, dove si trovano Middarth e il suo gruppo, sono già
giunti sin qui?» Aelon rimase silenzioso, immergendosi
nei propri pensieri, mentre Ehlan ed il nano si scambia-
rono una occhiata.
«Mio signore» riprese l’elfo, distogliendo Aelon dai
suoi pensieri. «E' successo qualcosa?»
Aelon si girò e tornò verso il tavolo a fissare la mappa.
«Igril, Dener, venite qui.» ordinò, chiamando nuova-
mente i due superstiti.
«Noi siamo giunti qui prima di voi senza incontrare
ostacoli, e loro son arrivati senz’avvedersi di feriti o resti
della battaglia. Avete forse preso un’altra via da quella
da me assegnata per arrivare al campo?» domandò con-
fuso verso i due.
«No, mio signore, è come vi abbiamo detto, la strada
era giusta e lineare finché ...»
«Dovevamo dare ascolto alla maga, dovevamo cambia-
re e prendere un’altra via!» disse stremato Dener, devia-
to dalla stanchezza.
62
«Quale maga?» chiese il comandante. «Non avevate
con voi maghi di Faer!»
Ehlan ascoltava con attenzione.
«Posso rispondervi io, mio signore.» disse Igril «Nella
Zona Verde abbiamo trovato una donna priva di forze,
ma ancora viva; inizialmente credevamo morisse prima
di giungere al campo, ma è riuscita a riprendersi. Diceva
fosse urgente raggiungere al più presto la capitale elfica.
Al calar del sole ha iniziato ad agitarsi, e a dire che qual-
cosa era in arrivo da est. Ha consigliato di cambiare
strada, per far perdere le nostre tracce; ciò nonostante
Middarth ha deciso fosse meglio proseguire per la vostra
via senza indulgere. Forse aveva ragione, sentiva real-
mente la presenza del male.»
Il volto di Ehlan si illuminò per qualche secondo, poi
fece verso l'elfo esausto:
«La maga di cui parlate vi ha detto il suo nome?» Igril
attese qualche secondo prima di rispondere, arricciando
la fronte per ricordare.
«Mi spiace, non rammento il suo nome , solo il suo
aspetto, è stato Middarth a trovarla e a conversare con
lei, a me son giunte solo delle voci. Ricordo fosse una
giovane e bionda ragazza dal volto pallido, e portava
con se un’asta magica ornata di cerchi concentrici e pie-
tre fluttuanti. Questo può aiutarvi?»
Il mezz'elfo fece qualche passo indietro, prendendo un
grande respiro.
«No, non molto.» s’espresse, sbuffando via un po’
dell’aria che aveva accumulato.
Il nano, nel frattempo, si era allontanato portando con
se Dener, ormai troppo stanco per poter proseguire quel-
la conversazione e quasi privo di forze. Lo affidò alle cu-
re della tenda medica.
63
L'aria stava gelando sempre più rapidamente, e
nell’animo di tutti si stavano insinuando ansia e timore.
Mentre la notte cresceva inesorabile, sembrava che i
fievoli fasci di luce emanati da candele e fuochi venisse-
ro assorbiti da un’innaturale oscurità.
In lontananza arrivava, correndo, Randol.
«Mio signore, eccomi» fece lui «Ho condotto da voi i
maghi di Faer.»
I maghi correvano dietro l'uomo in modo ordinato,
quasi in fila indiana e in testa vi era una figura di nobile
aspetto: espressione seria, imperturbabile, con il volto
fiero, illuminato dal fuoco, come le antiche e imponenti
statue delle antiche città sulle quali, al tramonto, batte-
vano i raggi del sole.
Accanto a lui, Ehlan riconobbe qualcuno, Luine, la qua-
le si guardava attorno piena di domande.
«Saggio Alduhrim» disse Aelon con un lieve sorriso
«Amico mio.» i due si avvicinarono, guardandosi negli
occhi per qualche secondo, poi strinsero con energia l'u-
no la mano dell'altro. Ehlan assistette con stupore alla
manifestazione quasi d’affetto, che non avrebbe creduto
possibile provenire dal comandante.
Il mago si tolse il bianco mantello e dietro di lui anche
gli altri lo rimossero, avvicinandosi alla mappa sul tavo-
lo.
«A quanto sappiamo, l'accampamento di Middarth è
caduto» Aelon iniziò a spiegare. «Ciò nonostante po-
trebbero esserci sopravvissuti, inutile dire che non ho
intenzione di abbandonarli al loro destino. Non voglio
mettere a repentaglio l'intera campagna, né tanto meno
voi e i vostri maghi, ma bisogna rischiare. Dalle poche
informazioni che abbiamo, grazie a Igril, posso dedurre
dove sia più probabile individuarli. Poco fa sono giunti a
64
noi gli avamposti di Midgon e Ehmertil, percorrendo la
loro stessa strada; tuttavia non hanno trovato tracce di
scontri o di superstiti. Ciò mi lascia intendere che siano
fuggiti verso queste distese a nord in cerca di salvezza,
in direzione della Valle della Bianca Roccia.» disse il co-
mandante, indicando i punti della mappa. «Mi occorre il
vostro aiuto».
Il mago elfo gli sorrise e, mostrando lui un cenno di
approvazione con la testa, disse:
«Sarò con te. Concordo, dobbiamo andare a vedere cosa
accade laggiù. Dicci solo come dobbiamo muoverci.»
Il vecchio nano scalpitava dalla voglia di gettarsi nella
mischia.
«Merda! Finalmente una decisione.» esclamò Amtor,
sollevando la sua robusta mazza. «Ora che abbiamo an-
che l'aiuto dei maghi e degli altri campi, possiamo parti-
re per le distese del Daw!»
Proprio in quel momento un’enorme nube ricoprì inte-
ramente la luna e buona parte del cielo: le stelle iniziaro-
no a scomparire e la visibilità s’affievolì ulteriormente,
lasciando i viaggiatori privi della loro guida.
«Un innaturale gelo è sceso, e le nubi velano le stelle
sulla nostra strada come per renderci ciechi.» s’espresse
Luine, alzando gli occhi.
Accanto a lei, gli altri maghi elfi indossarono nuova-
mente i propri mantelli, per coprirsi dal freddo secco ab-
battutosi sulla vallata.
«Come ho detto, non voglio mettere in pericolo l'intera
compagnia, quindi trovo saggio che buona parte dei
guerrieri e dei maghi restino al campo, in previsione di
un imminente pericolo. In effetti mi siete sufficiente voi,
Saggio Alduhrim.» disse Aelon, riportando l'attenzione
delle persone sulla missione da intraprendere.
65
«I soldati di Ehmertil verranno con noi assieme ai no-
stri, mentre gli altri resteranno.» continuò l'alto elfo
«Amtor, tu resti.» Il nano fece un improvviso scatto ver-
so di lui.
«Stai forse scherzando?» disse bruscamente «Insieme
abbiamo iniziato questa missione e insieme io intendo
finirla. Non ho paura di ciò che ci attende, la mia mazza
ed io moriamo dalla voglia di trafiggere qualche bel
morto e risorto.» disse ironicamente il nano, arricciando
la fronte e sbattendo la mazza a terra.
«Non ho bisogno di combattere, mi servono uomini
leggeri e capaci, in grado di trasportare rapidamente i
feriti.» Aelon prese fiato e gridò «Mastro Randol, radu-
nate i soldati più rapidi e veloci. Partiamo per il Daw!»
poi continuò «Andate tutti presso la tenda dei maghi di
Faer, è il punto più vicino ai confini. Fate attenzione sino
al nostro ritorno, e se doveste avvistare un pericolo, fug-
gite verso le terre protette degli elfi. Questo è un ordi-
ne.»
«Non ho intenzione di venire meno al mio compito!»
pronunciò nuovamente il nano.
«Fa come ho detto!» ribadì severamente «il nostro
compito era un altro, ora va.»
Amtor si voltò, pronunciando qualcosa di incompren-
sibile e ripose la mazza, incamminandosi lungo la via.
Non prese bene quella decisione e lo rese più che evi-
dente, la sua immagine colma d’ira proseguì sino a
scomparire nel buio della stradina, dove la luce del falò
aveva fine.
«Ehlan» disse Aelon chiamandolo a sé con un gesto.
«Cercate di tenere acceso il fuoco, ci sarà più facile tro-
vare la strada per il ritorno.»
66
Il ragazzo annuì, quindi partì anche lui per radunarsi.
Una forte determinazione induriva ora i cuori degli elfi,
pronti ad immergersi nell’oscurità.
Presero quanto fosse loro essenziale: fiaccole e poche
armi per viaggiar leggeri, senza impedimenti.
67
Gli Spettri Caduti
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ironicamente, mentre aspirava copiose nuvole di fumo
bianco dalla sua pipa.
Il ragazzo rimase disgustato dalla sua battuta e arricciò
il naso tornando ad essere vigile verso Est.
«Credo che forse alzarmi in piedi e sgranchirmi possa
aiutarmi a tornare concentrato. Ho perso il conto delle
ore che sono trascorse da quando Aelon e gli altri han
lasciato l'accampamento.» detto ciò, Ehlan fece un picco-
lo sforzo per tirarsi su.
Sarà stato l’intorpidimento causato dal freddo, ma gli
sembrava quasi che le gambe gli dolessero di meno.
S’allontanò dal nano, il quale era rimasto immobile.
«Non andare lontano, non torno indietro a prenderti.»
fu un avvertimento, più che un mero consiglio.
Prestò poca attenzione al nano, iniziando a passeggiare
attorno alle tende dei maghi: c’erano molti elfi radunati
lì, la maggior parte sedevano sulla roccia e chi era fortu-
nato aveva trovato piccoli spazi dove l’erbetta gli offriva
una seduta più morbida. Il piccolo accampamento era
situato al di sopra di una collinetta e uno dei suoi fianchi
si riversava direttamente verso i confini del Bosco Fatuo.
Proseguì sino a raggiungere la parte più alta di quella
collina. Osservò il crescente numero di alberi che
s’infittivano sempre di più all’orizzonte. Dalla sua destra
pervenne un rumore e, voltandosi, riconobbe la bella fi-
gura di Luine; ella era immobile e silenziosa, ammirava
la vegetazione lontana: i suoi occhi lucidi luccicavano
ogni qual volta le nuvole lasciavano passare i piccoli
raggi di luce stellare.
«Strana notte.» esclamò la dama elfica, accortasi della
presenza di Ehlan «Questo buio è innaturale, per non
parlare del freddo che entra nelle ossa.»
69
«A me non sembra.» fece il mezz'elfo «Non bisogna la-
sciarsi suggestionare da quelle storie, è solo una notte
come altre.» Luine si voltò verso di lui, puntando le pro-
prie iridi alla ricerca di quelle del ragazzo. Teneva am-
bedue le braccia dietro la schiena, stringendo fra le mani
un'asta molto lunga, coronata in cima da un simbolo a
cui era legato un nastrino rosso.
«Guardi solo all’apparenza» disse, sorridendo provoca-
toria
«Davvero?» domandò retorico.
«Non afferri alcuni dettagli che ad un occhio esperto
appaiono evidenti.» concluse lei.
«Onestamente non ho molta voglia di affrontare simili
discorsi.»
«Non ti piace parlare di te, oppure non ti piace scoprire
di avere torto?» lei insistette, cosa che non fu gradita dal
ragazzo. Sbuffò ed il suo soffio si trasformò in una co-
piosa nuvola di vapore acqueo.
«Voi del popolo elfico siete arroganti.» disse lui «Alcuni
di voi possono vantare anche cinque vite degli uomini,
ma questo non vi dà il diritto di sentirvi superiori a noi.
La nostra gente conosce bene queste terre e non ci si av-
venturerebbe per nessuna ragione. Tra il buio di queste
lande, si ha sempre la sensazione che qualcosa si na-
sconda dietro ogni roccia. Tramano contro di noi. Queste
“presenze” può avvertirle chiunque, perfino il più scetti-
co tra gli uomini, non vagherebbe qui da solo. Quindi
dire “strana notte”, per una terra come questa, è come
dire: è una notte normale, per il Daw.»
«Superiori a “voi”?» la dama riprese passeggiando at-
torno a lui «Oltre al fatto che questa è solo una tua sup-
posizione, vorrei rammentarti che tu non sei un essere
70
umano. Devi essere molto confuso riguardo alle tue ori-
gini.»
Ehlan rimase silenzioso per qualche istante.
«Ho vissuto tra loro abbastanza a lungo da rendermi
conto di come stiano realmente le cose.»
Dopo qualche secondo di deprimente silenzio, il ragaz-
zo decise di cambiare argomento.
«Prima hai nominato la mia discendenza.» riprese «Mi
lascia intendere che sai chi sono o magari conoscevi mio
padre.» Luine si fermò davanti a lui e, in modo giocoso,
lo colpì leggermente sulla fronte con un dito.
«E' bello vedere che le battaglie e gli anni trascorsi non
abbiano cambiato troppo il tuo aspetto, ma di sicuro
hanno cambiato la tua mente. Sei molto diverso da allo-
ra.» detto ciò, si voltò rapidamente e si sedette lungo
bordo della collinetta con le gambe che precipitavano
verso il vuoto.
«Non ho memoria di te, mi dispiace» disse sospirando
Ehlan «Suppongo che la nostra conoscenza abbia avuto
luogo a Malgalad.» Il mezz'elfo si andò a coricare vicino
a lei e spaziò lo sguardo in direzione del precipizio ap-
pena ad un passo da lui. Una forte brezza passò in quel
momento su di loro, scuotendo i capelli di Luine tanto
da dover appoggiare sull'erba la sua asta per tenerli
fermi con le mani. Quella folata di vento sembrò volerli
spingere nel burrone. Non sarebbe stata una caduta
mortale, ma certamente poco piacevole.
«Malgalad?» domandò lei.
«Si, te ne avevo già parlato.» rispose, riferendosi a po-
che ore prima «Ho sostenuto il mio addestramento nella
cittadella, ho imparato l’arte della guerra assieme a mio
padre. Non che avessi molta scelta, essendo stato lui un
71
combattente a sua volta.» fu abbastanza frettoloso nel
racconto, le sue parole uscirono con superficialità.
«Non ricordi nulla di più dei tuoi giorni a Malgalad?»
chiese ansiosa.
«No, non avevo molte ore libere. Dovevo sostenere co-
stantemente degli esami e non passarli sarebbero stati un
dramma, almeno secondo mio padre. Solo nei primi me-
si, dal mio arrivo, rammento del tempo trascorso gio-
cando con una bambina della mia età, su per giù.» Ri-
spose Ehlan arricciando la fronte, mentre la sua mente
fluttuava tra i ricordi del passato.
«Non l'hai più rivista?» domandò l'elfa.
«Lei avrebbe terminato gli studi della magia nella capi-
tale, così partì a seguito di una carovana. Fu attaccata
poco dopo essere partita dalla città e non vi furono so-
pravvissuti. Io partii qualche anno più tardi e da
quell’evento non ho più vissuto con gli elfi.» Facendo un
piccolo sforzo, si sollevò da terra.
«E' una storia triste.» fece, alzandosi anche lei. «Ora de-
vo tornare dai miei compagni, staranno iniziando a
chiedersi dove io sia finita.»
«Non direi, è solo una storia. I miei ricordi son pieni di
volti di gente morta, a lungo andare ci si abitua.»
«E' stata una conversazione interessante, Ehlan. Ti con-
siglio di riposare un po’, visto che a vederti si direbbe
che stai uno schifo.» l’elfa fu schietta, mostrandogli il
sorriso provocatorio che le inarcava le carnose labbra.
Ehlan non ritenne necessario dir nulla. Il suo saluto si
limitò esclusivamente ad un gesto di mano.
72
za e mento su di esse. Visto da dietro, poteva sembrare
stesse vigilando.
La notte era completamente calata sulla luce del grande
falò centrale.
«Amtor!» disse il giovane scuotendolo leggermente,
mentre tentava di orientare lo sguardo
sull’accampamento. «Quando è stato alimentato il fuoco
l’ultima volta?»
Il vecchio nano si destò confuso rimanendo disorientato.
Gli occhi gli si fecero come due fessure e riconobbero le
fattezze appannate del mezz’elfo.
«Come? Il fuoco?» domandò a sua volta «Oh sì, quel
fuoco! Deve essere ancora lì.» rispose dopo poco.
«Dannazione, non c’è più.» commentò sbuffando.
«Dobbiamo riaccenderlo, come ha detto Aelon, e tenerlo
vivo.» non appena ebbe finito di parlale prese una delle
lanterne appese ad aste piantate nei paraggi.
«Merda! non me ne sono neanche accorto!» ora il nano
era desto.
«Ehi, fermati, torna subito qua!» esclamò gridando il
nano in seguito a un balzo violento. Il grido del vecchio
Amtor risvegliò bruscamente le guardie tutt’intorno,
ferme come statue.
Ehlan aveva ormai preso molta distanza ed urlare non
avrebbe cambiato la situazione.
«Amtor! Perché gridi, che succede?» gli giunse un tono
d’ammonizione.
«Ah, le cose non stanno andando per niente bene!» fece
il nano stropicciando gli occhi. «No, per niente bene!
Quel cocciuto di un ragazzo è andato a riaccendere il
fuoco.»
«Allora manderò qualcuno a cercarlo.» rispose l’elfo.
73
«No!» Amtor aprì il palmo della mano in sua direzione.
«L’avevo avvertito, ora deve cavarsela da solo.»
74
nemmeno più a vedere i colli che si elevavano a poca di-
stanza.
«Via, dobbiamo andar via di qui.» sussurrò.
Il problema del fuoco fu messo in secondo piano, c’era
poca legna e gli ci sarebbe voluto troppo per pulire e ri-
costruire le basi. Si chinò verso i suoi resti, allungando
una mano per toccare la cenere.
È fredda. Pensò.
All’improvviso, sentì indistintamente un rumore di og-
getti che cadevano in terra, generando gran chiasso.
Sobbalzò, tornando eretto. Un piede avanti all’altro, si
mosse con lentezza e prudenza verso la tenda da cui
aveva udito i rumori. La sua mano già stringeva quella
lama. Man mano che si avvicinava, gli giungeva il suono
di versi sofferenti, sembrava di sentire qualcuno che ve-
niva brutalmente strangolato.
«Chi va là!» esclamò severamente, facendo sentire lo
scorrere della spada a chiunque si trovasse all'interno
della tenda.
«C'è qualcuno qua dentro?»
Ehlan non ricevette alcuna risposta, ma quei suoni
sembravano aver smesso di manifestarsi ed il fastidioso
silenzio era tornato sovrano. Una corrente ventosa stri-
sciava sul terreno verso di lui, muovendo i filamenti di
erba, sembrava volerlo spingere all’interno.
76
Risuonarono come una tempesta tra le rocce. In quel
momento i cuori s’infiammarono.
«Questo è uno scontro che non possiamo vincere!»
mormorò contradditorio il mago.
«Non possiamo tornare indietro, ci vediamo dall’altra
parte, amico mio.» rispose
«Così sia!» disse Alduhrim «Posso darvi un po’ di tem-
po, essi temono la luce.»
Aelon annuì.
«Cavalcate, Cavalcate! Travolgete quelle luride bestie!»
Ancora un urlo, che fu seguito dalle voci dei suoi pronti
a morire, quindi, partirono alla carica.
I cavalieri frustarono le loro monte, scattanti come saet-
te nella notte: esse sbuffavano, nitrivano, stavano dando
tutte se stesse. Il fragore, provocato dall’urto degli zoc-
coli ferrosi fece tremare ancor più la terra, ma l’ardente
spirito degli elfi si levava con maggior forza. Il fitto buio
dinanzi a loro distava ormai solo pochi metri e fu allora
che, con grinta, Alduhrim innalzò la sua asta verso l’alto
e la voce tuonò:
Ratha ehs lum galat ehl, ratha ehs lum galat ehl! Ca-
lad ehc naht cahrat dahi ahurel eil ehddem,
ehsa art taloim calad mahs ah fahllet les orb durn,
sehllita lum vansh ehillam cahratash nash ihet ehille
siht ehé ehilla ehlumi
ehil brahl ehé ehil ahirat ihm ovehl ih dohwel canandir.
82
«Merda! Ce l’avete fatta!» disse allegro il nano «Ora
andiamocene via da questo postaccio dimenticato dal
sole.»
«Uomini, raccogliete le armi e tutto ciò che riuscite a
ripdere! Marciamo sul Bosco Fatuo!» ulrò Aelon con to-
no di comando.
Tutti si mossero alla svelta, chi aveva ancora il cavallo
riprese la corsa, mentre gli altri scattarono sulle proprie
gambe. Alduhrim tese il braccio verso il nano, mentre
Aelon aiutò il ragazzo a salire.
Ancora una volta, alle loro spalle si sentì un tremendo
boato pronunciarsi ed espandendosi violentemente.
Alcune bestie si spaventarono, impennandosi e gettan-
do in terra i loro padroni con i feriti coricati sopra; anche
il comandante venne sbalzato via assieme ad Ehlan, ma
con fermezza lo afferrò sottobraccio, facendo forza sulle
gambe.
I destrieri sfuggiti di mano corsero follemente verso il
bosco, investivano le persone che avevano davanti.
«Aelon!» strillò preoccupato Alduhrim, il quale aveva
assistito alla scena «Vieni, prendi il mio cavallo e porta
lontano da qua la ragazza. Io tenterò di rallentare la loro
venuta. Correte lontano da qui!» il mago elfico tese la
mano verso di lui, rimettendolo in piedi, successivamen-
te iniziò a correre in direzione della nebbia sempre più
vicina.
«Alduhirm!» il comandante urlò preoccupato, ma era
troppo tardi. Con fatica sollevo una giovane ragazza
dall’aspetto umano, una delle poche superstiti che
l’avamposto scomparso era riuscito a recuperare.
«Vai! Vai! Non posso cavalcare con lei! Verrò corren-
do!» disse Ehlan.
83
Aveva il fiatone, ma si risollevò in piedi, pronto ad af-
frontare la distesa erbosa fino ai confini del bosco.
«Sei un pazzo, ragazzo! Vedi di non morire! Yha!» fru-
stò la bestia e partì fulmineo.
«In piedi!»
86
bito dopo da un forte esulto: festeggiavano per averla
scampata.
Le genti di tutti gli accampamenti iniziarono ad abbrac-
ciarsi tra loro gridando dalla gioia, ma l’euforia si spense
rapidamente. Vi erano alcuni ridotti allo stremo.
Tra i superstiti soccorsi e chi fu ferito durante la carica,
probabilmente avrebbero avuto presto altre vittime se
non avessero provveduto alla svelta.
«È stato un vero campione.» mormorò il mago alla vol-
ta del capitano, mentre aiutava Ehlan a distendersi a ter-
ra. «Come siamo messi? Quanti sono i feriti?»
«Siamo messi male.» rispose, poggiando le spalle su un
albero. «Tutti i nostri oggetti e le nostre provviste sono
rimaste all’accampamento. Non abbiamo bende o altro.
Non sarà facile tenerli in vita.»
Prima ancora che qualcuno glielo ordinasse, gli elfi
istruiti nell’ambito della medicina, iniziarono ad im-
provvisare le prime cure. Fortunatamente, la maggior
parte degli unguenti ed infusi curativi, provenivano da
erbe appartenenti al Bosco Fatuo. Sarebbe quindi bastato
spostarsi più all’interno, per disinfettare le ferite.
88
Si trovava su di una piccola collinetta da dove poter os-
servare lontano, tra i rigidi ed alti alberi della fauna del
bosco.
Improvvisamente, lo stomaco del nano iniziò a bronto-
lare più volte e, grazie a questo, il ragazzo fu in grado di
accorgersi della sua presenza. Amtor mormorava a bassa
voce frasi incomprensibili.
«Ascoltatemi.» disse ad alta voce Aelon attirando l'at-
tenzione di tutti. «Non abbiamo viveri né tende e le ri-
sorse disponibili verranno conservate per i feriti. L'in-
domani raggiungeremo il fiume, dove potremo trovare
rifornimenti. Per questa notte, dovremo fare ancora uno
sforzo. Non possiamo fermarci.»
Amtor sembrava davvero irritato, come un esplosivo
pronto ad esplodere dalla rabbia. Ciò nonostante sapeva
bene che non avrebbe potuto cambiare la situazione.
«Vieni, ragazzo» disse rassegnato «Vediamo di trovarti
un cavallo. Ridotto come sei, non vai da nessuna parte.»
Ehlan annuì.
89
Il Bosco Fatuo
90
Non sembrava avesse molta voglia di dialogare in quel
frangente.
«Rispondimi!» insistette severo.
«No, mai.»
«Bene! Il che significa che sei nella merda, Ehlan. Tutti
conoscono bene la politica di Thilia, e non scorre buon
sangue, tra voi e la vicina Lega Boscosa. Fossi in te, non
andrei in giro, una volta là. Avete sottratto, agli elfi, un
po’ troppe vie commerciali con i vostri affari. C’è chi è
furioso per questo. Inoltre ci sono le questioni politiche.»
aggiunse il nano.
«Cosa stai cercando di farmi comprendere?» domandò
seccato il ragazzo.
«La vostra alleanza vuole separarsi e diventare indi-
pendente, fomentata dalla ricchezza di Thilia e dalla sua
influenza commerciale con gli altri popoli. La Lega Bian-
ca è quasi riuscita nel suo scopo.» s’interruppe, guar-
dandosi attorno: sembrava volersi accertare che non vi
fosse alcuno con le appuntite orecchia drizzate su di lo-
ro. «Ti sto solo dicendo che non sarai ben visto in città.
Non puoi biasimarli, le vostre iniziative non piacciono a
nessuno.» spiegò.
Ehlan sbuffò rumorosamente.
«Quindi?» domandò con tono spigoloso.
«Quindi fa come ti pare! Fossi in te farei buon viso a
cattivo gioco. Ho imparato che, benché questi elfi dei bo-
schi siano più docili di quelli della capitale, non scherza-
no su questioni come queste. Se vuoi aiutare le tue genti
rimaste nei Territori Selvaggi, dovrai stare a questo gio-
co.»
Il ragazzo si portò le mani tra i capelli, riempiendo
d’aria i polmoni e rilasciandola lentamente. Tese una
mano verso Amtor.
91
«Forse hai ragione.» il vecchio colse il segno tacito del
mezz’elfo e, afferrandolo con una salda presa, tirò con
forza, rimettendolo in piedi con poca delicatezza. Il ra-
gazzo si percepì improvvisamente debole, dovuto al ri-
flusso di sangue che faticava a raggiungere la testa. «
Tuttavia, io non ho la facoltà di prendere decisioni a
nome della Lega Bianca, quindi qualunque sia il mio
comportamento, la situazione per la mia gente non cam-
bierà.»
«Non sei il capitano della città?» domandò confuso.
«Sono, ero, capitano dell’esercito, ma nelle politiche
umane sono altri ad occuparsi delle trattative e delle al-
leanze.» rispose.
«Funzionate male, ecco il vostro primo problema.»
commentò Amtor. «Muoviamoci ragazzo, gli altri si
stanno radunando già. Ti aiuto a salire.» mise le mani a
conca, affiancandosi al cavallo.
«No, voglio camminare un po’. Ne ho bisogno.»
«Come preferisci.»
L’aria iniziava ad addensarsi e a portare con se l’odore
delle foglie secche cadute sul terreno e bagnate dalla ru-
giada del mattino: i fili d'erba ondeggiavano, percuoten-
dosi contro i tronchi degli alberi.
La spedizione era predisposta in una piccola distesa.
Tra i tanti volti, stanchi e provati, il giovane riconobbe
Luine, la quale aveva aver assistito i compagni di razza
per tutta la durata del viaggio.
«Dhem gahrd.» disse lui «Non sembra tu abbia riposato
molto. Speravo proprio di parlarti prima della partenza,
ho delle domande da porti.»
La dama elfica, indaffarata, si fermò un istante a fissare
il giovane; se lei sembrava stanca, lui era ridotto ad uno
straccio: rosso in viso per via della febbre, capelli unti,
92
appiccicati sulla fronte, e vesti imbrattate di terra con
foglie bagnate incollate su di esse.
«Sono sicura che molte delle tue domande troveranno le
risposte da sole, e se non dovesse essere così, potrai
pormele di persona.» disse sorridendo. «Ma ora non
posso proprio interrompere ciò che sto facendo, avremo
tutto il tempo di parlare lungo la strada verso il fiume.»
si avvicinò lentamente verso di lui, poi continuò «Ora
dovresti preparati, tra poco partiamo e non ti resta più
molto tempo.»
«Come stanno?» domandò, mentre l’indice della mano
destra indicava persone stese sull’umido prato.
«Abbiamo perso altri due dei nostri, inoltre uno dei
fuggiaschi umani è deceduto. Rimangono solamente la
ragazza e altri tre avventurieri; per ora sembrano tutti
stabili.» non nascose l’amarezza nella voce.
«Manca molto al fiume?» domandò ancora Ehlan.
«Non è distante, ma con tutti questi feriti ed i morti ci
vorrà più del previsto. La deviazione da fare è breve,
non dovremmo tardare molto ad arrivare a Lor Enossil:
una volta lì, potremmo salvarli.» la dama elfica fece poi
dei piccoli passi all'indietro, continuando a fissare Ehlan,
dopo di che si girò e continuò ciò che stava facendo.
Il giovane rimase ancora per qualche secondo a fissarla,
finché una nuova folata di vento non lo riportò con la
mente verso i suoi doveri primari.
Dai malandati non vi era nessun gemito o lamento che
manifestasse accenno di dolore: rassegnati alla loro sor-
te, silenti, a pari passo con chiunque altro.
Gli elfi dei boschi erano un popolo che onorava la vec-
chia via. Schivavano ogni altra civiltà se potevano, la lo-
ro diffidenza li rendeva odiati dal vicino regno umano,
ma al contempo, li rendeva assai più “sopportabili” dei
93
loro simili di Arc Dumil. Raramente la Lega Boscosa era
intervenuta in aiuto degli uomini e tutt’ora Ehlan si mo-
strava poco fiducioso. Poteva essere vero che non vi fos-
se un secondo fine dietro le loro azioni?
95
Il sentiero serpeggiante, scelto dai maghi passo dopo
passo, si estendeva fra gli alberi della foresta, articolata
come la cicatrice incisa da una lama; nessuna strada era
mai stata volutamente scavata, nessun albero sradicato
per far spazio alla via. Nonostante tutto, il passaggio era
pianeggiante e quasi piacevole. Sembrava come se il bo-
sco stesso facesse loro largo.
Un’aria più calda proveniva dall'entroterra, portando
con se fragranze naturali; vi erano calpestii di animali
sfuggenti e rapidi, i quali sfioravano i margini della ca-
rovana.
98
«Dannazione!» fece con un lieve sorriso ed occhi colmi
di stupore «Non immaginavo che le famose mura di Erl
Dumil fossero così immense.»
Le leggendarie mura erano una delle più antiche mani-
festazioni della magia degli Across. Furono i primi, tra
tutti gli elfi, a varcare la soglia del mondo; dotati di
enormi poteri paragonabili a quelli di un Dio.
Dietro queste antiche rovine, sorgeva la prima e più an-
tica città Elfica, rasa al suolo dalle numerose battaglie ed
ora non rimaneva che un sito per gli studiosi di storia
antica. Molti elfi avevano abbandonato il Bosco Fatuo e
costruirono un nuovo impero, ma altri decisero di rima-
nere, per riemergere dalle proprie ceneri, e fu costruita
Lor Enossil, nel cuore della foresta.
Ehlan spaziò le iridi in lungo ed in largo, osservando
quanti più dettagli poté, ma ad eccezione della straordi-
naria bellezza, tutto era deserto e lasciava un senso
d’abbandono.
«Non vi sono guardie?» domandò contrariato «Chi ve-
glia sulle rovine di Erl Dumil e sui tesori al suo interno?
Chi vigila sull’attuale Lor Enossil?»
Amtor era avvolto dal bianco fumo della sua pipa, così
tanto che Ehlan stesso dovette voltarsi dalla parte oppo-
sta per non respirarlo.
«Vizio nauseante.» sbuffò.
«Fatti i vizi tuoi, che io mi faccio i miei! Ha, ha, ha!» ri-
spose prontamente. «Nessuno! Ad eccezione di qualche
eremita o peggio, componenti esiliati e razziatori, qui
non circola più nessuno. Anche questi ultimi individui
non si fanno vedere facilmente, girovagano qua attorno
e si nascondono tra le rovine immense. Nessuno sa
quanti ce ne siano e Lor Enossil si preoccupa poco di lo-
ro, con una nuova guerra in arrivo. Ti consiglio di non
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perderti mai tra questi luoghi, potresti non farne ritor-
no.»
«Per essere un ghor dan, ne sai davvero molto.» ironiz-
zò il giovane, comunque contento di poter reperire delle
informazioni.
«Credo sia naturale, solo un idiota non sarebbe infor-
mato sul posto in cui vive. Inoltre, sono conoscenze co-
muni, chiunque può apprenderle ovunque.» borbottò in
risposta.
Con l’avanzare della spedizione, si percepì un vento
lamentoso passare attraverso il varco, come un urlo vago
e soffocato. Le correnti d’aria divenivano sempre più
forti: i capelli e le vesti di Ehlan venivano scosse da
quell’impetuosa corrente, la quale portava con se un
denso profumo di umidità. Ogni suono, che fosse emes-
so dalla natura o dallo scalpiccio del gruppo, veniva in-
grandito dalle vibrazioni prodotte da un piccolo tunnel
che procedeva sotto l’arcata.
«Questa è la zona che preferisco!» Amtor irruppe il si-
lenzio, percuotendo il palmo della mano destra contro la
nuda roccia. «Non c’è niente di meglio del saldo e fred-
do tocco di pietra! Gli orecchie a punta del passato ave-
vano più sale in zucca! Ha, ha, ha!»
Oltre l’oscuro e ventoso passaggio, s’avvide il levarsi di
una leggera foschia.
Il bosco, al di là delle mura, era scuro a causa della dif-
ficoltà della luce di penetrare le alte vette di pietra. I
tronchi degli alberi erano almeno venti volte più spessi
del normale, con rami così robusti da poter sostenere
una costruzione.
Le loro lignee cortecce erano cinte dolcemente da tra-
sparenti piante rampicanti dalle enormi foglie, le quali,
100
cristalline e limpide come l'acqua, lampeggiavano azzur-
rine di luce propria.
I cespugli e gli alti fili d'erba crescevano rigogliosi, co-
prendo antiche rovine e resti di sculture di un’era passa-
ta. Tuttavia, la natura di quel luogo sorprese Ehlan per
ben altre ragioni: la maggior parte delle piante era di un
blu scuro ed ogni fogliolina o petalo di fiore, era contor-
nata da un delicato lume violaceo che si espandeva, at-
traverso la foschia sul terreno, trasformandolo in un ma-
gico manto di luce soffice come le nuvole.
Erano accompagnati dal silenzio, il vago canto degli
uccelli era tutto ciò che li circondava.
«Incredibile, merita la sua fama.» s’espresse il ragazzo.
Amtor non disse nulla, a differenza del ragazzo stava
camminando con i suoi piedi e quel paesaggio gli era già
noto. Sbuffò, facendo fuoriuscire nuvole di fumo.
«Si, grandioso all’inizio, ma col tempo ci si stufa, dai
retta a me. Guarda laggiù, puoi vedere i resti dell’antico
palazzo del potere, là risiedevano i sovrani di Erl Dumil.
Si dice che dentro vi siano ancora oggetti di inestimabile
valore: da manoscritti, a pezzi antichi, a gemme prezio-
se. In tempi passati si dovevano spesso difendere questi
luoghi da razziatori provenienti da ogni dove.»
Spuntava sovrana la struttura in bianca pietra, ora pe-
rò, ridotta a poco più che macerie. Ricoperta dalle pian-
te, erosa dal vento e dall’acqua e divorata dal tempo. In
Ehlan trasalì un senso d’abbandono al solo guardarla,
così come, tutt’attorno a loro, c’erano le miserie di una
gloria perduta.
«La vegetazione era così selvaggia anche allora?» do-
mandò il ragazzo.
«Mi hai preso per uno storico? Tsk!» borbottò «Si!»
«Non doveva essere facile “governarla”.» intuì Ehlan.
101
«Per quanto ne so, questo fu il primo impero elfico,
creato dai quattro Across. Fu lanciato un incanto che nel-
la lingua comune potremmo chiamare “Risveglio”, una
di quelle fregnacce magiche.» spiegò scorbutico « Do-
nando così, al Bosco Fatuo, la coscienza di se stesso. In
altre parole, è vivo ed ha un suo ego.»
Ehlan ascoltò attentamente il racconto di Amtor, ma
rise al solo pensiero.
«Davvero? Perché è una storia assurda e difficile da
credere.» disse Ehlan
«Senti, io ti racconto solamente quello che ho appreso,
se non ti sta bene puoi andare a farti due salti nell’antico
palazzo e magari troverai le prove che dimostrino la ve-
ridicità delle mie parole, se non ti sgozzano prima!»
«D’accordo, non ti alterare» disse Ehlan abbozzando un
sorriso.
«Ad ogni modo, il primo impero fallì perché erano più
intenti a difendere che non a conquistare e, in un mondo
devastato dalle guerre, l’attacco è la miglior difesa. Infat-
ti, ora ad Acrossil vige una politica contrapposta e chi
non è concorde con loro si ritrova qui, disperso tra que-
ste rovine.» continuò il nano, ma proprio in quel mo-
mento un boato proveniente dal suo stomaco lo inter-
ruppe.
Ehlan ignorò la cosa.
«Merda!» disse il nano seccato «Cosa darei per del
maiale arrosto! Basta parlare, ragazzo. Risparmiamo le
energie.»
108
«Capisco.» disse indifferente «Mi vado a stendere un
po’ anch’io, ragazzo. Riposa finché puoi, ma non pensar-
ci nemmeno ad addormentarti!»
«Certo, a dopo allora.» l’osservò mentre si allontanava.
110
Amtor ritornava fischiettando uno strano motivetto, e
stringeva le briglie del destriero.
«Allora, è rinvenuta?» chiese curioso, osservando
Ehlan.
«Si, per poco. Perché me lo chiedete tutti?» domandò
quasi seccato.
«Oh, scusate Vostra Grazia. La prossima volta lo chie-
derò al cavallo.» disse, consegnandogli le briglie con po-
ca delicatezza.
«Ah, scusami Amtor. Sono solo stanco.» rispose, mas-
saggiandosi la fronte.
«Dai, salta su, ti aiuto a salire e partiamo, almeno ter-
mineremo questa spedizione. È stata un fiasco completo,
senza offesa per te, ragazzo.»
«No, nessuna offesa. Generalmente, quando partono
spedizioni come questa, si aspira di più che ad una man-
ciata di sopravvissuti e molti morti tra le proprie fila.»
disse Ehlan.
«Dai, sbrighiamoci» disse il nano «In un paio d’ore po-
trò finalmente stendermi su un letto.»
112
era più pulita e curata rispetto al resto del bosco, infesta-
to da ragnatele ed animali selvaggi.
Anche le mura esterne si estendevano oltre le possibili-
tà di veduta del ragazzo, probabilmente circondavano
l’intera città.
S’accorse, infine, di abitazioni costruite al pian terreno e
quest’ultime erano assai numerose. Uno dei primi detta-
gli a spiccare sovrano fu che tutto era stato realizzato ri-
spettando lo stesso stile: porte e finestre avevano la for-
ma di un’arcata allungata e appuntita verso l'alto, così
come i tetti; sembrava che il loro concetto d’espansione
consistesse nel salire e non nell’allargarsi. Ingegnose e
carezzevoli da osservare, ma decisamente poco pratiche,
al giudizio del mezz’elfo.
Scattante come un lampo, qualcuno irruppe dinanzi
l’ingresso, interrompendo la sua linea visiva.
Gli alti elfi armati accorsero verso di loro con movimen-
ti marziali: armature argentate, splendenti ed incise, con
elmi attillati e tondeggianti, imbracciavano lunghi archi
e tutti avevano una lama cinta al proprio fianco. Tutta-
via, al contrario di quel che avrebbe potuto sembrare, si
trattò solo di una procedura di sicurezza.
Di fatti la spedizione continuò a varcare l’entrata della
città ed ogni volto venne scrutato attentamente dalle
guardie.
Poco più avanti, i primi, e più gravi feriti vennero dati
in custodia ai guaritori.
Tra le fila spuntò l’immagine solenne di Aelon, fiero e
vigile, mentre Amtor era svanito nel nulla.
113
tamente il cavallo, facendolo avanzare. Era poco entusia-
sta di procedere.
Quando fu il momento di passar sotto l’arcata, gli
sguardi bianchi delle guardie lo colpirono come una la-
ma affilata. Si sentì trafitto da essi e trasalì per un istante,
nonostante ciò si sforzò per ricambiare quello sguardo.
In un primo momento sembrava volessero fermarlo, ma
questo non avvenne e riuscì a raggiungere la figura di
Aelon. Non si sentì mai così contento di vederlo, fino a
quell’istante.
«Dhem gahrd, Simmeril» il comandante parlò ad una
delle guardie poco distanti.
«Dhem gahrd.» l’interpellato avanzò, togliendo l’elmo
dal quale fuoriuscì una cascata di lunghi capelli neri.
Chinò appena il capo in avanti, il volto era sorridente
ma non mostrava la confidenza che il rango non gli
avrebbe permesso. «Mio Signore, Aelon.»
«Fa radunare i feriti umani nella Casa di Enos. Avvisa-
temi se trovate qualcosa.»
«Certamente.» l’elfo fece un cenno alle guardie, che si
avvicinarono verso Ehlan.
«No. Il mezz’elfo e l’umana vengono nella mia casa.
Riceveranno le cure lì.» il comandante intervenne nuo-
vamente.
«Mio Signore, gli ordini di lord Erim sono quelli di farli
radunare tutti ad Enos.» riprese la guardia.
«Non preoccuparti, Simmeril.»
«Ma mio Signore…»
«Fa come ho detto!» tuonò con tono di comando. «Par-
lerò io al consiglio.»
«Certamente.»
Ehlan rimase ad osservare la scena senza dire nulla, ma
si sentì sollevato.
114
«Andiamo ragazzo, andiamo a coricarci.» disse Amtor,
spuntando quasi dal nulla. Probabilmente era solo na-
scosto dietro la folla di quelle alte figure.
Il mezz’elfo lanciò un ultimo sguardo alle guardie ed
allo stesso Aelon, prima di guidare il cavallo dietro i
passi del nano.
«Si, credo sia l’idea migliore» mormorò infine.
Ci vollero circa una trentina di minuti per giungere al
luogo predetto, la casa si trovava proprio al centro della
città.
Come aveva potuto avvedersi, non c’erano strade, ma
solo contorti passaggi ramificati come le radici di un
immenso albero. Si intrinsecavano tra loro senza un vi-
sibile nesso logico, eppure non dava l’idea di un sobbor-
go disordinato.
L’abitazione del comandante era enorme. Vista da fuo-
ri, sembrava suddivisa in due: una parte si trovava in
alto su di un gigantesco albero dalla forma lineare e pre-
cisa; l'altra metà era costruita al suolo. Erano collegate
tra loro attraverso una sottile e sinuosa scala a chioccio-
la.
Ai lati di ogni entrata vi avevano scolpito in rilievo due
piante le cui liane, precise e dettagliate, si univanoo pro-
prio sopra la porta, dando vita all'immagine di una don-
na con le braccia aperte e i piedi uniti; i vestiti di lei si
prolungavano lungo tutto il resto delle pareti, creando
un effetto ondulatorio, come le onde dell'oceano.
Amtor giocherellava con delle grosse chiavi nere legate
con una cordicella e fissava il ragazzo.
«Casa mia, la mia Vera casa, è più bella.» si pronunciò
solenne «Avanti, entriamo, mentre tu te ne stai comodo
lassù io cammino da stamattina!»
115
Ehlan sospirò sorridente e si tirò via dalle staffe per
scendere a gambe unite.
«Il cavallo, non dovremmo riporlo in una stalla?» do-
mandò curioso.
«No, andrà da solo, è addestrato a farlo. Tutte queste
maledette bestie sono addestrate a ritrovare la via.» il
nano diede una pacca al posteriore dell’animale, il quale
iniziò a trottare in una direzione indefinita. Amtor sem-
brò divertito dal compiere quel gesto.
Successivamente s’avviò verso l’ingresso e, infilando la
chiave dentro la serratura, fece scattare il meccanismo
con il suo sordo suono metallico. Poggiò la mano sulla
porta e varcò l’ingresso. Dentro era completamente buio.
«Fammi ricordare dove ha messo i ceri.» disse tra se e
se il vecchio.
Ehlan, nel mentre, avanzò un timido passo superando
la soglia, ma non fu in grado di veder nulla.
«Ha, ha, ha! Trovati!»
All’ingresso si trovava una piccola sporgenza a forma
di conca, emanante un odore leggermente acido. Amtor
si avvicinò portando un acciarino e iniziò a produrre
sfuggenti scintille che gli illuminavano il viso. Dopo
qualche tentativo, dalla sporgenza qualcosa prese fuoco:
si trattava di paglia imbevuta in uno strano liquido ver-
dastro.
«Dagli tempo…» disse il nano.
Improvvisamente, la piccola fiammella s’ingrandì e di-
vampò, iniziando ad espandersi come un serpente di
fuoco lungo tutta la parete, percorreva la sporgenza, fa-
cendo in breve tempo il giro completo della casa.
Nessuna magia, solo grande tecnica per qualcuno che
aveva abbastanza soldi da sprecare tutto quel combusti-
bile.
116
Amtor approfittò delle sporgenze per accendere un
paio di lumi e ne porse uno al mezz’elfo.
«Niente male, gli costerà un occhio della testa tutto
questo spreco.» disse, afferrando il lume.
«Non durerà molto. Questo serve solo a permettere di
far le cose più rapidamente. Infine, resteranno accesi so-
lo i lumi principali. Tecnologia nanica. Ha, ha, ha.» dis-
se, indicando orgoglioso. «L’ho costruita io. Si tratta di
una lunga striscia di pietra appoggiata alle pareti, ove
all'interno incavato, viene messo un olio estratto da
piante di queste terre.» spiegò frettoloso.
«Ingegnoso» rispose stupito.
«Beh, ad ogni modo, tu vai a riposare. T’avvedrai della
tua stanza lungo il corridoio.» riprese, voltando un an-
golo della casa. «A meno che non voglia venire con me
nella zona cibarie.» urlò dall’altra stanza.
Il ragazzo fu colto da imbarazzo trovandosi in casa al-
trui e sapendo di dover vagare alla ricerca del proprio
letto.
«Non preoccuparti, il frutto di prima mi è bastato.» ri-
spose.
Si voltò per chiudere la porta, ma proprio mentre stava
per sentire la maniglia scorrere, qualcosa s’infilò di sop-
piatto tra la soglia e la porta.
«Mh?»
«Aiutami, Ehlan!» riconobbe i toni del comandante.
Spalancò la porta: in braccio aveva la ragazza.
«Aspetta.» Avanzò verso di lui per aiutare a portarla.
«Non serve. Fammi solo strada, ti guido io. Avanza
verso il corridoio ed apri la prima porta a sinistra.»
Stava ancora nell’atrio, ma a quel punto annuì e
s’affrettò a fare quanto richiesto senza commenti.
117
Sollevò il lume facendo maggior luce: a destra c’era una
grande sala, mentre a sinistra vi era una stanza collegata
a sua volta con un’altra sala, tuttavia non ebbe il tempo
di guardare altro. Imboccò il corridoio che dava dritto
davanti a lui e raggiunse la stanza. Affacciandosi
all’interno, notò che c’erano un comodo e grande letto,
un comodino e mobilia per abiti. Esattamente davanti
alla porta, c’era una finestra sporgente all’esterno. Aelon
accorse all’interno e dispose delicatamente l’umana su di
esso.
Ella era completamente incosciente, forse l’ultima cosa
che si sarebbe aspettata al risveglio era quella di trovarsi
in un letto.
«Sembra piccolina, ma pesa.» commentò Aelon, ripren-
dendo fiato «Se dovesse svegliarsi avrà certamente sete,
le metterò dell’acqua.»
«Grazie.» rispose Ehlan.
«Domani farò venire qualche dama affinché l'aiuti a la-
varsi e ripulirsi. Prendi la stanza accanto alla sua, se la
senti agitarsi puoi venire a darle conforto. Credo sia
normale prevedere che avrà reazioni confusionarie.»
«Suppongo di sì.» annuì convinto «Non so cosa sia la
Casa di Enos, ma ad ogni modo…Grazie.»
Il comandante non disse nulla, dalla penombra lo vide
ricambiare con un semplice cenno del capo.
La stanza di Ehlan non era molto più grande dell’altra
ed aveva una forma quadrata: il suo letto si trovava al
centro. Sulla sinistra era stato messo il comodino su cui
appoggiare le proprie cose; non vi erano altri mobili
all'interno, eccetto un piccolo sgabello posizionato pro-
prio sotto la grande finestra, che si trovava sulla parete
destra rispetto all'entrata.
118
Si spogliò rapidamente, mettendo gli abiti su
quest’ultimo, chiuse porta e finestra e, finalmente, poté
distendersi sul letto. Non appena poggiò la testa, i suoi
occhi si chiusero quasi all'istante, cadendo in un sonno
profondo.
119
Una scomoda scelta
127
vedute del tuo popolo.» spiegò con calma. «Tuttavia, la
giusta domanda è: perché questo dovrebbe interessarti?»
«No, c’è dell’altro. Non intendevo questo e tu lo sai.
Sento, quando parli, quanto astio provi verso il tuo reale
popolo. Sei uno di noi, questo è nel mio interesse, quin-
di.»
Ehlan non rispose subito, ruotò lo sguardo lasciando
che si perdesse per la stanza.
«Non provo alcun astio.» disse infine.
«Menti.»
Sorrise nervoso il mezz’elfo
«Siete voi che disprezzate me, noi, per il nostro miscu-
glio di sangue. Io ricordo bene qual è il pensiero degli
elfi riguardo la mia razza.» scattò in piedi, girandosi e
tirando su la maglia imbottita; la sollevò fino a scoprire
la spalla destra dove dormiva, apparentemente guarita,
una profonda cicatrice.
Il ragazzo sbuffò nuovamente, tornando a sedere.
«Il mio ritiro da Malgalad fu necessario, la situazione
era precipitata. Le risse erano ormai all’ordine del giorno
e tutti quelli come me se n’erano già andati. Mio padre
scelse di portarmi nei regni umani ed egli stesso andò in
esilio. Ricordo a malapena la mia vita fra gli elfi ed one-
stamente non era gradevole. Quindi si, non vi ammiro,
dovrei?» domandò infine.
Luine l’osservò silenziosa finché egli non smise di par-
lare: solo allora le sue labbra si aprirono ancora.
«Malgalad, Malgalad. Quella città è un lurido buco di
serpi, succube della politica di Acrossil. Non puoi dar
peso a quello che è successo, noi siamo una fazione di-
versa ed abbiamo idee differenti.»
«Il regno di Aihatil era aperto alle mezze razze: ho visto
come mi guardano là fuori e non noto molta differenza
128
tra voi e gli elfi del nord. Un estraneo, un vagabondo, un
criminale, o semplicemente qualcosa da eliminare.» la
interruppe.
«Puoi biasimarli? Sanno chi sei, le voci corrono veloci
qui! Capitano di Thilia, figlio del Reggente Calad, colui
che ha posto le basi del conflitto tra le due fazioni. La
stessa persona ha messo in crisi questa alleanza.» riprese
Luine.
«Aveva le sue buone ragioni, come io ho le mie! Il re-
gno degli uomini paga tributi che esasperano il suo po-
polo e lo rendono povero, vulnerabile. Questa fazione
cerca di assorbirci da anni ormai e si nutre del nostro
sangue come un parassita.» proferì irato. «Ad ogni mo-
do, quando mio padre lasciò la città, il posto di reggente
venne affidato a Hant Gyar e fu lui a scrivere i trattati di
cui parli. Certo, adesso, con l’invasione di Thilia, tutto
farà un passo indietro, vero?» Ehlan concluse con quella
retorica domanda.
«Stai incolpando la nostra alleanza per quanto è succes-
so?» domandò infastidita.
«Non ancora, ma qualcuno dovrà spiegare come
un’intera orda di mog-hown sia riuscita ad oltrepassare i
confini del nord, passando inosservati sotto gli occhi dei
nostri “alleati”.» rispose.
«Noi siamo venuti in vostro soccorso!» commentò Lui-
ne.
«Soccorso?!» Ehlan s’alzò di scatto. «Quella spedizione
era composta da un pugno di esploratori che non si tro-
vavano certamente lì per cercare o curare sopravvissuti,
considerate le scarse risorse di cui disponevate. Siete
bravi a far finta di essere gli eroi di ogni battaglia.»
«Sei cambiato.» disse irritata «Questa guerra ti ha in-
grigito l’animo. Molta è la rabbia che racchiudi in te, essa
129
non ti permette di vedere lucidamente. La situazione è
più complicata di così. Quindi ascoltami…»
«No!» tornò a sedersi «Non voglio più continuare que-
sto discorso. La Lega Bianca riemergerà, tutti noi torne-
remo alla nostra terra. È terminato il tempo in cui gli
uomini sono resi succubi delle tre alleanze. Il Patto di Ac
Ghat En ha fallito su ogni fronte, non può esserci intesa.»
«Ragioni esattamente come gli umani.» Luine scosse la
testa, portando una mano sul volto. «Speravo che tu po-
tessi risolvere questa situazione.»
«Risolvere “questa situazione”?» domandò inarcando
un sopracciglio.
«Sei Capitano di Thilia, questo grado può non garantir-
ti alcun potere in città; ma, secondo il Trattato di Fin,
ogni ufficiale di comando ha il diritto e dovere di emer-
gere in prima posizione per il popolo, in caso di estremo
bisogno.» spiegò lei.
«Cioè, io dovrei prendere decisioni in merito a questa
situazione, in merito a quanto avvenuto?» rispose.
«Dovresti.»
«No, no, sei fuori strada. Lady Daila Stormbein e suo
fratello minore lord Lionel sono gli ultimi eredi. Dovre-
ste mandare una lettera al suo consiglio. Io non posso
prendere decisioni per la Lega Bianca senza un consulto
con i capi dell’alleanza, è ridicolo anche solo pensarlo.
Non dovreste dimenticare che noi siamo un popolo uni-
to» Ehlan aprì il palmo della mano verso di lei, accom-
pagnando le proprie parole.
«L’abbiamo fatto, appena abbiamo saputo
dell’imminente attacco.» lo guardò dritto negli occhi.
«Non è giunta risposta.»
Il mezz’elfo rimase pensieroso, senza dire nulla.
130
«So bene che è un compito arduo, ma non puoi più
permetterti di ragionare come un popolano. Cerca di ve-
nir incontro alle esigenze primarie del tuo popolo.» ri-
prese Luine «In questa situazione, diffidare della Lega
Boscosa e rifiutare ogni trattativa, potrebbe segnare la
fine della Lega Bianca. Avete ancora bisogno di noi.»
«Chi sei tu? Chi sei veramente?» domandò riflessivo.
«Sai chi sono.» rispose.
«Voglio sapere perché hanno mandato Te a dirmi tutto
questo: cosa mi aspetta là fuori? Cerchi di mettermi in
guardia, o vuoi solo di addolcirmi questa scomoda si-
tuazione, magari, tentando di convincermi a pensarla
come te?» la fissò dritta negli occhi come se volesse leg-
gerle la mente.
«Direi entrambe. Aiuteresti il tuo popolo a ricevere gli
aiuti necessari, se foste disposti a collaborare con noi an-
cora una volta. Inoltre, ho timore, Ehlan, che se tu por-
tassi il tuo astio al Consiglio di Erim, potrebbero esserci
conseguenze più gravi.» spiegò apparentemente tran-
quilla.
«Se quel che dici è vero, avrei una funzione diplomati-
ca, quindi non potete arrestarmi.» rispose.
«Non metterli alla prova.» aggiunse Luine. «Sto cer-
cando di aiutarti e sono certa che anche tuo padre sareb-
be d’accordo con me. Te lo dirò nuovamente: non puoi
più comportarti come se fossi esterno a questa situazio-
ne.» la sua voce tornò calda ed accogliente.
Ehlan si distese comodamente sullo schienale, allun-
gando le gambe. Percepì alcune deboli fitte dovute alle
ferite ben lungi dall’essere guarite, ma il suo essere stoi-
co al dolore gli permise di resistere senza problemi.
Trascorsero alcuni minuti senza che i due si rivolgessero
parola, il mezz’elfo era riflessivo ed altrettanto pensiero-
131
sa era Luine. Ehlan aveva preso a camminare nella stan-
za, muovendosi nervosamente avanti e indietro.
«Perché non me ne avete parlato prima?» domandò in-
fine. «Se mi aveste lasciato ai miei confini, avrei raduna-
to il consiglio in qualche giorno, perché attendere fino ad
ora?»
«Oltre al fatto che “qualche giorno” sarebbe già troppo
tardi per agire, speravamo che lady Daila Stormbein fos-
se sopraggiunta in città e quindi non si sarebbe creata
l’esigenza. Ammettiamolo, non hai la stoffa di un di-
plomatico. La prossima domanda che ti farai sarà: e se
non fossi sopravvissuto? Probabilmente non avremmo
fatto nulla al contrario di quello che tu pensi. Non sa-
remmo intervenuti se non vi fosse prima stato un con-
fronto tra i consigli ed a quest’ora non ci sarebbe scampo
per i profughi in fuga. Tu puoi cambiare questa situa-
zione.»
Anche Luine si alzò dalla sedia, incrociando le braccia
sotto il seno prosperoso e cingendosi i gomiti con le ma-
ni.
«Hai ragione, non sono un diplomatico, ecco perché
continuo a pensare che sia una pessima idea. Mi chiedi
di prendere delle scelte che vanno oltre le mie capacità.
Non posso aiutarvi, mi dispiace.» In quel frangente si
rivolse verso la porta, cercando di ricordare in quale di-
rezione fosse l’uscita.
«Un’ultima domanda.» disse Ehlan senza guardarla,
con la mano sulla maniglia, pronto per uscire. «Sei tu la
ragazza con la quale giocavo da bambino a Malgalad?»
La dama sorrise lievemente, espressione che lui non poté
notare.
«Hai aspettato fino a questo punto per chiederlo?» do-
mandò retoricamente «Si, quella ragazza sono io.»
132
Ehlan non sembrava sorpreso dalla risposta e sorrise a
sua volta.
«Credevo fossi morta.» disse sollevato «Quando la no-
tizia del vostro incidente arrivò in città si seppe che nes-
suno era sopravvissuto. Sono contento che non fosse la
verità.»
«No, non lo era, del tutto.» confessò infine.
«A presto.» disse varcando la soglia.
Il mezz’elfo s’incamminò nuovamente verso un luogo
indefinito della città.
Oltre che dai numerosi pensieri, venne colto da un sen-
so di vuoto e crampi allo stomaco. Iniziò a sentir fame.
«Dubito che troverò una locanda da queste parti, per di
più sono senza soldi.» pronunciò tra se e se. Scelse di ri-
percorrere i passi della strada che l’avrebbero ricondotto
in direzione della casa di Aelon.
Le contorte vie sembravano essere tutte dannatamente
uguali: case sugli alberi, case sul terreno, piante e strade
di terra, il tutto senza alcun cartello. Aveva a disposizio-
ne tre scelte e, ognuna di esse, sembravano quella giusta.
Sbuffò ripetutamente per una manciata di secondi ed
infine imboccò la laterale verso destra.
Man mano che avanzava, iniziò a rendersi conto di aver
preso la decisione sbagliata: c’era qualcosa di diverso e
non gli sembrava affatto familiare quel posto. Sospirò e
fece dietrofront deciso a tornare, quando qualcosa attirò
la sua attenzione.
Una musica ritmata dai canti di un piccolo gruppo di
voci gli sfiorò le appuntite orecchie.
Con un minimo di attenzione, riuscì a comprendere
quale fosse la direzione e si avvicinò cautamente. Non
lontano c’era una piccola stradina la quale faceva da an-
golo, si approfittò della posizione per sbirciare senza es-
133
sere visto: un gruppo di elfi bambini, in cerchio attorno
ad una piccola pianta dal busto rosso, che cresceva tra le
rocce al di là della strada, si teneva per mano e girava
senza sosta. Si concentrò sulle parole della canzone.
135
Ehlan era poggiato sul davanzale della finestra nel sa-
lone, con sguardo perso nel vuoto. Aveva trascorso gran
parte del tempo a riflettere su quanto Luine gli aveva
rivelato. Sapeva bene che prima o poi avrebbe dovuto
entrare nel consiglio e prendere decisioni importanti, ma
prima di quel momento si era sempre potuto rifiutare
per una scusa o per l’altra. L’idea di abbandonare il ruo-
lo di capitano, per entrare nel gioco della politica, non lo
aveva mai ispirato.
Ponderò a lungo su quali sarebbero potute essere le
reazioni degli altri membri del consiglio della Lega Bian-
ca, quando avrebbero saputo che a prendere accordi con
gli elfi, sarebbe stato un mezz’elfo, ed alla fine la testa gli
doleva dai troppi pensieri.
Tentò di scacciarli via, inspirando ed espirando pro-
fondamente, e proprio in quel momento avvertì qualco-
sa: un buon odore di cucinato che si mischiava a quello
dell’umidità del bosco e quell’insieme di elementi, era
ancor più gradevole.
137
«Non ne ho idea.» rispose tranquillo «Oggi, per strada,
ho visto bambini che intonavano uno strano motivetto
mentre giravano attorno ad una pianta. Credo mi sia ri-
masta in mente, ma ho del tutto dimenticato il testo.»
«Era una pianta dal fusto violaceo?» chiese Aelon dub-
bioso.
«Non ricordo molto bene, ma credo fosse proprio come
l’hai descritta. Perché?» disse.
«Tutto chiaro, è la canzone della Pianta dell'Eroe. Vuoi
che ti ricordi le parole oppure preferisci ascoltare la sua
storia?» domandò l’elfo.
«Vorrei sentire ambedue, se non ti dispiace.» rispose
Ehlan entrando nel salone accompagnato dall’elfo. In
fondo che c’era di male a rilassarsi un po’? Si mise in
ascolto, poggiando la schiena ad una parete libera.
140
«Capitano Ehlan. Sei morto anche tu?» domandò inno-
cente.
Il mezz’elfo si sedette sul bordo del letto e poggiò il
lume in terra, davanti a loro. Ora fu più facile per la ra-
gazza scorgerlo in viso.
Ella era giovane, con lunghi capelli biondi ed un viso
pallido e pulito, occhi azzurri che continuavano a guar-
darlo, pieni di domande.
«No, invero.» si pronunciò Ehlan, mostrandole un sor-
riso. «Sono desolato a doverti dar io questa brutta noti-
zia, ma sei ancora nel mondo dei vivi e dopo tutto que-
sto tempo posso solo dirti: bentornata tra noi.»
La ragazza era poggiata allo schienale del grande letto,
sfarfallò gli occhi sorpresa ed infine sorrise appena.
«Ho la testa che mi scoppia, come dopo una notte di
strugh.» fece lei, portandosi le mani sul volto.
«Lo credo bene, sei rimasta a dormire per quasi tre
giorni, o forse anche di più. I maghi di Faer che ti hanno
soccorsa hanno detto che hai usato molte energie, per
padroneggiare incantesimi non appartenenti alla tua
scuola. Onestamente, non so cosa significhi.» spiegò il
mezz’elfo.
I ricordi iniziarono a tornarle in mente, trasmettendole
vivide immagini dei giorni passati.
«Si…» tornò a guardarlo «Quanti?» domandò illuden-
do a qualcosa.
«Nessuno, solo qualche contadino che era fuggito a
piedi.» rispose aggrottando la fronte.
«Hant?» chiese ancora.
«Non si hanno notizie.»
Ehlan prese un lungo respiro ed assunse una postura
curva, poggiando i gomiti sulle ginocchia, con le mani
strette a pugni a sostenergli il mento. «Senti, non c’è un
141
modo facile per dirti questa cosa, anche se credo che tu
abbia già compreso. Thilia è caduta, il grosso
dell’esercito della Lega Bianca non è arrivato in tempo e
la situazione ora è drammatica. Ci troviamo a Lor Enos-
sil, domani avrà luogo il Consiglio Boscoso ed io dovrò
prendere delle decisioni. Ti farò tornare a casa quanto
prima.»
Alynal non sembrò scossa dal suo racconto. Sollevò le
ginocchia cingendole strette.
«Beh... Un momento. La mia asta, dov'è la mia asta?!»
chiese con tono preoccupato.
«Credo sia lì, guarda» indicando un lungo bastone
poggiato contro il muro. «Non è stata toccata.» rispose
Ehlan.
«Presto, passamela! Fa in fretta!»
Il mezz’elfo faticò a capire cosa le fosse preso e con uno
sbuffo s’alzò per passagliela.
«Ecco qua, prendi.» ella l’afferrò con energia, toglien-
dogliela dalle mani.
Alynal osservò a lungo il simbolo all'estremità con mol-
ta attenzione: largo, compatto e robusto, era composto
da tre cerchi concentrici, di cui uno era disposto in cima
e capeggiava sugli altri. All’interno v’erano dei triangoli
appuntiti rivolti verso l'alto, dove erano state incastonate
delle pietre dalla forma sferica, di diverso colore: una
rossa, una gialla ed una blu. Esse non erano sorrette da
nulla, sembravano galleggiare nell’aria attraverso l’area
dei triangoli. Era un’arma abbastanza comune per i ma-
ghi elementari, i quali sfruttavano il potere degli artefatti
per alterare o generare gli elementi. Le gemme venivano
chiamate “essenze”, ma cosa fossero in realtà sfuggiva
alla comprensione del mezz’elfo, non che gli importasse
gran che. Ehlan aveva sempre considerato l’uso della
142
magia un vile espediente dall’affrontare le sfide della
vita.
La ragazza tirò poi un sospiro di sollievo, poggiò l'asta
accanto a se e si ristese, mettendosi a proprio agio fra le
coperte.
«Non dovresti agitarti così. Potrai sempre comprarne
un’altra se ti si rompe, no? A Fenox è pieno di maghi
randagi che vanno in giro a vendere le loro stregonerie.»
disse lui.
«No, sto bene.» rispose sospirando.
«Certo. Adesso riposati, io ti seguirò nel mondo dei so-
gni, sono nella stanza accanto se hai bisogno.» proferì
infine, alzandosi in piedi, dopo aver raccolto il lumino.
«Capitano, lasciami venire con te domani, intendo al
consiglio.» disse, tossendo.
Si voltò a osservarla, quindi inarcò un sopracciglio.
«Sai, mi rendo conto che io e te non abbiamo mai parla-
to molto: qualche bevuta nella Casa Grande, poche riu-
nioni e rari incontri. Tuttavia, ti ho sempre considerata
una ragazza sveglia ed intelligente, abbastanza acuta da
sapere che questo non può avvenire.» rispose tranquillo.
«Io devo venire, non posso rimanere qui altro tempo.
Capitano, Ehlan, ti prego.» insistette lei.
«Sei senza forze, senza energie e come puoi vedere non
sto andando a fare due chiacchiere, questo è un alto
Consiglio di un’alleanza rivale. Mi dispiace, ma o motivi
la tua richiesta con una più che convincente spiegazione
logica, o non se ne fa un nulla.» disse il mezz’elfo, por-
tando la mano libera sul fianco.
«Ho delle informazioni importanti.» rispose semplici-
stica.
143
«Allora dammele ed io riporterò al Consiglio ciò che
riterrò opportuno.» rispose lui. Alynal esitò per qualche
istante.
«Non posso, sono gli ordini precisi del primo incanta-
tore Hant.» fece lei, abbassando lo sguardo.
«Hant è morto e come capitano ti sto chiedendo di rive-
larmi ciò che sai.» intimò infine. La ragazza non rispose,
si limitò a guardarlo soppesando quel suo sguardo seve-
ro. Proprio mentre stava per dar fiato ai propri pensieri,
Ehlan intervenne ancora.
«Spero che questo silenzio valga il prezzo della tua
tranquillità, perché non si tratta di un gioco. Se dovessi
scoprire che nascondi informazioni di vitale importanza,
sarebbero guai seri non solo per te, ma per tutti noi.»
Il mezz’elfo abbandonò la stanza, che rimase avvolta
solo dai colori violacei provenienti da quel mondo sel-
vaggio attraverso la finestra.
144
Il messaggero
145
«No, era molto confusa riguardo dove ci trovassimo e
per quale motivo.» disse.
«Purtroppo, devo informarti che questa notte un altro
dei contadini feriti è deceduto a causa di un estesa infe-
zione.» riprese Aelon.
Il ragazzo si sedette e sbuffò copiosa aria dalle labbra.
Notò che sul tavolo c’erano le stesse palline bianche che
aveva mangiato il giorno prima.
«Quanti ne rimangono?» chiese poi.
«Due.» rispose «Ho perso sei fratelli in questa spedi-
zione, sono stato incauto.»
«Incauto… Ad uccidere i tuoi elfi è stata la forza im-
prevista degli spettri del Daw, generalmente non escono
allo scoperto. Qualcosa deve averli spinti ad uscire, sono
attratti dal potere magico e dalle fonti di energia; almeno
così dicono.» commentò Ehlan.
«Mangia in fretta, dobbiamo sbrigarci o arriveremo in
ritardo.» disse Aelon, cambiando discorso.
«D’accordo.»
Iniziò a prendere un paio di palline ed il bicchiere
d’estratto d’erbe
«Amtor non verrà con noi? Come unico rappresentante
del popolo dei ghor dan, credevo che avrebbe partecipa-
to.» chiese, iniziando a mangiare velocemente.
«No, a lui non interessano più queste cose.»
Ehlan annuì, poi non disse più nulla. Terminò il suo
pasto e, dopo un altro paio di manovre, furono pronti
per avviarsi.
147
«Ricorda, una volta varcata questa porta, non ti sarà
possibile abbandonare le sue sale finché il consiglio non
è sciolto. Per ordine di Erim nessuno lascerà il palazzo.»
disse severo Aelon.
«Tranquillo, so come funziona un alto consiglio.» rispo-
se rassicurandolo.
«Se non hai ancora fatto la tua scelta, ti consiglio di
prenderla ora.» aggiunse.
«Andrò avanti.» disse infine.
Le guardie richiusero l’ingresso ed il rumore rimbombò
nella stanza, attirando l’attenzione di tutti i presenti.
Erim: un’alta figura dagli scuri e lunghi capelli, occhi
bianchi e giudicatori, volto serio e silenzioso. Indossava
un’argentata armatura, delle più belle che avesse mai
visto, con ricami, ornamenti ed una precisione nei detta-
gli senza pari. Ehlan riconobbe subito il materiale di cui
era fatto, Solealatium: si trattava di uno dei più rari e dif-
ficili elementi da trovare e plasmare. Si dice che solo
l’antico popolo di Aihatil fosse in grado di lavorarlo do-
po averlo raccolto nelle profondità del mare. Pochi ma-
teriali potevano reggere il suo confronto, al giusto mer-
cante quell’armatura sarebbe valsa quanto l’intero arse-
nale di difesa di Thilia.
Il Signore del Bosco Fatuo sedeva sul suo trono circon-
dato da altri elfi, ognuno dei quali indossava abiti ele-
ganti e costosi.
«Quello è Erim?» domandò sussurrando.
«Si. Shh!» rispose cauto Aelon.
L’occhio vigile di Ehlan riconobbe il volto di Alduhrim
spiccare tra i molti sconosciuti. L’incantatore colse
quell’occasione per andargli incontro, mentre i due con-
tinuavano ad avvicinarsi lentamente. Non appena furo-
148
no abbastanza vicini, Aelon poggiò le mani sulle sue
spalle, sorridendo.
«È bello rivederti.» disse amichevole.
«Siete i benvenuti.» rispose, chinando la testa. «Dhem
gahrd» aggiunse verso il mezz’elfo.
«Dhem gahrd.» rispose.
Alduhrim si avvicinò al ragazzo e lo fissò curiosamente
negli occhi.
«Nel tuo sguardo c’è ancora poca convinzione. Dovrai
fare meglio di così se vorrai convincere il consiglio ad
aiutare la tua gente, capitano.»
«Prima devo comprendere se voi potete realmente aiu-
tarci, senza incorrere in anni di eccessivi debiti morali e
non.» rispose, sicuro di se.
« A questo mondo non si ha nulla, per nulla, mio gio-
vane amico.» l’elfo rispose sbrigativo, sviò rapidamente
il suo sguardo sul comandante.
«Venite, stiamo per iniziare il consiglio. Aspettavamo
voi, lasciate che vi annunci.»
L’incantatore fece loro strada all'interno dell'ampia
stanza, adornata anch’esse di sculture in rilievo sulle pa-
reti. Quell’area per secoli fu luogo di consigli e strategie:
al centro un grande tavolo di legno circondato da nobili
sedie di bianca pietra, costruite per dominare sulla sala,
mentre il terreno era interamente ricoperto da un manto
di foglie rossastre.
Il soffitto aperto da una finestra circolare lasciava infi-
ne, penetrare la luce del giorno e tutt'intorno a loro i ra-
mi degli alberi verdeggianti penetravano all'interno del
palazzo, portando il colore azzurrino di quelle foglie in-
cantate.
Alduhrim parlò ai presenti.
149
«A voi, mio Signore ed a voi fratelli, chiedono
l’ingresso a questo consiglio: Aelon Archinal, Coman-
dante delle armate della Lega Boscosa e primo custode
del Palazzo dei Cieli.» Aelon avanzò e fece un inchino
solenne in direzione di Erim.
Non si mosse né si alzò, fin tanto che il suo signore non
gli avesse concesso il permesso di proseguire e ciò av-
venne poco dopo, mediante un assenso portato con un
cenno del capo. «ed Ehlan Silveril, figlio di Calad Silveril
e capitano dell’armata di Thilia.»
A quel punto, anche il mezz’elfo avanzò seppur incerto,
cercando di imitare i movimenti di Aelon e di non far
caso agli sguardi taglienti dei presenti. Si chinò ed attese.
Molti secondi trascorsero, tanto che iniziava a dolergli
stare in quella posizione. Si chiedeva cosa stesse ponde-
rando quella mente contorta, sollevò quindi la testa, pur
rimanendo chinato ed i suoi occhi s’incontrarono con
quelli di Erim.
Venne colpito dalle bianche iridi, con tale violenza, che
avvertì un brivido.
Dannazione, cosa aspetti? Pensò.
Le voci cessarono poiché erano tutti attenti ed attende-
vano la decisione del loro signore, alcuni di loro sogghi-
gnavano alle spalle del mezz’elfo; Ehlan poté sentirli, ma
non fece nulla.
«Tu non sei membro del consiglio della Lega Bianca.
Con quale autorità credi ti possa venir concesso l’accesso
a questo alto consiglio?» Erim parlò secco e severo: ave-
va una voce ancor più tagliente del suo sguardo. «Parla-
te.»
Finalmente si tirò su, tornando eretto.
«Sono capitano di Thilia ed ultimo membro d’alto gra-
do dell’esercito. Desidero quindi prendere parte a questo
150
consiglio come rappresentante della Lega Bianca, avva-
lendomi del Trattato di Fin, che permette, in situazioni
d’emergenza, l’aggiunta di nuovi membri al consiglio
della Lega, per il bene dell’alleanza.» parlò deciso.
Il signore degli elfi batteva l’indice ed il medio della
mano sinistra sulla fredda lastra di pietra, componente il
bracciolo del suo trono.
«Siete consapevole che le scelte da voi prese all’interno
di questo consiglio, verranno applicate con o senza
l’approvazione di membri più anziani? Siete pronto ad
assumervi ogni responsabilità derivante dalle decisioni
prese da questo consiglio? La Lega Boscosa non si riterrà
responsabile di alcuna pena, riguardo la vostra scelta di
partecipare come unico membro della Lega Bianca, non
potendo voi conferire con membri anziani. Siete, infine,
deciso ad accedere a questo alto consiglio?» domandò
meccanicamente, come fosse una sorta di rituale legisla-
tivo e probabilmente lo era davvero.
«Sono pronto ad accettare le Vostre condizioni.» rispo-
se.
La sua voce era decisa e ferma, ma dentro di lui c’era
una tempesta: il cuore gli batteva nelle tempie ed aveva
iniziato a sudare freddo. Deglutì rumorosamente.
«Così sia.» tese la mano per indicar, lui il posto vuoto
riservato agli stranieri ed infine tutti si accomodarono.
Tra gli altri membri del consiglio s’alzo un leggero vo-
ciare, alcuni volti si palesavano stupiti.
154
credo che siano ignari di questo. Possono tenerli occupa-
ti da nord mentre la Lega Bianca si rinsalda.»
Erim scosse la testa, guardando il pavimento ricoperto di
foglie.
«Siano dannati i ghor dan. La loro stupida ribellione li
rende alleati imprevedibili, sempre che si possano anco-
ra considerare tali. Sono stati loro a fomentare la separa-
zione della Lega Bianca dal Patto di Ac Ghat En: a quel
punto avrebbero seguito le loro orme.» rammentò, col-
mo d’ira.
«Non lo farebbero per noi, ma per gli uomini. Sap-
piamo tutti che c’è simpatia tra le due razze, o almeno
hanno gli stessi interessi e questo potrebbe convincerli.»
intervenne uno di loro.
Ehlan ascoltava silenzioso ogni commento, cercando di
tener a freno la lingua. Non aveva mai partecipato ad un
consiglio simile, il suo massimo consisteva in rozze riu-
nioni con altri membri di alto grado dell’esercito. Alla
fine tutto si concludeva allo stesso modo: qualcuno che
stava male da una parte, altri ubriachi dall’altra ed i po-
chi sobri che il giorno dopo dovevano rifare il punto del-
la situazione. Non aveva mai capito la politica.
«Bahlanos, di quanti soldati disponiamo?» riprese
Erim.
«Non saprei, mio signore, il grosso della nostra armata
è impegnata un po’ più a nord, nelle Steppe Ardenti;
sembra che abbiano avuto qualche problema con i Sa-
lohmans. Ci vorrà qualche giorno per richiamarli.»
Il mezz’elfo aggrottò la fronte; quelle erano creature di
cui aveva solo sentito parlare: strani rettili di bassa statu-
ra e dotati di un minimo d’intelligenza, ma non erano
mai stati pericolosi.
155
«Con il vostro permesso, mio signore, credo che non sia
saggio attendere tanto.» fece uno. «Come avete rammen-
tato prima, Thilia è la nostra priorità; se mandassimo un
piccolo gruppo di esploratori a perlustrare ancora la città
potremmo mettere i nostri cuori in pace e forse guada-
gnare qualche altro giorno di tempo.»
Alduhrim si diresse verso il tavolo, affiancandosi ad
Erim, e fra i due vi fu un indistinto mormorio.
«Lo abbiamo già fatto.» interloquì ancora Alduhrim
«Questo è tutto ciò che abbiamo trovato.»
Il mago estrasse una pergamena arrotolata, logora e con
qualche macchia marroncina che aveva tutta l’aria di es-
sere sangue rappreso. Si alzò per lasciarlo sul piedistallo,
dove finì sotto gli occhi di Erim.
«Di cosa si tratta?» domandò.
«Si tratta di un messaggio che è stato rinvenuto la notte
che siamo giunti a Thilia, scritto da Hant Gyar in perso-
na.» rispose Aelon sospirando.
«Per quale motivo ne sono a conoscenza solo ora?»
domandò ancora, alternando lo sguardo severo tra il
mago ed il comandante.
«Attendevamo il momento giusto.» disse ancora.
«Attendevate il momento giusto?» fu allora che inter-
venne Ehlan, il quale non era più in grado di trattenersi.
«Hant era un membro dell’alto consiglio della lega; non
credi, Comandante, che sarebbe stato opportuno presen-
tarmi il contenuto del messaggio?» fece retorico scuo-
tendo la testa.
«Ha ragione.» commentò Erim. «Il sigillo della perga-
mena è stato spezzato, vogliate scusare la poca diploma-
zia, ma con i tempi che avanzano i nostri uomini aveva-
no poche scelte. Tuttavia, vi chiedo se siate disposto a
condividere con noi il suo contenuto.»
156
Il mezz’elfo si strinse nelle spalle, sollevando i palmi
delle mani verso l’alto.
«Direi che non ho nulla in contrario, ma a questo punto
vorrei che ci venissero narrati i dettagli della vostra mis-
sione e, di come essa sia giunta in vostro possesso.» sen-
tenziò, infine.
«Lord Aelon, prego…» Erim consegnò la pergamena
nelle mani di Alduhrim e tornò a sedere sul proprio tro-
no di pietra.
«La nostra missione è fallita; l’Ehal è andato perduto.»
iniziò a parlare «La città è stata completamente devasta-
ta dall'orda e non sono stati ritrovati superstiti. Da ciò
che lo scenario ha potuto raccontare, il nemico ha attac-
cato con violenza e vani sono stati i tentativi di respin-
gerlo; la maggior parte dei corpi si trovava dentro il pa-
lazzo del reggente, dove hanno atteso la morte.
Nel tentativo di ritrovare le tracce di un presunto mes-
saggero, come scritto nella lettera, abbiamo soccorso
Ehlan figlio di Calad, qualche contadino sfuggito per un
soffio ed una maga che si trova ora a riposo nella mia
casa; i due erano giacenti nella foresta, quasi privi di vi-
ta.
Tutti sono stati perquisiti e non è stata trovata la Chiave.
Gli indizi che ci hanno spinto ad attraversale la zona ma-
ledetta del Passo del Daw, sono stati lasciati dal reggente
in persona:
157
La città è perduta. Non sappiamo come abbiano potuto attra-
versare i confini del nord, ma le circostanze legano il futuro
del mondo alle parole racchiuse qui.
Le orde nemiche si ergono a migliaia verso di noi.
Giungeranno tra meno di un giorno, come una tempesta di
fulmini e pioggia. Non c’è via di fuga. Sospetto che molte spie
si siano infiltrate tra le nostre fila, non rischierò di perderla
per colpa loro! I nostri soldati non potranno tenere testa ad
un’intera legione di demoni a lungo, ma forse potranno dar
tempo al messaggero che ho inviato a voi. Colui che è il degno
portatore della chiave: questa è la priorità assoluta a cui ci sot-
toponiamo.
Che gli Dei abbiano pietà delle nostre anime.
H.G. il Protettore.
158
«Parlo della Chiave, vi ho sentito nominarla più volte
ed è presente anche nella lettera, a quanto pare. Credevo
che la priorità del consiglio fosse prendere una decisione
in merito ai soccorsi da prestare alla Lega Bianca.» disse.
«Posso comprendere il vostro disappunto. Queste sono
questioni note solo agli alti membri del consiglio, quindi
è naturale che voi non ne siate a conoscenza, capitano.
La parola “Chiave” è solo un rozzo modo di nominare
l’artefatto, atto a disperdere l’attenzione da esso. Il suo
vero nome è Ehal.» spiegò semplicistico.
Ehlan fece salire la mano destra dietro la nuca, era visi-
bilmente confuso. La sua mente vagò tra vecchi ricordi
alla ricerca di quel nome: era certo di averlo già sentito.
«L’artefatto perduto degli Acros. La dorata gemma che
risveglia gli spiriti degli antichi e dona all’eroe poteri
senza pari. È una delle tante favolette per bambini, anzi,
se non vado errando, esiste anche più di una versione e
la più recente è scritta da Ehmil Fennix, ne “Le Avventu-
re mai Narrate”.» gli giunse l’idea. «Non è di questo che
si parla, vero?»
Gli elfi al consiglio fissavano l'interlocutore, taluni più
consapevoli di altri.
«Temo sia proprio di questo ciò di cui si parla.» rispose
uno.
«Oh, andiamo!» il mezz’elfo si levò in piedi con uno
scatto. «Sentite, ho rispetto della vostra cultura e delle
vostre leggende, tuttavia la Lega Bianca si trova in seria
difficoltà e vorrei trattare un accordo con voi per ripara-
re alle sofferenze del mio popolo.»
«Cosa vorresti trattare, tu, mezz’elfo? Non saresti nean-
che degno di trovarti in questo alto Consiglio; ti esprimi
come un rozzo soldato, il tuo posto non è qui.» tornò a
159
parlare Trahnol. S’alzò anche lui dalla comoda seduta,
mostrando i denti in un macabro sorriso.
«Hai ragione. Sono un combattente e faresti meglio a
non rammentarmelo.» rispose, indicandolo minaccioso.
La conversazione iniziava a contenere toni coloriti.
«Piccolo sfacciato, osi muovermi minacce?» riprese
Trahnol.
«Ora smettetela, entrambi!» Alduhrim intervenne con
tono severo. Non si era mai seduto. «Ehlan è stato rico-
nosciuto come membro del consiglio e, in quanto a te,
capitano, voglio ricordarti che ti trovi al cospetto di altri
e non in una locanda dove fare azzuffate! Non voglio
ripetermi!»
«Perdonate, possiamo andare avanti.» l’elfo litigioso
sventagliò con la mano in avanti, minimizzando le paro-
le espresse e sorrise compiacente.
All’improvviso, nella sala era sceso nuovamente il
freddo. Ehlan, però, aveva il sangue che gli ribolliva nel-
le vene e fece un grande sforzo per rimettersi seduto.
«L’Ehal esiste realmente.» riprese Erim. Era stranamen-
te tranquillo. «Si, è una gemma e sblocca i quattro sigilli
del mondo, aprendo la strada al cuore di Gaia: lo spirito
del pianeta e la fonte d’energia più potente che esista.
Nessun essere è in grado di assorbire tutte e quattro le
fonti di energia, perfino gli antichi dovettero dividere
quell’energia in quattro. Gli ha dato loro poteri senza
pari, ma l’hanno riconsegnati sacrificando loro stessi per
sigillarli nuovamente. Il cuore di questo mondo non può
essere rubato per sempre o sarebbe la fine.» una breve
pausa interruppe il racconto di Erim «Gli Acros lo sape-
vano ed erano a conoscenza su quale sarebbe stato il loro
destino. Naturalmente, su una storia simile saranno nate
molte leggende e racconti epici, ma ciò che certamente
160
non viene narrato è che se l’ Ehlasihm ne venisse in pos-
sesso, oltre che a distruggere lo spirito del pianeta, lo
corromperebbe e tutti noi saremmo perduti. Acquisterà
poteri inimmaginabili, non impari a quelli di un Dio.
Ogni sigillo libera uno degli antichi e conferisce partico-
lari poteri. Ora, i quattro che ne assorbo l’essenza po-
trebbero essere la salvezza di tutti o la nostra peggiore
catastrofe.»
Il volto del Signore di Lor Enossil era serio. Ehlan non
riuscì a comprendere se si stessero tutti burlando di lui,
oppure se v’era qualche sorta di veridicità.
«Perché non è mai stato utilizzato a nostro favore?»
domandò.
«Parliamo di un energia pura, la quale, se corrotta,
cambierebbe l’aspetto di questo mondo così come lo co-
nosciamo. Nessuno è mai stato ritenuto degno di questo
compito e nessuno mai lo sarà. Gli elfi del passato sigil-
larono il Patto di Ac Ghat En con le altre razze, donando
ad esse l’Ehal come segno di fiducia; queste, per cento
anni ognuna, avrebbero custodito la Chiave e così via
via nel tempo, fino ai nostri giorni. Era l’epoca degli
uomini. C’è da dire che da qualche secolo quest’artefatto
non è più garante di fiducia nei rapporti tra le alleanze e,
all’oggi gli unici a conoscere della sua reale esistenza so-
no gli alti membri dei consigli.» intervenne Alduhrim.
«A questo punto non mi interessa più recuperarlo per
le alleanze ed il Patto, ora, sono convinto che vada fatto
per la salvezza dei nostri popoli. Acrossil è spaventata
dalle conseguenze che potrebbero abbattersi ed anch’io.
Quindi, capitano, se la spiegazione che vi abbiamo forni-
to può esservi sufficiente, consiglierei di proseguire ol-
tre. Concorderemo con voi nuovi accordi per il varco dei
confini nei vostri territori, fintanto che l’Ehal è disperso,
161
perché un indagine è necessaria. In cambio di questa
cortesia, aiuteremo la vostra gente a rendere nuovamen-
te sicuro Campo Verde.» riprese Erim, il quale appena
ebbe finito di parlare, tornò in piedi accentrandosi al pi-
lastro.
Il consiglio proseguì e, fino al calar della sera, nessuno
abbandonò la sala.
Le idee sul da farsi, erano costantemente contrapposte;
Alla fine anche Ehlan fu coinvolto nelle discussioni,
perdendo quell’ansia fastidiosa che l’aveva tediato
all’inizio.
162
«E se andassi…» d’un tratto un rumore di ramoscelli
secchi spezzati gli giunse all’orecchio. «Maledizione!»
commentò, serrando le labbra.
Scattò via, cercando di immergersi all’interno del bo-
sco, dove c’era ancora meno luce e certamente avrebbe
potuto nascondersi meglio. Si voltò per vedere se qual-
cuno stesse giungendo da dietro e tutto avvenne in un
attimo: quando tornò a guardare davanti, per poco non
finì contro due guardie armate e dallo sguardo freddo.
S’ergevano imponenti ed immobili come due statue,
illuminate dalle luci delle fiaccole.
Qualche secondo dopo, anche da dietro ne giunsero al-
trettante.
«Non muoverti oltre!» sentenziò una di loro. «Sei in ar-
resto per aver varcato confini proibiti! Ti consiglio di
collaborare, ora.» s’espresse severamente, avanzando
verso la figura.
L’estraneo sollevò il suo bastone e la guardia si bloccò
«Mi spiace, ma non posso fermarmi proprio ora.»
D’improvviso venne sprigionata una luce abbagliante
che si espanse nel bosco ed accecò le guardie. Le iridi
erano indolenzite dal forte bagliore e quando furono fi-
nalmente in grado di vedere, la figura era scomparsa.
«È un mago! Trovatelo!» urlò il capo delle guardie.
Nel mentre, quell’intensità luminosa aveva attirato
l’attenzione di altri gendarmi rimasti di ronda attorno al
palazzo ed in una frazione di secondi era già scattato un
allarme generale e tutti rimasero in guardia.
La misteriosa figura incappucciata iniziò a correre sul
ponte, andando incontro agli elfi armati. Essi s’avvidero
della sua presenza e puntarono le lunghe lance verso di
lei, sbarrandole la strada.
«Non ho altra scelta, ormai!» commentò sbuffando.
163
Ancora una volta, sollevò l’asta magica e recitò poche
deboli parole, senza mai fermarsi.
Quando puntò il bastone verso di loro, iniziò a scaglia-
re un raggio d’acqua ad alta velocità, tale da investire
ambedue i gendarmi e spazzarli via dal torrente in rica-
duta. La pressione s’imprimé con violenza contro
l’ampia porta e ruppe i cardini, spalancando l’ingresso al
corridoio, il quale venne immediatamente allagato.
L’incanto cessò e la figura proseguì senza mai fermarsi,
ma qualcosa non andò come sperava: iniziò a rallentare,
i suoi movimenti si fecero ciondolanti, confusionari e ri-
schiò d’inciampare più di una volta.
C’erano guardie che le correvano incontro, mentre av-
vertiva il passo di altre chiuderle la strada da dietro.
Se pur con passi incerti e faticosi, continuò ad avanzare.
Appena s’accorse della loro presenza, cercò di usare
nuovamente l’incanto, ma la lunga asta gli venne strap-
pa via da un colpo di lancia.
«Non hai più scampo, questa volta!»
La figura s’accasciò a terra esausta, cadendo sullo stes-
so laghetto che aveva creato con il proprio incanto. In un
baleno si ritrovò le lance puntate al collo.
Sollevò le mani in segno di resa.
165
I Custodi
166
Alynal riaprì gli occhi e stese la sua mano per afferrare
l'oggetto, che al suo tocco immediato si tramutò in un
ottaedro nero e luccicante.
Ad occhi inesperti avrebbe avuto tutta l’aria di essere
una gemma preziosa, ma non all’esperta vista di Erim, il
quale ghignò.
«Io porto a voi l'Eahl, custodito dagli uomini da ottan-
tanove anni fino ad ora.» disse, aprendo la mano e mo-
strandolo a tutti: esso fluttuava a mezz’aria senza toccar-
la, pulsava letteralmente di energia brillante, poi que-
st’ultima s’affievolì quasi del tutto.
Ehlan osservava colmo d’ira, ma almeno per allora non
disse nulla, anche se lo sguardo con cui avrebbe colpito
la ragazza, poteva far più male di mille parole.
Il signore di Lor Enossil fece un passo avanti.
«Ottimo, ora potete arrestarla!»
Alynal sussultò.
«E portatemi l’Eahl, voglio esaminarlo di persona.»
«Cosa?!» domandò lei stupefatta.
Erim soffiò via dell’aria dalle labbra e si fece nervoso.
«Voi avete infranto le leggi del mio popolo, avete var-
cato confini proibiti, vi siete intrufolata nell’alto consi-
glio ed avete lanciato un incantesimo all’interno di que-
sta sala. Dovreste ringraziarmi di non aver già ricoperto
il pavimento con il vostro sangue!» sentenziò.
Le guardie si raggrupparono ancora verso la ragazza.
«No!» s’alzò il capitano, avanzando verso di lei. «
Questa ragazza ha portato a termine la sua missione,
unica portatrice di questo Eahl, scelta dallo stesso reg-
gente. Io chiedo che venga ammessa a questo consiglio.»
«Ha infranto le leggi del mio popolo.» ripeté Erim.
«Questo è vero ma, in qualità di essere umana, chiedo
che la scelta della sentenza per le sue azioni venga affi-
167
data ai suoi rappresentanti nella Lega Bianca.» parlò si-
curo di se. «Inoltre, come membro del consiglio, è mio
diritto e nominare altri membri come miei personali
consiglieri ed io nomino, Alynal Ulder, come Prima In-
cantatrice di Thilia. Purtroppo la decisione deve essere
presa dal Consiglio dei Maghi della nostra lega, ma fino
ad allora, ella rimane sotto la mia protezione.»
Erim avanzò verso il capitano con aria minacciosa e fu-
rente.
«Voi non avete quest’autorità, all’interno della mia Ca-
sa, per giunta.»
«Strano, invero.» sorrise, sollevando appena l’angolo
delle labbra. «Sembrava che lo fossi fino a qualche ora fa.
Se sono in grado di parlare per la Lega Bianca, lo sono
anche per impugnare ogni singolo diritto dovuto alla
mia persona diplomatica. Sarà compito degli uomini de-
cidere della sorte della ragazza.» commentò.
Il signore degli elfi s’abbassò, avvicinando il proprio
volto a quello di Ehlan.
«Attento, capitano, che la vostra nuova condizione non
vi porti ancora ad affrontare la mia pazienza.» parlò più
calmo ora. «Così sia, conducete la ragazza da lui, pren-
derà parte al consiglio come consigliera del capitano
Ehlan, a patto che non resti a Lor Enossil per più del
tempo necessario. Da ora in avanti, ella è bandita da
questa città fino a quando non avrò notizie della sua pe-
na. La conseguenza, se ella dovesse tornare, sarà la mor-
te.» Erim tornò verso il suo trono. «Potete ritiravi.» rivol-
se quelle ultime parole alle guardie, prima di accomo-
darsi.
Alynal venne trafitta dallo sguardo severo del
mezz’elfo, il quale le indicava il posto a sedere. La ra-
gazza era ancora ciondolante, tuttavia camminava a te-
168
sta alta tra i presenti e non sembrava preoccuparsi della
propria sorte.
«Riprendiamo il consiglio, abbiam perduto abbastanza
tempo!» tra i presenti c’era qualcuno che borbottava la-
mentoso, ma si zittì appena Erim riprese a parlare.
«Raccontateci di come siete venuta in possesso
dell’artefatto, messaggera.»
La ragazza venne subito interpellata e voltò gli occhi
sfarfallanti verso Ehlan, il quale gli rispose con un cenno
d’assenso.
«È stato il reggente Hant Gyar a darmi l’Eahl. È venuto
da me in preda alla disperazione e mi ha supplicato di
aiutarlo a portare qui l'artefatto. Mi ha mostrato
l’incantesimo per nasconderlo dentro la mia asta al posto
della vera pietra magica.» rispose pacata.
«E come siete riuscita a giungere fin qui?» domandò
ancora.
«I Mog-hown mi hanno inseguita sino a spingermi nel
cuore della Zona Verde, quindi mi sono nascosta fra i
cadaveri che ho trovato nella foresta.» il suo viso era di-
sgustato. «Per due lunghi giorni non mi sono mossa e ho
atteso, ho pregato e resistito. Sono riuscita a raggiungere
i confini alti del bosco e sono stata trovata da uno dei
vostri gruppi.»
Subito dopo tirò fuori dalla sua tasca la vera pietra ap-
partenente al bastone e, semplicemente portandola vici-
no al triangolo, riprese a fluttuare nella sua area.
«Imprudente.» disse poi Trahnol «Il Primo Incantatore
Hant Gyar è stato davvero imprudente questa volta. La
sconsideratezza mostrata nell’affidare un simile artefatto
nelle mani di chi non è addestrato a portarlo, è la prova
di quanto la Lega Bianca sia inaffidabile!» commentò
brusco.
169
«Onestamente, non credo che se fosse stato affidato ai
nani si sarebbero mossi a tale compassione e probabil-
mente ora la Chiave sarebbe nelle mai dei Mog-hown.»
intervenne Ehlan.
«Questo non cambia nulla.» replicò l’elfo.
«Questo cambia molte cose, invece.» parlò Alduhrim.
Il mago si portò nuovamente al centro della sala e ruo-
tò, osservando i presenti uno ad uno.
«Abbiamo l’Eahl.» proferì ancora Trahnol. «Non è più
necessario per gli umani trovarsi qui.» indicò in direzio-
ne del mezz’elfo e dell’umana.
«I Piani Selvaggi rimangono la nostra priorità.» rispose
Gahlatil, un altro degli elfi presenti.
«Per quale motivo?» domandò sbuffando.
«Mi sorprende vedere che la tua mente ingegnosa non
abbia riflettuto su questo. L’Eahl è custodito dagli esseri
umani ed è ancora a loro che spetta questo compito.
Qualsiasi interruzione dei cento anni equivale ad infran-
gere il Patto di Ac Ghat En, ed agli umani spettano anco-
ra undici anni.» spiegò.
Ehlan sorrise verso Trahnol con fare vittorioso, sem-
brava infatti che per una volta i vecchi patti si battessero
a favore degli umani.
«Basta, si sta facendo tardi ed è ora di iniziare a stilare
un accordo. Bahlanos, ti vedo pensieroso e per di più
non ho quasi udito parola da te, da quando il consiglio
ha avuto inizio.» parlò Erim stancamente, massaggian-
dosi le tempie.
«Avete ragione, mio signore,» rispose l’elfo, ridestan-
dosi dai propri pensieri «ma credo che ci stia sfuggendo
qualcosa.»
«Spiegati meglio.» disse Alduhrim
Bahlanos si levò in piedi rivolgendosi a tutti i presenti.
170
«Sono ormai più di mille anni che questa guerra incar-
na le nostre paure, troppi anni. Al tempo dei quattro re-
gni, altre guerre devastavano il continente ed avevamo
tutti lo scopo di conquistare ed espanderci. Quello fu
anche l’inizio della Grande Guerra contro l’Ehlasihm.
In un certo qual modo, questo nemico ha dato ai nostri
popoli un motivo per il quale riunirsi e lottare insieme.
Non sappiamo chi sia, ma sappiamo che ha enormi pote-
ri: attira le anime dei morti per farne i suoi schiavi. Van-
no verso di lui come mosche nella ragnatela. Più noi mo-
riamo, più lui diventa forte.
Per contrastare i suoi poteri, gli arcimaghi crearono un
ordine di potenti incantatori, votati a purificare le anime
dei morti prima ancora che venissero da lui assorbiti, co-
sì nacquero i Maghi di Faer, più comunemente conosciu-
ti come Maghi degli Spiriti.
Poco tempo dopo, il regno di Ankarat sfidò da solo
l’esercito dei Mog-hown, demoni sanguinari, e cadde in
rovina.
Fu allora che Acrossil approfittò della pesante sconfitta
per distruggere quanto restava del regno umano e resero
gli uomini senza bandiera.»
«Tutti conosciamo la storia, dove vuoi arrivare?» do-
mandò Erim.
«Questa non è una guerra come noi interpreteremmo
quella tra i nostri popoli, è un lento massacro. L’ Ehla-
sihm non si è mai dimostrato desideroso di conquista, le
uniche parole che gli furono udite pronunciare lo con-
fermano: “La vostra vita non è altro che un illusione e vi
renderò tutti schiavi.”» Bahlanos si interruppe qualche
secondo.
«Sono pronto a scommettere che il Nemico mirasse
proprio all’Eahl: vuole amplificare il proprio potere.» La
171
voce dell’elfo cessò, lasciando un improvviso silenzio.
«L’Eahl rimane la nostra priorità, la Lega Boscosa e la
Lega Bianca dovranno collaborare per evitare che
l’Ehlasihm ne venga in possesso. Non c’è altra scelta.»
terminò, guardando il mezz’elfo.
«Se quest’artefatto è così prezioso da spingere i Mog-
hown sino ai Piani Selvaggi, forse la miglior
soluzione sarebbe quella di distruggerlo.
Ammettiamolo, ormai non è più un grande garante di
quest’alleanza: i nani aspettano solo la giusta occasione
per sciogliersi.» disse Ehlan.
«Non è così semplice, distruggere un artefatto di tale
fattura.» intervenne Erim «Essendo un’essenza, rinasce-
rebbe con una nuova forma e posizione, correndo il ri-
schio di cadere nelle mani nemiche.»
«Sia ben chiaro: non firmerò un patto che imporrà alla
Lega Bianca altri anni di soprusi e tributi da versare. Sul-
la base di ciò, quale collaborazione andate cercando?»
«Avete udito i nostri esperti?» domandò retorico il si-
gnore di Lor Enossil «Concedeteci l’artefatto in gran se-
greto, mantenetelo per il resto degli undici anni ed il mio
popolo aiuterà la vostra gente. Invierò materiali, cibo e
guaritori, in cambio del vostro silenzio.»
Il mezz’elfo si fece riflessivo. L’Eahl non valeva certa-
mente il prezzo della vita della sua gente, era quasi stu-
pito dalla vantaggiosa proposta. Storse le labbra, inspi-
rando profondamente: sembrava stesse cercando qual-
che trucco nascosto nelle semplici parole dell’elfo. Si vol-
tò in direzione della ragazza, allungando il collo verso di
lei.
«Sai cosa sta succedendo, vero?» le domandò a bassa
voce. «Sto per prendere una decisione che cambierà
172
l’aspetto politico della Lega Bianca. Pensi debba accetta-
re?»
Alynal fu visibilmente sorpresa da quella domanda.
Sfarfallò gli occhi e bofonchiò qualcosa di incomprensi-
bile.
«Chiedi il mio consiglio, capitano? Lady Stormbein ed
il resto del consiglio ci faranno impiccare se prendessi-
mo decisioni sbagliate. Non avresti dovuto accettare di
prender parte a questo compito. Io sono già abbastanza
nei guai, non farmi entrare ulteriormente nella questio-
ne. Se il signor Gyar l’ha mandato qui, deve esserci un
motivo. So solo questo.»
«Grazie per l’aiuto.» commentò deluso.
Ehlan si alzò in piedi e guardò i presenti, sostenendone
gli sguardi uno ad uno. Il suo volto indossava una ma-
schera invisibile da quando aveva preso parte al consi-
glio; sembrava calmo e posato, come se non fosse il pri-
mo, ma nella realtà il cuore gli tamburellava nelle tem-
pie. Solo il suo sangue freddo gli permetteva di non ren-
derlo visibile.
«Accettiamo queste condizioni, a patto che da oggi, Lor
Enossil interrompa subito la richiesta di tributi e ci ven-
ga riconosciuta la nostra bandiera dal popolo degli elfi
dei boschi.» parlò spedito.
Trahnol cercò di contenere una risata, ma gli riuscì ma-
le.
«Ridicolo!» commentò a bassa voce.
Ora tutti volsero la propria attenzione verso il loro si-
gnore, eccetto quell’elfo bellicoso, il quale continuò a fis-
sare Ehlan.
«Così sia!» Erim parlò.
«Cosa?» domandò Trahnol, strabuzzando gli occhi.
173
«Silenzio, il nostro signore ha preso la sua decisione!»
rimproverò Alduhrim.
«Da ora in avanti, Lor Enossil riconosce la Lega Bianca
come sua pari tra le altre fazioni. Non possiamo parlare
per conto dei nostri fratelli del nord, ma converremo en-
trambi che da oggi i nostri due popoli inizieranno un
nuovo cammino insieme.»
Il capitano annuì appena sorridente, sempre speranzo-
so di aver preso una saggia decisione. In quel momento
non riusciva a pensare a quale sarebbe potuta essere la
reazione dell’alto consiglio umano, ma era meglio non
smarrirsi in tali labirintici corridoi della mente.
Cercavano di distaccarsi da anni, era un successo, ai
suoi occhi.
«Manderò messaggeri a Duhregoul, informando i ghor
dan delle novità. Il consiglio è sciolto da questo momen-
to, potete abbandonare la sala.»
Gli elfi si alzarono in piedi ed uno ad uno mossero i loro
passi verso il portone. Tra di loro s’udivano commenti
più o meno positivi, non sembrava fossero tutti concordi
con quella decisione.
«Che il Comandante Aelon, Alduhrim, Bahlanos, si trat-
tengano qui per definire i contorni di quest’accordo as-
sieme ai rappresentanti umani. Mandate a chiamare lady
Luine, poi lasciateci soli.»
Trahnol aveva uno sguardo ricolmo d’ira e tra i tanti fu
il solo a rispecchiarsi in quello del mezz’elfo. Egli fu
l’ultimo ad abbandonare la sala, lasciando trapelare solo
un perfido ghigno.
Ehlan non poté che ritenersi soddisfatto per quanto fos-
se riuscito ad ottenere e forse trovò normale tanto astio
da parte dell’elfo, anzi, si poteva dire che ne fosse quasi
entusiasta.
174
Sebbene credesse di aver terminato quell’esasperante
confronto, l’illusione durò per poco, poiché, a quanto
pare, avrebbero dovuto far nottata. Sbuffò copiosamente
aria dalle labbra; la notte stava avanzando e lui si era
stancato di restarsene seduto su quella fredda roccia.
Ancora non riusciva a comprendere come fosse riuscito
a rimanerci per così tanto tempo.
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ruolo di Comandante, che verrà affidato a Bahlanos.
Questa è la mia decisione.»
«Mio signore…» questa volta fu Alduhrim a fare un
passo avanti, portandosi al suo cospetto.
«So bene cosa vuoi dirmi. Non sprecare parole.» appe-
na Erim ebbe finito di parlare, lanciò la gemma in dire-
zione di Aelon, il quale poté afferrarla al volo con gran-
de agilità.
«L’intero esercito non potrebbe mai farsi strada per le
terre dei nani o in quelle degli uomini, ma un piccolo
gruppo di persone potrebbe passare inosservato e giun-
gere agli angoli più remoti di questo continente. Nei
tempi delle guerre, per sigillare il patto fatto dalle leghe,
ad ogni regione, venne affidato il compito di custodire la
Chiave, e di proteggere i sigilli del nostro mondo.
All’interno dei quattro templi di Gaia, dove gli Acros
sacrificarono loro stessi, riconsegnando l’energia divina
al cuore del mondo: uno, oltre le lontane terre di Duhre-
gol, sotto la custodia dei ghor dan, uno a sud, verso le
vecchie città estese di Ankarat delle terre umane, uno
all’antico regno degli elfi del fiume, ormai scomparso
dopo l’inondazione nelle terre di Aiatihl, ed uno stazio-
na nelle terre vicine di Arc Dumil.
Così facendo, il Nemico non sarebbe mai giunto alle fon-
ti energetiche, poiché mai avrebbe potuto contrastare
tutte e tre le razze custodi del mondo.»
«Mi state concedendo l’Eahl?» domandò Aelon con aria
stordita.
Ehlan osservava con grande interesse, così come per
tutto il tempo aveva seguito il discorso dei due.
«Io ti sto permettendo…» rispose, piegando le labbra in
un sorriso «Di rubarlo, ma certamente sarebbe sconve-
niente se il comandante in carica di Lor Enossil fosse il
179
suo rapinatore. Questa città ha ed avrà sempre bisogno
di una figura a capo dell’esercito. Tutto questo ti sarà
permesso solo se sarai in grado di indicarmi gli altri cu-
stodi.»
Una forte folata di vento entrò nei meandri della sala,
facendo smuovere le foglie: era come se una strana e ve-
lata presenza si celasse, ora, nelle penombre della sala.
Si creò un improvviso silenzio e fu quasi inquietante.
Aelon non aveva la minima idea di chi potesse aggiun-
gersi ad una tale missione, né sapeva quanti ce ne sareb-
bero voluti. Chiunque avesse accettato, non sarebbe sta-
to considerato un onorevole avventuriero, bensì un la-
dro, un usurpatore, qualcuno con una taglia sulla testa
t