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e

Friedrich Nietzsche

La nascita della tragedia


Edizione commentata
3 cura di Vmcenzo
Vitiello e Ettore Fagiuoli
Traduzione di Umberto Fadini

Ql Brun 0 Mon dadori

h
r

La presente edizione riproduce il t~to dd seguen~e, volwn~: .


F. Nietzsche, La nascita della tragedia ovvero Greetta e pesszmzsmo,
in F. Nietzsche La nascita della tragedia. La filosofia nell'età tragica dei Greci,
Verità e menzo~na, trad. it. di Umberto Fadini, Ferruccio Masini,
Sergio Givone, Newton Compton, Roma ~991. . .
In alcuni luoghi la traduzione è stata modificata dai curaton.

Titolo originale: Die Geburt der Tragodie

© Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori spa 1996

Tutti i diritti riservati


© 2003, Pearson Paravia Bruno Mondadori S.p.A.

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www.brunomondadori.com
l
e
70 Nietzsche

dai suoi simili! 26 Con quale stupore dové guardare a lui il Greco
apollineo! Con uno stupore che era tanto più grande, quanto più si
mescolava ad esso l'orrore del fatto che tutto ciò non gli era poi
così estraneo, anzi che la sua coscienza apollinea gli celava que-
sto mondo dionisiaco soltanto come un velo.

26. Questo passo è assai significativo. origini. Il linguaggio razionale ha ucci-


Nella condizione dionisiaca è possibile so tutti gli altri linguaggi, non ha per-
recuperare "altri" linguaggi, altre di- messo lo «scatenamento totale di tutte
mensioni espressive ormai inaudite per le forze simboliche».
una cultura che ha rimosso le proprie

SCHEDAS

La radice comune
di apollineo e dionisiaco
Nel secondo paragrafo della Nascita della tragedia
Nietzsche approfondisce il tema della contrappos1Z10-
ne/conciliazione fra apollineo e dionisiaco, portando l'at-
tenzione sul «momento più importante nella storia del
culto greco», e cioè su quella prima «riconciliazione» fra
le due divinità che contiene in nuce gli elementi che sa-
ranno propri della tragedia. Nella scheda precedente ab-
biamo messo a fuoco alcuni tratti generali delle due divi-
nità e il ruolo che esse giocano all'interno del testo; in
quell'occasione abbiamo sottolineato con maggiore forza
le differenze piuttosto che i punti di contatto. Dobbiamo
ora soffermarci invece sulle analogie, segnalando in par-
ticolare la discendenza comune di apollineo e dionisiaco.
Questo nuovo punto di vista è indispensabile per com-
prendere il "mistero" dell'unione fra le due divinità 1 e
soprattutto per penetrare fino in fondo nel concetto niet-
zscheano di tragico. ·

~ll_ll' 3._113..~~i()l()~_ill.
Nella Nascita della tragedia Nietzsche indica con grande
chiarezza il luogo di reciproca appartenenza e di fusione

1. Nella Nascita della tragedia svolge ancora un certo ruolo la categoda


romantica e schopenhaueriana, ma anche hegeliana, dell' Uno, della sinteSi;
categoria con la quale Nietzsche si confronta non senza ambiguità , fascina-
zione e lotta.
1111
La nascita della tragedia 71

fra apollineo e dionisiaco: esso è l'impulso, l'istinto, la


natura. Apollineo e dionisiaco, afferma Nietzsche, sono
fenomeni fisiologici, «impulsi artistici della natura».
Cerchiamo ora di chiarire il senso e la portata di questa
affermazione.
Un aiuto essenziale ci viene dalla interpretazione heideg-
geriana della filosofia di Nietzsche (sulla cui falsariga si
muovono poi quelle di Deleuze, Fink e altri). I termini di
questa interpretazione si possono riassumere nel modo
seguente: è chiaro che se guardiamo l'apollineo non nei
suoi effetti, nelle sue forme di manifestazione più ecla-
tanti (l'arte plastica, la forma, la rappresentazione, sino
alla nascita della coscienza moderna), ma nell'intimo del
suo essere, ravvisiamo che la sua condizione fondamen-
tale giace nell'istintualità, nel fatto che esso è, prima di
tutto, un impulso, un atto fisiologico. Sicché, attribuire al
dionisiaco tutto l'irrazionale, il magmatico caos della vi-
ta, e di contro, all' apollineo, l'aspetto razionale, la bella
forma, la staticità splendente, è per lo meno riduttivo, ed
è forse il frutto di una lettura che ancora risente dell' in-
fluenza kantiano-schopenhaueriana. Heidegger ci induce
invece a sostare con attenzione sul fondo comune di Dio-
niso e Apollo: entrambi sono impulsi, modi dell'ebbrez-
za, e quest'ultima è lo stato fondamentale, la condizione
fisiologica di partenza. 2 Fra l'altro, la tesi di una comu-
nanza delle due divinità, che raggiunge il suo apice nella
conciliazione tragica, fu suggerita a Nietzsche anche dal-
la lettura degli studi sull' orfismo di Creuzer. 3 Detto que-
sto, bisogna evitare subito di omologare l'impulso niet-
zscheano alla Volontà di Schopenhauer, cercando piutto-
sto di esaltare le differenze che fin da ora, e poi via via
con sempre maggiore forza, allontaneranno l'autore della
Nascita dal filosofo di Danzica.
Ciò che separa radicalmente i due pensatori è una conce-
zione profondamente diversa della natura. Per Scho-
penhauer la natura occupa il grado più basso tra i diversi
livelli di oggettivazione della Volontà; di questo grado
l'uomo è partecipe in quanto corpo. Il corpo si trova in-
fatti a metà strada tra la Volontà o cosa in sé da una parte
e la rappresentazione o comprensione dall' altra; sicché è

i:···a;à·~~-i-c;;;~·;;;i;·d~~ii idoli Ni etzsche aveva precisato che i concetti


di apollineo e dioni siaco vanno «intesi come specie dell ' ebbrezza» (OFN,
VI, 3, p. 113).
3. Questa tesi è stata poi ripresa, al giorno d' ogg i, da Giorgio Colli.
72 Nietzsche

in grado di avere un rapporto immediato, quasi di iden-


tità, con la Volontà più di quanto non sia il soggetto co-
noscente. Si può dire allora che, per Schopenhauer, la
Volontà si fa corpo prima di divenire oggetto della co-
scienza. Nietzsche recepisce, per certi versi, la concezio-
ne della natura-Volontà come Ur-Ein ( «il misterioso Uno
originario»), come sostanza pulsante; ma ben presto si
allontana da questa suggestione, rifiutando l'interpreta-
zione della natura come espressione della Volontà, come
manifestazione di qualcosa che "sta dietro". Per Niet-
zsche non ci sono altre quinte dietro la scena o altri mon-
di dietro il mondo; il dualismo è anzi la negazione della
natura stessa e dell'arte come manifestazione degli im-
pulsi primari. La natura, per Nietzsche, non rinvia ad al-
tro da sé, non fa che manifestare se stessa: è uno-molti
(in una prossimità, a prima vista insospettabile, con la
Sostanza spinoziana). Non vi è altra realtà al di là di ciò
che si manifesta come pluralità dinamica di eventi, mul-
tiverso divenire di centri di forza. Nietzsche è vicino alla
concezione greca, e più precisamente eraclitea, della
physis; physis che per lui è poi sinonimo di vita, bfos.
Con tale concezione, l'autore della Nascita della trage-
dia si colloca già in una posizione "al di là del bene e del
male": la physis, la vita della natura, non ha nulla di mo-
rale, è un'esplosione agonale di monadi, di prospettive
(quella che sarà più tardi la volontà di potenza). La vita
assomiglia all'Elena di Gorgia: è innocente serenità, as-
soluta mancanza di colpa, incoscienza. È la turgida as-
senza del principio di ragione. Come ricorda il saggio Si-
leno, è la coscienza - non la natura - la fonte di ogni do-
lore, l'istitutrice del buono e del cattivo, della storia. La
natura, al contrario, non ha storia; è un atto dinamico-
creativo senza tempo: ed è in questo senso che gli impul-
si della natura sono impulsi artistici. 4
L'interpretazione nietzscheana della natura come physis
si avvicina da un lato a quella teleologica (incarnata da
Aristotele, Leibniz, Schelling) e dal!' altro a quella mate-
rialistica (Democrito, Hobbes, La Mettrie), anche se la

4: RÌr~~c~d~; i ;j ;i~~ifi~~~ greco di physis in quanto genesis (l'origine di


un processo) e in quanto phyesrai (lo svolgersi, il produrSi come crescita). F.
Masini parla di «alto del produrre» come « ..fisiologia'' trascendentale» (cfr.
lo scriba del Caos. Interpretazione di Nietzsche, il MuLino, Bologna 1978,
pp. 93-110); ma già A. Bacumler, in Nierzscl1e, der Phi/osoph und Politiker
(Lipsia 193 I J, aveva attirato l'attenzione sul corpo come unità trascendentale.
La nascila della tragedia 73

vicinanza rispetto a quest'ultima è più marcata: lo testi-


moniano la grande influenza che ebbe su Nietzsche la
lettura, nel 1866, della Storia del materialismo di Lange
e il marcato interesse per Democrito che emerge dagli
appunti del 1867-69.

Natura e trascendentale
Possiamo a questo punto concludere la nostra analisi, ri-
chiamando ancora una volta tutta l'importanza e la
straordinaria potenzialità interpretative racchiuse nel ri-
ferimento agli impulsi, ai "fenomeni fisiologici" del dio-
nisiaco e dell'apollineo. Essi assumono lo stesso signifi-
cato che ha in Kant la dimensione del trascendentale; con
la differenza che non si tratta di un trascendentale logico
bensì naturale, di un "trascendentale fisiologico" che in-
tende porsi a un livello più profondo di originarietà.
La physis si configura dunque come trascendentale del
trascendentale, come luogo, per dirla con Husserl, del-
1' «esperienza pura», non corrotta dalla coscienza-razio-
nalità. È un trascendentale che, come un grimaldello,
scalza e fa saltare le indagini storico-razionali troppo in-
timamente legate al concetto di sviluppo, al mito della
storia come unum, progresso lineare basato sulla conti-
nuità cronologica e quindi sul nesso causa-effetto. 5
Da tutto ciò pensiamo risulti con una certa chiarezza co-
me al livello della scaturigine originaria sia errato mante-
nere una rigida distinzione tra apollineo e dionisiaco, dal
momento che essi non sono che rami differenti di un me-
desimo ceppo, l'impulso. Sicché, se il dionisiaco è com-
prensibile solo riferendolo alla vita come forza impulsi-
va, e cioè alla dimensione della physis, anche l'apollineo
non può sottrarsi a questo destino.
Apollo e Dioniso sono legati da un vincolo di fratellanza,
parlano la medesima lingua: «Dioniso parla la lingua di
ApoJlo, ma infine Apollo parla la lingua di Dioniso. Con
ciò è raggiunto il fine supremo della tragedia e dell 'arte
in generale».6

i ·fu ·q~·~ ;; ·~riti~;·d~Ì·~~~~~tto di svìluppo sono riconoscibili le b~ i teore-


tiche del futuro saggio nietzscheano S1111 'urilità e il danno della stona per la
vita (OFN, ID, 1).
6. La nascita della tragedia, p. 220.
78 Nietzsche

.... .... .... ...... .


SCHEDA6 ...... .. ..... ......... ., ......... . . . ...~· ...' ... ' ' .. .'
· ·· · · ········"• ' '' ' ' ' '''''' ' ''' ' "'" ' ' " ' ' ''

La polemica contro I.a filologia


e il metodo genealogico
I primi paragrafi della Nascita offrono già un _quadro be_n
definito del metodo di analisi che Nietzsche mtende uti-
lizzare per lo studio del mondo greco, e permet~ono al
lettore di cogliere immediatamente l' enorm_e . dist~~za
che separa l'approccio nietzscheano d_all~ tradlZl~n~h i~ -
dagini storico-~lologiche. ~on c' ~ qm~di da s?1prrsi se il
mondo filologico accaderruco, all uscita del hbro, lo ac-
colse con un silenzio quasi totale - segno di un abisso di
linguaggio e di senso ormai insuperabile.
Gli unici echi pubblici si dovettero agli interventi dell'a-
mico di Nietzsche Erwin Rohde, una vera e propria entu-
siastica partecipazione, del giovane filologo Ulrich von
Wilamowitz-Mollendorff, che attaccò il testo nietzsche-
ano travisandone sostanzialmente il senso, e infine del-
1' amico Wagner. 1

«Scienza estetica»,
~~()_r,i~~S.~()--~.~I_
o,I_o,~~~-.... ... ................ .
Già nell'incipit della Nascita della tragedia appare evi-
dente la rottura con la scienza filologica in favore di una
«scienza estetica» fondata essenzialmente sulla «intui-
zione». In questa contrapposizione, su cui Nietzsche non
si sofferma immediatamente, è in realtà contenuto tutto il
senso dell'opera. Porsi fin dall'inizio sul terreno della
«scienza estetica» significa infatti affermare che l'analisi
della civiltà greca svolta nel testo non è in funzione della
mera conoscenza storico-erudita di un mondo che non
c'è più, ma si configura come strumento essenziale per la
comprensione dell'essenza - eterna e immutabile - del
fenomeno artistico.
Per comprendere appieno la portata innovativa della me-
todologia nietzscheana, occorre metterla a confronto con
i due orientamenti culturali che hanno profondamente
improntato il mondo tedesco nella prima metà dell'Otto-
cento e con i quali Nietzsche deve inevitabilmente con-
frontarsi: lo storicismo e la filologia. Lo storicismo, cioè

1. Per un'articolata e chiara panoramica su ciò si veda l'esauriente Introdu-


zione di F. Serpa alla Nascita della tragedia, in Nietzsch R0 hd Willa-
. W La l · I e, e,
mow1tz, agner, po emica su l'arte tragica, Sansoni, Firenze 1972.
La nascita della tragedia 79

la concezione secondo cui la realtà è sempre realtà stori-


ca e la conoscenza è sempre determinata storicamente, ha
il suo più significativo rappresentante in Hegel, anche se
possiamo fare risalire i prodromi di questa tradizione alle
concezioni della storia di Lessing e di Herder, che antici-
parono quelle più mature del periodo romantico, in parti-
colare di Novalis, di Schlegel e di Schelling.
La filologia (i cui più famosi esponenti del tempo in am-
bito tedesco erano Hermann, Lachmann, Wolf, Bock,
Milller e Usener, del quale fu allievo Wilamowitz), cioè
la scienza che studia la storia del linguaggio, si intreccia
indissolubilmente con lo storicismo proprio per il fatto
che, come quest'ultimo, si basa sulla connessione logico-
causale, sulla ricerca di ciò che mette in relazione un ef-
fetto con una causa, su quella che Nietzsche definirà la
«mitologia cattiva» dell'oggettività. 2 In una pagina dei
suoi Appunti filosofici Nietzsche definisce la filologia
nei seguenti termini:

«Essa è sia storia, sia scienza naturale, sia estetica. - È storia in


quanto vuol comprendere nel suo sviluppo la vita complessiva di
popoli antichi; scienza naturale in quanto mira a sondare il più
profondo istinto dell'uomo, cioè l'istinto linguistico; estetica per-
ché, muovendo dall' ambito delle antichità, definisce la cosiddetta
antichità classica con la pretesa e l'intenzione di riportare alla luce
un mondo ideale sepolto, e di porgere al presente lo specchio dell'i-
deale».3

La presa di distanza di Nietzsche dalla filologia, solo ab-


bozzata nel brano che abbiamo citato, è duplice: da un la-
to egli rifiuta l'immagine classicistica e stereotipata del
mondo greco come "olimpo" ideale di armonia e sere-
nità; dall'altro prende atto del carattere per nulla " neutra-
le" della filologia come strumento d 'indagine del passa-
to. Nietzsche vede infatti il pericolo di una riduzione del-
la filologia a mero storicismo, a quella scomposizione
"antiquaria" che frantuma l'esemplarità di alcuni model-
li, relegandoli a pure reliquie di un passato ormai scom-
parso.
Fra il proprio approccio metodologico e quello della filo-

2. Su ciò si veda, in part.icolare, il § 6 de Sul/'milità e il danno della storia


per la vita (OFN. lll, I, p. 307).
3. F. Nietzsche, App11111i filosofici / 867-1869. Omero e la filologia cla.isi-
ca, a c. di G. Campioni e F. Gem11nnn. Adelphi, Mi luno J993. p. 205.
r

80 Nietzsche

logia Nietzsche ravvisa dunque una essenziale differenza


di finalità: «Non per il semplice fatto clre sia accaduta si
ha il diritto di fare ricerche su una cosa, ma perché que-
sto passato era migliore del presente e quindi funge da
modello»; ecco perché «il ruminare deve avere fine» . Al-
la filologia «mancano i grandi pensieri» e gli stessi filo-
logi vengono paragonati a «operai di fabbrica [che] per-
dono d'occhio il funzionamento del tutto». 4

-~.1~.1~-~.a..'.~ I~_s_ofica"
Per immergerci ancora più a fondo nelle tematiche della
cosiddetta polemica filologica, può esserci utile ricordare
rapidamente alcuni momenti cruciali nella vita di Niet-
zsche. Uscito dal collegio di Pforta nel settembre del
1864, Nietzsche diviene uno degli allievi prediletti del
grande filologo Friedrich Ritschl, seguendolo prima a
Bonn e poi a Lipsia, sino al conseguimento, nel 1869,
della nomina a professore straordinario di filologia clas-
sica presso l'Università di Basilea. Ma il periodo che va
dal 1864 al 1869 non è unicamente dedicato alla scienza
filologica; 5 è anche il tempo in cui Nietzsche scopre
Schopenhauer, si appassiona agli scritti di estetica di Wa-
gner e legge la Storia del materialismo di Lange: tutti
fatti che contribuiscono al lento ma progressivo allonta-
namento dal lavoro filologico, all'estraniamento da un
mondo che Nietzsche non sentiva come il proprio. L'al-
lontanamento sarà definitivamente sancito nel 1872 con
la pubblicazione della Nascita, che, come sostiene Serpa,

«non è tanto lo studio di un filologo (anche se è evidentemente so-


stenuto da doti di classicista) quanto una meditazione somma sulla
cultura tedesca della sua età e sui tre elementi che più decisamente
la caratterizzarono: il mito della grecità, il pessimismo romantico e
la musica di Wagner».6

Se a questo punto consideriamo lo sfondo culturale filo-


logico-storicistico a cui abbiamo accennato, e gli ele-
.. .. ... ..... . . . . . .. .. ' . ..
' ' ' '

4. Ivi, p. 13 I.
5. Un'analisi attenta dei primi passi filologici nietzscheani si può trovare in
L. Cataldi Madonna, li razionalismo di Nietzsche. Filologia e teoria della
conoscenza negli scritti giovanili, ESI, Napoli 1983. Molto importanti son~
poi i Frammenti postumi (1875-1876) in cui Nietzsche compie una sorta ~1
autoanalisi liberatoria, di definitiva chiarificazione del senso della filologia
e quindi di se stesso come filologo.
6. Cfr. F. Serpa, Introduzione a La polemica sull'ane tragica, cit. , P· 16.
La nascita della 1.rogedia 81

menti fondamentali dell'itinerario giovanile nietzschea-


no, possiamo avvicinarci a comprendere il senso forte
della svolta impressa dal giovane Nietzsche nei confronti
di un modo di interrogare, di rapportarsi al mondo di cui
anch'egli, per un certo periodo, si era fatto portavoce. Al-
lo sguardo storicizzante-oggettivante il filosofo oppone
la compenetrazione simpatetica, ali "'uomo teoretico"
contrappone l"'uomo intuitivo", a Wilamowitz Wagner.
Per Nietzsche la storia si fonda sulla theoria, la "cultura
storica" è figlia di quella "cultura teoretica" che relega la
vita a mero accidente, sostituendola con l'astrazione lo-
gico-scientifica. Lo sguardo teoretico limita il conoscere
al solo vedere: in tal modo esso spezza la totalità organi-
ca, riducendo il tutto al particolare, l'organicità corporea
al singolo elemento oculare; 7 sostituisce alla compren-
sione intuitiva la presa di distanza, la messa a fuoco che
isola e separa. Storicismo e filologia si trovano dunque
nel medesimo solco aperto dal socratismo-alessandrini-
smo, da quell"'idolatria del fatto" in cui affonda le pro-
prie radici l'epoca moderna: 8 l'età della barbarie, della
frantumazione e dello specialismo tecnico-scientifico.
Filologia e storicismo sono quindi incapaci di far fruttare
la propria attività di ricerca in quanto sono a priori privi
della visione d'insieme che sola dà un senso all'indagine
sul passato. Nel 1868 Nietzsche scrive:

«Se verso l'antichità abbiamo un atteggiamento storico, in qualche


modo la degradiamo: perdiamo l'elemento formativo. In genere noi
filologi siamo troppo vicini all'antichità classica, abbiamo troppa
confidenza con i particolari, per poter ancora provare nei suoi con-
fronti quel profondo desiderio, per poterne sentire tutto il profumo». 9

Ciò che Nietzsche vuole comunicare al lettore è che la fi-


lologia è valida e utile solo in quanto recupero autentico,
cioè profondo e creativo, del passato, e non in quanto
sterile frantumazione erudita: «la comprensione dei ca-
ratteri storici è possibile solo al senso poetico capace di

7. In questo senso. sin dalla Nascita della tragedia si assiste al grande re-
cupero della corporei tà, poi centrale in tutto l'opus nictzscheano. C fr. a que-
sto proposito L. Casini, La riscoperta ciel corpo. SchopenharU'r/Feuerbach/
Nin-.,sche, Studium, Roma 1990.
8. In queste analisi del moderno, già condi vise con Wagner. sono no1evoli
le affini1à con il Marx dl" i Manoscritti econamico-filosofici.
9. F. NicU:sche, Apprmti f ilosofici 186 7-1869. cit., p. 201.
82 Nietzsche

una nuova creazione». 10 Solo adottando questa prospetti-


va filosofica è possibile trarre dallo studio del passato
quei contenuti educativi che ne fanno uno strumento vivo
e attuale di comprensione della realtà.

Finalità e strumenti
~~·--~~~~°-- ~~~~~~~~~-°--------------------
La critica della filologia tradizionale rappresenta così
soltanto la pars destruens dell'approccio nietzscheano
all'antichità classica: mostrare i limiti di questo metodo
non è altro che la premessa necessaria per far compren-
dere al lettore il valore e la portata di quell'autentica fi-
lologia che è il metodo genealogico.
Studiare il passato significa per Nietzsche indagare le ra-
dici e le condizioni prime di esistenza di una data civiltà,
significa analizzare gli "oggetti" che la tradizione ci ha
consegnato ponendoci nei panni stessi dei soggetti che li
hanno prodotti; e tutto ciò è possibile solo abbandonando
i vecchi schemi disciplinari che anatomizzano il sapere, e
adottando uno sguardo che si allarga di volta in volta alla
psicologia, alla fisiologia, all'arte e così via. Il presuppo-
sto dell'intera indagine nietzscheanà sul mondo greco è
che non esiste un modo prefabbricato di analisi, poiché il
metodo va costruito in funzione dell'oggetto indagato,
per tentativi, azzardi ed esperimenti, senza alcuna scelta
o esclusione pregiudiziale. All'interno di questa prospet-
tiva metodologica, che si contrappone decisamente alla
pretesa oggettività-verificabilità del metodo scientifico
proclamato dal positivismo, si comprende bene il senso
dell'interpretazione nietzscheana dell'apollineo e del
dionisiaco come istinti naturali, e anche la necessità di
«smantellare pietra per pietra l'edificio della cultura
apollinea fino a vedere le fondamenta sulle quali si ba-
sa». Il metodo genealogico consiste proprio in questo
tentativo di analizzare e mettere in questione il luogo da
cui guardiamo al passato, gli strumenti stessi che acriti-
camente adottiamo per indagare sulla nostra storia. 11 È

IO. lvi, p. 87_


J J _Sul metodo genealogico di Nietzsche cfr. J.-M. Rey, La genealogia nietz-
scheana, in Storia della filosofia, a c. di F. CMtelet, voi. VI, Rizzoli, Milano
1975, pp. 95-119, e, dello stesso autore, L'enjeu des signes_ Lecture de Niet-
zsche, Éditions du Seui!, Paris 197 I. Si veda inoltre C. Sini, Semiotica e filo-
sofia. Segno e linguaggio in Peirce, Nietzsche, Heidegger e Foucault, il Muli-
no, Bologna 1978 e S. Natoli, Enneneutica e genealogia_ Filosofia e metodo
in Nietzsche, Heidegger e Foucault, Feltrinelli, Milano 1988.
- La nascita della tragedia 83

questo il senso profondo dell'operazione messa in atto


nella Nascita della tragedia: non un'indagine promossa
dalla ragione, ma una messa in questione dell'indagare
razionale, uno sguardo proiettato verso l'origine "prima"
della stessa comprensione logica.

Qui si deve ora pur dire che questa armonia contemplata così no-
stalgicamente dagli uomini moderni, anzi quest'unità dell'uomo
con la natura, per cui Schiller ha fatto valere il termine "inge-
nuo" ,42 non è in nessuna maniera uno stato così semplice da risul-
tare in sé evidente, per così dire inevitabile, e in cui noi dobbiamo
per forza imbatterci sulla soglia di ogni civiltà, come in un paradi-
so dell'umanità: ciò poté essere creduto solo da un'epoca che
cercò di figurarsi l'Emilio di Rousseau anche come artista, 43 e si
illuse di aver trovato in Omero un tale Emilio artista, educato nel
cuore della natura. Dove nell'arte incontriamo l "'ingenuo", dob-
biamo riconoscervi l'effetto più elevato della cultura apollinea:
quest'ultima avrà innanzitutto dovuto abbattere un regno di Titani
e uccidere mostri e, mediante potenti raffigurazioni chimeriche e
ardenti illusioni, esser riuscita vittoriosa su una tremenda profon-
dità della considerazfone del mondo e una eccitabilissima capa-
cità di dolore. Ma quanto raramente viene raggiunta l'ingenuità,
quel completo scomparire nella bellezza della apparenza! Come
inesprimibilmente sublime è perciò Omero, che, in quanto indivi-
duo, si rapporta a quella cultura apollinea come il singolo artista
sognante si rapporta al talento per il sogno del popolo e della na-
tura in generale. L"'ingenuità" omerica è da comprendere solo co-
me la completa vittoria dell'illusione apollinea: è questa un'illu-
sione come quella che la natura frequentemente adopera per rag-
giungere i suoi fini. Il vero scopo è coperto da un'immagine illu-
soria: noi tendiamo le mani verso questa, e la natura raggiunge
quello attraverso il nostro inganno. Nei Greci la "volontà" volle
contemplare se.stessa nella trasfigurazione del genio e del mondo
dell'arte; per glorificarsi le sue creature dovettero sentirsi come
degne di glorificazione, dovettero rivedersi in una sfera più alta,

42
• In tedesco, naiv. Sul con~~Ù~ ·di --~-~~;;,· E:mile ou de l'éducation (1762),
"ingenuo" vedi scheda 7. in cui il filosofo francese delinea i prin-
43. Il riferimento è al "romanzo peda- cipi di un'educazione naturale.
gogico" scritto da· Jean-Jacques Rous-
J e
104 Nietzsche

traddizione e al dolore originari nel cuore dell'uno primordiale


quindi simb~leggia un~ s~era che è al di s~pra e prima di ogni ;P~
parenza. Nei confronti d1 tale sfera, ogru apparenza è piuttost
soltanto un simbolo: perciò il linguaggio, come organo e simbol~
delle apparenze, non potrà mai e in nessun luogo proiettare all'e-
sterno la più profonda intimità della musica, ma rimane sempre
appena si accinga ad imitare la musica, solo in contatto esterior~
con essa, mentre neppure con tutta l'eloquenza lirica possiamo
avvicinarci di un solo passo al senso più profondo di essa. 6s

68. È qui echeggiata la concezione guaggio universale, come la custode


schopenhaueriana della musica (a sua degli ~<universalia ante rem>> (cfr. A.
volta ripresa da quella platonica: cfr. Schopenhauer, Il mondo... , cit., voi. II,
Fedro, 277c-278b) intesa come lin- pp. 353-355).

SCHEDA9
······················································ ·· ·············· ········ ······················ ··············································

Per una genealogia del linguaggio


La questione del linguaggio permea tutta la Nascita del-
la tragedia, anche se in maniera non organica. Si pensi,
per esempio, all'attenzione che viene dedicata alla genesi
della poesia(§ 5) e all'intima connessione di questa con
la musica, e si pensi ai diversi linguaggi che scaturiscono
dall' «intero simbolismo del corpo». Non a caso, a un :ni-
no di distanza dalla pubblicazione della Nascita, Niet-
zsche sentirà il bisogno di mettere definitivamente a fuo-
co la problematica del linguaggio, quasi rip~rt~do a
unità le riflessioni sparse nell'opera dei 1872: e il nsulta-
to sarà il saggio Su verità e menzogna in senso ex_tramo_·
raie. Che il linguaggio sia un luogo privilegiato di medi-
tazione sta a dimostrarlo l'intero corpus delle oper~
. h 1"ù urgenu
nietzscheane·' ma che sia tra le problemattc
• e·P lo stesso
già nella Nascita della tragedia lo testimoma
.. Edèuna
autore nel più tardo Tentativo di autocritica. bé
problematica che metterà in discussione, proprio p~rc e
sul linguaggio si basa, tutto l'impianto gnoseologico
morale della tradizione occidentale.

Il linguaggio: metafora e grido


·····································································
'fi · ento pre va~
Nel breve excursus che segue faremo n enm_ 50 ex·
lentemente allo scritto Su verità e menzogna in sen
- La nascita della tragedia 105

tramorale. In quest'opera Nietzsche scrive: «Che cos'è


una parola? Il riflesso in suoni di uno stimolo nervoso». 1
Quindi è la risultanza di un impulso: di «trasposizioni ar-
bitrarie» (willkiirlichen Ubertragungen), di «delimitazio-
ni arbitrarie» (willkiirlichen Abgrenzungen). Con il lin-
guaggio non si fa altro che designare «le relazioni delle
cose con gli uomini» ricorrendo «all'aiuto delle più ardi-
te metafore per esprimere tali relazioni».

«Uno stimolo nervoso, trasferito (iibertragen) anzitutto in un'imma-


gine: prima metafora. L'immagine è poi plasmata in un suono: se-
conda metafora. Ogni volta si ha un cambiamento completo della
sfera, un passaggio a una sfera del tutto differente e nuova.» 2

Da qui la questione:

«Che cos'è dunque la verità? Un mobile esercito di metafore, meto-


nimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che
sono state potenziate poeticamente e retoricamente, che sono state
trasferite e abbellite, e che dopo un lungo uso sembrano a un popolo
solide, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni di cui si è di-
menticata la natura illusoria, sono metafore che si sono logorate e
hanno perduto ogni forza sensibile, sono monete la cui immagine si
è consumata e che vengono prese in considerazione soltanto come
metallo, non più come monete». 3

Il linguaggio è un «rapporto estetico», una «trasposizio-


ne allusiva», per cui l'uomo è un «soggetto artisticamen-
te creativo»; il linguaggio nasce da un impulso, «quel-
· l'impulso (Trieb) a formare metafore, quell'impulso fon-
damentale (Fundamentaltrieb) dell'uomo da cui non si
può prescindere neppure per un istante, poiché in tal mo-
do si prescinderebbe dall'uomo stesso». E l'impulso, la
trasposizione (Ubertragung) non è poi altro che istinto
artistico inconscio,4 forza, dynamis, in una parola: me-

··· ····· ·· ·· ··· ···· ··· ····· ··· ····· ······· ··


I. F. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale, OFN, ID. 2,
p. 358.
2. lvi, p. 359.
3. lvi, p. 361.
4. Già a partire dall'inverno 1868-69 Nietzsche riflette sull' «istinto lin-
guistico»: cfr. Appunti filosofici 1867-1869, cit. e C. Crawford, The Be-
gi"nings of Nietzsche's theory of /a"guage. de Gruyter, Bcrlin-New York
1988.
r-:6 Nietzsche

taphora. s. Il linguaggio è metaforicità agonale che è sem-


pre tropica: kratos è tr6pos. Cioè: la forza (kMtos), la po-
tenza che si esplica nelle dinamiche del conflitto, si dà
sempre in modi (tr6poi) particolari, secondo caratteristi-
che uniche e irripetibili. E la forza è sempre e-motiva,
mossa da altro. Sicché, recuperare l'altro della provenien-
za significa scandagliare genealogicamente il gioco delle
dinamiche conflittuali. Come per l'analisi di una tonalità
all'interno di un brano musicale: la si comprende non iso-
landola bensì mostrandola nel suo articolarsi con le altre.
L'origine, la provenienza non è quindi un dato ultimo, il
fermo e sicuro zoccolo a cui aggrapparsi; essa è piuttosto
il divenuto, il profumo di ciò che ora si dà. Per cui, se si
pensa al linguaggio, centrale è l'oralità più che la scrittu-
ra, è il suono il «tono fondamentale» (Tonuntergrund) del-
le parole; di più: è il grido il «linguaggio puro del dioni-
siaco». E infatti è la musica, la sonorità, il grido il cuore
del coro da cui nasce la tragedia:
«Questa voce prima delle lingue, che precede la diversità degli idio-
mi, che è il linguaggio puro precedente ogni differenza e che si muo-
ve nell'universale, nella aderenza materiale del tono e della cosa
(l'emozione), questa voce si lascia udire come un grido. Un grido
che non arriverà nelle lingue se non affievolito, a distanza, incatena-
to nella rete complessa dei segni della lingua articolata». 6
Da qui la centralità della musica - «il vero linguaggio
universale», a cui si appellò, in senso metafisico, lo stes-
so Schopenhauer - rivendicata nella Nascita, attraverso
la mediazione wagneriana; da qui la priorità della sono-
rità rispetto al visibile, alla rappresentazione che rimuove
e seppellisce tutto il resto. Già nel Dramma musicale
greco Nietzsche sottolinea «il legame naturale tra lin-
guaggio parlato e linguaggio cantato», «la profondissima
unità di parola e suono».7

5. Sul tema della metafora in Nietzsche cfr. P. Lacoue-Labarthe, La svolta.


Nietzsche e la retorica, in "Il Verri", 39/40, 1972, p. 165, ma anche s. Kof-
man, Nietz:che e! la métaphore, Payot, Paris 1972. Per una panoramica più
generale s1 veda ti numero monografico su Nietzsche di "Nuova Corrente"
68-69, 1975-76. '
6. B. Pautrat, Versions du Soleil. Figures et système de Nietzsche Eclitions
du Seui!, Paris 1971 , p. 203. Un estratto di questo volume è conte~uto in "li
Verri", cit.
7. F. Nietzsche, Il dramma musicale greco, OFN, III, 2, p. 2 I. Su questo te-
ma cfr. M. Biancho!, L'infinito intrattenimento. Scritti sull " 'insensaro gioco
di scrivere ", Einaudi, Torino 1977 e M. Cacciari, Aforisma, tragedia, lirica.
in "Nuova Corrente", cit., p. 464.

I
La nascita della tragedia 107

La fo_
......
,
~-e.r,s.~~~-!~.-~-e.~.
.~ - -
La seduzione emotiva, la sonorità ha ovviamente come
padre Dioniso. Cosi, dice bene Lacoue-Labarthe quando
afferma che «Apollo è il nome di Dioniso (metafora "ori-
ginaria")»,s nel senso che Apollo non è che un modo
(tr6pos) della forza, del dionisiaco. E qui si attinge la più
profonda lontananza di Nietzsche da Schopenhauer, ov-
vero dalla tradizione metafisica. Il linguaggio non è pen-
sato da Nietzsche come un mezzo per, cioè esso non dice
l'essenza delle cose, non è un ponte tra la cosa in sé e il
fenomeno; esso è ciò che dice, la sua forza sta tutta nella
sua perfezione - qui ed ora (estrema è in questo senso la
vicinanza a Gorgia, al linguaggio come forza della per-
suasione).
Insomma, non c'è un impulso prima dell'impulso, non
c'è prima il dionisiaco e poi l'apollineo; non vi è qualco-
sa che si nasconde dietro la maschera: la maschera è tutto
ciò che si dà. Sicché ogni atomo di forza, nel dinami-co
divenire agonale, è l'originario. A questo originario
Nietzsche dà il nome di Dioniso, ma è un originario non
nel senso dell' Unum bensl dei molti. In questo senso
Apollo non è che il nome di Dioniso. Non c'è più il mo-
dello primo, l'archetipo degli enti; ogni ente, così come
ogni azione, è "primo". Dioniso è il nome per la diver-
sità, ciò che vorrebbe nominare l'irriducibilità dei molti
all'uno.
Se vogliamo in qualche maniera tirare le fila di quanto
detto, dalle indagini nietzscheane risulta che la nascita
della scienza-filosofia è una questione di linguaggio,
cioè di "trasposizione metaforica", di retorica, di "forza
persuasiva".
Il linguaggio - e quindi l'uomo, che si costituisce nel e
per il logos - non è che un impulso:
«una "tr · · · ,, ·· ·
. aspos1z1one ( Ubertragung) o "transfert" che è insieme una
s1mu1 · · '
della azione (Vers~ellung), intesa come ,perve~mento:tra~posizione
u rappresentazione (Vorstellung). [...] Il linguaggio s1 fonda su
n~o _~~art~ ori_ginario e irriducibile che esso forza identificando il
1
gun _enttc~, introducendo una analogia. Se poi ci riferiamo al lin-
fraaf gio scatto, c'è uno scarto ulteriore: dal suono al segno scritto,
oro eterogenei». 9 . •

s. P:·~~~~~~'i~b~~-:;;:·~i,., p. 192.
9 - C. Sini, Semiotica e.filosofia, c'it., p. 113.
1108 Nietzsche

All' abo_Iizion~ ~el suono c~rri~po?de l'abolizione dei


corpo, ti dorrumo delle pass1om. L occhio della vision
logica diviene il supremo controllore; solo chi vede (s~
pensi a Edipo) può discernere il bene dal male, ciò che è
giusto da ciò che è sbagliato.
Se l'uomo, che si costituisce in quanto impulso o crea-
zione estetica, dimentica questa sua genesi, la genealogia
nietzscheana gliela ricorda, e cioè gli rammenta la sua
condizione tragica, l'errore che consiste nel dimenticare
che «le metafore originarie dell'intuizione sono pur sem-
pre metafore» e che quindi non debbono essere scambia-
te per le cose stesse.

«Io perciò non contrappongo "illusione" a "realtà", ma prendo vice-


versa l'illusione come realtà, che si contrappone alla trasformazione
in u'n "mondo di verità" immaginario. Un nome preciso per questa
realtà sarebbe "la volontà di potenza", se viene designata dall'inter-
no, e non in base alla sua inafferrabile e fluida natura ·protéifor-
me.» 'o

Artista e scienziato non sono allora che le due facce della


medesima medaglia: "impulso a creare metafore", vo-
lontà di potenza. Sicché bello e vero non sono che crea-
zioni, illusioni, maschere.
Ma allora, a fronte di tutto ciò, che senso ha la dichiara-
zione del Tentativo di autocritica in cui Nietzsche si ram-
marica di non aver avuto, nel momento in cui scriveva la
Nasc'ita, un <<proprio linguaggio»? È un dispiacersi per
un linguaggio ancora debitore del gergo postkantiano? 0
perché ancora non poteva parlare Zarathustra? o, in1'.in~,
gioca in Nietzsche ancora il mito dell'origine, per cm bi-
sognerebbe essere in grado di dire il grido, dove invece,
come egli ci ha insegnato, ogni dire è grido originario?

, .. ..... .... . :.. ...... ....... .. ........ ...... . 41 (fr


·• m:· F.Nietzsche, Frammenti postumi 1884-1885, OFN. VII, 3, P· 3 ·

L
40 [53]).
I
La nascita della tragedia 185

SCHEDA 16
·· ·· ·•·· ···· ···· ··· · · · ·· · " ··• " ' ' " ' ' ' ' " ··········•···· ..... ...... ............. . ··· ·· ······· ····· ···" ·· ···"··· ······

II concetto nietzscheano di tragico

D tragico nella tradizione:


la "coscienza infelice"
Il concetto nietzscheano di tragico fuoriesce da quello
comunemente pensato dalla tradizione; anzi ne costitui-
sce un vero rivolgimento. 1 La tradizione, infatti, fa per lo
più perno sulla scissione ontologica, su quel dualismo
apertosi con Platone che attraversa tutta la metafisica oc-
cidentale, nelle diverse forme dell'inconciliabilità tra no-
mos e physis, tra stato e famiglia, tra soggetto e oggetto,
tra cultura e natura, tra parte e tutto, e così via.
Tutte le riflessioni sul senso della tragedia e del tragico
che precedono quella nietzscheana appartengono sostan-
zialmente a questo alveo dualistico-metafisico o dialetti-
co.2 Si tratta di interpretazioni che riducono il tragico al
polo coscienziale della "constatazione" della negatività,
della contraddizione, della finitezza, del male o dell' alie-
nazione in cui è calata l'esistenza umana. Goethe ba sug-
gellato molto bene questa condizione, sostenendo che il
tragico è il prodotto di un "contrasto insolubile" e che,
non appena è possibile intravedere una soluzione, il tra-
gico si dissolve.
Come dicevamo, questo concetto di tragico, determinato
dalla contrapposizione o, se vogliamo, dall'inconciliabi-
lità dialettica tra coscienza e "altro" dalla coscienza, tra
io e non-io, insorge per la prima volta con Platone «come
contrasto (ag6n) - termine anche teatrale! - fra il bene e
il male, il razionale e l' irrazionale».3
L'inizio della strategia metafisica che mira a imbrigliare
il mondo nella rete della razionalità, sì evince quindi, nei
termini più generali, dalla dottrina platonica della ve.rìtà
e, in particolare, del tragico come occasione di supera-
mento e affermazione della verità stessa. ·
Nietzsche, opponendosi alla tradizione metafisica, nega
la possibilità di strutturare una gerarchia fr.i i diversi pia-

··· ··· ··· ···· -- ·· ····


I. Per un'accurata bibliografia generale sul tragico dr. M. Comett1. li Tm-
gico. Materiali per una bibliografia. Aeslhe.tic:i. Palem10 1990.
2. Sulla presenza di aspetti "dialettici" nel peniie.ro nietzsc.heuno (~ in pm--
ticolare nella Nascita della tragedìn) cfr. S. Natoli. E:rmeneutka e s•.-n<"itl1>-
gia, cit.
3. Platone, Repubblica. libro X. cit., p. 147.
186 Nietzsche

ni dell'essere, fra i diversi gradi dj verità. E ciò ha natu-


ralmente delle conseguenze fondamentali in relazione a]
concetto di tragico. Se infatti con Platone l'alternanza
vero-falso implicava l'annullamento di uno dei due poli
(che veniva uniformato e fagocitato dall'altro), e quindi
l'annullamento del tragico stesso, in Nietzsche l'assenza
di parametri assoluti coincide con l'affermazione di una
dualità, o meglio di una molteplicità veramente radicale,
in cui èiascun polo risulta "agonisticamente" irriducibile
all'altro.

Individuo e natura
nel concetto nietzscheano di tragico
··· ················· ········· ····· ····· ·· ·· ···.. ···· ········ ······· ··
Cosl, per Nietzsche, il nucleo del tragico non sta tanto
nell'individuo travolto, annientato o rovinato, nella "co-
scienza infelice", quanto piuttosto nella mancanza di co-
scienza o, se si vuole, nell'io-coscienza della coscienza:
in altri termini, nella radicale messa in discussione della
soggettività stessa. È sul chi, sull'atto di quel soggetto, in-
felice o felice che sia, che si appunterà infatti l'interroga-
zione nietzscheana; è il chi del cogito, ergo sum cartesia-
no che verrà messo in questione e mostrato essere mera il-
lusione, natura. Le premesse di quest'operazione sono già
poste nella Nascita della tragedia con il riferimento al
dionisiaco, a quell'eracliteo p6lemos che è la natura. 4
Per avvicinarsi al cuore del tragico nietzscheano convie-
ne allora seguire le indicazioni dello stesso autore e rife-
rirsi alla sapienza dionisiaca che si esprime nella trage-
dia. Tragico è il cuore dell'arte, ma non in quanto bellez-
za e apparenza, bensl in quanto annientamento dell'indi-
viduo, gioia (Freude), vita fluttuante al di là del bene e
del male, vita come eterno fenomeno, eternità dell'appa-
renza. E questo non è che il dionisiaco-Natura come
gioia, vita, gioco e rilucenza di fenomeni; e, si badi, fe-
nomeni non in contrapposizione a supposte cose in sé,
poiché si danno solo fenomeni, anzi, la cosa in sé non è
essa stessa che un fenomeno.
Il tragico è la gioia come superamento del dolore, il dolo-
re che toccati i propri confini si rovescia nella gioia (allo
stesso modo la scienza corre ai propri confini e qui nau-

4. M._Cacciari ha ~iustamente sottolineato l'aspetto agonale dellaphysis. il


fatt~ cioè che «I~ vita~ cont~acl~izioae e conflitto .., e la conseguenza che ne
denva: la negazione d1 quals1as1 possibilità metafisico-dialettica di concilia-
zione o sintesi (cfr. Pensiero negativo e raziona/iuazione, cit.. pp. 45-47).
La nascita della tragedia 187

fraga): l'annientamento dell'individuo è creazione, na-


scita di altre forme (si pensi al mito di Dioniso fatto a
brani).
L'inevitabile irruzione nella sfera del dionisiaco ci ha.co-
sì aperto la via per comprendere l'"origine" della sogget-
tività, il fatto che essa non è che una manifestazione del-
la natura. Per questo il tragico viene a essere comprensi-
bile solo ragionando sul suo nesso inscindibile con la na-
tura, e cioè sulla physis in quanto ag6n, sulla natura in
quanto diveniente agonismo di "centri di forza", di "pun-
tuazioni di volontà". 5
Se quindi tutto è ridotto alle dinamiche della physis, os-
sia della Necessità, qualsiasi atto in cui brilli l'occhio co-
scienziale è tragico proprio in quanto è, e sa di essere,
Natura. Sicché, se con Eschilo il tragico è identificabile
nelle due note affermazioni secondo le quali «chi ha ope-
rato deve portare le conseguenze di ciò che ha fatto» e
«attraverso la sofferenza si giunge alla conoscenza», con
Nietzsche tutto ciò non ha più alcun senso. Allo stesso
modo per l'autore della Nascita è inaccettabile l' interpre-
tazione del tragico fondata su un'ontologia della scissio-
ne (Platone), o quella fondata sulla constatazione della
vita come divenire ateleologico (Schopenhauer).
Piuttosto, le due interpretazioni non sono che lo svilup-
po-conseguenza del non-poter-che-dire-sì, dell'uomo in
quanto esser-sì. Qualunque cosa si dica o si faccia si è
già (sempre) detto sì. Tragico non è essere illusi, ma sce-
gliere consapevolmente l'illusione: «Si deve addiriU~ra
volere l'illusione - in ciò sta l'elemento tragico». 6 Biso-
gna prendere atto di ciò che si è: illusione, e cioè potere;
non bisogna sottrarsi al sapersi come potenza (anche per-
ché lo stesso atto di sottrazione - si pensi al Nirvana
schopenhaueriano e comunque a qualsiasi posizione
nihilistica o cristiano-redentiva che sia - rimane sempre
un atto, un potere), bensì volerlo. Questo è volontà di po-

5. Su questo tema si vedano le seguenti opere: M. Heidegger, Nietuche,


cit.; Baeumler, op. cit.; G. Deleuze, Nieti,sche e la filosofia, Colportage, Fi-
renze 1978; M. Cacciari, Pensiero negativo ... , cit. e Aforisma, tragedia, liri-
ca, in "Nuova Corrente", 68-69, 1975-76, pp. 464-492; G. Colli, Filosofia
Adelphi, Milano 1982, p. 185; G. Pasqualotto, Nietzsche, o
dell'ermeneutica interminabile, in Aa. Vv., Crucialità del tempo. Saggi sul-
la concezione nieti,scheana del tempo, a c. di M. Cacciari, Liguori, Napoli
1980, pp. 170-171.
6. F. Nietzsche, Frammenti postumi (1869-1874), OFN, ID, 3, parte Il,
p. 13 (fr. 19 [35) del 1872).
<
J88 Nietzsche

tenza: voler essere se stessi. Da qui la volontà di potere


il tragico. '
Ne consegue, fra l'altro, che, se non si conosce il chi
(l'essere-sì) operante o conoscente, non è possibile alcun
tipo di imputabilità assiologica. 7 Se non c'è il "chi" del-
1' atto, non c'è colpa, e quindi non c'è riscatto, purifica-
zione. Per questo le indagini nietzscheane non sono volte
a rintracciare un ipotetico luogo originario, per questo
non c'è nostalgia dell'origine; perché appunto ogni istan-
te è originario, perché l'originario è il sì "pronunciato" in
ogni pronunciare, il già da sempre de-signato. Ogni atto
in quanto atto è "puro", "naturale", non suscettibile quin-
di di redenzione alcuna; non è che uno dei tanti luoghi di
quel "campo di battaglia" che è la physis. Insomma, &Ii-
po che giace con la madre prima di tutto giace con una
donna, prova piacere, è unicamente quel felice essere in
relazione con l'altro; così come nell'atto di uccidere il
padre c'è solo il gesto violento di un uomo verso un al-
tro. Ma, si badi: l'aver poi coscienza - il dire «io» - di
aver ucciso il padre e giaciuto con la madre non cambia
nulla al senso dell'accaduto: il piacere rimane piacere,
l'assassinio assassinio.
Ed ecco allora Socrate, il simbolo della morale, del nesso
coscienza-malattia. Ma come può l'atto essere colpevole
se non sa ciò che fa (ecco l'in-coscienza della coscien-
za)? se cioè l'io, il chi, si scopre essere alla fine solamen-
te un telos mitico, un luogo ideale di raccolta? Il soggetto
è sempre al di là di sé, ombra laterale. La coscienza è
l'ombra. Come dire che la coscienza è "dopo" il corpo;
ma anche ciò non funziona bene: la coscienza è corpo,
quell'atto fisiologico-intenzionale che non è né prima né
dopo, che è e basta. Riflettere su un oggetto dà la sensa-
zione del provenire, ma provenire non è correggere (da
cui la nostalgia), bensì "aver davanti". Il pensiero è pro-
vocato. Cioè, non è nemmeno un provenire, ma è quel-
l'essere l'oggetto, quell'unico atto che si dà nel suo dar-
si; è l'atto-adesso, è pathos. L'atto come esser-sempre-
origine: «nullum est iam dictum quod non sit dictum
prius».

7. A questo proposito, nell'importantissimo§ 5 di "Quel che devo agli ant!·


chi" nel Crepuscolo degli idoli, Nietzsche scrive: «la Nascita della tragedia
è stata la mia prima trasval utazione di tutti i valori» (OFN, VI, 3, p. 161).

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