Tim Burton è un giovane autore americano le cui opere, grazie ad uno stile
(l’ultimo dei quali, Big Fish, è uscito nei cinema di recente e per questo motivo
non potrà essere preso in esame all’interno di questo lavoro); a questo elenco è
compattezza visibile fin dai primi lavori e che ha spinto la critica ad attribuire a
Burton entriamo in piena autorialità, intesa non solo come capacità di dar corpo
di valenze che rimandano alla sua stessa sostanza, cioè al suo significato”1.
il termine nel suo senso più puro, in un’accezione molto prossima a quella
teorizzata dalla Nouvelle Vague negli anni ’60: tutta la produzione di Burton è
contrassegnata, in modo indelebile, dal dominio dello sguardo del regista che
1
Franco La Polla, “Ed Wood”, Cineforum, n. 344, maggio, 1995, p. 66
3
contrassegnati da uno stile inconfondibile, frutto di una felice unione di forma e
certo tipo di atmosfera cupa e goticheggiante rivelano, nella loro concezione, una
serie di molteplici valenze allegoriche che si celano dietro alla perfezione grafica
topoi, temi fondativi della poetica burtoniana che si intrecciano con motivi
stesso tempo acuto ed ingenuo, ironico e malinconico, quello dello stesso regista.
Pur riscuotendo notevole successo anche presso il grande pubblico, Tim Burton è
un autore tutt’altro che commerciale: ad un’attenta visione delle sue opere egli
dimostra, infatti, una notevole consapevolezza degli strumenti della propria arte,
Burton è entrato a far parte dello star system senza tradire la propria originalità
4
analizzare la commistione di influenze culturali che lo stesso regista dichiara
essere alla base della propria poetica: il retaggio di una tradizione cinematografica
Burton a sviluppare uno stile visivo unico a cui poi si sono aggiunte una serie di
rappresentazione di sé ha dato vita, film dopo film, ad una galleria di alter ego
dei personaggi, che ha dato buoni frutti poiché, a parte qualche eccezione, è
psicologiche.
altro punto di vista, isolando un aspetto specifico della poetica burtoniana toccato
tematica dell’opera di Tim Burton, compattezza che emerge soprattutto nella forte
serie di testi in cui le marche del soggetto dell’enunciazione saltano fuori da tutte
2
Christian Metz, Cinema e psicanalisi. Il significante immaginario, Venezia, Marsilio, 1980, p. 90
5
Aderendo al percorso tracciato da Christian Metz3 nell’identificazione delle
Nel primo capitolo prenderemo in esame l’esordio del film come momento
principalmente due: stabilire il tipo di istanza narrante che emerge dai singoli
esordi e verificare se, dopo aver individuato l’esistenza di alcune costanti nelle
pellicole esaminate.
3
Christian Metz, L’enunciazione impersonale o il luogo del film, Napoli, Edizioni Scientifiche
Italiane, 1995
6
Nel secondo capitolo la nostra attenzione si concentrerà su un altro elemento
questi temi verranno messi in relazione con gli altri tratti identificativi del cinema
7
CAPITOLO 1
specifici della forte presenza autoriale nel cinema di Tim Burton è l’incipit. Le
vari tipi di narrazione filmica da lui elencati; chiedendosi come e in che misura il
grado e funzione a seconda dei generi e dei modelli di pratica filmica. Anche
all’interno di uno stesso film però, la progressione temporale dell’intreccio può far
sulla particolare ricchezza semantica degli inizi dei testi filmici, tanto da giungere
conterrebbe in nuce il senso ultimo del film interamente concentrato nella sola
sequenza d’apertura, il quale poi “esploderà” per diffondersi nel corso dell’intera
4
David Bordwell, Narraction in the Fiction Film, Madison, University of Wisconsin Press, 1985
8
pellicola. “Il film è sottoposto a una dinamica interna, a una generazione, a delle
plurale, del testo”5. Il film si genera, dunque, proprio a partire dal suo inizio che
stabilisce le regole del gioco, inoltre le prime immagini del film determinano
filmica”6.
del cinema di Tim Burton, verranno prese in esame le dieci pellicole realizzate dal
5
Thierry Kunzel, “Le travail du film 2”, Communications, n. 23, 1975 (citato da Jacques Aumont,
Michel Marie, L’analisi dei film, Roma, Bulzoni Editore, 1996, p. 117)
6
Jacques Aumont, Michel Marie, L’analisi dei film, Roma, Bulzoni Editore, 1996, p. 117
9
1.2 Pee-Wee’s Big Adventure
Burton, il quale viene scelto per dirigere il film dai funzionari della casa di
mostrare già in questo primo lavoro uno stile registico personale e visionario
Il film, privo di una vera trama, anticipa una delle caratteristiche costanti
americana gli rimproveri costantemente il fatto di non saper raccontare una storia.
La ricchezza del cinema burtoniano, dunque, deve essere cercata altrove. Pee-
altro non è che una folle sarabanda di peripezie che coinvolgono il protagonista,
Pee-Wee Herman, un incrocio tra Harry Langdon, Buster Keaton (dotato in più,
Guffin per dirla alla Hitchcock, che fa scattare la lunga serie di gag e di avventure
7
Massimiliano Spanu, Tim Burton, Milano, Il Castoro Cinema, 1998, p. 34
10
quale permette al regista di giocare con i generi tradizionali incastonando di volta
sentimentale e il musical, per poi concludere il film con una rocambolesca fuga
proprio all’interno degli studi Warner, attraverso numerosi set, con la fida
della Warner Bros i titoli di testa scorrono su uno sfondo nero, accompagnati da
una musica allegra composta da Danny Elfman, autore di tutte le colonne sonore
usando le parole dello stesso regista “è come se Elfman avesse aggiunto un altro
dell’opera di Burton dovrà tener conto di questo elemento fondamentale e del suo
mezzo, una somiglianza tutt’altro che casuale in quanto lo stesso Burton non fa
8
Dichiarazione di Tim Burton, in Massimo Monteleone, Luna-dark. Il cinema di Tim Burton,
Recco, Le Mani, 1996, p. 137
11
Inq 1 Il film si apre sulla Tour Eiffel, ma l’illusione dura solo pochi secondi, un
travelling all’indietro ci svela che in realtà quello che stiamo guardando è solo un
cartellone pubblicitario del Tour de France; a conferma di ciò subito dopo davanti ad esso
sfreccia un gruppo di ciclisti che percorre a gran velocità un strada di campagna a fianco
della quale corre una staccionata bianca decorata con bandiere francesi.
Inq 2 Una carrellata laterale accompagna la corsa dei ciclisti finché, all’improvviso,
questi vengono superati da un buffo personaggio vestito con un completo grigio, Pee-Wee
Herman, in sella ad un’enorme bicicletta rossa.
Inq 3-7 Si alternano piani frontali e laterali che mostrano le varie fasi della corsa, con i
ciclisti che cercano ripetutamente di superare Pee-Wee, senza riuscirvi.
Inq 8 Totale dall’alto di un lunghissimo viale alberato. In primo piano campeggia lo
striscione che indica l’arrivo del Tour. Man mano che i ciclisti si avvicinano al traguardo
la macchina da presa (mdp) si abbassa fino a raggiungere il livello della strada proprio nel
momento in cui Pee-Wee taglia il traguardo tra due ali di folla festante.
Inq 9-10 Pee-Wee viene sollevato dal pubblico e portato in trionfo in un tripudio di
coriandoli e palloncini, poi viene condotto davanti al palco della premiazione.
Inq 11 Mdp a livello del terreno, forte angolazione dal basso verso l’alto, Pee-Wee si
avvicina alla miss che ha il compito di premiare il vincitore del Tour.
Inq 12-14 Campi/controcampi sulla linea dei 180°. Si alternano i primi piani (PP) di Pee-
Wee e della miss che sta deponendo una corona sulla sua testa. L’azione sembra quasi
rallentata, la musica crea un effetto di suspence. Nell’inq 14 la mdp si avvicina sempre di
più al volto di Pee-Wee fino al primissimo piano (PPP).
Inq 15-16 All’improvviso lo squillo di una sveglia fa fuggire tutti. Nel totale dall’alto
dell’inq 16 vediamo premiatori, pubblico e fotografi correre via lasciando Pee-Wee, da
solo, nel bel mezzo del prato, davanti ad un palco vuoto.
Inq 17 PPP di Pee-Wee con gli occhi chiusi in attesa della sua corona. Dissolvenza
incrociata del PPP di Pee-Wee con un altro PPP (inq 18) del nostro protagonista, stavolta
con la testa appoggiata ad un cuscino rosso. Un movimento di gru verso l’alto ci mostra
che il suono della sveglia, che è la causa dell’interruzione del sogno, proviene dalla sua
stanza.
inquadrature che variano per durata ed angolazione, il ritmo all’interno della scena
come già detto, delle due dissolvenze all’inizio ed alla fine. La presenza
12
enunciativa in questo incipit è molto forte, Burton non si risparmia angolazioni
l’attenzione dello spettatore non solo sul “cosa” viene mostrato, ma soprattutto sul
il contenuto delle immagini, contenuto che, come scopriamo solo con l’ultima
inquadratura, è di stampo onirico. Quello che apre il film, infatti, è un sogno del
protagonista che, grazie alla sua amata bicicletta, sale sul podio del Tour de
storia del film si sviluppa sempre chiaramente, è una storia raccontata, una storia,
insomma, che è rivestita da una narrazione. La storia del sogno è una storia pura,
una storia senza narrazione, che affiora nel tumulto o nelle tenebre, una storia che
non viene a formare alcuna istanza narrativa, una storia che non viene da nessun
posto, che nessuno racconta a nessuno. E tuttavia è ancora una storia”10. Il sogno è
quindi a tutti gli effetti un racconto secondo per quanto riguarda l’effetto di
“frattura” che causa nella diegesi, e per questo è assimilabile alle altre forme di
seppur specificando che esistono diversi gradi di forza enunciativa a seconda del
rapporto che lega il racconto primo e i racconti secondi incastonati in esso (il
grado forte sarà la mise in abyme più pura, “quando il film nel film è il film
9
Christian Metz, L’enunciazione impersonale o il luogo del film, Napoli, Edizioni Scientifiche
Italiane, 1995, p. 42
10
Christian Metz, Cinema e psicanalisi. Il significante immaginario, Venezia, Marsilio Editori,
1980, pp. 115-116
13
stesso”11). La scelta di Burton di aprire il suo film con un sogno mette in gioco una
questo incipit, affrontando dapprima gli aspetti formali della scena, poi
trasporre sullo schermo il sogno e gli stati onirici (allucinazione, follia, etc.), in
parte per sottolineare quanto il suo stesso statuto sia costitutivamente onirico (la
“fabbrica dei sogni”) e moltissimi teorici si sono soffermati sul rapporto cinema-
spostamento, gli stessi principi grazie ai quali “un oggetto può trasformarsi,
all’istante, in un altro senza provocare lo stupore del sognatore e una figura umana
artificiosa, sia perché deve “marcare” la natura mentale delle immagini che mostra
(in modo da distinguerle dalle immagini “reali”) sia perché deve imitare il
l’incomprensibile puro, ciò che il più comune dei nostri sogni raggiunge
11
Christian Metz, L’enunciazione impersonale o il luogo del film, Napoli, Edizioni Scientifiche
Italiane, 1995, p. 118
12
Christian Metz, Cinema e psicanalisi. Il significante immaginario, Venezia, Marsilio Editori,
1980, p. 113
14
immediatamente e senza sforzo. È per questa ragione, probabilmente, che sono
quasi sempre tanto poco credibili le “sequenze di sogno” che figurano nei film
sequenze oniriche con i più svariati effetti ottici (distorsioni prospettiche, flou,
filtri, mascherini, sovrimpressioni) col risultato che viene a mancare una delle
Burton, per la resa iconica del suo sogno, sceglie delle soluzioni visive non
troppo marcate o artificiose: le immagini che noi vediamo all’inizio non hanno
dalla vivacità dei colori e dalla sapienza con cui la mdp si muove nello spazio
che sarà tipica del resto del film. La sequenza onirica è marcata a posteriori e
Pee-Wee e facendo fuggire tutti coloro che si trovano intorno a lui. Lo stesso
l’aria di essere un suono extradiegetico, perché non ha alcun tipo di legame con le
capacità predittive e nello stesso tempo genera un’attesa che culmina nella
13
Ivi, p. 112
14
Alberto Boschi, “I wake up screaming: la messa in scena del sogno nel noir”, Cinema &
Cinema, n. 61, maggio-agosto, 1991, p. 52
15
suspence. Il mistero viene svelato tre inquadrature dopo, con una dissolvenza
sceglie quindi una soluzione classica, servendosi del segno di interpunzione che
che dorme, come in questo caso. A posteriori notiamo come una lieve atmosfera
onirica pervadesse la scena grazie anche all’atmosfera creata dalla colonna sonora
dell’incipit lo spettatore avrà la certezza che quello che ha visto è solo un sogno.
staccionata bianca che ha ben poco del paesaggio francese, anzi “chiaramente non
costellata di bandiere francesi, chiunque abbia visto almeno una volta il Tour in
televisione o abbia una vaga idea del paesaggio francese difficilmente può essere
un appassionato di sport che non vi è mai stato (e che è dotato di una vivace
farfallino rosso) che indosserà per tutto il resto del film e con un’enorme (e
15
Ken Hanke, Tim Burton. Una biografia non autorizzata, Torino, Lindau, 2001, p. 67
16
pesantissima) bici anni ’50. Lo spettatore di finzione16 che viene attivato in questa
prima scena (non dimentichiamo che i titoli di testa del film scorrono su uno
sfondo nero, perciò queste sono le prime immagini che vediamo) viene sollecitato,
mediante gli indizi che gli vengono forniti dalle immagini, alla ricomposizione del
mondo testuale. Le informazioni date (il cartello pubblicitario con la scritta Tour
falsa, verso la ricostruzione di una realtà diegetica che, dopo un attento esame,
non può essere realistica, ma appartiene al mondo del sogno. L’atmosfera onirica
della scena, quindi, è legata più al contenuto delle immagini che non alla forma.
scena del sogno filmico, che peraltro è posto in una posizione di privilegio proprio
film vuole offrire e all’importanza che il sogno assume rispetto alla situazione del
personaggio. In questo caso la scena non riveste una funzione narrativa vera e
propria, non porta avanti l’azione, che per l’esattezza non è neanche cominciata, è
livello, come abbiamo già notato precedentemente, esso può essere considerato a
come tale, ha la valenza enunciativa (e riflessiva) del film nel film. Ma c’è di più.
16
Ruggero Eugeni, “Nascita di una finzione. La costituzione dello spettatore nei titoli di testa di
Via col Vento”, in Gian Paolo Caprettini, Ruggero Eugeni (a cura di), Il linguaggio degli inizi.
Letteratura, cinema, folklore, Torino, Il Segnalibro, 1988
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