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DIDATTICA DELL’ITALIANO - VIALE

http://www.matteoviale.it/didattica/ = x riferimenti alle parti dei libri trattati a lezione!!!!!!!

FARE TESINA DA 5 PAGINE + COMPITI DURANTE LE LEZIONI


Bibliografia per il corso da 6 cfu:
1. Testi e materiali didattici disponibili nella piattaforma e-learning del corso.√
2. Maria G. Lo Duca, Lingua italiana ed educazione linguistica. Tra storia, ricerca e didattica,
Roma, Carocci, 2013 ->escluso il capitolo 6√
3. il capitolo dal titolo Le tecnologie per un reale rinnovamento della didattica
dell’italiano del testo al punto 3 (pp. 9-22) (abbiamo il pdf)
4.  Paola Baratter, Un approccio alla grammatica valenziale. Guida per l’insegnante, fascicolo
allegato a L’infinito presente. Grammatica italiana, Novara, De Agostini Scuola, 2013, pp.
13-76 (disponibile online). √
ESAME: 29 DOMANDE SCELTA MULTIPLA, 5 APERTE (2 AMPIE E 3 SPECIFICHE)  ESAME AD APRILE

Lezione 04/02

Educazione linguistica e scuola:


L’educazione linguistica è un concetto ampio che si applica a più casi. È necessario decostruire il
rapporto tra educazione linguistica e scuola, ciò che ci interessa maggiormente è la competenza
linguistica per chi ha l’italiano come lingua madre, senza dimenticare che l’educazione linguistica
raccoglie al suo interno vari casi, come una formazione specifica/professionale, l’apprendimento di
una lingua (L2/LS), le classi multilingui. Parlare dell’insegnamento dell’italiano a scuola ci porta a
elaborare il concetto di educazione linguistica sia dal punto di vista sostanziale, sia considerando i
vissuti a scuola. Il controcampo dell’educazione linguistica è la linguistica educativa ed è quella
branca di scienze linguistiche che si riferisce alle competenze linguistiche. Mentimeter.com è un
applicativo utile sia per le lezioni in presenza, sia per quelle a distanza; è un’applicazione didattica
che permette di creare delle attività interattive, di creare un dialogo fra i vari partecipanti della
lezione. I giudizi di valore dimostrano che l’educazione linguistica non è mai un’entità astratta, ma
sempre vincolata alla presenza di insegnanti con cui stabiliamo un rapporto più o meno positivo.
Per (quasi tutti) noi, l’italiano a scuola è legato alla grammatica e al testo letterario
(letteratura/poesia), sebbene le indicazioni nazionali indichino che la grammatica è uno dei cinque
settori dell’insegnamento dell’italiano ed è l’ultimo citato, è parte di un discorso più ampio e non è
tanto centrale come nella statistica appena svolta; invece, la parola “letteratura” non compare fino
al passaggio alla scuola secondaria di 2 o grado. C’è una grande scarto tra l’esperienza personale e
ciò che ci si aspetta dagli insegnanti secondo i documenti nazionali; nel ruolo di docente, c’è una
forte tendenza a replicare, nel bene e nel male, ciò che si è sperimentato da studenti: ciò può
funzionare se le nostre esperienze da studenti sono state positive, può essere problematico se c’è
il bisogno di cambiamento; è fondamentale tenerlo presente.
3 provocazioni (1. punto di vista storico – 2. punto di vista psicologico – 3. punto di vista
pedagogico)
1. L’età dell’oro  “Salvo i giovani di mente sveglia, gli altri, anche se non stupidi, non sanno
evitare gli errori più comuni di ortografia” (Francesco D’Ovidio, filologo, 1871) è una lamentela
senza tempo, ci sembra molto attuale perché quando si parla di scuola e dei problemi della
scuola, c’è una tendenza molto forte a rimpiangere l’età dell’oro, in cui tutti scrivevano
correttamente, si esprimevano perfettamente. Tullio De Mauro: “Quanti italiani parlavano
italiano nel 1861, al momento dell’Unità d’Italia? Solo il 2,50% della popolazione.” Un altro
studioso, Enrico Castellani, contesta il dato di De Mauro e arriva all’8,77%; perciò, anche nella
più ottimistica delle stime, si parla di un’esigua parte della popolazione italiana che era capace
di utilizzare la lingua italiana. Dunque, la famigerata “età dell’oro” forse non esiste proprio,
tuttavia in generale, non solo per le questioni linguistiche, tendiamo a rimpiangere il passato:
Zygmunt Bauman ha scritto un libro sulla “retrotopia”, la tendenza della mente umana ad
idealizzare il passato, a sfuggire dai problemi del presente ritornando al passato; in realtà pochi
decenni fa la situazione era più complessa, mai prima di oggi i tassi di alfabetizzazione e
scolarizzazione sono stati così alti. I dialetti locali erano la lingua madre, la lingua conosciuta
dalla maggior parte delle persone. Storicamente, conosciamo l’esistenza di zone grigie, in cui
c’erano i solo dialettofoni che però in qualche modo riuscivano ad arrangiarsi con un “italiano
nascosto” (Testa).

Nel 1951, 90 anni dopo l’Unità d’Italia, il dialetto era la lingua esclusiva del 65% della
popolazione; poi, la percentuale va diminuendo (43% nel 1961, 32% nel 1971, 23% nel 1982,
7% nel 1995) fino a raggiungere il 5% nel 2006 che non è comunque una cifra bassa, ma i dati
di De Mauro si sono completamente rovesciati. In quanto agli esclusivi italofoni, passano dal
25% nel 1974 al 45% nel 2006. Come futuri insegnanti, dobbiamo mettere in conto l’esistenza
del dialetto, ancora oggi importante e socialmente presente.
A determinare questo ribaltamento, la scuola ha avuto un ruolo essenziale: negli anni 50,
l’obbligo scolastico viene alzato da 2 anni a 5, fino alla 5 a primaria; negli anni 60, nasce la scuola
media unica e poi i primi due anni di superiori vengono resi obbligatori. I dati dell’abbandono
scolastico sono importanti: nel momento dell’Unità d’Italia, spesso i bambini non la
frequentavano perché erano immersi in realtà familiari (es: lavoro nei campi, vendemmia); poi
alla fine degli anni 70/inizi 80, si raggiunge un tasso molto alto della scolarizzazione, tuttavia la
piena scolarizzazione non la raggiungiamo nemmeno oggi. Altri fattori che hanno contribuito a
questo cambiamento sono stati: la radio (dagli anni 30), il cinema e la televisione,
l’urbanizzazione / la migrazione, i media. La televisione aveva un doppio ruolo educativo:
passivo perché portava la lingua italiana nelle case, attivo perché programmi come “Impariamo
l’italiano” di Alberto Manzi diventavano un’occasione di studiare, di fare scuola a casa.
2. Gioia-Ansia  Secondo alcuni studi di psicologia scolastica (studia le emozioni nel vissuto della
scuola da parte degli studenti): nello studio della matematica, la gioia contraddistingue i primi
anni di primaria, mentre crolla con il passaggio alla 1 a media e l’ansia si palesa con il passaggio
alla scuola media. Nello studio dell’italiano, la gioia crolla già in 5 a primaria e l’ansia arriva
ancora prima che nella matematica. Questo è un dato interessante per 2 osservazioni:Nelle
indicazioni nazionali, non c’è nulla che giustifichi questo andamento, dunque è legato a
qualcosa che sta al di fuori della cornice di apprendimento, forse dipende dal rapporto con
l’insegnante, che si fa più distante (dare del Lei, cambio di valutazione, organizzazione
diversa);In chiave glottodidattica, un cambio di paradigma importante è l’approccio
comunicativo. Nella “second-language acquisition theory” di Stephen Krashen, si dice che
l’apprendimento di una lingua è costituito da vari passaggi: da un lato c’è l’apprendimento (lo
studente è sottoposto all’input linguistico) e dall’altro c’è l’acquisizione (lo studente fa suoi gli
insegnamenti ricevuti, sa applicare i concetti). Krashen introduce il concetto di “Filtro affettivo”
(filtro emotivo, emozionale): perché, nell’apprendimento di una lingua, si verifichi il passaggio
dall’apprendimento all’acquisizione, occorre che il filtro delle emozioni sia molto basso, cioè
che non entrino in circolo l’ansia e il timore di sbagliare, ma emozioni positive come la gioia, il
divertimento, ecc. Se c’è tensione, a livello celebrale, entrano in gioco degli ormoni che
rendono più difficile e lento il passaggio dall’apprendimento all’acquisizione. Bisogna riflettere:
il ragionamento sui metodi di studio e di insegnamento deve diventare oggetto di discussione,
perché un filtro affettivo alto vanifica il lavoro dell’insegnante. L’apprendimento e
l’insegnamento linguistici mediati da logiche di gioco (gamification) tengono basso il filtro
affettivo e fanno sì che l’apprendimento sia positivo e più effettivo.
3. Metodi didattici  Confronto con delle idee legate al modo in cui ci immaginiamo
mentalmente il processo di apprendimento e quindi l’insegnamento. Perciò, sono importanti le
metafore dell’apprendimento:
- Per Mastracola (“La scuola, lo ridico, è questo: l’insegnate spiega, l’allievo studia, l’insegnante
interroga e l’allievo ripete”), insegnare significa trasmettere il sapere (trasmissione). Nella
metafora della bottiglia e del bicchiere: l’insegnante è la bottiglia piena d’acqua, che contiene il
sapere; lo studente è il bicchiere vuoto; l’insegnante trasmette il sapere, così come la bottiglia
riempie di acqua il bicchiere vuoto. La stessa struttura organizzativa della scuola riflette
questo: il setting della classe prevede che al centro dell’aula, e a volte addirittura in una
posizione sollevata, ci sia la cattedra dell’insegnante, mentre gli studenti sono di fronte,
ascoltano e ricevono, disposti in banchi in fila. Lo stesso concetto di trasmissione viene
espresso dal quadro “Allegoria della Grammatica” di Laurent de La Hyre in cui una donna
innaffia una pianta (la donna, esagerando con l’acqua, dimostra un atteggiamento invadente).
- Un’idea alternativa a quella della trasmissione è la costruzione, che prevede un cambiamento
radicale e concreto, non solo a livello metaforico. Se l’apprendimento è qualcosa che
l’apprendente costruisce, è legato sia al lavoro individuale che collettivo e ciò si traduce anche
in un diverso setting dell’aula: i banchi, invece di essere tutti in fila e rivolti verso l’insegnante,
sono disposti in modo da far stare insieme gli alunni, affinchè collaborino e costruiscano
l’apprendimento; l’insegnante non è il possessore del sapere che lo dispensa con magnanimità
agli studenti, ma è visto come un allenatore che dà i tempi, dà gli esercizi secondo una logica di
difficoltà crescente e crea occasioni per far sì che le competenze possano essere costruite.
L’approccio costruttivista all’apprendimento è cruciale e fu intuito già da Don Lorenzo Milani,
che creò la scuola di Barbiana, destinata ai bambini di questo paesino del Mugello isolato dal
resto del mondo, aperta 8 ore al giorno, 365 giorni l’anno. Dobbiamo insegnare a leggere, a
scrivere, a parlare staccandoci dall’idea di trasmissione fine a sé stessa poiché inutile. La
metafora della costruzione è fondamentale per l’educazione linguistica, l’apprendimento
avviene lavorando quotidianamente ed esercitandosi attraverso compiti ed esercizi sempre più
complessi, l’insegnante deve essere un costruttore del sapere e non un mero trasmettitore.
Alcuni sostengono che uno dei migliori simboli del setting di aula sia la pallina da tennis,
perché se rotta e messa sotto le zampe dei banchi, può trasformarsi in una specie di rotella e
permettere di cambiare la struttura dell’aula a seconda delle esigenze educative.
Il modello di Conner sull’apprendimento informale prevede che l’apprendimento segua due
polarità, dal formale all’informale, dall’intenzionale all’inaspettato:
- L’apprendimento formale e intenzionale si ha a scuola, in aula, a lezione;
- L’apprendimento informale intenzionale si ha nelle attività di coaching, dove sono seguita
anche se non in maniera formalizzata;
- L’apprendimento formale e inaspettato si ha quando si impara qualcosa giocando, guardando
un documentario, parlando con qualcuno.
Dunque, l’apprendimento non è solo quello formalizzato, ma è fatto anche da altre tappe
importanti. Sulle metafore dell’apprendimento si gioca il ruolo ricoperto dalla scuola e
dall’educazione.

Le abilità linguistiche possono essere ricettive o produttive: le ricettive sono quelle passive, in cui si
ascolta o si legge; le produttive sono attive, in cui si parla o si scrive; un’altra distinzione viene fatta
tra abilità orali (ascoltare e parlare) e abilità scritte (leggere e scrivere). Con alcune eccezioni, la
tradizione scolastica dell’insegnamento dell’italiano ha privilegiato alcune abilità rispetto ad altre.
Tullio De Mauro, che ha studiato la storia della scuola dell’educazione linguistica, diceva che la
scuola era anti-parlato, costruiva l’educazione linguistica andando contro i costrutti del parlato,
creando una specie di lingua artificiale, con regole riservate all’italiano scolastico, perché utile solo
a scrivere o a parlare come un libro stampato. Oggi, sappiamo che l’educazione deve partire dal
fatto che tutte e quattro queste abilità devono essere esercitate per poter arrivare all’educazione
linguistica; può sembrare banale ma non lo è affatto perché a scuola ci sono tanti fattori da tenere
insieme.
La scuola è sempre stata monolitica, convinta dell’idea che ci fosse un unico modello di lingua
adatto a tutte le situazioni; oggi, invece, sappiamo che la scuola deve educare al passaggio da un
registro all’altro.
Gli approcci (costruttivista, trasmissivo) non sono da considerare come dicotomici, non c’è mai
un’esclusione reciproca: l’approccio costruttivista non esclude che possano esserci momenti di
lezione frontale; è quando l’approccio trasmissivo diventa l’unico modo di insegnare, che nascono
i problemi (es: un insegnante che ha in mente un modello di lezione solo frontale, con la DAD fa
poca strada, mentre un insegnante più flessibile ed abituato a fare costruzione e trasmissione in
modi diversi, si adatta più facilmente). Ci sono varie possibilità e tanti aspetti che entrano in gioco,
anche per la disposizione dei banchi non c’è un’unica risposta giusta: a volte il ferro di cavallo può
essere molto utile, mentre non è la soluzione migliore nel caso di lavori di gruppo.

Lezione 05/02
Il concetto di educazione linguistica è abbastanza complesso e gli argomenti devono essere
ricollegati all’esperienza personale, è difficile rapportarla alla nostra esperienza.  Il metodo
costruttivo in Italia è assente. I metodi trasmittivo e costruttivo però potrebbero convivere e
l’approccio trasmittivo non può essere l’unico usato soprattutto quando si tratta delle competenze
complesse come scrivere, ascoltare, parlare e leggere. L’obiettivo deve essere esercitare le
competenze di parlato, ascolto, lettura e scritture. Il ruolo dell’insegnante non deve essere
circoscritto all’insegnamento di contenuti, certo è presente, ma deve essere il mezzo non il fine. 
Ovviamente ci deve essere un momento di trasmissione, ma non può essere l’unico approccio. Le
competenze linguistiche sono trasversali e non possono essere acquisite solo durante l’ora di
italiano. Per esempio attraverso le gite in cui traccio un progetto assieme ad altri professori. 
“L’idea di competenza” potrebbe essere paragonata alla “Metafora dell’iceberg”: Le conoscenze
stanno nell’idea delle competenze, non si può escludere una. Quindi vedere le competenze
contrapposte alla conoscenze, non ha nessun fondamento. 
La competenza è fatta di una parte emersa e sommersa.
Parte emersa: Che cosa si apprende?: abilità e conoscenze
Quindi la prima parte della competenza è conoscere delle cose, ovviamente non basta a definire la
competenza. Devo saper mettere in pratica le mie conoscenze e avere le abilità e facendo un
esempio pratico: Per quanto riguarda la grammatica non basta che io sappia cosa sia il soggetto,
devo essere abile a riconoscere il soggetto. Ovviamente ci possono essere abilità più complesse
per esempio io conosco le regole di funzionamento della lingua, la struttura dei testi argomentativi
e gli argomenti, devo essere in grado di scrivere un testo argomentativo per difendere una certa
tesi. Per questo non possiamo escludere del tutto il metodo trasmissivo, ma non può essere
l’unico approccio. 
Parte sommersa: Come si apprende?:
1. impegno 🡪Non basta solo conoscere, bisogna anche mettere in pratica le mie conoscenze
2. strategie metacognitive 🡪 Non basta che io sappia scrivere un testo argomentativo devo
anche elaborare approcci personali per svolgere il compito al meglio.  Devo essere in grado
di insegnare agli altri  e cercare sempre a migliorarmi. Imparare a migliorarmi.
3. ruolo sociale
4. immagine di se’🡪posso saper fare le cose, ma l’insegnate non mi motiva, il risultato delle
mie competenze sarà scarso. Bisogna cercare di relazionare la scrittura o le altre abilità a
delle esigenze anche quotidiane, per esempio la scrittura non serve solo a scrivere un tema
ma anche banalmente a scrivere un post su facebook o nel lavoro. 
5. sensibilità al contesto 
6.  motivazione 🡪 la vera sfida dell’insegnate è saper motivare, per esempio un bravo
insegnate può coniugare la scrittura alla stesura del giornalino scolastico
7. Consapevolezza 🡪 la consapevolezza di saper fare qualcosa e quindi mettere in pratica le
conoscenze
Le 8 competenze chiavi della raccomandazione del Parlamento Europeo del Consiglio del 18
dicembre 2006-2006/962/CE sarà poi cambiato nel 2012 e riformulate nel 2018: 
1. LA COMUNICAZIONE NELLA MADRELINGUA 
2. LA COMUNICAZIONE NELLA LINGUA STRANIERA
3. LA COMPETENZA MATEMATICA
4. LA COMPETENZA DIGITALE 
5. IMPARARE A IMPARARE 
6. LE COMPETENZE SOCIALI E CIVICHE
7. IL SENSO DI INIZIATIVA E IMPRENDORIALITà
8. CONSAPEVOLEZZA ED ESPRESSIONE CULTURALE
Il primo aspetto è “capacità di esprimere ed interpretare concetti, pensieri, sentimenti, fatti e
opinioni in forma orale e scritta e di interagire adeguatamente e in modo creativo sul piano
linguistico in un’intera gamma di contesti culturali e sociali, quali istruzione e formazione, lavoro,
vita domestica e tempo libero”. 
La competenza linguistica è definita come una competenza di natura comunicativa, la lingua serve
per esprimere o interpretare l’altro. É una competenza di interazione, ma è messa a verbale solo
nel2006. 
Dopo il 2018 c’è un aggiornamento con l’avvento di internet nel telefono. Non si parla più di
“competenza linguistica” ma di “competenza alfabetica funzionale” oppure non si parla solo di
“competenza matematica” ma di “competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e
ingegneria” 
Nuove denominazioni delle competenze-chiave: 
1. COMPETENZA ALFABETICA FUNZIONALE
2. COMPETENZA MULTILINGUISTICA
3. COMPETENZA MATEMATICA, E COMPETENZE IN SCIENZE, TECNOLOGIE E INGEGNERIA
4. COMPETENZA DIGITALE
5. COMPETENZA PERSONALE, SOCIALE E CAPACITà DI IMPARARE A IMPARARE 
6. COMPETENZA IN MATERIA DI CITTADINANZA
7. COMPETENZA IMPRENDITORIALE 
8. COMPETENZA IN MATERIA DI CONSAPEVOLEZZA ED ESPESSIONE CULTURALE

SPIEGAZIONE : La competenza alfabetica funzionale indica la capacità di individuare, comprendere,


esprimere, creare e interpretare concetti, sentimenti, fatti e opinioni, in forma  sia orale sia scritta,
utilizzando materiali visivi, sonori e digitali attingendo a varie discipline e contesti. Essa implica l’abilità di
comunicare e relazionarsi efficacemente con gli altri in modo opportuno e creativo. Il suo sviluppo
costituisce la base per l’apprendimento successivo e l’ulteriore interazione linguistica. A seconda del
contesto, la competenza alfabetica funzionale può essere sviluppata nella lingua madre, nella lingua 
dell’istruzione scolastica e/o nella lingua ufficiale di un paese o di una regione.
Interessante è l’inserimento di “materiali digitali” perché nel 2007 vi è l’introduzione di internet
nel cellulare, quindi cambia completamente il nostro rapporto con la quotidianità. Quindi ci tocca
introdurre materiali che ci servono per comunicare. C’è anche l’enfasi sulla comunicazione e
l’interazione tra le persone. 

Nel 1997 viene introdotta l’autonomia scolastica: La scuola diventa un ente in autonomia con
personalità giuridica. Prima seguivano le direttive dal ministero della pubblica istruzione. Le
conseguenze sono state anche positive: 
1. dal punto di vista dell’amministrazione ha eliminato le distanze tra scuola secondaria e
primaria, vi è un unico dirigente e gli insegnati si conoscono e collaborano assieme
2. dal punto di vista organizzativa può decidere di fare lezione il sabato o meno, tengono
conto della situazione climatica, cioè una scuola può decidere di aprire durante un periodo
o chiudere per ragioni climatiche. (Bolzano vs Sicilia). 
3. dal punto di vista della ricerca e sperimentazione le scuole possono decidere di introdurre
il cinese. 
4. dal punto di vista della didattica non esiste un programma nazionale calato dall’alto. Il
programma non è istituito dal governo, lo Stato dà una cornice didattica entro la quale
ciascuna scuola decide la propria programmazione didattica. 
In che senso “ottica verticale”, bisognerebbe fare una programmazione che va dalla primaria
fino alla fine delle medie, cercando di immaginarsi cosa potrebbe avvenire anche nella scuola
secondaria di secondo grado.  Purtroppo molti insegnanti scaricano un programma vecchio,
senza tener conto delle nuove disposizioni ministeriali.  Per quanto riguarda le lingue straniere,
bisogna rifarsi al quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue.

Nuovadicitura: 
Asilo🡪 scuola dell’infanzia
Scuola elementare🡪 scuola primaria
Scuole medie 🡪 scuola secondaria di 1. grado
Scuole superiori 🡪 scuola secondaria di 2. grado

Cicli di istruzione: 
1. ciclo di istruzione🡪 infanzia, scuola primaria e scuola secondaria di 1. grado
2. ciclo di istruzione 🡪 scuola secondaria di 2. grado 
3. ciclo di istruzione 🡪 università

Le indicazioni nazionali  del 1. ciclo di istruzione distinguono:


 5 ambiti diversi da esercitare per quanto riguarda la didattica dell’italiano e sono (Competenze
nella madrelingua): 
1. Oralità
2. Scrittura
3.  Acquisizione ed espansione del lessico ricettivo e produttivo
4. Elementi di grammatica esplicita e di riflessione sugli usi della lingua
5. Ascolto

Quello che in pratica ci viene illustrato è che l’ora di italiano dovrebbe essere divisa in 5 sottoambiti, con
moemnti specifici di lavoro sull’oralità, sulla scrittura, sulla lettura, sul lessico e sulla grammatica (non  solo
le regole grammaticali,  ma anche la riflessione della lingua).  Come si può notare le competenze
sopracitate non vengo insegnate ma solo richieste. Non c’è mai stata una lezione sull’oralità, però si
interroga quindi è richiesta e valutata, ma non insegnata, stesso discorso per quanto riguarda la lettura, la
scrittura e il lessico. 

Cos’è il curricolo: sono le  indicazioni nazionali che tracciano un percorso formativo
Ci sono tappe lungo tutto il percorso, serve che tutte le competenze linguistiche devono essere presenti
durante tutto il percorso formativo, per esempio  l’elemento della scrittura deve esserci sempre, ma si alza
solamente la posta, ne consegue che  lavorare in questo modo ha bisogno di una progettazione didattica,
ma è anche molto importante il ruolo strategico della valutazione e della certificazione delle competenze.
Spesso gli insegnanti vedono il ruolo della valutazione come un mero passaggio burocratico.  
Due tipi di valutazione: 
1.Valutazione sommativa : dare dei voti alla fine del percorso
2.Valutazione formativa:  è capire quali sono i punti carenti, su i quali gli studentit devono lavorare, a quali
obiettivi si è arrivati. Serve per capire quali sono le aree di miglioramento nella tappa successiva. 

TRAGUARDI E OBIETTIVI. 
Le indicazioni nazionali distinguono tra i traguardi e gli obiettivi.
I traguardi per lo sviluppo delle competenze sono ciò che è obbligatorio fare. 
Gli obiettivi di apprendimento sono ciò che è strategico fare, cioè un suggerimento su cosa si dovrebbe
fare.  
I traguardi relativi ai 5 ambiti obbligatori alla fine del 1. ciclo scolastico:

1.ORALITà: L’allievo interagisce in modo efficace in diverse situazioni comunicative, attraverso modalità


dialogiche sempre rispettose delle idee degli altri; con ciò matura la consapevolezza che il dialogo, oltre a
essere uno strumento comunicativo, ha anche un grande valore civile e lo utilizza per apprendere
informazioni ed elaborare opinioni su problemi riguardanti vari ambiti culturali e sociali. Usa la
comunicazione orale per collaborare con gli altri, ad esempio nella realizzazione di giochi o prodotti,
nell’elaborazione di progetti e nella formulazione di giudizi su problemi riguardanti vari ambiti culturali e
sociali.
 Situazione comunicative: educare al fatto che il linguaggio cambia e si adatta alle diverse situazioni
linguistiche (come interagisco quando parlo con gli studenti, gli insegnati e in pubblico). 

2.ASCOLTO: Ascolta e comprende testi di vario tipo “diretti” e “trasmessi” dai media, riconoscendone la
fonte, il tema, le informazioni e la loro gerarchia, l’intenzione dell’emittente. 
Espone oralmente all’insegnante e ai compagni argomenti di studio e di ricerca, anche avvalendosi di
supporti specifici (schemi, mappe, presentazioni al computer, ecc.). 

3.SCRITTURA/LETTURA: Usa manuali delle discipline o testi divulgativi (continui, non continui e misti) nelle
attività di studio personali e collaborative, per ricercare, raccogliere e rielaborare dati, informazioni e
concetti; costruisce sulla base di quanto letto testi o presentazioni con l’utilizzo di strumenti tradizionali e
informatici.
Legge testi letterari di vario tipo (narrativi, poetici, teatrali) e comincia a costruirne un’interpretazione,
collaborando con compagni e insegnanti. 
Scrive correttamente testi di tipo diverso (narrativo, descrittivo, espositivo, regolativo, argomentativo)
adeguati a situazione, argomento, scopo, destinatario. 
Produce testi multimediali, utilizzando in modo efficace l’accostamento dei linguaggi verbali con quelli
iconici e sonori.
Enfasi sulla varietà dei testi scritti e orali, prima si dava più peso ad un unico genere letterario. 
 Testo continuo: testo fatto solo da una serie di parole, un racconto, una favola. Da c’era una volta... a
vissero felici e contenti 🡪 richiede sforzo di memorizzazione
Testo non continuo: grafici, carte geografiche, disegni, tabelle, mappe 🡪 richiede sforzo di raccogliere e
collegare  le informazioni 
Testi misti: libro di storia  cioè il testo e poi i box di approfondimento, mappe, grafici. 

4.LESSICO: Comprende e usa in modo appropriato le parole del vocabolario di base (fondamentale; di alto
uso; di alta disponibilità). 
Riconosce e usa termini specialistici in base ai campi di discorso. 
Adatta opportunamente i registri informale e formale in base alla situazione comunicativa e agli
interlocutori, realizzando scelte lessicali adeguate. 
Riconosce il rapporto tra varietà linguistiche/lingue diverse (plurilinguismo) e il loro uso nello spazio
geografico, sociale e comunicativo

5.GRAMMATICA:  Padroneggia e applica in situazioni diverse le conoscenze fondamentali relative al lessico,


alla morfologia, all’organizzazione logico-sintattica della frase semplice e complessa, ai connettivi testuali;
utilizza le conoscenze metalinguistiche(grammatica) per comprendere con maggior precisione i significati
dei testi e per correggere i propri scritti.
La grammatica non è fine a se stessa, ma utilizzata per diverse situazioni. 
Lezione 9/02
Per chiudere il discorso sulle indicazioni nazionali per il curricolo.

Educazione linguistica -> nel contesto italiano il documento che oggi pone le basi per l’insegnamento
dell’italiano come L1 in classe sono le indicazioni nazionali per il curricolo. Alla base di queste indicazioni c’è
un documento europeo molto importante, le Competenze chiave, che da una definizione molto precisa di
competenza della madre lingua, di competenza alfabetico funzionale. Questa definizione ruota attorno a
termini comunicativi, di interazione: può sembrare una questione puramente terminologica ma è un modo
di concepire l’insegnamento dell’italiano che stravolge e cambia molto l’approccio. L’insegnamento
dell’italiano è quindi un qualche cosa che deve servirci per fornire delle competenze comunicative
internazionali molto precise e concrete. Le ricadute su una concezione tradizionale dell’insegnamento
dell’italiano sono numerose e sono anche gravi le conseguenze perché i programmi del passato (ma anche
quelli che abbiamo vissuto noi) erano sostanzialmente intesi come un elenco di contenuti: ad esempio il
programma di italiano era un certo tipo di testo, un certo autore e così via. Le indicazioni nazionali, in forza
di questa concezione nuova dell’insegnamento della lingua, concepiscono invece la programmazione non
come un elenco di contenuti ma come un elenco di obiettivi di competenza molto concreti. Quindi non ci
dice che cosa in concreto l’insegnante insegna ma ci dice che gli studenti vanno portati ad un certo livello di
competenza (come avviene per l’insegnamento delle lingue straniere in cui, secondo il quadro comune di
riferimento europeo delle lingue, i livello di competenza sono definiti in questo stesso modo). Questa
stessa idea viene portata nell’insegnamento dell’italiano, insegnare italiano vuol dire insegnare a fare delle
cose con la lingua italiana e questa è un’idea non puramente burocratica, è un’idea che se portata nella
prassi scolastica cambia il ruolo stesso di concepire il ruolo dell’insegnante d’italiano e ciò che si studia nella
materia chiamata italiano. Si distinguono cinque ambiti: oralità, scrittura, lettura, acquisizione ed
espansione del lessico ricettivo e produttivo, elementi di grammatica esplicita e di riflessione sugli usi della
lingua.

Acquisizione ed espansione del lessico ricettivo e produttivo -> “acquisizione ed espansione”, vediamo
come il lessico è definito come un qualcosa che si può acquisire ed espandere. Significa che la scuola riceve
degli studenti che hanno già un loro lessico legato alle loro esperienze di vita e familiare e la scuola ha il
compito di espanderlo: c’è una doppia prospettiva. “Ricettivo e produttivo” significa che la scuola deve
confrontarsi con un doppio livello di insegnamento del lessico: gli studi ci dicono che c’è una differenza tra il
lessico che si è in grado di capire e il lessico che si è in grado di usare. Tutti noi abbiamo un certo lessico,
delle parole che conosciamo e che siamo in grado di capire trovandole nei contesti, che sono più numerose
rispetto alle parole che usiamo parlando, esprimendoci. La scuola ha il compito di espandere il lessico
ricettivo ma anche le parole che gli studenti sono in grado di usare: questa è un’idea apparentemente
semplice e banale ma che si trova in conflitto con quelle che erano e sono ancora le prassi del lavoro
scolastico. Come si lavora sul lessico in classe? Si prendevano dei testi, si leggevano e l’insegnante ( in base
alla sua sensibilità) diceva magari “questa parola difficile la conosco, non la conosco, qualcuno sa cosa vuol
dire?”, quindi si lavora molto sul lessico ricettivo. Ma non è detto che una volta capito cosa vuol dire quella
parola poi la sappia usare correttamente. Esempio: se leggiamo un romanzo del 1900 magari troviamo la
parola “giaciglio”, ad uno studente della scuola media probabilmente va spiegato il significato della parola.
L’insegnante ha esaurito così il suo lavoro sul lessico, spiegando il significato di quella parola? No perché se
il bambino a casa utilizza questa parola la mamma si preoccupa un pochino quindi dobbiamo insegnare ad
esempio anche in quali contesti è appropriato e in quali invece no. C’è anche un discorso di distanza
temporale tra l’autore e il lettore del testo. Allora vediamo che insegnare il lessico vuol dire dare molte più
informazioni di quelle che di solito siamo in grado di dare.

La grammatica è intesa come grammatica esplicita, quindi esplicitare una serie di contenuti, ma anche
come riflessione sull’uso della lingua, quindi molto di più di quello che di solito intendiamo con
grammatica. 

Ci sono i Traguardi (ciò che è obbligatorio fare) e gli Obiettivi. Il testo dei Traguardi alla fine della terza
media rappresenta l’ultimo di una catena ciclica perché questi traguardi li ritroviamo nei vari passaggi:
dall’infanzia alla primaria, in terza primaria, in quinta primaria ed in terza secondaria di primo grado. Questi
traguardi sono ciclici per espansioni consecutive, di ciclo in ciclo faccio le stesse cose ma ampliando il raggio
d’azione. Se si dice alla fine della terza media che “l’allievo interagisce in diverse situazioni comunicative
attraverso modalità dialogiche e così via”, in prima primaria e in terza primaria ci aspettiamo di trovare che
“l’allievo interagisce nelle situazioni comunicative più vicine legate alla sua esperienza, scopre che ci sono
anche altri tipi di esperienze, fino ad arrivare al fatto che alla fine del percorso so dialogare sia con gli amici,
sia con l’insegnante, sia se viene in visita il ministro dell’istruzione, quindi sono in grado di adeguare il
linguaggio ai diversi livelli di formalità. Questa ciclicità c’è per tutti gli ambiti di studio.

Ci eravamo lasciati ai concetti linguistici che stanno dietro le indicazioni nazionali (aspetto molto
importante) perché le indicazioni nazionali sono un testo semplice nella sua scrittura e nel suo dettato ma
sono un testo denso di contenuti linguistici, richiedono una forte preparazione linguistica per essere lette
perché alcuni dei concetti citati richiedono qualche spiegazione, non si definiscono da soli. Quando si parla
di situazione comunicativa si fa riferimento alla sociolinguistica e ad un tipo di variazione sociolinguistica, la
variazione diafasica rispetto alla situazione comunicativa. La chiave di lettura che guarda alla varietà
dell’italiano come insieme di varietà diverse è una chiave di lettura molto forte e presente. Adattare la
lingua alla situazione comunicativa è un compito di natura sociolinguistica, così come i registri linguistici, un
altro modo più legato alla scrittura ma anche all’oralità, di introdurre la sociolinguistica in classe, con le
varietà linguistiche come oggetto di lavoro grammaticale e il plurilinguismo/ multilinguismo. Questa idea
della varietà è molto presente nelle indicazioni nazionali. Anche questo può sembrare un’idea non
sconvolgente rispetto alla nostra sensibilità ma probabilmente questa idea nella scuola del passato era
tutt’altro che scontata perché l’idea di fondo era l’insegnamento della lingua italiana come una specie di
italiano idealizzato inesistente nella sfera comunicativa reale, l’italiano dei temi, l’italiano modello
linguistico, suggerendo quasi implicitamente l’idea che quell’unico modello linguistico potesse andare bene
in tutte le situazioni. Non c’era la varietà nella scuola del passato. Del resto, l’idea di insegnare italiano in
un’ottica di varietà linguistica e sociolinguistica, confrontarsi con la pluralità è sempre molto più complesso
che rapportarsi con una realtà semplice o semplificata. Quindi pone tanti problemi, vuol dire che non ho un
unico modello di lingua, dovrò insegnare a scrivere in maniera formale ma anche in maniera meno formale,
dovrò passare dalla lingua parlata con gli amici alla lingua invece di un contesto più ricercato oppure
tecnico. Ci sono anche moltissime altre ricadute, ad esempio pensiamo all’errore: la scuola del passato non
aveva vie di mezzo, o era corretto o non era corretto. In un’ottica come questa non posso semplicemente
dire corretto o non corretto. Poniamo certe inappropriatezze linguistiche, certe strutture colloquiali:
l’insegnante del passato, quello che aveva la lingua monolitica, diceva “non è corretto” e finiva così il
proprio compito. Lavorare sull’errore in un’ottica sociolinguistica non sarà “è corretto” o “è scorretto” ma
sarà “è appropriato” o “non è appropriato” a seconda del registro linguistico perché probabilmente quella
struttura che l’insegnante ha decretato come non corretta si ritrova in altri tipi di lingua. Ci sono dei casi in
cui l’insegnante tradizionale corregge una certa scelta in italiano neo standard che però ritroviamo ad
esempio nel giornale quindi perché l’insegnante avrebbe corretto quello che poi l’editorialista usa nel suo
giornale? 
I Traguardi, gli Obiettivi sono dei suggerimenti, degli approfondimenti sempre attorno a questi 5 ambiti, che
danno tutta una serie di informazioni molto dettagliate e suggerimenti di lavoro. Se teniamo contro che
l’ascolto e il parlato come didattica attiva dell’italiano L1 sono sostanzialmente assenti, chi ha imparato a
parlare l’ha imparato per conto suo, indirettamente, mentre le indicazioni danno moltissime indicazioni, da
ascoltare testi prodotti da altri, imparare a dialogare, riascoltare come si dialoga. Vediamo che la
definizione di competenza è sempre legata all’attività di studio, non è mai qualcosa di fine a sé stesso.
Imparo a parlare anche per relazionare su argomenti di studio, imparo a gestire un discorso orale. Ascolto,
parlato, questa sociolinguistica entra anche nel parlato, non solo insegnare a parlare ma insegnare a
narrare, a descrivere, a riferire oralmente su argomenti di studio, argomentare, c’è un’immagine ben
precisa dei diversi tipi del parlato a cui la scuola dovrebbe educare fino alla terza media. Lo stesso per la
lettura, si insiste sempre sul leggere testi diversi, dal testo letterario ma anche al testo funzionale, quindi
partire dalla vita quotidiana. La prima forma di educazione linguistica è insegnare a guardarsi attorno, a
leggere la realtà linguistica che ci sta attorno. Ad esempio “vietato fumare” è un cartello che abbiamo sotto
gli occhi tutti i giorni ed è un testo regolativo. Altri testi regolativi possono essere la Costituzione, una
ricetta (è uno dei testi regolativi più antichi), le istruzioni dell’Ikea. La prima forma di educazione linguistica
è guardarsi attorno, il primo campo di lavoro dell’educazione linguistica è partire da quello che ci sta
attorno e poi arrivare anche ai testi letterari più complessi. “Confrontare testi diversi, leggere testi
descrittivi, argomentativi, la scrittura” si insiste sulla diversità, quindi testi di tipo diverso, di forma diversa,
quindi esplorare i tipi e i generi testuali e così via, “il lessico, ampliare il proprio lessico, le parole usate in
senso figurato, l’uso dei termini specialistici”. Fin dalle elementari siamo immersi in testi di varie discipline,
che usano il linguaggio in modo molto particolare, quello che in linguistica si chiama lingue speciali, un uso
della lingua che fa delle scelte precise. Per esempio, qual è la differenza principale tra il lessico di una lingua
speciale e il lessico di una lingua usata quotidianamente? Nel linguaggio specialistico si costruisce un
lessico, un glossario per far sì che ogni parola abbia un significato, si tratta della monoreferenzialità, mentre
nel linguaggio comune troviamo la polisemia, ovvero le parole hanno molti significati ed è più facile
fraintendersi. La lezione di italiano non è che deve spiegare cos’è la forza in fisica o il lavoro in chimica ma
può riflettere sul fatto che forza e lavoro usati dalla fisica e dalla chimica hanno un significato diverso
rispetto a quando li utilizziamo nel quotidiano, dove possono significare cose diverse. Tutte queste
riflessioni che entrano nelle altre materie sono molto presenti nelle indicazioni nazionali. “L’adeguatezza
delle scelte in base al registro” ancora una volta torna la sociolinguistica, “le relazioni di significato” quindi
la sinonimia,  l’iperonimia e così via, “l’uso del dizionario”. Infine arriviamo alla grammatica, tornano le
riflessioni sull’uso linguistico, in grammatica posso riflettere ed esplicitare alcune questioni di carattere
sociolinguistico, posso riflettere sui tipi testuali (che magari ho adottato implicitamente leggendo, scrivendo
e parlando), le relazioni di significato, i meccanismi di formazione delle parole (argomento non tipico della
scuola). “Analisi logica, sintassi del periodo, le parti del discorso”, sono parti abbastanza tradizionali, “i
connettivi sintattici testuali, la riflessione sui propri errori”, quindi anche qui una grammatica che serve per
capire i meccanismi linguistici ma sempre con un’ottica funzionale. Le indicazioni nazionali non ci dicono
quando studiare il soggetto, quando studiare l’oggetto e così via, ci dicono che devo essere in grado, alla
fine del percorso, di saper fare queste cose, devo avere queste competenze; il modo in cui le realizzo sta
nella programmazione didattica che si realizza in ogni istituto, anche se spesso succede che questa viene
fatta da qualcuno tanto per assecondare un aspetto burocratico. Questo porta a delle forti incongruenze:
per esempio, in passato, (pre anni 80) tipicamente si studiava in prima media l’analisi grammaticale, in
seconda media s’introduceva l’analisi logica e soltanto in terza si iniziava a parlare di sintassi del periodo.
Questa programmazione è molto stupida, è proprio inefficiente dal punto di vista cognitivo per tante
ragioni: in primo luogo si arriva a riflettere sulla frase complessa solo alla fine del percorso, come se non
esistessero, ma quando parliamo formiamo sempre delle frasi complesse, non parliamo mai tramite
solamente frasi semplici, la realtà comunicativa è fatta di frasi complesse. Se solo alla fine della terza media
comincio a riflettere su questo tipo di struttura forse comincio un po’ tardi. Ci sono allora molte
programmazioni in cui ancora inizio a riflettere su queste solo alla fine del percorso. Se io separo l’analisi
grammaticale dall’analisi logica, collocando addirittura in anni diversi il loro studio, sto tenendo separati
argomenti che dovrebbero stare insieme. 
Le indicazioni per i licei non dicono qualcosa di così profondamente diverso, articolano un pochino i
contenuti, per esempio entra come materia autonoma la storia della letteratura. Per esempio, le indicazioni
nazionali per i licei evidenziano la lingua come strumento di identità e come mezzo di accesso alla
conoscenza (ottica funzionale), si parla di padronanza della lingua italiana, di esprimersi in forma scritta e
orale con chiarezza variando a seconda dei diversi scopi l’uso della lingua e così via. Inoltre introducono
anche la storicità della lingua, in teoria in un liceo si dovrebbe anche studiare, parallelamente alla lettura di
testi del passato, l’evoluzione storica dell’italiano, quindi ci sono una serie di elementi in più ma
l’impostazione è abbastanza coerente (sono del 2010, precedenti a quelle del primo ciclo).

Cenni storici sull’educazione linguistica

Molti problemi attuali sono fortemente legati alla loro evoluzione storica (Per chi è interessato può
approfondire tramite questi testi: Storia dell’educazione linguistica in Italia, dalla legge Casati alle riforma
Gelmini di Balboni; Breve storia dell’educazione linguistica dall’unità a oggi di Gensini). È chiaro che per
parlare di come si è insegnato italiano in Italia possiamo farlo solo dal momento in cui nasce uno stato
nazionale italiano che promuove una scuola unitaria con dei programmi unitari. Prima la scuola dipendeva,
in ogni stato d’Italia, dalla propria organizzazione e programmi. La scuola italiana nasce come estensione
del modello scolastico piemontese a livello nazionale, con tutti  i pro e i contro che può avere. La storia pre
unità nazionale è quindi impossibile da tracciare se non inseguendo ogni singola tradizione scolastica, da
alcune tradizioni più avanzate come quella della Toscana fino a situazioni in cui l’italiano era solo uno studio
propedeutico allo studio del latino, delle lingue classiche. Dall’unità d’Italia possiamo parlare di una scuola
italiana in senso stretto con grandissime difficoltà. Le analisi, i dati di De Mauro e di Castellani, nel migliore
dei casi, l’8%, l’italiano era lingua di una piccola parte della popolazione e anche a distanza di un secolo,
negli anni 50, il 65% degli italiani parlava ancora esclusivamente dialetto. La scuola italiana si trovava ad
insegnare l’italiano come se fosse per gran parte dei suoi studenti una lingua straniera che i bambini spesso
conoscevano solo in ambito scolastico. All’epoca la situazione era questa ma prima ancora c’era un altro
problema: il problema del modello linguistico, perché uno dei primissimi problemi della scuola italiana è
stato quello di decidere quale tipo di italiano insegnare. L’italiano è una lingua che precede l’unità nazionale
che però si formalizza indipendentemente dal supporto di uno stato unitario, in forza della sua letteratura,
che era un modello a livello europeo addirittura. Lo stato nazionale aveva delle necessità molto più
concrete: in che lingua scrivere le leggi, in che lingua scrivere i documenti amministrativi, in che lingua
comunicare in classe, che testi leggere in classe. Questo problema era molto sentito all’epoca e non era di
semplice soluzione. C’erano varie alternative, tenendo conto che il dibattito su questo precede l’unità
d’Italia, c’erano varie alternative, alcune anche bizzarre. Un modello era quello puristico: fino all’800
inoltrato si sosteneva l’idea dell’italiano che avesse come modello i testi aurei trecenteschi. Era una teoria
molto forte, c’erano delle scuole organizzate in un modello puristico a Verona, a Napoli ed in altre parte
d’Italia. Francesco De Santis, autore di una delle prime scuole della lingua italiana, ha studiato in una scuola
di impostazione puristica. In realtà il grosso della discussione vide due protagonisti: Alessandro Manzoni e
Isaia Ascoli, il primo linguista scienziato moderno d’Italia. Questi due signori furono protagonisti del
dibattito sul problema scolastico. 

Quali erano le sue idee linguistiche di Manzoni? Propose, nei primi decenni dell’800, un modello di lingua
che era il fiorentino sincronico, dell’epoca, quello parlato dai colti: il suo modello d’italiano era quindi il
fiorentino parlato oggi, dal suo punto di vista, dalle persone colte di Firenze, un modello vivente di lingua.
Tutte le altre teorie avevano dei modelli diacronici ma Manzoni fa qualcosa di più, concretizza il suo
modello in un’opera, I Promessi Sposi. La 1° edizione Il Fermo e Lucia, un’edizione del 1927 scritta ancora
con un modello in cui non aveva ancora elaborato del tutto questo modello, la 3° edizione del 1840 in cui in
quel lasso di tempo fa per lui una sorta di vacanza studio linguistica, cioè va a Firenze per immergersi nel
fiorentino colto e sulla base di quanto imparato riscrive in maniera molto dettagliata, dal punto di vista
della forma linguistica, per arrivare all’edizione dei promessi sposi del 40 che è il modello della sua
ideologia linguistica. Diventò organico al nuovo stato nazionale, Manzoni diventa il modello da portare a
scuola (scelto dallo Stato) e questo spiega perché i promessi sposi hanno un’importanza così forte nella
scuola italiana, la forza di modello linguistico. Ci si accorse presto che non si poteva basare il modello
linguistico su una sola opera però all’epoca ci sono anche delle testimonianze di maestri che scrivono al
ministro per lamentarsi che era un testo troppo difficile per i bambini. C’è necessità di dare anche modelli
più semplici ma sempre sull’ideologia manzoniana. Addirittura uno dei primi ministri dell’istruzione fu un
allievo di Manzoni che aderì alle sue idee ed il Ministero propose un dizionario che fu uno dei più grandi
flop. Si parla del trentennio manzoniano perché per diversi decenni la scuola diventa promotrice di questo
modello. Nell’immediato vinse Manzoni, ebbe un grandissimo successo. Oggi però non possiamo dire
l’italiano di oggi da così sostanza all’idea linguistica di Manzoni, l’italiano è un dialetto, il toscano che viene
assunto a lingua ma dall’unità d’Italia in poi ci si allontana, si perdono le caratteristiche del toscano. È un
sistema di graduale allontanamento dal sistema toscano. La fortuna di Manzoni fu però notevole. Il grande
contestatore di Manzoni fu Ascoli, un linguista, aveva idee ben chiare sulla lingua, attacca Manzoni
criticandolo (scrive il Proemio all’archivio glottologico, a chi interessa) e nel primo numero di questa rivista
entra nella questione del modello linguistico. Ascoli sostanzialmente dice che nessuna lingua può nascere
diffondersi e consolidarsi semplicemente per imitazione di un modello, non è un problema di modelli
linguistici e quindi tutti gli sforzi per promuovere il modello Manzoniano sono sforzi destinati a vanificarsi. Il
problema è che Ascoli dice non basta dare un modello, le lingue nascono dalla densità della cultura quindi il
problema dell’Italia è che manca quella diffusione della cultura che fa sì che una lingua si diffonda da
subito. Fa l’esempio della Francia dove il francese nasce e si diffonde in maniera molto unitaria cancellando
le varie lingue locali, in forza di una corte francese molto forte che condiziona tutta la storia francese. Lo
stesso la Germania con il modello e la Bibbia di Lutero che diventa un modello in forza della densità e della
diffusione della cultura. C’era scarsa diffusione di testi letterari e di cultura, dice ci sono bravi intellettuali
ma poi faticano a creare delle scuole e a diffondere. Ci sono tutte una serie di considerazioni che fanno sì
che i problemi avessero una natura molto complessa. Sappiamo che l’idea di Ascoli è un’idea molto corretta
tanto è vero che si arriverà alla nascita dell’italiano solo nel 900, molto lentamente, soltanto quando la
scuola sarà ampliata a fasce consistenti di popolazione, quando anche i mezzi di comunicazione
contribuiranno a dare una mano, quando anche il maggior benessere economico porterà ad una diffusione
della cultura più ampia, potremmo dire con un modello che si fa da sé. Queste critiche di Manzoni erano
però critiche non spendibili subito nell’immediato scolastico e quindi rimasero critiche degli ambienti
intellettuali molto importanti. Quello che accomuna i due modelli è la centralità della scuola, in entrambi i
casi o perché la scuola diffonde un modello o perché la scuola diffonde la cultura, assume un ruolo
importante per la creazione e la diffusione di un modello linguistico. 

Versione televisiva del romanzo Cuore di de Amicis (versione anni 80) -> scena che da il senso di che cosa
significasse fare scuola in quegli anni. La scena del piccolo calabrese rappresenta, pur essendo fiction, un
documento storico realistico: il bambino arriva a scuola a Torino e non ha una padronanza linguistica
adeguata, non sa cosa significhi abbracciarsi. Questo è un qualcosa di molto realistico, è un  italiano che
non dominava l’italiano. In questo caso si trova in una situazione scolastica molto particolare. 

La scuola quindi ha come problema il modello linguistico, che si trascinerà per decenni, e ha un problema
più concreto, ovvero studenti che hanno il dialetto come lingua madre, come unica lingua conosciuta. Che
risposta si può dare a questo? Due possibilità: o considerare il dialetto un nemico (anche sappiamo che è
molto discutibile rispetto a quegli anni) oppure, siamo negli strati più illuminati della scuola, cercare nel
dialetto un ponte verso la padronanza dell’italiano, cioè partire dal dialetto e, oggi diremo in termini
contrastivi, portare ad una conoscenza della lingua italiana. Questa impostazione è quella adottata ad inizio
900 da Ernesto Monaci, un filologo che con la società filologica romana promuove questo approccio “dal
dialetto alla lingua”, che è il punto di partenza della competenza linguistica su cui innestare la conoscenza
dell’italiano. La società filologica romana promuove una serie di libretti che sono ovviamente diversi da
zona a zona perché ogni zona ha un suo dialetto, che individuano quindi dei raggruppamenti di dialetti
“tetto” con cui esercitarsi tramite la traduzione dei dialetti, per entrare nelle scuole italiane. L’autore di
questi Esercizi di Traduzione dei Dialetti delle Venezie è Bruno Migliorini, uno dei più importanti linguisti del
900 che studiò a Roma, di origine veneta, di Lodi, e che collaborò alla creazione di questo libretto. Si studia
l’italiano con questo modello, con un testo dialettale, la lingua nota agli studenti, in contrapposizione al
testo in italiano, la lingua di arrivo. È un metodo contrastivo, chiaramente l’approccio era traduttivo-
grammaticale, non si umilia il dialetto ma questo diventa il tramite per arrivare alla lingua italiana. Era un
approccio molto intelligente. Siamo nel 1925, cosa succede in Italia? Avvento del fascismo, che all’inizio
adottò questo approccio, man mano che aumenta entra con una certa invadenza nei sistemi scolastici e ad
un certo punto questo viene totalmente cancellato, si cambia prospettiva e se ne adotta una di
sanzionamento del dialetto, per eleminarlo.

Lezione 11/02
Riprendiamo il discorso sulla storia dell’educazione linguistica che abbiamo avviato la volta scorsa su cui
vorrei aggiungere qualche cosa per la parte diciamo ottocentesca. Proseguire in questo percorso ci serve per
definire alcuni concetti molto importanti; in particolare abbiamo detto che noi non stiamo facendo la storia
dell’educazione linguistica fine a sé stessa, ma stiamo facendo la storia perché molti degli attuali problemi
dell’educazione linguistica si capiscono bene proprio proiettandolo in una dimensione e appunto storica
legata al contesto storico cui alcune questioni si sono sviluppate e quindi queste 2 3 lezioni servono proprio a
questo scopo.
Abbiamo parlato la volta scorsa dell'Ottocento, abbiamo dato una serie di informazioni molto spot perché
l'argomento sarebbe di per sé vastissimo: sul contesto in cui si è nata e si è sviluppata la scuola italiana
dall'unità d'Italia; sul fatto che l'italiano fosse non lingua madre degli studenti; e su tutta una serie di
questioni in qualche modo legate, cioè il fatto che la scuola faticasse a diffondersi a trovare un proprio ruolo
e non contesto di non italofonia. Abbiamo anche visto che nel passaggio tra 800 e 900 prende forma un
metodo didattico che si sforza di partire dal dialetto (dalla lingua dell'esperienza degli studenti per portare
questi studenti all'italiano. è una delle fasi più mature del pensiero didattica della lingua che storicamente
abbiamo avuto “pre-seconda guerra mondiale” ed è paradossale che questa fase coincida con il passaggio al
regime fascista in Italia. Paradossalmente cioè la prima riforma fatta nell'ottica di portare il dialetto
all'interno della scuola, non per insegnare il dialetto ma per ancorare lo studio italiano in termini contrastivi
alle conoscenze dialettali, all'esperienza del mondo legato al dialetto degli studenti, sia con la prima riforma
scolastica del regime fascista. Ed è legata ad una figura molto importante, quella di Giuseppe Lombardo
Radice. È un nome che sentirete abbastanza spesso quando si parla di storia dell'educazione linguistica
perché era un pedagogista molto attento alla dimensione linguistica e ha avuto un ruolo potremmo dire di
anticipatore di molte idee che verranno poi sviluppate in senso proprio soltanto più avanti. Era un
funzionario del ministero dell'istruzione e a cavallo, insomma, tra regno d'Italia e poi appunto l'avvento del
regime, fu naturalmente defenestrato dopo pochi anni e quando c'era il regime cominciò a interessarsi alla
scuola anche in senso ideologico. Ed è interessante come questo metodo dal diretto alla lingua viene proprio
promosso nei programmi ministeriali scritti dal Lombardo Radice del 1923, dove riflette peraltro una
discussione che era venuta nei decenni precedenti fatta propria dalla società filologica romana di Ernesto
Monaci che promosse una serie di manualetti, di materiali didattici per i vari per le varie zone d'Italia. Erano
esercizi di traduzione (vedi slide) dove c’erano il dialetto e il testo italiano per confrontare le due lingue con
delle note che, fanno da guida attraverso delle letture e così via, oppure delle traduzioni da fare partire dal
dialetto. (Vedi slide del dialetto veneto). Sappiamo che ne sono stati pubblicati moltissimi, nell’unità due su
virtuale c’è un documento che traccia la storia di questi manualetti dal dialetto alla lingua ed è molto
interessante perché oltre a spiegare bene i ruoli delle parti in causa e il contesto, c'è una bibliografia con
l'elenco di tutti i manualetti pubblicati appunto a cavallo tra gli anni 10 e gli anni 20 del 900. Molto
interessante è anche notare come, per esempio il manualetto di traduzione dei dialetti dell’Emilia, il
bolognese, è stato fatto da Carlo Tagliavini (fu grandissimo linguista anche del dopoguerra insomma maestro
anche indiretto di molti linguisti di oggi. All'epoca giovanissimo collaborò con la società filologica romana
per un dialetto che conosceva). Un altro nome importante è quello di Umberto bosco, anche lui una di quelle
persone che poi ebbero un ruolo importante ma che collaborarono con questi strumenti locali
d'insegnamento. Un ulteriore passo indietro, non abbiamo parlato finora dei programmi scolastici. è molto
interessante andare a vedere come la scuola della nuova Italia si proponeva di insegnare, nel nostro caso,
l'interesse per l'italiano; e quindi verificare come prescrivevano i maestri di insegnare l'italiano. i primi
programmi sono del 1860 è un po’ strano dato che lo stato italiano nasce nel 1861. 

 Si tratta dell'ultima riforma dei programmi dello Stato piemontese che poi fu esteso con il regno
d'Italia a tutta Italia. L'impianto della scuola italiana è l'impianto piemontese che appunto viene
automaticamente traslato con tutti i limiti naturalmente che questa espansione automatica
comportava sovrapponendosi a sistemi scolastici anche completamente diversi. E sono i programmi
“Casati Fava” (vedi documento su virtuale 🡪 c’è già una selezione all'interno, ci sono isolate alcune
parti in giallo che ci fanno un po’ capire lo spirito dell'epoca. Il consiglio che si dà stiamo parlando
dei primi due anni di scuola elementare che era il massimo che si potesse concepire anzi magari tutti
avessero potuto frequentare in quegli anni i primi due anni di scuola elementare. In realtà il vero
obiettivo era insegnare a leggere; già scrivere in molte zone era considerato una sorta di lusso quindi
una specie di obiettivo per i più bravi. Quindi leggere e imparare a firmare erano un obiettivo della
scuola con questi programmi del 1860. In questi programmi del 1860 c'è una grandissima enfasi
sulla dimensione grammaticale dell’insegnamento. Si tratta di bambini di prima elementare che
vengono da contesti totalmente dialettofoni e così si pretende di insegnare l'italiano attraverso delle
brevi frasi di cui si fa l'analisi grammaticale e logica sostanzialmente. Le regole grammaticali in
questa classe vogliono essere semplici e poche e sempre illustrate da pratici esercizi. Termini molto
pratici ma è sempre la grammatica come via privilegiata per l'insegnamento. Quali frequentissimo
ora nessuno discute che l'uso del passato remoto a quell'epoca forse sicuramente più frequente certo
che spiegare l'italiano non italofoni in di contesti analfabeti facendo con i vari verbi regolari
irregolari il passato remoto capite che c'è qualcosina che rischiava di non funzionare e in effetti non
ha funzionato proprio per nulla perché sappiamo che gli effetti della scuola almeno in quella fetta
cronologica furono molto limitati 🡪 i tassi di alfabetismo sono insomma molto importanti. Si
sottolinea però evidentemente l'importanza della lingua italiana.

 Altra cosa: pochi anni dopo, 7 anni dopo, nei primi programmi nati e concepiti totalmente all'interno
dell'unità d'Italia c'è un cambio di programma. Siamo nel 1867, abbastanza significativo è anche qui
una grandissima enfasi sulla grammatica, ma si riconosce ovviamente l'importanza dell’italiano.
Siamo negli anni di quel dibattito di cui abbiamo parlato in cui si deve creare anche l'Italia e creare
l'italiano: attraverso la lingua anche forgiare la nuova nazione. è già singolare che nel programma si
dica che il maestro deve parlare italiano (oggi come dire nessuno si sognerebbe di scriverlo)
evidentemente a quell'epoca era necessario rimarcare l'obbligo per i maestri di esprimersi non in
dialetto ma in italiano. uno dei mezzi usati dallo stato italiano per diffondere la lingua italiana fu
proprio anche il ricorrere alla mobilità dei maestri e dei funzionari pubblici; cioè si costringevano gli
insegnanti, dai maestri fino alle classi successive, a girare molto per l'Italia, a cambiare sede,
cambiare zona. Era un modo per costringere le persone ad affidarsi a un modello che non poteva che
essere l'italiano. Lo stesso per i funzionari pubblici e i dipendenti della pubblica amministrazione che
erano spesso costretti a spostarsi a in varie zone. ci fu una grande mobilità e un costringere le
persone a muoversi quindi usare l'italiano. un compito della scuola era quella di correggere le
strutture del dialetto (🡪 è una posizione molto diversa dai manualetti che arriveranno poco dopo) il
metodo della grammatica, l’insegnamento grammaticale che incomincia nella classe seconda deve
essere condotto in modo possibilmente pratico. Bambini che non sanno l'italiano devono impararlo
sostanzialmente come una lingua straniera e l'analisi logica capite era un qualche cosa che era
destinato a non funzionare. in un certo senso i programmi a riconoscono una correzione di rotta. 
 la cosa strana è che pochi decenni dopo altro cambio di programmi anche questo è un dato molto
singolare c'è il fatto che ci sia un cambiamento una dei programmi così radicale a distanza di pochi
decenni tutto sommato ci fa un po’ riflettere. 1888, programmi Boselli. Lì ribadiscono un pochino il
concetto quanto a grammatica invece da fare assai poco. Senza pensarvi si insegna grammatica
quindi insegnare grammatica parlando, esprimendosi, leggendo e così via come senza pensarci il
bambino impara in modo implicito. L’analisi logica è bandita. L’importanza dell’argomento dei
temi: devono essere argomenti conosciuti con esperienza personale dei bambini.
 1894cambi di programma molto ravvicinati. qui c'è stato anche un tornare indietro. si torna alla
grammatica. Programma Baccelli 1894.  Siamo partiti con la sola grammatica, poi si è fatto troppi
passi indietro e adesso torniamo a inserire un po' di grammatica sostanzialmente. Quindi c’è un salto
in avanti.
 10 anni dopo, 1905 altro cambio di programma. Il maestro deve badare ai bambini meno bravi, a
quelli che vengono da un contesto familiare in cui non conoscono l'italiano e gli altri si accoderanno
ed insomma daranno il loro contributo. È importante perché la tendenza era quella di lavorare con
chi già sapeva l’italiano e di lasciare indietro gli altri, in molti casi destinati all’analfabetismo. 
 1923: programma di Lombardo Radice 
Ad un certo punto però succede qualcosa, storicamente lo sappiamo bene arriva il regime fascista. Nei primi
anni del regime fascista non c'è un grandissimo interesse per queste questioni diciamo linguistiche educative.
con l'avvento del regime fascista (ovviamente non c'è tempo ora di entrare in tutte le questioni molto
complesse -> ci sono libri sulla politica linguistica del regime fascista anche molto interessanti perché
spiegano alcune reazioni ad azioni avvenute durante il regime). la politica del regime gradualmente
abbandona questa idea di Lombardo Radice, abbandona proprio fisicamente Lombardo Radice che viene
licenziato defenestrato dal ministero e cambia completamente aria. c'è come una influenza molto forte del
fascismo sulla scuola; cioè il fascismo capisce che la scuola può essere un mezzo di diffusione ideologica. Il
fascismo innanzitutto elimina tutti i libri di testo diversi cioè un unico libro di testo approvato dal ministero.
[piccola parentesi: il libro di testo unico ricorda certe scene di Harry Potter che per capirci hanno anche
vedere come retaggio uno studio storico di quello che è avvenuto nei regimi dittatoriali sostanzialmente e in
Italia vedere l’invadenza della scuola assomiglia un po’ a questo]. Quindi sempre di più lo stato comincia a
gestire i maestri e i maestri non allineati ideologicamente vengono allontanati, a volte anche licenziati in
alcuni casi. essi scelgono maestri invece che siano anche convintamente attivamente fascisti. il libro di testo
non è più a scelta dell’insegnante o frutto della azione editoriale come avviene oggi; c'è un unico libro di
testo intriso di ideologia fascista: si leggono molti testi Mussolini, discorsi storici di Mussolini e la storia
ovviamente è tutta riscritta in chiave nazionalistica. Persino nelle scienze della geografia e nei problemi di
matematica il regime fascista diceva la sua. Era tutto molto ideologizzato, tuttavia questa è una questione che
riguarda più la storia che l'educazione linguistica. Quello che succede con l'educazione linguistica invece si
intreccia molto da vicino con la politica linguistica del fascismo che aveva sotto stanzialmente due capisaldi:
l’anti-dialettalismo e l'anti-forestierismo. Quindi i due nemici della ideologia linguistica del fascismo erano il
dialetto i forestierismi. Quella dei forestierismi è una storia molto interessante; letto oggi fa molto ridere: ad
esempio il cocktail che diventa la bevanda Arlecchino, il gin diventa il gineprino, il flirt diventa l’amoretto e
il bar diventa la mescita, il dessert diventa il per alzarsi.  Il fascismo prendeva molto seriamente questo ruolo,
infatti ad un certo punto scioglie l’Accademia della Crusca, che era impegnata nella scrittura di un
vocabolario che si ferma alla lettera o, ozono, e non finirà mai. Viene fondata una nuova istituzione,
l'Accademia d'Italia, a cui affida il ruolo di dare un vocabolario e tutto il lessico è esemplificato in gran parte
come discorsi mussoliniani. Quindi il regime entra anche nei vocabolari. Ma la accademia d'Italia aveva
anche un altro ruolo: quello di scrivere delle liste inizialmente di suggerimenti ma poi diventano liste di
proscrizione di parole (in varie fasi periodicamente venivano pubblicate queste liste di sostituzione che
entravano proprio nel vivo) e quindi liste di parole straniere che venivano adattate alla morfologia italiana (lo
champagne diventa la sciampagna la brioche diventa la brioscia e cose di questo genere oppure con delle
sostituzioni per fantasiosa appunto il per alzarsi l'arlecchino e così via).
Dall'altro lato c'è la questione dei dialettalismi; anche lì inizialmente cioè un suggerimento di vietare il
dialetto ma si arriva in maniera molto forte a proibire qualsiasi forma di dialetto. In questa ottica le idee di
lombardo radice e tutti quei manualetti e quegli sforzi anche di darvi manuali didattici a questo scopo
vengono in qualche modo messe da parte. quindi la scuola ha una visione molto ideologica dell’italiano.
sapere queste cose ci prepara anche a capire un po’ quello che succede, la reazione da un certo punto di vista
dopo la liberazione dopo la guerra con la Repubblica italiana e la fondazione di una nuova scuola. la scuola
ci metterà anche molto a liberarsi tutto questa incrostazione di materiali fascisti. ci sono dei limiti di testo ->
è chiaro che l’Italia che era uscita a pezzi dalla Seconda guerra mondiale non è che da un anno all'altro
buttiamo via tutti i libri di testo, o li ristampiamo nuovi impostati diversamente. occorreranno parecchi
decenni o comunque parecchi anni quantomeno ci sono i documenti di libri di testo fascisti usati in epoca
post-fascista; qui il maestro faceva tagliare tutti i discorsi di Mussolini (libri praticamente con mezze pagine
completamente tagliate perché c'era citato un discorso di Mussolini). Si capisce però anche per esempio
perché nel secondo dopoguerra c'è una certa reticenza ad andare contro i dialetti e c'è una certa reticenza ad
andare contro le parole straniere. Quindi ci vorranno parecchi decenni perché in Italia si possa ricominciare a
parlare (non in ottiche ideologiche) di controllo per esempio delle parole, di regolare in un certo senso anche
le parole straniere che poi quello che succedeva e successo normalmente in altre nazioni vicine [come la
Francia o la Spagna; quando arriva l'oggetto computer In Francia non usano quindi c'è un' attenzione diciamo
una contrarietà quantomeno un' attenzione ai termini stranieri che non è necessariamente da leggersi in
chiave fascista. da noi è stato molto difficile tanto che noi siamo con gli inglesi gli unici a parlare di
computer. tutti i tentativi di chiamarlo calcolatore non hanno attecchito perché era una sostituzione vista
male in quegli anni, ancora considerata una roba da fascisti.] ci aiuta anche a capire il l'atmosfera di
rinnovamento dopo un ventennio così dal punto di vista del delle possibilità e l'aria di rinnovamento che nei
decenni dopo la Seconda guerra mondiale in qualche modo cominciano a muoversi. 

Nel secondo dopoguerra, proprio per senso di rottura rispetto a quello che succedeva prima, si avviano
invece moltissime esperienze di rinnovamento. anche qui esperienze di rinnovamento che molto spesso
partono dal basso cioè non è un rinnovamento che parte dai programmi (i programmi arrivano dopo).
Esperienze come quelle di Bruno Ciari e Mario Lodi ce ne sono moltissime; sicuramente una delle più
significative metà degli anni 50 anni 60 e la scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani (vedi un piccolo
filmato preso da un film che è tratto da un romanzo un romanzo di Domenico Starnone “solo se interrogati”
che si chiama “auguri professore”.  è un film di fine anni 90, il protagonista che in realtà è nel romanzo e poi
chiaramente nella trasposizione cinematografica lo stesso Domenico Starnone che era un insegnante in
quegli anni di rinnovamento). Volevo soffermarmi su don Lorenzo Milani perché nella sua impostazione la
lingua ha un ruolo estremamente importante (bisogna capire che è tutto molto collegato 🡪 ). l'esperienza di
Don Milani in un certo senso si oppone alle esperienze precedenti. la vera eredità di Don Milani non è
raccolta dal 68 che appunto travisa alcuni suoi obbiettivi. Don Milani aveva una concezione della scuola da 8
ore al giorno tutti i giorni della settimana, a scuola era aperta anche di Natale perché la scuola è un privilegio
e non un lavoro, questa era la sua impostazione (che non era l’impostazione del 68 che muoveva da altri
punti di vista). 
 Don Milani e la scuola di Barbiana
[piccola parentesi donmilaniana: le idee di Don Milani verranno raccolte da un gruppo di linguisti,
tra cui spicca il nome di Tullio de Mauro, che negli anni 70, quindi dopo la morte di Don Milani,
andranno a fondare il “giscel” (gruppo di intervento e studio nel campo dell’educazione linguistica)
e si faranno promotori attivi di un rinnovamento nell’educazione linguistica. Le idee del giscel sono
diretta emanazione di lavorazione anche maturazione da certi punti di vista delle idee linguistiche di
don Lorenzo Milani]. In un certo punto di vista l'influenza del giscel sarà anche sui programmi
scolastici che in qualche modo riflettono da vicino questo cambiamento; anche le indicazioni
nazionali hanno molte delle idee di Don Milani dentro quindi c'è una specie di sequenzialità, di
passaggio di staffetta nelle idee.
 Don Milani era un sacerdote, ma in origine apparteneva insomma alla ricca borghesia anche
intellettuale Fiorentina. faceva il pittore, poteva permettersi appunto di fare l'artista finché a un certo
punto ha vocazione e decide di diventare sacerdote abbandonando anche tutti i privilegi diciamo così
del suo status. Proveniva da cultura e formazione anche molto laica; suo nonno era un grecista, un
esperto di lingue antiche, molto importante. Fu anche senatore del Regno e ottenne un decreto Regio
che consentiva alla figlia (l’unica) di trasferire il suo cognome anche ai propri figli (per non perdere
il cognome) = retaggio familiare, che è un retaggio una famiglia ricca e colta.  Diventa sacerdote e
va a fare il sacerdote in prima linea: negli anni 50 viene mandato a fare il cappellano (viceparroco) in
una parrocchia della periferia di Firenze “San Donato”.  Ciò che ci fa capire molto della sua
impostazione: intende il suo ruolo fondando una scuola; quindi, la dimensione della scuola e della
formazione ha evidentemente per lui un ruolo molto importante. è una scuola serale rivolta operai
quindi la cosa molto diversa da quella che sarà poi la scuola di Barbiana. lui insegna agli operai
analfabeti o comunque non scolarizzati di sera negli ambienti della parrocchia a leggere scrivere
pensare e così via 🡪 una concezione della lingua molto vicina alla lingua come strumento di
cittadinanza; conoscere l'italiano per essere dei buoni cittadini. Dopodiché, proprio in forza di questa
scuola di queste sue idee molto polemiche, si attrae le antipatie sia della classe dirigente più
conservatrice sia della gerarchia ecclesiastica e fondamentalmente per punizione viene mandato a
fare il parroco a Barbiana, un paesino del Mugello, che non si poteva raggiungere in auto, ma l'auto
arrivava a due ore di cammino a piedi dal posto. Quando Don Milani arriva trova praticamente il
nulla, questo paesino isolato con bambini che tentavano di andare a scuola ma, farsi due ore a piedi e
più probabilmente per andare a scuola e due ore per tornare non è esattamente il massimo della
facilità; e quindi un po' per questo un po' per il loro retaggio venivano sistematicamente allontanati.
Vede questi bambini, ragazzi totalmente lontani dall’esperienza scolastica e fonda una scuola negli
ambienti della canonica (Pieve che fosse il nome corretto più che parrocchia), la scuola di Barbiana.
All'epoca, negli anni 60, non arrivava l'acqua né la luce -> questa scuola è una scuola che funziona 8
ore al giorno 365 giorni l'anno ed è una scuola che si oppone esplicitamente al modo di lavorare
della scuola di quella che era la scuola pubblica italiana. Infatti, non c'erano programmi, non c'erano
libri di testo per i costituiti, non c'erano distinzioni tra materie; la scuola funzionava non per materia
ma per argomenti (il metodo finlandese). Don Milani lavorava in un contesto in cui c'era ancora una
fortissima dialettofonia, ma mitigato dal fatto che lui lavorava in una zona Toscana quindi in una
zona in cui l'ostacolo del dialetto era meno forte (questo non gli impedisce di sentire lo scarto tra la
lingua che serve per essere buoni cittadini e la lingua che i suoi parrocchiani parlavano). Don Milani
parte da una constatazione: “esperienza pastorale” è un libro per l'epoca talmente forte che viene
messo all'indice; c'era ancora in quegli anni l'Index librorum prohibitorum. Don Milani finisce
all'indice, era un libro proibito per i cattolici pur essendo scritto da un prete in attività. Nel libro dice
“la povertà dei poveri non si misura a pane a casa a caldo, ma si misura sul grado di cultura e sulla
funzione sociale”; “la distinzione in classi sociali non si può dunque fare sull’imponibile catastale
ma sui valori culturali”. La povertà è anche culturale e linguistica. Ci sono alcune idee chiave di Don
Milani. tre idee meritano un piccolo approfondimento:
1. La centralità della lingua nell’esperienza scolastica:
Per Don Milani fare scuola è soprattutto se non principalmente o esclusivamente fare lingua,
insegnare italiano. Quella è la chiave di volta della sua concezione scolastica 
2. per fare scuola occorre che l'insegnamento sia aderente alla realtà dei bambini dei ragazzi. anche
questa è un'idea per l'epoca assolutamente innovativa; la scuola aveva un pacchetto, un programma
precostituito di conoscenze che erano ritenute essenziali, totalmente svincolato dalla realtà
scolastica, realtà delle esperienze in senso stretto. la scuola è partire dalla realtà, quindi lui si pone il
problema di come motivare questi suoi studenti ad imparare ad amare l'apprendimento, farli entrare
in quei compiti che sono via via più complessi.
2. nell'apprendimento nel ruolo dell’insegnante c'è una dimensione cooperativa. Se guardiamo quello
che faceva troviamo presenti concretamente alcuni concetti più avanzati della pedagogia e della
glottodidattica. Infatti, applicava il cooperative learning, cioè il lavorare in gruppo attorno a dei
progetti. la scuola di Don Milani erano scuole in cui si lavorava attorno ad un tavolo attorno a dei
problemi.  il libro è stato scritto esattamente così, è un gruppo di persone attorno ad un tavolo che
discute e poi cerca di mettere per iscritto i propri pensieri 🡪 la scrittura non è fatta con i temi
precostituiti della scuola, è una scrittura molto legata alla comunicazione. questo approccio
insegnamento dell’italiano ricorda esattamente quello da cui siamo partiti per l'unione dell'unione
europea. Si scrivevano lettere con una scuola, per esempio, di altri maestri di altre zone d'Italia c’è
quindi una dimensione molto forte, c'è anche un forte lavoro sulle lingue straniere molto moderno.
lui è il primo che insegna le lingue straniere con i dischi con il grammofono in un’epoca in cui
ovviamente non esistevano ancora i corsi di lingua e le cassette che arriveranno solo negli anni 70
80. Affinché i suoi ragazzi imparino le lingue gli spedisce a lavorare d'estate in Germania in Francia
in Inghilterra, cioè inventa degli scambi culturali, fa fare delle esperienze lavorative (oggi daremo un
tirocinio linguistico). Lui sperimenta sul campo, riporta in giro questi contadini destinati, se non
fosse arrivato Don Milani, dal loro ambiente ad un muoversi molto difficilmente. Vanno alla Scala,
fanno una serie di cose, credono molto nella musica. Quindi è una scuola molto avanti e molto aperta
a tanti stimoli.
1. LA CENTRALITà DELLA LINGUA NELL’ESPERIENZA SCOLASTICA
Allora c'è un bravo molto significativo è la testimonianza di Don Milani. è un testo che era stato
a lungo dimenticato, è la trascrizione di un incontro di Don Milani con i direttori didattici di
Firenze in cui racconta come intende il suo modo di fare scuola ed è molto importante perché
appunto ci dà una testimonianza, ci spiega che ruolo ha la lingua nella sua concezione della
scuola. La centralità della lingua nasce per lui dall’esigenza di predicare. è molto interessante
che 10 anni dopo (anni 60) in ambienti anglosassoni venivano teorizzate le teorie della
deprivazione verbale. osservavano la scuola, bambini e ragazzi con delle difficoltà scolastiche, si
accorgevano delle grandi difficoltà, non perché erano stupidi o più intelligenti, ma perché non
avevano un codice linguistico che consente di entrare nelle materie. (visione condivisa da Don
Milani). esistono un codice ristretto e un codice allargato; quindi, se uno possiede solo un codice
linguistico ristretto farà fatica a fare il salto di qualità. Don Milano direbbe che il codice
linguistico ristretto è quello che serve per vendere i polli al mercato e il codice allargato è quello
che serve appunto per partecipare alla vita scolastica. Nella scuola di Barbiana si leggevano i
giornali, va tenuto presente un episodio. Don Milani legge sul giornale la lettera la risposta a un
fatto di cronaca di quegli anni: i tribunali avevano condannato al carcere i primi obiettori di
coscienza cioè quelli che per ragioni ideologiche non volevano fare il militare (all'epoca
venivano mandati in carcere militare, poi ci vorranno anni per arrivare le prime leggi sulle
obiezioni di coscienza). I cappellani militari scrivono una lettera di plauso ai giudici in cui
approvavano l’incarcerazione. Don Milani scrive una lettera bellissima dal punto di vista della
passione etica, egli afferma che l'obbedienza non è più una virtù. La lettera è talmente forte che
costerà una condanna a Don Milani; tant'è vero che lui non potrà pubblicare come don Lorenzo
Milani, come nel caso di “lettera ad una professoressa”.
2. L’ADERENZA ALLA REALTà NELL’INSEGNAMENTO LINGUISTICO
centrale è la lingua ma la scuola di cui la lingua è aspetto principale deve aderire alla realtà. Il
motto della scuola di Barbiana è “i care” = mi sta a cuore 🡪 era una contrapposizione più
esplicita al motto fascista “me ne frego”. Un altro aneddoto è “chi non domina la lingua si fa
truffare” = alle truffe e agli inganni è facile che sia una preda facile. nel 62 Don Milani racconta
a Giorgio pecorini, che era un amico, che alcuni suoi parrocchiani erano stati truffati proprio
perché non sapevano leggere il contratto; insomma non basta saper leggere bisogna sapere
pesare le parole, dominare la parola. Un passo di “lettera a una professoressa” cosa succedeva a
scuola di Barbara che arrivavano i ragazzi bocciati dalla scuola pubblica quelli che magari
studiavano privatamente tentavano di entrare non venivano bocciati l'unica l'ultima chance per
andare alla scuola del parroco, andare la scuola di Barbiana arrivano questi ragazzi bocciati.
Erano ragazzi che consideravano la scuola un sacrificio. pur di avvicinarli al libro gli lascia pure
col libro di anatomia alle loro pulsioni. una volta avvicinati motivati con questo, più tardi
scoprirono che son belline anche le altre pagine della del libro di anatomia; poi si accorsero che
bella anche la storia qualcuno non si è più fermato ora gli interessa tutto (vedi slide). L’idea della
scuola di Don Milani era che l’insegnante doveva deve garantire a tutti e non poteva levarsi di
torno con la bocciatura perché la bocciatura non risolve il problema, quindi deve sforzarsi di
insegnare a tutti. La bocciatura era un modo con cui si toglieva dalla scuola chiunque avesse un
minimo di irrequietezza un minimo di demotivazione altro e quindi bocciare voleva dire privare
di un'istruzione una fetta importante di popolazione. Al contrario Don Milani si sforzava invece
con la sua scuola di motivare. C’è una contrapposizione tra la scuola dell’epoca molto rigida e la
concezione della scuola che invece deve sforzarsi per arrivare a tutti.
3. LA DIMENSIONECOOPERATIVA NELL’APPRENDIMENTO LINGUISTICO
L’altro aspetto importante è questo ruolo del lavorare insieme. Nonostante Don Milani non avesse una
formazione pedagogica in senso stretto e non si parlava all'epoca di metodi costruttivisti, lui di fatto lo
pratica con molte attività. Ad esempio, la scrittura attorno ad un tavolo; alla scuola di Barbiana si scriveva
molto e si scriveva insieme non intendendo la scrittura come un fatto solitario solipsistico come talvolta
ancora oggi tendiamo (vedi slide). Una scuola che insegnava la scrittura come esercizio di retorica, come
esercizio di scrittura articolata era l’unico modello di riferimento, era il modello di Don Milani e la scuola di
Barbiana. Questa concezione della scrittura è presente in una lettera del 1966 (vedi slide). La scrittura così
intesa non è solo un lavoro di gruppo e non è solo un dare forma alle idee ma è proprio la scrittura come
mezzo per far nascere le idee per organizzare il proprio pensiero Anche su questo Don Milani era molto
avanti rispetto alla sua epoca, perché qualche anno dopo cominciano ad arrivare anche in Italia le traduzioni
di Vygotskij. Molte delle idee della pedagogia più avanzata dell’epoca erano dietro il rapporto tra linguaggio
e pensiero; il linguaggio non è solo l'espressione del pensiero ma è anche il pensiero stesso da un certo punto
di vista, è un modo di organizzare il pensiero.

Lezione 12/02

Argomento storico:
Rinnovamento successivo a don Lorenzo Milani. Breve frammento in cui questo docente incontra questa
insegnante che era stata una sua allieva siamo negli anni 70: cosa succede? Ci aiuta a capire le idee di don
Lorenzo Milani. Incontra la sua ex studentessa, la presenta…
è una piccola testimonianza di come in quegli anni veniva usato don Milani.

L’eredità di don Milani: la svolta nell’educazione linguistica degli anni Settanta


Anni di post 68, grande ideologia e don Milani forniva la cornice di esperienza, teorica per un cambiamento
di prospettiva nella didattica che precede il cambiamento a livello di programmi scolastici. Attingeva alla
pedagogia francese.
Atmosfera di quegli anni -> maturano le dieci tesi di ?
Don Milani a un certo punto muore… chi accoglie l’eredità di don Milani? Molti semi lanciati da lui vengono
raccolti da maestri: Mario Lodi, Spirarelli? che propongono un modello di scuola molto più dinamica meno
legata alla tradizione in cui la lingua ha un ruolo importantissimo. Bruno Ciari porta il giornalino di classe,
grande lavoro di discussione. Lavoro dal basso nel mondo della scuola che cerca la strada per il
rinnovamento. Bisogna tenere conto del contesto sociale e sociologico in cui la scuola si inserisce:
cambiamento dal punto di vista normativo. Negli anni 60 si arriva alla scuola media unica -> prima, dopo i
cinque anni di scuola elementare c’era biforcazione fra formazione professionale e passaggio al ginnasio
che erano propedeutici al liceo classico. La scuola media unica, dopo un gradissimo dibattito, è una scuola
che mette insieme avviamento professionale e liceale. Sulla carta è obbligatoria per tutti. Si passa da uan
situazione di una scuola esclusiva (o stai di qua, o stai di là), diventa tutto un unico insieme. La scuola si
trova impreparata a questa scuola di massa. Grandissime masse di popolazione che entrano in qualcosa che
non è semplicemente scuola elementare. La scuola media unica porta a un tale bisogno di insegnante in cui
si reclutavano come insegnanti gli studenti universitari che hanno iniziato a lavorare prima che si
laureassero (bastava aver fatto un esame di lingua/letteratura per insegnare). Reclutamento affrettata che
aveva dei rischi. Questo dà l(idea della massa di persone che la scuola si trova a dover servire. Scuola si
trova impreparata. Questa impreparazione si riflette in un desiderio di rinnovamento: problemi della scuola
media unica problemi della scuola di Barbiana: “casi umana” devono essere portati alla formazione come
tutti gli altri. La scuola non era abituata perché prima risolveva bocciando (= sei adatto o non sei adatto.
Modo semplicistico). La sfida della scuola è insegnare a queste persone; Come un lavoratore che non puo
fare solo lavori facili. A questo si arriva con insegnanti ma anche con figure di linguisti -> William Labov
(scuola anglosassone), Biagi… si scopre che un bambino che ha difficoltà a scuola è per cause
principalmente linguistiche. Codice ristretto che va bene x contesto familiare e rurale ma non per
un’esperienza scolastica. Maria Luisa Altieri Biagi insegnava a Bologna, storica della lingua italiana
conosciuta per suoi lavori sulla lingua della scienza. Il suo impegno era per la scuola fu tra le prime a parlare
di programmazione verticale (il programma non deve riguardare la singola classe come se fosse isolata dal
contesto scolastico). Promosse una grammatica scolastica diversa dall’impostazione di quell’epoca.
Tullio de Mauro: linguista. Negli anni 60 era un giovanotto, pubblica “storia linguistica dell’Italia unica”,
commenta “linguistique generale” di Saussure. Linguistica impegnato che credeva nel collegamento tra
mondo della ricerca e mondo della scuola raccogliendo l’eredità di don Milani. Aveva seguito le sue opere e
esperienze e sente che si tratta di un messaggio importante. In quegli anni nascono anche le prime
associazioni scientifiche, fine anni 60 : società di linguistica italiana. Associazione aperta a tutti studiosi di
linguistica (accademici, appassionati). Esiste ancora oggi. All’interno Di Mauro propone con altri la nascita di
gruppi di intervento e studio nel campo dell’educazione linguistica (Giscel). intervento e studio? Non era
più logico il contrario? Semplicemente non usciva bene l’acronimo. Collegamento diretto fra ricerca
linguistica e applicazione didattica in classe. Glottologia precedente molto presa nelle sue ricerche e molto
lontana dagli aspetti pratici. Parlando di scuola anche Ascoli si esponeva e sentiva che la ricerca linguistica
non è staccata dalla vita sociale. I Giscel sono movimenti di insegnanti e studiosi di linguistica che lavorano
insieme per cambiare/studiare il modo di insegnare. Gruppi di lavoro organizzati su base regionale, devono
avere collegamento sul campo. In alcune regioni nascono anche più sedi. Questi gruppi sentono la necessità
di avere un manifesto della loro ricerca e azione. Questo manifesto  è posto nelle dieci tesi per l’educazione
linguistica e democratica . Anni di grande passione politica: quando ho un’idea faccio un grande manifesto
con le idee che caratterizzano i miei pensieri, documento costitutivo intellettuale. Giscel (regionale e
nazionale) esiste ancora oggi e si unisce al dipartimento di italianistica (in Emilia Romagna). Ogni quindici
giorni insegnanti e studiosi universitari fanno ricerca su alcuni aspetti. Nella sua fondazione, questo gruppo
si occupa quindi di far funzionare università e ricerca scientifica, anche Lorenzo Renzi fu presidente di
questa associazione. In questo fermento il Giscel sente la necessità di darsi una specie di carta costitutiva.
La redazione di questo documento fu fatta per la prima volta da Tullio de Mauro (fu anche ministro della
pubblica istruzione) -> colui che maggiormente ebbe l’idea di creare il Giscel. La carta circolava e ogni
gruppo proponeva delle modifiche fino ad arrivare alla versione finale.
Che impatto ebbero le Dieci tesi?
il Giscel ha promosso dei convegni con cadenza decennale per vedere quanto erano penetrate le Dieci tesi
nel mondo scolastico. Gran parte dei principi delle dieci tesi sono conosciuti ma non necessariamente il
movimento. Nella pratica quotidiana queste Dieci tesi fecero fatica ad entrare. La cosa interessante è che in
realtà i principi e il dibattito delle Dieci tesi ebbe un’influenza forte nel rinnovamento dei programmi
scolastici. Le Dieci tesi escono nel 1975; nel 1979 escono i primi programmi rinnovati che recepiscono il
cambiamento della scuola primaria; nel 1981 della scuola media; e si vede bene come i programmi del ’79 e
dell’81 recepiscono bene molte delle idee delle Dieci tesi. L’impatto non fu enorme. Anche le ultime
indicazioni nazionali lette portano il segno di quel dibattito che nasce negli anni Settanta.
Le dieci tesi per l’educazione linguistica democratica (1975) (virtuale ->  unità 2 dedicata alla storia)
Sulle dieci tesi ci sarà il primo compito (breve commento dal nostro punto di vista)
Il genere testuale delle tesi è molto connotato nel tempo: si crea un manifesto in dieci punti, è una cosa che
sta tornando. A chi stanno parlando le Dieci tesi? Argomentano contro la pedagogia linguistica tradizionale
cioè le pratiche didattiche tipiche della scuola dell’epoca (scuola rigida, grammatica, lettura di testi letterari)
a cui si contrappone una educazione linguistica democratica. “democratico” contro la pedagogia linguistica
tradizionale. “democratico” è un insegnamento dell’italiano che deve cercare di essere efficace su tutti gli
studenti. Dal punto di vista sociologico, l’Italia di quegli anni è di cambiamento nel tessuto sociale,
urbanizzazione, migrazioni interne… Anni della scuola media unica -> il più importante cambiamento
legislativo che viene dal secondo dopoguerra. (chi faceva le magistrali non poteva accedere all’università,
era diverso dal liceo. Nascerà il “magistero” per far accedere all’università chi aveva fatto le magistrali). In
quegli anni era molto sentita la divisione in gruppi in cui appartenere a un gruppo precludeva un
proseguimento. La scuola media unica cambia a livello legislativo le cose ma a livello culturale serviranno
molti decenni per arrivare ad un cambiamento. La scuola media accoglieva tutti. Alla scuola media c’erano
corsi di latino propedeutico perché non si poteva andare al liceo senza averlo studiato. È una scuola media
che si trova impreparata a far fronte a una scuola di massa. Si ritrova ad essere una scuola media di tutti in
cui arrivano anche casi umani e la scuola non è pronta perché replica vecchi modi che probabilmente
andavano bene per un lavoro limitato a gruppi di studenti che avevano una certa formazione.
1) La centralità del linguaggio verbale
Al centro di tutto ci sta la lingua perché di fondamentale importanza nella vita sociale e individuale. Grazie
alla padronanza possiamo intendere la lingua e farci intendere. Aspetto comunicativo. Idea di Don Milani.
Già trovata nelle competenze chiave dell’unione europea e nelle indicazioni nazionali. Il lavoro della lingua
a scuola deve prendere le basi dalle capacità produttiva e ricettiva.
italiano non è una materia come tutte le altre. Parliamo di fenomeno complesso e non è una materia: è
qualcosa di molto più invasivo. Capacità simbolica.

2) Il suo radicamento nella vita biologica, emozionale, intellettuale, sociale


il linguaggio fa parte della persona fisica. La lingua non si puo considerare come qualcosa di intellettuale ma
lavora anche sulla fisicità. Lingua è radicata nella persona, a livello biologico. Prima di insegnare la lingua
devo capire la persona a livello biologico. L’aggettivo “biologico” si spiega perché -> Parliamo di anni in cui
esisteva ancora la fame, per noi succede nei bambini dell’ Africa ma negli anni 60-70 c’era povertà in Italia e
i bambini che soffrivano di malnutrizione. Frutta latte carne necessarie per maturare capacità linguistica.
Passo di Brecht in cui si dice “prima la pancia e poi la virtù”: prima la bistecca e poi Saussure e le
competenze comunicative. Se ci si nutre il corpo sta bene e quindi la lingua si esprime correttamente. Nella
vita emozionale non si deve dimenticare che si ha a che fare con adolescenti. La mente: linguaggio si collega
alla crescita mentale. L’italiano era un pacchetto di pratiche didattiche consolidate da una tradizione che
erano letture (sempre le stesse) e un grande spazio dato alla grammatica (chiave di tutto). Cio è quello che
viene messo in discussione nelle tesi tre e tesi quattro.

3) Pluralità e complessità delle capacità linguistiche


Anni in cui la lingua ha capito la complessità del fenomeno linguistico e dice che la scuola non puo
prescindere da questa complessità e pluralità. Considerazioni interessanti. Capacità di dare un senso alle
frasi unite e lette. Capacità di verbalizzare a parole le proprie situazioni. Esprimersi a parole. Non basta
insegnare a decodificare i testi scritti (sillabe, suoni, lettura) dobbiamo insegnare a dare un senso a cio che
leggiamo. Insegnare a leggere è complicato rispetto a cio che intendeva la scuola un tempo; è la capacità di
dare voce ai propri pensieri. Abbastanza inedito per il panorama dell’epoca. Ampliare il panorama
linguistico già acquisito. Pezzo di modernità molto forte. Linguaggio si manifesta in modi diversi. Alcuni
sono impliciti e non si vedono. Si amplia il fatto che la competenza linguistica è una competenza che è
imparare ad imparare. Competenza entrata nei documenti scolastici. Il successo formativo come si motiva?
Competenza è stata insegnata se lo studente al di fuori della scuola sa usare quello che ha imparato per
migliorare e imparare ulteriormente. Sa usare le parole usate in classe per imparare ad ampliarle in altri
contesti. Va di pari passo con la strategia oggi nota in cui apprendimento non si esaurisce nell’esperienza
scolastica: life long learning. Anche il lavoratore dopo  l’università avrà bisogno di un aggiornamento
continuo: richiesto nella nostra società dove le cose cambiano di continuo. Non è come negli anni 50… oggi
siamo in una società in cui anche il lavoro apparentemente umile ha bisogno di aggiornamento: es.
idraulico deve interessarsi alla scuola perché se lui non ha imparato a imparare rispetto alla sua professione
non saprà informarsi sul proprio tipo di tubo che costa meno ed efficiente e non formandosi perderà il
lavoro perché altri idraulici lo sorpasseranno e gli toglieranno il lavoro. Dare strumenti ai singoli per poter
imparare da soli cosi possono approfondire la loro formazione da soli.

4) I diritti linguistici nella Costituzione


costituzione che riconosce uguaglianza senza distinzione di lingua: si pensava di più alle zone di confine
tipo Alto Adige invece significa senza mettere in secondo piano chi ha solo una cultura rurale e non
possiede la lingua italiana. Dà pari identità a tutte le lingue e la lingua è uno strumento di cittadinanza=
serve per essere dei buoni cittadini percio rappresenta un radicamento con la Costituzione. Idea che
sviluppare le competenze linguistiche sia un modo per formare buoni cittadini. Se si fossero seguite le
indicazioni delle dieci tesi avremmo avuto adulti migliori dal punto di vista delle competenze linguistiche
(ignoranza delle persone colte è la peggiore: senza capacità di elaborazione critica, senza saper
comunicare). Carattere civico della lingua collegato allo sviluppo della competenza linguistica.

Tesi cinque/sei /sette


5) Caratteri della pedagogia linguistica tradizionale 6) Inefficacia della pedagogia linguistica inefficace
si vuole demolire pedagogia linguistica tradizionale che era l’unico punto di riferimento della scuola di
quegli anni. La linguistica tradizionale fa il grafismo, insegna a formulare in modo scarsamente motivato
(pensieri/temi), analisi grammaticale e logica, apprendimento a memoria di paradigmi verbali, intenti
correttivi volti a reprimere errori ortografici -> ossessione verso l’ortografia. Ma oggi sappiamo che in realtà
è la parte più debole del linguaggio.
Fin i programmi dell’ Ottocento sottolineavano la capacità di dialogare, confrontarsi… la scuola dell’epoca
era molto ancorata e non sapeva aprire lo studio della lingua allo studio del mondo esterno. Si sofferma a
decodificare la lingua scritta. La scuola ha dato grandissimo spazio alle norme ortografiche perché sono solo
una parte della competenza linguistica. Non è detto che se un bambino fa errori di ortografia abbia scarse
competenze. La prima cosa che veniva corretto era l’errore ortografico.  O magari veniva scritto un tema
privo di idee e pieno di stereotipi ma era ortograficamente corretto andava bene. Grammatica
importantissima ma non basta una regola grammaticale per insegnare una competenza linguistica. La
scuola non è riuscita a insegnare la lingua in senso stretto e pur avendo puntato sull’ortografia molti
cittadini italiani sono in condizioni di analfabetismo: non sanno legger e scrivere in maniera corretta. Sbagli
di ortografia si vedono anche in persone colte. Scrivere tanto nella cultura italiana era considerato qualcosa
di positivo. La pedagogia linguistica tradizionale non realizza bene nemmeno gli scopi che punta. Fatica a
soddisfare quel tipo di insegnamento. Critica forte. Quindi la pedagogia linguistica tradizionale è inefficace.
Non era in grado di insegnare qualcosa a chi per retaggio familiare (dialettofonia) la scuola non sa dare una
risposta perché è ingessata in una vecchia concezione pedagogica. La pedagogia linguistica non è adatta a
perseguire gli scopi visti e in più il vecchio modo di insegnare non funziona.

7) Limiti della pedagogia linguistica tradizionale


si entra nel dire perché la pedagogia linguistica tradizionale sbaglia. Critica fatta negli anni 70. Molte di
queste idee ancora non entrano nel modo di pensare dell’insegnante di italiano.
A) si pone il principio della trasversalità dell’ educazione linguistica. Non è solo l’insegnante di italiano a
insegnare la lingua che devono essere quindi coinvolti nello sviluppo linguistico degli studenti. Anche
l’educazione fisica: quando un insegnante insegna le regole della pallavolo, sta lavorando su un aspetto
della competenza linguistica. Anche l’insegnante di matematica quando fa leggere un testo. Idea che
ancora oggi fatica molto ad entrare, le materie non sono compartimenti separati ma devono lavorare
insieme. Si pone per la prima volta questo principio. Insegnamento della lingua riguarda tutti gli insegnanti.
Principio sconvolgente per la scuola dell’epoca. Poco spazio alla dimensione orale del linguaggio.
B) non cura le capacità di produzione orale. Di Mauro dirà che la scuola è la scuola dell’anti-parlato è come
se tutto il suo sforzo cancellasse il passato. Si ricerca la scrittura retorica. NO idea che a parlare si impara e
che se a parlare si impara occorrerà trovare strategie didattiche sull’oralità.
domanda: nelle uni italiane l’orale ha molto spazio nella valutazione. Fuori l’Italia l’esame orale è o l
integrazione dello scritto o non si fa.
Risp: non è una contraddizione. La scuola italiana ha sempre dato molta importanza all’interrogazione
orale. Quali sono le materie che danno la prova scritta? Italiano, matematica… lo scritto è limitato. Il modo
di valutare è l’interrogazione orale che anche tradizionalmente è l’unica forma di oralità su cui la scuola
lavora. Come si usa l’interrogazione orale? Nella valutazione sommativa. Se faccio interrogazione di storia e
chiedo al bambino parlami della prima crociata attenzione: il bambino non impara a parlare
nell’interrogazione… Interrogazione è percepita come una ?? orale che poi si traduce in sufficiente, 28 … è
tardi per imparare a parlare nell’interrogazione. La scuola chiede una prestazione orale nell’interrogazione
ma non insegna a parlare. La prima forma dovrebbe essere insegnare a rispondere oralmente. NO
contraddizione perché anche l’insegnante più illuminato che dice qualcosa su come rispondere a una
domanda orale si sta occupando in maniera limitata per dire che c’è davvero uno sviluppo delle
competenze orali. Interrogazione orale è un tipo di testo: espongo contenuti. Il parlato si manifesta in tanti
altri modi: es. si puo parlare per raccontare qualcosa. -> alle elementari si insegna a parlare, confrontarsi,
esporre le proprie ragioni. Il testo argomentativo dovrebbe essere in primo luogo orale, in realtà pero è
scritto.
il prof ha parlato di come si puo fare didattica dell’oralità a scuola e per diversi anni con la fondazione ???,
che si occupa di formazione di insegnanti, hanno fatto corsi di didattica dell’oralità con nuove tecnologie x
esempio con creazione di podcast, gioco, es. studenti preparano trasmissioni radio. Si puo preparare un
discorso orale che non puo essere tradotto con una scrittura. Devo preparare alcune cose prima per
montarle.  Web radio vissuta come esperienza in cui non entra in gioco solo la scuola. Gli insegnanti
dicevano che si crea un meccanismo in cui gli studenti stessi si ascoltano e trovano errori (es. ho sbagliato
un congiuntivo! E si mette a studiare, ripassare… non prendo solo un brutto voto, ma faccio una figuraccia
con chi mi sta ascoltando). Con questo sistema gli studenti fanno, divertendosi, cose che se fatte in un altro
contesto sarebbero noiose.  Es. riassunto classico su Pirandello noioso, ma se lo faccio in web radio puo
essere piu interessante per far capire alla zia cosa sto insegnando. Metodo di fare didattica costruttiva.
L’insegnante lavora perché deve accertarsi di cose, far parlare tutti, non escludere nessuno…  didattica
complessa da gestire. Un altro esempio è il dibattito: insegnare ad argomentare: palestra di botta e
risposta: la classe divisa in 3 parti: una parte difende tesi, contro tesi e l’latra valuta. Vince chi trova le
argomentazioni più convincenti. Alcuni insegnanti hanno provato a farlo. Prima palestra di botta e risposta
sarà per studenti di biennio “questione sui primi amori” … si parte da questo e si finisce col fare botta e
risposta sul dolce stil novo ricollegandosi a questioni legate con quello che si studia in altri ambiti.
Motivazione è strumento potente. Oralità è un territorio inesplorato dalla scuola.
Altro problema dell’interrogazione: cosa voglio valutare? Se ha studiato le crociate o se sa raccontarle
bene? Bisogna definire gli indicatori da valutare e l’oggetto della valutazione.
Difficoltà di fondo: la scuola seleziona poche cose e fa solo quello. Portare il parlato nell’educazione
linguistica. L’indicazione nazionale del 2012  (molti anni dopo le dieci tesi) mettono al primo posto gli
obiettivi di carattere orale. Qualcosa si è mosso nella scuola primaria ma scompare gradualmente nella
scuola media e superiore. È un lavoro ancora in gran parte da fare.
C) Nella produzione scritta, la pedagogia linguistica tende a sviluppare […]. È una palestra di prolissità.
Capacità di discorrere a lungo su un argomento ma è inutile se non si sa sintetizzare, schematizzare, essere
brevi, saper scegliere un certo tipo di vocabolario... la scrittura, il tema (in parte superato) non è fine a se
stessa ma deve servire per cose concrete come appunto schematizzare ad esempio. Entra una visione
sociolinguistica (parola nuova in quegli anni). Cioè adeguare la propria scrittura alla situazione
comunicativa, ai tipi diversi di destinatario a cui mi sto rivolgendo. In quegli anni l’insegnamento della
scrittura (il tema che doveva essere lungo, con un vocabolario ricercato e non era una palestra di
comunicazione) prevaleva.
D) critica forte alla grammatica. sembra che studiare grammatica e studiare la regola fosse fondamentale.
Questa fiducia nella grammatica è messa in discussione dagli stessi linguisti. Nessuno è contrario alla
grammatica ma si mette in discussione il modo tradizionale con cui la scuola insegnava in quegli anni la
grammatica. Questo ci porta a ragionare ??? La grammatica tradizionale è parziale perché si limita all’analisi
grammatica, logica e del periodo ma in realtà la lingua è fatta di tanti aspetti -> Siamo negli anni 70, anni in
cui la linguistica sta ampliando e esplodendo i suoi confini. Arrivano settori della linguistica nuovi
(sociolinguistica, pragmatica, linguistica testuale), arrivano approcci diversi di scuola anglosassone, si
diffonde strutturalismo… Epoca di vitalità della linguistica e del dibattito sulla linguistica. Anni in cui
Jacobson dice che non c’è nulla nella lingua che mi sia estraneo e che non possa studiare. La linguistica si
occupa di tutto. La scuola propone analisi logica, del periodo e oltre a quello non c’è nient’altro. Risposta
della grammatica molto parziale. Fatta in questo modo è inutile perché non fa sviluppare le competenze
linguistiche. Idea invece di riflessione sulla lingua in cui inizialmente ragione sull’informale/formale e arrivo
anche a definire delle regole ma la scuola dell’epoca rispondeva con un programma parziale. È inutile
perché fatto in quel modo lo studio della grammatica non serve a nulla e non porta a un miglioramento
delle competenze linguistiche. La grammatica è importante perche carattere di riflessività????
non basta lavorare sulle regole, dobbiamo ampliare il nostro spazio e il nostro orizzonte. Avere idee chiare
in linguistica è molto utile per districare sintassi di una frase, imparare una frase ecc. Ma dipende da come
ci lavoro.   E rischia di essere nocivo perché è una grammatica rimasta separata dallo sviluppo della
linguistica, dalle nostre conoscenze di funzionamento del linguaggio. La linguistica è andata avanti e la
scuola è rimasta ferma a quel modo di lavorare che discende dal mondo di studiare la grammatica greca e
latina. Il modo di fare grammatica è un “Aristotele assai mal capito”. Molte prassi grammaticali dell’epoca
hanno senso se dividiamo la grammatica?
Perché enfasi sull’analisi logica che aiuta poco a capire la sintassi? Perché era strumento propedeutico al
latino che di fronte a un complemento di materia uso questa preposizione + ablativo ecc.  se so che cos’è
un complemento, so anche capire il latino. Ma ci dà una conoscenza della realtà linguistica? No. La lista dei
complementi è una lista potenzialmente infinita. Nascono e prosperano nuovi complementi che non
servono a nulla dal punto di vista di riflessione sulla lingua e servono anzi a confondere. Non tutta l’analisi
logica è da buttar via ma fatta in quel modo non serve. Più che di grammatica, si parla di riflessione sulla
lingua cioè ragionare sulle regole del mio parlare, scrivere, ascoltare, leggere. Insegnamento della
grammatica tradizionale: parziale, inutile, nocivo. Mentre la ricerca scientifica sul linguaggio era andata
avanti, la scuola era rimasta ancorata a un funzionamento e descrizione della grammatica che era lo stesso
da tempi memorabili (impostazione della grammatica latina). Teorie del funzionamento della lingua
antiquate, corrotte. Gli studiosi l’hanno chiamato “l’italiano scolastico” perché ha senso solo dentro la
realtà scolastica ed è svincolato dalla realtà.
E) La scuola trascura la realtà linguistica di partenza degli allievi, della loro provenienza. Scuola in cui
entrano in classe nella scuola media unica, bambini totalmente dialettofoni: quelli che prima non sarebbero
mai andati in un ginnasio. Si sarebbero fermati alla quinta elementare. Si ignora la condizione di partenza.
Quello che nel ‘75 era detto pensando ai dialettofoni è attualissimo se riferito a studenti stranieri. Il
retroterra dialettale è sempre meno perché è raro trovare uno studente giovane totalmente dialettofono
ma è frequente trovare nelle classi studenti non italiani che non hanno l’italiano come lingua madre. Altro
elemento di complicazione: hanno lingue totalmente diverse tipo arabo fono che impara italiano ha
problemi diversi rispetto a un brasiliano o a un cinese che impara l’italiano. Difficoltà enormi. Altro
problema: competenza di italiano è diversificata: nella stessa classe ho tre pakistani di cui due parlano bene
italiano e l’altro invece no. Fare lezione con problemi che c’erano negli anni settanta. Punto molto attuale
per motivi diversi. Oggi c’è il multilinguismo che ha messo in crisi la scuola perché gli insegnanti di italiano
avevano una formazione prettamente letteraria. Poi si introducono i crediti di ambito linguistico ma questo
non garantisce una preparazione per far fronte ad una classe multilingue. C’è bisogno di tener conto della
situazione di partenza e questa è un’idea molto moderna -> si deve partire da un’analisi dei bisogni. Un
gruppo Erasmus avrà bisogni linguistici da un immigrato appena arrivato in Italia.
F) si dimentica rapporto fra capacità verbali e capacità simboliche ed espressive. Tutto è permeato dal ruolo
che la lingua ha in questo ambito. Modo di approcciare all’insegnamento parziale elimitato.

Quale risposta possiamo dare? Arriviamo alla tesi 8

8) principi dell’ educazione linguistica democratica


Che a sua volta è articolata in ulteriori dieci punti di quali sono i principi della nuova educazione linguistica.
Secondo De Mauro era fondamentale l’aggettivo “democratico”. Educazione linguistica democratica. Pas
construens -> sviluppo delle capacità verbali va proposto non come fine a se stesso. L’italiano non è mai
autoreferenziale ma è uno strumento di ricca partecipazione. Il primo interlocutore delle dieci tesi è
l’insegnante di lettere. Trasversalità insistita in queste dieci tesi.
1- insegnamento dell’italiano che tiene conto della crescita di un bambino: infanzia, adolescenza… amplia lo
spettro di lavoro.
2- capacità linguistiche non vanno percepite come fini a se stesse. Insegnare lingue, italiano è uno
strumento di ricca partecipazione alla vita sociale e intellettuale (anni post ’68 in cui la partecipazione attiva
è molto forte). Non insegno a un bambino a parlare e leggere per prendere un bel voto a scuola ma per
vivere la propria vita come cittadino.
3- la sollecitazione delle capacità linguistiche deve partire dall’individuazione del retroterra linguistico e
culturale personale, familiare, ambientale dell’allievo. Non posso insegnare italiano a tutti nello stesso
modo -> idea milaniana. Fare parti uguali fra disuguali è un’ingiustizia. Devo adattarmi anche al diverso
retroterra linguistico. Non si puo insegnare italiano allo stesso modo in una scuola di campagna e in una
scuola del centro in cui ci sono figli dell’alta borghesia. Bisogna dare risposte diverse a bisogni diversi.
4- Questa scoperta del retroterra  non è il punto di arrivo, ma è il punto di partenza. Non si parte dal
dialetto perché voglio lasciare gli studenti all’interno del dialetto ma parto da li per portarli a livelli più alti. Il
dialetto puo essere anche un mezzo di scoperta del territorio sempre con l’idea che da li si parte per
sviluppare competenze più mature.
5/6- insegnare ad ascoltare, leggere testi più complessi.
7- partire dal linguaggio informale per arrivare anche ad un lavoro sul linguaggio formale.
8- linguaggio giuridico, letterario, poetico. Si scopre con le dieci tesi che l’italiano è fatto di tante
componenti: linguaggio informale/istituzionale, linguaggio specialistico ecc. e quindi si pongono le basi per
un insegnamento dell’italiano che tenga conto della varietà sociolinguistica.
9- la grammatica è lo strumento che ci consente di muoverci all’interno di tutta questa varietà perché è il
momento in cui si riflette sulla lingua. Se si prendono i libri scolastici di quegli anni, tutti hanno una parte in
cui si fa sociolinguistica: varietà locali, registri… ma sono quelle parti che  non si approfondiscono
minimamente e non attirano l’attenzione degli insegnanti.
10- all’educazione linguistica democratica piace tutto e lavora su tutti i tipi di linguaggio. La vecchia
educazione era prescrittiva ed esclusiva (“devi dire sempre e solo cosi, il resto è errore”). La scuola deve
affrontare la complessità e la nuova pedagogia dice “puoi dire cosi ma anche cosi”. Devo insegnare a
scegliere l’opzione migliore. La vecchia didattica linguistica era dittatoriale: dava delle regole che non
potevano essere in discussione ma la nuova non è anarchica: ha una bussola che è la funzionalità
comunicativa di un testo parlato e scritto a seconda degli interlocutori reali. Non sono idee nuove. Ma sono
idee che vengono esplicitate per la prima volta. Nel ’75 stiamo dicendo quello che nel 2006 verrà detto
come base del lavoro scolastico. Si stanno ponendo le basi di un rinnovamento molto lungo nel tempo. Le
dieci tesi furono anche tradotte in altri lingue ed ebbero una circolazione al di fuori del territorio italiano.

9) Per un nuovo curriculum degli insegnanti


nuovo modo di insegnare italiano richiede molte competenze da parte degli insegnanti che devono essere
preparati e devono aver studiato sociolinguistica, sapere cosa è la pragmatica. C’è un problema che veniva
posto anche all’epoca. Quando uno iniziava ad insegnare era arrivato e li restava, oggi invece c’è sempre
qualcosa di nuovo da imparare. Necessità di lavorare sulla formazione degli insegnanti. Il Giscel fu tra i
primi a promuovere attività spesso organizzate di formazione per gli insegnanti. Sarà anche lo stesso
ministero a proporre corsi di aggiornamento o le scuole autonomamente. In quegli anni il Giscel  ha
preparato un terreno a cambiamenti che ci sono stati solo negli anni successivi.

10) Conclusione

[domanda: Nell’interrogazione si chiede qualcosa senza averlo insegnato. Un ragazzo deve organizzare un
discorso orale ma nessuno glielo ha mai insegnato e si valuta qualcosa su cui non si è mai ragionato
insieme. La competenza orale è un’abilità che si costruisce. Cio che è problematico è che c’è molto altro
nell’interrogazione quindi ci si dovrebbe lavorare. Uno puo aver studiato ma magari ha scarse capacità di
organizzare un discorso. L’interrogazione è un tipo di oralità, è un testo espositivo. Bisogna insegnare ad
argomentare e a dibattere e questo puo essere una vera e propria materia di studio: imparare a difendere
una tesi.]

[La Mastrocola dice che le dieci tesi sono la causa della fine della scuola (il prof non è d’accordo). Il prof
pensa che la scuola abbia problemi perché non ha ancora ricevuto delle idee delle dieci tesi. Ci sono anche
posizioni distanti dalle dieci tesi.]

Lezione 16/02

Abbiamo parlato finora di educazione linguistica e abbiamo visto che parlare di storia dell’educazione
linguistica non è soltanto qualcosa di fine a sè stesso ma ci porta dentro a una serie di problemi concreti e
legati all’oggi della scuola. Lasciamo al momento la storia ed entriamo in un altro argomento. 
Variabilità linguistica e insegnamento dell’italiano
L’oggetto dell’insegnamento -> la risposta tradizionale nella scuola era vedere la lingua come un oggetto
fermo, immutabile e non esposto al cambiamento in un’ottica puristica, quindi l’italiano aveva avuto la sua
fase d’oro che non si capisce bene quando è stata mentre oggi si deve lottare per tornare all’età dell’oro.
Questa idea oltre ad essere poco produttiva, è anche poco scientifica. Sociolinguistica -> lingua vista
scientificamente come un intreccio di varietà, lingua come luogo della variazione, un’immagine di una
lingua mutevole che ci sfugge di mano essendo delimitata da tante variabilità.  vista come qualcosa che non
sta fermo e ci sfugge di mano essendo formata da tante variabili diverse. L’idea della lingua come insieme
di variabili è molto presente nei documenti ufficiali di oggi, anche nel lavoro che dovrebbe far la scuola.
Intendere l’educazione linguistica anche nella variabilità linguistica. Cosa succede se noi portiamo questa
idea molteplice dell’italiano nell’insegnamento? Ci sono molti cambiamenti, ad esempio la correzione
dell’errore che assume un significato molto diverso. È tutto ciò che si discosta dall’italiano, se invece
intendiamo l’italiano come insieme di variabili, un errore sarà il problema o meno dell’adeguatezza a quella
varietà.  È una realtà molto più complessa ma più vicina alla realtà linguistica dell’italiano. In questa lezione
e nelle prossime ci chiederemo cosa significa portare la variabilità linguistica nel nostro italiano. 
Esempio: nella scuola primaria una maestra di prato ha dato un tema a un bambino di terza primaria
“racconta una bella giornata” -> slides. Dato di fatto: è un bellissimo tema, organizzato bene nelle
informazioni ed esprime bene cosa è per lui una bella giornata. Dal lato linguistico: il bambino scrive in
dialetto toscano. C’è un dominio non strettamente legato al sostrato dialettale, alcuni sono errori di
realizzazione scritta (io ce lo, io o).  C’è molta confusione nel verbo scritto. Ci sono errori di interferenza
dialettale e questi sono molti evidenti (fo calcio, io vo) sono toscanismi legati al fatto che il bambino scrive
come parla, scrive il verbo nella forma che gli è più familiare.  Sono interferenze del dialetto toscano. (la mi
mamma).  Il bambino viene da un contesto socioeconomico in cui il dialetto è la lingua veicolare della
famiglia e nonostante sia in terza primaria fa fatica a scrivere in un italiano standard. È più marcato se il
dialetto è molto distante dall’italiano standard. 
Cosa significa per un insegnante quando una variante linguistica entra in classe? Non è una cosa astratta.
Può essere più o meno marcato. Qui in questo tema la varietà locale si manifesta tramite scelte
morfologiche (vo) lessicali (la sistola, berciare). Sono tuti esempi di questo scatto. Il bambino dovrà
dominare l’italiano standard perché i libri sono in italiano standard. Siamo fiduciosi perché frequenta
ancora la terza primaria.
Stiamo toccando con mano le variabilità linguistiche. Nelle indicazioni nazionali si legge che “l’allievo
riconosce il rapporto tra varietà linguistiche/lingue diverse (plurilinguismo) e il loro uso nello spazio
geografico, sociale e comunicativo”. -> questo è l’obiettivo della terza media e quindi il bambino che ha
scritto il tema ha ancora tempo per capire che vo e fo vanno usati in un certo spazio geografico sociale
comunicativo. Lapo ha ancora difficoltà legate a riconoscere e ad usare varietà linguistiche diverse.
L’impostazione del passato sarebbe stata un’impostazione puristica e quindi di fronte a forme come fo e vo,
avrebbe detto questo è errore, questo è sbagliato e sarebbe stato deriso. Oggi non deridiamo Lapo.
Il plurilinguismo è la compresenza sia di linguaggi di tipo diverso (verbale, gestuale, iconico, ecc.) cioè di
diversi tipi di semiosi, sia di idiomi diversi, sia di diverse norme di realizzazione d’un medesimo idioma.
Ci sono casi diverse in base alle diverse zone. Siamo nel pieno dell’irruenza della sociolinguistica.
La riflessione sulla lingua ha l’obiettivo di portare l’allievo riconoscere ed esemplificare casi di variabilità
della lingua. Stabilire relazioni tra situazioni di comunicazione, interlocutori e registri linguistici; tra campi di
discorso, forme di testo, lessico specialistico. Quindi significa che lapo non dovrà abbandonare i suoi “vo” e
“fo”, quello fa parte della sua esperienza locale di vita ma dovrà capire che con certi interlocutori dovrà
cambiare la variabilità e il registro. Questo è valido sempre ma sappiamo che un sign ancora più forte di
fronte alla frammentazione linguistica italiana. In italiano abbiamo per ragioni storiche una grande varietà
linguistica e sappiamo geolocalizzare le persone in base all’accento. -> uno dei giochi linguisti più frequenti
(lei viene da…) 
Da cosa dipende il cambiamento linguistico? Fare una piccola premessa di metodo: ci sono diversi livelli di
competenza linguistica (alcuni hanno fatto studi specifici sociolinguistici e altri meno) invito i primi a non
lasciarsi prendere dalla presunzione. Bisogna creare la sensibilità sociolinguistica in base alla classe in cui ci
si trova. Quelli che non hanno fatto studi specifici, troveranno la voce repertorio linguistico e potranno
consultarla per recuperare le conoscenze, oppure potrete usare un manuale linguistico o sociolinguistico. 
Altra cosa è il problema didattico: cosa me ne faccio di questi concetti? Come trasformo queste conoscenze
teoriche della linguistica in azione didattica? Qui arriva la parte difficile e di questo vogliamo parlare. 
Da cosa dipende il cambiamento linguistico? Quando in sociolinguistica vogliamo descrivere questo
intreccio di varietà, lo facciamo isolando alcune variabili di variazione.
La prima è lo spazio geografico: la lingua cambia nello spazio geografico.
La seconda è il tempo, le condizioni socioeconomiche, la situazione comunicativa quindi il livello di
formalità, il mezzo. 
Tempo: è ambito in modo specifico per le singole lingue per la storia della lingua italiana; 
spazio: campo della dialettologia -> campo dei dialetti e dell’italiano regionale;
mezzo di espressione: scritto vs parlato ma questi due sono poli di un continuum con tante tentazioni di
mezzo ad esempio parlato tra amici (nessuno ci sta valutando) ci sono dei segnali discorsivi e dei ritorni ma
se queste persone le ascoltassimo durante un esame orale sarebbe un parlato con caratteristiche diverse;
se dovrà tenere un discorso ufficiale, il parlato avrà caratteristiche ancora diverse e si muoverà
probabilmente da una traccia scritta. Viceversa, per lo scritto abbiamo lo scritto tipico, ma quando
scriviamo un whatsapp ha segni discorsivi che troviamo nel parlato. Quindi tra lo scritto prototipico e il
parlato prototipico ci sono tante casistiche diverse. -> anche questo è terreno interessante su cui lavorare.
Fattori sociali: livello di scolarizzazione, genere, età, ecc.
Situazione comunicativa: il fatto che noi non parliamo e non scriviamo allo stesso modo in tutte le
comunicazioni -> ad una domanda d’esame scriviamo in un certo modo, se scriviamo un’email ad un amico
è sempre scrittura ma abbiamo livelli di formalità diversa. I registri linguistici, quindi sono soggetti a
margini di cambiamento. Tutte queste variazioni le chiamiamo con i loro termini tecnici. 
Variazione diacronica – DIACRONIA
Variazione diatopica – DIATOPIA
Variazione diamesica – DIAMESIA
Variazione diastratica – DIASTRATIA
Variazione diafasica – DIAFASIA
Chiarita la teoria, proviamo a vedere la pratica. Vediamo in che modo la variazione nel tempo può entrare a
far parte dell’esperienza scolastica. È sconvolgente come nonostante la scuola sia un posto in cui sia facile
imbattersi in esempi di lingua diacronicamente marcati perché si leggono testi del passato, perché si
leggono testi storici, a questi non corrisponda una riflessione. Tra l’altro riflettere sulla diacronia significa
anche non necessariamente avere a che fare con testi storici, ma anche solo guardarsi attorno e scoprire
che le lingue cambiano nel tempo. Esempio di asolo -> in una fontana del centro c’è scritto “è VIETATO DI
ABBEVERARE QUADRUPEDI” è una forma linguistica del passato, perché adesso nessuno porta ad
abbeverare in centro cittadino il proprio cavallo alla fontana. Evidentemente fa riferimento ad un momento
in cui il cavallo era un mezzo di locomozione e quindi la fontana era anche il mezzo con cui si portava
l’acqua in casa. Lasciamo perdere la storia della forma in sé. Vediamo la forma: noi non diremmo mai è
vietato “di” fare qualcosa, eppure si trova molto spesso nel passato. Ad esempio, nel vecchio porto di
trieste ci sono tante scritte come queste -> è vietato di fumare perché si maneggiavano esplosivi pericolosi.
Evidentemente nel passato la reggenza ammetteva questa norma. C’è uno stacco tra norma del presente e
del passato, quindi banalmente guardandosi attorno, il bambino scopre il cambiamento nel tempo. 
Un altro esempio per capire questa variazione nel tempo è quando noi prendiamo un testo e su quel testo
facciamo un’azione didattica precisa di tipo induttivo, cioè leggiamo il testo e l’insegnante guida gli studenti
a scoprire esempi di questa variazione e a scoprire anche alla formulazione di una regola -> è un po’ il
metodo scientifico. 
Esempio -> avviso della giunta municipale della città di Milano, 16 febbraio 1862.
L’avviso affisso per le strade di Milano -> qui abbiamo un sacco di spie del cambiamento linguistico. L’uso
dello scompisciamento è diverso (adesso vuol ridere morir dal ridere); troviamo delle parole uguali a quelle
di oggi ma che hanno significato diverso. Norma grafica e ortografica: orinatoj e smaltitoj con la j-> la j
lunga sta per la doppia i, che è stata resa diversa nelle varie norme; indica un plurale. Oggi si mette solo la i.
la i circonflessa invece è stata usata dalla casa editrice einaudi. C’è un cambio di norma ortografica. C’è un
costrutto sintattico che oggi non useremmo: lo faranno osservato. Nel giro di poche righe abbiamo scoperto
tanti casi diversi del cambiamento nel tempo -> parole che sono scomparse (lo smaltitoio, la pulitezza),
parole che sono rimaste nella forma ma non nel significato (scompisciamento nell’italiano di oggi significa
morire dalle risate mentre lì significava proprio urinare) però se fossi in classe con quelli delle medie
chiederei: c’è un qualche nesso tra le due parole? Si perché in realtà scompisciarsi significa
etimologicamente ridere fino a farsi la pipì addosso, evidentemente nessuno pensa quello quando dice
questa parola. La radice pisciare è quella. In poche righe si possono vedere tanti esempi di cambiamenti
della lingua nel tempo. La bravura dell’insegnante sarà partire dal testo e guidare gli studenti a scoprire
questa variazione e a capire questi meccanismi del lessico, nella costruzione sintattica. Febbrajo-> qualche
norma ortografica sicuramente dimenticata; potrebbe essere la i consonantica. Questo però andrebbe
verificato nei testi che andavano in voga ai tempi. Però possiamo fare delle ipotesi. 
Si possono fare molte altre cose; altro esempio è quello di mettere a cfr una novella di boccaccio in
un’edizione che rispetta la sua forma originale e la traduzione di uno scrittore contemporaneo Andrea Busi
nel 2008. Mercatanti -> parola che non usiamo oggi; fondaco; nella riscrittura di Busi invece c’è una
struttura sintattica molto comprensibile, rispetta la parola fondaco e possiamo esercitarci a vedere le
corrispondenze. Si può fare ciò anche con dei testi più vicini nel tempo -> prendere delle traduzioni diverse
anche di una stessa epoca di un’opera. 
Il tempo -> ci può essere uno stacco anche di pochi anni, se noi prendiamo calvino, il marcovaldo del 1963,
possiamo vedere tracce del cambiamento nel tempo specie se teniamo conto che calvino ci tenga a
distinguere due tradizioni nella letteratura italiana: lo stile semplice di cui il principale nome è calvino e
quello più ricercato e complesso. Calvino ha uno stile semplice che non cerca le complicazioni e si propone
di scrivere in uno stile vicino alla lingua del suo tempo, in particolare marcovaldo che è un’edizione per la
scuola. Calvino in quegli anni fu anche fautore di un’antologia per la scuola non molto fortunata ->
un’antologia di testi scelti commentati per bambini della scuola media. Marcovaldo si rivolge ad un
pubblico specifico, quindi se usa qualche espressione marcata temporalmente lo fa perché gli veniva
spontaneo
Esempio diacronico -> è vietato di abbeverare quadrupedi. Fa riferimento al passato in cui il cavallo era il
mezzo di locomozione. La forma -> si trova spesso nelle forme del passato quel “di” prima dell’infinito. Nel
passato, la grammatica ammetteva questa forma. Guardandosi attorno, il bambino scopre che le norme
cambiano e cambia la lingua. L’insegnante li porta alla scoperta della regola dal passato al presente. 
Nell’avviso ci sono parole che esistono nell’italiano di oggi ma che hanno cambiato il significato. ->
scompisciamento. Nel passato, al plurale si mettevano 2 i, adesso è come se ci fossero due i, ma ne
rappresentiamo solo una. -> si tratta di un cambio ortografico. Nel giro di pochissime righe abbiamo
scoperto tanti cambiamenti della lingua: parole scomparse (lordure, pulitezza), parole che hanno cambiato
significato. Scompisciamento -> il nesso etimologico è rimasto quello: scompisciarsi dalle risate e finire per
urinare. Quindi l’insegnante si metterà di fronte al testo insieme agli studenti e li guiderà a scoprire i
meccanismi e i cambiamenti ortografici da quel giorno ad oggi. Siamo nel 1862 e siamo di fronte ad un
ambito puristico. Lui non usa giaciglio perché voleva sembrare aulico, ma perché era una parola che faceva
parte del vocabolario e che sentiva dire in quegli anni. Se voi andate a casa e dite ai vs coinquilini vado nel
mio giaciglio, loro si preoccuperebbe. Queste espressioni trovano spiegazione in uno scarto temporale. La
scuola dà pochissima importanza alla variazione linguistica nel tempo. A me stupisce parlare con
universitari che vengono dalla triennale e hanno letto la divina commedia, non sanno qual è la regola della
selezione dell’articolo il-lo in Dante. Adesso dipende se la parola inizia per vocale o consonante. 
Il luogo -> in classe non dobbiamo occuparci di dialettologia ma dobbiamo dar conto di come c’è una
variazione legata allo spazio quindi i dialetti che possono essere più o meno legati all’esperienza degli
studenti, nell’italiano regionale. Come sappiamo la situazione dell’italia è molto complessa perché è molto
frammentata. Il bambino più parla dialetti e meno è cosciente degli altri dialetti perché ha viaggiato di
meno e ha avuo meno esperienze di contatto. La scoperta della lingua che varia nello spazio è
un’esperienza che ognuno di noi si porta dentro -> ad esempio quando ha scoperto l’italiano regionale e
che ci sono altri dialetti e così via… 
Italiano regionale veneto: dirsu 
Un esempio può essere un esperimento di marketing della Nutella: manuale linguistico dell’entusiasmo.
Anni fa la nutella promosse, si trovavano mescolate forse solo da un lato delle espressioni dialettali che
venivano poi diffuse a casaccio per l’italia e c’è un libretto con tutte le parole. Le parole in dialetto o in
italiano regionale legate al campo semantico dell’entusiasmo e della gioia. Fu un esperimento serio:
divisero l’italia in 16 zone legate alla dialettologia. Forse l’obiettivo era creare una sorta di collezionismo, in
cui uno mirava ad avere tutti i dialetti della zona valdostana. Questo ci porta a conoscere le espressioni
dialettali delle altre zone. 
SPRACH UND SACHATLAS ITALIENS UND DER SUDSCHWEIZ -> un’opera scientifica, tra le più importanti del
passato, tra i sotterranei della biblioteca e adesso online. Abbiamo delle grandi cartine dell’italia (libroni
enormi) e ogni pagina è una carta geografica dell’italia, ci sono tanti punti e ogni punto ci dice come si dice
nel dialetto di quella zona attraverso la trascrizione fonetica che è un po’ difficile perché non si era ancora
formato l’alfabeto fonetico. Ad esempio, in ogni punto c’è scritto come si dice grembiule. In alcune zone
avremo delle parole simili in cui c’è qualche tratto fonetico che cambia fino ad arrivare a veri e propri
cambiamenti e ogni cambiamento è un’isoglossa -> se sovrapponiamo tante isoglosse, vedete che queste
isoglosse tendono a formare delle linee di separazione tra i dialetti settentrionali e quelli mediani, la
cosiddetta isoglossa LA SPEZIA- RIMINI. È ancora più articolata l’isoglossa che separa i dialetti mediani da
quelli meridionali che è quella ROMA-ANCONA molto netta. Qui avremo tratti che spaziano. Tutto ciò per
dire come a partire da questo si può arrivare a scoprire la varietà nello spazio. Uno dei casi dei primi a
scoprire la varietà linguistica nello spazio è stato Dante perché in una pagina del de vulgari eloquentia parte
dall’idea di girare l’italia costruendo i dialetti secondo la sua tipologia -> lui vedeva l’italia divisa dagli
Appennini. Lui osserva con stupore che trova delle persone che hanno lo stesso modo di parlare anche tra
gente che abita vicina come milanesi e veronesi, romani e fiorentini e inoltre che è accomunati
dall’appartenenza alla stessa razza come napoletani e caietani, ravennati e faentini, quindi scopre che
anche in città vicine come milano e verona o roma e firenze, come napoli e caserta ci sono delle diversità
linguistiche. Oppure ancora più stupefacente gente che vive sotto una stessa organizzazione cittadina come
i bolognesi di borgo san felice e i bolognesi di strada maggiore. Durante i soggiorni bolognesi, Dante scopre
le diversità linguistiche nella stessa città. Strada maggiore -> centro, borgo san felice è fuori dalle mura.
Evidentemente dentro le mura e fuori dalle mura c’era una differenza di un volgare. Si possono anche fare
esperienze più vicine all’esperienza dei ragazzi -> come si dice marinare la scuola nei diversi italiani
regionali? Far fughino, far sega, far filone, far vela… 
Anguria/cocomero/melone d’acqua -> geosinonimi: oggetti che non hanno uno stesso nome e su ALIQUOT
troviamo tutte queste varietà (ATLANTE DELLA LINGUA ITALIANA QUOTIDIANA). -> rappresenta gruppi
molto ampi di geosinonimi. 

Lezione 18/02

Si riprende il discorso sul rapporto che c’è tra varietà linguistica dell’italiano e insegnamento
dell’italiano. O meglio in che modo la sociolinguistica entra nell’organizzazione didattica. 
In due modi: 
-Il primo modo è legato al fatto che l’insegnante per poter muoversi in un contesto sociolinguistico
reale e di variazione, deve saper interpretare la situazione linguistica della sua classe. Quindi per
poter muoversi a partire dal retroterra linguistico di partenza dei suoi studenti, è necessario avere
una consapevolezza sociolinguistica dei suoi studenti. 
-Il secondo aspetto è che per far maturare la competenza linguistica dei propri studenti comporta
muoversi in un quadro di riferimento che è di natura sociolinguistica, quindi tener conto delle
variabilità dell’italiano.
Abbiamo incontrato alcuni aspetti legati alla variazione diacronica, cioè variazione rispetto al
tempo, poi quelli legati al luogo cioè variazione diatopica. 
L’altra volta avevamo parlato dei diversi tipi di dialetto all’interno del contesto italiano e quindi di
geosinonimi.
Oggi parleremo di repertorio degli italiani: 
in sintesi è l’insieme delle varietà di un parlante o di una comunità.
 Italiano medio (neostandard) o dell’uso comune colto
 Italiano popolare (regionale) → intriso di termini dialettali, italiano commistionato
con il dialetto 
 Dialetto italianizzato→ un dialetto che ha perso le sue caratteristiche più tipiche in
forza di un contatto indiretto con l’italiano, cioè il toscano
 Dialetto locale rustico

Nel passato il ruolo dell’insegnate aveva il compito di fare ordine sulle diverse categorie di
italiano. 
Ci sono dei modi di dire che cambiano a seconda del punto in cui ci troviamo. Questi modi di dire
sono un mix tra dialetto e italiano. Magari una traduzione dal dialetto. 
Giù al nord: 
 Mia mamma
 La Giovanna
 Quella volta sono andato... → sovraestende il passato prossimo e rinuncia ad un
tempo perfettivo
 Sono dietro a fare i compiti → influnze dialettali
 Devi telefonarmi
 Quando che vieni, compra il pane → infuenze dialettali settentrionali
 Non contarla su! → termine regionale, si capisce ma c’è una discrepanza 
 Mica sono matto
 Quella ragazza qui

In Toscana...
 Vieni te? Te non l’hai mai visto 
 Noi si va via → forma tipica della toscana
 Quella volta anadai- Non l’ho mai visto → l’uso dei tempi verbali asistemici
 Che cos’è codesto affare
 C’è diverse persone
 Vorrei che tu stassi buonino

Giù al sud...
 Hai visto a Mario? → l’accusativo relazionale o preposizionale, che è ricalcare una
struttura dialettale meridionali che formano l’accusativo con una preposizione,
solitamente “a”,  che viene ricalcata nell’italiano regionale, l’italiano di una persona
non colta, ma può essere presente anche in una persona colta che non si rende
conto in quel momento dell’influsso del dialetto. 
 Ci dissi di astare attento
 Tengo fame→ sovraestensione del “tenere” 
 Qui non ci sta niente da fare
 Mario per Roma partì
 Professo’, dove volete anda’? → certe forme di abbrevviazione 
 Che la smettesse! → si tende a sovraestendere il passato remoto
 Ti imparo l’inglese→  ti insegno
 Esco il cane→ sovraestenzione del transitivo, come uscire l’immondizia o il cane,
che trovano la loro giustificazione nell’italiano colloquiale. 

Questo è l’italiano di una persona non colta, che non ha ben chiara la distinzione tra l’italiano e il
dialetto. L’italiano però è fattto di diverse forme, molti termini dialettali sono entrati a far parte
dell’italiano standard (cassata, gianduiotto, incartamento). 
A livello scolastico l’italiano regionale non è qualcosa da eliminare, ma da educare alla
consapevolezza delle differenze. 

Concetto di errore: In linguistica pura e teorica, l’errore non esiste, perchè se il parlante ricorre ad
una struttura lingusitica, esiste di fatto ed è legitimata dal fatto che quel parlante l’ha usata. 
In linguistica esiste il concetto di “AGRAMMATICALITà” concepire una struttura linguistica che non
è conforme alle regole di costruzione di quella lingua, ma che nessuno usa. Esempio “ Il bambino
giocano”. Succede che si sbagli l’accordanza, ma si corregge subito l’errore. 
Tradizionalmente la scuola castigava l’errore, ma non è giusto, perchè la lingua di un parlante è un
repertorio di lingua. Per correggere l’errore (che non esiste), nel ruolo di insegnate si dovrebbe
parlare di INADEGUATEZZA, bisogna educare il bambino a ricollocare le varie forme linguistiche.
Soprattutto da insegnante non bisogna dare un giudizio morale, di inadeguatezza morale, bisogna
semplicemente educare i bambini a saper collocare le varietà linguistica e saper distinguere tra un
termine regionale e l’italiano corretto. 

Per chiudere il discorso sul dialetto, la scuola si trova di fronte a varie strategie, bisogna scegliere
in base alla conoscenza degli studenti. Nel libro di grammatica, c’è  la sezione dedicata al lavoro sul
dialetto. 

LA SCOLARIZZAZIONE: 
Variazione legata a variazione di natura sociale, cioè socio-economico.

L’italiano popolare→Italiano parlato dalle persone non colte, quindi livello di scolarizzazione, in
questi casi la confusione tra dialetto e italiano è alla base: 
o A me mi piace → ridondanza prenominale, a volte gli errori venivano
categorizzati in base al gusto 
o ... andai a scuola che mi ci aveva accompagnato mio padre 
o C’è qualcuno che dicono 
o A Marco ci ho detto 
o L’aradio→ scorrette divisione di confini di parole. Questa grafia è legata
alla trascrizione di una persona che ha solo sentito oralmente questa
parola. 
Quando si esaminano i foresterismi entrati nell’italiano dall’arabo come “arancia”,  si può notare
che la grafia corrisponde a come veniva pronunciata la parola, non si conosce il confine tra
l’articolo e il nome. 

Un caso didattico di come si può portare l’italiano dei semicolti a scuola: La pedagogia linguistica
tradizionale si è sempre mossa da questo assunto, assunto che l’italiano si impara solo attraverso
l’imitazione di modelli di lingua corretta, quindi imparo l’italiano se leggo periodicamente buoni
modelli di lingua italiana. Questo modello non ha mai funzionato, ma la realtà è abbastanza
complessa, portare l’italiano dei semicolti in classe, vuol dire sovvertire questo modello. Si impara
anche attraverso i modelli di ”””””cattiva””””” lingua, di lingua non aderente ad un modello
estetico. 

Il semicolto commette gli stessi errori di un apprendente, si mette a fuoco l’interferenza del
dialetto. 
L’italiano dei semicolti è un evento come dire storico, perchè l’italiano semicolto veniva utilizzato
magari da chi andava in guerra, dai soldati lontani da casa che voleva mandare una lettera a casa. 
Il caso più celebre dell’italiano dei semicolti è usato dai soldati italiani durante la 1WW, oppure i
mercanti che dovevano usare una lingua sovralocale come il toscano, quindi provavano a scrivere
in italiano. 
Altro caso interessante sono le lettere di emigranti della Valle Imagna (Bergamo) in Svizzera.

1.Esempio visto in classe Mario Lodesani: http://studia-r-te.blogspot.com/2015/05/il-manoscritto-


del-soldato-mario.html → una riflessione storica, sul dialetto, sul registro. In classe si potrebbe in
termini didattici → trascrivere il diario, le lettere dei semicolti. Analizzare i termini usati, chiedersi
il perchè di quel errore. 

2.Lettere a Gigliola Cinquetti→ GC era la Fedez degli anni ’50, ha conservato lettere dei suoi fans
che scrivevano in italiano semicolto. 
Osservazioni: scarso rapporto con il testo scritto, non vi è deissi, non c’è rapporto tra scrittura e
oralità. 

“Ci siamo spiegati?” → tipica dell’orale per verificare la recezione 


Finale di parola mangiato: e o i? → genitore/i
Problema di confine di parola : venè servite

Il GENERE: 
Quando parliamo di lingua e genere:
1.  Sessismo linguistico, per esempio il plurale maschile usato per adress una platea
mista→ cari studenti
Morfologicamente viene accettato “infermiera”, ma non “ingegnera”, il problema
sta nella testa delle persone e non nella grammatica.
2. Chiedersi se la variabile genere, se questa condiziona l’uso linguistico. Molti si
chiedono se esiste una differenza tra l’italiano maschile e l’italiano feminile.
  Monica Beretta morta precocemente ci delucida sulla questione: 
Due esempi: 

Il primo esempio è una descrizione fatta da un uomo e la seconda da una donna, al di
là dello stereotipo di genere, troviamo una verità. 

Per quanto riguarda l’esempio dell’italiano femminile: 


 Lessico: eufemismi, iperboli, modificatori, diminutivi e appellativi affettuosi,
meno disfemismi e tecnicismi
 Testualità: orientamento interazionale e interpersonale (dicco che la casa è
brutta però mi scuso subito dopo), marche di cortesia e formule di
esitazione/attenuazione. 

L’Età:  Cioè l’influenza dell’età  nella lingua, in particolare l’uso dell’italiano da parte dei giovani in
un contesto informale(che chiameremo “l’italiano giovanile”). L’italiano giovanile è stato descritto
come una serie di stratti: 

 Base di italiano colloquiale informale 


 Strato dialettale→ ricorso al dialetto anche se italofoni, per rendere più
espressivo il discorso
 Strato gergale tradizionale →parole che accomunano tutti i gruppi giovanili
 Strato gergale innovante → parole coniate da un gruppo di amici, che hanno
senso solo all’interno di quel gruppo, questo è un intento identitario, per
rendere più coeso il gruppo. 
 Strato derivante da pubblicità e mass media → importante negli anni ’90,
molte parole prese da alcuni trasmessioni o tormentoni pubblicitari , tipo “
Drive in”, creavano tormentoni che ancora oggi sono presenti, per esempio
“ Squinzia”
Esempio: scialla

Cosa può fare la scuola per introdurre l’italiano giovanile? Portare alcune letture di italiano
giovanile.

Deve essere una riflessione su una realtà che è già esistente, non bisogna prenderlo in
considerazione come modello da seguire, semplicemente insegnare la consapevolezza di avere più
varianti differenti. 

Lezione 19/02  Lezione tenuta da Maria Celeste Auci 


I registri linguistici nel repertorio delle varietà dell’italiano

Italiano dei semicolti


Tommaso Bordonaro, siciliano emigrato negli Stati Uniti, ritornato da anziano in Italia, scrisse “La
spartenza” nel 1991, intrisa di italiano popolare e regionale. Al suo interno contiene un glossario
creato da Gianfranco Folena (storico della lingua italiana e filologo della lingua romanza). Altro
caso è quello di Clelia Marchi, contadina mantovana che decide di scrivere la propria
autobiografia ed usa come supporto un lenzuolo matrimoniale, scritto e decorato con foto e segni
religiosi, il quale poi diventerà un libro e sarà pubblicato nel 1992 dal titolo “Gnanca na busia”. Il
libro racconta, in presa diretta, fatti di vita di una persona che non ha fatto studi, che non ha una
padronanza del mezzo scritto, un italiano lacunoso dal punto di vista scolastico ma molto
espressivo e comunicativo, pieno di molti errori di ortografia interferenze dialettali di segnali
discorsivi tipici dell’italiano dei semicolti. Oggi è conservato nell’archivio dei diari di Pieve Santo
Stefano, un’istituzione comunale che ha creato un archivio molto importante per chi studia questi
fenomeni di italiano regionale, popolare anche in termini storici, in cui raccolgono, studiano e
mettono a disposizione diari di persone famose. Può entrare nell’esperienza scolastica non in
maniera sistematica ma leggere dei passi dal punto di vista contenutistico è qualcosa davvero
importante per parlare ad esempio dell'emigrazione italiana o dell’opera di Bordonaro che racconta
proprio la sua esperienza da emigrante, o di quella della Marchi per discutere del genere
autobiografico o diaristico. Dal punto di vista degli errori, può essere un modello di spunto
negativo, un banco di riflessione molto interessante sull’ingresso della regionalità, sui problemi nel
dominio del mezzo scritto.
Link: https://www.zanichelli.it/chi-siamo/obiettivo-dieci-in-parita 
Laureata italianistica collabora con una casa editrice su problemi legati al sessismo linguistico nei
libri di testo, come evitare gli stereotipi, come rappresentare in modo paritario i generi ed il
contributo di tutti i generi del sapere (nel sussidiario delle elementari possiamo leggere che la
mamma sta a casa che stira e lava i panni e il papà seduto a leggere il giornale). È dunque
presente il sessismo nei contenuti ma poi c’è tutto il corrispondente linguistico in senso stretto,
evidenziare come il sessismo non sia lontano dalla scuola, il tema esiste ed esistono diverse
modalità e approcci.

Registri di Berruto che emergono dal continuum:


 aulico formale
 burocratico
 scientifico
 “normale”
 colloquiale
 giovanile
Berruto: fa un esempio di registri dal punto di vista soprattutto lessicale, immaginando lo spazio
della variazione diafasica come uno spazio fisico, metafora, spazio in cui una specie di asse (3
assi). Asse della solennità, diagonale, dal più solenne al meno solenne, dal più solenne al volgare,
un’asse orizzontale che va dal formale all’informale e un’asse dall’eufemistico al disfemistico
(parolaccia, parlare con perifrasi o dire le cose in maniera chiara). Quindi rappresentando un punto
di questo spazio è come se intercettassimo queste 3 dimensioni (della formalità, della solennità e
dell’eufemismo).
Berruto prende il verbo morire e di questa parola dà tutti i sinonimi collocandoli in questi spazi. Se
noi rappresentiamo tutti i modi di dire morire, sono sinonimi molto diversi tra di loro perché
chiaramente spirare, lasciarci le penne e rendere l’anima a Dio esprimono lo stesso concetto ma il
registro linguistico con cui lo esprimono è differente. 
Dati tanti sinonimi li possiamo rappresentare in questo spazio diafasico. La scuola insiste sulla
sinonimia, in effetti si commettono molti errori diseducativi, si pensa cioè che tutti i sinonimi siano
tutti uguali ma in linguistica non esiste la sinonimia ma la quasi sinonimia perché le parole possono
esprimere lo stesso concetto ma delle caratteristiche possono divergere, ad esempio decedere e
morire sono sinonimi ma il livello di formalità non è lo stesso, infatti, in alcuni concetti non si
possono intercambiare. 
Come proporre in classe un'attività di questo genere? Risulterebbe molto complessa, ma si può
fare in gruppo con cui si deve discutere, collocare e rappresentare linguisticamente il sinonimo.
Anche con alunni stranieri potrebbe funzionare? Potrebbe funzionare se i parlanti vengono inseriti
in gruppi diversi con parlanti nativi che avranno il compito anche di giustificare le loro scelte nella
compilazione dello schema (perché quel termine è formale, perché è solenne?). Oppure si può
optare ad inserire i parlanti stranieri nello stesso gruppo, facendo un lavoro tra pari, cercando su
internet o interrogando dei parenti e cercare di collocare le parole anche solo nei parametri di
formalità e informalità, toccherà a ciascuno valutare le casistiche. 
es. anziano, vecchio (disfemismo) persona di terza età (eufemismo). Tutto è relativo anche alla
situazione comunicativa, se uso fossile non lo uso come sinonimo ma ricorro ad un’immagine del
fossile per essere quasi offensivo; vegliardo, ad esempio, è solenne vicino ad avo.
es. con bello o brutto, in classe, possono emergere parolacce, arrivando anche al body shaming
ed in tal modo si può parlare di educazione civica.

La scuola spesso dà poca importanza ai sinonimi e non insegna come utilizzarli, i bambini
utilizzano i sinonimi prendendoli da semplici liste, da cui pescano delle parole e se ne sceglie una
a caso.
Portare in aula questi problemi richiede molta inventiva e capacità, non tanto di spiegare il concetto
ma l’approccio alla lingua, di dare una competenza, quindi si deve fare spesso l’esercizio in cui
formalizzo alcuni modi di ragionare e do degli strumenti per poi collocare i sinonimi in uno spazio a
più riprese.

Altro modo di lavorare sulla variazione diafasica (con i fumetti)


Obiettivo: far capire i registri ai ragazzi con un fumetto.
Attività: attraverso il fumetto, creato anche dal ragazzo, gli veniva chiesto di rappresentare due
situazioni che avevano lo stesso obiettivo:
-Marco si presenta ai suoi compagni di classe 
-Marco si presenta al preside
Dunque, si applica l’utilizzo di due registri diversi. Anche gli errori possono essere commentati.
L’idea di far fare un fumetto senza tecnologia risulterebbe impossibile, infatti se dovessi far
disegnare un fumetto si impiegherebbe molto tempo perché molti non hanno la capacità di
disegnare ed occorre un progetto più ampio. Ciò che interessa è la situazione della vignetta,
situazione formale e informale, si perderebbe solo tempo per la pianificazione, nel disegno e a
scrivere le parole.
Ciò diventa un modo per lavorare sulla transmedialità, importante nella nostra cultura dove le
cose passano da un mezzo all’altro quindi imparare a travasare in mezzi diversi. Si può
trasformare un racconto in fumetto anche con la presenza di discorsi diretti o indiretti.

La persona che ha scritto il saggio ha lavorato in un contesto professionale molto difficile, una
classe difficile, con studenti che non sanno scrivere o esprimere e che non sanno creare dei
dialoghi. L’insegnante non riconosceva le sue classi, l’esercizio in una classe ha funzionato come
catalizzatore per la motivazione. In effetti agganciandosi sulla motivazione si è scoperto che le
competenze c’erano, gli studenti vogliono sapere cosa hanno sbagliato e come possono rifarlo.
Trovare la chiave di motivazione è molto importante e deve essere una chiave di motivazione non
fine a sé stessa, lo scopo non è far sì che l’ora sia divertente ma principalmente deve stimolare lo
studente con esercizi motivanti e se serve anche divertente (filtro affettivo funziona bene e dunque
studente motivato ad imparare) ma poi devono entrare in gioco le competenze linguistiche.

Come i libri di testo portano questi esercizi: FRANCESCO SABATINI, Sistema e testo. Dalla
grammatica valenziale all’esperienza dei testi. (per il biennio delle superiori)
Fa comprendere con uno schema come lo stesso concetto, di spegnere la televisione, in diverse
situazioni è reso in modo diverso.
Questo esercizio lo posso adattare anche semplificandolo:
es. 1 si danno un concetto e 3 frasi. L’esercizio non è solo sul lessico ma è più frasale, più
sintattico.
es. 2 altro esercizio da poter fare è selezionare i 3 livelli di cortesia, disporre in ordine le frasi dalla
meno cortese alla più cortese. Bisogna insegnare la cortesia linguistica, un adolescente può
essere scortese, maleducato linguisticamente perché magari non sa gestire correttamente i mezzi
di espressione della cortesia.
es. 3 resa degli allocutivi, si può impostare come ricerca per tutti i gradi di istruzione. Una sorta di
sociolinguistica storica. (dare del tu o del lei).
In Italia entra anche il voi (vossia siciliano).
                                   
Il mezzo di espressione, la variazione diamesica:

Citazione dal Fedro di Platone: scrittura inventata da Zeus, e il faraone Thamus lo critica dicendo
che la scrittura farà scomparire la capacità di memoria dell’uomo, se io una cosa l’ho scritta non la
conosco e quindi c’è una percezione di sapienza e non una reale sapienza.
La scuola deve confrontarsi con il parlato, con la scarsa pianificazione e pochi feedback rispetto
che in presenza. Il parlato è sincrono, avviene in presenza, il momento dell’enunciazione e della
fruizione coincidono rispetto alla fase di lettura che avviene in un momento diverso dalla scrittura.
Non c’è interazione nella scrittura. L’orale non si può pianificare mentre lo scritto si, ed ho la
possibilità di pensare quello che voglio dire e di organizzarlo secondo uno schema preciso.
L’ancoraggio al contesto e il tipo di risorse linguistiche a cui si attinge sono diverse, parlando
utilizziamo parole più semplici e frequenti; nello scritto tendiamo ad utilizzare parole più ricercate.
Lessico generico nel parlato, più specifico nello scritto, nel parlato diluiamo il contenuto e si
ripetono molte volte i concetti ed è fisiologico al mezzo. La lingua parlata ricorre con più frequenza
a parole grammaticali rispetto alla lingua scritta, vado dritto al punto. Il parlato è un processo, la
scrittura è un prodotto (Halliday)
Per fare una buona didattica della scrittura bisogna invece insistere sulla scrittura come processo.

Esistono tanti casi che non sono né scritto né parlato prototipico:


Aldo Nove (anni ‘90, letteratura di rottura dalla scrittura scolastica, dalla tradizione letteraria
italiana). Scritto o parlato?
È scritto così per una finalità estetica, sembra un flusso di coscienza che batte la distinzione tra
discorso diretto e indiretto. Testo scritto ancorato alla deissi “io qua sono venuto”; dei segnali
discorsivi “così”. È una scelta precisa, polemica e voluta di uno stile narrativo, scritto non

prototipico.
Scritto molto vicino al parlato è anche la lettera di un soldato della Prima Guerra Mondiale
contenuta ne “Lettere di prigionieri di guerra” di Leo Spitzer.

Altro esempio è il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica, è un parlato ma per nulla
prototipico, non ha molte caratteristiche tipiche del parlato perché si basa sul testo scritto, è uno
scritto per essere parlato e molto formale.

Linea di Nencioni, il continuum scritto/parlato:


Post di Facebook (al centro della linea) è scritto ma ha molte caratteristiche del parlato, presenza
di segnali discorsivi, anche nei messaggi su WhatsApp c’è una forte presenza di molti elementi
dell’oralità.

.
Esempio molto efficace di lavoro scolastico su questo argomento: prendere un testo orale,
trascriverlo, una semplice trascrizione non scientifica e neanche fonetica, inserendo le pause che
troviamo. Nello scritto ci sembrerebbe un disastro: reggenze che non funzionano, concordanze
soggetto/verbo scorrette, periodi che non finiscono che fanno parte del parlato. Il lavoro che si può
svolgere è dunque quello di cercare di rendere il parlato un testo scritto e correggerlo. Lo posso
fare a tutti i livelli, se fossi un insegnante di scuola media lo farei con un’interrogazione: registro
uno studente che espone un certo argomento e si prova a vedere il testo espositivo orale ed il
testo espositivo scritto (manuale che tutti studiano). Si passa da un’esposizione scritta al creare un
proprio dispositivo orale, far emergere le differenze tra parlato e scritto e viceversa è un lavoro
molto interessante da svolgere per tutti i gradi d’istruzione.
Lezione 23/02

Il progetto XCeling si basa sull’aggiornamento degli insegnanti di lingua attraverso scambi reciproci
e in particolare scambi di studenti di dottorato/post-lauream egiziani a Bologna o a momenti di
insegnamento in Egitto. All’interno del progetto è stata creata un’app, 7ling, progettata ad hoc per
migranti che costruisce attività didattiche intorno ad attività quotidiane (cercare casa, andare dal
dottore) ed è rivolta specificatamente agli arabofoni. C’è anche la parte dedicata all’inglese,
francese, spagnolo…in un’ottica di multilinguismo dove l’arabo funge da lingua veicolare.

Nell’università egiziana l’italiano è insegnato all’interno di un corso di laurea quadriennale in lingua


e cultura italiana e di traduzione dall’arabo all’italiano e viceversa, e i numeri degli studenti sono
molto grandi, quasi 200 nell’università di Minia (?). Poi l’italiano è insegnato anche come L2 e qui i
numeri sono intorno ai 50 iscritti per il primo anno, poi ci sono gli studenti che studiano l’italiano
come L2 nella facoltà del turismo (quest’anno vi sono stati 350 iscritti, e dal primo al quarto anno
gli studenti sono più di mille). Tornando al corso di laurea quadriennale, gli studenti al termine del
primo anno raggiungono il livello A2, studiamo grammatica, conversazione, letture e testi letterari
semplificati. Al secondo anno raggiungono il B2 finendo la grammatica e approfondendo la cultura
e iniziando lo studio della letteratura (il Trecento), e iniziano la traduzione partendo dagli articoli di
giornale. Al terzo anno viene inserita l’analisi logica, del periodo, la formazione delle parole, testi
letterari dal ‘400 al ‘800, poi traducono testi scientifici, economici, giuridici. Al quarto anno studiano
la storia della lingua italiana, letteratura del ‘900, testi contemporanei e iniziano a tradurre testi
letterari. Finiti questi quattro anno possono proseguire con un Masters Degree o con un dottorato
di ricerca. L’insegnamento dell’italiano nelle università egiziane è un fenomeno recente, e da poco
si insegna anche nella scuola secondaria.

L’insegnamento dell’italiano ad arabofoni

La glottodidattica è una scienza pratica, quindi va a cercare soluzioni non solo problemi. C’è stato
un periodo in cui veniva messa al centro del percorso didattico la lingua in quanto oggetto di
studio. E quindi la didattica stessa, le metodologie, gli approcci erano tutti indirizzati a mettere in
rilievo la lingua, a cercare di spiegarla e descriverla, a creare di esercizi per imparare nel migliore
dei modi. Però questa scelta nel tempo non si è rivelata efficace come ci si aspettava, e anche
perché poi sono stati fatti degli studi di psicolinguistica e scienze affini che hanno portato a porre
più attenzione sul discente, la persona che apprende. Quindi vi è stato questo momento in cui il
discente è stato messo al centro dell’attenzione e quindi ruotava molto di più l’interesse sul
discente stesso, le sue motivazioni di apprendimento, cercando di capire le sue difficoltà in
rapporto anche con la lingua target, e sono emerse numerose teorie come quella del filtro affettivo:
si ricercavano in generale elementi che potessero in qualche maniera compromettere o meno il
successo del percorso e il raggiungimento degli obiettivi, a partire proprio dal cercare di capire
meglio il ruolo del discente in tutto questo. Poi si è superata questa fase senza eliminare il
passato, ma ponendo l’attenzione maggiormente non tanto su un solo aspetto (discente, repertorio
linguistico) ma su un discorso di relazioni. Non è tanto il chi o il che cosa ma questa rete di
relazioni che si intrecciano che sono importanti da affrontare, una rete di relazioni complessa
perché entra in gioco il discente con tutto quello che comporta, il repertorio linguistico d’arrivo che
poi diventa l’obiettivo, ma anche il docente e l’ambiente di apprendimento che interagiscono in
questo sistema di relazioni, e quindi si è aperta di più la prospettiva su un discorso maggiormente
complesso che ha bisogno di studi specifici e di insegnanti maggiormente preparati.
 

Il punto di vista del discente

Il discente, magari inconsapevolmente, introietta in sé stesso frammenti di una conoscenza e


anche delle attese che riguardano l’universo sia culturale che linguistico di apprendimento: questo
significa che ognuno quando si approccia a una lingua (di quella lingua è il precipitato) si è già fatto
un’idea, e non necessariamente ne è consapevole, ma alcune informazioni che può aver acquisito
o alcune esperienze che può aver fatto o esperienze dirette/indirette (social) fatte hanno messo
all’interno dello studente un universo di immagini, pregiudizi e preconcetti (che in questa sede non
sono portatori di un giudizio di valore ma termini descrittivi di un fenomeno), perché ognuno di noi
si crea una sua idea e può aver avuto delle percezioni/sensazioni rispetto a informazioni che ha
ricevuto, esperienze che ha fatto. Tutto questo non può essere trascurato. Questo può infatti
influire sull’efficacia del percorso perché nel momento in cui mi creo delle attese e queste vengono
disattese allora succede qualcosa in termini del rapporto che ho verso quella lingua che ho deciso
di studiare. Esempio della relatrice: lei si è approcciata all’inglese come principiante in età adulta,
alla prima lezione l’insegnante le ha chiesto di leggere un testo, lei lo ha fatto in base alla sua
esperienza relativa alle canzoni americane che ascoltava poiché, appunto, era principiante
assoluta; l’insegnante ha di conseguenza commentato che la performance non era buona e la sua
pronuncia troppo americana, questo ha fatto sì che si creasse in lei un forte filtro affettivo che le ha
causato forti difficoltà nell’apprendimento dell’inglese soprattutto per la produzione orale. Non
possiamo partire, imbastire un corso, senza tenere in considerazione l’esperienza, chi è il nostro
discente, cosa ci porta e come metterlo in relazione con noi e con la lingua.

Come possiamo far emergere le visioni e le attese degli studenti? Un’attività possibile è prendere
la cartina muta dell’Italia e proponiamo ai nostri studenti di riempirla di immagini, parole, liberi di
interpretare questo compito in base a come sono fatti loro. Ci sarà chi preferirà scrivere, colorare o
incollare immagini, o altre cose ancora che noi non immaginiamo. Con questo esercizio emerge la
visione dello studente, le sue conoscenze, le sue aspettative, le sue esperienze i contatti che ha
avuto rispetto all’Italia…questo primo impatto aiuterà tutti a entrare in relazione in maniera molto
più profonda, e aiuterà ad abbattere le barriere tra il docente e la classe di apprendimento.
Riusciremo a creare le condizioni per cui l’ambiente di apprendimento sia cucito sugli studenti, non
un qualcosa di standard e anonimo, questo perché dobbiamo lavorare sul qui e ora, sui nostri
studenti di quel momento.

Il repertorio linguistico di origine del discente è importante. Un tempo si parlava molto di L1 o L2


ma questa visione è stata superata perché la L1 non esiste: si parla infatti di repertorio
linguistico perché ogni mio studente ha fatto già un percorso in cui è entrato in contatto con
diverse lingue. Questo significa che io ho di mio la lingua con la quale sono nato (della famiglia
possiamo dire), a questa si è unita la lingua colloquiale che può differire da quella famigliare, poi
c’è quella della scuola che magari è accompagnata da una lingua straniera. Poi però tra queste
lingue si insinua un dialetto vero e proprio che dipende da dove vivo e abito, che può non essere lo
stesso a quello degli altri. Nel momento in cui vado a creare una relazione con una lingua diversa
tutto il mio repertorio linguistico entra in gioco: che cos’è che diventa punto di forza? Il fatto che
questo crea in me una consapevolezza metalinguistica, di cui magari non sono totalmente
consapevole e allora entra in gioco il docente che deve aiutare ad acquisire questa
consapevolezza, questa capacità di riflettere sulle lingue. Poi, sicuramente, ho una conoscenza dei
meccanismi e funzioni comunicative, mi aspetto che in certe situazioni succedano a livello
comunicativo certe cose. Sono tutte cose che fanno parte del nostro patrimonio linguistico
comunicativo e partendo da questo dobbiamo capire se ci sono e come ci sono queste funzioni
nell’altra lingua. Comunque sia, già abbiamo un “tappeto” su cui far attecchire queste cose e
abbiamo la capacità di condurre operazioni logiche di analisi, perché anche se non siamo dei
grammatici sicuramente c’è stata un’occasione in cui abbiamo iniziato a fare dei ragionamenti
comparando le cose, e ci siamo accorti che probabilmente quando uso il dialetto la cosa funziona
così, quando uso la lingua formale quella stessa cosa funziona diversamente: uso parole diverse e
la sintassi si costruisce diversamente. Tutto questo ci viene in aiuto nell’imparare una nuova
lingua.

Un’attività utile di ricognizione rispetto a tutto questo è un’attività che è stata elaborata e utilizzata
da chi oggi si occupa di translanguaging: una sagoma vuota, più anonima possibile, poi si da
indicazione agli studenti di colorare la sagoma creando prima una legenda di colori personale (non
diamo indicazioni su questo, lasciamo apertura), ad ogni colore attribuisce una lingua che può
essere anche un dialetto, liberamente: indica quante lingue mi abitano in base all’esperienza
personale. Poi i colori vanno inseriti in zone diverse della sagoma a seconda della carica simbolica
che si vuole dare a quella zona del corpo rispetto a quella lingua. È interessante vedere cosa viene
collocato sulla testa, sulle mani (simboli del fare) e vicino al cuore, e tutto questo da informazioni
importantissime sugli studenti.

Questi dati provengono da degli studenti universitari di italiano in Giordania. Interessante è il dato
per cui gli studenti non manifestano problemi nella direzione della scrittura/lettura che invece sono
riscontrabili nei bambini arabofoni: spesso attraversano infatti un periodo di confusione per cui non
sapendo in che direzione scrivere iniziano i quaderni dal centro, perché fanno fatica a riorientare la

scrittura e l’utilizzo dello spazio.

 Un aiuto dall’analisi degli errori

È utile distinguere gli errori evolutivi rispetto a quelli interlinguistici come espone il seguente
schema del 1985. Dobbiamo considerare che possa essere il repertorio linguistico di partenza e
quello di arrivo, L1 l’italiano e L2 la seconda lingua.

Errori intralinguistici sono errori che si possono trovare tra quelli di tipo evolutivo, ad esempio
sono gli errori che possono fare i bambini quando vanno a scuola soprattutto al passaggio
dall’oralità alla scrittura. Ad esempio, l’uso scorretto della lettera h, l’omissione dell’accento…
questo vuol dire che se il nostro studente è straniero e sta facendo questi errori sono errori che
fanno anche i bambini italiani, sono quindi errori evolutivi e quindi prima o poi si riesce a
correggerli: vengono superati, sono evolutivi, sono parte di un percorso che può portare alla
correttezza senza grandissimi problemi.

Mentre gli errori interlinguistici sono errori che emergono solo durante la formazione
dell’interlingua: nel contatto fra lingue diverse si formano questi errori che gli italofoni non
farebbero. Ad esempio, l’uso errato delle preposizioni, cosa che può capitare negli italofoni ma in
cui le occorrenze di questi errori non sono poi così evidenti mentre negli stranieri nella formazione
dell’interlingua se ne sentono di tutti i colori e questo è un problema che sorge nel contatto tra le
due lingue. Altro problema sono le concordanze: nella frase “io mangia ieri” è messo molto in
evidenza il pronome personale “io” perché così lo straniero è sicuro di far capire di chi sta parlando
nel caso sbagli la desinenza, cosa che un italofono però non sottolineerebbe.  Bisogna anche
considerare eventualmente che vi possano essere difficoltà di apprendimento vere e proprie e
allora si apre proprio un settore dei bisogni educativi speciali, dove però una cosa che è molto
interessante è che almeno dal punto di vista dei suoni si ritrovano degli errori che somigliano molto
a degli errori riscontrati nell’interlingua. Questi sono eventualmente causati da dei deficit, non
necessariamente di tipo cognitivo ma dovuti al fatto che abituati a usare suoni in un determinato
modo quando incontriamo un nuovo suono non siamo in grado né di percepirlo né di riprodurlo. In
questo senso è stato molto interessante lo studio di Tomatis, che ha studiato i suoni delle lingue e
li ha schematizzati usando gli Hertz e facendo vedere come le onde sonore cambiano nelle diverse
lingue. Ha comparato i diversi spettri e si vede chiaramente come le lingue slave abbiano uno
spettro acustico molto più ampio, perciò quando incontrano altre lingue le persone slave agiscono
per sottrazione: hanno uno spettro ampio perciò devono solamente rifocalizzare in base a quello
già sanno contrariamente dalle altre lingue che vanno ad aggiungere. Quando noi siamo posti di
fronte a suoni nuovi succede che la nostra capacità di percepire quel suono dobbiamo fare un
grosso sforzo, questo perché sin da quando nasciamo noi percepiamo e abituiamo il nostro
orecchio a sentire suoni di un certo tipo. Il nostro orecchio che avrebbe la capacità di sentire più
suoni si atrofizza e abitua a certe sollecitazioni. Quando arriva il suono nuovo quindi dobbiamo fare
uno sforzo molto grande per riuscire a percepire come suona quella cosa, se non riesco a farlo
non riuscirò a riprodurlo. Tomatis infatti creò una sorta di orecchio meccanico in grado di ridare
all’orecchio la capacità di distinguere una gamma di suoni molto più ampia, questo orecchio venne
tra l’altro applicato alla lirica dove i cantanti dovevano riprodurre bei suoni in altre lingue senza fare
grossa fatica. Tutto questo porta a pensare al perché per gli arabofoni sia così difficile distinguere
tra alcuni suoni e poterli riprodurre correttamente, ad esempio c’è lo scambio consonantico tra b/b,
f/v e s/z, così come c’è lo scambio vocalico tra e/i. tutto questo ci aiuta a indirizzare la nostra
attenzione verso per fare un lavoro specifico su questo perché dobbiamo far lavorare gli studenti
su un’abilità da recuperare, e ci sono delle motivazioni anche proprio fisiologiche per cui questa
cosa è molto difficile da superare.

Quando si tratta di interferenza? Quando il repertorio linguistico di partenza mi porta ad avere


veramente delle criticità? Quali sono le criticità su cui soffermarsi? Lo possiamo capire quando le
occorrenze di questi errori sono talmente frequenti ed evidenti anche negli adulti, quando
avrebbero potuto correggere gli errori di tipo evolutivo, e si tratta proprio del frutto dei due repertori
linguistici che entrano in contatto tra loro. E quindi:

·        L’ipodifferenziazione di fonemi (e/i e p/b sono i più problematici per alcuni paesi arabi come
l’Egitto dove non c’è stato una forte influenza della lingua francese, mentre in paesi come
Tunisia e Marocco fanno meno difficoltà con p/b, mentre lo scambio vocalico e/i è l’errore
principe degli arabofoni).

·        Poi c’è il posticipo dell’acquisizione dell’articolo indeterminativo rispetto a quello


determinativo, si dice posticipo perché si è visto che nelle fasi di sviluppo dell’interlingua si
è visto in generale che per tutti gli stranieri ci sono delle fasi di acquisizione e
generalmente l’articolo indeterminativo viene imparato con più facilità e prima dell’articolo
determinativo, invece da alcuni studi e dati raccolti che l’acquisizione dell’articolo
determinativo viene posticipato negli arabofoni: sarà la motivazione all’interno del concetto
di determinatezza e indeterminatezza all’interno della lingua araba? Per determinare e
usare un articolo per determinare è una cosa forse di più facile incontro nei due sistemi
linguistici mentre il fatto di usare un articolo anche per indeterminare lo è di meno perché
in arabo non si usa, quindi questo fatto può determinare un ritardo nell’acquisizione.

·        Poi vi è l’omissione delle vocali: la lingua araba si basa su uno scheletro di consonanti e le
vocali brevi sono accessori, non fanno parte della struttura portante della parola, possono
non essere scritte, e questo è un qualcosa che può condizionare l’apprendimento sillabico
della lingua italiana. In arabo comunque un determinato numero di sillabe esiste e sono
relativamente semplici (c+v o c+v+c ma non sono più complicate di così), però questo fatto
che la sillaba come suono sia un qualcosa di conosciuto non viene riflessa nello scritto,
perché la parola non viene scritta pensando che è un insieme di sillabe ma viene scritta
pensando a una struttura consonantica, e questo è un fatto che va a creare in qualche
modo un attrito nella scrittura dell’italiano (esempi, frtello, srpresa, apsisce). Nei dialetti
capita che all’inizio parola ci sia un indebolimento del suono vocalico iniziale che quasi
sparisce, e iniziano con suoni più consonantici e l’enfasi va sulla parte tonica della parola
mentre la parte pre-tonica va a sparire, questo si riflette nella resa dell’italiano.

·        Epentesi/anaptissi: inserisco un suono vocalico prima, per esempio, delle consonanti o in


mezzo alle consonanti. Questo fenomeno è stato individuato dalla relatrice in maniera
particolare negli arabofoni, per cui storia difficilmente viene scritta così come tale ma viene
scritta istoria (calco di suoni familiari) oppure sotoria come se ci fosse la necessità di
rendere più eufonico questo tipo di suono. Questo succede anche con altre iniziali di
parola, come primo che diventa pirimo, o problema riportata come poroblema (se la p
viene pronunciata bene, sennò diventano birimo o boroblema).

·        Omissione della copula nella frase nominale: questo fatto dell’utilizzo del verbo essere in
questo modo particolare diventa anche questo un punto critico

·        Omissione di che nelle frasi relative perché viene interpretata la frase relativa come una
relativa attributiva dove può non essere necessario utilizzare il “che”, oppure nelle frasi
relative dove viene costruito una sorta di pronome ritornante come “mio fratello che il suo
libro”.
Sono tutte ipotesi da indagare ulteriormente ma sono tutte ipotesi molto più frequenti in arabofoni.
Come intervenire su tutto questo? Le proposte glottodidattiche sono due: si può agire o sul fronte
dello studente e lavorare in modo molto mirato e preciso sugli aspetti della metacognizione e
quindi far affiorare sempre più una consapevolezza (carta spendibile maggiormente con gli adulti
piuttosto che con i bambini), ovvero si può attuare una riflessione metalinguistica comparativa che
però deve partire non dal noi che illustriamo le cose ma dal fare arrivare loro a fare questo tipo di
esercizio, a partire dal sé. Io cerco di capire come funzionano le cose, cerco di capire prima come
funziona la mia lingua anche con l’aiuto del dialetto che magari può avere un meccanismo molto
più vicino all’italiano rispetto all’arabo standard, e quindi faccio questo tipo di riflessione, parto dalla
consapevolezza della mia lingua, e poi vado a cercare come questa cosa può essere resa
nell’altra lingua. E più che insegnare una grammatica descrittiva, una grammatica che mi dice
come funzionano le cose, a livello di “questo si chiama così” etc devo insegnare la funzione, quindi
una grammatica più di tipo funzionale. È inutile che dica allo studente arabofono questo è un
nome, questo è un aggettivo, quando magari in arabo l’idea di aggettivo non l’abbiamo nello stesso
modo perché le categorie dell’arabo vedono il nome che è una categoria molto più ampia della
nostra e l’aggettivo fa parte della categoria del nome. Non ha quindi senso paragonare le due cose
per come sono chiamate, ha più senso parlare di uso e funzione. Dall’altra parte si può agire sulla
didattica, fare una raccolta di dati sistematica e cercare di capire i miei studenti dove
eventualmente hanno problemi e di che tipo sono, devo saper fare un’analisi di quegli errori e
capire se sono errori interlinguistici o intralinguistici e fare quindi degli esercizi mirati, poi devo
aumentare l’esposizione alla lingua target (più sono esposto più è facile correggere questi errori).
Vi è l’esempio di uso delle coppie minime: degli studenti hanno proposto alcune coppie minime in
cui se alcune parole vengono scritte erroneamente cambia totalmente il significato, come
basta/pasta etc.

Ad esempio, un metodo per aiutare a imparare l’uso corretto dei pronomi è prima ragionare sulla
funzione, poi sulla collocazione, anche utilizzando un metodo che comporta un movimento fisico
come attaccare un cartello (prospettiva dell’embodied cognition). Comunque, l’invito è sempre
quello di raccogliere più dati possibili, perché rimangono relativi e mai sono assoluti, ci sono
moltissime variabili in gioco per cui la nostra percezione personale può sempre essere distorta.

Domande: gli errori interlinguistici e intralinguistici si correggono entrambi col tempo? Sappiamo
che quelli intralinguistici si correggono più facilmente perché di tipo evolutivo. Mentre l’errore
interlinguistico a volte si fossilizza perché non si riesce a trovare o ad arrivare a quella percezione
profonda del perché faccio questo, ad esempio il discorso dello scambio vocalico e/i è difficilissimo
da correggere. Qual è il ruolo dell’editoria all’interno di questo? Spesso veniva trascurato il ruolo
della fonetica per preferire un apprendimento a batterie di verbi, avverbi, nomi, aggettivi…e magari
si trascura un po’ la fonetica, la pronuncia, la distinzione. Bisogna dedicare una percentuale della
lezione ai suoni, alla capacità di distinguerli e a rafforzare questa capacità, e bisognerebbe che
questa cosa venisse sottolineata di più anche nei libri di testo.

Lezione 25/02

Abbiamo parlato di insegnamento dell’italiano e variazione linguistica, ci siamo soffermati sull’oggetto


dell’insegnamento, l’oggetto lingua.
Partendo dal presupposto che è sempre bene ribadire, che un buon insegnante di italiano deve aver una
buona conoscenza della lingua che insegna, non può permettersi di avere un’idea semplificata, idealizzata
riduttiva di una lingua, deve conoscerla e deve conoscere il repertorio dei parlanti a cui insegna.
Abbiamo parlato di variazione, ci resta un altro capitolo molto importante, su cui non entreremo
eccessivamente in dettaglio perché dovrebbe essere già noto. La norma dell’italiano e il cambiamento della
norma dell’italiano quindi il problema del neostandard che oggi introdurremo, faremo delle prime
riflessioni ma ce lo porteremo dietro per tutto il corso. In particolare vedremo come entra il discorso sul
neostandard nella didattica della scrittura, lettura, della grammatica, del lessico e così via. È quindi un tema
abbastanza di fondo.
Dobbiamo mettere a punto alcuni concetti:
cosa si intende per NORMA LINGUISTICA?
STUDENTESSE 🡪le regole decise a tavolino di funzionamento della lingua. Buona definizione ma si potrebbe
ribattere con: Che vuol dire decise a tavolino? Socialmente accettata, da tutti. Un io collettivo, una società.
Il prof 🡪 Hanno avuto un ruolo particolare i grammatici, gli autori dei libri di grammatica. Storicamente
Bembo con le prose della volgar lingua. Tutta la discussione sul modello linguistico manzoniano è di fatto
una discussione sulla norma dell’italiano, una norma decisa a tavolino nel senso più tradizionale del
termine, cioè decisa da alcune persone sulla base di un’autorevolezza vera o presunta, in qualche modo
stabiliscono delle regole. Una codificazione a tavolino molto importante per l’italiano è quella che si ha a
metà del 500, Pietro Bembo “Le prose della volgar lingua” ha preso delle decisioni sostanzialmente da solo
da un certo punto di vista su tutta una serie di questioni normative di funzionamento dell’italiano, accettate
dagli scrittori e letterati (Ariosto ricorregge tutta la sua opera alla luce delle norme di Bembo). Questo era
tradizionalmente la norma, una convenzione, un mettersi d’accordo e decidere a tavolino ma con un ruolo
particolare riconosciuto agli autori delle grammatiche. È un terreno che può sembrare molto accademico
ma è estremamente divertente studiare le norme dell’italiano, se le davano di santa ragione tra fazioni
opposte. Trissino per esempio propose la sua norma del funzionamento dell’italiano e ci sono commenti,
mettevano le corna nei libri a commento, era una lite per decidere a tavolino. 
In effetti è tutto giusto ma NORMA è un concetto più complesso che possiamo vedere da due diverse
angolature, entrambe corrette, che si integrano a vicenda. Una pima idea è quella della norma linguistica
come convenzione, convenzione di cosa? Chi l’ha deciso? Ci si mette d’accordo socialmente.

Precisazione importante: in un determinato periodo e contesto storico culturale. La norma è sempre


relativa, è sempre riferita a un gruppo di parlanti e a un determinato momento. È qualcosa che può
cambiare nel tempo, quanto questo sia convenzionalmente reso dal punto di vista effettivo può cambiare
da una tradizione all’altra. In Germania ci sono state varie riforme ortografiche, ogni 50/60 anni. Quasi per
legge, decide di cambiare con una serie di discussioni prima e dopo e quindi quasi centralmente si decide di
ridare delle convenzioni che sono vincolanti per giornali/editori.
Alcune nazioni, come la nostra hanno grammatici che creano un modello che viene seguito. 
Comunque sono frutto di una discussione che a un certo punto si trova accettata.
Altro modo di vedere la questione, simile ma diverso, vedere la norma linguistica come uso statisticamente
prevalente.
Esempio di convenzione: da preposizione, dà verbo. Convenzione accettata, pacifica in tutte le
grammatiche. Ma non so se è davvero seguita da chi scrive. Stessa cosa per qual è, con o senza apostrofo.
Anni fa ho fatto un questionario con gli studenti di lettere, la forma scorretta dal punto di vista
grammaticale era statisticamente prevalente. Se accettiamo questa definizione vuol dire che la norma è
cambiata? Non lo so. 

In entrambi i casi è relativo a un certo periodo storico. Come si formi è molto complesso. Possiamo spingere
di più sull’aspetto di convenzionalità, sull’aspetto di accettazione, di autorità. Nel senso dei buoni autori che
fanno la norma. Possiamo spingere un po’ di più sull’uso statistico e quindi sull’uso dei parlanti.
Probabilmente è un dialogo tra queste due componenti che porta a definire e ridefinire le norme
ortografiche. Di certo la norma non viene calata dal cielo e di accetta a priori, c’è sempre un’accettazione
dietro e dietro a ogni norma ortografica c’è stata una discussione che ha portato a decidere di scrivere in
quel modo.
Questo molto spesso i primi a non saperlo sono quelli severi nei confronti della difesa della norma. Può
essere anche giusto però se poi andiamo a vedere che autori importanti seguivano norme ortografiche
diverse. Ad esempio Leopardi scriveva un po’ alla Fantozzi “Vorrei che tu facci” perché seguiva un discorso
di norme ortografiche che oggi ci fanno sorridere.
DOMANDA CHE NON SI SENTE
Entra in parte anche la norma, c’è una componente di scelta individuale, non è che se uno sceglie di riferirsi
a una donna dicendo “avvocato”, lo fa perché c’è una norma, lo fa perché c’è una certa scelta linguistica.
Siamo molto lontani dalla convenzione accettata da tutti, ci sono litigi e discussioni accese tra i parlanti.
Probabilmente entra il discorso che dice Lei, il parlante è pigro e se abituato a sentire solo ingegnere e
avvocato gli suona strano qualsiasi cambiamento. Il parlante è conservatore, siamo tutti un po’ conservatori
linguisticamente, non ci piace che ci cambino le regole sotto il naso e quindi difendiamo un po’ lo status
quo. Altri invece rispondono che è cambiata la situazione sociale e aveva senso di parlare di avvocato
quando tutti gli avvocati erano uomini, ce n’era una su 100. Oggi in cui le percentuali cambiano non ha più
senso mantenere questo. Ci sono anche delle norme che influiscono su questo, la norma dell’accordo per
esempio prevede in teoria, in base alla norma tradizionale, con un solo maschio dovrei usare il maschile o
basta che in un elenco ci sia solo un uomo e allora si utilizza il maschile. Ma perché non al femminile se ci
sono 3 ragazze e un ragazzo? Ci sono delle discussioni però non sono norma perché ancora oggetto di
convenzione, quindi siamo ancora pre discussione, probabilmente lo diventeranno. Questa domanda ha a
che fare sul fatto che la norma da sola non basta per capire i problemi. Infatti enuncerò anche altri concetti.
Storicamente, lo schema di Berruto che conoscete, la norma si trova al centro del sistema. Come vedremo
tra un istante, è stata oggetto nel corso del 900 di una ridefinizione. La norma standard dell’italiano
letterario tende verso l’alto, contesti diafasicamente più alti, verso lo scritto, livelli alti di lingua e il
neostandard, italiano regionale medio-colto, effettivamente sta al centro del sistema.
Ci serve un altro tassello: COMPETENZA LINGUISTICA.
Non basta fissare la norma, la norma non deve essere solo accettata ma anche conosciuta dal parlante dal
punto di vista inconscio prima ancora che convenzionalmente noto.
 
Fermo restando che non occorre studiare la grammatica per conoscere le regole di funzionamento della
lingua. Il parlante materno di una lingua, anche un bambino, conosce le regole di funzionamento, non le sa
esplicitare. Altro caso è chi studia italiano come una L2, in questo caso la conoscenza delle norme deve
essere studiata. Le regole di funzionamento/grammaticalità sono note a un bambino o se non sono note è
perché è in una fase evolutiva. (Errori evolutivi di cui parlava Della Puppa ieri). 
Grammatica come esplicitazione di regole comunque note a tutti i parlanti. Non ci serve una norma
convenzionale che ci dice che dobbiamo concordare soggetto con aggettivi, articoli o verbi, è un dato di
fatto. Al massimo osserviamo questa cosa ma sappiamo benissimo che io mangio, i bambini mangiano.
Senza sapere cos’è un verbo, un sostantivo, un accordo. Tutti conosciamo questa regola e non la sbagliamo.
Parlo di parlanti materni naturalmente. 

NORMA INTERIORIZZATA
Cos’è? Lo scarto tra ciò che ci hanno insegnato, soprattutto a scuola ma non solo, e la realtà linguistica
come noi la conosciamo, essendone parte. È un concetto introdotto da un linguista, storico della lingua,
Luca Serianni per spiegare perché molte persone difendono una norma linguistica pur essendo evidente
che quella norma non è più seguita dai parlanti nell’uso effettivo. È la ragione per cui se uno fin da bambino
viene bacchettato perché prima del ma ci va la virgola, veniva sempre corretto, sanzionato, umiliato
pubblicamente. Noi metteremmo la virgola prima del ma anche se poi dal punto di vista linguistico
sappiamo che non è obbligatorio mettere quella virgola, c’è un saggio di Sabbatini sulla virgola prima del
ma. Lo scarto tra le ragioni della spiegazione linguistica e le ragioni della norma interiorizzata. 
Questo rientra nel discorso dell’italiano scolastico 🡪 tradizionalmente l’italiano ha avuto una specie di
norma che esisteva solo nelle aule scolastiche. Con regole che non avevano riscontro nella realtà linguistica.
Metodo con cui la scuola rispondeva al cambiamento della norma nell’uso (anni 70-80). Ci accorgiamo che
certi modi verbali si stanno ridimensionando allora nella norma dell’italiano scolastico insisteremo
moltissimo su questa forma. Esempi: a me mi, virgola prima del ma, sé stesso – se o sé.

  
Uno scarto tra ciò che ci hanno insegnato, in alcuni casi potrebbe essere sbagliato e ciò che succede nella
realtà. Tra poco vedremo i tratti dell’uso medio, che penso siano noti, facciamo un ripasso. Vedremo come
pur essendo evidente, con dati/statistiche alla mano, il funzionamento di alcuni fenomeni, se ci hanno
insegnato una certa regola ci sarà qualcuno di voi che insisterà e sarà contrario.
Faremo una serie di esempi e vedremo anche il gioco delle parti, vedremo i grammar nazi presenti e i più
progressisti linguisticamente. È un dialogo effettivo che ha alla base quella che Serianni chiama norma
interiorizzata, quella che è andata stratificandosi non tanto sulla base della propria esperienza di parlante
quanto sull’immagine di lingua che si è formata negli anni di scuola. Quindi sul ruolo della scuola e
dell’insegnante.
Non abbiamo ancora un quadro completo, possiamo avere buone conoscenze delle regole ma non parlare
efficacemente in italiano. Ci viene in aiuto la nostra esperienza di studenti di altre lingue straniere. Uno
studia una L2, ha studiato tutte le regole di funzionamento ma questo non ci rende automaticamente
parlanti che inseriti in un contesto reale sanno dire la loro efficacemente. Spesso applicando le regole
restiamo spiazzati perché poi l’uso va da tutt’altra parte.
Ho insegnato in Croazia e facevo discorsi sul sistema verbale italiano, una ragazza che parlava molto bene
italiano, aveva interiorizzato dalla sua esperienza tutto al passato remoto perché aveva studiato tra
Calabria e Sicilia e aveva fidanzati della zona perciò aveva avuto un’esperienza della norma dell’italiano che
era marcata a livello diatopico e non ne era consapevole. 
Altro esempio: se studiassimo una lingua come si studia una lingua standard, quindi imparando le regole di
grammatica, in un contesto reale non sapremmo come muoverci.
Serve qualcosa in più:

La competenza comunicativa è non solo sapere la regola ma sapere cosa è opportuno in termini
sociolinguistici, quindi saper quale tipo di lingua è efficace in certi contesti e quale in altri. Conoscere la
regola e saperla contestualizzare in un contesto di registro formale o informale. Se io parlo la stessa lingua
allo stesso modo quando sono al bar con gli amici e quando sono in aula a fare lezione c’è qualcosa che non
funziona. Cosa ci fa capire come si parla nei vari contesti è la competenza comunicativa. 
La competenza comunicativa ci fa capire come contestualizzare le regole in base alla situazione
comunicativa. Ci fa ragionare sulla appropriatezza di certi usi linguistici.
Dei colleghi, Bisi, Fornara e Maianardi, hanno fatto un esempio didattico per far capire il concetto di
competenza comunicativa che mi sembra molto efficace. Hanno immaginato una situazione come questa,
immaginano un ragazzo che ha finito la 5 superiore e deve candidarsi per un lavoro. Immaginano scriva
così:
Ci fa sorridere, ma perché? Perché ha sbagliato il registro linguistico. Però se lo guardiamo dall’inizio non ci
sono errori, le regole, il funzionamento della lingua, anche le regole ortografiche (po’, accenti gravi e acuti),
la punteggiatura, la sintassi, è tutto in ordine. Dal punto di vista della norma, della competenza linguistica
non ha nulla di strano. La stranezza sta sul piano dei registri. E allora quali sono i tratti meno adeguati al
registro “Sacco di soldi, fottio di persone, prendere per il culo” ma anche in alcune scelte di interazione
“siete una delle tante ditte di programmazione”. 
Qui il problema sta, non nella norma linguistica ma nello spazio comunicativo, nel registro linguistico
inadeguato. Cosa ce lo fa dire? La visione più allargata di competenza comunicativa. Se ricordate, quando
abbiamo iniziato i nostri ragionamenti abbiamo letto la definizione dalle competenze chiave dell’unione
europea di competenza alfabetico-funzionale ed era definita la chiave di volta dell’insegnamento scolastico
volto a saper usare la lingua in un contesto comunicativo. Dovrebbe esserci in origine nella scuola una
riflessione molto specifica su questa dimensione comunicativa che tenga conto in una prospettiva più
allargata di queste questioni.
Gli asterischi a fine parola sono come in nomi di professione, sono la scelta di alcuni parlanti che stanno
cercando di porre una norma linguistica, mettendo d’accordo alcuni e in disaccordo altri, a me non
scandalizza di per sé però ho coordinato il gruppo di lavoro dell’unibo che ha definito delle convenzioni su
queste questioni di rispetto del genere, nella comunicazione istituzionale di ateneo, si è discusso degli
asterischi ma si sono preferite altre forme. Sicuramente non è norma ma staremo a vedere cosa succede. 
Le collocazioni non sono norma in senso stretto, sono fisse ma fisse nell’uso, nelle grammatiche ad esempio
non si trova un elenco di collocazioni, siamo più sul piano dello stile. Ma soprattutto non sono obbligatorie,
non sono norma, rientrano in un discorso di stile. Parleremo poi di lessico e queste cose. 
Definiti questi concetti - attrezzi di lavoro – proviamo a capire quali sono i problemi della norma dell’italiano
nel caso specifico. Problemi che l’insegnante si trova ad affrontare nel momento in cui si trova di fronte ai
problemi di norma linguistica
Una bella etichetta inventata dalla Crusca negli anni 80 “italiano in movimento” che rende molto bene
l’idea della lingua italiana. La lingua italiana nel corso del 900 ha incominciato a muoversi, prima era ferma.
Una lingua che si muove non è facile da insegnare. È facile insegnare una lingua ben istituzionalizzata ma
una lingua che non sta ferma, che ha norme su cui gli stessi parlanti non sanno mettersi d’accordo, cosa
vado a insegnare a un bambino in fase evolutiva o uno straniero? Non c’è accordo neppure tra i parlanti,
evidentemente c’è un problema. Va contestualizzato a livello storico.
Piccola parentesi storica, spero di convincervi che questa questione non è soltanto una disquisizione
accademica. È sicuramente un argomento di ricerca interessante e attuale per definizione, anche le ricerche
fatte 10 anni fa non sono più attuali, bisognerebbe sempre indagare. Non è solo questo perché poi alla fin
fine, in concreto un insegnante vuole sapere, se uno studente mi scrive un certo fenomeno (a me mi ecc.)
io cosa devo fare? Lo devo correggere o non lo devo correggere? Che tipo di atteggiamento educativo devo
avere rispetto a questi errori rispetto alla norma tradizionale. Qui entra in gioco la consapevolezza della
norma. Un insegnante di italiano non può avere un’idea ingenua della lingua che insegna e quindi
dobbiamo confrontarci con questi problemi.
Rendo il primo problema con un’immagine, Bruno Migliorini faceva un confronto con la Francia. Se
prendete un parlante francese colto, lo mettete davanti a un brano francese medievale “Chanson de
Roland”. Un francese colto non sa capire quel testo, lo sa se lo studia. C’è uno scarto profondo tra la lingua
di oggi e la lingua medievale. Lo sa se studia il francese antico e si impegna a capire le varie strutture e così
via. Il francese ha avuto profondi cambiamenti a livello di norma di funzionamento, perso tempi verbali ha
cambiato lessico ecc. 
Questo è avvenuto in un certo contesto che dirò tra un istante. 
Se prendiamo una novella di Boccaccio un italiano colto non capirà tutto ma fondamentalmente capisce
quello che Boccaccio sta dicendo. Lo scarto non è lo stesso che ha un francese rispetto alla Chanson de
Roland. Perché il cambiamento avvenuto del francese è molto più ampio di quello italiano. 
Perché? Cos’è successo? 
 L’unità politica della Francia è avvenuta molto prima che in Italia, in Italia molto tardiva 1861.
 Ancora al momento dell’unità d’Italia le persone che parlavano una lingua transnazionale, l’italiano
e il toscano erano pochissime, una piccola minoranza. Nell’ipotesi di Castellani si arriva all’8/9%.
La Francia invece aveva la corte di Parigi che in qualche modo regolava il funzionamento. Una tradizione di
centralismo politico e linguistico. La corte è stata un modello di lingua che non ha scardinato ma
ridimensionato i dialetti locali, non hanno lo stesso peso che hanno quelli italiani. Esistono e sono ben
definiti comunque. Soprattutto ha dato un modello di lingua e un modello culturale quindi anche il vecchio
sogno di Ascoli, c’è la stessa parola in tutta la Francia “perché da Parigi vien la cosa” Parigi portava un’unità
politica ed economica e con questo portava anche un modello sostanzialmente unitario di lingua che veniva
parlato da fette ampie di popolazione, anche incolte. Una lingua parlata nel quotidiano è una lingua che si
muove, che non sta ferma, che cambia la sua struttura grammaticale.
Questo spiega perché dal medioevo ci sono stati dei terremoti, degli sconvolgimenti nel sistema
grammaticale, di cui peraltro i francesi non si sono accorti, se ne saranno accorti i grammatici. Avranno
avuto delle discussioni su questo ma fondamentalmente c’è stato un cambiamento nei fatti.
L’italiano invece non era parlato nel 1861, ancora dopo la seconda guerra mondiale i dialettofoni erano il
65%. Da quel momento però, per una serie di ragioni, l’effettiva scolarizzazione, mezzi di comunicazione,
radio (anni 30), televisione, benessere economico che porta a migliorare le situazioni culturali, fanno
nascere l’italiano parlato. L’italiano ha fatto in pochi decenni quello che il francese ha fatto nel corso di
secoli. C’è stato un italiano in movimento. Lo scarto tra francese medievale e moderno è molto più ampio di
quello dell’italiano. 
DOMANDA CHE NON SI SENTE, RISPOSTA 🡪 Nella tradizione francese del centralismo politico c’è stato
anche un centralismo linguistico che passava dal fatto che c’era una grammatica quasi di stato, dettata
dall’académie française. Chiaramente con modifiche nel corso del tempo, non credo che oggi abbia lo
stesso ruolo che aveva nel 700. C’era un centralismo linguistico anche nel dare le regole, chiaro che non
arrivavano allo stesso modo a tutti ma comunque c’era una regolazione. In Italia la crusca non ha avuto e
non avrebbe potuto avere - se non c’era uno stato non c’era modo di essere centralisti, anche volendo – la
Crusca non si è mai imposta come imposizione ma quasi per autorevolezza di modello, per scelta
consapevole di chi la dettava. Gli scrittori italiani hanno aderito ad un modello, a volte malvolentieri, ma per
scelta, non perché fosse imposto.
De Ragheno, linguista che si diverte a dialogare con i grammar nazi nei social network. Poi il parlante
comune si aspetta una norma calata dall’alto, una certezza. La lingua però non è mai fatta di certezze. Un
approccio serio e consapevole. Questo è oggetto di infinite discussioni e la De Ragheno scrive libri su
questo, raccoglie e studia le reazioni dei parlanti, è specializzata in social linguistica, come la definisce lei.
Una branca di linguistica attraverso il social e la reazione dei parlanti sui social.
Nel corso del Novecento
La bella addormentata lingua italiana inizia a svegliarsi. La lingua che era parlata da una piccola fetta di
popolazione – anche il concetto di italiano era un po’ arbitrario, non essendoci una nazione unitaria parlare
di italiani era un concetto molto controverso -  che aderiva a certe regole, quelle di Bembo poi ridiscusse
infinitamente per secoli. Questa fetta di popolazione lo faceva in un certo tipo di testi esclusivamente scritti
che circolavano all’interno di una popolazione ristretta. Anche se andiamo a guardare la diffusione del
mercato librario in altri paesi e in Italia, in Italia a fatica si è diffusa una cultura di lettura di consumo
popolare che invece c’era in altre situazioni. Quindi una serie di circostanze che hanno tenuto la lingua
come ferma, usata tra pochi, colti che studiano grammatiche per aderire a modelli linguistici. È facile
rispettare le regole e mantenere la lingua ferma. Nel momento in cui, nel 900, tanti cominciano a parlare
italiano. Questo è un primo fatto, altro fatto molto importante, l’italiano aumenta il suo dominio d’uso.
Prima c’era una situazione di diglossia, un po’ come l’arabo, c’è una lingua ufficiale, standard, per le cose
importanti (preghiera, lettura corano, corsi istituzionali) e poi il dialetto locale o la lingua di tutti i giorni che
si utilizza normalmente. L’italiano era un po’ così. Alcuni lo conoscevano altri lo orecchiavano. Pensiamo ai
soldati della prima guerra mondiale, ci provano a scriverlo, a volte ci riescono a volte così così. Poi c’era il
dialetto.
Questa diglossia inizia a sciogliersi, l’italiano entra in cose che prima erano tipicamente del dialetto. Andare
a fare la spesa e parlare in italiano e non più in dialetto. 
Entrano in gioco una serie di fattori, un mio docente faceva un esempio che conosciamo tutti: il momento
in cui ci si dichiara amore, credo che quasi tutti voi l’abbiate fatto in italiano, per noi è ovvio ma magari non
è ovvio per i nostri genitori. Meno scontato rispetto a noi. Se ci spostiamo su nonni e bisnonni molto
probabilmente l’avrebbero fatto in dialetto, non avrebbero mai usato l’italiano. Sto generalizzando. Salvo
casi eccezionali sarà stato così.

COSA SUCCEDE NEL CORSO DEL 900


 Estensione del numero di parlanti italiano – quel 2,5% di De Mauro diventa quasi il 100%
 L’italiano, molto gradualmente, cessa di essere una lingua esclusivamente scritta, scolastica e
libresca; si assiste alla nascita di un italiano parlato – parlare italiano non lo possiamo fare come in un
romanzo aderendo perfettamente alla regola del Bembo ma adattandoci, il mezzo condiziona anche la varietà
di lingua. I primi parlanti di italiano in un contesto non formale avranno fatto anche fatica. Pensate a Camillo
Benso conte di Cavour o Manzoni, scrivevano in francese a amici e famigliari, veniva più spontaneo, era più
semplice. Avevano fatto più conversazione sul tempo in francese che in italiano, le cose cambiano. L’italiano
diventa lingua parlata.  
 Cambiamenti profondi nel tessuto socio-economico e culturale italiano: urbanizzazione,
industrializzazione, ridimensionamento dell’agricoltura, scolarizzazione… – Cambiamenti
soprattutto nel secondo dopo guerra: il boom economico, scolarizzazione, scuola media unica porta
8 anni di scuola all’inizio a fasce ampie di popolazione, si stravolge un sistema scolastico che era per
pochi, a molti dava al massimo 2 anni di scuola elementare, diventa una scolarizzazione in cui è
normale finire almeno la terza media poi l’obbligo viene esteso alla seconda superiore. Con tutti i
suoi difetti la scuola ha fatto il suo dovere nel secondo dopo guerra, anche prima ma meno efficace.
C’è l’urbanizzazione, fette importanti di popolazione passano da campagna a città, da dialetto
devono cercare di passare all’italiano, industrializzazione e migrazione interna – anni 70,
popolazione che dal sud va a Torino o Milano. Le persone si portavano dietro un dialetto locale ma
per interagire in contesto lavorativo e cittadino dovevano abbandonarle. 
 L’italiano estende i suoi domini d’uso, diventa una lingua adatta anche alle situazioni informali, agli
affetti, alle amicizie. – mentre era solo una lingua libresca e formale diventa anche lingua
dell’informalità, aspetto estremamente importante.
 Conseguenza di tutto ciò  l’italiano torna a muoversi 
In cosa consiste questo cambiamento? Alcuni sintetizzano in questo modo

L’italiano conosce l’oralizzazione, il fatto che ci sia un modello di italiano parlato fa sì che alcune
caratteristiche dell’italiano parlato entrino nello anche nella lingua scritta. La norma deve in qualche modo
rilassarsi, deve fare spazio non solo alla lingua scritta, in cui la norma è più facile da seguire, ma anche
all’orale che ha altre caratteristiche specifiche.
Fenomeni di semplificazione, abbastanza fisiologiche le lingue. Non sempre ma solitamente la lingua
funziona per analogia quindi le cose che sono fuori standard vengono riassorbite da una linearità
tendenzialmente. Non sempre, a volte la lingua funziona anche per complicazione. Molte cose che
restavano un po’ particolari – vedremo dopo il sistema pronominale – certe scelte della lingua scritta nel
parlato funziona meno bene. Quindi certe scelte vengono messe in discussione, cambiando il sistema
normativo. 
Vero soprattutto negli ultimi anni vero iconicità (ne parla Antonelli, dagli anni 80-90 in poi) – emoticon,
linguisti che hanno riscritto pinocchio con le emoticon, espressività legata a una dimensione fortemente
iconica dell’italiano. C’erano anche prima le emoticon, ci sono sempre state, non come le intendiamo oggi
ma un elemento di iconicità nell’italiano c’è stato e anche nelle altre lingue. Negli scritti medievali è pieno
di manine, di corna, di cose espressive di questo genere. Quindi si assiste ad un cambiamento
nell’architettura del sistema delle varietà.
Tanto per darci un po’ di terminologia, per ricollegare a cose che avete già studiato, ci sono 2 etichette che
vanno per la maggiore. Una è quella di Berruto, parla di italiano neostandard (vedi lezio precedente slide),
nuovo standard che sostituisce quello letterario, quello ereditato della tradizione. Per certi fenomeni non
funziona più, è troppo spostato verso l’alto. Oppure ci sono delle differenze ma più o meno stiamo
parlando dello stesso fenomeno, Francesco Sabattini parla di italiano dell’uso medio (nel manuale della De
Luca, lei dà più spazio a Sabatini e alla sua prospettiva quando parla dei problemi della norma, non cambia
molto). In cosa poi cambia in concreto, non parliamo di una serie enorme di tratti ma di
tanti piccoli aspetti che cambiano. 
Alcuni aspetti importanti: quali sono le categorie interessate? Quando parliamo di norma non parliamo di
lessico perché, per definizione, cambia sempre nel tempo, è mutevole. Non possiamo parlare di una lingua
prendendo a riferimento il lessico. La struttura profonda è un po’ più difficile da modificare. Anche se poi
vedremo che qualche piccolo tratto lessicale c’è – anni 60 si insisteva su “codesto” a scuola, nel
neostandard è morto e sepolto. 
CATEGORIE INTERESSATE
 Pronomi
 Tempi e modi verbali
 Preposizioni e particelle avverbiali
 Posizione dei clitici
 Fenomeni di tematizzazione 🡪 sintassi
 Che polivalente
 Frase relativa
 Concordanze a senso
 Altre costruzioni
 Lessico

Cosa vogliono dire i semafori? Non tutti i tratti della norma sono accettati allo stesso modo. Vedremo tratti
che sono cambiati e non ce ne siamo mai accorti, se non i grammatici o linguisti che studiano queste cose.
Quindi è accettato. Altri tratti sono entrati nell’uso ma non sono pienamente accettati, accettati a seconda
del registro linguistico. Accettabili in contesti informali ma non formali, c’è ancora qualcosa da definire.
Alcuni tratti sono rossi, sono effettivamente entrati nell’uso, tutti li usiamo e capiamo ma ancora associati a
una varietà substandard. Sono inadatti a una discussione formale, un testo scritto o orale di media
formalità. Io userò i semafori (non dati dagli studiosi) per rendere il giudizio di Tavoni e Cortelazzo.
Vedremo che non saremo d’accordo su tutte le classificazioni. È normale. C’è un elemento di sensibilità
individuale, competenza comunicativa individuale. È passato del tempo e quindi siamo liberi di non
prendere per oro colato questi semafori.

Primo blocco PRONOMI


Te in funzione di soggetto – semaforo rosso
 Questo lo dici te
Probabilmente ora lo sentiremmo più come un giallo. 
Lui, lei, loro in funzione di soggetto – semaforo verde
 Lui ha detto proprio questo
 Non è detto che lei sia d’accordo
 Loro non sono venuti
Verde ma c’è molto da precisare. Lo standard è egli, ella, essi. La norma codificata da Bembo, quando
bembo decide di utilizzare una forma e sopprimerne altre vuol dire che le altre forme c’erano. Tant’è vero
che Bembo fa dei giochi strani, c’è un testo di Petrarca in cui l’autore usa un lui pronome soggetto, contro
l’idea grammaticale di Bembo, quindi glielo corregge. Ha il modello 300esco ma se poi il modello 300esco
non è in linea con le sue idee ci mette mano. Il suo amico Manuzio pubblicava i classici del 300 nella forma
che voleva lui. Arriva a modificare i testi. Oggi nessuno si scandalizza quando usiamo lui, lei, loro in funzione
di soggetto. 
La scuola ha fatto moltissima resistenza a fare entrare questo cambiamento della norma. È ancora oggetto
di discussione ma pienamente accettato in questa forma. 
La diatopia c’è sempre sullo sfondo, soprattutto quando parliamo di tempi verbali, passato
remoto/prossimo, non se ne esce se non si considera la base geografica di provenienza. 
Ci sono degli studi che rendono molto bene l’idea della complessità del fenomeno, di certe scelte.
Ho messo insieme alcuni studi, questo dei primi anno 2000 sulla narrativa, i libri stampati in quegli anni, di
fine secolo. Vedere le frequenze dei pronomi soggetto, il 14,81% ricorre ancora a egli, l’85% a lui. STIAMO
PARLANDO DI SOGGETTO. C’è una nicchia di sopravvivenza. Ella 0.71% decisamente più basso però c’è. Ella
non come pronome di cortesia ma come forma femminile, oggi diremmo lei. Non per dar del lei ma per dire
Lei Francesca, Ella Francesca ha detto che. Molto strano. Stravinceva il LEI. 
Se si guarda invece un corpus un po’ più ampio della narrativa, più o meno degli stessi anni, c’è anche il
giornalismo. Grosso modo la percentuale di egli rimane la stessa, ella 0.

La situazione attorno agli anni 2000 era che egli nel parlato era molto minoritario rispetto allo scritto. Solo il
6%. Lui 93%. Ella 0, Lei 100%. Si riduce la nicchia di sopravvivenza dell’egli. 

ITALIANO GIURIDICO – CONSERVATIVO : Se cambiamo varietà e ci riferiamo all’italiano giuridico egli sta al
97%, un italiano molto conservativo, legato a una norma tradizionale, solo scritto. Usato da pochissime
persone che tengono a mostrare un’immagine linguistica di un certo tipo. Solo pochissimi rivoluzionari,
2/70, ricorrono a lui. Ci sta che in una sentenza, quando si descrive il reato, venga descritto con un italiano
conservativo. Quando si declina al femminile si usa ancora ella. 
TESTI SCOLASTICI (SCUOLA ELEMENTARE): Fine secolo, era davvero scuola elementare. Se si va a guardare
cosa scrivono i bambini si vede che egli +è molto simile al giornalismo e alla narrativa, 20%, abbastanza
radicato. Ella ha ancora diversi casi, i bambini o nello scrivere o nei racconti che leggevano trovavano
ancora elle, 5%. Modello abbastanza simile a quello che succede nella realtà linguistica, leggermente più
conservativo.

TESTI SCOLASTICI (SCUOLA SUPERIORE) : Più o meno negli stessi anni nelle scuole superiori. Dato diviso per
tipo di scuola superiore Liceo classico, scientifico, istituti tecnici. I licei vanno abbastanza insieme, leggero
scarto. Egli è maggioritario, 80%, è tanto rispetto a giornali e narrativa. Ancora forte italiano scolastico, è
ancora forte la norma conservatrice, si insegna ancora un italiano diverso da quello usato fuori dalle aule.
Altro dato interessante è cosa succede negli istituti tecnici, egli solo in 40%. Dato più alto rispetto al 14 o 6%
del parlato ma è la metà dei licei. C’è una conservatività del modello linguistico dell’italiano insegnato
diversa nei licei rispetto agli istituti tecnici. 
Tenete conto che nel 2000 l’accademia della crusca aveva già espresso pareri positivi in questo senso. 
Questo ci mostra quanto sia complesso il fenomeno di cui stiamo parlando e quanto portando il
neostandard dentro l’italiano scolastico apriamo dei dibattiti molto complicati da gestire. Quando ne
parliamo con gli insegnanti c’è sempre la fronda progressista e quella conservatrice. Probabilmente hanno
torto tutti. Su questo tratto specifico fare i conservatori mi sembra poco interessante. Su altri ambiti che
vedremo un po’ di dialettica un po’ più conservatrice può anche essere fisiologica, avere senso ed essere
funzionale. 
Attenzione perché spingere troppo su questo aspetto rischia di creare uno strappo tra lingua della realtà e
della scuola e questo mi sembra un danno molto serio. Uno si fa l’idea che quello che si studia a scuola
serva solo a scuola e la competenza comunicativa va a farsi friggere. 
Domanda che non si sente
Risposta: Quando parliamo di tratti neo standard e lo contestualizziamo nel 900. Questi tratti non iniziano a
esistere nel 900, esistevano già prima, nell’italiano delle origini. Molti di questi tratti esistevano in
Boccaccio, li metteva in bocca quando faceva parlare il rustico il contadino, il popolano o il mercante
incolto. Gli metteva in bocca tratti più o meno accettati oggi nell’italiano neo standard. Anche Manzoni fa
qualcosa di analogo, le correzioni di Manzoni in realtà non sono le stesse quando fa parlare nei dialoghi e al
di fuori dei dialoghi. Questa era già sicuramente una modifica che esisteva in Manzoni. Anche il romanzo di
Tommaseo dice ma quanto è formale questo “egli/ella”. Consapevolezza del cambiamento del tratto. C’era
sempre un conflitto tra la norma scolastica e manzoniana. Non a caso Manzoni si scosta dalla norma
puristica. Quando parliamo di conflitto tra manzoniani e puristi intendiamo esattamente questo, i puristi
avevano un’idea e Manzoni tutt’altra idea. Tratto corretto da Manzoni in particolare quando fa parlare i
contadini. Manzoni fa parlare in maniera diversa diversi personaggi, aveva una coscienza sociolinguistica
molto chiara. Usa varietà e norme linguistiche diverse.

Lui, lei, loro riferiti a cose – semaforo giallo


 L’automobile anche lei fa quello che può con queste salite
A me non scandalizza particolarmente. L’alternativa mi suona abbastanza pesante.
Gli per “a lei” – semaforo rosso SUBSTANDARD
 Ho visto Maria e gli ho detto di venire anche lei. 
Tavoni mette rosso, substandard, lo fa sulla scorta di un suggerimento dell’accademia della Crusca. 
Non so se oggi sia davvero ancora un semaforo rosso. Ricordo che anni fa una vostra collega aveva un po’
attaccato questa cosa, prese la sua posizione. Facendo il suo discorso le scappò un gli per “a lei”.
Ovviamente non potei stare zitto. Tutti si misero a ridere. Usi questo cambiamento senza rendertene conto,
succede spesso, è la norma interiorizzata, lo stacco tra ciò che consideriamo giusto e ciò che invece di fatto
utilizziamo. Una specie di super-io della norma interiorizzata. Si cerca di evitare in contesti formali, forse più
che un rosso è un giallo rinforzato, per stare ai nostri giorni. 
Gli per “a loro”, maschile e femminile - semaforo verde 
 Ho visto i miei amici e gli ho detto di venire 
Perché più accettabile di a lei? Il sistema pronominale eliminando loro a loro è come se si correggesse, si
regolarizzasse. Loro, a loro, è fuori standard. Se noi guardiamo i pronomi sono sempre preverbali, non
posso dire “Ho visto i miei amici e loro ho detto di venire”. Non è solo diversa la forma ma anche la
struttura. Devo dire “e ho detto loro”. Mentre tutti i pronomi sono preverbali questo va fuori serie. Le
lingue tendono a lavorare per analogia, elimino il loro e uso gli. Prima considerazione che spiega perché è
entrato con maggiore facilità.
Declino di loro come allocutivo di cortesia – semaforo verde
 Loro devono capire che…  voi dovete capire che

Dimostrativi usati come pronomi personali, spesso con una sfumatura negativa – semaforo verde
 Ora questo mi si presenta e cosa gli racconto?
 Quelli non se ne vogliono andare.
Verde ma non lo userei in un articolo scientifico. Racconta storia della traduttrice di Simenot che ha
sistemato e corretto traduzioni di Maigret. Caso di traduzione in cui un personaggio dice un’espressione
che in francese vuol dire è una prostituta (jeune file) e non sapevano come tradurlo, lo rende con “è una di
quelle”. Tratto che non ci sconvolge.
Forme rafforzate questo qui, quello lì – semaforo giallo
 Se continua a tenere quell’atteggiamento lì, farà poca strada
Forme ‘sto ‘sta ecc per “questo”, “questa”, ecc. rafforzate questo qui, quello lì – semaforo rosso
 E così c’è ‘sto problema del rimborso
Niente usato come aggettivo – semaforo verde
 Niente scherzi, mi raccomando!
 Niente buoni voti per chi non studia!
Tratto che usiamo senza accorgerci che sono innovazioni. Nella lingua quando si discute di una forma vuol
dire che fa fatica a passare come norma. Ricordatevene quando parleremo di congiuntivo, forte attenzione,
il congiuntivo non è affatto morto. 

TEMPI E MODI VERBALI


Presente indicativo per il futuro – semaforo verde
 Cosa fai per Pasqua? (=farai)
 Domani dove vai? (=andrai)
 Mi laureo fra due anni. (=mi laureerò)
Presente per il passato (presente storico vivace) – semaforo giallo
 Si mette lì in fila e chi si trova davanti?
Passato prossimo invece del passato remoto nelle narrazioni storiche - semaforo giallo
 Giulio cesare ha condotto una dura campagna militare. (= condusse)
Passato prossimo per futuro anteriore – semaforo giallo 
 Quando ho finito il servizio civile mi metto a cercar lavoro. (= avrò finito… mi metterò…)
Imperfetto attenuativo di cortesia – semaforo verde 
 Volevo dirti un’altra cosa. (= vorrei)
 Volevo due chili di mele (= vorrei)
Già nell’italiano antico e nei libri di italiano L2 è dato come esempio di lingua standard, non si discute.
Imperfetto per il condizionale nelle ipotetiche dell’irrealtà – semaforo giallo
 Se me lo dicevi in tempo, ti potevo dare una mano (= avessi detto… avrei dato)
Imperfetto per il futuro nel passato – semaforo giallo
 Ha detto che veniva domani. (= sarebbe venuto)
Imperfetto per significare intenzione e previsione - semaforo giallo
 Venivo domani (= intendo venire…)
 Partiva stasera (=dovrebbe partire)
Indicativo al posto del congiuntivo in alcuni tipi di proposizioni dipendenti
 Non dico che hai torto, ma… (=che tu abbia torto)
 Gli chiesi se poteva aiutarmi (…se avesse potuto…)
Il congiuntivo è ancora solito nel sistema dell’italiano, per le ragioni che dicevamo prima. È ancora oggetto
di sanzione sociale se si commette un errore, è solido nell’uso: molti lavori sull’ita doppiato, ita dei fumetti,
dei Simpsons, tutto pieno di congiuntivi usati in maniera normativa. Topolino ha tante frasi con il
congiuntivo a posto. 
Ci sono dei casi in cui in situazioni di possibile alternanza in cui lo standard predilige l’indicativo nelle
situazioni più informali. Discorso molto lungo che ci fa capire quanto sia complessa la questione del
cambiamento della norma linguistica. 

Preposizione + articoli partitivi


-semaforo giallo: Sul tavolo c’è un bicchiere con del latte
-semaforo rosso: Gli per ‘ci’ locativo, ipercorrettivo da ci italiano popolare per ‘gli’:
Non portarglielo il bambino in quell’ambulatorio

Posizione dei clitici


-semaforo verde: Risalita del clitico con verbi modali:
Non ci posso credere ( = Non posso crederci);
Ora te lo posso dire ( = posso dirtelo);
Lo devo incontrare ( = devo incontrarlo).

Sono arrivata alla slide 23 l’italiano in


movimentoooooooooo
Lezione 26/02
TECNOLOGIA DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE E INSEGNAMENTO DELL’ITALIANO
(LIBRO DI VIALE: TECNOLOGIE DELL’INFORMAZIONE E DELLA COUNICAZIONE…)
Technology won’t replace all teachers but teachers who use tech. Effectively will probably replace
teachers who do not. 
Molte delle difficoltà del mondo scolastico sono dovute allo scarso utilizzo, in modo efficace, delle
tecnologie. 
La DAD (didattica a distanza) ci fa capire che spesso il passaggio dalla didattica in presenza a quella
a distanza non è soltanto un discorso di modalità, di canale comunicativo che cambia, ma presenta
un problema che ha a che fare con la stessa impostazione didattica. Quello che prima facevo in
una lezione frontale non posso trasferirlo in DAD (soprattutto in età scolare, un po’ meno in
ambito universitario). Gli insegnanti in grado di adattarsi alle circostanze, e alle innovazioni, si sono
inseriti meglio e hanno fatto una didattica più efficace, usando bene le tecnologie. 
Il modello della lezione frontale classica, trasportato nella dad, non funziona, e quindi quelle classi
già abituate ad avere un sistema di classroom, con archivi digitali, hanno fatto meno fatica
nell’adattarsi. Gli insegnanti che si sono messi in discussione e si sono adeguati hanno svolto una
didattica migliore, rispetto a quelli che mantenevano ancora un aspetto didattico classico. 
SPERIMENTAZIONI DIDATTICHE
In che modo queste tecnologie impattano sull’insegnamento? Ci sono tre fasi del lavoro:
1 formazione insegnanti 
3 sperimentazione in classe
3 raccolta e analisi dei dati: osservazione delle attività, interviste semistrutturate ai partecipanti,
questionari 
LE CLASSI MULTILINGUI
La scuola del passato tendeva all’omogeneità, se qualcuno non era allineato ai livelli scolatici
semplicemente veniva bocciato. Negli ultimi anni alcuni fattori hanno reso impossibile questa
omogeneità per due ragioni principali: 
1 gli studenti con bisogni educativi speciali sono sempre più presenti nelle nostre classi (nel
passato era quasi impossibile avere studenti dislessici, per esempio). Oggi la scuola deve essere
inclusiva, per tutti, agevolare gli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento e personalizzare
il percorso didattico. 
2 Altro elemento di disomogeneità nelle classi è la presenza sempre crescente degli studenti
stranieri nel sistema scolastico italiano. Sono passati da quasi 0 negli anni 80 agli 820.000 di oggi. È
una tendenza sempre più crescente a partire dagli anni 2000 ad oggi, ma questi studenti sono
distribuiti in maniera non omogenea sul territorio nazionale. La regione con più stranieri nelle
scuole è l’Emilia-Romagna 16%, nelle isole e nel sud Italia la percentuale è molto più bassa,
Campania e Sardegna con solo 2,4%. (media italiana del 9,4%) 
La didattica a modello unico è fortemente in crisi. Nella scuola odierna è necessario costruire dei
percorsi personalizzati, che consentano a tutti gli alunni di una classe spesso eterogenea di
lavorare con abilità differenziate. È importante lavorare molto su attività anziché su spiegazioni.
Proprio in questo panorama di differenziazione e personalizzazione si inseriscono bene le
tecnologie, le quali sono una fonte di costante motivazione per lo studente, rendendo la didattica
più coinvolgente, permettendo la personalizzazione delle lezioni, e il docente riesce a dare
materiali diversificati. 
RISORSE: I MATERIALI CARTACEI
L’OFFERTA EDITORIALE A DISPOSIZIONE DELL’INSEGNANTE DI ITALIANO L2
Parte dell’offerta editoriale dedicata all’italiano per stranieri (le espansioni per stranieri di molti manuali)
risulta del tutto inadeguata e si limita a ricalcare l’impostazione del manuale di grammatica tradizionale.
Solo alcuni testi rivolti a stranieri assumono la struttura di un vero e proprio corso di lingua per stranieri,
organizzato in unità progressive, ciascuna con differenti attività.
La scuola e l’editoria hanno risposto male alla richiesta di materiale per lo studio dell’italiano per
stranieri. I manuali di grammatica per stranieri erano la brutta copia di quelli che venivano usati
nelle scuole classiche. Stanno ora nascendo lavori più specifici, in cui si tiene conto della linguistica
acquisizionale (non si può parlare di congiuntivo, condizionale, o periodo ipotetico quando non si
conosce ancora l’indicativo). Sono usciti lavori suddivisi in situazioni di comunicazione, che tiene
conto delle 4 abilità, mettendo insieme comunicazione quotidiana e apprendimento linguistico. 

A COSA POSSONO SERVIRE LE TECNOLOGIE ALL’INSEGNANTE DI ITALIANO?


La scuola pre covid adottava un approccio anti tecnologico in classe, abolendo cellulari e qualsiasi
cosa fosse di nuova generazione. Ma la tecnologia può essere un’alleata. 
Quando nel dibattito scolastico si parla di tecnologia, sistematicamente ci si divide in fazioni. Si
assiste a una divisione dei campi, molto simile a quella che Umberto Eco descriveva negli anni 60 a
proposito della televisione e della cultura di massa. In un suo saggio parlava di apocalittici e
integrati, ossia, rispetto a quei cambiamenti in corso nella cultura di massa, o riguardo alla
televisione, il dibattito era diviso tra apocalittici (la tv come la fine della cultura), e integrati (la tv è
la nuova cultura), una posizione intermedia non esisteva. Un dibattito simile è nato con le
tecnologie a scuola: da un lato vietiamo i cellulari, dall’altro sarà la tecnologia a risolvere tutti i
problemi della didattica. 
ALCUNI PUNTI FERMI PER INIZIARE
1 usare la tecnologia non è automaticamente sinonimo di innovazione didattica. 
Molti credono che il solo fatto di fare qualcosa in classe col pc sia di per sé innovativo.
L’innovazione didattica è quando si mette in discussione le modalità di lavoro tradizionali e si
ricercano nuovi metodi e nuovi obiettivi. Molto spesso le sole tecnologie non bastano, ma
combinate insieme all’analisi e alla messa in discussione dei metodi didattici, possono dare dei
risultati interessanti.
2 l’innovazione didattica è legata al cambiamento dei riferimenti concettuali alla base delle
pratiche didattiche.
Se noi uniamo l’innovazione concettuale con l’apporto tecnologico otteniamo una didattica
efficace. 
3 le tecnologie permeano la realtà: la scuola non può prescindere dalla realtà.
Se a scuola si vietano i cellulari e i computer, chi insegnerà ai ragazzi ad usare consapevolmente le
tecnologie, se la scuola non ci prova nemmeno? Va bene educare al libro cartaceo, educare allo
scrivere con la penna è essenziale, ma bisogna trovare dei compromessi, non fingere che non ci sia
una realtà al di fuori dell’aula, la scuola bisogna confrontarsi col fatto che gli studenti utilizzano il
cellulare, scrivono mail, navigano su internet…

LEARNING BY DOING
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) non sono solo strumento di
riproduzione e condivisione di contenuti, ma anche utili per la costruzione di ambienti di
apprendimento collaborativo, di progettazione, creazione e realizzazione di attività autentiche. 
Le TIC funzionano bene in un’ottica laboratoriale, imparare facendo, quello che insegna un
insegnante di italiano non è un pacchetto di conoscenza, ma sono delle competenze che non
possono essere ridotte a una serie di cose e nozioni. Se l’insegnante deve insegnare a scrivere non
può fare una lezione sulla scrittura ma deve effettivamente svolgere delle attività con l’alunno. La
scuola tradizionale spesso questo non lo faceva, era un’attività individuale e il prof vedeva solo il
prodotto dello studente, ma quello che succedeva nella sua testa. I processi cognitivi non erano
affare dell’insegnante. 
La scrittura e molte altre cose funzionano bene in un’ottica di learning by doing, l’insegnante
cercherà di seguire, di far dire ad alta voce il percorso cognitivo all’alunno, far svolgere attività in
gruppo, agevolare gli studenti in difficoltà affiancandoli a quelli più bravi, dare compiti di difficoltà
crescente, guidare gli alunni. In questo contesto si inserisce bene la dimensione tecnologica. 
Apprendimento basato sui progetti: creare dei progetti, risolvere un problema, gli studenti
devono capire come svolgere il compito in tutte le sue fasi mettendo in pratica molte delle proprie
conoscenze.
Cooperative learning: metodologia didattica in cui si organizzano le attività in gruppi di studenti,
ogni studente del gruppo ha un ruolo ben preciso, e c’è un percorso di osservazione dello
svolgimento di questo progetto, e anche la socializzazione viene valutata. 
Framework europeo per le competenze digitali degli insegnanti. Quello che ogni insegnante
deve sapere a livello tecnologico. 
Secondo il profilo europeo dell’insegnante di lingua, bisogna avere, tra le altre, queste specifiche
competenze:
Il punto 17 “le tecnologie pe un uso pedagogico in classe” usarle come elemento di appoggio alla
propria didattica, usarle per dei percorsi specifici
Punto 18. Usarle come strumento di organizzazione del proprio lavoro (registro elettronico, dad,
saper organizzare una riunione, condividere file, scrivere in modalità collaborativa) 

UNA VISIONE LIMITATA: INTERNET COME CONTENITORE DI RISORSE. 


Cosa il mondo di Internet offre all’insegnante di italiano L2

È una visione limitata ma vera, internet è davvero un grande deposito ma bisogna saper filtrarlo,
selezionarlo, e adattarlo alle esigenze. 
TECNOLOGIE DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE (TIC) E DIDATTICA LINGUISTICA
Byod (bring your own device)
All’inizio si pensava che per portare in classe le TIC, bastasse avere a scuola dei laboratori di
informatica e che quindi si potessero fare attività solo se gli studenti avessero tutti lo stesso pc,
tutti uguali, con lo stesso software, ma questa non è l’unica modalità. È nata una didattica dove
ognuno porta quello che ha, chi ha un pc, chi ha un cellulare, chi ha un ipad, chi un tablet, chi
presterà il suo pc a chi non ne ha, è una didattica che si adatta e funziona tanto quanto la prima. 
ICT informational communicational tecnologies. 
TECNOLOGIE E DIDATTICA LINGUISTICA
Le TIC in classe possono intervenire su tre piani, il primo è la motivazione. Spesso fare le stesse
cose con carta e penna e farle col pc, risulta diverso, le seconde sono più motivanti per lo
studente. Il secondo piano è il modo in cui le TIC cambino l’organizzazione del compito.
Migliorare l’organizzazione del task, come svolgerlo, organizzarlo. Se io dovessi creare un fumetto
senza TIC dovrei fare un investimento di tempo notevole, in più un bambino che non sa disegnare
è ostacolato nel crearlo. Con la tecnologia, invece, ci sono della app che permettono di creare un
fumetto in poco tempo, e resta spazio per concentrarsi su ciò che mi interessa della lezione, ossia
la lingua, l’organizzazione dei dialoghi, la pianificazione della storia ecc…
Il terzo livello si ha quando usare l’app migliora in generale il processo di apprendimento. Chiama
in causa delle abilità che normalmente un compito tradizionale non coinvolge.
Quando si fanno le stesse cose della didattica tradizionale, trasportate semplicemente sul
computer, le TIC non influenzano né l’organizzazione del task, né le abilità linguistiche messe in
gioco. Es. creare mappe concettuali, le posso fare sul quaderno come sul pc. Può impattare sulla
motivazione dello studente. 
Caso opposto quando si impattano sia le abilità linguistiche che le tecnologie usate. Es. scrittura
collaborativa attraverso le tecnologie. La scrittura è sempre stata definita come qualcosa di
individuale, ma farlo in gruppo significa esporre i propri processi cognitivi, sperimentare e
confrontarsi. 
Il caso più frequente è quando non c’è un impatto sulle abilità messe in gioco ma c’è un impatto
sulle tecnologie. Ad esempio, creare un fumetto con le app, o disegnarlo a mano, non cambia le
abilità linguistiche richieste, per quello in entrambi i casi bisogna saper pensare ad un racconto,
una storia, ma quello che cambia è che con le app riesco a farlo in maniera più veloce. Impatta
sulla motivazione e sul compito. 
Il caso più raro è quando c’è impatto sulle abilità linguistiche ma non sulle modalità.

Il processo di scrittura cambia con le ICT?


• Da individuale, la scrittura diventa una attività sociale
• I co-autori sono anche lettori
• L’enfasi è sul processo e non solo sul prodotto. Tutti i passaggi della scrittura sono registrati e lasciano
traccia. Il processo diventa visibile e analizzabile.
• L’enfasi è sulla pianificazione, necessaria.
Lezione 05/03 
Dedichiamo la lezione di oggi alla grammatica, all'insegnamento della grammatica articolando in 
due parti il nostro ragionamento; una prima parte è la pars destruens cioè decostruiamo,
ragioniamo  sui limiti del modo tradizionale di insegnare la grammatica; nelle prossime lezione ci
sarà la  seconda parte cioè la pars costruens ossia liberato il campo da una serie di errori di
approccio della  grammatica tradizionale che cosa possiamo costruire? Ci sono varie possibilità che
vedremo e un  possibile approccio è quello della grammatica valenziale; cercheremo di ragionare da
un punto di  vista delle potenzialità didattiche. 

Iniziamo: 
La grammatica a scuola. 
Dai dati viene fuori che è la bestia nera, è considerata una materia difficile perchè chiama in
causa  una serie di riflessioni. 
Volevo partire da un stimolo un po' largo che però ci fa riflettere su alcuni

aspetti. 

Questa è la rappresentazione della grammatica, l'allegoria della grammatica che non fa altro che 
dare forma artistica a un'idea che è quella codificata da Cesare Ripa, lui codifica il modo in cui noi 
concepiamo e costruiamo le allegorie. La giustizia per esempio è una donna che ha in mano la 
bilancia. La grammatica che fa ? Ci sono due concezioni della grammatica.  

GRAMMATICA 
Donna, che nella destra mano tiene un breve scritto in lettere Latine le quali dicono: Vox litterata et 
articulata, debito modo pronunciata,e nella sinistra una sferza, e dalle mammelle verserà molto
latte. Il breve sopradetto dichiara e definisce l'essere della Grammatica; la sferza dimostra, che
come  principio s'insegna a' fanciulli le più volte adoperandosi il castigo, che li dispone, e li rende
capaci  di disciplina. Il Latte, che gli esce dalle mammelle, significa, che la dolcezza ella Scienza
esce dal  petto, e dalle viscere della Grammatica. 

GRAMMATICA 
DONNA, che nella mano tiene una Raspa di ferro e con la sinistra un vaso, che sparge acqua
sopra  una tenera pianta. 
La Raspa dimostra che la Grammatica desta e assottiglia gli intelletti e il vaso dell'acqua è indicio, 
che con essa si fanno crescere le piante ancor tenerelle de' gli inganni nuovi al Mondo perchè
diano  a' suoi tempi frutti di dottrina e di sapere, come l'acqua fa crescere le piante istesse.
In questa prima caratterizzazione dell'allegoria della grammatica ci sono due aspetti, il primo
lo  conoscevamo già, qui anzichè dar da bere ai fiori la trasmissione è data dal versare latte
dalle  mammelle, la grammatica è proprio la materia nella concezione tradizionale principe
della  trasmissività, è un sapere da trasmettere. 
C'è anche un'altra immagine molto interessante che la grammatica è una donna che tiene in mano 
una sferza, la grammatica come castigo, come quello che serve ad esporre alla disciplina, a
punire. 

Tenete in mente questa sferza, questa bacchetta della grammatica perchè ci tornerà utile,
cioè  ritornerà in futuro. 

Nella seconda definizione è l'immagine tradizionale della grammatica che trasmette il sapere. La 
materia principe della visione tradizionale. 

Qui abbiamo un gioco strano col cartiglio; il cartiglio è interessante perché ci dice un'altra idea che 
abbiamo dell insegnamento della grammatica è ciò che ci serve per poter parlare nel modo corretto, 
qui si sottolinea soprattutto la vox articolata debito modo pronunciata, da l'idea della correttezza, 
ma questo debito modo è dipinto in un modo un po' contorto dal pittore. 

Seconda cosa; il “dar da bere ai fiori” è in realtà un annegare le povere pianticelle, cioè
la  grammatica come un po' invadente nell'occhio del pittore. 
Tutto ciò è interessante perché lo ritroviamo molto nelle pratiche didattiche, quelle più
consolidate  quelle più tradizionali. 
La grammatica è un po' castigo, in fin dei conti fare ad esempio lunghe categorizzazioni,liste ha
un  forte elemento di castigo. Ma c'è un altro elemento su cui mi interessa riflettere. 

Visione di un video  
Premessa 
(Non è un esempio di grammatica tradizionale anzi, un po' paradossalmente secondo il prof,
un  metodo nuovo che circola da qualche anno nelle scuole). 
A livello di contenuti il metodo presentato nel video è molto tradizionale, non c'è nulla di nuovo o 
innovativo. L'innovazione sta semplicemente nell'uso di questi cartelloni, immagini, etc. E' una
grammatica per incasellamento, cioè la grammatica è ridotta a incasellare, rende conto solo di frasi
tradizionali; davanti ad una frase scissa con dislocazioni il bambino si troverà spaesato, si  fonda
più che altro sulla memorizzazione che sul ragionamento. 
(Notiamo il bambino del video quando fa grammatica ha la bacchetta che richiama la sferza di cui 
parlavamo prima). Il prof pensa che questo tipo di metodo porta ad una illusione di apprendimento 
perché se mescolo un po' le carte il bambino, che si è illuso di aver imparato, si sentirà spaesato;
la  grammatica richiede un pensiero, richiede una interiorizzazione di determinati concetti, il
questo  
video e con questo metodo non si sta concettualizzando nulla, sostanzialmente si sta
addestrando  una scimmia. 
Quindi questo metodo prende il peggio della tradizione che è questa grammatica per tassonomia.
Questo metodo propone possiamo dire il modello della grammatica delle liste di cui parlava 
Andriano Colombo, studioso della grammatica e della didattica della grammatica, negli anni 70.
Inoltre, sempre commentando il video, il prof dice che ciò che ha colpito lui è anche un'altra
cosa  cioè quando il maestro dice “ La sorella=soggetto”. Come si fa a dire “la sorella=soggetto”
se  ancora non ho sentito il proseguimento della frase ? 
Una spiegazione può essere che sia una cosa già preconfezionata quindi che il bambino già
sapesse,  ma l'idea profondamente sbagliata è che sembra dire che sia soggetto la prima parola che
viene. Ciò significa che se io tolgo le frasi del libro e metto ad esempio una frase come “Domani
vado a  Napoli” il rischio è che un bambino che ha imparato così dica che il soggetto è domani, dato
che è  la prima parola. 
Alcuni insegnanti lo usano molto, perché è un metodo in cui tutto è già pronto e soprattutto se io
sto all'interno di quel sentiero lì ho l'illusione di aver capito e nel caso degli insegnanti ho l'illusione
i  bambino abbiano capito. 
Si tratta di un metodo analogico, in cui tutto ciò è meccanico, non c'è uno sforzo, non c'è
un  ragionamento . 

Stiamo parlando di un piccolo spunto di partenza perché come vedremo questo metodo non è
che  sia molto diverso da altre cose che sono invalse nella prassi tradizionale. 
 Il prof introduce due pezzi letterari sulla grammatica e l'insegnamento della grammatica per 
iniziare l'argomento. 
Libro di Andrea Molesini “Non tutti i bastardi sono di Vienna”, ambientato a San Donato di Piave 
durante la prima guerra mondiale. Nella fiction del romanzo, però storicamente fondato, c'è uno 
sfollamento del paese e restano solo pochi bambini e il parroco. Il parroco decide di fare scuola ai 
pochi bambini che c'erano dato che le scuole sono chiuse. Nel fare scuola c'è una scena in cui il 
romanziere racconta la lezione di grammatica che ci fa riflettere su come era inteso
l'insegnamento  della grammatica.  

Lettura della scena:  


Il don, la faccia nera come la tonaca, camminava avanti e indietro, e con la sua bacchetta - era un 
metro da sarto - a intervalli regolari assestava un colpo alla lavagna per accertarsi di avere 
l'attenzione dei suoi cèi. «Tu» puntò la bacchetta su Adriano, che soffiava sulle braci «vieni alla 
lavagna». Il ragazzo aveva la faccia lunga e pallida. Richiuse lo sportello della stufa con un colpo. 
Si alzò. Anche il corpo era lungo, smunto. «Muoviti! Cos'hai, incudini al posto dei piedi? Scrivi!». 
Io sedevo in fondo alla classe in attesa del mio turno, avrei dovuto fare un po' di storia di Roma e 
cercavo di concentrarmi. «Scrivi, cèo, scrivi... il mio cane è buono». Adriano scrisse la frase alla 
lavagna. Una parola sotto l'altra, una per riga, sapeva come fare: la grammatica era la croce e la 
delizia del curato. Le lettere di Adriano erano tutte sghembe, le A mingherline, le O obese, e 
dimenticò di mettere l'accento sulla E. Quando smise di scrivere, si premette il gessetto sulla
fronte  in attesa d'ispirazione. «IL xé sogèto» disse dopo un lungo minuto. Il don non mosse un
muscolo.  Sulla classe era sceso il silenzio che precede le battaglie.  
«MIO voi dir che xé mio». Silenzio. «CANE xé nome». Silenzio. Tutti sapevano che «Nome» era
il  nome del cane di Adriano, un volpino grigio. «E... xé verbo». Silenzio. «BUONO xé un 
conplimento de ogèto». Silenzio dei cèi, silenzio delle pareti. Il don si accostò alla lavagna. Adriano
vide il metro del parroco trasformarsi nella lancia di San Giorgio che carica il drago. Fuggì, fuggì 
senza voltarsi, infilò la porta e svanì. La lancia del santo cadde a terra e rimbalzò con un ciac. Don 
Lorenzo si strofinò la calvizie con le due mani, le pedule divaricate sotto la tonaca, gli occhi a
terra,  schiantati: «Santa pazienza» disse «santa pazienza, ghe ne voi na brenta de la pasiensa de
Nostro  Signor! » e congedò la classe con lo sciò-sciò della mano. «Via» disse «via!». Fu così che
ai  bambini di Refrontolo fu risparmiata la mia scarsa dottrina e a Nome toccò una razione
imprevista  di palle di neve.  

Ritroviamo ancora la bacchetta.


Anche qui viene inteso come soggetto la prima parola “IL” 
Quindi elementi seppure nella fiction simili.  

Un altro brano è “Diario di Scuola” di Daniel Pennac, che oltre che essere scrittore è anche un 
insegnante di lettere e ha avuto dei trascorsi come DSA, ha avuto una forma di dislessia non 
diagnosticata e lui ne parla in maniera molto chiara per spiegare i suoi insuccessi scolastici. In 
Diario di Scuola lui parla di questo e parla anche della sua esperienza di insegnante di grammatica
e  fa un altro esempio che fa capire quanta poca strada si faccia con un insegnamento
grammaticale  puramente meccanico.  

Lettura passo: 
Ma allora tu lo fai apposta  
“Chi sa dirmi che tipo di parola è questo lo nella frase ‘Tu lo fai apposta’?” “Io, io! È un
articolo,  prof!” “Un articolo? Perché un articolo?” “Perché il, lo, la, prof! È un articolo
determinativo,  anche!”  
In tono di vittoria. Abbiamo dimostrato al prof che sappiamo qualcosa… Un, uno, una,
articoli  indeterminativi, il, lo, la articoli determinativi, ecco, la faccenda è chiusa. “Ah! Un
articolo  determinativo? E dove diavolo si trova il nome determinato dall’articolo?” “…” Si
cerca.  Nessun nome  
Imbarazzo. Non è un articolo. “Che cos’è questo lo?” “…” “…” “È un pronome, prof!”
“Bravo.  Che tipo di pronome? “ “Un pronome personale” “Non ci siamo.”  
Un pronome atono!” Ecco. Benissimo. Giusto. (…) sono parole pericolose, i pronomi atoni,
mine  antiuomo sepolte sotto il significato apparente e che ti esplodono in faccia se non le
disinneschi.  Questo lo, per esempio…  

LO viene preso come articolo anziché come pronome. 


Anche questo passo mostra quanto sia limitato un apprendimento puramente meccanico
della  grammatica.  

La grammatica deve essere il regno del ragionamento sulla lingua , la prima palestra di linguistica 
possiamo dire. Ma attenzione, adottare un approccio scientifico significa mettersi a discutere, 
ripensare; anche all'interno della grammatica valenziale ci sono stati dei ripensamenti, ci sono state 
delle cose che sono state riconosciute come non ben precisate e ulteriormente modificate; la 
grammatica, come normale che sia in un luogo scientifico, diventa luogo di discussione, di verifica 
di ciò che sto dicendo. Molto più tranquillizzante, ed è la ragione per cui si fa una gran fatica a 
smantellarla, è la grammatica tradizionale dove c'è un illusione di apprendimento. Gli effetti di
questo insegnamento meccanico della grammatica hanno fatto molti danni, perchè la  grammatica è
stata molto studiata ma è anche allo stesso tempo poco conosciuta. Ad esempio molti  studenti
magistrali dopo anni di studi di questo genere vanno in crisi di fronte al minimo  cambiamento
proprio perchè non sono abituati a ragionare. 

E' molto interessante questo perchè ci fa capire che la concettualizzazione della grammatica in 
persone anche molto intelligenti e che soprattutto hanno studiato a lungo queste cose è
difficile,  lontana. 
Quindi vuol dire che qualcosa non ha funzionato.  

Ora il prof legge qualche citazione. 


Luca Serianni, L' ora d italiano, scrive:  
Tra le molte cose che occupano le lezioni di italiano nella scuola media e nel biennio superiore
c’è,  tra l’altro, la grammatica, ossia ciò che nell’opinione comune dovrebbe migliorare le
capacità di  scrittura o almeno garantire un’adeguata riflessione metalinguistica. Ma è davvero
così?  I libri di testo possono aiutare solo fino a un certo punto il lavoro dell’insegnante, specie
se 
guardiamo a molte delle grammatiche oggi in uso, ipertrofiche e talvolta attardate in un
logicismo  grammaticale poco utile e teoricamente assai discutibile.  

Lui si fa una domanda, la grammatica serve per migliorare la capacità di scrittura? Garantisce
un’adeguata riflessione metalinguistica? 
E inoltre in questa citazione di sono due concetti importanti, l'ipertrofia, cioè le grammatiche 
scolastiche vogliono dire tutto, categorie, sotto categorie, eccezioni e così via. E in questo voler 
studiar tutto, pensiamo alle liste lunghissime di complementi , sembra ci sia una gara tra editori 
delle grammatiche a chi ha la lista di complementi più lunga e se lo fanno è perchè sanno che quello
fa colpo sugli insegnanti che devono adottare il testo,si vuole dire troppo, e in questo modo si 
perdono per strada le cose importanti. Ecco perchè uno studia tantissimi complementi, categorie, 
sotto categorie del nome, verbo, aggettivo e cosi via., ma poi magari ha ancora difficoltà a 
riconoscere un aggettivo da un avverbio. Meglio scegliere pochi argomenti e vedere che questi 
siano stati davvero capiti e che non siano stati assimilati in modo puramente meccanico. Altro
concetto che troviamo nella citazione è il logicismo grammaticale. Cioè la grammatica vista  come
il regno della logica. Ma le lingue sono spesso illogiche e l analisi grammaticale delle lingue  deve
dar conto anche di questi fenomeni che non hanno nulla di logico. La grammatica è semmai  cista
come un regno scientifico in cui faccio delle ipotesi e le verifico. Non una semplice  applicazione
meccanica, ma regno della discussione. Questo ci riporta a quanto avevamo visto già  per le 10 tesi,
quindi la critica più sistematica che è stata fatta all'insegnamento grammaticale. La grammatica
nelle Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica (1975) - Tesi VII D) La pedagogia
linguistica tradizionale si è largamente fondata sulla fiducia nell'utilità di  insegnare analisi
grammaticale e logica, paradigmi grammaticali e regole sintattiche. La riflessione  scolastica
tradizionale sui fatti linguistici si riduce a questi quattro punti. Tra gli studiosi, i  ricercatori e gli
insegnanti che si sono occupati del problema dell'educazione linguistica esiste un  pieno accordo
nelle seguenti critiche all'insegnamento grammaticale tradizionale: 

a) parzialità dell’insegnamento grammaticale tradizionale: se riflessione sui fatti linguistici deve 


esserci nella scuola, essa deve tener conto anche dei fenomeni del mutamento linguistico (storia 
della lingua), delle relazioni tra tale mutamento e le vicende storico-sociali (storia linguistica), dei 
fenomeni di collegamento tra le conoscenze e abitudini linguistiche e la stratificazione 
socioculturale ed economico-geografica della popolazione (sociologia del linguaggio), dei fenomeni
di collegamento tra organizzazione del vocabolario, delle frasi, delle loro realizzazioni e 
organizzazione psicologica degli esseri umani (psicologia del linguaggio), dei fenomeni del senso e 
del significato, della strutturazione del vocabolario (semantica); ridotta a grammatica
tradizionale la riflessione dei fatti linguistici esclude dunque tutta la complessa materia di
studio e riflessione delle  varie scienze del linguaggio; 
 
b) inutilità dell’insegnamento grammaticale tradizionale: se anche le grammatiche
tradizionali fossero strumenti perfetti di conoscenza scientifica, il loro studio servirebbe allo
sviluppo delle capacità linguistiche effettive soltanto assai poco, cioè solo per quel tanto
che, tra i caratteri del linguaggio verbale c’è anche la capacità di parlare e riflettere su se
stesso (cosiddetta riflessività  delle lingue storico-naturali e/o autonimicità delle parole che le
compongono); pensare che lo studio riflesso di una regola grammaticale ne agevoli il
rispetto effettivo è, più o meno, come pensare che  chi meglio conosce l'anatomia delle
gambe corre più svelto, chi sa meglio l'ottica vede più lontano,  ecc.;

c) nocività dell'insegnamento grammaticale tradizionale: le grammatiche di tipo


tradizionale sono fondate su teorie del funzionamento d'una lingua che sono antiquate e, più
ancora che antiquate, largamente corrotte ed equivocate (un Aristotele assai mal capito); …
costretti a imparare paradigmi e regole grammaticali, oggi come oggi [1975] gli alunni
delle nostre scuole imparano cose teoricamente sgangherate e fattualmente non adeguate
o senz'altro false.  

Le 10 tesi dicono di restituire il giusto posto alla grammatica e contestano i limiti del
modo tradizionale, e cosa dicono?  
Dicono che l'insegnamento grammaticale tradizionale è parziale perchè di tutti i fatti di lingua , la 
grammatica tradizionali coglie solo alcuni aspetti, forse nemmeno i più interessanti. Osservare
la lingua vuol dire osservare il mutamento linguistico e quindi la storia , l 'evoluzione, il rapporto
tra  vicende sociali e vicende linguistiche, rapporti tra lingua economia, geografia, popolazione, 
territorio. Quindi sociologia del linguaggio, psicologia del linguaggio , interiorizzazione del 
vocabolario e cosi via. Ma di tutto questo la grammatica tradizionale ignora persino l’esistenza.
Per questo possiamo dire che è parziale. Inoltre fatta in questo modo, ridotta a un pezzettino in
maniera molto meccanica non ha alcuna influenza sullo sviluppo delle capacità linguistiche, serve
solo per  riflettere sulla capacità di usare il linguaggio e non è vero che lo studio riflesso di una
regola  grammaticale ne agevoli il rispetto effettivo. Pensare questo è più o meno pensare che chi
meglio conosce l'anatomia delle gambe, corre più svelto, chi sa meglio l'ottica vede più lontano ecc.
Quindi restituiamo il giusto posto alla grammatica. Pensare alla grammatica a come quello che ci
fa  parlare bene è una idea medievale, è un idea che ha avuto corso fino a qualche secolo fa ma
oggi  siamo più consapevoli del rapporto su questo, quindi non far fare alla grammatica, specie se
fatta in  quel modo li, è chiaro che se io la grammatica la uso come elemento per riflettere sui miei
errori ,  per riflettere sull interferenza, ecc , diventa anche strumento di educazione linguistica.
Quindi le 10  tesi non vogliono abolire la grammatica vogliono far si che diventi uno strumento di
educazione  linguistica cosa che non era perchè la tradizione era quella di affidarsi alla grammatica
per fare  tutto. 
C'è un terzo affondo molto importante delle 10 tesi rispetto alla nocività dell'
insegnamento  grammatica. Ma perche nocivo? Perchè dovrebbe far male? 
Perchè la grammatica tradizionale riflette riflessione teorica molto vecchia, molto antiquata.
Quindi  le grammatiche di tipo tradizionale sono fondate su teorie di funzionamento linguistico che
sono  antiquate e più ancora che antiquate, largamente corrotte ed equivocate. 
Un Aristotele mal capito. La nostra impostazione grammaticale è un impostazione che deriva
dalle  categorie aristoteliche, di cui si è perso il carattere aristoteliche e restano solo queste
categorie  vuote, tramandate dal greco al latino, dal latino all'italiano. 
E' una riflessione forte non contro la grammatica semmai per rinnovare l'insegnamento della 
grammatica e restituire alla grammatica il giusto posto nelle discipline scolastiche che è un posto 
importante e come dire, linguisti che si occupano di scuola non possono che ritenere la
grammatica  importante pero la grammatica deve essere fatta in un certo modo e da qui parte una
tradizione di  studio dei limiti dell'insegnamento tradizionale della grammatica. 
(il capitolo 4 del libro di Lo Duca c'è tutto questo, manca solo la parte sulla grammatica
valenziale) Alcuni di questi limiti sono: 
1.Confusione tra categorie linguistiche diverse ( morfologiche, distribuzionali,sintattiche,
nozionali semantiche). 
Questo è quello cruciale. La riflessione sulla lingua è fatta di livelli aspetti diversi ( morfologia, 
sintassi,semantica o criteri che enfatizzano l'ordine degli elementi di cui parliamo). La grammatica 
tradizionale lavora sui concetti e sulla spiegazione dei concetti mescolando cose diverse. Ricorro a 
meccanismi, spiegazioni di carattere distribuzionale per spiegare un concetto sintattico, il soggetto 
in prima posizione, ma soprattutto ricorro a spiegazioni, a categorie nozionali semantiche anche
per  dar conto per spiegare altri aspetti, altri criteri. Questa è una causa di confusione. 

2.Assenza di universalità delle nozioni 

3.Applicazione dissennata del criterio nozionale-semantico. 

Ci invita a riflettere su questo punto. Si usa la semantica come spiegazione per tutto anche per
cose  in cui la semantica non c'entra nulla. Quando noi definiamo il soggetto diciamo che è colui
che  compie l' azione e questo è un esempio di confusione tra categorie linguistiche diverse. Perchè
il  compiere l'azione è una categoria di tipo semantica, evidenzia l'agentività, il fare qualche cosa,
ma  il soggetto è un concetto invece di natura sintattica quindi un qualche cosa di diverso. Posso 
spiegare la sintassi con la semantica ? Posso spiegare mele con pere? In realtà no, o meglio, c'è un 
collegamento tra sintassi e semantica però è talmente complesso che bisognerà aspettare Filmor e 
poi tutta la riflessione sui ruoli semantici, che hanno anche delle rappresentazioni, dei
collegamenti  con la sintassi ma è un concetto troppo complesso per insegnare il concetto di
soggetto. Quindi  quando noi definiamo il concetto di soggetto stiamo facendo esattamente un
errore, una confusione  tra categorie linguistiche diverse. 
Perchè critichiamo le lunghe liste di complementi, come il complemento di argomento ad
esempio ? Perche quando noi mettiamo l etichetta di complemento stiamo facendo un esercizio
nozionale  semantico, diciamo che il significato è l argomento , ma cosa c'entra visto che l analisi
logica  dovrebbe essere un analisi della struttura sintattica della frase? La spiegazione è semplice, si
parla  in italiano di complemento d'argomento perchè in latino c'è una rappresentazione sintattica e 
morfologica per parlare dell' argomento di qualcosa. Ma in italiano no, è semplicemente un 
sintagma retto da una preposizione che potremo chiamare genericamente complemento di 
specificazione, quindi si distingue tra due cose che non ha senso distinguere, non ci da nessuna 
informazione sintattica parlare di complemento di età, di argomento, materia ecc. Viceversa si
distingue spesso specificazione e argomento ma dentro la specificazione ci si piazza  dentro un po'
di tutto anche se sintatticamente sono cose diverse. E' chiaro che lavorando in questo  modo si
hanno nozioni estremamente tarate sul quel livello della lingua, quindi sono nozioni tutt'  altro che
universali. Sono concetti che valgono solo all'interno di una lingua. 

Limiti della grammatica tradizionale: 


1.Dipendenza dal latino. 
2.Assenza di attenzione al lessico, alla semantica e ad altri aspetti di educazione
linguistica 
3.La grammatica serve ad imparare la lingua? 

C'è un libro di Graffi e Colombo fanno una serie di riflessioni: 


«Nel parlare, più spesso nello scrivere, ci accade di trovarci in difficoltà nel tentativo di esprimere
il nostro pensiero: le conoscenze grammaticali possono suggerirci diverse formulazioni alternative
tra  cui scegliere la più efficace. Nella lettura, possiamo trovarci in difficoltà di fronte a
espressioni  sintatticamente complesse: le stesse conoscenze ci aiutano a districarle, a ricostruire
quali parole si  riferiscono a quali» 
 «[…] molti glottodidatti ammettono che la pratica diretta della lingua straniera sia seguita,
prima o  poi, da “spiegazioni grammaticali”; queste spiegazioni forse non avranno un carattere
sistematico,  ma si varranno di una conoscenza abbastanza sistematica della grammatica della
lingua materna, a  partire da una terminologia che, per quanto elementare, non si apprende senza
uno studio. Dunque,  
una certa conoscenza della grammatica della lingua materna avrebbe un po’ una funzione di 
“grammatica universale”: non nel senso di essere quella giusta rispetto alla quale le altre
lingue  sono deviazioni, ma nel senso di fornire un insieme di termini e concetti che possono
essere una  base per confronti tra la lingua nota e quella da apprendere». 

C'è tutta una riflessione per mostrare come una buona competenza grammaticale ci aiuta di fronte 
alla complessità della lingua e delle lingue, per districare, ricostruire il significato delle parole per 
esempio o per esempio per studiare le lingue straniere. Graffi fa vedere due esempi del 
funzionamento della lingua inglese e riflette su come uno studente italiano di fronte alla regola,
che  sia una regola data in partenza e poi esercitata in maniera meccanica o una regola che una
persona  arriva a scoprire attraverso un procedimento induttivo, qualunque sia il mezzo con cui si
arriva alla  definizione di una regola che esiste, io capisco questa regola, se ho chiare alcune
categorie  linguistiche, alcune categorie grammaticali che ho studiato attraverso la mia personale
lingua.  Quindi lo studio della lingua materna è anche un mezzo per studiare le lingue straniere. 
Attenzione siamo un po al caso del latino però, va benissimo studiare l'italiano perchè può servire 
anche al latino però non possiamo studiare grammatica solo perchè ci serve per il latino o per
capire le regole dell' inglese. Però è per mostrare come mettere a fuoco realmente alcuni concetti è
molto  importante.
Graffi scrive:  
1.Se il nome modificato da una frase relativa indica un essere umano, la relativa restrittiva può 
essere introdotta sia da who che da that (the man who came yesterday e the man that came 
yesterday), mentre la relativa appositiva è introdotta solo da who (John, who came yesterday,
ma  non *John, that came yesterday).  
2.Se il pronome relativo ha la funzione di oggetto, può essere omesso