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1. Premessa
Il dreamwork, o lavoro sul sogno, rappresenta sicuramente uno degli ambiti
applicativi più originali dell’approccio gestaltico. Merito di Perls è di aver aggiunto
alla dimensione del passato (approfondita da Freud) e del futuro (approfondita da
Jung) la focalizzazione sul presente che facilita il raccordo con gli aspetti esistenziali
che il soggetto sta vivendo, appunto, nella attuale fase della propria vita. Rispetto
alla psicoanalisi, da cui pure la Terapia della Gestalt (TdG) deriva, possiamo così
sintetizzare gli elementi di diversificazione che si ritrovano puntualmente anche
nell’approccio al lavoro sul sogno (Appelbaum, 1976; Delacroix, 1982; Ginger,
1987; Wheeler, 1991):
– disconoscimento della libido come entità pulsionale primaria a favore di
una molteplicità di bisogni che emergono con intensità diversa in funzione del
livello di crescita dell’individuo e delle situazioni ambientali attivatrici o inibitorie;
– privilegio della dimensione del presente rispetto al passato nell’indagine
clinica e nel lavoro terapico;
– superamento della dicotomia Es/Super-Io in vista di una concezione non
strutturalmente contrappositiva tra domande dell’individuo e risorse potenziali
dell’ambiente;
– privilegio per il graduale sviluppo della consapevolezza come premessa
alla capacità di autoregolazione dell’organismo in cui emozione-immagine-
cognizione e vissuto corporeo sono olisticamente cointeressati rispetto al concetto
psicoanalitico di insight, inteso come evento chiarificatore tra contenuti inconsci e
sfera cosciente inerente primariamente la sfera cognitiva;
– sottovalutazione dell’inconscio come realtà psichica a sé, stante dotata di
leggi e modalità organizzative che la differenziano strutturalmente da altri stati di
coscienza e, soprattutto, come alibi evitativo per una più consapevole assunzione
della abilità a rispondere dei propri vissuti e comportamenti;
– valorizzazione della relazione intersoggettiva, tra paziente e analista, e non
solo in chiave transferale.
In sintesi possiamo dire che il lavoro sul sogno rappresenta un’utile
opportunità di esplorazione del sé e delle sue modalità di contatto e di cambiamento,
specie se utilizzato con un’attitudine di ascolto partecipe che favorisca la
riappropriazione delle parti scisse, la presa di coscienza dei vissuti rimossi nonché
l’apertura a quegli scenari immaginali che il pensiero anticipativo del sogno ci
propone. Quando lavoriamo un sogno in Gestalt partiamo da questo punto, ma la
2
2 Un sogno
Queste alcune sequenze di lavoro sul sogno con alcune note di commento su
alcuni passaggi significativi. I nomi sono ovviamente fittizi.
Paola – che indicheremo con una “P” – è una donna di 30 anni circa, laureata
in lingue e alla ricerca di una professione che corrisponda alla sua propensione per la
dimensione umanistica e la relazione di aiuto. Riferisce di un sogno che ciclicamente
le si presenta sempre nella stessa forma. In premessa riferisce che l’anno scorso, nel
giorno della festa della mamma, si è suicidato un suo zio di circa 40 anni che abitava
negli USA, prendendo pillole e tuffandosi in piscina da cui è stato estratto poi dai
propri genitori e nonni di Paola.
Nel raccontare il sogno, usando il tempo presente come si usa in Gestalt,
Paola racconta “sono sul bordo della piscina e ho i piedi che toccano l’acqua; non
riesco a muovermi, mi sento come pietrificata di fronte allo zio che è nell’acqua
annegato, disteso davanti a me coi capelli lunghi come quando era giovane”.
Aggiunge, per inciso, che “questa piscina i nonni l’hanno fatta costruire per
me, per farmi restare con loro in questa casa nel Texas e facevano di tutto per farmi
felice, affinché restassi più tempo con loro anziché tornare in Italia dai miei
genitori”.
Aggiunge anche che, in un altro sogno antecedente alla morte dello zio, “io
ho i capelli lunghi intorno al viso e mi sono suicidata nell’acqua, non riuscivo a
respirare e stavo morendo … da quando è morto lo zio faccio il sogno ricorrente di
me sul bordo della piscina che non riesco a muovermi. Sento delle presenze, come se
qualcuno cercasse di avvicinarmi, ma è come se fossi io la piscina, come se io
contenessi lo zio che vi è immerso ed ora è morto” e aggiunge “aveva già tentato il
suicidio prima e viveva coi nonni (suoi genitori)”.
3
Alla mia domanda sulle motivazioni che possano averlo portato al gesto
suicida risponde “lo zio non era riuscito a farsi una vita autonoma; aveva avuto una
fidanzata ebrea con cui non si era potuto sposare per contrasti sulla religione. Mio
padre è venuto via da casa all’età di 17 anni ed è venuto in Italia a studiare dove poi
ha conosciuto mia madre. I nonni non hanno lasciato andare via lo zio che poi è
caduto in depressione”.
Tornando al vissuto onirico precisa come la stessa percezione del tempo era
caratterizzata da un senso di staticità e immutabilità “come se il tempo si fosse
fermato, inceppato nel suo fluire”. La scena si fissa in una immobilità che non ha
sviluppo e si carica di angoscia alla quale Paola non sa come sottrarsi. Lei si vede
sul bordo della piscina senza sapere cosa fare e senza riuscire ad allontanarsi da
questa posizione pietrificata.
La metodologia che impiego è quella classica del lavoro gestaltico sul sogno:
le chiedo di immedesimarsi nel vissuto, più che di astrarne un significato o,
tantomeno, di avanzare io una ipotesi interpretativa. Cerco, in altri termini, di
recuperare l’Erlebnis, la dimensione olistica del vissuto che condensa una
componente immaginale, emozionale e di pensiero, cercando di riunificare e non
scindere le diverse dimensioni dell’esperienza onirica. Le chiedo quindi di
presentificare il momento che ha riferito come se lo stesse vivendo in presa diretta,
chiedendole qual sia il suo stato d’animo, cosa che Paola riferisce come “mi sento
qualcosa di opprimente qua, sulla gola e sulla bocca dello stomaco … mi sento di
non poter muovere le gambe”.
Nella prospettiva di superare questa impasse e di dar voce al vissuto
paralizzante, le chiedo cosa si sentirebbe di dire allo zio (si de-enfatizza, in tal caso,
il dato di realtà relativo al fatto che lo zio sia morto dando comunque valore alla
comunicazione implicita tra lei e lo zio). La risposta, con voce carica di dolore e
quasi di rimprovero, è “zio, dovevi andartene via prima, mi spiace …”.
A questo punto le propongo di assumere lei la posizione dello zio al fine di
portare avanti la comunicazione tra i due. Paola prende la posizione dello zio e, dopo
un lungo silenzio, risponde: “non ho potuto, ero bloccato. Tuo padre mi ha lasciato
qui, ti voglio bene … ma tu non seguirmi”. La tecnica utilizzata è quella del
“monodramma” nel quale si fanno assumere, alternativamente, al paziente i ruoli dei
personaggi del sogno sostenendo una interazione dialogica tra gli stessi nel rispetto,
ovviamente, dei tempi opportuni, affinché al significato delle parole si associ il
vissuto emotivo corrispondente.
Le chiedo di specificare meglio il senso di questa comunicazione e Paola
aggiunge “non debbo essere come lui, non devo arrendermi, debbo fare quello che
sento senza sottostare alle pressioni altrui … anche io mi stavo facendo soffocare da
una persona (e allude ad un ex-fidanzato che la ostacolò nell’iscriversi alla facoltà di
psicologiam adducendo una ipersensibilità emotiva che avrebbe precluso a Paola di
percorrere questa strada).
Tornando nei panni dello zio prosegue con “non fare come me: vai via se
vuoi andare, scegli la strada che vuoi tu, stai con le persone che ti amano come vuoi
essere amata e non come loro ritengono di volerti amare”.
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Paola resta a lungo con questa sensazione e, tornando nei suoi panni, sente
che qualcosa si è sbloccato e che non è più inchiodata sul bordo di quella piscina
dove si è consumato il suicidio dello zio come espressione di una “esistenza
mancata”, per usare un termine caro a Binswanger. Prosegue, al contrario, dicendo
come “io amo nuotare, forse ho imparato prima a nuotare che a camminare, mi piace
esplorare, conoscere, ho vissuto all’estero per studiare … e tutte le volte che ero via
ho avuto paura di non dover tornare. Non l’avevo mai visto il sogno sotto questo
aspetto, nonostante lo abbia sognato molte volte. Ma era così brutto che in fondo lo
rimuovevo. Ed anzi, a volte, avevo il terrore di addormentarmi per il timore di
rivivere questa situazione da incubo”.
“I sogni non sono mai “brutti” – aggiungo io – i sogni ci parlano con delle
immagini che si caricano di un pathos proporzionato alla importanza del messaggio
che ci consegnano: il tuo sogno ti dice, attraverso lo zio, come fosse una “guida
interiore”: Paola, non fare come me, non stare qui a morire in questa piscinetta che ti
tiene imbrigliata a vecchi legami, impedendoti di affrontare il “rischio del vivere” e
di fare la tua strada. Certo … anche questa scelta è difficile e comporta
inevitabilmente il dolore collegato al recidere un cordone ombelicale e lasciare una
dimensione più rassicurante per una più incerta”. Nel dire questo, non interpreto, ma
riprendo semplicemente in modo rafforzativo il messaggio che il sogno le ha dato.
In ogni caso Perls chiederebbe: “perché questo sogno adesso? quale è il
passaggio evolutivo nel quale sei impegnata in questa fase del tuo percorso
esistenziale?”. Questa domanda implica un presupposto importante nel lavoro sul
sogno che si riferisce alla tridimensionalità del tempo e che io chiamo tripode
delfico. Il sogno presuppone sempre una dimensione temporale che si riferisce al
passato (più o meno remoto), una al presente ed una che implica uno scenario
possibile che si proietta sul futuro.
Puntuale la ripresa di Paola “debbo prendere delle decisioni … per cui tanti
sogni, tra cui anche questo” e così sintetizza il suo momento critico “ mi sono
laureata in scienza del linguaggio, adesso non so cosa farci con questa laurea; prima
ho fatto un anno di Ostetricia, ma quando mi trovavo davanti alla sofferenza … non
ce la facevo a fermarmi lì, sentivo che avevano bisogno di parlare: una madre che
aveva perso il bambino … ho pensato di iscrivermi a psicologia, ma il fidanzato di
allora mi diceva che io lo volevo fare solo per lo zio depresso e che non sarei stata
capace di studiare psicologia. Così ho fatto lingue, per me è stato facile, mi sono
laureata con ottimi voti, ma non sono soddisfatta e da quando non sono più insieme
a questa persona che mi bloccava per sei anni, adesso mi sto sbloccando”.
Un’indicazione di cambiamento forte, quella evocata dal sogno, che Paola
porterà con sé come immagine-guida a cui tornare nell’assumere le scelte di vita che
la attendono. So, a distanza di qualche tempo, che Paola ha intrapreso un percorso di
crescita personale nel quale si propone di recuperare quella spinta ad impegnarsi
nelle relazioni di aiuto che sente maggiormente corrispondere alla sua natura più
intima. Da allora il sogno di viversi nell’immobilità angosciosa non si è ripresentato.
Nei paragrafi che seguono cercherò di mettere a fuoco alcuni degli elementi
costitutivi del lavoro gestaltico sul sogno, iniziando da quelli di carattere teorico per
seguire con quelli di carattere metodologico. Nel tentativo di dare organicità alla
vasta materia affrontata darò spazio soprattutto a Perls, riportando alcune sue
espressioni significative sul tema in oggetto. Le considerazioni che seguono sono
anche frutto di laboratori sul sogno tra Gestalt e approccio junghiano-archetipico
che da alcuni anni si svolgono con significativa continuità e che prevedono, tra gli
altri, la partecipazione dello scrivente e di Giorgio Antonelli. Accolgo volentieri il
suo invito ad aggiungermi a questa raccolta di contributi.
3.1. Il sogno come processo primario. Prima di chiederci che cosa il sogno
significhi, e come poterci lavorare, è importante tenere presente che, se il sogno fa
parte dell’esperienza di noi mortali (ed anche dei mammiferi, in particolare se
primati), significa che assolve di per sé ad una funzione biologica di primaria
importanza. Sogniamo infatti mediamente per il 20% del tempo in cui siamo
immersi nel sonno e lo facciamo già da prima di nascere. Nella concezione di Perls è
importante acquisire questa dimensione organismica dell’individuo, prima di
costruire sovrastrutture intellettuali che spesso deformano più che rendere accessibili
dati fondamentali di realtà
3.5 Il sogno come Gestalt. Un lavoro attento sul sogno evidenzierà come gli
elementi che lo compongono non sono assemblati in modo casuale e senza una
logica interna che ne rivelerà, appunto, la Gestalt intesa come quella forma-struttura
che è più della somma delle parti che la compongono. La morfogenesi onirica, in
altre parole, manifesterà quella struttura che darà senso a tutti gli elementi che
convergono a comporla. Si tratta, in altre parole, di una reale creazione di cui spesso
non possiamo sottovalutare la componente artistica in termini di genialità e fantasia
ben al di là di quanto la nostra immaginazione cosciente avrebbe potuto immaginare.
Il sogno rappresenta quindi, per usare un termine caro a Perls, una Gestalt in sé.
1
Perls F. (1969), La terapia gestaltica parola per parola, Ed. Astrolabio, Roma, 1980, p. 76.
7
3.10 La parte mancante. Anche Jim Simkin sottolinea lo stesso punto come
cruciale. Di solito il sogno contiene due importanti elementi, il primo è
l'enunciazione di chi siamo. Recitando ciascuna parte puoi divenire maggiormente
consapevole delle cose con cui ti identifichi e di ciò che non riconosci come facente
parte di te; [...] L'altro elemento significativo è che spesso, anche se non sempre, c'è
una parte mancante. A volte, la parte mancante del sogno è la soluzione finale. 2
L’arte maieutica che accompagna il lavoro sul sogno deve quindi prestare molta
attenzione ad elementi che evidenziano un aspetto evitativo o uno scotoma, per
usare un termine caro a Perls. Come scrive Simkin: In linea di principio preferisco
prendere la parte con cui immagino la persona si sia meno identificata.3
3.13 Esplorare le risorse nel campo. La teoria del campo introdotta da Kurt
Lewin (1951) rappresenta uno dei fondamenti dell’epistemologia gestaltica.
L’individuo non può concepirsi se non in relazione ad un ambiente con il quale, più
o meno osmoticamente, interagisce. È negli aspetti quanti-qualitativi di questo
scambio che si declina la qualità della vita dell’individuo. Il sogno rappresenta
generalmente una radiografia della qualità esistentiva del sognatore e ne evidenzia
elettivamente gli aspetti deficitari spesso accompagnandoli con un elemento di
pathos. Di qui l’importanza di utilizzare evolutivamente questo segnale di disagio.
Nel sogno troviamo tutto quello che ci serve.4
3 Ivi, p. 84.
4 Perls F. (1969), La terapia gestaltica parola per parola, cit., p. 79.
9
3.19 L’attenzione a ciò che si manifesta (fenomeno) prima che a ciò che
si può nascondere (noumeno). È noto l’orientamento della psicoanalisi nel cercare
il contenuto latente che si nasconde sotto quello manifesto. Tale orientamento viene
proposto da Freud come risultato della sua autoanalisi dei sogni riportata nella sua
opera fondamentale Interpretazione dei sogni nella quale evidenzia come i contenuti
istintuali collegati alle pulsioni del piacere e dell’aggressività, non possono emergere
a livello consapevole nello stato di veglia, ma si camuffano sotto forme metaforiche
o analogiche nelle rappresentazioni oniriche filtrando la censura che, durante il
sonno, si indebolisce. Tale orientamento, che personalmente ritengo inconfutabile,
ha alimentato tuttavia un atteggiamento conoscitivo interessato al noumeno, a ciò
che si nasconde anziché al fenomeno, a ciò che si rivela. Di qui la critica scientifico-
filosofica ad orientamento fenomenologico fondata sul recupero del valore di ciò che
7 Ivi, p. 46.
8 Ivi, p. 76.
11
si rivela prima che su ciò che si nasconde e che, pertanto, si offre più facilmente ad
ipotesi spesso indimostrabili e poco fondate su aspetti di realtà. L’impianto
fenomenologico-esistenziale su cui si fonda la TdG ripropone quindi una attenzione
scrupolosa al dato fenomenico nel lavoro sul sogno come presupposto di una scienza
dell’esperienza.
9 Ivi, p. 78.
10 Ivi, p. 130.
13
vivere, e che vi sia abbondante materiale da cui partire per riappropriarsi delle
nostre parti alienate, per riassimilarle.11
11
Ivi, pp. 85-86.
14
può essere visto come il risultato della integrazione delle parti scisse, il paradigma
edipico, ancora una volta, si presenta come un paradigma emblematico della ricerca
interiore e quindi della nostra disciplina, per quanto concerne la sua tensione non
solo a favorire processi adattivi ma, possibilmente, un più profondo processo
trasformativo-maturativo della personalità.
a causa di eventi passati, le sue difficoltà attuali sono connesse al suo agire oggi. Le
questioni insolute del passato gli ostruiscono la strada del presente e, mediante la
terapia, gli viene data la possibilità di far riemergere tali confitti e di esplorare
modalità diverse per affrontarli. In tale processo si tratta di mettere in opera una
serie di operazioni che favoriscano il ripristino di un flusso vitale evolutivo nel
paziente. Per cogliere il senso del materiale simbolico che il sognatore presenta è
sempre importante collegare l’elemento cognitivo-immaginale alla risonanza
emozionale che lo accompagna. Immagini ed emozioni, considerati da Freud
processi primari, vanno accolti e valorizzati nell’approccio ad orientamento
fenomenologico della TdG, per il valore in sé che comportano come accadimenti
dello psichismo ed ancor prima di essere elaborati dai processi secondari della
verbalizzazione e della concettualizzazione interpretativa. Ad ogni immagine riferita
va quindi posta la domanda circa la risonanza emozionale di accompagnamento e
che, come vedremo di seguito, riserva spesso imprevedibili sorprese.
3.32 Il tempo presente. Il lavoro gestaltico sul sogno si caratterizza per l’uso
del tempo presente. Mentre il sognatore inizia abitualmente il proprio racconto con
l’uso del tempo passato, il terapeuta propone di usare il tempo presente aggiungendo
l’invito a raccontarlo come se l’evento narrato stesse avvenendo adesso. Tale
proposta è più che un semplice espediente tecnico. Permette infatti di attualizzare il
vissuto da un racconto di qualcosa che attiene al passato ad un vissuto che si
presentifica nel qui-ed-ora. Il privilegio per la connotazione spazio-temporale
riferita al presente, nella TdG, si giustifica per più ragioni convergenti che, anche se
ormai accettate da tutte le psicoterapie contemporanee, riteniamo utile sottolineare:
– è nel presente che di fatto ci interroghiamo sull’esistenza che si declina
inevitabilmente nelle coordinate spazio-temporali in cui ci troviamo;
– questo radicamento nel qui ed ora con il mio corpo-sensazioni-emozioni-
pensieri che sono me (e non mie) mi permettono di verificare in concreto la qualità
delle interazioni con l’ambiente e di verificare, di conseguenza, attraverso il lavoro
sulla consapevolezza, quanto queste interazioni siano o non siano soddisfacenti e
quindi migliorabili. L’esercizio sul continuum della consapevolezza mi allenerà
progressivamente a far mia un’attitudine più plastica, mobile, esperienziale di
scambi con l’ambiente (favorevole o non favorevole che sia) che diverrà uno stile di
vita abituale anche al di fuori del setting terapeutico;
– il presente favorisce l’impatto, il contatto diretto e non mediato con le cose,
le fantasie, le emozioni. La dimensione del passato o del futuro è spesso un modo
per localizzare lontano da me situazioni e vissuti, eludendo un confronto del quale
sarei obbligato ad assumermi la responsabilità intesa come abilità-a-rispondere;
– il presente è ancora come condizione per l’esercizio di una consapevolezza
che non è destinata necessariamente ad identificare bisogni o lacune da colmare, ma
più semplicemente a farmi assaporare il fluire dell’essere, delle sensazioni, pensieri,
emozioni progressivamente svincolate dalle introiezioni persecutorie e doveristiche
del se fossi o del dovrei;
Il presente, comunque, non significa neppure negazione del passato e del
futuro quali dimensioni che nel presente conservano un autentico significato.
allorché in conflitto. Nel caso del sogno, tuttavia, le parti in gioco possono essere
molte e risulta poco agevole il lavoro di identificazione alternata sulle sottoparti. Per
questo motivo viene spesso utilizzato lo psicodramma che, in questo caso, è anche
conosciuto come o onirodramma. Con l’intento di sintetizzare i vantaggi offerti dai
due metodi, adotto da qualche tempo una tecnica mista – che definisco psicodramma
gestaltico – e che prevede il coinvolgimento di più membri del gruppo nell’assumere
i ruoli delle componenti significativi del sogno che, tuttavia, non sono chiamati ad
agire le interazioni tra le parti che vengono alternativamente agite dal sognatore. Il
vantaggio di questa tecnica sta nell’utilità della disposizione spaziale (prossemica)
delle parti del sé che integra in parte anche la tecnica utilizzata nel lavoro delle
costellazioni. Una tecnica questa che, dopo una prima sperimentazione, tendo ad
utilizzare abitualmente in quanto coerente con il modello gestaltico, ma con una
attualizzazione che la rende maggiormente applicabile alle definizione delle diverse
parti del sé in gioco. Tale rigorosa differenziazione tra le stesse è infatti
fondamentale in un rigoroso lavoro gestaltico e dà ragione alla domanda che spesso
Perls rivolgeva al suo cliente chi sta parlando?, intendendo mettere in evidenza allo
stesso cliente quale delle sottopersonalità si stesse esprimendo in una espressione,
specie se in contraddizione con una espressione precedente.
3.34 Sogno e creazione artistica. Non può sfuggire, specie a chi ha assistito
ad una drammatizzazione condotta da un terapeuta esperto, la componente artistica
di tale operazione. Sulla scia di Perls anche E. Polster, Serge Ginger e altri
sottolineano come l’approccio gestaltico alla rievocazione delle vicende umane
corrisponde ad modello estetico e creativo, più scientifico. Il lavoro sui sogni, anche
per Michel Miller, rappresenta: “una delle modalità prioritarie per dare, come fa
l’artista nelle sue opere, forma e grazia all’esperienza, per trasformare il materiale
negativo che riguarda l’esperienza di vita degli individui in altro materiale che sia
completo e significativo, utile e saggio e che faccia sentire alla persona di star
costruendo il senso della propria esistenza”.12
3.35 Il regista onirico e la molteplicità del sé. Chi ordisce le trame del
sogno? E chi è questo drammaturgo che sa mettere in scena queste pièces de théâtre
in modo così geniale e bizzarro? Viene da sospettare che sia veramente un dio
questo Morfeo che ci rivela le parti del sé che ci chiedono di essere integrate in
forme più consapevoli ed evolute di co-esistenza. Il lavoro clinico-esperienziale
prevede quindi una presa di contatto tra le parti, specialmente allorché le stesse si
presentano in rapporto evitativo, conflittuale o scisso. Tra sonno e veglia, il sogno
rappresenta quindi quello spazio intermedio dove il Dottor Jekyll e il Mister Hyde,
superando l’inconciliabile incomunicabilità, vengono finalmente in contatto. Certo,
non sarà semplice per il nostro sognatore identificarsi anche con la belva notturna
quando disperatamente si sforza di riconoscersi soltanto nel personaggio diurno e
rispettabile. Di qui la necessità di sviluppare le attitudini ad un accompagnamento
12
In Giusti E. e Rosa V. (2002), Psicoterapie della Gestalt. Integrazione dell’Evoluzione Pluralistica,
ASPIC Edizioni Scientifiche, Roma, p. 309.
18
negli inferi nel quale verrà messa in gioco tutta la competenza e la sensibilità del
terapeuta.
3.38 Il terapeuta entra nel campo del sogno narrato. Il sogno su cui
lavoriamo è il sogno che, in genere, viene raccontato ad un terapeuta. Lo stesso
entra nel campo, quindi, del sognatore e ne influenza inevitabilmente il vissuto. È
19
noto, in ambito gestaltico, il resoconto fatto da Isadore From nel quale lo stesso, al
paziente che gli riferiva di aver fatto un piccolo sogno chiese piccolo come me?
Questo riportare fortemente il racconto onirico alla interazione transferale con il
terapeuta mi lascia personalmente perplesso. Pur nel rispetto dell’attenzione ai
fenomeni di frontiera/contatto nello spazio intermedio (da cui intermedietà o
Zwischenheit) tra terapeuta e cliente, ritengo che, memori di Rogers, la terapia debba
essere rigorosamente centrata sul cliente e che il terapeuta debba evitare di
interferire massicciamente (o presumere di farlo) sui vissuti del cliente, rispettando il
suo spazio interiore, oltre che intersoggettivo, come obiettivo primario di indagine.
Inevitabilmente la funzioni di contatto che il cliente riferisce nel suo racconto onirico
non può non rispecchiarsi anche nella relazione con il terapeuta e questa analogia
rappresenterà una delle risorse più efficaci di consapevolezza e potenziale
cambiamento se opportunamente utilizzate da un professionista esperto. L’aspetto
proiettivo transferale sulla relazione terapeutica viene, nell’ottica gestaltica, de-
enfatizzato rispetto ad un'attitudine a saper vedere la persona reale nel terapeuta
(come in ogni altra persona) al di là dei veli di Maya delle nostre proiezioni.
L’indiscutibile presenza dell'elemento transferale, seppur tenuto presente, viene
quindi affrontato nel senso di un dichiarato proposito di superamento e non
legittimato attraverso una strutturale connotazione della relazione terapeutica.
Questa, ancora una volta, rappresenterebbe una barriera alla autenticità-rischio
dell’incontro reale con l’altro da sé che, se da una parte può proteggere dal rischio
stesso di tale incontro, dall'altra legittima una intrinseca infantilizzazione del
rapporto.
4.3 Sogni non ricordati. Una peculiarità del lavoro sul sogno di Perls era
quello di lavorare sui sogni che il paziente non ricordava. Un passaggio indicativo
dell’Edipo re di Pasolini presenta in modo emblematico questa situazione nella
quale il giovane principe di Corinto chiede ai genitori (adottivi), Merope e Polibo, di
potersi recare a Delfi per interrogare l’oracolo essendo angosciato da un sogno che
non ricordava. Il meccanismo della rimozione produce infatti una dimenticanza del
vissuto ansiogeno che, tuttavia, permane come traccia a livello emozionale
(sottocorticale). Traccia dalla quale un terapeuta esperto può rievocare il contenuto
immaginale attraverso il lavoro dell’ologramma a cui abbiamo fatto riferimento.
Basta quindi avere una porta di accesso per poter adire al contenuto di coscienza nel
suo insieme. Anche Simkin riferisce questo tipo di lavoro: Dico al paziente: ‘Cosa
hai sognato l’altra notte?’ e lui ‘Non ho sognato. Non sogno mai’. Io allora dico
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‘Bene, quei tizi che fanno ricerche ci dicono che tutti sogniamo ogni notte’. In altre
parole, sono molto dogmatico su questo fatto. Prendo una sedia e gli dico ‘Metti su
questa sedia il sogno che hai avuto questa notte e che non riesci a ricordare, e
parlagli. Digli che ti sta scappando’. E il sogno dice: ‘Non ti sto scappando; sto
cercando di entrare, razza di cretino!’, e il paziente sviluppa la consapevolezza che
lui sta proprio comportandosi così”. Questo spezzone di lavoro evidenzia l’uso della
“sedia vuota” sulla quale viene fatta sedere la “parte del sé” rimossa e con la
quale ci si propone di entrare in contatto attraverso una tecnica di
drammatizzazione dialogica detta “monodramma”.13
4.4 Sogni corti. Talvolta un cliente riferisce solo una immagine fugace o una
sola sensazione senza saper ricostruire la trama del sogno di cui questo spot fosse
parte. Tale frammentarietà del vissuto riferito può scoraggiare il terapeuta
dall’esplorarne le potenzialità, ma l’esperienza di chi ha maturato una sufficiente
consuetudine con il dreamwork testimonia che anche un frammento può veicolare
una densità di messaggio impensabile all’inizio del racconto. Importante, anche in
questo caso, è attivare la dimensione dell’ologramma e saper cogliere la risonanza
emozionale oltre a quella immaginativa e ideativa. Anche in questo caso, Perls
manifestava la sua maestria. Un gestaltista particolarmente esperto in questo tipo di
approccio è stato Herbert Hoffmann con il quale ho avuto la possibilità di
collaborare per anni. Nel suo stile di lavoro era essenziale aprire una Gestalt anche
senza l’ambizione di volerla necessariamente chiudere. Il cliente veniva spesso
lasciato con una domanda aperta sulla quale continuare il suo lavoro di
consapevolezza ed autoascolto. Il percorso del dopo seduta non va infatti trascurato
e si presenta spesso come quello più fecondo, specie nei casi in cui il materiale
emerso sia di particolare significato per il sognatore.
13
Simkin J. S. (1976), Brevi lezioni di Gestalt, Borla, Roma, 1978, p. 85.
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