Leggendo il passo su La peste di Atene del De rerum natura di Lucrezio e
la trattazione sulla peste che svolge Tucidide ne La guerra del Peloponneso è possibile notare varie analogie e differenze. È doveroso sottolineare che Lucrezio trae spunto dalla descrizione tucididea e, in alcuni casi, traduce in latino passi interi di Tucidide. Entrambi operano una descrizione della peste sia dal punto di visto sintomatologico - patologico che dal punto di vista delle conseguenze fisiche, psicologiche e culturali che tale morbo provoca. Tuttavia, nella trattazione tucididea si nota subito un rigore scientifico nella descrizione, a differenza di quella lucreziana più soggettiva ed enfatica negli aspetti cruenti della malattia. Lucrezio, infatti, in quanto filosofo epicureo, spiega la peste come agglomerato di atomi che, partiti dall’Egitto e viaggiando nell’aria, diffondono il male. In entrambi, comunque, si legge che la peste provocava eruzioni cutanee localizzate sugli arti e nell’area genitale, che conducevano alla necrosi dei tessuti e alla conseguente amputazione, febbre elevata, disturbi intestinali (nello specifico dissenteria), spasmi, nausea (accompagnata da rigurgiti frequenti), arrossamento degli occhi che in alcuni casi culminava con la perdita totale della vista, bruciori alla gola, rigonfiamento della lingua, tosse, alito fetido e psicologicamente sgomento, disperazione, ansia, pianto e stati confusionali, che culminavano nell’oblio di tutte le cose. In ambedue le opere si legge che le città erano ricolme di cadaveri abbandonati per le strade o ammassati nei santuari, poiché non si celebravano più le esequie e non si praticavano più le sepolture. Si legge, infatti, in Tucidide: «Tutte le consuetudini seguite in passato per le esequie furono sconvolte; ciascuno provvedeva alla sepoltura come poteva. Molti, mancando del necessario, …, compievano l’opera di sepoltura in modo vergognoso, utilizzando pire che erano già state innalzate per altri cadaveri». Pertanto, si può dire che si assiste ad una crisi valoriale, dato
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che la celebrazione delle esequie contraddistingueva la civiltà delle popolazioni dall’inciviltà. Un altro elemento comune esposto è l’impotenza dell’uomo e della medicina nella cura del morbo. Tuttavia, se in Tucidide vediamo un possibilità di recupero della salute che lascia in una condizione catalettica e di oblio il paziente, in Lucrezio vediamo la guarigione non è contemplata. Lo scenario descritto con dovizia di particolari da Lucrezio e Tucidide si rispecchia parzialmente con l’epidemia da Covid-19 che caratterizza l’anno che stiamo vivendo. Emerge la sospensione della celebrazione delle sacre esequie e la conseguente ripresa, ma con numero ridotto, al fine di evitare assembramenti. Altra caratteristica comune è l’abbondanza di cadaveri e di morti che riporta alla mente le immagini dei camion carichi di salme che venivano sepolte senza ricevere una benedizione. Altra comunanza è il rifugiarsi nelle case da parte dei cittadini al fine di evitare i contagi e, in molti casi, l’abbandono di persone anziane onde evitare il contagio. Una differenza che si nota è l’utilizzo di applicazioni per svolgere videochiamate e meeting che permettono comunque di potersi incontrare virtualmente, attutendo il “colpo” causato dal distacco dai nostri affetti e dalla nostra quotidianità. Tutto ciò, però, ci permette di capire quanto un essere invisibile, per l’uomo, è capace di rivoluzionare la quotidianità e contro cui, purtroppo, non si può fare nulla, poiché esso può essere debellato, contrastato, ma non eliminato del tutto.
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