Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
Primi poemetti
www.liberliber.it
Questo e-book è stato realizzato anche grazie al sostegno di:
E-text
Editoria, Web design, Multimedia
http://www.e-text.it/
QUESTO E-BOOK:
DIRITTI D'AUTORE: no
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: affidabilità bassa
1: affidabilità media
2: affidabilità buona
3: affidabilità ottima
REVISIONE:
Stefano D'Urso, stefano.durso@mclink.it
Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it
PUBBLICATO DA:
Alessia Cremonini
2
GIOVANNI PASCOLI
PRIMI POEMETTI
[1897]
PAVLO MAIORA
A MARIA PASCOLI
3
Maria, dolce sorella: c'è stato un tempo che noi non eravamo qui? che io non vedevo, al levarmi, la Pania e il
Monte Forato? che tu non udivi, la notte, il fruscìo incessante del Rio dell'Orso? Il campaniletto di San Niccolò, bigio e
scalcinato, che mi apparisce tra i ciliegi rosseggianti de' loro mazzetti di bacche, e i peri e i meli; quel campaniletto,
c'è stato un tempo in cui non lo sentivamo annunziare la festa del domani? Din don... Din don don... Din don don... Non
fu quel prete smunto e cereo, che viene su per la viottola col breviario in mano, non fu esso il rettore che ci battezzò?
non era Mère il buon contadino che ci rallegrava fanciulli col suo parlare a scatti, coi suoi motti e proverbi curiosi? "Il
cane fa ir la coda, perché non ha cappello da cavarsi": ecco una sua osservazione sottile a proposito del nostro Gulì. E
quel fringuello che canta così da vicino il suo francesco mio e il suo barbazipìo, non è stato sempre così vicino? Non li
abbiamo sentiti sempre quei più minuti e più confusi e più teneri chiacchiericci dei cardellini? Quelle verlette (sono
venute da poco a portare il caldo), quelle canipaiole (vennero quando c'era da seminar la canapa; vennero a dirlo ai
contadini), che sembrano ninnare i loro nidiaci con una fila di note sempre uguali; tonde, in gorgia, le prime, limpide e
veloci e tristi come un lamento di piccolo, le altre; non le abbiamo sempre avute nella nostra campagna? E non
abbiamo sempre udito cantar gli sgriccioli, che hanno tanta voce e sono così piccini? gli sgriccioli che... Parlano
romagnolo? Dicono magnè, magnè, magnè!... E quei balestrucci che strisciano intorno per l'aria coi loro scoppiettìi
rapidi e sonori, non li abbiamo sempre avuti nella nostra casa? C'erano anzi, negli anni passati, anche le rondini,
quelle che hanno il pettino rugginoso, non bianco, e la lunga coda biforcuta, e il canto più soave e più parlato; ma
ebbero che dire con queste loro rissose sorelle del pettino bianco; e se ne sono andate. Ce n'è qualche nido sotto il tetto
della chiesa, in un luogo molto ombroso e solitario. Sentono cantare i vespri e le litanie da una parte; dall'altra
frusciare il Rio dell'Orso. Vivono in gran ritiro, come pensose ancora, nel loro appartato sfaccendare, d'una sventura
domestica e comune, toccata là, nelle isole lontane. O rondinelle dal petto rosso, o rondinelle dal petto bianco, se
poteste andar d'accordo! Le une e le altre io vorrei torno torno sotto le mie grondaie, e vorrei avere tutto il dì, mentre
sto curvo sui libri, negli occhi intenti ad altro, la vertigine d'ombra del vostro volo! Mi fate tanta buona compagnia già
voi, bianche. Io non so che cosa succede stamane. Ho sorpreso una viva conversazione familiare dentro un nido.
C'erano pigolìi e strilli. Qualcuno alzava la voce. E ne siete usciti in tre o quattro. Che si è deliberato nella capannetta
sospesa, che forse è la residenza del capo-tribù? forse l'impianto di nuove case? Fate pure. E buona caccia! Le mosche
abbondano quest'anno, come sempre. A proposito: si chiede a che servono le mosche. Chiaro, che a nutrir le rondini. E
le rondini? Chiaro, che a insegnare agli uomini (perciò si mettono sopra le loro finestre) tante cose: l'amore della
famiglia e del nidietto. La prima capanna che uomo costruì, di terra seccata al sole, alla sua donna, gli insegnò una
coppia di rondini a costruirla. Ciò fu al tempo dei nomadi. Le rondini viaggiatrici insegnarono all'uomo di fermarsi. E
gli dettero il modellino della casa. Solo, l'uomo lo capovolse.
Ma questa voce che è? un rotolìo che mai non finisce, come d'un treno che non arriva mai. È il Fiume, cioè il
Serchio. Di', Maria, dolce sorella: c'è stato tempo che noi non s'udiva quella voce? Oh! sì: belle Panie aguzze e
taglienti, bel fiume sonoro, cari balestrucci affaccendati, care verlette, care canipaiole, cari reattini, caro campanile;
sì, c'è stato quel tempo che noi non si viveva così da presso. E se sapeste, che dolore allora, che pianto era il nostro,
che solitudine rumorosa, che angoscia segreta e continua! Ma via, uomo, non ci pensare: mi dite. Ma no, pensiamoci
anzi. Sappiate che la dolcezza lunga delle vostre voci nasce da non so quale risonanza che esse hanno nell'intima
cavità del dolore passato. Sappiate che non vedrei ora così bello, se già non avessi veduto così nero. Sappiate che non
godrei tanto di così tenue (per altri!) materia di gioia, se il martòro non fosse stato così duro e così durevole e non
fosse venuto da tutte le possibili fonti di dolore, dalla natura e dalla società, e non ne avesse ferito tutte le possibili
sedi, l'anima e il corpo, l'intelligenza e il sentimento. Non è vero, Maria? E benedetto dunque il dolore! Perché in ciò
riconoscere un atroce sgarbo della matrigna Natura, che il poco bene che ci dà, ci dia solo a patto di male? Io dico
parola più giusta. Io dico: O madre Natura, siano grazie a te che anche dal male ricavi per noi il bene. Noi, mansueta
Maria, abbiamo a lungo camminato per l'erta viottola del dolore, e ci siamo anche stancati, o Maria, molto; ma la
passeggiata ci ha dato un giovanile appetito di gioia. Sì, che anche una crosta ammuffita e una scodella di legumi sono
buon cibo alla nostra fame.
Ricordiamo, o Maria: ricordiamo! Il ricordo è del fatto come una pittura: pittura bella, se impressa bene in anima
buona, anche se di cose non belle. Il ricordo è poesia, e la poesia non è se non ricordo. Quindi noi di poesia ne
abbiamo a dovizia. Potrò significarla altrui? Aspettando i “Canti di Castelvecchio” e i “Canti di San Mauro”, il
presente e il passato, la consolazione e il rimpianto, aspettando questi canti che echeggiano già così soave nelle nostre
due anime sole; leggi, o Maria, anzi rileggi questi poemetti. E leggeteli voi, anime candide, cui li affido. Leggeteli
candidamente. Perché pare naturale in chi legge una continua preoccupazione, come se egli pensasse o sapesse che chi
scrive si rivolge a lui con aria di baldanza e quasi di sfida, dicendogli: Vedi come sono bravo! Onde il lettore fa ogni
sforzo per resistere e non lasciarsi persuadere o commuovere da colui che egli suppone sia per menar vanto di tale
successo. Oh! no, candide anime! io non voglio farmi onore; voglio, cioè vorrei, trasfondere in voi, nel modo rapido
che si conviene alla poesia, qualche sentimento e pensiero mio non cattivo. Vorrei che voi osservaste con me, che a
vivere discretamente, in questo mondo, non è necessario che un po' di discrezione... Vorrei che pensaste con me che il
mistero, nella vita, è grande, e che il meglio che ci sia da fare, è quello di stare stretti più che si possa agli altri, cui il
medesimo mistero affanna e spaura. E vorrei invitarvi alla campagna.
Appunto oggi è arrivata gente di fuori, di lontano. I rondoni. Strillano in gruppi di quattro o cinque: in corse
disperate, come pazzi. Fanno il nido nei buchi lasciati dalle travi. Ecco che io ho intorno casa anche i rondoni, popolo
bellicoso e straniero, vestito di nero opaco. Ahimè! con le rondini non andranno d'accordo! saranno risse e guerre! Ma
4
no. Io vi racconto, per finire, un fatto di cui sono stato testimonio or ora. Un rondone (è forse una femmina: certe bontà
si suppongono meglio in una che fu o è per essere madre), un rondone viene e rinviene, col suo volo di saetta, a uno de'
miei nidini di balestruccio. Vuol forse impadronirsene? cacciarne la famiglia che c'è già? No: egli porta ogni volta
qualche cosa da mangiare; sta arrampicato un poco alla porticella o finestrella del nido, ed è subito sbarazzato della
sua piccola preda. O caro buon rondone: tu non hai forse da fare oggi; tu non hai forse ancora compagno o
compagna; e, tanto per non stare (ero per dire, con le mani in mano: ma non si tratta d'uomini, qui) per non stare in
ozio, dài un po' d'aiuto a una rondinella, a una d'altra nazione e razza, che ha forse troppi figliuoli e troppo da fare e
poco da mangiare. Carità... internazionale! O caso più pietoso ancora, si tratta d'orfanelli? e un altro povero li nutre e
tira su alla meglio?
Uomini, dirò come in una favola per i bimbi: uomini, imitate quel rondone. Uomini, insomma contentatevi del poco
(«assai» vuol dire sì abbastanza e sì molto: filosofia della lingua!), e amatevi tra voi nell'ambito della famiglia, della
nazione e dell'umanità.
Ma io non parlo più a te, dolce Maria. Eccomi a te di nuovo... Ma c'è da fare il pane. Oggi è sabato. Lasciamo la
penna, e andiamo. Andiamo, buona sorella, a fabbricarci il nostro pane quotidiano, o, a dir meglio, settimanale, che ci
sembra poi così buono, né solo perché fatto a crocette, come è usanza della nostra Romagna (qua li chiamano
colombini, come quelli di Pasqua), ma perché intriso, rimenato e foggiato dalle nostre proprie mani. Andiamo dunque
a fare opera... indovina, di che?... di emancipazione, figliuola mia!
GIOVANNI
5
LA SEMENTA
L'ALBA
II
III
6
a quando a quando battere il pennato):
NEI CAMPI
II
III
7
La sementa spargea con savia mano;
altri via via copriva la sementa.
L'aratro andava, nell'ombrìa, pian piano:
PER CASA
II
III
8
se mi riesce, questi due radicchi,
ch'ho già intoccati, con altr'erbe amare.
IL DESINARE
II
III
9
Rosa e Viola furono in cammino.
Ma la pia madre altro pensò; discese;
spillò la botte d'un segreto vino.
L'ANGELUS
II
10
III
IL CACCIATORE
II
11
e mi pareva un canticchiar di stelle.
III
LA CINCIA
II
12
fanno la guardia, e il re ne' suoi sambuchi,
tra molta signoria di fiorrancini,
III
L'AVEMARIA
II
13
E le campane, A nanna a nanna! l'una;
l'altra, Dondola dondola! tra il volo
de' pipistrelli per la costa bruna.
III
LA NOTTE
II
14
che riguardava tra un cespuglio raro,
improvvisa cantò la cinciarella.
III
15
IL BORDONE - L'AQUILONE
IL BORDONE
16
IL VISCHIO
II
III
17
IV
VI
18
IL TORELLO
II
III
19
con nella mano il grande albero snello.
IV
20
Passa: un uomo alla testa, uno alle spalle:
è impastoiato, ad or ad or trempella...
Passa... Oh! poggi solivi! ombrose stalle!
II
21
e di laggiù, tra tutto quel celeste,
III
IV
22
E Piangi... Pensa... Dormi... Egli, sotterra
dorme! ed in terra appena benedetta!
dorme sotterra, e non nella sua terra!
VI
L'ALBERGO
23
Non i loquaci spettator che suole,
avrà sui merli il volo de' rondoni
(uno svolìo di moscerini al sole
LA CALANDRA
24
la romanella delle risaiole;
II
25
lungo le verdi persïane chiuse.
III
CONTE UGOLINO
26
E vidi te, cerulea Gorgona;
II
III
27
E nella calma lucida e profonda,
nudo sul trampolino, con le braccia
arrotondate su la testa bionda,
DIGITALE PURPUREA
II
28
di sentor d'innocenza e di mistero.
III
29
con un suo lungo brivido...) si muore!»
SUOR VIRGINIA
II
30
veniva da un lontano casolare.
III
IV
31
Ella sentito non ne aveva il passo,
perché va scalzo. Sulla soglia trita
certo aspettava col cappuccio basso.
VI
LA QUERCIA CADUTA
32
Pendono qua e là dalla corona
i nidietti della primavera.
Dice la gente: Or vedo: era pur buona!
L'AQUILONE
33
Sono le voci della camerata
mia: le conosco tutte all'improvviso,
una dolce, una acuta, una velata...
34
IL VECCHIO CASTAGNO
E Viola tornò per coglitora,
dopo sementa, dal suo zio d'Albiano.
Ed ecco, i cardi non cadeano ancora.
35
piccolo, giallo, chiuso. Era un invito:
...Viola!... Violetta!...
Non la vedi costì? C'è da stamani.
Ce l'ha lasciata il caro zio. L'accétta!
II
III
36
Ché venne aprile, e io sentiva, assòrto,
dalle mie fibre risalire il succhio
cercando in alto ciò che m'era morto:
IV
37
dalla lor casa, il caldo alito, quando
il vecchio tramontano anche lui ruma
VI
VII
VIII
38
Ecco, il nostro fruttato io l'accompagno
anche in morte, morendo a poco a poco,
e di me l'uomo ha l'ultimo guadagno.
IX
39
L'ACCESTIRE
L'ALLORO
II
III
40
E su la conca ella sfogliò l'alloro,
IL BUCATO
II
III
41
e poi spariva; e giù per la profonda
conca invadeva i panni... che parenti
erano anch'essi, e su la stessa sponda
vedevi insieme poi ruzzare ai venti.
LA BOLLITURA
II
III
42
E c'era odor di cenere e d'alloro,
e il fuoco ardeva. Giù la tramontana
scendea mugliando; ed un tin tin sonoro
s'udiva intanto come di fontana.
II
III
43
un canapaio nero ancor di fimo.
LA VEGLIA
II
III
44
E venne Rigo. E venne il vino arzillo,
e bevve ognuno: il vino aspro, raccolto
quando nei campi già piangeva il grillo.
GRANO E VINO
II
45
III
L'OLIVETA E L'ORTO
II
46
ch'è sempre pieno del ronzìo dell'api!
III
LA SIEPE
II
47
e lieto il cane, che non è di troppo,
III
ACCESTISCE
II
48
Mezzanotte. Ogni casa, ogni paese
dormiva. Egli era nella via maestra:
guardava in alto, donde già discese:
III
49
I DUE FANCIULLI - I DUE ORFANI
I DUE FANCIULLI
II
III
50
ronzio d'un'ape dentro il bugno vuoto.
NELLA NEBBIA
LA GRANDE ASPIRAZIONE
51
Voi vi torcete come chi dispera,
alberi schiavi! Dispergendo al cielo
l'ombra de' rami lenta e prigioniera,
L'IMMORTALITÀ
II
III
52
ma sono, istanti e secoli, a chi muore,
IV
IL LIBRO
II
III
53
E sfoglia ancora; al vespro, che da nere
nubi rosseggia; tra un errar di tuoni,
tra un alïare come di chimere.
LA FELICITÀ
IL CIECO
II
54
«Donde venni non so; né dove io vada
saper m'è dato. Il filo del pensiero
che mi reggeva, per la cieca strada,
III
IV
VI
VII
55
le va fremendo tra la chioma folta.
VII
IX
L'EREMITA
II
56
l'ombra del sogno e l'ombra della cosa;
ma questa è il buio a chi desìa vedere,
III
IV
L'ASINO
57
l'asino vidi con la sua carretta.
II
III
IV
58
passero solitario, ancor per uso
torni nel solitario tuo castello;
VI
59
IL TRANSITO
IL FOCOLARE
II
60
riposerò! - Dal vagolare incerto
volgono a quella sotto l'aer bruno.
Eccoli tutti avanti l'uscio aperto
III
IV
VI
61
siedon del vano focolare al canto,
a quella fiamma tiepida e non vera.
VII
I DUE ORFANI
II
62
«Ricordi? Allora non si stava in pace
tanto, tra noi...» «Noi siamo ora più buoni...»
«ora che non c'è più chi si compiace
63
LE ARMI
«Nando!» al su' omo disse il babbo «Nando!
Di tuo tu devi aver già l'armi, nuove,
ben fatte. Dunque va dove ti mando.
64
dava il pennato fitti colpi secchi.
65
Ché la Corsonna a lui correa pel fosso
perennemente, ad un suo cenno presta,
quando accennava: Ora da me non posso.
II
III
66
sasso che gli risuona come argento!
IV
67
Poi mise fuori ciuffi code fiocchi
spighe rappe, la nebbia esile e vana,
pendule nappe, tremuli balocchi.
VI
VII
68
e poi riposa, quando bolle il mosto.
69
ITALY
Sacro all'Italia raminga
CANTO PRIMO
II
70
Avea pulito greppia e rastrelliera;
ora, accendeva... Udì sonare fioco:
era in ginocchio, disse la preghiera.
III
IV
71
the snow! la neve, a cui splendea l'aurora.
72
per farsi un campo, per rifarsi un nido...
VI
VII
73
perché ciascuna fosse bella unita.
VIII
IX
74
Stava lì buona a' piedi d'un soppiano;
girava l'aspo, riempìa cannelli,
e poi tossiva dentro sé pian piano.
CANTO SECONDO
II
III
75
O Moll e Doll, venite! Ora comincia
il tempo bello. Udite un campanello
che in mezzo al cielo dondola? È la cincia.
IV
VI
76
VII
VIII
IX
77
Sta lì nel canto come non ci fosse.
XI
XII
XIII
XIV
78
Passa cantando: Al mare! Al mare! Al mare!
e l'Alpe azzurra ne rimbomba in cerchio,
e il cielo azzurro vede là fumare
XV
XVI
XVII
XVIII
79
dal ponte ingombro delle nere navi,
XIX
XX
80
Sweet sweet... era un sussurro senza fine
nel cielo azzurro. Rosea, bionda, e mesta,
Molly era in mezzo ai bimbi e alle bambine.
81