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L’approccio gestaltico al sogno


Riccardo Zerbetto, Siena

Pubbicato su : IL SOGNO CROCEVIA DI MONDI, a cura di Angela Peduto e Giorgio


Antonelli. Editore ALPES, ROMA, 2014.

1. Premessa
Il dreamwork, o lavoro sul sogno, rappresenta sicuramente uno degli ambiti
applicativi più originali dell’approccio gestaltico. Merito di Perls è di aver aggiunto
alla dimensione del passato (approfondita da Freud) e del futuro (approfondita da
Jung) la focalizzazione sul presente che facilita il raccordo con gli aspetti esistenziali
che il soggetto sta vivendo, appunto, nella attuale fase della propria vita. Rispetto
alla psicoanalisi, da cui pure la Terapia della Gestalt (TdG) deriva, possiamo così
sintetizzare gli elementi di diversificazione che si ritrovano puntualmente anche
nell’approccio al lavoro sul sogno (Appelbaum, 1976; Delacroix, 1982; Ginger,
1987; Wheeler, 1991):
– disconoscimento della libido come entità pulsionale primaria a favore di
una molteplicità di bisogni che emergono con intensità diversa in funzione del
livello di crescita dell’individuo e delle situazioni ambientali attivatrici o inibitorie;
– privilegio della dimensione del presente rispetto al passato nell’indagine
clinica e nel lavoro terapico;
– superamento della dicotomia Es/Super-Io in vista di una concezione non
strutturalmente contrappositiva tra domande dell’individuo e risorse potenziali
dell’ambiente;
– privilegio per il graduale sviluppo della consapevolezza come premessa
alla capacità di autoregolazione dell’organismo in cui emozione-immagine-
cognizione e vissuto corporeo sono olisticamente cointeressati rispetto al concetto
psicoanalitico di insight, inteso come evento chiarificatore tra contenuti inconsci e
sfera cosciente inerente primariamente la sfera cognitiva;
– sottovalutazione dell’inconscio come realtà psichica a sé, stante dotata di
leggi e modalità organizzative che la differenziano strutturalmente da altri stati di
coscienza e, soprattutto, come alibi evitativo per una più consapevole assunzione
della abilità a rispondere dei propri vissuti e comportamenti;
– valorizzazione della relazione intersoggettiva, tra paziente e analista, e non
solo in chiave transferale.
In sintesi possiamo dire che il lavoro sul sogno rappresenta un’utile
opportunità di esplorazione del sé e delle sue modalità di contatto e di cambiamento,
specie se utilizzato con un’attitudine di ascolto partecipe che favorisca la
riappropriazione delle parti scisse, la presa di coscienza dei vissuti rimossi nonché
l’apertura a quegli scenari immaginali che il pensiero anticipativo del sogno ci
propone. Quando lavoriamo un sogno in Gestalt partiamo da questo punto, ma la
2

strada che percorriamo non muove dall’interpretazione (che presuppone un soggetto-


terapeuta che dà la sua lettura su un oggetto-cliente che è tenuto ad accoglierla), ma
da un coinvolgimento più diretto e responsabile del cliente che è chiamato ad essere
quanto più possibile soggetto dei suoi vissuti, anche se percepiti come estranei,
assumendo, ad esempio, la parte del persecutore e non solamente della vittima con la
quale, primariamente può identificarsi. Se il sognatore è scena, attore, suggeritore,
regista, critico, autore e pubblico insieme, entriamo in questa consapevolezza e la
viviamo. Invece di interpretare, ne facciamo oggetto di un percorso esperienziale.
Nella concezione isomorfica di Perls, per venire ai contenuti che il sogno ci
propone, la dimensione biologica non può separarsi da quella psicologica e sociale
dal momento che l’uomo, pur esaminato a diversi livelli, appartiene
contemporaneamente ed ineluttabilmente a queste diverse dimensioni. Di qui,
conseguentemente, la dimensione olistica spesso invocata nella concezione della
Gestalt. Il processo della guarigione, in questa prospettiva, non si configura
unicamente come operazione che si gioca nella relazione tra paziente e terapeuta.
Implica una funzione mediativa di quest’ultimo nei confronti del sistema simbolico
nel quale il paziente cerca di ri-configurarsi.

2 Un sogno
Queste alcune sequenze di lavoro sul sogno con alcune note di commento su
alcuni passaggi significativi. I nomi sono ovviamente fittizi.
Paola – che indicheremo con una “P” – è una donna di 30 anni circa, laureata
in lingue e alla ricerca di una professione che corrisponda alla sua propensione per la
dimensione umanistica e la relazione di aiuto. Riferisce di un sogno che ciclicamente
le si presenta sempre nella stessa forma. In premessa riferisce che l’anno scorso, nel
giorno della festa della mamma, si è suicidato un suo zio di circa 40 anni che abitava
negli USA, prendendo pillole e tuffandosi in piscina da cui è stato estratto poi dai
propri genitori e nonni di Paola.
Nel raccontare il sogno, usando il tempo presente come si usa in Gestalt,
Paola racconta “sono sul bordo della piscina e ho i piedi che toccano l’acqua; non
riesco a muovermi, mi sento come pietrificata di fronte allo zio che è nell’acqua
annegato, disteso davanti a me coi capelli lunghi come quando era giovane”.
Aggiunge, per inciso, che “questa piscina i nonni l’hanno fatta costruire per
me, per farmi restare con loro in questa casa nel Texas e facevano di tutto per farmi
felice, affinché restassi più tempo con loro anziché tornare in Italia dai miei
genitori”.
Aggiunge anche che, in un altro sogno antecedente alla morte dello zio, “io
ho i capelli lunghi intorno al viso e mi sono suicidata nell’acqua, non riuscivo a
respirare e stavo morendo … da quando è morto lo zio faccio il sogno ricorrente di
me sul bordo della piscina che non riesco a muovermi. Sento delle presenze, come se
qualcuno cercasse di avvicinarmi, ma è come se fossi io la piscina, come se io
contenessi lo zio che vi è immerso ed ora è morto” e aggiunge “aveva già tentato il
suicidio prima e viveva coi nonni (suoi genitori)”.
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Alla mia domanda sulle motivazioni che possano averlo portato al gesto
suicida risponde “lo zio non era riuscito a farsi una vita autonoma; aveva avuto una
fidanzata ebrea con cui non si era potuto sposare per contrasti sulla religione. Mio
padre è venuto via da casa all’età di 17 anni ed è venuto in Italia a studiare dove poi
ha conosciuto mia madre. I nonni non hanno lasciato andare via lo zio che poi è
caduto in depressione”.
Tornando al vissuto onirico precisa come la stessa percezione del tempo era
caratterizzata da un senso di staticità e immutabilità “come se il tempo si fosse
fermato, inceppato nel suo fluire”. La scena si fissa in una immobilità che non ha
sviluppo e si carica di angoscia alla quale Paola non sa come sottrarsi. Lei si vede
sul bordo della piscina senza sapere cosa fare e senza riuscire ad allontanarsi da
questa posizione pietrificata.
La metodologia che impiego è quella classica del lavoro gestaltico sul sogno:
le chiedo di immedesimarsi nel vissuto, più che di astrarne un significato o,
tantomeno, di avanzare io una ipotesi interpretativa. Cerco, in altri termini, di
recuperare l’Erlebnis, la dimensione olistica del vissuto che condensa una
componente immaginale, emozionale e di pensiero, cercando di riunificare e non
scindere le diverse dimensioni dell’esperienza onirica. Le chiedo quindi di
presentificare il momento che ha riferito come se lo stesse vivendo in presa diretta,
chiedendole qual sia il suo stato d’animo, cosa che Paola riferisce come “mi sento
qualcosa di opprimente qua, sulla gola e sulla bocca dello stomaco … mi sento di
non poter muovere le gambe”.
Nella prospettiva di superare questa impasse e di dar voce al vissuto
paralizzante, le chiedo cosa si sentirebbe di dire allo zio (si de-enfatizza, in tal caso,
il dato di realtà relativo al fatto che lo zio sia morto dando comunque valore alla
comunicazione implicita tra lei e lo zio). La risposta, con voce carica di dolore e
quasi di rimprovero, è “zio, dovevi andartene via prima, mi spiace …”.
A questo punto le propongo di assumere lei la posizione dello zio al fine di
portare avanti la comunicazione tra i due. Paola prende la posizione dello zio e, dopo
un lungo silenzio, risponde: “non ho potuto, ero bloccato. Tuo padre mi ha lasciato
qui, ti voglio bene … ma tu non seguirmi”. La tecnica utilizzata è quella del
“monodramma” nel quale si fanno assumere, alternativamente, al paziente i ruoli dei
personaggi del sogno sostenendo una interazione dialogica tra gli stessi nel rispetto,
ovviamente, dei tempi opportuni, affinché al significato delle parole si associ il
vissuto emotivo corrispondente.
Le chiedo di specificare meglio il senso di questa comunicazione e Paola
aggiunge “non debbo essere come lui, non devo arrendermi, debbo fare quello che
sento senza sottostare alle pressioni altrui … anche io mi stavo facendo soffocare da
una persona (e allude ad un ex-fidanzato che la ostacolò nell’iscriversi alla facoltà di
psicologiam adducendo una ipersensibilità emotiva che avrebbe precluso a Paola di
percorrere questa strada).
Tornando nei panni dello zio prosegue con “non fare come me: vai via se
vuoi andare, scegli la strada che vuoi tu, stai con le persone che ti amano come vuoi
essere amata e non come loro ritengono di volerti amare”.
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Paola resta a lungo con questa sensazione e, tornando nei suoi panni, sente
che qualcosa si è sbloccato e che non è più inchiodata sul bordo di quella piscina
dove si è consumato il suicidio dello zio come espressione di una “esistenza
mancata”, per usare un termine caro a Binswanger. Prosegue, al contrario, dicendo
come “io amo nuotare, forse ho imparato prima a nuotare che a camminare, mi piace
esplorare, conoscere, ho vissuto all’estero per studiare … e tutte le volte che ero via
ho avuto paura di non dover tornare. Non l’avevo mai visto il sogno sotto questo
aspetto, nonostante lo abbia sognato molte volte. Ma era così brutto che in fondo lo
rimuovevo. Ed anzi, a volte, avevo il terrore di addormentarmi per il timore di
rivivere questa situazione da incubo”.
“I sogni non sono mai “brutti” – aggiungo io – i sogni ci parlano con delle
immagini che si caricano di un pathos proporzionato alla importanza del messaggio
che ci consegnano: il tuo sogno ti dice, attraverso lo zio, come fosse una “guida
interiore”: Paola, non fare come me, non stare qui a morire in questa piscinetta che ti
tiene imbrigliata a vecchi legami, impedendoti di affrontare il “rischio del vivere” e
di fare la tua strada. Certo … anche questa scelta è difficile e comporta
inevitabilmente il dolore collegato al recidere un cordone ombelicale e lasciare una
dimensione più rassicurante per una più incerta”. Nel dire questo, non interpreto, ma
riprendo semplicemente in modo rafforzativo il messaggio che il sogno le ha dato.
In ogni caso Perls chiederebbe: “perché questo sogno adesso? quale è il
passaggio evolutivo nel quale sei impegnata in questa fase del tuo percorso
esistenziale?”. Questa domanda implica un presupposto importante nel lavoro sul
sogno che si riferisce alla tridimensionalità del tempo e che io chiamo tripode
delfico. Il sogno presuppone sempre una dimensione temporale che si riferisce al
passato (più o meno remoto), una al presente ed una che implica uno scenario
possibile che si proietta sul futuro.
Puntuale la ripresa di Paola “debbo prendere delle decisioni … per cui tanti
sogni, tra cui anche questo” e così sintetizza il suo momento critico “ mi sono
laureata in scienza del linguaggio, adesso non so cosa farci con questa laurea; prima
ho fatto un anno di Ostetricia, ma quando mi trovavo davanti alla sofferenza … non
ce la facevo a fermarmi lì, sentivo che avevano bisogno di parlare: una madre che
aveva perso il bambino … ho pensato di iscrivermi a psicologia, ma il fidanzato di
allora mi diceva che io lo volevo fare solo per lo zio depresso e che non sarei stata
capace di studiare psicologia. Così ho fatto lingue, per me è stato facile, mi sono
laureata con ottimi voti, ma non sono soddisfatta e da quando non sono più insieme
a questa persona che mi bloccava per sei anni, adesso mi sto sbloccando”.
Un’indicazione di cambiamento forte, quella evocata dal sogno, che Paola
porterà con sé come immagine-guida a cui tornare nell’assumere le scelte di vita che
la attendono. So, a distanza di qualche tempo, che Paola ha intrapreso un percorso di
crescita personale nel quale si propone di recuperare quella spinta ad impegnarsi
nelle relazioni di aiuto che sente maggiormente corrispondere alla sua natura più
intima. Da allora il sogno di viversi nell’immobilità angosciosa non si è ripresentato.

3 Alcuni aspetti di carattere teorico-metodologico


5

Nei paragrafi che seguono cercherò di mettere a fuoco alcuni degli elementi
costitutivi del lavoro gestaltico sul sogno, iniziando da quelli di carattere teorico per
seguire con quelli di carattere metodologico. Nel tentativo di dare organicità alla
vasta materia affrontata darò spazio soprattutto a Perls, riportando alcune sue
espressioni significative sul tema in oggetto. Le considerazioni che seguono sono
anche frutto di laboratori sul sogno tra Gestalt e approccio junghiano-archetipico
che da alcuni anni si svolgono con significativa continuità e che prevedono, tra gli
altri, la partecipazione dello scrivente e di Giorgio Antonelli. Accolgo volentieri il
suo invito ad aggiungermi a questa raccolta di contributi.

3.1. Il sogno come processo primario. Prima di chiederci che cosa il sogno
significhi, e come poterci lavorare, è importante tenere presente che, se il sogno fa
parte dell’esperienza di noi mortali (ed anche dei mammiferi, in particolare se
primati), significa che assolve di per sé ad una funzione biologica di primaria
importanza. Sogniamo infatti mediamente per il 20% del tempo in cui siamo
immersi nel sonno e lo facciamo già da prima di nascere. Nella concezione di Perls è
importante acquisire questa dimensione organismica dell’individuo, prima di
costruire sovrastrutture intellettuali che spesso deformano più che rendere accessibili
dati fondamentali di realtà

3.2 Il sogno ha già un valore autocurativo di per sé. Coerentemente con


acquisizioni sul versante neurofisiologico sembra che la funzione integrativa
dell’attività onirica sia chiamata, nell’ininterrotto flusso di coscienza, ad integrare
impressioni, esperienze passate con quelle presenti, in modo da poter anticipare
scenari futuri a cui il soggetto può venire chiamato a far fronte. Anche se a livello
inconscio, quindi, il sogno svolge una funzione integrativa ed anticipativa che il
lavoro analitico-psicoterapeutico può amplificare e rendere più efficace e
consapevole. Ferenczi, in particolare, sottolinea la funzione riparativa che il sogno
svolge nello sciogliere vissuti traumatici nel sognatore.

3.3 Raccontare i propri sogni. Al di là della qualifica di chi li può


accogliere, è già importante, per il sognatore, poter raccontare i propri sogni. Pare
che il buon livello di salute mentale registrato tra i pellerossa sia riconducibile anche
all’abitudine delle madri di farsi raccontare i sogni dai loro piccoli al risveglio. Di
qui l’uso dell’acchiappasogni, quella retina giocosamente utilizzata per impedirle
che si involino senza averli prima accolti ed assimilati. Un’usanza, questa, che
ritroviamo in molti genitori che abitualmente si soffermano a farsi raccontare i sogni
dai propri figlioletti e che esprime generalmente un livello ammirevole di confidenza
nella comunicazione genitori-figli. La semplice narrazione dei contenuti onirici
rappresenta un'opportunità di rispecchiamento della parte cosciente sui contenuti
inconsci (o di cui non siamo ancora consapevoli) che facilita di per sé la
familiarizzazione ed il contatto con gli stessi. Seppure la comprensione di tali
contenuti non sia sempre chiara, è comunque utile favorire il processo dello stare
con tali contenuti dal momento che sono emersi.
6

3.4 L'immaginario onirico inteso come poiesis. Il sogno rappresenta una


mirabile creazione autogena della coscienza, ha una sua ricchezza ed originalità che
merita attenzione e contemplazione, prima ancora di essere ricondotta alla sua
intelligibilità attraverso gli schemi della logica concettuale. Come davanti ad una
produzione artistica di carattere figurativo o musicale si tratta, innanzitutto, di
assorbire l'impatto sensoriale ed emozionale dell'opera, prima di tentarne una
comprensione, così di fronte alla autopoiesi onirica è fondamentale esporsi
emozionalmente ai contenuti prima di cercare di operarne una analisi e cercare di
tradurla in una comprensione. Come scrive Perls: Ogni sogno è un’opera d’arte, più
di un romanzo o di una commedia grottesca. Che si tratti di arte valida oppure no,
questa è tutt’altra faccenda, ma c’è sempre un gran movimento, scontri, incontri,
ogni genere di cose. Se dunque questa mia convinzione è nel giusto, come
ovviamente penso che sia, tutte le diverse parti del sogno sono frammenti della
nostra personalità.1

3.5 Il sogno come Gestalt. Un lavoro attento sul sogno evidenzierà come gli
elementi che lo compongono non sono assemblati in modo casuale e senza una
logica interna che ne rivelerà, appunto, la Gestalt intesa come quella forma-struttura
che è più della somma delle parti che la compongono. La morfogenesi onirica, in
altre parole, manifesterà quella struttura che darà senso a tutti gli elementi che
convergono a comporla. Si tratta, in altre parole, di una reale creazione di cui spesso
non possiamo sottovalutare la componente artistica in termini di genialità e fantasia
ben al di là di quanto la nostra immaginazione cosciente avrebbe potuto immaginare.
Il sogno rappresenta quindi, per usare un termine caro a Perls, una Gestalt in sé.

3.6 La Gestalt onirica come fenomeno naturale ed il processo della


Gestaltung. Se sappiamo vederla, in altri termini, una Gestalt non ha bisogno di
essere interpretata, ma semplicemente accolta. Lo stesso universo, ai diversi livelli
nei quali si esprime, può essere visto come un universo morfogenetico che non
evolve in modo caotico ma attraverso forme-strutture. Il termine Gestalt, a ben
vedere, non è appropriato dal momento che indica una struttura-forma nella sua
staticità. Più corretto sarebbe chiamare Gestaltung tale processo morfogenetico che
di fatto indica un processo in movimento. Tale processo viene attualmente definito
autopoiesi. Un processo molto complesso e misterioso di cui cominciamo solo ora a
conoscere le leggi che possono giustificare il passaggio da atomi semplici a strutture
molecolari più complesse, ma sappiamo ancora molto poco dei passaggi evolutivi
che hanno portato dalla materia inanimata alla formazione di materiale organico e
alla evoluzione delle forme viventi. Viene il sospetto che il processo che sottende la
aggregazione della materia secondo direttrici così complesse implichi un disegno
intrinseco la cui origine è veramente difficile spiegare. La fenomenologia sconfina
quindi nell’ontologia e la possibilità di descrivere si arresta di fronte

1
Perls F. (1969), La terapia gestaltica parola per parola, Ed. Astrolabio, Roma, 1980, p. 76.
7

all’indescrivibile. Se l’ipotesi creazionista appare semplicistica appare del resto


inadeguata l’ipotesi che le forme di vita siano frutto del caso.

3.7 Un approccio esistenziale. Un espediente spesso utilizzato in TdG è


quello di chiedere al cliente di ri-raccontare il proprio sogno, spezzettandolo in brevi
sequenze a cui far seguire la frase questa è la mia vita. È stupefacente constatare
come spesso, pur trovandosi di fronte a contenuti onirici incomprensibili all’inizio
della narrazione, spesso gli stessi disvelino il loro senso in modo chiaro ed
immediatamente accessibile a mano che il sognatore si apre ad accoglierli come
riflessi autentici del sé e non come elementi estranei e, di conseguenza,
incomprensibili.

3.8 Il principio auto-realizzativo. Commentando la nota espressione di


Gertrude Stein una rosa è una rosa, è una rosa Perls asserisce che ogni individuo,
ogni pianta, ogni animale, ha solo una meta implicita, un ruolo obiettivo innato:
attualizzarsi per quello che è. In una visione olistica di interazione tra i diversi livelli
di complessità tra loro circolarmente interagenti, Perls introduce il concetto di
naturalità biologica intendendo con questo termine non solo gli accadimenti della
sfera organica, bensì i diversi livelli di complessificazione che, in una dimensione
comunque di sostanziale omogeneità ed isomorfismo, ne derivano. Il sogno,
coerentemente con questa concezione, viene quindi considerato come uno strumento
che si struttura in modo autogeno teso all’attualizzazione delle potenzialità
immanenti dell’individuo. Di qui la vicinanza con il concetto di daimon della
tradizione filosofico-sapienziale greca ed il concetto junghiano di guida interiore
nella sua funzione di rettifica nei confronti delle deformazioni autopercettive
dell’Ego.

3.9 La relazione figura/sfondo. Nel flusso dell’esperienza, che possiamo


chiamare sfondo, emergono continuamente in figura vissuti carichi di particolare
intensità sotto forma di sensazioni, immagini, emozioni, pensieri etc.. Ad attrarre la
nostra attenzione sono, in particolare, segnali di disagio che evidenziano un bisogno
o comunque una mancanza che emerge per noi come significativa. Di qui
l’importanza di prestare attenzione a quanto emerge alla superficie della
consapevolezza.

3.10 La parte mancante. Anche Jim Simkin sottolinea lo stesso punto come
cruciale. Di solito il sogno contiene due importanti elementi, il primo è
l'enunciazione di chi siamo. Recitando ciascuna parte puoi divenire maggiormente
consapevole delle cose con cui ti identifichi e di ciò che non riconosci come facente
parte di te; [...] L'altro elemento significativo è che spesso, anche se non sempre, c'è
una parte mancante. A volte, la parte mancante del sogno è la soluzione finale. 2
L’arte maieutica che accompagna il lavoro sul sogno deve quindi prestare molta
attenzione ad elementi che evidenziano un aspetto evitativo o uno scotoma, per

2 Simkin, J. S. (1976), Brevi lezioni di Gestalt, Borla, Roma, 1978, p. 82.


8

usare un termine caro a Perls. Come scrive Simkin: In linea di principio preferisco
prendere la parte con cui immagino la persona si sia meno identificata.3

3.11 Impasse e frustrazione. Se la nevrosi esprime un blocco


nell’evoluzione maturativa della personalità, si tratta di individuare il come
l’individuo mette in atto i suoi meccanismi di auto-interruzione, specie se
cronicizzati. Ed una strada maestra per far luce su questi fenomeni di impasse è
soprattutto il sogno. Di fronte ad una sequenza, magari accompagnata da angoscia,
sarebbe controproducente dare rassicurazione prima di poter cogliere il messaggio
che la scena onirica ci propone. Preferibile, quindi, l’uso dell’amplificazione e della
frustrazione se questa rende più chiaro il meccanismo con il quale ci paralizziamo,
condannandoci ad un vissuto di angoscia.

3.12 Il nucleo tragico. Dopo aver portato il sognatore a confronto con il


momento critico nel quale la sua esistenza rischiava di restare intrappolata (spesso
attraverso una intensificazione del pathos collegato a questa presa di coscienza)
grande sarà il sostegno che dovrà seguire per aiutarlo a non eludere un
fronteggiamento consapevole del nucleo (o mitologema nella terminologia
junghiana) tragico della sua esistenza e accompagnarlo verso la ricerca di una
diversa prospettiva che offra vie di uscita all’impasse incontrato.

3.13 Esplorare le risorse nel campo. La teoria del campo introdotta da Kurt
Lewin (1951) rappresenta uno dei fondamenti dell’epistemologia gestaltica.
L’individuo non può concepirsi se non in relazione ad un ambiente con il quale, più
o meno osmoticamente, interagisce. È negli aspetti quanti-qualitativi di questo
scambio che si declina la qualità della vita dell’individuo. Il sogno rappresenta
generalmente una radiografia della qualità esistentiva del sognatore e ne evidenzia
elettivamente gli aspetti deficitari spesso accompagnandoli con un elemento di
pathos. Di qui l’importanza di utilizzare evolutivamente questo segnale di disagio.
Nel sogno troviamo tutto quello che ci serve.4

3.14 La fase de-costruttiva ed il conflitto. Il sogno, per sua natura, scinde la


componente apparentemente unitaria del sé nelle sue parti. Un ordine che non si
rivela più funzionale ad affrontare le mutate condizioni del vivere nel continuo
flusso evolutivo del mondo interiore ed esteriore deve essere distrutto, smembrato
per permettere una nuova con-figurazione. Una funzione, questa, che possiamo
ricondurre al diasparagmos (smembramento) dionisiaco. Nel sogno, infatti, non
sogniamo concetti ma personaggi (o anche oggetti, comunque animati) che
interagiscono tra di loro nel teatro della mente. Motivo per il quale, precisa Hillman
(1975), non dovremmo parlare di psicodinamica ma di psicodrammatica. Tale
processo nasce, in genere, da parti del sé in conflitto fra loro ed il sogno rappresenta
il teatro nel quale tale conflitto si esprime.

3 Ivi, p. 84.
4 Perls F. (1969), La terapia gestaltica parola per parola, cit., p. 79.
9

3.15 L’io purificato e la proiezione. Nonostante Perls non amasse


enfatizzare il concetto di inconscio asserendo che, di fatto, noi sappiamo ciò che
vogliamo sapere, è innegabile la tendenza a negare o rimuovere contenuti di
coscienza che percepiamo come sgradevoli. È quindi importante, nel lavoro
terapeutico, identificare tali meccanismi di rimozione per procedere in senso inverso
e cioè della riappropriazione delle parti scisse. Ma perchè ci disappropriamo di parti
del Sé? Paura, remora giudicativa, desiderio rimosso, abitudine all’evitamento, alla
inconsapevolezza. Tutti atteggiamenti che ci estraniano da noi stessi, che ci
mutilano di parti di noi e ci impediscono di essere noi stessi compiutamente. Non
solo nelle parti cosiddette buone, ma nell’essere noi stessi qui-ed-ora per quello che
effettivamente siamo. Le domande coniate da Perls per favorire il processo della
consapevolezza e diventate classiche sono:
– “Cosa fai?” (comportamento);
– “Cosa senti?” (contatto con le emozioni e le sensazioni);
– “Cosa vuoi?” (contatto con la responsabilità intenzionale);
– “Cosa ti aspetti?” (contatto tra sostegno e autosostegno);
– “Che cosa eviti?” (contatto con i fantasmi catastrofici o anastrofici).5

3.16 Identificarsi nelle parti e riappropriarsene (reowning). Sappiamo


dagli studi di neurofisiologia che l'attività onirica è necessaria al mantenimento della
nostra integrità psichica per non cadere in forme di perdita dell'identità e di
frantumazione dell'Io. Sembra quindi che l'attività onirica rappresenti una forma di
ruminazione psichica attraverso la quale i vissuti raccolti quotidianamente, le tracce
mnemoniche e le rappresentazioni anticipative sul futuro vengono processate dalla
psiche al fine di mettere insieme i pezzi in insiemi dotati di senso. Il problema è che
spesso sussistono impedimenti a tale processo assimilativo. Un pregiudizio contro
l’aggressività, ad esempio, può impedirmi di riconoscere come mia una pulsione
aggressiva con il risultato di proiettarla sull’altro da me. Per Perls il sognatore è ogni
parte del sogno, ogni parte del sogno è una sua proiezione. Un esempio radicale
nell’applicazione di questa modalità operativa viene riportata dallo stesso Perls: Un
paziente sogna di uscire dal mio studio, e di andare in Central Park. Per entrare nel
parco, attraversa la pista dei cavalli. Allora io gli dico: ‘Ora fai la pista dei
cavalli’. E lui, indignato: ‘Cosa? Dovrei lasciarmi cacare addosso da tutti?6 Questa
stessa espressione consentiva al sognatore di prendere coscienza di una sua modalità
relazionale su cui interrogarsi. Anziché utilizzare il metodo discorsivo delle
associazioni libere proposto da Freud, vediamo come Perls utilizzi una procedura
sostanzialmente analoga, ma attraverso il metodo della identificazione
drammatizzata.

3.17 Integrare le parti scisse o non ancora integrate. Se il sogno


disaggrega le parti del sé per metterne in evidenza le differenze ed i potenziali
5
Perls F. (1973), L’approccio della Gestalt. Testimone oculare della terapia, Astrolabio, Roma, 1977,
pp. 73-74.
6 Perls F. (1969), La terapia gestaltica parola per parola, cit., p. 130.
10

conflitti, il lavoro terapeutico che ne consegue è quello di operare nel senso di


mettere in contatto tra loro le diverse parti, esplorando possibili ri-conoscimenti
reciproci e possibili co-esistenze nello spazio interiore del sognatore. Ancora per
Perls quel che cerchiamo di fare in terapia, allora, consiste nel recuperare, passo
per passo, le parti ripudiate della personalità finché la persona diventa abbastanza
forte da facilitare la propria crescita, da imparare a capire dove sono i buchi, quali
sono i sintomi di questi buchi.7 Il lavoro integrativo sulle parti scisse della
personalità esprime quindi la peculiarità del lavoro gestaltico. Se nella psicoanalisi il
sogno viene considerato la via regia all’inconscio, nella TdG Perls lo interpreta
come via regia all'integrazione, dato che il nostro scopo è quello di fare di ognuno
di noi una persona sana, il che significa una persona integrata senza conflitti, quel
che dobbiamo fare è rimettere insieme i vari frammenti del sogno. Dobbiamo
riappropriarci di queste parti proiettate e frammentate della nostra personalità, e
riappropriarci del potenziale nascosto che compare nel sogno.8

3.18 Disvelamento. Non dobbiamo dimenticare, tuttavia, che la proiezione


non origina unicamente dalla negazione di parti del sé rimosse e che cadono quindi
nella dimensione “inconscia”, ma può riguardare anche contenuti di coscienza che
l’Io non ha ancora integrato in quanto nuovi ed inesplorati. Questa dimensione apre
al concetto di superconscio introdotto da Jung e che non riguarda i contenuti di
coscienza rimossi, ma quelli di cui non siamo ancora coscienti. I due aspetti spesso
coesistono e fa parte dell’arte di chi lavora sul sogno saper integrare le parti rimosse
con quelle a cui il sognatore è chiamato ad aprirsi. Perls definisce come ha, ha
experience la sensazione di stupore e scoperta di fronte ad una autorivelazione
interiore. Ed è questo il vissuto che spesso accompagna una esperienza di contatto
pieno con una esperienza liberatoria dopo un buon lavoro sul sogno. Ma, per dirla
con Perls, l’esperienza dell’empasse non va elusa ma attraversata, meglio se grazie
ad un terapeuta che sappia accompagnare, sostenendolo adeguatamente, il processo
esperienziale che, in certi casi, richiama un vero descensus ad inferos.

3.19 L’attenzione a ciò che si manifesta (fenomeno) prima che a ciò che
si può nascondere (noumeno). È noto l’orientamento della psicoanalisi nel cercare
il contenuto latente che si nasconde sotto quello manifesto. Tale orientamento viene
proposto da Freud come risultato della sua autoanalisi dei sogni riportata nella sua
opera fondamentale Interpretazione dei sogni nella quale evidenzia come i contenuti
istintuali collegati alle pulsioni del piacere e dell’aggressività, non possono emergere
a livello consapevole nello stato di veglia, ma si camuffano sotto forme metaforiche
o analogiche nelle rappresentazioni oniriche filtrando la censura che, durante il
sonno, si indebolisce. Tale orientamento, che personalmente ritengo inconfutabile,
ha alimentato tuttavia un atteggiamento conoscitivo interessato al noumeno, a ciò
che si nasconde anziché al fenomeno, a ciò che si rivela. Di qui la critica scientifico-
filosofica ad orientamento fenomenologico fondata sul recupero del valore di ciò che

7 Ivi, p. 46.
8 Ivi, p. 76.
11

si rivela prima che su ciò che si nasconde e che, pertanto, si offre più facilmente ad
ipotesi spesso indimostrabili e poco fondate su aspetti di realtà. L’impianto
fenomenologico-esistenziale su cui si fonda la TdG ripropone quindi una attenzione
scrupolosa al dato fenomenico nel lavoro sul sogno come presupposto di una scienza
dell’esperienza.

3.20 Dal pensare al sentire. Il racconto di un sogno rappresenta spesso una


sfida alle capacità intellettive di decodifica da parte dell’analista. Così facendo, si
rischia tuttavia di lasciare sullo sfondo elementi importanti del vissuto collegato alla
esperienza onirica. Siamo drogati da un eccesso di parole e di concetti nella cultura
dell’Occidente. Abitiamo, grazie a Platone e ad un eccesso di razionalismo, un
mondo di idee e di pensieri avendo perso contatto con le sensazioni ed i vissuti.
Anche le emozioni sono spesso quelle che pensiamo di avere o che dovremmo avere
prima di quelle che effettivamente si muovono dentro di noi. Questa dislocazione in
una rappresentazione di noi stessi e del mondo ci rende estranei ad un sentire a
presa diretta che produce i fenomeni di dissociazione, di estraniazione da noi stessi
che ben conosciamo. Ecco allora l’utilità – l’urgenza forse – di occasioni e strategie
per interrompere l’involucro razionalistico che ci impedisce di contattarci ad un
livello più autentico e non-mediato. Di qui l’insistenza dell’approccio gestaltico sul
cosa senti prima che sul cosa pensi. Di qui ancora l’enfasi su un percorso di
appercezione che si discosti dai millenari percorsi di auto-conoscimento intellettivo
a cui siamo stati abituati ancor prima di nascere. Un percorso che si discosta anche
da quello della interpretazione sui processi primari (emozioni e immagini) per
esplorare una nuova possibilità di contatto con gli stessi prima di ogni a-priori
razionalizzante. In tale prospettiva il lavoro sulla consapevolezza rappresenta
probabilmente la caratteristica più peculiare dell’approccio gestaltico. Di qui la
posizione anti-intellettualistica di Perls che non va confusa con un mal interpretato
disinteresse per la teorizzazione.

3.21 Dall’insight alla consapevolezza. Il termine di awareness


(consapevolezza) viene preferito a quello di insight o presa di coscienza per
sottolineare l’aspetto olistico, e quindi non solo intellettivo, dell’atto conoscitivo
stesso che, come abbiamo visto, implica generalmente anche una componente
immaginale, emozionale e senso-percettiva. Ma aprirsi ad una autentica assunzione
di consapevolezza non è per niente ovvio e richiede talvolta molto coraggio e
fiducia nei processi autoregolativi. Nel caso del sogno, ed ancor più dell’incubo, non
è facile accogliere come parti del sé l’omicida, il pedofilo, il perverso, il carnefice o
la vittima che è in noi. Solo con una scelta radicale, tuttavia, è possibile ampliare lo
spazio autoconoscitivo oltre gli steccati angusti di una autopercezione moralistica e
adattiva ai dettami delle convenzioni sociali.

3.22 Dall’analizzare al drammatizzare. Analizzare viene da ana-lyo,


disseziono, faccio a pezzi. Ma così facendo si uccide l’organismo vivente che
vogliamo studiare. Può essere utile se dobbiamo ana-lizzare, appunto, il fegato di un
animale, ma questo implica il doverlo sacrificare. Per coglierne i processi vitali
12

dobbiamo, al contrario, osservarlo in vivo. Questo è l’atteggiamento con il quale


Perls ci invita ad accostarci al sogno: con i sogni facciamo qualcosa di più
interessante. Invece di analizzare il sogno frammentandolo ulteriormente, vogliamo
ridargli la vita. E il modo per riportarlo in vita consiste nel rivivere il sogno come
se stesse avvenendo in questo istante. Invece di raccontare il sogno come se fosse
una storia del passato, agitelo nel presente, in modo che possa diventare parte di
voi, in modo da restarne effettivamente coinvolti.9 Sono forti le parole di Perls in
riferimento alle diverse parti del sogno: se riusciamo a portarle in vita poi abbiamo
più materiale da riassimilare. E tutta la mia tecnica si evolve in un non interpretare
mai, assolutamente mai. Soltanto un riproporre, un fornire all’altro l’opportunità di
scoprire se stesso.10

3.23 Il percorso esperienziale. Anziché interpretare i contenuti scissi – che


possono esprimersi attraverso il sogno, sintomi di conversione somatica,
incongruenze mimico-gestuali, comportamenti da cui il soggetto si sente agito o
fenomeni dispercettivi di vario tipo – la TdG propone un percorso esperienziale di
graduale appropriazione ed integrazione delle parti scisse. Più che la comprensione
intellettuale, che naturalmente fiorisce in una seconda parte, è quindi importante
lasciare spazio all'esperienza di entrare nel proprio sogno e in qualche modo
riappropriarsi di parti che istintivamente siamo portati a disconoscere e, quindi,
alienare. Noi siamo noi stessi, tutti noi stessi in ogni gesto, in ogni azione, ogni
menzogna, ogni interruzione autoimposta. Importante è acquistarne consapevolezza,
appropriarci responsabilmente di chi siamo e di cosa facciamo e magari, se lo
scegliamo, mutare i nostri schemi ripetitivi ed insoddisfacenti.

3.24 Il messaggio esistenziale e la verità soggettiva. L’acquisizione


secondo cui il sogno veicola forme di verità o addirittura rivela un messaggio
sapienziale dotato di una valenza divina rappresenta una delle acquisizioni più
universali del genere umano e che è dato riscontrare nelle più diverse culture. Tale
verità, tuttavia, non osserva la logica della corrispondenza obiettiva con i dati di
realtà esteriore, bensì con elementi inerenti a una verità soggettiva. Tra realtà interna
ed esterne non sussiste spesso una corrispondenza ovvia. Di qui la sensazione di
estraneità e bizzarria che spesso accompagna i vissuti onirici. Un lavoro in
profondità, tuttavia, fa emergere puntualmente la verità intrinseca che il sogno
veicola al sognatore come messaggio proveniente misteriosamente dalla sua
interiorità. In interiore homine habitat veritas, dice Agostino. Sappiamo come la
voce interiore del daimon abbia accompagnato il messaggio socratico e, più
anticamente ancora, sia stata non tanto la via regia all’inconscio, come riscoperto da
Freud, ma il tramite tra mortali e immortali. Lo stesso Perls lo descrive in questo
modo: Sono convinto che nel sogno ci troviamo di fronte a un chiaro messaggio
esistenziale su quel che manca alla nostra vita, su quel che evitiamo di fare e di

9 Ivi, p. 78.
10 Ivi, p. 130.
13

vivere, e che vi sia abbondante materiale da cui partire per riappropriarsi delle
nostre parti alienate, per riassimilarle.11

3.25 Sovradeterminazione e multisignificatività dei messaggi. I sogni,


come i miti ed anche singoli comportamenti umani, sono generalmente gravidi di
una molteplicità di significati che, tutt'altro che escludersi a vicenda, si intrecciano
coesistendo e spesso agendo come reciproci rimandi potenzianti. Tale
sovradeterminazione, genialmente anticipata da Freud, consente di sviluppare
secondo molteplici prospettive il materiale onirico presentato. Limiti di tempo ed un
principio psico-economico impongono, o quanto meno suggeriscono, l’opportunità
di cogliere quelle reti di significato che appaiano dotate di maggiore energia e
pregnanza per il sognatore nella fase esistenziale che sta attraversando. La
convergenza di dati immaginali, emozionali e cognitivi consentirà al terapeuta
esperto di cogliere la tridimensionalità della figura che chiede di emergere con
maggior forza da uno sfondo di rimandi possibili concentrando l’attenzione su quegli
elementi che veicolano messaggi dotati di maggiore forza espressiva.

3.26 Sul paradigma edipico come percorso di integrazione delle parti


scisse e liberazione interiore. Attraverso il processo del disvelamento,
coerentemente alla logica apollinea per la quale la verità (nel nostro caso la
confessione del parricidio) vi farà liberi (in questo caso la liberazione dalla peste),
anche Edipo inizierà un processo di riappropriazione di respons-abilità (abilità a
rispondere), un faticoso percorso di liberazione dalle colpe antiche che lo condurrà
finalmente al bosco sacro, alle Eumenidi, nei pressi di Colono dove diviene uomo di
benedizione. Abbiamo quindi la possibilità di vedere nel paradigma edipico la storia
di un uomo che accetta di perseguire sino alle estreme conseguenze il conosci te
stesso, detto che campeggiava sul tempio di Apollo a Delfi e che nessun mortale ha
esplorato come il nostro eroe della conoscenza interiore. A suo merito indiscusso va
ascritta la pervicacia nel voler perseguire fino in fondo la sua verità nonostante il
prezzo che essa avrebbe comportato e i tentativi disperati di Giocasta che in ogni
modo cerca di impedirne il disvelamento con incalzante successione fino ad
esclamare: infelice, che tu non debba mai sapere chi sei! Ma l’universalità del
personaggio sta sia nella eccezionalità della sua vicenda, come nella più piena
umanità, fatta di debolezze, di tratti caratteriali distorti e di timori, di disperato
bisogno di conoscere la propria verità personale, la sua storia, le sue origini, come
parimenti la resistenza che lo fa dibattere come un animale preso al laccio –
rivelando un autentico zelo di non sapere – quando la terribile verità che lo riguarda
si stringe ineluttabilmente. In tal senso Edipo può legittimamente essere considerato
come un eroe dell’auto-conoscimento, un nume tutelare di ciascun uomo che
intraprende il suo descensus ad inferos, il percorso conoscitivo delle parti rimosse
della personalità, delle parti d’Ombra, senza le quali è comunque impossibile
accedere a livelli integrativi del sé. Se il percorso terapeutico e di crescita personale

11
Ivi, pp. 85-86.
14

può essere visto come il risultato della integrazione delle parti scisse, il paradigma
edipico, ancora una volta, si presenta come un paradigma emblematico della ricerca
interiore e quindi della nostra disciplina, per quanto concerne la sua tensione non
solo a favorire processi adattivi ma, possibilmente, un più profondo processo
trasformativo-maturativo della personalità.

3.27 Natura e cultura. È noto come la produzione onirica avvenga a carico


dell'emisfero destro attraverso un coinvolgimento di strutture ipotalamiche (deputate
ai bisogni fondamentali), limbiche (emozioni e ricordi), corticali (immagini) e
frontali (capacità di sintesi e proiezione nel futuro), mentre la comunicazione con
l'emisfero sinistro (deputato alle funzioni della parola e della concettualizzazione)
avviene nelle fasi del sonno non sognante. Sembra, quindi, (teoria della
riprogrammazione genetica di Jouvet) che la integrazione e la memorizzazione delle
nostre esperienze avvenga a questo livello. Se è vero che tutti condividiamo alcuni
contenuti universali di coscienza (archetipici) è anche vero che l’ambiente culturale
di cui siamo espressione fa parte del campo dell’esperienza onirica. Importante è,
quindi, per chi si dedica a questo tipo di lavoro, acquisire informazioni e familiarità
con entrambi questi livelli di comprensione. Per districarsi tra le molteplici
traiettorie di significato è tuttavia importante tenere sempre in considerazione
primaria l’orientamento del sognatore sul significato da attribuire ai propri sogni,
+ evitando di proporre (quando non … imporre) un’ipotesi interpretativa che
spesso esprime una narcisistica esibizione di sapere da parte del terapeuta più che un
più umile atteggiamento di accompagnamento del sognatore nel prendere graduale
contatto con il materiale emerso.

3.28 Immagine ed emozione correlata. L’identificazione con il contenuto


immaginale consente di lavorare sui processi primari in presa diretta, prima che
vengano canalizzati attraverso filtri cognitivi. Se l'anima è una successione di
immagini, come suggerisce Jung, si tratterà di evocare queste immagini e
riconoscere loro il significato nel contesto della nostra storia personale al confronto
con la realtà con cui le nostre individualità sono entrate in contatto, in rapporto di
collisione/collusione. Un buon lavoro gestaltico comporta l’attitudine a dare
tridimensionalità al vissuto emergente. Se la porta d’ingresso è un’immagine
onirica, è utile collegarla appunto all’emozione che a questa si associa nonché alla
sensazione somatica che la accompagna. Lo stesso valga per un’emozione: quale
immagine evoca e a quale pensiero si associa? Lo stesso elemento cognitivo, ad
esempio un’immagine onirica, può infatti avere per l’individuo significati assai
diversi. L’uso di un impersonale codice di decifrazione, in questo caso un dizionario
dei simboli, potrà indurci a false interpretazioni se non raccorderemo tale evocazione
simbolica al vissuto emotivo evocato nel sognatore.

3.29 Ologramma. L’attitudine ad utilizzare abitualmente uno spettro


comunicativo olistico consentirà di non restare vincolati ad un unico codice
semantico con possibilità di ricostruire in modo più rispondente lo spessore del
vissuto che ci viene riferito. Anche se il paziente si comporta oggi in un certo modo
15

a causa di eventi passati, le sue difficoltà attuali sono connesse al suo agire oggi. Le
questioni insolute del passato gli ostruiscono la strada del presente e, mediante la
terapia, gli viene data la possibilità di far riemergere tali confitti e di esplorare
modalità diverse per affrontarli. In tale processo si tratta di mettere in opera una
serie di operazioni che favoriscano il ripristino di un flusso vitale evolutivo nel
paziente. Per cogliere il senso del materiale simbolico che il sognatore presenta è
sempre importante collegare l’elemento cognitivo-immaginale alla risonanza
emozionale che lo accompagna. Immagini ed emozioni, considerati da Freud
processi primari, vanno accolti e valorizzati nell’approccio ad orientamento
fenomenologico della TdG, per il valore in sé che comportano come accadimenti
dello psichismo ed ancor prima di essere elaborati dai processi secondari della
verbalizzazione e della concettualizzazione interpretativa. Ad ogni immagine riferita
va quindi posta la domanda circa la risonanza emozionale di accompagnamento e
che, come vedremo di seguito, riserva spesso imprevedibili sorprese.

3.30 I livelli di comunicazione e le incongruenze tra i linguaggi. Un


elemento importante, e attualmente ampiamente condiviso con altri approcci, è
quello di identificare eventuali incongruenze tra il linguaggio verbale e quello
gestuale o mimico. Tale incongruenza, a cui il terapeuta farà da specchio con il
semplice rilevarla – più che denunciarla come una menzogna intenzionale o anche
inconscia – riflette puntualmente diversi livelli dell’essere, a cui anche
precedentemente ci siamo riferiti. Tale splitting, o scissione, seppure in aspetti
modesti della personalità, indica elementi di elusione di aspetti alienati che si
annidano in una compagine non ancora completamente integrata della personalità
stessa. Sulla negoziazione tra le parti del sé scisse o non ancora completamente
integrate si svilupperà buona parte del lavoro gestaltico che non si avvarrà tuttavia
del ricorso alla interpretazione, ma che seguirà scrupolosamente un percorso
esperienziale teso ad accompagnare la persona in causa ad un graduale contatto con
la parte del sé rimossa. Un sognatore può descrivere un elemento a cui generalmente
attribuisce un forte impatto emotivo, come la vista di un serpente o un evento
traumatico o erotico, con una risonanza emozionale assolutamente inconguente. È
proprio questa incongruenza ad aprirci un varco per accedere ad un quid novi che il
messaggio del sogno sta dando al sognatore. Si sovverte, in altri termini, un
paradigma percettivo che il sognatore da di sé in relazione ad un evento, aprendo la
possibilità di accedere ad uno scenario di relazioni modificate e del quale il
sognatore è chiamato ad esplorare le possibilità innovative.

3.31 Drammatizzazione e attualizzazione. La TdG considera la


drammatizzazione, intesa come identificazione nelle diverse componenti del sogno,
alla stregua di strumento primario per rivelare il significato del sogno. Dato che il
nostro scopo è quello di fare di ognuno di noi una persona sana (integrata), quel che
dobbiamo fare è rimettere insieme i vari frammenti del sogno. Dobbiamo
riappropriarci di queste parti proiettate e frammentate della nostra personalità e
riappropriarci del potenziale nascosto che compare nel sogno. La drammatizzazione
può essere proposta sia in un setting individuale ricorrendo alla tecnica del
16

monodramma, ma può coinvolgere anche i membri di un gruppo di terapia attraverso


tecniche di psicodramma.

3.32 Il tempo presente. Il lavoro gestaltico sul sogno si caratterizza per l’uso
del tempo presente. Mentre il sognatore inizia abitualmente il proprio racconto con
l’uso del tempo passato, il terapeuta propone di usare il tempo presente aggiungendo
l’invito a raccontarlo come se l’evento narrato stesse avvenendo adesso. Tale
proposta è più che un semplice espediente tecnico. Permette infatti di attualizzare il
vissuto da un racconto di qualcosa che attiene al passato ad un vissuto che si
presentifica nel qui-ed-ora. Il privilegio per la connotazione spazio-temporale
riferita al presente, nella TdG, si giustifica per più ragioni convergenti che, anche se
ormai accettate da tutte le psicoterapie contemporanee, riteniamo utile sottolineare:
– è nel presente che di fatto ci interroghiamo sull’esistenza che si declina
inevitabilmente nelle coordinate spazio-temporali in cui ci troviamo;
– questo radicamento nel qui ed ora con il mio corpo-sensazioni-emozioni-
pensieri che sono me (e non mie) mi permettono di verificare in concreto la qualità
delle interazioni con l’ambiente e di verificare, di conseguenza, attraverso il lavoro
sulla consapevolezza, quanto queste interazioni siano o non siano soddisfacenti e
quindi migliorabili. L’esercizio sul continuum della consapevolezza mi allenerà
progressivamente a far mia un’attitudine più plastica, mobile, esperienziale di
scambi con l’ambiente (favorevole o non favorevole che sia) che diverrà uno stile di
vita abituale anche al di fuori del setting terapeutico;
– il presente favorisce l’impatto, il contatto diretto e non mediato con le cose,
le fantasie, le emozioni. La dimensione del passato o del futuro è spesso un modo
per localizzare lontano da me situazioni e vissuti, eludendo un confronto del quale
sarei obbligato ad assumermi la responsabilità intesa come abilità-a-rispondere;
– il presente è ancora come condizione per l’esercizio di una consapevolezza
che non è destinata necessariamente ad identificare bisogni o lacune da colmare, ma
più semplicemente a farmi assaporare il fluire dell’essere, delle sensazioni, pensieri,
emozioni progressivamente svincolate dalle introiezioni persecutorie e doveristiche
del se fossi o del dovrei;
Il presente, comunque, non significa neppure negazione del passato e del
futuro quali dimensioni che nel presente conservano un autentico significato.

3.33 Lo psicodramma gestaltico. È noto l’orientamento, in TdG, a


privilegiare il monodramma dal momento che il ruolo svolto da un membro del
gruppo nel rappresentare un personaggio del sogno, richiesto nello psicodramma,
può essere inquinato dai vissuti di chi assume lo stesso ruolo. In TdG si tende, al
contrario, a lavorare sulla Gestalt emersa in modo rigorosamente aderente al vissuto
del sognatore, affinché ogni particolare esprima fedelmente la fenomenologia che il
sogno ha offerto. Il classico lavoro gestaltico tra le parti del sé in rapporto dialettico,
se non in conflitto, viene notoriamente definito monodramma e si svolge mettendo
le due parti in gioco su una sedia (vuota) con il cliente che, alternativamente, dà
voce alle due parti del sé con il fine di definire meglio le reciproche posizione ed
esplorare una possibilità dia-logica ed una possibile mediazione negoziale tra le due
17

allorché in conflitto. Nel caso del sogno, tuttavia, le parti in gioco possono essere
molte e risulta poco agevole il lavoro di identificazione alternata sulle sottoparti. Per
questo motivo viene spesso utilizzato lo psicodramma che, in questo caso, è anche
conosciuto come o onirodramma. Con l’intento di sintetizzare i vantaggi offerti dai
due metodi, adotto da qualche tempo una tecnica mista – che definisco psicodramma
gestaltico – e che prevede il coinvolgimento di più membri del gruppo nell’assumere
i ruoli delle componenti significativi del sogno che, tuttavia, non sono chiamati ad
agire le interazioni tra le parti che vengono alternativamente agite dal sognatore. Il
vantaggio di questa tecnica sta nell’utilità della disposizione spaziale (prossemica)
delle parti del sé che integra in parte anche la tecnica utilizzata nel lavoro delle
costellazioni. Una tecnica questa che, dopo una prima sperimentazione, tendo ad
utilizzare abitualmente in quanto coerente con il modello gestaltico, ma con una
attualizzazione che la rende maggiormente applicabile alle definizione delle diverse
parti del sé in gioco. Tale rigorosa differenziazione tra le stesse è infatti
fondamentale in un rigoroso lavoro gestaltico e dà ragione alla domanda che spesso
Perls rivolgeva al suo cliente chi sta parlando?, intendendo mettere in evidenza allo
stesso cliente quale delle sottopersonalità si stesse esprimendo in una espressione,
specie se in contraddizione con una espressione precedente.

3.34 Sogno e creazione artistica. Non può sfuggire, specie a chi ha assistito
ad una drammatizzazione condotta da un terapeuta esperto, la componente artistica
di tale operazione. Sulla scia di Perls anche E. Polster, Serge Ginger e altri
sottolineano come l’approccio gestaltico alla rievocazione delle vicende umane
corrisponde ad modello estetico e creativo, più scientifico. Il lavoro sui sogni, anche
per Michel Miller, rappresenta: “una delle modalità prioritarie per dare, come fa
l’artista nelle sue opere, forma e grazia all’esperienza, per trasformare il materiale
negativo che riguarda l’esperienza di vita degli individui in altro materiale che sia
completo e significativo, utile e saggio e che faccia sentire alla persona di star
costruendo il senso della propria esistenza”.12

3.35 Il regista onirico e la molteplicità del sé. Chi ordisce le trame del
sogno? E chi è questo drammaturgo che sa mettere in scena queste pièces de théâtre
in modo così geniale e bizzarro? Viene da sospettare che sia veramente un dio
questo Morfeo che ci rivela le parti del sé che ci chiedono di essere integrate in
forme più consapevoli ed evolute di co-esistenza. Il lavoro clinico-esperienziale
prevede quindi una presa di contatto tra le parti, specialmente allorché le stesse si
presentano in rapporto evitativo, conflittuale o scisso. Tra sonno e veglia, il sogno
rappresenta quindi quello spazio intermedio dove il Dottor Jekyll e il Mister Hyde,
superando l’inconciliabile incomunicabilità, vengono finalmente in contatto. Certo,
non sarà semplice per il nostro sognatore identificarsi anche con la belva notturna
quando disperatamente si sforza di riconoscersi soltanto nel personaggio diurno e
rispettabile. Di qui la necessità di sviluppare le attitudini ad un accompagnamento
12
In Giusti E. e Rosa V. (2002), Psicoterapie della Gestalt. Integrazione dell’Evoluzione Pluralistica,
ASPIC Edizioni Scientifiche, Roma, p. 309.
18

negli inferi nel quale verrà messa in gioco tutta la competenza e la sensibilità del
terapeuta.

3.36 Esplorare. Al di là del significato, vero o presunto, il sogno rappresenta


uno spazio che offre spunti inaspettati di esplorazione in scenari dotati sempre di
aspetti inattesi e dagli sviluppi imprevedibili. La prerogativa del linguaggio onirico
di mescolare eventi e personaggi del passato con il presente o con un ipotetico futuro
crea situazioni che disarticolano l’autonarrazione egoica e rappresentano una sfida
che può sconcertare, ma che apre comunque a nuove prospettive. In tal senso è
importante che il terapeuta sappia porsi nella posizione dello psicopompo,
dell’accompagnatore di un percorso animico, anche se nei territori incerti ed
umbratili del mondo infero. Nessun accadimento della coscienza può avvenire se
non nel paziente. Sua deve essere, auspicabilmente, la scoperta. A lui conservare la
gioia, seppure dolente a volte, della epifania, della autorivelazione del quid novi che
dal fondo indistinto della coscienza emerge alla luce più definita e chiara
dell’evidenza.

3.37 Il principio di responsabilità. Unicuique faber fortunae suae (ognuno


è artefice del proprio destino) recita un antico adagio. Seppure assunto con i
distinguo imposti da ovvi elementi di valutazione come età, situazioni oggettive di
contesto e reale capacità di intendere e di volere dell’individuo. Nell’accezione di
Perls non si tratta solo di assumersi la abilità a rispondere delle proprie azioni, ma
anche delle proprie emozioni, comprese quelle definite inconsce, come appunto il
sogno che non è frutto di operazioni intenzionali della psiche. Era davvero ignaro
Edipo di aver ucciso il padre in quel personaggio incrociato sulla strada che portava
a Delfi? Ed era inconsapevole la madre Giocasta che sposò il giovane sconosciuto
che aveva risolto il quesito della sfinge? O forse, come lucidamente precisa Sofocle,
ciò che non viene detto non esiste e semplicemente non faceva comodo a nessuno
sapere che il giovane re di Tebe era l’incestuoso parricida? Non a caso, come pure
sottolinea Freud, siamo istintivamente portati a relegare negli scantinati
dell’inconscio ciò di cui abbiamo difficoltà ad essere consapevoli. Di qui la de-
enfatizzazione (spesso di comodo) della dimensione inconscia a favore di una più
responsabile assunzione dei propri vissuti da parte dell’individuo adulto o che, per lo
meno, si è avviato verso un percorso di adultizzazione. Assumere la posizione
secondo cui il sognatore è comunque soggetto dei propri vissuti, specie se alieni alla
abituale autorappresentazione del sé, comporta una serie di corollari importanti, sia
nella conduzione della relazione terapeutica sia, auspicabilmente, nello stile di vita
che ne può seguire. Funzione di una persona che si propone in posizione di aiuto è
quindi quella di favorire un processo di assunzione consapevole delle componenti
che di fatto risultano operanti e che si rivelano nel sogno in misura proporzionale a
quanto, nello stato di veglia, vengono negate o lasciate in ombra.

3.38 Il terapeuta entra nel campo del sogno narrato. Il sogno su cui
lavoriamo è il sogno che, in genere, viene raccontato ad un terapeuta. Lo stesso
entra nel campo, quindi, del sognatore e ne influenza inevitabilmente il vissuto. È
19

noto, in ambito gestaltico, il resoconto fatto da Isadore From nel quale lo stesso, al
paziente che gli riferiva di aver fatto un piccolo sogno chiese piccolo come me?
Questo riportare fortemente il racconto onirico alla interazione transferale con il
terapeuta mi lascia personalmente perplesso. Pur nel rispetto dell’attenzione ai
fenomeni di frontiera/contatto nello spazio intermedio (da cui intermedietà o
Zwischenheit) tra terapeuta e cliente, ritengo che, memori di Rogers, la terapia debba
essere rigorosamente centrata sul cliente e che il terapeuta debba evitare di
interferire massicciamente (o presumere di farlo) sui vissuti del cliente, rispettando il
suo spazio interiore, oltre che intersoggettivo, come obiettivo primario di indagine.
Inevitabilmente la funzioni di contatto che il cliente riferisce nel suo racconto onirico
non può non rispecchiarsi anche nella relazione con il terapeuta e questa analogia
rappresenterà una delle risorse più efficaci di consapevolezza e potenziale
cambiamento se opportunamente utilizzate da un professionista esperto. L’aspetto
proiettivo transferale sulla relazione terapeutica viene, nell’ottica gestaltica, de-
enfatizzato rispetto ad un'attitudine a saper vedere la persona reale nel terapeuta
(come in ogni altra persona) al di là dei veli di Maya delle nostre proiezioni.
L’indiscutibile presenza dell'elemento transferale, seppur tenuto presente, viene
quindi affrontato nel senso di un dichiarato proposito di superamento e non
legittimato attraverso una strutturale connotazione della relazione terapeutica.
Questa, ancora una volta, rappresenterebbe una barriera alla autenticità-rischio
dell’incontro reale con l’altro da sé che, se da una parte può proteggere dal rischio
stesso di tale incontro, dall'altra legittima una intrinseca infantilizzazione del
rapporto.

4 Gli strumenti del lavoro gestaltico e alcune applicazioni particolari


In questa parte verranno affrontati alcuni aspetti metodologici (mi sembra
riduttivo chiamarle tecniche) del lavoro gestaltico unitamente ad alcuni aspetti
particolari che si presentano nella pratica del lavoro sul sogno.

4.1 L’amplificazione e le tecniche. I limiti del presente contributo non


consentono di addentrarci sul tema delle tecniche maggiormente utilizzate in TdG.
Se c’è un aspetto che, in ogni caso, merita richiamare è quello dell’amplificazione.
La difficoltà stessa che la comprensione del sogno pone al sognatore e al suo
terapeuta comporta un tentativo di approfondirne gli aspetti grazie a tecniche di
amplificazione degli elementi che lo compongono. Nella psicoanalisi è noto come la
tecnica fondamentale sia quella delle associazioni libere, la cui efficacia non può
essere, a mio parere, sminuita e che è stata rivalutata in ambiente gestaltico anche
dall’opera di Claudio Naranjo. Nel caso di Jung viene sottolineata l’importanza di
arricchire il materiale onirico con riferimenti archetipici o mitologici in grado di
ampliare il campo semantico con riferimenti ricchi di analogie e suggestioni.
Personalmente mi trovo molto vicino a questo approccio e ritengo che il nutrimento
ideativo, sia in ambito immaginale che concettuale, possa fornire importanti
strumenti di comprensione e di approfondimento dei significati del sogno. Nel caso
della TdG abbiamo già ricordato come l’amplificazione sia perseguita
20

essenzialmente attraverso l’immedesimazione nelle parti del sogno e nella


drammatizzazione delle stesse a cui si associa spesso un aspetto catartico-liberatorio
nella interazione tra le parti eventualmente in conflitto ed un successivo processo di
contatto, negoziazione, dialogo e integrazione tra le parti scisse. Lungi dal risultare
come frutto di una interpretazione dall’alto del sapere del terapeuta, la comprensione
emerge dal confronto dal basso (secondo una modalità che possiamo considerare
più democratica che autoritario-verticistica) tra le parti in causa analogamente alla
ricerca sulla verità che si esprime nel dialogo platonico nel quale le diverse
prospettive si confrontano dialetticamente nella graduale ricerca di un consenso
possibile.

4.2 Sogni interrotti e immaginazione attiva. Di derivazione junghiana è


del pari l’uso di questa importante metodica che aiuta il sognatore ad assumersi la
soggettività consapevole del percorso onirico. Spesso un sogno viene interrotto da
un improvviso risveglio. Immancabilmente ci troviamo di fronte ad una resistenza,
ad un impasse che non ha consentito il prosieguo della rappresentazione onirica.
Cosa lo ha impedito? Un efficace metodo è appunto quello di reimmergersi nella
situazione interrotta e scoprire che cosa in noi non vuole proseguire e preferisce al
contrario interrompere la sequenza. L’auto-interruzione, una volta approfondita, ci
darà utili informazioni sui nostri meccanismi evitativi e sulle modalità con le quali
auto-interrompiamo i nostri processi evolutivi. Tale tipo di intervento terapeutico è
molto più che un espediente, perché rimanda alla struttura stessa del sogno che,
come abbiamo visto, contiene una parte manifesta – una proposizione del tema – ed
una parte nascosta, interrotta o semplicemente non ancora esplorata. L’impasse
esistenziale che si disvela in tale sequenza interrotta è spesso accompagnata da un
sovraccarico emozionale che porta spesso al risveglio e alla permanenza
dell’immagine onirica spesso incomprensibile, appunto perché inaccessibile alla
possibilità di comprensione dell’Io cosciente. Ma è proprio in questo passaggio che
si cela il potenziale evolutivo che un buon terapeuta saprà facilitare riproponendo la
scena interrotta ed accompagnando il sognatore nei passaggi successivi nei quali gli
viene offerta la possibilità di procedere contando sull’accompagnamento dello
psicopompo.

4.3 Sogni non ricordati. Una peculiarità del lavoro sul sogno di Perls era
quello di lavorare sui sogni che il paziente non ricordava. Un passaggio indicativo
dell’Edipo re di Pasolini presenta in modo emblematico questa situazione nella
quale il giovane principe di Corinto chiede ai genitori (adottivi), Merope e Polibo, di
potersi recare a Delfi per interrogare l’oracolo essendo angosciato da un sogno che
non ricordava. Il meccanismo della rimozione produce infatti una dimenticanza del
vissuto ansiogeno che, tuttavia, permane come traccia a livello emozionale
(sottocorticale). Traccia dalla quale un terapeuta esperto può rievocare il contenuto
immaginale attraverso il lavoro dell’ologramma a cui abbiamo fatto riferimento.
Basta quindi avere una porta di accesso per poter adire al contenuto di coscienza nel
suo insieme. Anche Simkin riferisce questo tipo di lavoro: Dico al paziente: ‘Cosa
hai sognato l’altra notte?’ e lui ‘Non ho sognato. Non sogno mai’. Io allora dico
21

‘Bene, quei tizi che fanno ricerche ci dicono che tutti sogniamo ogni notte’. In altre
parole, sono molto dogmatico su questo fatto. Prendo una sedia e gli dico ‘Metti su
questa sedia il sogno che hai avuto questa notte e che non riesci a ricordare, e
parlagli. Digli che ti sta scappando’. E il sogno dice: ‘Non ti sto scappando; sto
cercando di entrare, razza di cretino!’, e il paziente sviluppa la consapevolezza che
lui sta proprio comportandosi così”. Questo spezzone di lavoro evidenzia l’uso della
“sedia vuota” sulla quale viene fatta sedere la “parte del sé” rimossa e con la
quale ci si propone di entrare in contatto attraverso una tecnica di
drammatizzazione dialogica detta “monodramma”.13

4.4 Sogni corti. Talvolta un cliente riferisce solo una immagine fugace o una
sola sensazione senza saper ricostruire la trama del sogno di cui questo spot fosse
parte. Tale frammentarietà del vissuto riferito può scoraggiare il terapeuta
dall’esplorarne le potenzialità, ma l’esperienza di chi ha maturato una sufficiente
consuetudine con il dreamwork testimonia che anche un frammento può veicolare
una densità di messaggio impensabile all’inizio del racconto. Importante, anche in
questo caso, è attivare la dimensione dell’ologramma e saper cogliere la risonanza
emozionale oltre a quella immaginativa e ideativa. Anche in questo caso, Perls
manifestava la sua maestria. Un gestaltista particolarmente esperto in questo tipo di
approccio è stato Herbert Hoffmann con il quale ho avuto la possibilità di
collaborare per anni. Nel suo stile di lavoro era essenziale aprire una Gestalt anche
senza l’ambizione di volerla necessariamente chiudere. Il cliente veniva spesso
lasciato con una domanda aperta sulla quale continuare il suo lavoro di
consapevolezza ed autoascolto. Il percorso del dopo seduta non va infatti trascurato
e si presenta spesso come quello più fecondo, specie nei casi in cui il materiale
emerso sia di particolare significato per il sognatore.

4.5 Sogni ricorrenti e unfinished business. Nella prospettiva della TdG la


ripetizione di un sogno, specie se accompagnata da vissuti di angoscia, non esprime
una “coazione a ripetere” espressione, come per Freud, di una pulsione di morte, ma,
al contrario, come una riproposizione di un tema irrisolto che, per l’effetto
Zeigarnik, tende a riproporsi in quanto tuttora in attesa di un suo sbocco evolutivo.
Questo misterioso fenomeno si collega alla intrinseca tendenza delle Gestalten a
completarsi, come richiamato a proposito della citata morfogenesi autogena. La
ripetizione del sogno assume in questo modo il significato di una Gestalt non chiusa
e di un problema non risolto che, per questo motivo, ridiventa figura e non retrocede
nello sfondo. A livello terapeutico si richiederà quindi di individuare lo scarto
evolutivo inceppato, lo unfinished business (Gestalt incompiuta) e riprendere un
percorso che porti ad uno sbocco evolutivo avvalendosi di una gamma
sufficientemente ampia di modalità di intervento. Si tratterà, a seconda delle diverse
situazioni, di ricondurre il conflitto attuale al trauma originario attraverso tecniche
che consentono la regressione e la presentificazione del conflitto agendone il

13
Simkin J. S. (1976), Brevi lezioni di Gestalt, Borla, Roma, 1978, p. 85.
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potenziale catartico; di drammatizzare il conflitto tra oggetti interni, agendo i diversi


ruoli o invitando i membri di un gruppo ad agirli; di evocare l’immagine, la
rappresentazione, la Gestalt che riveli il come si è qui ed ora davanti a sé e agli altri,
per agire successivamente la rappresentazione e lasciar sviluppare l’immagine finché
ci dia compiutamente il suo messaggio. Si tratterà, in altri casi, di ridurre il livello di
ansia, il disperato tentativo di controllo sull’ambiente interno ed esterno per
sbloccare un vissuto paralizzante, per scoprire un nuovo modo di percepirci nel
mondo, per affrontare lavori più settoriali su somatizzazioni o cenestopatie; e ancora
di leggere il corpo e lavorare sul corpo, per mobilizzare ingorghi energetici e
strozzature del flusso vitale; di sviluppare i modi di un linguaggio non verbale, per
acquisire una maggiore consapevolezza di più immediati livelli di essere e
comunicare; di evidenziare sequenze comportamentali infruttuose ed eventualmente
rinforzare attitudini più assertive e responsabili.

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