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Comune di Brescia

Gentile Sig.ra
Simona Bordonali
Presidente del Consiglio Comunale di
Brescia
Sede
E p.c. Capi Gruppo Consiglio Comunale
Loro sedi

Gentile Presidente,
Le scrivo per comunicarLe la decisione di ritirare la mia candidatura a Garante dei diritti delle
persone private della libertà personale.
A ricandidarmi, dopo un quinquennio di attività, erano state le due associazioni bresciane di
volontariato in carcere, ACT e Volca alle quali, peraltro, con una lettera in data 28.02.11, che
allego, avevo comunicato la mia disponibilità a ritirarmi, purché lo stesso gesto fosse compiuto
dagli altri candidati, al fine di “giungere alla scelta condivisa di un rappresentante del volontariato
bresciano” .
Purtroppo, raccogliendo questa mia disponibilità, i messaggi lanciati in tale direzione dai due
presidenti, anche nei Suoi confronti, nel corso di un colloquio avuto, a quanto mi è stato riferito,
prima dell’ultima seduta del Consiglio Comunale, non hanno sortito il risultato sperato. Né forse
potevano averne se corrispondono al vero il resoconti giornalistici degli interventri dei consiglieri
di maggioranza.
Con il mio gesto odierno intendo dunque, a questo punto, evitare ulteriori divisioni all’interno del
Consiglio Comunale su una nomina che per sua natura non dovrebbe mai essere caratterizzata da
connotazioni partitiche o da contrapposizioni tra coalizioni di forze politiche e rivolgere i migliori
auguri di buon lavoro al dr Emilio Quaranta sulla cui persona nelle prime votazioni è confluito il
consenso della maggioranza dell’Assemblea.
Lascio con serenità dopo un quinquennio di attività in un incarico di pubblico servizio nuovo nel
panorama istituzionale italiano con qualche motivo di soddisfazione, fra i quali mi limito a
ricordare: la celebrazione di una seduta del Consiglio Comunale della città in carcere; l’aiuto ad
evitare pesanti riflessi sulla comunità e sui detenuti, scarcerati a centinaia nella stessa giornata, a
seguito dell’approvazione a fine luglio 2006 della legge sull’indulto; il contributo dato sollecitando
l’intervento, tempestivamente avvenuto, del Procuratore della Repubblica del nostro Tribunale Dr
Nicola Pace, ad abbattere uno dei non invidiabili primati di Canton Mombello nel panorama
penitenziario italiano (l’altro, che resiste purtroppo, è quello del sovrappopolamento ) e cioè la
consuetudine inaccettabile di condurre in carcere persone che in stato di arresto e in attesa di essere
condotte per la convalida entro 48 ore davanti al Giudice monocratico, dovevano essere invece
custodite presso le celle di sicurezza delle forze dell’ordine esecutrici del fermo; il sostegno ad
alcuni detenuti, tramite il supporto gratuito di un legale, nel presentare reclami al magistrato di
sorveglianza, che li ha accolti, sul mancato rispetto dei fondamentali diritti umani a causa delle
condizioni detentive a Canton Mombello, primo passo questo per inoltrare denuncia contro il
nostro Paese alla Corte Europea dei diritti umani; la battaglia vinta contro l’egoismo di alcuni

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sindaci della nostra civile provincia decisi inmotivatamente a rifiutare certificati di residenza
(documento fondamentale per ognuno di noi e senza il quale non è possibile accedere ai servizi
sanitari ad un occupazione lavorativa, in una parola ottenere soddisfazione di qualunque diritto); le
sollecitazioni a chi di dovere per il disbrigo in tempi accettabili di pratiche per il riconoscimenti di
paternità o le celebrazioni di matrimoni; i richiami al Dap e al Prap per il ripristino del diritto alla
territorializzazione della pena e molti altri atti come può rilevarsi dalle mie relazioni annuali,
ultima delle quali per il 2010 sarà mia cura presentare tra pochi giorni, nonché con i richiami
ripetuti e continui alla responsabilità di tutte le istituzioni sulla condizione disumana e degradante
in cui versavano e versano i ristretti di Canton Mombello e l’invito assillante e continuo alla
pubblica opinione perché si riscatti dal pregiudizio sul significato della pena che non è e mai può
essere vendetta ma strumento di riparazione del male compiuto e via per un nuovo patto sociale
con la comunità.
Certo, in un attività cosi difficile, anch’io come il personale delle carceri e i volontari ho registrato
sconfitte dolorose fra le quali mi limito a ricordare il suicidio di un detenuto straniero nel febbraio
dell’anno scorso, cosi come non posso dimenticare che, nonostante gli sforzi compiuti, accanto alla
speranza di un ulteriore miglioramento della situazione sanitaria dopo la presa in carico del servizio
da parte degli Spedali Civili, resta irrisolto e gravemente lacunoso il problema del lavoro per i
detenuti, in quanto solo un’esigua minoranza di essi può svolgere una qualche mal remunerata
occupazione nei lavori cosi detti “domestici”.
Dalla cronaca giornalistica dell’ultima seduta del Consiglio Comunale ho appreso che mi sarebbe
stato rimproverato dal Capo gruppo della Lega, pur nell’ambito del riconoscimento dell’attività
svolta, di essermi interessato solo “di piccoli problemi” : se queste, cui ho accennato, non sono
questioni importanti non riesco francamente a capire quale siano quelle che avrebbero meritato
maggiore attenzione da parte mia.
Certamente, per quanto mi riguarda e quanto era collegato ai miei compiti e responsabilità, non
quella del nuovo carcere a Brescia che, almeno al tempo in cui ho svolto incarichi istituzionali, era
competenza dell’Ente Locale, per la materia urbanistica, e del Governo, per quanto attiene i
finanziamenti.
A questo punto è doveroso da parte mia esprimere un grazie sincero all’Amministrazione
Comunale della città per avermi concesso il privilegio di un servizio alle ragioni dell’uomo nelle
condizioni difficili della privazione della libertà, servizio in cui ho cercato di trasfondere tutta la
passione di cui sono capace.
Termino ringraziando le varie Direzioni che si sono succedute nelle carceri bresciane e il personale
che opera al loro interno: con tutti, dopo un periodo iniziale in cui, probabilmente anche per
l’assoluta novità di un incarico estraneo a quello dell’amministrazione penitenziaria, ero stato
accolto con “cortese diffidenza”, si è poi instaurata una cordiale ed effettiva collaborazione.
Un grazie anche ai Magistrati di sorveglianza quando, nell’esercizio della loro delicata funzione,
hanno saputo effettuare scelte coraggiose in tema di concessione delle misure alternative al carcere
pur consapevoli di correre il rischio di critiche talvolta malevoli da parte di uno spaccato
dell’opinione pubblica vittima di pregiudizi indotti da strumentali campagne sulla sicurezza di
cittadini all’interno delle proprie comunità.
Un ringraziamento caloroso a tutti i volontari che nel silenzio si dedicano continuamente alla
funzione preziosa e insostituibile di tener saldo il collegamento tra il carcere e la società.
Un ringraziamento affettuoso all’unica mia collaboratrice d’ufficio che, in seguito alla drammatica
vicenda in cui, assieme ad altre cinque colleghe maestre, era stata coinvolta in un indagine per un
reato infamante e che , dopo aver subito, come un'altra collega, due anni di privazione della libertà,
uno in carcere e l’altro agli arresti domiciliari, ha dovuto, per concludere la sua esperienza

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lavorativa, reinventarsi un ruolo nuovo di segretaria d’ufficio. Lo ha fatto con ammirevole


applicazione mentre percorreva man mano le stazioni del suo calvario e mi è stata preziosa aiutante
nel farmi comprendere, avendola sperimentata sulla sua pelle, tutti gli aspetti più reconditi della
vita in carcere e tutte le criticità che la contraddistinguono.
Forse era scritto che il mio incarico si svolgesse accanto a chi aveva sperimentato da vittima
innocente l’improvvisazione di un’indagine giudiziaria anche perché io capissi con maggior senso
di responsabilità quanto vi era di particolarmente delicato nei miei rapporti verso le persone
ristrette, ognuna con la sua peculiare storia umana e giudiziaria per nulla assimilabile a quella di
altri.
Sono convinto che questa brutta vicenda dovrebbe comunque insegnare qualcosa alla nostra
comunità cittadina che la visse come una sorta di processo da storia della “colonna infame” di
manzoniana memoria fuori dalle aule dei tribunali.
Vi furono requisitorie superficiali ed arroganti anche, fra gli altri, da parte di personaggi politici
che ricoprivano allora e ricoprono incarichi elettivi all’interno dell’attuale Consiglio Comunale.
Da essi sarebbe stato doveroso attendersi, dopo le inequivocabili sentenze assolutorie, e sarebbero
da attendersi tuttora, pubbliche richieste di perdono per gli errori di valutazione e
d’improvvisazione compiuti con sbrigative pubbliche anticipate condanne e non, com’è avvenuto,
essere costretti a registrare imbarazzanti rumorosi silenzi..
Così come penso che il Sindaco sia ancora a tempo a scusarsi pubblicamente per conto di tutti, a
nome della Città, verso le vittime per quell’assurda e barbara aggressione alla loro dignità.
Questo, anche questo, vuol dire, per un’Istituzione che tutti rappresenta, concreta garanzia e
salvaguardia dei diritti dei propri cittadini, diritti fra i quali quello alla dignità personale è a mio
avviso il bene più prezioso.
Dignità che, nonostante il dettato costituzionale, non è garantita nella stragrande maggioranza degli
istituti di pena del nostro Paese.

Cordialmente
Mario Fappani

Allegato: lettera ai Presidenti delle Associazioni ACT e Volca

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