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Buonasera a tutti mi chiamo Umberto Bivona sono uno Psicologo clinico psicoterapeuta e neuro
psicologo e lavoro presso la Fondazione Santa Lucia di Roma. Da oggi cominciamo questo ciclo di
lezione del corso della psicologia dell'handicap e della riabilitazione cominciando dal tema della
disabilità e dal come si è evoluto nel corso soprattutto di queste ultima decade. Questo perché
innanzitutto è molto importante capire il contesto storico all'interno del quale si inserisce argomento
che oggi trattiamo.
La definizione di disabilità è infatti strettamente connessa a questo contesto e teniamo ben presente
se si utilizzano dei termini impropri si fanno confusione linguistiche quindi confusioni mm sul
piano semantico è il concetto che andiamo ad affrontare il caso specifico della disabilità quello che
otteniamo e il rischio che anziché implementare e migliorare le condizioni di disagio all’interno
delle quali si trova la persona portatrice di questa disabilità rischiamo appunto di fare danni e di
aumentarla anziché ridurla.
MENOMAZIONE
per menomazione ICIDH considera qualsiasi perdita o anormalità a carico di strutture o funzioni
psicologiche, fisiologiche o anatomiche. Dunque la menomazione secondo questo manuale
rappresenta l’esteriorizzazione di uno stato patologico, in linea di principio quindi riflette i disturbi
comunque a livello di organo.
DISABILITA’
Per disabilità si intende qualsiasi limitazione qualsiasi perdita conseguente a una menomazione
della capacità di un individuo di compiere le attività nella vita quotidiana, di compiere quale attività
considerati normali per un essere umano.
Capite bene quanto oggi il concetto di normalità sia enormemente relativo molto di più che anni fa
appunto ICIDH considera appunto la disabilità come qualcosa che a che fare con tutto ciò che non
diventa più, che esce dal concetto di normalità che chiesa del concetto di normalità,
indipendentemente da considerare la normalità come qualcosa che a sua volta e riattiva un contesto
specifico come vedremo dopo.
Si riferisce dunque a capacità funzionali estrinsecata attraverso atti, comportamenti che secondo un
generale consenso costituiscono aspetti essenziali della vita quotidiana di un individuo.
HANDICAP
Menomazione tutto ciò che permanente, disabilità tutto ciò che è legato appunto alle attività che
l'individuo compie e alle difficoltà che l'individuo ha nel compiere quelle attività in conseguenza
della menomazione.
Handicap sostanzialmente e lo svantaggio che poi l'individuo si trova ad avere nei confronti dei
soggetti cosiddetti normali. Secondo questa concezione classificatoria dunque un’unica
menomazione può dar luogo sia a differenti disabilita sia implicare di conseguenza più di un
handicap.
TEST: La prima classificazione sistematica delle condizioni di salute (malattie, disturbi lesioni,
ecc) operata a livello internazionale dall’OMS? ICD-10.
Questa classificazione si inserisce all’interno di quello che è stato per anni il modello più invalso
ossia il modello biomedico inteso come un modello attraverso il quale affrontare tematiche
importanti come quelle appunto della salute e della malattia.
Modello biomedico che è sostanzialmente ha concepito colui che era il portatore di un handicap
come un individuo passivo, dipendente, parzialmente o totalmente dal proprio ambiente e secondo
un’accezione assolutamente negativa.
Quali sono le conseguenze di questo approccio? Secondo Illich appunto in questo suo trattato molto
famoso del 1977 Analisi medica, sostanzialmente le conseguenze dall'approccio biomedico sono
state di tre tipi:
- IATROGENESI CLINICA: sapete che iatrogeno è tutto ciò che viene in qualche modo
provocato, causato appunto dal medico. Quindi con la latrogenesi clinica, ossia quel
fenomeno per cui paradossalmente le cure mediche finiscono per creare malattia invece
che curarla.
- IATROGENESI SOCIALE: Ovvero la dipendenza psicologica dal proprio medico, e
quindi con annessi e connessi tutti danni causati dalla burocrazia, dall’induzione di
nuovi bisogno, dall’etichettamento della persona come persona malata, e con tutte le
conseguenze che appunto tutto ciò può avere sulla persona stessa. Nei termini proprio di
ostacolare la sua capacità, la sua possibilità di far fronte alle proprie difficoltà in maniera
adattiva ed efficace quindi.
- Infine l'autore parla di IATROGENESI CULTURALE: ossia in fin dei conti la
carenza di fiducia nelle proprie possibilità appunto come vi dicevo pocanzi a causa della
burocrazia estrema per cui delle pratiche sanitarie tutto ciò che la cultura finisce per
determinare in chiave negativa sull’individuo. Pensiamo per esempio il dolore che
diventa oggetto di controlli da parte del medico anziché un’occasione per chi soffre con
il dolore per vivere responsabilmente la propria esperienza.
In conseguenza del dolore ad esempio la persona si fida e si affida completamente al
proprio medico nella speranza che sia poi il medico direttamente e indirettamente
attraverso comunque un suo intervento fa liberare l'individuo da quel dolore.
Allora per sintetizzare quindi secondo la prospettiva bio-medica il focus e solo ed esclusivamente la
malattia, si parla di menomazione legata appunto a un danno, si parla di disabilità e di handicap.
Secondo la prospettiva biopsicosociale, il focus non è più un elemento come la malattia nel caso
della prospettiva bio medica ma diventa appunto un insieme di fattori, tra i quali fondamentalmente
due le attività che l'individuo svolge in condizioni di sanità o di malattia come vedremo
successivamente, e la sua partecipazione sociale.
Quali sono questi fattori e quindi questi insieme di fattori che vengono considerati contemplati dal
modello Bio-Psico-Sociale?
Secondo questa prospettiva dunque la disabilità non è più qualcosa che è certamente legato un
elemento chiamato malattia ma si può verificare pure in seguito alla menomazione fisica, in
qualsiasi essere umano che si trovi in condizione particolarmente avverse.
Tanto per farvi un esempio banale: un individuo che non conosce le lingue e che si trova all’estero
specie un individuo italiano, quindi dove la possibilità di conoscere lingue straniere purtroppo non è
così diffusa, trovandosi all’estero senza conoscere minimamente la lingua del posto quello è
comunque un fattore di disabilità per l’individuo, che non è sicuramente un individuo malato in quel
momento, e un individuo che non interagisce adeguatamente con contesto culturale nel quale si
trova perché non conosce quella lingua e quindi appunto si trova in una situazione di disagio.
1. fattori biologici,
2. fattori personali
3. fattori ambientali/sociali
Parlavamo del concetto di empowerment che è un concetto cardine all'interno dalla prospettiva
biopsicosociale. Come dicevamo appunto empowerment si riferisce alle capacità dell’individuo di
utilizzare in maniera efficace le proprie risorse, e si riferisce sia all’esperienza soggettiva sia alla
realtà oggettiva, infatti è un concetto che nasce in psicologia di comunità per indicare appunto quei
pattern e quei processi attraverso cui cittadini svantaggiati acquisiscono in quelle comunità appunto
con maggiore potere tramite la propria partecipazione in associazioni cittadine e altri progetti di
ordine sociopolitici.
L’empowerment è un processo e nello stesso tempo e un obiettivo (Swith & Levine 1987). Quindi è
qualcosa che permette di raggiungere l’obiettivo che è sostanzialmente quello stesso processo di
implemento del proprio potere e quindi la propria capacità di utilizzare le proprie risorse all’interno
di una comunità.
MODULO 1 LEZIONE 2
L’evoluzione del concetto di disabilità.
Bene, ben ritrovati oggi affrontiamo sempre il tema della disabilità, con la seconda lezione del
primo modulo, come ricorderete nella prima lezione abbiamo fatto una sorta di excursus dal
modello biomedico a quello biopsicosociale, e quindi dalla classificazione della malattia secondo
prima dell’ICD e dopo l’ICIDH, a una nuova classificazione che vedremo che è invece di stretta
derivazione dal modello appunto Bio-Psico-Sociale.
Sostanzialmente quindi secondo questo modello abbiamo visto come la persona quindi diviene ad
essere in grado di influenzare il proprio stato di benessere psico-fisico e di prendere decisioni
autonome per la propria vita. Sostanzialmente come abbiamo visto nella lezione precedente a
differenza che nel modello bio-medico adesso l’individuo è concepito come sostanzialmente non
più una macchina che in senso assoluto nel caso in cui dovesse soffrire una malattia legata ad un
danno di organo si troverà sicuramente in condizioni di disabilità e quindi di menomazione che
determina non solo una disabilità ma un handicap in senso assoluto, ma sostanzialmente arrivati a
un modello che considera sostanzialmente e esclusivamente la relazione tra l’individuo e una serie
di fattori legati al suo contesto.
Secondo il modello Bio-psico-sociale (BPS) la disabilità non è più un problema proprio esclusivo di
chi è portatore di una menomazione, ma è appunto il risultato di un’interazione. Interazione tra la
persona e non più il malato, e l’ambiente sociale e che dovesse essere non adatto appunto alle
diversità dei singoli individui.
Il modello medico di prevenzione applicato alla disabilità, infatti, non garantisce necessariamente
che migliorino le condizioni di integrazione individuale e sociale (Federici-Olivetti Belardinelli
2006), se ci si limita solo all’individuo, se l’accento viene posto sull’individuo e sulle sue difficoltà
indipendentemente dal contesto all’interno del quale l’individuo interagisce, naturalmente mancherà
un pezzo importane nell’ottica appunto del superamento delle barriere, delle difficoltà. Mancherà il
pezzo importante legato a quello che è la società, la comunità possono fare per far in modo che
l’individuo non si trovi in condizioni di svantaggio, non tanto non solo legato alle proprie difficoltà,
ma quanto piuttosto svantaggio legato a una società non in grado di accoglierlo.
Pensiamo ad esempio come è citato nel testo di Federici – Olivetti Belardinelli, del 2006 a quello
che avviene in molte comunità di sordi, soprattutto in Francia, che si battano affinché i soldi
stanziati per la ricerca non vengono esclusivamente stanziati per esempio il miglioramento di
impianti nucleari, anche perché si tratta di una tecnica invasiva in età precoce, che può provocare
anche danni permanenti ai residui uditivi laddove non abbia successo come tecnica, ma appunto
quindi dicevamo a quanto queste comunità si battano affinché per esempio quei soldi, le risorse
economiche vengono stanziate per l’utilizzo sempre più diffuso nella comunicazione sociale, del
linguaggio dei segni, ad esempio, che intanto è una tecnica non invasiva e che ha delle percentuali
di insuccesso pari a quelle dell’apprendimento di una qualsiasi seconda lingua.
Giungiamo quindi agli inizi degli anni 2000 l’International Classification of Funchioning, Disability
and Health nota con l’acronimo di ICF che è una classificazione sempre pubblicata dall’OMS
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che sostanzialmente sovverte radicalmente la prospettiva
con cui viene concettualizzata la disabilità dal negativo, tipico appunto dell’ICD e dell’ICIDH, al
positivo tipico di questo nuovo sistema classificatorio.
Quindi in sintesi negli anni ’80 abbiamo l’ICIDH che punta l’accento sui concetti di:
- Fattori biologici
- Fattori personali
- Fattori ambientali sociali
Oggi sappiamo che la disabilità è semplicemente non solo un problema della persona, ma un
problema di contesto non adeguato per quelle difficoltà.
Vediamo allora quali sono le componenti dell’ICF, che in che senso si parla appunto di interazione.
Partiamo dal principio che secondo il modello Bio-Psico-Sociale la salute e il funzionamento (altro
termine fondamentale in questa nuova classificazione) sono il risultato dell’interazione tra una serie
di fattori:
- funzioni e strutture
corporee,
- Condizioni fisiche
- Partecipazione sociale
- Fattori personali
- Fattori ambientali
- Attività personali
Tutti fattori che sono
strettamente interrelate
tra loro.
- le limitazioni,
- le menomazioni,
- le limitazioni delle attività o le restrizioni della partecipazione.
Come vedete quindi la disabilità si stacca nell’ICF dalla sua stretta relazione con il danno
‘’d’organo’’ quindi con la menomazione, ma comprende non solo le menomazioni ma anche le
limitazioni alle attività e le restrizioni rispetto alla partecipazione dell’individuo.
Dunque cambia radicalmente la filosofia del pensiero rispetto alla disabilità, che quella appunto di
stimolare e promuovere la società che non ghettizzino l’individuo portatore di una disabilità, ma che
piuttosto favoriscano appunto il suo inserimento attraverso le istituzioni (es. scuola), gli organismi
come enti di formazione o il lavoro, che siano in grado di conciliare le risorse della persona con
quella della società stessa. (Barbuto et al. 2007).
A questo punto non dimentichiamo quanto di buono comunque il precedente sistema classificatorio
ha fornito nell’ottica dell’ambito delle conoscenze e della disabilità e di quello che comunque
possibile fare per andare incontro all’esigenze della persona.
Lo stesso ICF infatti, sottolinea quanto comunque la classificazione del modello precedente il
modello biomedico sia una classificazione utile laddove per utile intendiamo comunque una
classificazione che tenga conto degli elementi innovativi dell’approccio biopsicosociale.
In altre parole:
In altri termini l’ICD 10 fornisce una diagnosi delle malattie, dei disturbi e di altri stati di salute. E
questa è un’informazione sicuramente utile che arricchisce le informazioni aggiuntive che sono
state introdotte con la pubblicazione dell’ICF legate al relativo funzionamento della persona. Quindi
malattia e salute che si integrano.
In questo senso capite bene come due persone che abbiamo la stessa malattia possono avere diversi
livelli di funzionamento, così come due persone con lo stesso livello di funzionamento potrebbero
non avere necessariamente le stesse condizioni di salute. Questo significa che sostanzialmente la
malattia e la salute di per sé non hanno alcun valore se non si contestualizzano all’interno di una
comunità, all’interno di una società, di un contesto, che fa in modo che il funzionamento
dell’individuo, la partecipazione alle attività dell’individuo diventino elementi cardini rispetto alla
qualità della vita dell’individuo stesso.
Dunque l’utilizzo congiunto dell’ICD 10 e dell’ICF non fa altro che accrescere la qualità dei dati, in
che senso? In ambito medico, per esempio, non bisognerebbe utilizzare l’ICF senza effettuare le
normali procedure diagnostiche che sono invece contemplate, permesse dall’ICIDH. Per altri
impieghi ICF può anche essere utilizzato da solo.
Dunque associare informazioni sulla diagnosi e sul funzionamento e ciò che oggi permette di avere
un quadro più ampio e significativo della salute, delle persone o delle popolazioni, un quadro che
può essere utilizzabile quando si tratta per esempio di prendere decisioni importanti a livello
politico, sociosanitario.
L’ICF assume quindi una posizione neutrale rispetto all’eziologia, permettendo ai ricercatori di fare
inferenze causali utilizzando invece i metodi scientifici appropriati. In questo senso appunto è
fondamentale concepire l’utilizzo complementare di entrambi sistemi di classificazione.
Questo approccio è diverso anche da un approccio sulle cause determinanti della salute o sui fattori
di rischio. Per facilitare lo studio di questi fattori infatti l’ICF include un elenco di fattori ambientali
che descrivono il contesto in cui gli individui vivono, qui è importante appunto come vi dicevo
concepire i fattori contestuali a livello di comunità, di società che possono in qualche modo come
dire ridurre, aumentare i fattori che determinano la salute e i fattori che determinano il rischio.
Vediamo infine quali sono gli OBIETTIVI che si prefigge l’ICF. In realtà gli obiettivi sono
molteplici, sostanzialmente sono 4 che possono essere sintetizzati come segue:
- Innanzitutto è un sistema che permette di avere una base scientifica per comprendere lo studio
della salute, e delle condizioni, conseguenze e cause determinanti ad essa correlate;
- L’ICF permette anche di avere un linguaggio comune per descrivere la salute, le condizioni
correlate alla salute, questo per migliorare la comunicazione fra diversi operatori, tra i quali
appunto: operatori sanitari, i ricercatori, gli esponenti politici, come dicevamo prima, affinché si
possano adottare, adeguare scelte adeguate per far fronte alle difficoltà della persona inserita nel
contesto, e non ultime appunto la popolazione incluse le persone con disabilità;
- terzo obiettivo dell’ICF e quello di rendere possibile il confronto fra dati raccolti nei vari Paesi,
raccolti all’interno di discipline sanitarie diverse, di servizi diversi o di periodi diversi;
-l’ultimo obiettivo dell’ICF è appunto quello di permettere uno schema di codifica sistematico per i
sistemi informativi sanitari, quindi permette sostanzialmente, come logico che sia per un sistema
classificatorio, di utilizzare dei codici specifici che permettono, appunto come dicevamo prima, poi
di utilizzare quella classificazione come linguaggio comune a livello dei diversi operatori sanitari, a
livello delle diverse discipline e cosi via, il tutto allo scopo sostanzialmente di semplificare
l’approccio, la disabilità, che come dicevamo all’inizio della prima lezione è un processo
fondamentale per far in modo che quella disabilità sia ridotta invece che accentuata, proprio per via
di un approccio sbagliato da un punto di vista della concettualizzazione del fenomeno e quindi
conseguentemente delle scelte che si fanno per far fronte a quel fenomeno stesso.
MODULO 1 LEZIONE 3
Questa è l’ultima lezione la terza del primo modulo dove concludiamo l’argomento relativo al
concetto della disabilità come si è evoluto in queste ultime decadi, andando a vedere più da vicino
la struttura dell’ICF, cominciamo proprio dagli obiettivi con quali c’eravamo lasciati nella lezione
precedente.
- Quello di fornire una base scientifica per comprendere e studiare la salute, le condizioni,
le conseguenze e le cause determinanti ad essa correlate.
- Permettere un linguaggio comune per descrivere la salute, le condizioni ad essa
correlate, linguaggio che permette dunque la comunicazione tra i diversi operatori,
compresi quindi gli operatori sanitari, il mondo scientifico, gli esponenti politici, la
popolazione compresa la popolazione con le persone con disabilità.
- Il terzo obiettivo dell’ICF è quello di rendere possibile anche un confronto tra paesi
diversi, discipline sanitarie diverse, servizi diversi, in periodi diversi.
- E infine l’ultimo obiettivo è quello di permettere come tutti sistemi classificatori
sostanzialmente uno schema di codifica sistematico e preciso che permette appunto
quindi poi di raggiungere gli obiettivi di cui abbiamo parlato nei punti precedenti.
L’UNIVERSO DELL’ICF.
Ricordiamo che l’universo dell’ICF racchiude praticamente tutti gli aspetti della salute umana e
alcune componenti del benessere rilevanti per la salute e li descrive essenzialmente come domini
della salute e domini correlati alla salute.
Esempi di domini della salute riportate nel manuale ICF sono la vista, l’udito, la deambulazione,
l’apprendimento, il ricordare e cosi via. Mentre esempi di domini correlati alla salute includono il
trasporto, l’istruzione e le interazioni sociali.
Ricordiamo che poiché tutti gli stati di salute e quella ad essa correlati possono essere descritti
nell’ICF, ICF sostanzialmente non riguarda più come avveniva nell’ICD e nell’ICIDH solo le
persone affette da una malattia, ma riguarda sostanzialmente tutte le persone, ha un’applicazione
universale appunto perché si occupa di salute.
STRUTTURA DELL’ICF.
Cominciamo dalla definizione di SALUTE, perché come abbiamo più volte sottolineato appunto la
salute è uno dei cardini di questo sistema classificatorio. Abbiamo visto come a una determinata
malattia può non corrispondere una disabilità, una difficoltà nel funzionamento della persona, cosi
come abbiamo visto come ci possono essere disabilità enormi difficoltà di inserimento nel proprio
contesto in assenza totale di qualsiasi tipo di menomazione o per usare la vecchia terminologia
comunque di malattia.
Funzioni corporee: le funzioni fisiologiche dei sistemi corporei e dei sistemi corporei incluse
tutte le funzioni psicologiche.
Strutture corporee: come abbiamo visto prima, ossia le parti anatomiche del corpo, come gli
organi, gli arti e le loro componenti.
Menomazioni: si riferisce a problemi nella funzione o nella struttura del corpo, intesi come
una deviazione o una perdita significative.
Quindi a che fare sostanzialmente non solo con la struttura del corpo, come avveniva nei
precedenti sistemi classificatori ma anche con la funzione, con la perdita della funzione.
Attività: che è uno dei nuovi termini contemplati dall’ICF secondo la prospettiva bio-psico-
sociale. Attività è tutto ciò che riguarda l’esecuzione di un compito o di un’azione da parte
di un individuo.
Partecipazione: ovvero il coinvolgimento in una situazione di vita da parte dell’individuo.
Quindi attività: intesa come l’esecuzione del compito, di un’azione. Partecipazione: come il
coinvolgimento dell’individuo in una determinata situazione di vita.
Limitazioni dell’attività: ha a che fare appunto con quanto alcune situazioni di difficoltà per
un individuo possono essere appunto incontrate dall’individuo stesso determinando un
peggioramento della sua qualità della vita.
Restrizioni della partecipazione: (conseguente al concetto di partecipazione): ovvero i
problemi che un individuo può sperimentare nel coinvolgimento nella situazione di vita.
Quindi troviamo:
- Attività
- Partecipazione
- Limitazione dell’attività
- Restrizioni rispetto alla partecipazione.
Fattori ambientali: ancora una volta lasciatemi essere ripetitivo perché questo concetto è
fondamentale per capire che passaggio storico è avvenuto nella concezione della disabilità
tra l’approccio bio-medico a quello bio-psico-sociale, sostanzialmente so che non veniva
contemplato nelle precedenti classificazioni era appunto il contesto. L’individuo è concepito
come una macchina, una macchina che a un certo punto si rompe, si guasta, dunque un
organo che non funziona più che determina una disabilità, determina una menomazione con
una conseguente disabilità e un conseguente handicap, una condizione di svantaggio. Tutto
focalizzato sull’individuo.
Nell’ICF all’interno di un approccio che ha esteso enormemente l’orizzonte rispetto alla
comprensione della malattia, ma della salute di un individuo l’approccio bio-psico-sociale si
considera i fattori ambientali: gli atteggiamenti, l’ambiente fisico e sociale in cui le persone
vivono e conducono la loro esistenza.
Handicap: a questo punto è un termine che è stato abbondonato, mentre è rimasto come termine
ombrello il termine ‘’disabilità’’ per tutte e tre prospettive:
- Il corpo
- L’individuo
- Società
Sono tre elementi rispetto ai quali si staglia poi la concezione della disabilità. Un’interazione tra
elementi:
- Personali, individuali
- Fisici
- Contestuali
Vediamo la parola disabilità: è questo termine ombrello che abbraccia appunto sia le:
- Menomazioni
- Limitazioni delle attività
- Restrizioni della (alla) partecipazione
Qualità della vita significa quanto un disagio va a impattare appunto sul proprio benessere
quanto sia soddisfatti delle proprie condizioni. Questi due elementi concordano a
determinare quella che si può chiamare una buona qualità della vita.
Nell’ICF appunto si parla di benessere come tutto ciò che racchiude l’insieme dei domini
della vita umana, che abbiamo visto prima, inclusa appunto gli aspetti:
- Fisici
- Mentali
- Sociali
- All’educazione
- Al lavoro
- E all’ambiente
- Vedere
- Parlare
- Ricordare
Vedete sono tutti non a caso verbi coniugati all’infinito, perché si riferiscono sostanzialmente a una
funzionalità e un’attività. Vedere, parlare, ricordare comunque sono domini del benessere relative
alla salute che si inseriscono all’interno di un contesto più ampio dove ritroviamo:
- L’educazione
- Il lavoro
- L’ambiente
- Ecc.
Allora in questa sede sostanzialmente, relativamente al vostro livello di formazione attuale non è
tanto importante entrare nel merito specifico dell’ICF, quello che ho voluto fare in queste prime tre
lezioni è stato sostanzialmente cercare di darvi una panoramica storica, una sorta appunto di
cronistoria di come si sia evoluto l’approccio alla disabilità in maniera strettamente connessa come
sia evoluto il concetto di disabilità.
Se in conseguenza di un organo che non funziona più, che ha subito un deficit che l’ICF non nega
come abbiamo visto, se condizioni di patologia di un organo l’individuo si trova in difficoltà, quella
difficoltà secondo questo sistema di classificazione va affrontato a livello olistico, a livello
sistemico.
Una società, istituzione, risorse ambientali pronte a puntare sulle risorse dell’individuo, sulle risorse
residue che pure esistono e in qualche modo qualcosa che può permettere a quel individuo di non
sentirsi più anormale, vedete come tante volte anche nelle lezioni precedenti ho usato la parola
normalità come se fosse un concetto assolute non terapivo.
Ecco un individuo con una difficoltà che chiamiamo disabilità, può non sentirsi svantaggiato, può
non soffrire alcuna difficoltà, può non sentirsi un disabile se la società e pronta a cogliere,
accogliere le sue difficoltà e far in modo che da questa interazione tra l’individuo e il suo contesto
comunque nasca fuori la possibilità di nuove funzionalità, nuove attività, nuove partecipazioni alle
attività, nuove possibilità di partecipazione che chiaramente, certamente non dipendono
semplicemente, non possono dipendere esclusivamente dall’individuo ma dipendono appunto da
queste interazioni.
Nel momento in cui teniamo presente che la disabilità è tutto questo capite bene come cambi anche
l’approccio riabilitativo alla disabilità. Capite bene come sia importante non puntare l’accento
semplicemente sulle risorse individuali ma far in modo che vi sia un contesto pronto a facilitare
questo processo di empowerment, questo potenziamento dell’individuo che in qualche modo
acquisisce abilità diverse, nuove capacità di far fronte alle proprie difficoltà con l’obiettivo di essere
comunque efficaci, essere efficaci significa funzionare bene, funzionare bene significa sentire poco
o meno possibile il disagio per le proprie difficoltà, significa essere più possibile soddisfatti delle
proprie condizioni.
Come vi dicevo disagio e soddisfazione, minor disagio possibile maggior soddisfazione possibili
insieme concorrono a che la qualità della vita di una persona sia la più alta possibile. Dunque in
conclusione di questo modulo vi invito a recepire l’approccio, il modello bio-psico-sociale, oggi è
quel modello che non si focalizza solo su un aspetto.
Un conto è parlare di multidisciplinarietà con rischio comunque che ci sia una frattura, un
isolamento, una parcellizzazione del sapere senza possibilità di scambio tra una disciplina e l’altra,
un conto è parlare di interdisciplinarietà dove appunto inter implica che ci sia uno scambio di
sapere, di competenze che alla fine si uniscono le competenze di chi si occupa dell’aspetto bio, di
chi si occupa dell’aspetto psico, di chi si occupa dell’aspetto sociale affinché appunto ci sia una
sorta di sinergia, un orchestra che suona in maniera sintonica tutta una serie di strumenti diversi.
Questa è l’interdisciplinarietà, questa è la filosofia dell’approccio bio-psico-sociale che oggi è
l’approccio sociale perché permette di affrontare un fenomeno da tutti punti di vista, non esiste solo
l’individuo, non esiste solo la persona, non esiste solo la personalità, non esiste solo la società,
esistono tutti gli elementi, tutti fattori che insieme possono concorre a facilitare il raggiungimento
del benessere appunto dell’individuo e dell’intera società.