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film -
Storia Del Cinema
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
51 pag.
1. Il percorso dell’analisi
1.1 Analizzare
Si tratta quindi di un percorso alla fine del quale si guadagna una migliore
intelleggibilità dell’oggetto investigato.
L’analisi mira a:
2. I procedimenti dell’analisi
2.2 La scomposizione
A queste due serie si dovrà rispondere con i propri criteri di intervento, in parte
condizionati da regole condivise, ed in parte determinati dalla creatività.
gli episodi: più storie o fasi marcatamente diverse di una stessa storia.
Di solito nei film ci sono marcatori che indicano la fine di un’unità di questo
tipo e l’inizio di un’altra. (titoli in sovrimpressione, voci fuori campo,
cambiamenti spazio-temporali importanti.
2.3 La ricomposizione
2.3.2 L’ Enumerazione
2.3.3 L’ Ordinamento
Con queste prime due operazioni si mette a nudo un sistema di relazioni, una
trama complessiva, e si chiude la fase di inventario e organizzazione.
2.3.4. Il Ricompattamento
la gerarchizzazione.
2.3.5 La modellizzazione
modelli statici: delineano i legami tra gli elementi del film, cogliendoli
in una visione immobilizzata. Non si guarda la processualità, ma
l’articolazione generale.
Non sempre nella pratica dell’analisi tutti i passaggi fin qui evidenziati vengono
rispettati o esplicitati, per esigenze di scorrevolezza dell’esposizione.
Purtuttavia l’itinerario è corretto, e va almeno mentalmente seguito in ogni sua
fase.
3.3 I segni
Il film ovviamente utilizza tutti e tre i tipi di segno: le immagini sono icone,
musica e parole sono simboli, i rumori sono indici. E in ogni caso all’interno di
ogni linguaggio si possono ritrovare valenze iconiche, indessicali e simboliche.
3.4 I codici
E’ solo grazie alla presenza simultanea di questi tre aspetti che un codice è in
grado di funzionare.
Il cinema non ha probabilmente codici “forti” come quelli delle lingue naturali.
Tuttavia ci sono insiemi di possibilità ben strutturati, in cui gli elementi hanno
valori ricorrenti, e cui si può far riferimento comune.
filmici: quelli che non sono legati al cinema in quanto tale, ma possono
manifestarsi anche al di fuori di esso.
Questi dati non sono estranei alla dimensione linguistica del cinema,
soprattutto perché incidono sulla “definizione”, sulla qualità e quantità
dell’informazione e quindi sulla praticabilità o meno di alcune soluzioni
espressive.
Si tratta di codici che non sono esclusivi del cinema, ma sono condivisi da altri
linguaggi come la fotografia o la pittura. Si parte dai codici che regolano
l’immagine in quanto tale:
1.iv. Totale
2. Gradi dell’angolazione:
3. Gradi dell’inclinazione:
1.
1.
movimento di macchina
Le tracce grafiche sono direttamente legate ai codici della lingua con cui sono
costruite. Nel cinema però intervengono principi di costruzione particolari,
legati ai codici narrativi (ad es. “Dieci anni dopo…”). Esistono inoltre i codici
stilistici e figurativi, che intervengono nel trattamento grafico, e fanno del titolo
un elemento composito, che si legge come un nome e si guarda come
un’immagine. E infine si deve tener conto delle connotazioni legate alla
dimensione delle lettere, all’eventuale animazione o decorazione, ecc.
I codici che regolano i fatti sonori sono molto ampi, e caratterizzano ogni forma
di espressione: volume, altezza, ritmo, colore, timbro, ecc.
Il suono diegetico interiore e quello non diegetico si dicono anche suoni over,
perché non provengono dallo spazio fisico della vicenda.
La voce
Il primo codice che regola il parlato è sicuramente quello della lingua del
parlante, ma i codici che determinano la forma filmica del parlato sono altri.
I rumori
La musica
Ogni film è caratterizzato dalla messa in opera di solo alcune delle categorie
che abbiamo visto. Ne deriva un sistema di scelte coerente e motivato,
articolato per addensamenti e rarefazioni intorno ad alcune opzioni, che finisce
per marcare l’individualità e organicità di un testo.
4.1 La rappresentazione
3. il livello dei legami: ciò che vediamo e sentiamo prosegue ciò che
avevamo visto e sentito in precedenza, e ci fa prefigurare ciò che avverrà in
seguito. Sono le relazioni che le immagini intrattengono tra di loro.
Di solito questi tre livelli vengono riportati ad altrettante fasi del lavoro
cinematografico:
A questo livello l’analisi deve passare dal considerare l’immagine singola a più
immagini. Nel momento in cui due immagini vengono fisicamente assemblate
(montaggio) si instaurano delle relazioni tra i mondi rappresentati e i rispettivi
parametri di rappresentazione, che si intrecciano e moltiplicano per tutto il film.
Tutte queste categorie in ogni caso rinviano ad una presenza unificante, che si
ritrova trasversalmente: la presenza di un mondo. E come tutti i mondi, anche
quello sullo schermo è dotato di una dimensione spazio-temporale organica e
unitaria. E' la presenza di questo “cronotopo” a unificare i tre livelli della
rappresentazione, a costituire l’elemento connettivo fra essi.
La dimensione “off”, ovvero di tutto ciò che è fuori dal quadro, è indagabile su
due versanti:
ciò che si trova al di fuori dal campo visivo, in ogni caso, “preme” sui margini
del quadro, fin quasi a scardinarli, evidenziando i limiti dello sguardo della
cinepresa e la parzialità della sua scelta.
4.4.2 L'ordine
2. Il tempo ciclico: gli eventi sono ordinati in modo tale che il punto di
arrivo risulti analogo a quello di origine, ma non identico.
3. Il tempo lineare: gli eventi sono ordinari in modo tale che il punto di
arrivo risulta sempre diverso dal punto di partenza. All'interno di questa
categoria possiamo distinguere ulteriori configurazioni:
4.4.3 La durata
contrazione:
o riassunto:
dilatazione:
rallentatore
4.4.4 La frequenza
Il mondo possibile costruito dal film non è infatti privo di agganci con il mondo
reale. E il fitto gioco di elaborazioni e di richiami, ricreazioni e ripresentazioni
che l'immagine filmica conduce, ha al centro proprio la decisione di spingere
più o meno sul pedale delle somiglianze o su quello delle differenze: una scelta
tra un'intenzionalità analogica forte e una debole.
Distinguere tra questi due ambiti non è così intuitivo come sembra. Si possono
individuare a tale scopo tre criteri:
5.2.2 L'ambiente
Per il primo caso, si potrà parlare quindi di ambiente ricco o povero, armonico o
disarmonico. Per il secondo aspetto, si parlerà di ambiente storico o
metastorico (nessun riferimento ad epoche o luoghi precisi), caratterizzato
o tipico (con riferimento a una situazione canonica).
Per definire i ruoli è importante richiamare i sistemi di valori di cui essi sono
portatori. Inoltre ogni ruolo è caratterizzato sia dall'estrema specificazione delle
funzioni sia dalla combinazione di più tratti.
All'interno dello schema narrativo generale, ciascun attante può distinguersi via
via in alcuni tratti supplementari. Esso può essere:
di stato o di fare, a seconda che il suo legame con gli altri attanti sia
di “giunzione” o di “trasformazione”
Per quanto riguarda le azioni, si deve anche qui partire da una classificazione
sulla base degli aspetti fenomenologici, formali e astratti.
volontario o involontario
cosciente o incosciente
individuale o collettivo
unico o ripetitivo
L'azione può anche essere esaminata in quanto atto, ovvero in quanto pura
struttura relazionale che lega degli attanti.
In questo senso ogni funzione narrativa potrebbe essere tradotta in una serie di
operazioni elementari, perdendo in senso di concretezza e specificità
dell'azione, ma guadagnando in estensibilità e generalizzazione delle
osservazioni.
Anche questo schema può essere utilizzato per raggruppare classi di funzioni
narrative (ad es. il mandato comprende l'obbligo, il divieto e l'allontanamento,
ecc.)
5.4 Le trasformazioni
Gli eventi, nel momento stesso in cui hanno luogo, intervengono sul corso della
vicenda, provocandone l'evoluzione. L'evento è ciò che muove il racconto. E
ogni azione produce un cambiamento di scenario, un passaggio da una
situazione ad un'altra, attraverso un processo di trasformazione.
o impliciti o espliciti
All'interno di questo schema è possibile ricavare dei percorsi. Dal punto di vista
del beneficiario del miglioramento, il processo porterà alla rimozione
dell'ostacolo che provoca il suo stato di mancanza iniziale, attraverso
l'attualizzazione di certi mezzi possibili. L'attualizzazione può avvenire
casualmente (evento fortuito) oppure volutamente (missione da compiere). E in
quest'ultimo caso il protagonista potrà avvalersi di agenti-alleati, mentre sarà
ostacolato da agenti-antagonisti.
Tutto questo può essere però letto anche dal punto di vista di chi persegue il
peggioramento: alleati e antagonisti si invertono. Ma anche dal punto di vista di
chi patisce il peggioramento, ecc.
L'approccio formale rende quindi ben conto delle varie possibilità narrative e
delle scelte conseguenti.
Rispetto a quanto detto finora, tre sembrano essere i grandi regimi narrativi, le
forme fondamentali del narrare:
I tre regimi ovviamente sono tipi ideali, rappresentano dei modelli verso cui
ciascun film può tendere. E comunque queste tre tendenze hanno attraversato
in senso cronologico l’evoluzione del cinema: dal classico hollywoodiano alla
nouvelle vague al cinema contemporaneo.
In tempi recenti poi si è fatto strada anche un altro tipo di racconto, trasversale
rispetto ai tre evidenziati: quello del “raccontare il proprio raccontare”, cioè
esibire la propria azione di narratore, manifestare il testo in quanto tale,
rendere espliciti i meccanismi alla base dell’operazione.
Possiamo cogliere nel testo filmico non solo il riflesso dei processi di scambio in
cui è coinvolto, ma anche gli effetti di questi processi sulla sua struttura e
funzionamento. Dalla maniera in cui immagini e suono si dispongono e operano
possiamo dedurre sia il “farsi” del film (ovvero l’identità di un progetto
organizzativo e comunicativo, una provenienza), sia il suo “darsi” (ovvero un
principio di interpretazione, un orizzonte di attese, una destinazione).
Esistono però all’interno del testo elementi che segnalano il punto da cui esso
si origina, e il punto verso cui si muove. Queste figure interne sono classificabili
proprio in base al polo della comunicazione che rappresentano: il destinatore o
il destinatario. Esse non sono più realtà concrete come l’Emittente e il
Recettore, ma rimandano ad un ruolo, simulano all’interno del testo un
rapporto comunicativo che concretamente l’Emittente e il Recettore
intrattengono grazie al testo stesso. E inevitabilmente finiscono per ridefinire il
profilo delle figure reali.
Nei testi filmici, il punto di vista è quello dove è stata collocata la macchina da
presa, e coincide con l’occhio dell’Emittente.
In un immagine filmica sono presenti tutti e tre gli aspetti: il più evidente è
quello ottico. Ma a seconda di cosa mostra e cosa nasconde, l'immagine
seleziona gli aspetti del visibile ed evidenzia determinati dati ed informazioni
(aspetto cognitivo). Inoltre, a seconda di come è costruita, evidenzia valori e
ideologie di riferimento. Mutare il punto di vista significa quindi l'individuazione
di altre porzioni del visibile, altre informazioni e altre assiologie.
Il film può essere quindi visto come un insieme di focalizzazioni. La cosa risulta
ancora più evidente quando vi sono più punti di vista.
Nel testo filmico ci possono essere elementi che, dotati di un punto di vista,
fungono da veri e propri agenti di focalizzazione, i focalizzatori. Questi
personaggi possono assumere funzioni di Narratori o di Narratari. Tre possono
essere le configurazioni possibili:
I punti di vista espressi nel film, in particolare quelli specifici dei Narratori e
Narratari, si caratterizzano quindi spesso per un diverso grado di conformità
rispetto al punto di vista che li ingloba e definisce (quello dell'Autore e
Spettatore impliciti). Si possono allora ipotizzare due casi opposti:
Lo “sguardo” ingloba sia il vedere che il sapere che il credere. E' possibile
identificarne quattro grandi tipologie, che derivano da diverse combinazioni dei
fattori comunicativi e da diversi gradi di esplicitezza che questi fattori
assumono.
6.4.2 L'oggettiva
6.4.4 L'interpellazione
6.4.5 La soggettiva
Quanto appare sullo schermo coincide con quanto un personaggio vede, sente,
apprende, immagina, ecc.. Abbiamo un Autore implicito, ma soprattutto uno
Spettatore implicito e un Narratario che lo rappresenta. Lo spettatore assume
una posizione per così dire attiva, entrando in campo attraverso gli occhi, la
mente, le credenze del personaggio. Ne derivano un vedere “limitato”, un
sapere “infradiegetico” (calato completamente nel vissuto di chi sta in
scena), un credere “transitorio” (che dura finché dura la credibilità di chi è
in campo).
C'è però la possibilità che questa struttura subisca delle variazioni: il piano
cognitivo può essere in mano allo Spettatore implicito (opere aperte), oppure a
carico di un Narratore o Narratario. Oppure Autore e Spettatore impliciti
possono operare sia sul piano cognitivo che pragmatico, eliminando ogni figura
vicaria, ogni altro punto di vista (testi descrittivi o in presa diretta). E ogni
configurazione può poi accavallarsi e intrecciarsi con le altre.
Anche sul terreno della comunicazione, così come per le altre prospettive di
analisi del film, si procede per addensamenti e rarefazioni, disegni unitari ed
emergenze imprevedibili: anche qui si possono individuare in prima
approssimazione sistemi coerenti di scelte attorno a cui si aggregano le singole
soluzioni: regimi che definiscono le opzioni di fondo delle dinamiche
comunicative.