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Patrologia.
Antologia
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Da
Clemente
Romano
a
Cipriano
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a.a.
2016/2017
Prof.
Matteo
Monfrinotti
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Introduzione
Quanto propongo alla riflessione si basa proprio sugli antichi testi cristiani, composti da quegli
autori (i Padri della Chiesa) che, sostenuti dall’insegnamento evangelico, vollero essere anzitutto
catecheti prima ancora che letterati.
I loro scritto costituiscono dunque non solo un campo letterario, ma la sorgente più genuina
cui attingere la storia e la spiritualità della Chiesa antica intesa nel senso pieno e autentico di popolo
di Dio. Quella Chiesa definita giustamente costitutiva per quelle note di essenzialità e sostanzialità
evangelica di cui vive e che viene ancora oggi a proporre.
Gli scritti dei Padri della Chiesa, infatti, non offrono solo la cronaca di un passato, la vita
cristiana di un tempo; gli scritti della cristianità non sono un reperto archeologico; leggendoli e
interpretandoli si percepisce immediatamente che sono ispirati sempre e comunque alla Parola di
Dio, che il precetto dell’Evangelo è la loro consistenza e che oltre la storia affidata ai singoli contenuti,
bisogna sempre cogliere l’essenzialità del messaggio.
Ecco perché, la letteratura patristica, pur non essendo Parola di Dio e pur distinguendosi dalla
sacra Scrittura, testimonia la viva voce della Chiesa poiché ne custodisce il deposito della fede e ne
fissa la Tradizione.
E proprio leggendo questi testi scritti da uomini che furono anch’essi, non meno degli
Apostoli, testimoni di Cristo e della sua Parola, fino a subire talora il martirio a causa del suo nome,
ci si rende conto che fede e catechesi costituiscono in loro un’unica esperienza di conversione e di
vita: credere è necessariamente annunciare; credere è sentire il bisogno urgente di generare nella
fede e condurre al Cristo; credere è testimoniare l’evangelo non collazionando osservanze cultuali e
rituali, ma facendo di tutta la propria vita una liturgia di ringraziamento a Dio Padre: una Eucaristia.
Scritti, dunque, ai quali ci affidiamo e che stiamo per commentare, lontani da noi oltre 1500
anni; scritti antichi ma non vecchi; scritti composti in epoche lontane, in periodi le cui vicissitudini
storiche non ci appartengono più e le realtà sociali, politiche, etniche, culturali, non sono certo le
nostre. Tuttavia il messaggio di questi scritti ci interpella ancor oggi perché i contenuti, sempre
radicati sulla Parola di Dio e fortemente ancorati all’annuncio evangelico, non sono mai contenuti
banali, mai contenuti superflui. I principi trasmessi, essenziali e fondamentali, sono talora così forti
che scuotono la nostra coscienza, provocano la nostra reazione, ci richiamano alla nostra identità di
credenti, ci interrogano con problemi che si rivelano di un’attualità sorprendente.
CAPITOLO
I:
“PADRI
APOSTOLICI”
1.
La
Didachè
o
la
Dottrina
dei
dodici
Apostoli
[80
ca.]
Traduzione:
M.
Simonetti,
Istruzione
degli
Apostoli,
in
E
Prinzivalli
–
M.
Simonetti,
Seguendo
Gesù.
Testi
cristiani
delle
origini.
vol.
I,
Milano
2010,
53-‐75.
Testo
greco:
W.
RORDORF/
A.
TUILIER,
La
doctrine
des
douze
Apôtres
(Didachè),
SC
248,
Paris
1978,
pp.140-‐199.
I,
1.
Ci
sono
due
vie,
una
della
vita
e
una
della
morte,
ma
c’è
grande
differenza
tra
le
due
vie.
2.
Questa
è
la
via
della
vita:
innanzitutto
amerai
Dio
che
ti
ha
creato,
in
secondo
luogo
il
tuo
prossimo
come
te
stesso;
non
fare
ad
altri
tutto
ciò
che
non
vorresti
fosse
fatto
a
te.
3.
Ecco
l’insegnamento
che
ci
danno
queste
parole:
benedite
quelli
che
vi
maledicono,
pregate
per
i
vostri
nemici,
digiunate
per
quelli
che
vi
perseguitano.
4.
Astieniti
dai
desideri
della
carne.
Se
uno
ti
schiaffeggia
sulla
guancia
destra,
porgigli
anche
l’altra,
e
sarai
perfetto;
se
uno
ti
costringe
ad
andare
con
lui
per
un
miglio,
fanne
due
con
lui;
se
ti
toglie
il
mantello,
dagli
anche
la
tunica;
se
ti
toglie
il
tuo,
non
richiederlo,
perché
non
puoi.
5.
Da’
a
ognuno
che
ti
chiede,
e
non
richiedere,
perché
il
Padre
vuole
che
si
faccia
parte
a
tutti
dei
suoi
doni.
Beato
chi
dà
secondo
il
precetto,
perché
è
senza
colpa.
Guai
a
chi
prende:
se
uno
prende
perché
ha
bisogno,
è
senza
colpa;
ma
se
non
ha
bisogno,
dovrà
rendere
conto
spiegando
per
qual
motivo
e
a
qual
fine
abbia
preso.
Imprigionato,
sarà
esaminato
per
tutto
ciò
che
ha
fatto,
e
non
uscirà
di
prigione
finché
non
avrà
pagato
fino
all’ultimo
spicciolo.
6.
Per
questo
è
detto:
“Sudi
la
tua
elemosina
nelle
tue
mani,
finché
tu
sappia
a
chi
dai”.
V,
1.
Questa
poi
è
la
via
della
morte.
Innanzitutto
è
malvagia
e
piena
di
maledizioni:
omicidi
adulteri
concupiscenze
fornicazioni
furti
atti
di
idolatria
e
di
magia
incantesimi
violenze
false
testimonianze
ipocrisie
doppiezze
inganno
tracotanza
malvagità
arroganza
avidità
turpiloquio
gelosia
insolenza
superbia
millanteria.
2.
Persecutori
dei
buoni,
nemici
della
verità,
amanti
della
menzogna,
ignoranti
della
ricompensa
della
giustizia
[...].
VII,1.
Riguardo
al
battesimo,
battezzate
così:
dopo
aver
recitato
tutti
questi
precetti,
battezzate
nel
nome
del
Padre,
del
Figlio
e
dello
Spirito
Santo
in
acqua
corrente.
2.
Se
non
hai
acqua
corrente,
battezza
in
altra
acqua;
se
non
puoi
con
acqua
fredda,
battezza
con
acqua
tiepida.
3.
Se
non
hai
a
disposizione
né
l’una
né
l’altra,
versa
acqua
tre
volte
sulla
testa
nel
nome
del
Padre,
del
Figlio
e
dello
Spirito
Santo.
4.
Prima
del
battesimo,
digiunino
preliminarmente
sia
chi
battezza
sia
chi
è
battezzato
e
altri
che
lo
possono.
Disponi
che
chi
viene
battezzato
digiuni
in
precedenza
per
uno
o
due
giorni.
VIII
1.
Non
digiunate
negli
stessi
giorni
in
cui
digiunano
gli
ipocriti.
Costoro
digiunano
il
secondo
e
il
quinto
giorno
della
settimana;
voi
digiunate
il
quarto
giorno
e
il
giorno
della
preparazione.
IX,
1.
Quanto
all’eucaristia,
rendete
grazie
in
questo
modo:
2.
Prima
per
il
calice:
Ti
rendiamo
grazie,
Padre
nostro,
per
la
santa
vite
di
Davide,
tuo
servo,
che
ci
hai
rivelato
per
tramite
del
tuo
servo
Gesù.
Sia
a
te
gloria
nei
secoli.
3.
Per
il
pane
spezzato:
Ti
rendiamo
grazie,
Padre
nostro,
per
la
vita
e
la
conoscenza
che
ci
hai
rivelato
per
tramite
del
tuo
servo
Gesù.
Sia
a
te
gloria
nei
secoli.
4.
Come
questo
pane
spezzato
era
disseminato
sui
monti
e
raccolto
è
diventato
una
cosa
sola,
così
si
raccolga
la
tua
Chiesa
dai
confini
della
terra
nel
tuo
regno
perché
tua
è
la
gloria
e
la
potenza
per
tramite
di
Gesù
Cristo
nei
secoli.
5.
Nessuno
mangi
né
beva
della
vostra
eucaristia
se
non
quelli
che
sono
stati
battezzati
nel
nome
del
Signore.
Infatti,
a
questo
riguardo
il
Signore
ha
detto:
«Non
date
ai
cani
ciò
che
è
santo».
X
1.
Dopo
che
vi
siete
saziati,
rendete
grazie
così:
2.
Ti
rendiamo
grazie,
Padre
santo,
per
il
tuo
santo
nome,
che
hai
fatto
abitare
nei
nostri
cuori,
e
per
la
conoscenza,
la
fede
e
l’immortalità
che
ci
hai
rivelato
per
tramite
del
tuo
servo
Gesù.
A
te
la
gloria
nei
secoli.
3.
Tu,
sovrano
onnipotente,
hai
creato
tutte
le
cose
a
gloria
del
tuo
nome;
hai
dato
da
mangiare
e
da
bere
agli
uomini,
affinché,
godendone,
ti
rendessero
grazie,
ma
a
noi
hai
donato
cibo
e
bevanda
spirituale
e
la
vita
eterna
per
tramite
del
tuo
servo.
4.
Per
tutto
questo,
ti
rendiamo
grazie
perché
sei
potente.
A
te
gloria
nei
secoli.
5.
Ricordati,
Signore,
della
tua
chiesa,
di
liberarla
da
ogni
male
e
di
renderla
perfetta
nel
tuo
amore.
Raccoglila
dai
quattro
venti,
[santificata]
nel
tuo
regno,
che
hai
preparato
per
lei,
perché
tua
è
la
potenza
e
la
gloria
nei
secoli.
6.
Venga
la
grazia
e
passi
questo
mondo.
Osanna
al
Dio
di
Davide.
Chi
è
santo
venga
chi
non
lo
è
si
penta.
Maranatha.
Amen.
7.
Lasciate
che
i
profeti
rendano
grazie
quanto
vogliono.
XI,
3.
Quanto
agli
apostoli
e
ai
profeti,
comportatevi
secondo
la
norma
del
vangelo.
4.
Ogni
apostolo
che
giunge
da
voi
sia
accolto
come
il
Signore;
5.
ma
non
rimarrà
se
non
un
giorno;
se
sarà
necessario,
anche
un
altro;
ma
se
resta
tre
giorni
è
un
falso
profeta.
6.
Quando
poi
se
ne
va,
l’apostolo
non
prenda
se
non
del
pane
per
poter
far
tappa.
Ma
se
chiede
denaro,
è
un
falso
profeta.
7.
Ogni
profeta
che
parla
per
ispirazione
dello
spirito
non
mettetelo
alla
prova
e
non
giudicatelo,
perché
ogni
peccato
sarà
rimesso
ma
questo
peccato
non
sarà
rimesso.
8.
Non
però
ognuno
che
parli
per
ispirazione
dello
spirito
è
profeta,
ma
se
si
comporta
secondo
il
modo
di
vita
del
Signore.
In
effetti
falso
profeta
e
profeta
si
riconosceranno
dal
loro
modo
di
vita.
XV,
1.
Eleggetevi
episcopi
e
diaconi
degni
del
Signore,
uomini
miti
disinteressati
sinceri
provati,
affinché
anch’essi
svolgano
per
voi
il
ministero
dei
profeti
e
dei
maestri.
2.
Non
disprezzateli,
perché
sono
quelli
di
voi
che
sono
stati
onorati
insieme
con
i
profeti
e
i
maestri.
[...].
2.
La
lettera
di
Clemente
Romano
ai
Corinti
[ca.
96]
Traduzione:
E.
Prinzivalli,
La
Lettera
di
Clemente
ai
Corinti,
in
E
Prinzivalli
–
M.
Simonetti,
Seguendo
Gesù.
Testi
cristiani
delle
origini.
vol.
I,
Milano
2010,
181-‐275.
Testo
greco:
A.
JAUBERT,
Clément
de
Rome:
Épître
aux
Corinthiens,
SC
167,
Paris
1971,
pp.
98-‐204.
La
chiesa
di
Dio
che
vive
da
straniera
a
Roma
alla
chiesa
di
Dio
che
vive
da
straniera
a
Corinto,
ai
chiamati,
ai
santificati
secondo
la
volontà
di
Dio
per
mezzo
del
Signore
nostro
Gesù
Cristo.
Sia
data
a
voi
in
abbondanza
grazia
e
pace
da
Dio
onnipotente
per
mezzo
di
Gesù
Cristo.
1.1.
A
causa
delle
avverse
vicende
che
ci
sono
capitate
all'improvviso
e
una
dopo
l'altra,
ci
siamo
rivolti
con
ritardo
-‐
dobbiamo
ammetterlo
-‐
ai
fatti
dibattuti
presso
di
voi,
o
diletti,
cioè
la
rivolta
sconveniente,
estranea
agli
eletti
di
Dio,
funesta
e
sacrilega,
che
poche
persone
sconsiderate
e
arroganti
hanno
attizzato,
spingendosi
a
tal
punto
di
follia
da
screditare
gravemente
il
vostro
nome,
dignitoso,
onorato
e
per
tutti
gli
uomini
amabile.
2.
C'è
forse
qualcuno,
infatti,
che
si
sia
fermato
da
voi
e
non
abbia
sperimentato
la
vostra
fede
eccellente
e
salda?
E
non
abbia
ammirato
la
vostra
pietà
saggia
e
amorevole
in
Cristo?
E
non
abbia
divulgato
la
vostra
generosa
pratica
dell'ospitalità?
E
non
abbia
elogiato
la
vostra
scienza
perfetta
e
sicura?
3.
Poiché
voi
agivate
in
tutto
senza
fare
differenza
di
persone
e
camminavate
secondo
le
prescrizioni
di
Dio
(cfr.
Lev.
18,3;
20,23);
eravate
sottomessi
ai
vostri
capi
e
davate
il
dovuto
rispetto
agli
anziani
fra
di
voi;
i
giovani
li
guidavate
ad
avere
pensieri
misurati
e
dignitosi:
alle
donne
raccomandavate
di
compiere
ogni
cosa
con
coscienza
irreprensibile,
dignitosa
e
pura,
amando
come
si
conviene
i
loro
mariti;
insegnavate
loro
a
mantenersi
nella
regola
della
sottomissione
e
a
governare
la
casa
dignitosamente,
sagge
sotto
ogni
aspetto.
5,1.
Ma,
per
smetterla
con
gli
esempi
antichi,
veniamo
agli
atleti
che
ci
sono
vicini:
prendiamo
i
nobili
esempi
della
nostra
generazione.
2.
Per
gelosia
e
invidia
le
colonne
più
alte
e
più
giuste
sono
state
perseguitate
e
hanno
combattuto
fino
alla
morte.
3.
Davanti
ai
nostri
occhi
stiano
i
valorosi
apostoli!
4.
Pietro,
che
per
una
ingiusta
gelosia
ha
dovuto
sopportare
non
una
o
due,
ma
più
sofferenze
e,
avendo
così
reso
testimonianza,
se
ne
è
andato
al
luogo
di
gloria
a
lui
dovuto.
5.
Per
gelosia
e
discordia
Paolo
ha
mostrato
il
premio
per
la
costanza:
6.
sette
volte
in
catene,
esiliato,
preso
a
sassate,
araldo
in
oriente
e
occidente
ha
ottenuto
la
nobile
gloria
per
la
sua
fede.
7.
Dopo
aver
insegnato
la
giustizia
al
mondo
intero
e
dopo
aver
raggiunto
l'estremo
confine
d'occidente
e
dopo
aver
reso
testimonianza
davanti
ai
potenti,
ha
così
lasciato
il
mondo
e
se
ne
è
andato
al
luogo
santo,
modello
grandissimo
di
costanza.
6,1.
Intorno
a
questi
uomini
vissuti
santamente
si
è
raccolta
una
grande
moltitudine
di
eletti,
che,
avendo
patito
per
gelosia
molti
oltraggi
e
tormenti,
sono
stati
uno
splendido
esempio
fra
di
noi.
2.
Per
gelosia
sono
state
perseguitate
donne:
come
Danaidi
e
Dirci
hanno
sofferto
torture
terribili
e
mostruose,
hanno
raggiunto
il
traguardo
sicuro
nella
corsa
della
fede
e
hanno
ricevuto,
loro
deboli
nel
corpo,
la
ricompensa
dei
valorosi.
3.
Gelosia
ha
alienato
le
spose
dai
mariti
e
ha
mutato
la
parola
di
Adamo,
nostro
padre:
«Questo
è
osso
delle
mie
ossa
e
carne
della
mia
carne!»
(Gen.
2,23)
4.
Gelosia
e
discordia
hanno
abbattuto
città
potenti
e
hanno
sradicato
grandi
nazioni.
20,1.
I
cieli
che
si
muovono
perché
lui
li
governa
gli
obbediscono
nella
pace.
2.
Il
giorno
e
la
notte
compiono
la
corsa
da
lui
stabilita,
senza
intralciarsi
a
vicenda.
3.
Il
sole,
la
luna,
e
i
cori
degli
astri
girano
attorno
secondo
il
suo
ordine
in
concordia
senza
mai
oltrepassare
i
limiti
loro
fissati.
4.
La
terra,
colma
di
frutti,
secondo
il
suo
volere,
alle
stagioni
stabilite
produce
l'abbondante
nutrimento
per
uomini,
bestie
e
tutti
gli
esseri
viventi
che
sono
su
di
essa;
senza
discordare
e
senza
mutare
in
nulla
le
regole
che
le
sono
state
date.
5.
Dai
medesimi
comandi
sono
mantenute
le
leggi
inscrutabili
degli
abissi
e
quelle
inesplicabili
degli
inferi.
6.
La
cavità
del
mare
senza
limiti
disposta
a
raccolta
non
oltrepassa
le
barriere
poste
all'intorno,
ma
come
le
è
stato
ordinato,
così
si
comporta.
7.
Perché
ha
detto:
«Fino
a
quando
tu
verrai
anche
i
tuoi
flutti
si
infrangeranno
su
di
te»
(Iob
38,
11).
8.
L’oceano
senza
fine
per
gli
uomini
e
i
mondi
che
sono
al
di
là
sono
amministrati
dai
medesimi
ordini
del
padrone.
9.
Le
stagioni
della
primavera,
dell’estate,
dell'autunno
e
dell’inverno
si
succedono
in
pace
le
une
alle
altre.
10.
Le
sedi
dei
venti
compiono
il
loro
servizio
ai
tempi
propri
senza
inciampi:
le
fonti
perpetue,
create
per
il
piacere
e
la
salute,
senza
interruzioni
offrono
agli
uomini
le
loro
mammelle
vivificatrici.
Anche
gli
animali
più
piccoli
cooperano
fra
loro
in
concordia
e
pace.
11.
Tutte
queste
cose
il
grande
demiurgo
e
padrone
dell'universo
ha
stabilito
che
fossero
nella
pace
e
nella
concordia,
poiché
egli
è
benefico
verso
ogni
cosa,
ma
in
modo
sovrabbondante
verso
di
noi
che
ricorriamo
alla
sua
misericordia
per
mezzo
del
nostro
Signore
Gesù
Cristo,
12.
al
quale
la
gloria
e
la
maestà
nei
secoli
dei
secoli.
Amen.
37,4.
I
grandi
non
possono
stare
senza
i
piccoli
né
i
piccoli
senza
i
grandi:
c’è
in
ogni
cosa
una
certa
mescolanza
e
in
ciò
un
utile.
5.
Prendiamo
il
nostro
corpo:
la
testa
non
è
nulla
senza
i
piedi,
allo
stesso
modo
i
piedi
senza
la
testa:
le
membra
più
piccole
del
nostro
corpo
sono
necessarie
ed
utili
al
corpo
intero;
insomma,
tutte
convivono
e
agiscono
all’unisono
nella
subordinazione
per
la
salute
dell’intero
corpo.
38,1.
Si
conservi
dunque
integro
il
corpo
che
noi
formiamo
in
Cristo
Gesù
e
ciascuno
sia
sottomesso
al
suo
prossimo,
secondo
il
carisma
che
gli
è
stato
dato.
40.1.
Poiché
per
noi
queste
cose
sono
evidenti
e
siamo
penetrati
nelle
profondità
della
conoscenza
divina,
dobbiamo
fare
ordinatamente
tutto
quanto
il
Padrone
ha
comandato
di
compiere
nei
tempi
stabiliti.
2.
Le
offerte
e
i
sacri
servizi.
Egli
ha
comandato
di
compierli
e
che
si
facciano
non
a
caso
o
disordinatamente,
ma
in
tempi
e
ore
determinate.
3.
Dove
e
da
chi
vuole
che
siano
compiuti
Egli
stesso
lo
ha
stabilito
con
la
sua
decisione
sovrana,
affinché
ogni
cosa,
essendo
fatta
santamente,
con
il
suo
beneplacito,
sia
gradita
al
suo
volere
4.
Dunque
quelli
che
presentano
le
loro
offerte
nei
tempi
stabiliti
sono
ben
accetti
e
felici:
perché
seguendo
i
precetti
del
Padrone,
non
sbagliano.
5.
Infatti
al
sommo
sacerdote
sono
conferiti
particolari
servizi
liturgici,
ai
sacerdoti
è
assegnato
il
proprio
posto
e
ai
leviti
sono
imposti
servizi
particolari:
l'uomo
laico
è
legato
ai
precetti
dei
laici.
41.1
Ciascuno
di
noi,
fratelli,
possa
essere
gradito
a
Dio
nel
proprio
posto,
con
coscienza
retta,
senza
trasgredire
la
regola
stabilita
per
il
suo
servizio,
e
con
dignità.
2.
Non
dappertutto,
fratelli,
si
offrono
sacrifici
continui
o
votivi,
o
per
i
peccati
o
di
riparazione,
ma
solo
a
Gerusalemme:
e
anche
lì,
non
in
un
posto
qualsiasi
ma
davanti
al
tempio,
sull'altare,
dopo
che
la
vittima
è
stata
esaminata
minuziosamente
dal
sommo
sacerdote
e
dai
suddetti
ministri.
3.
Coloro
poi
che
non
fanno
ciò
che
è
conforme
al
suo
volere
subiscono
la
morte
come
punizione.
4.
Badate,
fratelli:
quanto
maggiore
è
la
conoscenza
di
cui
siamo
stati
ritenuti
degni,
tanto
più
grande
è
il
pericolo
che
corriamo.
42.1.
Gli
apostoli
hanno
ricevuto
per
noi
la
buona
novella
da
parte
del
signore
Gesù
Cristo;
Gesù,
il
Cristo,
è
stato
inviato
da
Dio.
2.
Il
Cristo
dunque
viene
da
Dio,
e
gli
apostoli
dal
Cristo:
le
due
cose
sono
procedute
ordinatamente
dal
volere
di
Dio.
3.
Pertanto,
avendo
ricevuto
istruzioni,
rassicurati
per
mezzo
della
resurrezione
del
nostro
signore
Gesù
Cristo,
fermi
nella
parola
di
Dio
con
la
pienezza
dello
Spirito
santo,
andarono
ad
annunciare
la
buona
novella
che
sta
per
giungere
il
regno
di
Dio.
4.
Predicando
per
campagne
e
città,
provandoli
nello
Spirito
stabilivano
le
loro
primizie
come
episcopi
e
diaconi
dei
futuri
credenti.
5.
E
in
ciò
niente
di
nuovo:
poiché
da
lungo
tempo
era
scritto
intorno
a
episcopi
e
diaconi.
Infatti
la
Scrittura
dice
in
un
passo:
Stabilirò
i
loro
vescovi
nella
giustizia
e
i
loro
diaconi
nella
fede.
43.1.
E
che
c'è
da
meravigliarsi,
se
coloro
ai
quali
in
Cristo
fu
affidato
da
parte
di
Dio
un
tale
compito
hanno
stabilito
i
suddetti
ministri,
quando
anche
il
beato
Mosè
servo
fedele
in
tutta
la
sua
casa
aveva
segnato
nel
libri
sacri
tutto
quello
che
gli
era
stato
ordinato
e
fu
seguito
dagli
altri
profeti,
che
resero
testimonianza
alle
leggi
stabilite
da
lui?
2.
Infatti,
allorché
insorse
gelosia
circa
il
sacerdozio
e
le
tribù
erano
in
discordia
fra
loro
su
chi
sarebbe
stata
onorata
di
quel
nome
glorioso,
egli
ordinò
ai
dodici
capi
delle
tribù
di
portargli
ciascuno
una
verga
con
su
scritto
il
nome
della
sua
tribù.
Le
prese,
le
legò
insieme,
vi
appose
il
sigillo
usando
gli
anelli
dei
capitribù
e
le
depose
nella
tenda
della
testimonianza
sulla
tavola
di
Dio.
3.
Poi
chiuse
la
tenda,
sigillò
le
chiavi
alla
stessa
maniera
delle
verghe,
4.
e
disse
loro:
"Fratelli,
la
tribù
la
cui
verga
fiorirà,
questa
Dio
ha
prescelto
per
esercitare
il
sacerdozio
e
per
il
suo
servizio
sacro".
5.
Al
mattino,
convocò
tutto
Israele,
i
seicentomila
uomini,
mostrò
i
sigilli
ai
capitribù,
aprì
la
tenda
della
testimonianza
e
portò
fuori
le
verghe:
e
si
scoprì
che
la
verga
di
Aronne
non
solo
era
fiorita
ma
portava
frutto.
(Num
17,16-‐26)
6.
Che
ve
ne
pare,
o
diletti?
Forse
che
Mosè
non
sapeva
quello
che
sarebbe
accaduto?
Lo
sapeva
benissimo!
Ma
agì
così
per
non
provocare
disordine
in
Israele,
affinché
fosse
glorificato
il
Nome
del
Vero
e
dell'Unico,
al
quale
la
gloria
nei
secoli
dei
secoli.
Amen.
44,1.
Anche
i
nostri
apostoli
conobbero,
per
mezzo
del
nostro
signore
Gesù
Cristo,
che
vi
sarebbe
stata
discordia
per
la
dignità
della
sorveglianza.
2.
Per
questa
ragione
dunque,
prevedendo
perfettamente
l'avvenire,
stabilirono
i
suddetti
e
poi
diedero
in
aggiunta
l'ordine
che,
una
volta
morti
costoro,
altri
uomini
provati
ricevessero
il
loro
compito.
3.
Dunque
quelli
che
sono
stati
stabiliti
da
loro
oppure
in
seguito
dagli
altri
uomini
benemeriti,
con
l'approvazione
di
tutta
la
chiesa,
che
hanno
servito
il
gregge
di
Cristo
in
modo
irreprensibile,
con
umiltà,
calma
e
discrezione,
e
che
hanno
ottenuto
testimonianza
da
tutti
per
lungo
tempo,
ebbene
costoro
non
crediamo
giusto
destituirli
dal
servizio.
4.
Sarà
per
noi
una
colpa
non
trascurabile
se
rimuoviamo
dalla
funzione
di
sorveglianza
quelli
che
hanno
presentato
i
doni
in
modo
irreprensibile
e
santo.
5.
Beati
i
presbiteri
che
ci
hanno
preceduto,
che
ebbero
una
fine
feconda
e
perfetta:
perché
non
debbono
temere
che
li
si
cacci
via
dal
posto
assegnato!
6.
Poiché
noi
vediamo
che
avete
rimosso
alcuni,
nonostante
la
loro
buona
condotta,
da
un
servizio
che
esercitavano
in
modo
irreprensibile
e
onorato.
3.
Le
lettere
di
Sant’Ignazio
d’Antiochia
[ca.
110]
Traduzione:
E.
Prinzivalli,
La
Lettera
di
Clemente
ai
Corinti,
in
E
Prinzivalli
–
M.
Simonetti,
Seguendo
Gesù.
Testi
cristiani
delle
origini.
vol.
I,
Milano
2010,
344-‐425.
Testo
greco:
P.
TH.
CAMELOT,
Ignace
d’Antioche:
Lettres,
SC
10bis,
Paris
1944,
pp.82-‐92.
Unità
di
Dio
Ai
Magnesii
8,2:
c’è
un
solo
Dio
che
si
è
rivelato
per
tramite
di
Gesù
Cristo
suo
figlio,
che
è
il
suo
Logos
uscito
proceduto
dal
silenzio,
il
quale
in
tutto
ha
compiaciuto
colui
che
lo
aveva
inviato.
Ai
Magnesii
1,2:
Onorato
da
un
nome
quanto
mai
degno
di
Dio,
nelle
catene
che
porto,
io
canto
le
chiese
e
prego
che
ci
sia
in
loro
l’unità
della
carne
e
dello
spirito
di
Gesù
Cristo,
nostra
eterna
vita,
unità
di
fede
e
di
amore,
alla
quale
niente
è
preposto,
e
ciò
che
è
più
importante,
l’unità
di
Gesù
e
del
Padre.
Ai
Magnesii
7,2:
Correte
tutti
insieme,
come
al
solo
tempio
di
Dio
e
al
solo
altare,
all’unico
Gesù
Cristo
che
è
proceduto
dall’unico
Padre
e
nell’unico
Padre
è
e
ritorna.
Unità
di
Cristo
(vs
docetismo)
Agli
Efesini
7,2:
C’è
un
solo
medico,
carnale
e
spirituale,
generato
e
ingenerato,
dio
che
è
venuto
in
carne,
nella
morte
vita
vera,
da
Maria
e
da
Dio,
prima
passibile
poi
impassibile,
Gesù
Cristo
nostro
Signore.
Agli
Smirnei
1,1:
Siete
ben
convinti
riguardi
al
nostro
Signore
che
è
della
stirpe
di
Davide
secondo
la
carne,
figlio
di
Dio
per
volere
e
potenza
di
Dio,
generato
veramente
da
una
vergine,
battezzato
da
Giovanni
affinché
da
lui
fosse
compiuta
ogni
giustizia.
2.
Sotto
Ponzio
Pilato
e
il
tetrarca
Erode
è
stato
veramente
inchiodato
per
noi
nella
carne
–
e
noi
esistiamo
grazie
al
frutto
della
sua
passione
divinamente
beata
-‐,
per
sollevare
il
suo
stendardo
nei
secoli
in
forza
della
sua
risurrezione,
per
i
suoi
santi
e
i
suoi
fedeli,
sia
tra
i
giudei
sia
tra
i
gentili,
nell’unico
corpo
della
sua
chiesa.
A
Policarpo
3,2.
Aspetta
colui
che
è
al
di
sopra
del
momento,
senza
tempo,
invisibile
per
noi
visibile,
impalpabile,
impassibile
per
noi
passibile,
colui
che
per
noi
ha
sopportato
ogni
sorta
di
sofferenza.
Ai
Tralliani
IX,1:
Siate
sordi
quando
qualcuno
vi
parla
prescindendo
da
Gesù
Cristo,
della
stirpe
di
David,
nato
da
Maria,
che
fu
veramente
generato,
mangiò
e
bevve,
veramente
fu
perseguitato
sotto
Ponzio
Pilato,
veramente
fu
crocifisso
e
morì,
al
cospetto
delle
creature
celesti
terrestri
e
infernali.
2.
Egli
veramente
risuscitò
dai
morti,
ridestato
da
sua
padre
risusciterà
noi
che
crediamo
in
lui,
in
Gesù
Cristo
al
di
fuori
del
quale
non
abbiamo
la
vera
vita.
X.
Se,
come
dicono
alcuni
che
sono
atei,
perché
non
credono,
egli
ha
patito
in
apparenza,
perché
mai
io
sono
in
catene?
Perché
prego
di
combattere
con
le
belve?
Dunque
muoio
senza
motivo,
e
così
mento
riguardo
al
Signore.
XI,1.
Fuggite
le
cattive
gramigne
che
producono
frutti
di
morte:
chi
ne
gusterà,
subito
ne
morrà,
perché
non
sono
piantagione
del
Padre.
2.
Se
lo
fossero,
apparirebbero
come
rami
della
croce
e
il
loro
frutto
sarebbe
incorruttibile.
Per
mezzo
di
essa
egli
con
la
sua
passione
vi
chiama,
voi
che
siete
le
sue
membra.
Il
capo
non
può
essere
generato
a
parte,
senza
le
mebra,
ed
è
Dio
che
promette
l’unione,
che
è
egli
stesso.
Unità
nell’eucaristia
Agli
Smirnei
VII,1.
Si
astengono
dal
partecipare
all’eucarestia
e
alla
preghiera,
perché
non
professano
che
l’eucaristia
è
la
carne
del
nostro
salvatore
Gesù
Cristo,
la
quale
ha
patito
per
i
nostri
peccati
e
che
il
Padre
nella
sua
bontà
risuscitato.
Ai
Filadelfesi
4,1:
Adoperatevi
al
fine
di
celebrare
una
sola
eucarestia,
perché
la
carne
del
signore
nostro
Gesù
Cristo
è
una
sola,
uno
solo
il
calice
per
l’unione
col
suo
sangue,
uno
solo
l’altare,
come
uno
solo
il
vescovo
insieme
col
presbiterio
e
i
diaconi,
miei
compagni
di
servizio,
così
che
ciò
che
fate
lo
facciate
secondo
Dio.
Unità
della
chiesa
e
nell’unione
alla
gerarchia
Agli
Smirnei
8.1:
Seguite
tutti
il
vescovo,
come
Gesù
Cristo
il
Padre,
e
il
presbiterio
quasi
fossero
gli
apostoli;
portate
rispetto
ai
diaconi
come
a
un
comandamento
di
Dio.
Nessuno
faccia
senza
la
partecipazione
del
vescovo
alcunché
delle
cose
che
riguardano
la
chiesa.
Sia
ritenuta
legittima
l’eucarestia
che
viene
presieduta
dal
vescovo
o
da
chi
egli
abbia
delegato.
2.
Dove
si
vede
il
vescovo,
là
ci
sia
la
comunità,
come
dove
c’è
Cristo
Gesù,
là
c’è
la
chiesa
cattolica.
Senza
il
vescovo
non
è
possibile
né
battezzare
né
celebrare
l’agape;
ma
ciò
che
quello
abbia
approvato
è
gradito
anche
a
Dio,
affinché
tutto
ciò
che
fate
possa
essere
sicuro
e
ben
fondato.
Ai
Filadelfesi
3,1:
Tenetevi
lontani
dalle
erbe
cattive,
che
non
coltiva
Gesù
Cristo,
perché
costoro
non
sono
coltivazione
del
Padre.
2.
In
effetti
presso
di
voi
non
ho
trovato
divisione
ma
purificazione,
perché
quanti
sono
di
Dio
e
di
Gesù
Cristo
sono
col
vescovo,
e
quanti
si
pentiranno
e
verranno
all’unità
della
chiesa,
anche
costoro
saranno
di
Dio,
per
vivere
secondo
Gesù
Cristo.
3.
Non
cadete
nell’errore,
fratelli
miei:
se
uno
segue
chi
divide,
non
eredita
il
regno
di
Dio.
se
uno
si
comporta
secondo
una
dottrina
estranea,
costui
non
va
d’accordo
con
la
passione
di
Cristo.
Ai
Tralliani
3,1.
Similmente
tutti
portino
rispetto
ai
diaconi
come
a
Gesù
Cristo,
e
anche
al
vescovo,
che
è
figura
del
Padre,
e
ai
presbiteri
come
al
sinedrio
di
Dio
e
al
collegio
degli
apostoli.
Senza
costoro
non
si
può
parlare
di
chiesa.
Agli
Efesini
4,1:
Perciò
è
conveniente
che
siate
d’accordo
col
pensiero
del
vostro
vescovo,
come
effettivamente
fate.
Infatti
il
vostro
presbiterio,
di
chiara
fama
e
degno
di
Dio,
è
in
perfetta
sintonia
col
vescovo,
come
le
corde
alla
cetra.
Perciò
grazie
alla
vostra
concordia
e
all’armonia
del
vostro
amore,
viene
esaltato
col
canto
Gesù
Cristo.
Ai
Magnesii
6.1:
Poiché
nelle
persone
che
ho
nominato
prima
ho
visto
che
tutta
la
comunità
è
nella
fede
e
ne
ho
provato
amore,
vi
esorto
ad
adoperarvi
al
fine
di
far
tutto
nella
concordia
di
Dio,
sotto
la
presidenza
del
vescovo,
che
è
a
immagine
di
Dio
e
dei
presbiteri,
che
sono
a
immagine
del
collegio
degli
apostoli
e
dei
diaconi,
a
me
carissimi,
ai
quali
è
stato
affidato
il
servizio
di
Gesù
Cristo,
che
era
presso
il
Padre
prima
dei
secoli
ed
è
apparso
alla
fine
dei
tempi.
Unità
nell’obbedienza
Ai
Tralliani
II,
1.
Poiché
infatti
vi
sottomettete
al
vescovo
come
a
Gesù
Cristo,
mi
sembrate
vivere
non
secondo
gli
uomini
ma
secondo
Gesù
Cristo,
il
quale
è
morto
per
noi,
acciocché
avendo
fede
nella
sua
morte
possiate
sfuggire
alla
morte.
2.
È
necessario,
come
del
resto
già
fate,
che
voi
non
facciate
alcunché
senza
l’intervento
del
vescovo;
e
siate
sottomessi
anche
al
presbiterio
come
agli
apostoli
di
Gesù
Cristo,
nostra
speranza,
nel
quale
ci
troveremo
a
vivere
3.
È
poi
necessario
che
quelli
che
sono
i
diaconi
dei
misteri
di
Gesù
Cristo
risultino
in
ogni
modo
graditi
a
tutti,
poiché
sono
ministri
non
di
cibi
e
bevande
ma
della
chiesa
di
Dio.
debbono
perciò
guardarsi
da
ogni
accusa
come
dal
fuoco.
Agli
Efesini
2,2:
Si
addice
dunque
glorificare
in
ogni
modo
Gesù
Cristo
che
vi
ha
glorificato,
affinché
riuniti
in
una
sola
sottomissione,
sottoposti
al
vescovo
e
al
presbiterio
siate
in
tutto
santificati.
Ai
Filadelfesi
7.1:
Obbedite
al
vescovo,
al
presbiterio
e
ai
diaconi
La
chiesa
di
Roma
Ignazio
detto
anche
Teoforo,
alla
chiesa,
che
ha
trovato
misericordia
nella
grandezza
del
Padre
altissimo
e
di
Gesù
Cristo
suo
unico
figlio,
amata
e
illuminata
nel
volere
di
colui
che
ha
voluto
tutto
ciò
che
esiste,
secondo
l’amore
di
Gesù
Cristo,
il
dio
nostro,
lei
che
proprio
nel
territorio
della
città
di
Roma
presiede,
degna
di
Dio,
degna
di
onore,
degna
di
benedizione,
degna
di
lode,
degna
di
successo,
degnamente
pura,
e
che
all’amore
presiede,
nella
legge
di
Cristo,
avente
il
nome
del
Padre:
la
saluto
nel
nome
di
Gesù
Cristo,
figlio
del
Padre;
a
coloro
che
sono
uniti
nella
carne
e
nello
spirito
a
ogni
suo
precetto,
ripieni
della
grazia
di
Dio,
senza
differenze
e
depurati
da
ogni
tinta
estranea,
auguro
ogni
bene
senza
macchia
alcuna
in
Gesù
Cristo,
il
dio
nostro.
Unione
con
Cristo
(martirio)
Ai
Romani
II,1
Voglio
che
voi
non
cerchiate
di
piacere
agli
uomini,
ma
di
piacere
a
Dio,
come
già
gli
piacete:
non
avrò
mai
più,
io,
una
simile
occasione
di
raggiungere
Dio,
e
voi,
se
tacerete,
non
potreste
sottoscrivere
opera
migliore.
Se
riguardo
a
me
sarete
silenzio,
io
sarò
parola
di
Dio;
se
amerete
la
mia
carne,
al
contrario,
sarò
solo
una
voce.
2.
Non
datemi
nell’altro
che
l’essere
offerto
in
libagione
a
Dio,
mentre
l’altare
è
pronto,
affinché
voi,
fatti
coro
d’amore,
cantiate
al
Padre
in
Cristo
Gesù
[...]
è
bello
tramontare
dal
mondo
a
Dio,
perché
in
lui
io
possa
sorgere.
IV,
1.
Io
scrivo
a
tutte
le
chiese
e
annuncio
a
tutti
che
io
volentieri
muoio
per
Dio,
se
voi
non
lo
impedite.
Vi
supplico,
non
diventiate
per
me
benevolenza
inopportuna!
Lasciate
che
io
sia
pasto
delle
belve,
per
mezzo
delle
quali
mi
è
possibile
raggiungere
Dio.
Sono
frumento
di
Dio
e
vengo
macinato
da
zanne
ferine
per
essere
trovato
pane
puro.
2.
Sollecitate
piuttosto
le
belve,
che
mi
diventino
tomba
e
non
facciano
avanzare
nessun
brandello
del
mio
corpo,
affinché,
morto,
non
pesi
su
nessuno.
Allora
sarò
davvero
discepolo
di
Gesù
Cristo,
quando
il
mondo
non
vedrà
più
il
mio
corpo.
pregate
il
Signore
per
me,
perché,
per
mezzo
di
quegli
strumenti,
io
sia
trovato
sacrificio
a
Dio.
3.
Non
vi
comando
come
Pietro
e
Paolo:
loro
apostoli,
io
un
condannato;
loro
liberi,
io
invece
fino
a
ora
uno
schiavo.
Ma
se
sarò
suppliziato,
diventerò
liberto
di
Gesù
Cristo
e
risorgerò
in
lui
libero.
Ora
imparo,
in
catene,
a
non
desiderare
nulla.
V,
1.
Dalla
Siria
fino
a
Roma
combatto
con
belve,
per
terra
e
per
mare,
notte
e
giorno
incatenato
a
dieci
leopardi,
cioè
a
un
manipolo
di
soldati:
costoro,
quando
ricevono
benefici,
diventano
peggiori!
Grazie
ai
loro
soprusi
ricevo
una
migliore
istruzione,
«ma
non
per
questo
sono
giustificato»
(cf.
1
Cor
4,4).
2.
Che
io
possa
trarre
guadagno
dalle
belve
preparate
per
me
e
prego
che
siano
trovate
pronte
per
me!
Io
stesso
le
solleciterò
a
divorarmi
subito,
non
come
quando
–
vili!
–
alcuni
non
osarono
neppure
toccarli.
E
se
pure
esse
spontaneamente
non
volessero,
io
le
costringerò
a
forza.
3.
Siate
buoni
con
me!
Io
so
che
cosa
è
utile.
Ora
comincio
a
essere
un
discepolo.
Nessuno
degli
esseri
visibili
e
invisibili
mi
guardi
con
gelosia
perché
vado
a
raggiungere
Gesù
Cristo.
Fuoco
e
croce,
scontri
con
belve,
lacerazioni,
squarci,
dispersioni
di
ossa,
mutilazioni
di
membra,
trituramenti
di
tutto
il
corpo,
e
tormenti
del
diavolo
vengano
su
di
me,
solo
che
io
possa
raggiungere
Gesù
Cristo!
VII,1.
Il
principe
di
questo
mondo
vuole
strapparmi
e
annientare
la
decisione
per
il
mio
Dio.
Nessuno
di
voi,
che
siete
là,
gli
presti
aiuto:
piuttosto
siate
dalla
mia
parte,
cioè
dalla
parte
di
Dio.
Non
professate
Gesù
Cristo,
mentre
desiderate
il
mondo.
Invidia
fra
voi
non
abiti.
2.
Anche
se
io
vi
pregassi,
quando
sarò
fra
voi,
non
obbeditemi!
Obbedite
piuttosto
a
quello
che
vi
scrivo.
Poiché
essendo
vivo,
vi
scrivo
che
bramo
morire.
La
mia
brama
è
stata
crocifissa
e
non
c’è
in
me
un
fuoco
che
brucia
per
la
materia:
un’acqua
viva
e
che
parla
è
in
me,
dicendo
dentro
di
me:
Vieni
al
Padre!
3.
Non
mi
soddisfano
il
cibo
corruttibile
o
i
piaceri
di
questa
vita.
Voglio
il
pane
di
Dio,
che
è
la
carne
di
Gesù
Cristo,
dal
seme
di
Davide,
e
per
bevanda
voglio
il
suo
sangue,
che
è
amore
incorruttibile.
4.
Lettera
Barnaba
Traduzioni:
A.
QUAQUARELLI,
I
padri
apostolici,
ColTP
5,
Roma
1976,
pp.
199-‐200.
9.
La
Scrittura
infatti,
dice:
Abramo
circoncise
trecentodiciotto
uomini
della
sua
casa
(cf.
Gen
14,14).
Quale
era
il
significato
a
lui
rivelato?
Lo
comprendete
perché
dice
prima
diciotto
e,
fatta
una
separazione,
aggiunge
trecento.
Diciotto
si
indica
con
iota
=
dieci
ed
eta
=
otto.
Hai
Gesù.
Poichè
la
croce
è
raffigurata
nel
tau
che
doveva
comportare
la
grazia,
aggiunge
anche
trecento.
Indica
Gesù
nelle
due
prime
lettere
e
la
croce
in
una.
Chi
ha
immesso
in
noi
il
dono
della
sua
dottrina
lo
sa.
CAPITOLO
II:
GLI
APOLOGISTI
Accuse
contro
i
cristiani
"Essi
[i
Cristiani],
raccogliendo
dalla
feccia
più
ignobile
i
più
ignoranti
e
le
donnicciuole,
facili
ad
abboccare
per
la
debolezza
del
loro
sesso,
formano
una
banda
di
empia
congiura,
che
si
raduna
in
congreghe
notturne
per
celebrare
le
sacre
vigilie
o
per
banchetti
inumani,
non
con
lo
scopo
di
compiere
un
rito,
ma
per
scelleraggine;
una
razza
di
gente
che
ama
nascondersi
e
rifugge
la
luce,
tace
in
pubblico
ed
è
garrula
in
segreto.
Disprezzano
ugualmente
gli
altari
e
le
tombe,
irridono
gli
dèi,
scherniscono
i
sacri
riti;
miseri,
commiserano
i
sacerdoti
(se
è
lecito
dirlo),
disprezzano
le
dignità
e
le
porpore,
essi
che
sono
quasi
nudi!
[…]
Regna
tra
loro
la
licenza
sfrenata,
quasi
come
un
culto,
e
si
chiamano
indistintamente
fratelli
e
sorelle,
cosicché,
col
manto
di
un
nome
sacro,
anche
la
consueta
impudicizia
diventi
incesto.
[…]
Ho
sentito
dire
che
venerano,
dopo
averla
consacrata,
una
testa
d'asino,
non
saprei
per
quale
futile
credenza
[…]
Altri
raccontano
che
venerano
e
adorano
le
parti
genitali
del
medesimo
celebrante
e
sacerdote
[…]
E
chi
ci
parla
di
un
uomo
punito
per
un
delitto
con
il
sommo
supplizio
e
il
legno
della
croce,
che
costituiscono
le
lugubri
sostanze
della
loro
liturgia,
attribuisce
in
fondo
a
quei
malfattori
rotti
ad
ogni
vizio
l'altare
che
più
ad
essi
conviene
[…]
Un
bambino
cosparso
di
farina,
per
ingannare
gli
inesperti,
viene
posto
innanzi
al
neofita,
[…]
viene
ucciso.
Orribile
a
dirsi,
ne
succhiano
poi
con
avidità
il
sangue,
se
ne
spartiscono
a
gara
le
membra,
e
con
questa
vittima
stringono
un
sacro
patto
[…]
Il
loro
banchetto,
è
ben
conosciuto:
tutti
ne
parlano
variamente,
e
lo
attesta
chiaramente
una
orazione
del
nostro
retore
di
Cirta
[…]
Si
avvinghiano
assieme
nella
complicità
del
buio,
a
sorte"
(Minucio
Felice,
Octavius
VIII,4-‐IX,
7).
Rescritto
di
Adriano
al
proconsole
d’Asia
Minuccio
Fundano
Se
pertanto
i
provinciali
sono
in
grado
di
sostenere
chiaramente
questa
petizione
contro
i
Cristiani,
in
modo
che
possano
anche
replicare
in
tribunale,
ricorrano
solo
a
questa
procedura,
e
non
ad
opinioni
o
clamori.
È
infatti
assai
più
opportuno
che
tu
istituisca
un
processo,
se
qualcuno
vuole
formalizzare
un’accusa.
Allora,
se
qualcuno
li
accusa
e
dimostra
che
essi
stanno
agendo
contro
le
leggi,
decidi
secondo
la
gravità
del
reato;
ma,
per
Ercole,
se
qualcuno
sporge
denuncia
per
calunnia,
stabiliscine
la
gravità
e
abbi
cura
di
punirlo"
(Eusebio
di
Cesarea,
Hist.
Eccl.
IV,
9,
2-‐3).
Taziano,
Discorso
ai
Greci
Traduzione:
C.
BURINI,
Gli
apologeti
greci
(ColTP
59),
Roma
1986,
220-‐221;
224-‐226.
Vita
spregevole
dei
filosofi
25.
Che
cosa
di
grande
e
di
straordinario
compiono
i
vostri
filosofi?
Tengono
nuda
una
spalla;
si
presentano
con
i
capelli
folti,
si
fanno
crescere
la
barba,
portano
le
unghie
lunghe
e
dicono
di
non
aver
bisogno
di
nessuno,
ma
come
Proteo,
si
servono
di
un
conciatore
di
pelli
per
la
bisaccia,
di
un
tessitore
per
il
mantello,
di
un
legnaiolo
per
il
bastone,
di
gente
ricca
e
di
un
cuoco
per
la
loro
ghiottoneria.
O
uomo
che
imiti
il
cane!
Ti
non
conosci
Dio
e
ti
volgi
all’imitazione
degli
esseri
che
non
hanno
ragione;
gridando
in
pubblico
con
autorità
diventi
difensore
dite
stesso
e,
se
non
ottieni
il
consenso,
lanci
ingiurie
e
l’essere
filosofo
diventa
per
te
un’arte
per
guadagnare.
Se
segui
la
dottrina
di
Platone,
ti
si
oppone
accanitamente
colui
che
insegna
secondo
Epicuro.
Se
al
contrario,
vuoi
essere
come
Aristotele,
ti
insultcrà
colui
che
è
seguace
di
Democrito.
Pitagora
afferma
di
essere
stato
Euforbo
ed
è
infatti
erede
della
dottrina
di
Ferecide.
Aristotele
poi
si
oppone
all’immortalità
dell’anima.
Accettando
contraddittorie
trasmissioni
di
dottrina,
discordi
combattete
quelli
che
sono
tra
loro
concordi.
Qualcuno
afferma
che
il
Dio
perfetto
è
il
corpo;
io
però
dico
che
non
è
il
corpo.
Qualcuno
sostiene
che
il
mondo
è
incorruttibile,
io
invece
affermo
che
è
corretti-‐
bile,
che
la
conflagrazione
avviene
in
determinati
periodi,
io
invece
dico
una
volta
per
sempre.
Voi
dite
che
sono
giudici
Minosse
e
Radamante.
io
affermo
che
è
giudice
lo
stesso
Dio.
Dite
che
soltanto
l’anima
è
immortale,
io
sostengo
che
lo
è
anche
il
corpo
assieme
ad
essa.
In
che
cosa,
o
Greci,
noi
vi
rechiamo
danno?
Perché
disprezzate
come
esseri
abominevoli
coloro
che
seguono
la
parola
di
Dio?
Presso
di
noi
non
esiste
l’antropofagia,
ma.
voi,
falsi
testimoni,
Siete
quelli
che
lo
vanno
dicendo.
Presso
di
voi,
invece,
Pelope
è
cibo
degli
dèi
un-‐
che
se
amante
di
Poseidone,
e
Cronos
divora
i
suoi
figli
e
Zeus
divora
Metis».
Taziano
scopre
la
verità
29.
Dopo
aver
visto
queste
cose,
dopo
aver
partecipato
anche
ai
misteri
e
dopo
aver
sperimentato
che
ovunque
i
culti
erano
stati
fondati
da
effeminati
e
da
ermafroditi,
sapendo
che
presso
i
romani
quello
che
per
loro
è
Giove
Laziale
gode
del
sangue
impuro
degli
uomini
e
del
sangue
che
viene
dalle
carneficine
umane,
(sapendo)
che
Artemide
non
lontano
dalla
grande
città
accetta
le
medesime
cose
e
che
altri
demoni,
chi
da
una
parte
chi
dall’altra,
si
preoccupano
di
scatenare
misfatti,
rientrando
in
me
stesso,
cercavo
in
che
modo
poter
trovare
la
verità.
A
me
che
meditavo
su
ciò
che
fosse
bene,
capitò
d’imbattermi
in
alcuni
scritti
barbari,
molto
più
antichi
delle
dottrine
dei
greci,
molto
più
divini
rispetto
agli
errori
di
quelli.
Accadde
che
io
credetti
a
questi
(scritti)
per
la
semplicità
del
parlare
e
per
la
modestia
dei
narratori,
per
la
facile
spiegazione
della
creazione
dell’universo,
per
la
conoscenza
del
futuro,
per
l’eccezionalità
delle
cose
annunciate
e
per
il
sovrano
di
tutte
le
cose.
Mentre
la
mia
anima
veniva
ammaestrata
da
Dio,
compresi
che
mentre
quelle
(dottrina)
sono
motivo
di
condanna,
queste
altre
sciolgono
dalla
schiavitù
che
è
il
mondo
e
ci
liberano
dai
numerosi
sovrani
e
dalle
migliaia
di
tiranni
e
ci
danno
non
quello
che
non
abbiamo
mai
ricevuto,
ma
ciò
che,
pur
avendolo
ricevuto,
fummo
impediti
di
possedere
a
causa
dell’errore.
30.
Essendomi
impossessato
di
questi
concetti,
ho
voluto
spogliarmi
di
tutto
e
diventare
nudo
come
i
bambini
appena
nati.
Sappiamo
che
la
natura
del
male
è
simile
a
quella
di
un
piccolissimo
seme.
Come
prende
vigore
da
un
piccolissimo
principio,
così
verrà
distrutto
se
noi
obbediamo
alla
parola
di
Dio
senza
disperderci.
Con
un
tesoro
nascosto
ci
ha
conquistato;
per
dissotterrarlo
ci
siamo
coperti
di
polvere,
ma
abbiamo
trovato
il
modo
di
averlo
con
noi.
Ogni
persona
che
ne
ha
preso
possesso
ha
ottenuto
una
ricchezza
preziosissima.
Atenagora,
Supplica
per
i
cristiani
Traduzioni:
C.
BURINI,
Gli
apologeti
greci
(ColTP
59),
Roma
1986,
256-‐257.
Odiati
a
causa
del
nome,
ma
il
nome
di
cristiano
non
è
un
delitto
1.3
Con
noi
che
siamo
cristiani,
non
vi
comportate
allo
stesso
modo,
anzi,
sebbene
non
commettiamo
ingiustizia
e
(come
sarà
dimostrati
dal
discorso
che
segue)
proviamo
più
di
ogni
altro
sentimenti
di
pietà
e
di
giustizia
verso
la
divinità
e
il
vostro
impero,
permettere
che
siamo
maltrattati,
che
soffriamo
e
che
veniamo
perseguitati,
poiché
molti
ci
attaccano
solo
per
il
nome.
[...]
2.1
Ma
se
l’accusa
è
limitata
al
nome
è
ora
compito
vostro,
imperatori
grandissimi,
umanissimi
e
amatissimi
del
sapere,
eliminare
con
un
legge
l’oltraggio
contro
di
noi,
affinché,
come
tutto
l’impero
partecipa
dei
vostri
benefici
sia
presso
il
singolo
che
presso
le
città,
anche
noi
possiamo
dirvi
grazie,
rendendo
gloria
per
il
fatto
che
i
calunniatori
l’hanno
fatta
finita.
2.2
Infatti
non
si
addice
alla
vostra
giustizia
il
fatto
che
mentre
coloro
che
sono
accusati
di
delitto
non
sono
puniti
prima
che
ciò
sia
stato
provato,
per
noi,
invece,
il
nome
ha
più
potere
delle
prove
in
giudizio,
poiché
i
giudici
non
indagano
se
l’imputato
ha
commesso
qualche
ingiustizia,
ma
contro
il
nome
ingiuriano
come
contro
un
misfatto.
Ma
nessun
nome,
in
sé
e
per
sé,
è
ritenuto
cattivo
o
buono,
ma,
a
causa
delle
azioni
cattive
o
buone
che
ne
dipendono,
appare
cattivo
o
buono.
Tre
delitti
ci
vengono
imputati
3.1
Ci
attribuiscono
tre
delitti:
ateismo,
cene
tiestee1
e
unioni
edipodee.
Se
queste
(accuse)
sono
vere,
non
abbiate
riguardo
per
nessuno,
ma
citate
in
giudizio
i
delitti,
estirpateci
dalle
radici
con
le
nostre
mogli
e
con
i
figli,
ammesso
che
qualcuno
tra
gli
uomini
viva
secondo
la
legge
delle
bestie,
benchè
neppure
le
bestie
assalgono
quelli
della
propria
famiglia,
ma
si
accoppiano
secondo
le
leggi
di
natura.
[...]
2.
Ma
se
queste
sono
chiacchiere
e
calunnie
senza
fondamento,
poichè,
secondo
una
logica
naturale,
il
male
si
oppone
alla
virtù
e
secondo
una
legge
divina
le
cose
contrarie
si
combattono
fra
di
loro,
e
voi
siete
testimoni
che
in
nulla
siamo
colpevoli
di
tutto
questo,
ma
volete
che
non
lo
confessiamo,
d’ora
in
poi
spetta
a
voi
condurre
un’indagine
sulla
nostra
vita,
sulle
dottrine,
sulla
stima
e
sulla
sottomissione
nei
confronti
vostri,
della
vostra
casa
e
dell’impero
e
così,
una
volta
per
tutte
(potrete)
concedere
nulla
più
di
quello
che
(concedete)
a
coloro
che
ci
perseguitano.
Noi
li
vinceremo,
noi
che
in
nome
della
verità,
diamo,
senza
esitare,
anche
la
vita.
Atenagora,
La
resurrezione
dei
morti
12.5
Se
dunque
l’uomo
fu
creato
senza
una
causa
e
senza
un
motivo
(ma
nulla
di
ciò
che
è
creato
da
Dio
è
vano,
almeno
secondo
l’intento
del
creatore),
né
(fu
creato)
per
l’utilità
dello
stesso
creatore
o
di
qualcun’altra
fra
le
creature
di
Dio,
è
chiaro
che,
secondo
il
primo
e
più
comune
ragionamento,
Dio
creò
l’uomo
per
se
stesso
e
per
quella
bontà
e
sapienza
che
si
può
contemplare
in
tutta
la
creazione.
6
A
coloro
che
portano
in
se
stessi
l’immagine
del
creatore,
che
possiedono
anche
l’intelligenza
e
sono
dotati
di
un
giudizio
razionale,
a
essi
il
creatore
assegnò
una
vita
permanente
ed
eterna
affinché,
conoscendo
il
loro
creatore,
vivessero
in
eterno
senza
sofferenze
godendo
quei
doni
con
i
quali
corroborano
la
vita
precedente
anche
vivendo
in
corpi
corruttibili
e
terreni.
Teofilo
di
Antiochia,
Ad
Autolico
Traduzioni:
C.
BURINI,
Gli
apologeti
greci
(ColTP
59),
Roma
1986,
2556-‐257.
Libro
I
Premessa
1.
Una
lingua
spedita
e
un
modo
di
parlare
piacevolmente
procurano
diletto
e
lode
agli
uomini
miseri
che
per
vanagloria
hanno
una
mente
corrotta.
Colui
che
ama
la
verità
non
si
cura
dei
discorsi
eleganti,
ma
va
in
cerca
del
contenuto
del
discorso:
che
cosa
sia
e
di
quale
tipo.
Poiché
tu,
amico
mio,
mi
hai
sbalordito
con
futili
discorsi
vantandoti
dei
tuoi
dei
di
pietra
e
di
legno,
di
metallo
battuto
o
fuso,
modellati
o
dipinti,
che
non
vedono
né
sentono
(infatti
sono
idoli
e
opera
delle
mani
dell’uomo);
e
per
di
più
parli
di
me
cristiano
come
se
io
portassi
un
nome
infamante,
ebbene!
Io
confesso
di
essere
cristiano
e
porto
questo
nome
caro
a
Dio
sperando
questo
soltanto:
essere
buon
servitore
di
Dio.
la
cosa,
infatti,
non
è
come
tu
pensi,
e
cioè
che
è
dannoso
il
nome
di
Dio.
Ma
forse
tu
stesso,
essendo
ancora
inutile
a
Dio,
hai
questa
concezione
di
lui.
Il
peccato
impedisce
la
visione
di
Dio
1
Tieste è un personaggio della mitologia greca figlio di Pelope e di Ippodamia e fratello gemello di Atreo. Poiché un
oracolo gli aveva predetto che dall'unione incestuosa con la figlia Pelopia sarebbe nato il vendicatore di Atreo, Tieste,
cercando di non farsi riconoscere, violenta la figlia. Il figlio che nasce si chiama Egisto. La vita di Tieste è contrassegnata
dai rapporti di ostilità con Atreo. Insidia la moglie di Atreo e questi si vendica uccidendo i figli di Tieste e offrendone le
carni in pasto al padre. La causa di tanta ostilità fu la maledizione che pendeva sul capo del loro padre Pelope che troverà
il suo epilogo nella uccisione di Agamennone, figlio di Atreo, da parte di Egisto e nell'assassinio di quest'ultimo da parte
di Oreste figlio di Agamennone.
2.
Ma
se
tu
mi
dicessi:
Mostrami
il
tuo
Dio,
io
ti
direi
Mostrami
il
tuo
uomo
e
io
ti
mostrerò
il
mio
Dio.
Dimostra
dunque
che
gli
occhi
della
tua
mente
vedono
e
che
gli
orecchi
del
tuo
cuore
odono.
Coloro
che
vedono
con
gli
occhi
del
corpo,
percepiscono
le
opere
della
vita
e
quelle
che
sono
sulla
terra
e
danno
un
giudizio
sulle
differenze:
la
luce
o
la
tenebra,
il
bianco
o
il
nero,
il
brutto
o
il
bello,
l’armonioso
e
il
proporzionato
o
ciò
che
non
ha
né
armonia,
né
proporzione,
o
che
è
smisurato,
oppure
mutilo;
e
così
(avviene)
anche
per
quello
che
è
percepito
dalle
orecchie:
è
acuto,
o
grave,
o
armonioso.
Allo
stesso
modo
per
le
orecchie
del
cuore
e
per
gli
occhi
dell’anima
è
possibile
contemplare
Dio.
Dio
infatti
è
visto
da
coloro
che
possono
vederlo,
da
coloro,
cioè,
che
hanno
gli
occhi
dell’anima
bene
aperti.
Tutti
hanno
gli
occhi,
ma
alcuni
li
hanno
offuscati
e
non
vedono
la
luce
del
sole.
Ma
se
i
ciechi
non
vedono,
non
per
questo
non
è
splendente
la
luce
del
sole;
i
ciechi
dunque
riconoscano
la
causa
(del
non
vedere)
in
se
stessi
e
nei
loro
occhi.
Così
tu,
o
uomo,
hai
offuscati
gli
occhi
della
tua
anima
a
causa
dei
tuoi
peccati
e
delle
tue
azioni
malvagie.
Come
uno
specchio
lucente,
così
l’uomo
deve
avere
un’anima
pura.
Se
però
si
forma
della
ruggine
sullo
specchio,
non
è
più
possibile
vedere
sullo
specchio
l’immagine
dell’uomo.
Così
quando
vi
è
un
peccato
nell’uomo,
non
è
più
possibile
che
questo
uomo
contempli
Dio.
Libro
II
Dio
ha
creato
ogni
cosa
dal
nulla
10.
Prima
di
tutto
e
in
modo
concorde
ci
insegnano
che
(Dio)
creò
ogni
cosa
dal
nulla.
Niente
infatti
si
propagò
contemporaneamente
a
Dio;
ma
essendo
egli
stesso
luogo
a
se
stesso
e
di
nulla
bisognoso
ed
esistendo
prima
dei
secoli,
volle
creare
l’uomo
per
essere
da
lui
conosciuto:
per
lui
ha
costituito
prima
di
tutto
il
mondo.
Infatti
colui
che
è
creato
è
bisognoso,
mentre
di
nulla
ha
bisogno
colui
che
è
ingenerato.
Poiché
Dio
aveva
il
proprio
Verbo
immanente
nel
proprio
cuore,
lo
generò
insieme
alla
sua
sapienza
emanandolo
prima
di
tutte
le
altre
cose.
Questo
Verbo
egli
ebbe
come
esecutore
di
tutte
le
cose
che
da
lui
(Dio)
avevano
avuto
origine,
e
per
mezzo
di
lui
creò
tutte
le
cose.
Egli
si
chiama
principio,
poiché
è
principio
e
signore
di
tutto
ciò
che
è
stato
plasmato
per
mezzo
di
lui.
Questo
dunque,
essendo
spirito
di
Dio,
principio,
sapienza
e
potenza
dell’altissimo,
scendeva
sui
profeti
e
per
bocca
loro
parlava
della
creazione
del
mondo
e
di
tutte
le
altre
cose.
I
profeti
non
esistevano
quando
fu
creato
il
mondo,
ma
(esisteva)
la
sapienza
di
Dio
che
è
in
lui
e
il
suo
santo
Verbo
che
da
sempre
con
lui
esiste.
Per
questo
così
dice
per
bocca
del
profeta
Salomone
:
Quando
creò
il
cielo
io
ero
con
lui
e
quando
pose
le
stabili
fondamenta
della
terra
ero
con
lui
per
porre
l’ordine.
La
Trinità
15.
Ugualmente
anche
i
tre
giorni
che
esistettero
prima
dei
corpi
luminosi,
sono
immagine
della
Trinità:
di
Dio,
del
suo
Verbo
e
della
sua
Sapienza.
La
voce
di
Dio
è
il
Verbo
di
Dio
22.
Tu
mi
chiederai:
Tu
dici
che
Dio
non
può
essere
circoscritto
in
alcun
luogo;
come
puoi
dire
ora
che
passeggiava
nel
giardino?
Ascolta
quello
che
ti
dico.
Dio,
Padre
di
tutte
le
cose,
è
incontenibile
e
non
si
trova
in
nessun
luogo,
non
esiste
infatti
un
luogo
ove
cessi
di
agire.
Ma
il
suo
Verbo,
per
mezzo
del
quale
egli
ha
creato
tutte
le
cose,
essendo
sua
potenza
e
sapienza,
assumendo
la
figura
del
Padre
e
Signore
dell’universo,
questi
camminava
nel
giardino
nella
persona
di
Dio
e
parlava
con
Adamo.
Infatti
la
stessa
Scrittura
divina
c’insegna
che
Adamo
diceva
di
aver
udito
la
voce.
Ma
la
voce
che
cosa
altro
è
se
non
il
Verbo
di
Dio
che
è
anche
il
suo
Figlio?
e
non
da
unione
coniugale,
come
poeti
e
mitologi
narrano
a
proposito
dei
figli
degli
dei,
ma,
come
narra
la
verità,
il
Logos
che
esiste
da
sempre
è
immanente
nel
cuore
di
Dio.
E
prima
che
qualcosa
esistesse,
con
questo
si
consigliava,
sua
mente
e
sua
prudenza.
E
quando
Dio
volle
creare
quanto
aveva
deliberato,
generò
questo
Verbo
proferito,
primogenito
di
tutta
la
creazione,
e
senza
privarsi
del
Verbo,
ma
avendo
generato
il
Verbo
e
sempre
con
il
suo
Verbo
rimanendo
unito.
Libro
III
I
cristiani
non
meritano
empie
accuse
15.
Rifletti
dunque
se
quelli
che
ricevono
questi
insegnamenti
possono
vivere
in
un
modo
o
nell’altro
indifferentemente
e
pervenire
a
turpi
unioni
o,
cosa
più
empia
di
tutte,
cibarsi
di
carne
umana,
quando
a
noi
sono
proibiti
anche
gli
spettacoli
dei
gladiatori,
per
non
diventare
complici
e
testimoni
di
coloro
che
uccidono.
E
non
ci
è
permesso
vedere
neppure
gli
altri
spettatori,
affinché
i
nostri
occhi
e
le
nostre
orecchie
non
siano
insozzati
prestando
attenzione
alle
voci
declamate
in
quei
luoghi.
Se
qualcuno
parlasse
di
antropofagia,
è
lì
che
si
trovano
i
figli
di
Tieste
e
di
Tereo
che
sono
divorati.
Se
(parlasse)
invece
di
adulterio,
nelle
loro
tragedie
sono
rappresentati
non
solo
quelli
degli
uomini,
ma
anche
quelli
degli
dei
di
cui
ne
danno
l’annuncio
a
gran
voce
dietro
onori
e
premi.
Sia
ben
lontano
dai
cristiani
pensare
di
compiere
qualcosa
di
simile;
in
essi
vive
la
temperanza;
è
praticata
la
continenza;
è
osservata
la
monogamia;
è
custodita
la
purezza;
è
abbattuta
l’ingiustizia;
è
estirpato
il
peccato;
è
praticata
la
giustizia;
è
amministrata
la
legge;
è
osservata
la
pietà;
è
riconosciuto
Dio.
La
verità
presiede;
la
grazia
custodisce;
la
pace
regna
d’intorno;
la
santa
Parola
è
guida;
la
sapienza
insegna;
la
vita
di
regge;
Dio
regna.
Lettera
a
Diogneto
I
cristiani
né
per
regione,
né
per
voce,
né
per
costumi
sono
da
distinguere
dagli
altri
uomini.
Infatti
non
abitano
città
proprie,
né
usano
un
gergo
che
si
differenzia,
né
conducono
un
genere
di
vita
speciale.
La
loro
dottrina
non
è
nella
scoperta
del
pensiero
di
uomini
multiformi,
né
essi
aderiscono
a
una
corrente
filosofica,
come
fanno
gli
altri.
Vivendo
in
città
greche
e
barbare,
come
a
ciascuno
è
capitato,
e
adeguandosi
ai
costumi
del
luogo
nel
vestito,
nel
cibo
e
nel
resto,
testimoniano
un
metodo
di
vita
sociale
mirabile
e
indubbiamente
paradossale.
Vivono
nella
loro
patria,
ma
come
forestieri;
partecipano
a
tutto
come
cittadini
e
da
tutto
sono
distaccati
come
stranieri.
Ogni
patria
straniera
è
patria
loro
e
ogni
patria
è
straniera.
Si
sposano
come
tutti
e
generano
figli,
ma
non
gettano
i
neonati.
Mettono
in
comune
la
mensa,
ma
non
il
letto.
Sono
nella
carne,
ma
non
vivono
secondo
la
carne.
Dimorano
sulla
terra,
ma
hanno
la
loro
cittadinanza
nel
cielo.
Obbediscono
alle
leggi
stabilite,
e
con
la
loro
vita
superano
le
leggi.
Amano
tutti,
e
da
tutti
vengono
perseguitati.
Non
sono
conosciuti,
e
vengono
condannati.
Sono
uccisi
e
riprendono
a
vivere.
Sono
poveri
e
fanno
ricchi
molti:
mancano
di
tutto,
e
di
tutto
abbondano.
Sono
disprezzati,
e
nei
disprezzi
hanno
gloria.
Sono
oltraggiati
e
proclamati
giusti.
Sono
ingiuriati
e
benedicono:
sono
maltrattati
e
onorano,
Facendo
del
bene,
vengono
puniti
come
malfattori;
condannati,
gioiscono
come
se
ricevessero
la
vita,
Dai
giudei
sono
combattuti
come
stranieri
e
dai
greci
perseguitati,
e
coloro
che
li
odiano
non
saprebbero
dire
il
motivo
dell’odio»,
«A
dirla
in
breve,
come
è
l’anima
nel
corpo,
così
nel
mondo
sono
i
cristiani.
L’anima
è
diffusa
in
tutte
le
parti
del
corpo
e
i
cristiani
nelle
città
della
terra.
L’anima
abita
nel
corpo
ma
non
è
del
corpo:
i
cristiani
abitano
nel
mondo
ma
non
sono
del
mondo.
L’anima
invisibile
è
racchiusa
in
un
corpo
visibile;
i
cristiani
si
vedono
nel
mondo,
ma
la
loro
religione
è
invisibile.
La
carne
odia
l’anima
e
la
combatte,
pur
non
avendo
ricevuta
ingiuria,
perché
impedisce
di
prendersi
dei
piaceri.
Il
mondo,
che
pur
non
ha
avuto
ingiustizia
dai
cristiani,
li
odia
perché
si
oppongono
ai
piaceri.
L’anima
ama
la
carne
che
la
odia
e
le
membra;
anche
i
cristiani
amano
coloro
che
li
odiano.
L’anima
è
racchiusa
nel
corpo,
ma
essa
sostiene
il
corpo;
anche
i
cristiani
sono
nel
mondo
come
in
una
prigione,
ma
essi
Sostengono
il
mondo.
L’anima
immortale
abita
in
una
dimora
mortale;
anche
i
cristiani
vivono
come
stranieri
tra
le
cose
che
si
corrompono,
aspettando
I
‘incorruttibilità
nei
cieli.
Maltrattata
nei
cibi
e
nelle
bevande,
l’anima
si
raffina:
anche
i
cristiani,
Maltrattati,
ogni
giorno
più
si
moltiplicano.
Dio
li
ha
messi
in
un
posto
tale
che
a
essi
non
è
lecito
abbandonare».
CAPITOLO
III:
Ireneo
di
Lione
Contro
le
eresie
3,18,1.2.7-‐22,3
Dottrina
della
ricapitolazione
1.
[...]
Ma
quando
[il
Figlio
di
Dio]
si
incarnò
e
divenne
uomo,
ricapitolò
in
se
stesso
la
lunga
storia
degli
uomini,
procurandoci
in
compendio
la
salvezza,
affinchè
recuperassimo
in
Cristo
Gesù
ciò
che
avevamo
perduto
in
Adamo,
cioè
l’essere
ad
immagine
e
somiglianza
di
Dio.
2.
Infatti,
non
essendo
possibile
che
l’uomo,
una
volta
vinto
e
spezzato
dalla
disobbedienza,
fosse
plasmato
di
nuovo
e
ottenesse
il
premio
della
vittoria,
ed
essendo
ugualmente
impossibile
che
ricevesse
la
salvezza
colui
che
era
caduto
sotto
il
peccato,
il
Figlio
ha
operato
l’una
e
l’altra
cosa:
egli
che
era
il
Verbo
di
Dio,
discese
dal
Padre
e
si
incarnò,
discese
fino
alla
morte
e
portò
a
compimento
l’economia
della
nostra
salvezza.
7.
[...]
Ora
se
appariva
come
carne
senza
essere
divenuto
carne,
la
sua
opera
non
era
vera.
Ma
egli
era
ciò
che
appariva:
Dio
che
ricapitola
in
sé
la
sua
antica
creatura,
che
è
l’uomo,
per
uccidere
il
peccato
e
distruggere
la
morte
e
vivificare
l’uomo.
E
per
questo
le
sue
opere
sono
vere.
22.3
Perciò
Luca
presenta
una
genealogia
che
va
dalla
nascita
del
Signore
nostro
fino
ad
Adamo
e
comprende
settantadue
generazioni:
congiunge
la
fine
al
principio
e
dimostra
che
egli
stesso
ha
ricapitolato
in
se
stesso
tutte
le
genti
disseminate
fin
dal
tempo
di
Adamo
e
tutte
le
lingue
e
generazioni
umane
insieme
ad
Adamo
stesso.
Contro
le
eresie
3,22,4
Maria,
la
nuova
Eva
Parallelamente
si
trova
anche
la
Vergine
Maria
obbediente
quando
dice:
Ecco
la
tua
serva,
avvenga
di
me
quello
che
hai
detto
(Lc.
1,38).
Eva
disobbedì,
e
fu
disobbediente
mentre
era
ancora
vergine.
Come
Eva,
che
pur
avendo
come
marito
Adamo
era
ancora
vergine
[...]
disobbedendo
divenne
causa
di
morte
per
sé
e
per
tutto
il
genere
umano,
così
Maria,
che
pur
avendo
lo
sposo
che
le
era
stato
assegnato
era
ancora
vergine,
obbedendo
divenne
causa
di
salvezza
per
sé
e
per
tutto
il
genere
umano.
Perciò
la
legge
chiama
colei
che
era
fidanzata
ad
un
uomo,
benché
sia
ancora
vergine,
moglie
di
colui
che
l’aveva
presa
come
fidanzata
indicando
il
movimento
a
ritroso
che
va
da
Maria
ad
Eva.
Infatti,
ciò
che
è
stato
legato
non
può
essere
slegato
se
non
si
ripercorrono
in
senso
inverso
le
pieghe
del
nodo,
così
che
le
prime
pieghe
siano
sciolte
grazie
alle
seconde
e
inversamente
le
seconde
liberino
le
prime,
per
cui
capita
che
il
primo
legame
è
sciolto
dal
secondo
e
il
secondo
nodo
serve
da
slegatura
per
il
primo.
[...]
Così
dunque
il
nodo
della
disobbedienza
di
Eva
trovò
soluzione
grazie
all’obbedienza
di
Maria.
Ciò
che
Eva
aveva
legato
per
la
sua
incredulità,
Maria
l’ha
sciolto
per
la
sua
fede.
Contro
le
eresie
5,19,1-‐ss
Maria
avvocata
di
Eva
Se
dunque
il
Signore
è
venuto
visibilmente
nella
sua
proprietà;
se
è
stato
portato
dalla
sua
propria
creazione
che
è
portata
da
lui;
se
grazie
alla
sua
obbedienza
sul
legno
ha
fatto
la
ricapitolazione
della
disobbedienza
che
era
stata
compiuta
per
mezzo
del
legno;
se
la
seduzione,
di
cui
miseramente
era
stata
vittima
Eva,
vergine
soggetta
al
marito,
è
stata
dissipata
dalla
verità
che
fu
annunciata
magnificamente
dall’angelo
a
Maria,
vergine
già
in
potere
del
marito
–
infatti,
come
quella
fu
sedotta
dalla
parola
dell’angelo
in
modo
da
fuggire
Dio
trasgredendo
la
sua
parola,
così
questa
ricevette
il
lieto
annuncio
per
mezzo
della
parola
dell’angelo,
in
modo
da
portare
Dio
obbedendo
alla
sua
parola;
e
come
quella
si
lasciò
sedurre
in
modo
da
disubbidire
a
Dio,
così
questa
si
lasciò
persuadere
in
modo
da
obbedire
a
Dio,
affinché
la
Vergine
Maria
divenisse
avvocata
della
vergine
Eva;
e
come
il
genere
umano
fu
legato
alla
morte
per
mezzo
di
una
vergine,
così
ne
fu
liberato
per
mezzo
di
una
vergine,
perchè
la
disobbedienza
di
una
vergine
fu
controbilanciata
dall’obbedienza
di
una
vergine.
Esposizione
della
dottrina
degli
Apostoli
32-‐34
La
disobbedienza
di
Eva
e
l’obbedienza
di
Maria
32.
Ora,
donde
proviene
la
sostanza
del
primo
uomo?
Dalla
volontà
e
dalla
sapienza
di
Dio
e
dalla
vergine
terra.
Giacché
Iddio
non
aveva
mandato
la
pioggia,
dice
la
Scrittura,
prima
che
fosse
l’uomo,
e
non
v’era
l’uomo
a
lavorare
la
terra
(Gen.
2,5).
Da
questa
terra,
dunque,
mentre
essa
era
ancor
vergine,
prese
Iddio
del
fango
e
creò
l’uomo,
principio
del
genere
umano.
Volendo
rinnovare
l’uomo,
il
Signore
seguì,
incarnandosi,
la
stessa
economia.
Nacque
da
una
vergine
per
la
volontà
e
la
sapienza
di
Dio,
affinchè
fosse
ben
chiaro
che
egli
aveva
un
corpo
simile
a
quello
di
Adamo
e
che
era
davvero
lo
stesso
uomo
del
quale
fu
scritto
al
principio,
l’uomo
fatto
a
immagine
e
somiglianza.
33.
Come
a
causa
di
una
vergine
disobbediente
l’uomo
fu
trafitto,
cadde
e
morì,
così
a
causa
ancora
di
una
vergine
obbediente
alla
parola
di
Dio,
risuscitato
riprese
la
vita.
Il
Signore
infatti
è
venuto
a
cercare
la
pecorella
perduta,
cioè
l’uomo
che
si
era
perduto.
Perciò
non
si
formò
un
corpo
diverso,
ma
per
mezzo
di
Colei
che
discendeva
da
Adamo
conservò
la
somiglianza
di
quel
corpo.
Adamo
infatti
fu
ricapitolato
in
Cristo,
affinchè
ciò
che
è
mortale
fosse
inghiottito
nell’immortalità,
ed
Eva
in
Maria,
affinchè
una
vergine
divenuta
avvocata
di
una
vergine,
dissolvesse
e
annientasse
con
la
sua
obbedienza
di
vergine
la
disobbedienza
di
una
vergine.
34.
Il
peccato
commesso
a
causa
dell’albero
fu
annullato
dall’obbedienza
compiuta
sull’albero,
obbedienza
a
Dio,
per
la
quale
il
Figlio
dell’uomo
fu
inchiodato
sull’albero
abolendo
la
scienza
del
male
e
apportando
e
donando
la
scienza
del
bene.
Il
male
è
disobbedire
a
Dio,
il
bene
invece
obbedire.
CAPITOLO
IV:
LA
SCUOLA
DI
ALESSANDRIA
1. Clemente
Alessandrino
Protrettico
114
1.
Cancelliamo,
dunque,
cancelliamo
l’oblio
della
verità;
eliminate
l’ignoranza
e
l’oscurità
che
ci
impedisce
come
nebbia
la
vista,
contempliamo
colui
che
è
veramente
Dio
esaltandolo
in
primo
luogo
mediante
queste
parole:
Salve,
luce.
Per
noi,
che
eravamo
sprofondati
nelle
tenebre
e
chiusi
nell’ombra
della
morte
(Is
9,2,
cf.
Mt
4,16;
Lc
1,79),
brillò
dal
cielo
una
luce
più
pura
di
quella
del
sole,
più
dolce
della
vita
di
quaggiù.
2.
Quella
luce
è
vita
senza
fine,
e
tutto
ciò
che
ne
è
toccato,
vive;
ma
la
notte
ha
paura
della
luce
e
dileguandosi
per
la
paura
cede
il
passo
al
giorno
del
Signore:
l’universo
è
diventato
luce
che
non
tramonta
(Sap
7,10),
e
l’occidente
si
è
tramutato
in
oriente.
3.
Questo
ha
voluto
la
nuova
creazione
(2
Cor
5,17;
Gal
6,15):
giacché
il
sole
di
giustizia
(Mal
4,2)
che
cavalca
l’universo,
si
aggira
in
modo
uguale
su
tutto
il
genere
umano,
imitando
il
Padre
suo
che
fa
sorgere
il
suo
sole
(Mt
5,45)
su
tutti
gli
uomini
e
su
di
essi
fa
scendere
la
rugiada
della
verità.
4.
Egli
trasformò
l’occidente
in
oriente
e
mediante
la
sua
crocifissione
tramutò
la
morte
in
vita
e,
avendo
strappato
l’uomo
dalla
perdizione,
lo
innalzò
al
cielo,
tramutando
la
corruzione
in
incorruttibilità
e
trasformando
la
terra
in
cielo.
Egli
è
l’agricoltore
divino,
“che
indica
i
presagi
favorevoli
e
incita
i
popoli
al
lavoro”,
che
è
buono,
“richiamandoci
alla
memoria
la
vita”
vera
e
elargendoci
l’eredità
del
Padre,
quell’eredità
veramente
grande,
divina
e
che
non
ci
può
essere
tolta,
per
mezzo
di
un
celeste
insegnamento,
rendendo
l’uomo
simile
a
Dio,
ponendo
leggi
nella
loro
mente
e
scrivendole
nel
loro
cuore
(Ger
31,33;
cf.
Eb
8,10).
5.
A
quali
leggi
allude
il
profeta?
Che
tutti
conosceranno
Dio,
dal
più
piccolo
fino
al
più
grande
e
sarò
benevolo
nei
loro
confronti,
dice
Dio,
e
non
mi
ricorderò
dei
loro
peccati
(Ger
31,34;
cf.
Eb
8,11-‐12).
Stromati
5,81,2-‐82,4
Un
poeta
di
Agrigento
dice
di
Dio:
“Non
è
possibile
vederlo
con
gli
occhi
o
toccarlo
con
le
mani:
la
via
migliore
per
giungere
a
Dio
è
che
gli
uomini
se
ne
convincano
in
cuor
loro”.
E
l’apostolo
Giovanni:
Nessuno
ha
mai
visto
Dio;
l’unigenito
Dio,
che
è
nel
seno
del
Padre,
ce
l’ha
fatto
conoscere
(Gv
1,18).
Riferendosi
all’espressione
seno
di
Dio,
di
per
sé
sconcertante
e
misteriosa,
alcuni
hanno
definito
il
Signore
abisso,
che
comprende
e
racchiude
tutte
le
cose
nell’intimo
di
se
stesso,
senza
poter
essere
raggiunto
da
nessuno,
nella
sua
infinità.
Certamente
è
difficilissimo
un
discorso
su
Dio.
Poiché,
infatti,
è
tutt’altro
che
semplice
scoprire
il
principio
di
tutte
cose,
allora
è
ancor
più
difficile
mostrare
il
principio
primo
e
più
antico,
che
è
anche
per
tutti
gli
altri
esseri
la
causa
dell’essere
e
del
divenire.
Infatti,
come
potrebbe
essere
definito
colui
che
non
ha
genere,
alterità,
specie,
individuo,
numero,
e
accidenti
o
soggetto
cui
qualcosa
possa
capitare
come
accidente?
Nessuno
potrebbe
mai
chiamarlo
a
ragione
“tutto”:
egli
infatti
viene
definito
“tutto”
per
la
sua
grandezza,
ma
è,
in
certo
senso,
il
padre
di
tutto.
D’altronde,
non
si
può
dire
che
in
lui
c’è
pluralità
di
parti:
infatti,
l’uno
è
indivisibile.
Anzi,
proprio
per
questo
è
infinito:
non
cioè
nel
senso
che
sia
inesplicabile,
ma
perché
è
senza
dimensioni
né
parti,
senza
immagine
né
definizione.
E
se
noi
volendolo
[Dio]
chiamare,
lo
definiamo
impropriamente
Uno,
Bene,
Intelletto,
Essere
in
sé,
Padre,
creatore
o
Signore,
non
diciamo
[ciò]
come
proferendo
il
suo
nome,
ma
per
questa
mancanza
noi
applichiamo
bei
nomi,
perché
il
pensiero
possa
basarsi
su
di
essi
senza
sbagliare
con
il
ricorrere
ad
altri.
Infatti,
ogni
singolo
termine
non
può
significare
Dio,
ma
tutti
insieme
esprimono
la
potenza
dell’Onnipotente.
Quando
si
definisce
una
cosa,
la
indichiamo
attraverso
ciò
che
in
essa
si
trova
oppure
attraverso
il
suo
rapporto
con
le
altre
cose;
ma
per
definire
Dio
non
è
possibile
né
l’una
né
l’altra
cosa.
Neppure
la
scienza
può
essere
ritenuta
valida
a
questo
fine.
Essa
presuppone
infatti
elementi
antecedenti
e
conosciuti;
invece,
non
c’è
nulla
prima
dell’ingenito.
Rimane
un’unica
strada
per
conoscere
quanto
ci
è
ignoto:
la
grazia
di
Dio
e
il
suo
Logos,
che
è
presso
di
lui.
CAPITOLO
V:
LA
SCUOLA
AFRICANA
1. Tertulliano
Adversus
Praxean
Capitolo
I
1.
In
varie
maniere
il
diavolo
combatté
la
Verità.
Egli
cercò
talvolta
di
distruggerla,
fingendo
di
difenderla.
Si
fa
difensore
dell’unico
Dio,
Onnipotente,
Creatore
del
mondo,
per
far
nascere
l’eresia
anche
nella
parola
unico2.
È
sempre
proprio
il
Padre
–
sostiene
–
quegli
che
discese
nella
Vergine,
che
nacque
da
lei,
che
soffrì,
in
breve,
egli
appunto
è
Gesù
Cristo3.
Il
serpente
smentisce
se
stesso,
perché
quando
tentò
Gesù
Cristo
dopo
il
battesimo
di
Giovanni,
gli
rivolse
la
parola
come
se
fosse
Figlio
di
Dio,
fatto
certo
che
Dio
aveva
un
figlio
anche
da
quelle
stesse
scritture
sulla
scorta
delle
quali
architettava
allora
la
sua
tentazione:
2.
Se
tu
sei
figlio
di
Dio,
di’
che
queste
pietre
diventino
pane
(Mt
4,3),
e
ancora:
Se
tu
sei
figlio
di
Dio,
gettati
giù
di
qui,
perché
sta
scritto
che
egli
–
il
Padre
naturalmente
–
ha
comandato
ai
suoi
angeli
che
ti
sostengano
con
le
mani,
perché
tu
non
batta
il
piede
contro
qualche
pietra
(Mt
4,6).
3.
Oppure
egli
rinfaccerà
ai
Vangeli
la
menzogna,
ribattendo:
Se
la
vedano
Matteo
e
Luca:
per
mio
conto
io
ho
avvicinato
Dio
in
persona,
io
ho
tentato
l’Onnipotente
faccia
a
faccia:
per
questo
l’ho
avvicinato
e
tentato;
se
fosse
stato
soltanto
il
Figlio
di
Dio,
forse
non
avrei
mai
perso
tempo
con
lui.
Di’
piuttosto
che
egli
è
un
mentitore
fin
dall’inizio
dei
tempi4
e
con
lui
chiunque
egli
abbia
subordinato
coi
suoi
mezzi,
come
ha
fatto
Prassea5.
4.
Costui
per
primo
trapiantò
dall’Asia
a
Roma
questa
aberrazione6;
un
uomo
fra
l’altro
inquieto,
si
gonfiava,
inoltre,
con
la
vanteria
2
L’eresia nasce dalla necessità di difendere una verità che però alla fine viene estremizzata e diventa
eresia (verità impazzita). Qui Tertulliano si esprime in questo modo poiché di solito le eresie
introducevano una pluralità di dei, invece in questo caso, siamo di fronte a un’eresia monarchiana,
che difendeva l’unicità di Dio. Questo sarà il punto di partenza di Prassea, che si trova in una
posizione in sé corretta, ma la soluzione che alla fine viene individuata risulta essere non ortodossa e
così Tertulliano la rifiuterà combattendola.
3
Qui troviamo espressa in parte l’eresia di Prassea che è quella di credere che Gesù è un modo di
manifestarsi dell’unico Dio, che si è incarnato ed è morto sulla croce.
4
Cf. 1 Gv 3,8; Gv 8,44.
5
In questo passo abbiamo una breve confutazione della dottrina monarchiana che però verrà presa
più diffusamente avanti. Alla conclusione di questo brano Tertulliano introduce la figura di Prassea.
6
Prassea avrebbe portato a Roma, secondo Tertulliano, la dottrina di Noeto di Smirne. In tale contesto
abbiamo la testimonianza dell’Elenchos che riporta notizie completamente differenti. L’autore di
questo testo parla di 4 personaggi tra i quali però non figura Prassea: Noeto (fondatore); Epigono,
diacono di Noeto (porta la dottrina a Roma), Cleomene e Sabellio (diffondono la dottrina). Vista la
divergenza del testo di Tertulliano da quello dell’autore dell’Elenchos emergono due grossi problemi:
1. l’autore dell’Elenchos che conosce bene il monarchianesimo romano non conosce Prassea; 2. non
abbiamo nessuna testimonianza della lotta di Prassea al montanismo condotta a Roma, se non quella
di Tertulliano. Proprio per questo nel corso della storia gli studiosi hanno formulato delle ipotesi:
alcuni hanno pensato che Prassea fosse un soprannome il faccendiere, l’introgante, (dal verbo greco
prassw) teoria poco accolta in quanto il termine comune prassea il Grecia non è attestato; mentre
altri studiosi hanno identificato Prassea con il diacono Epigono o con papa Callisto (Hagemann.
Questi vede un’allusione all’esilio di Callisto in Sardegna, quando Tertulliano dice: si gonfiava con
vanterie del martirio attribuitosi per la pura, semplice e breve sofferenza del carcere), ma anche
questa notizia risulta difficilmente accettabile vista l’assenza di notizie, inoltre quanto Tertulliano
dice di Prassea è difficilmente riferibile a Callisto, che non veniva cero dall’Asia e non fu certo il
primo a portare l’eresia a Roma, così è escluso che Callisto passase da Roma in Africa a diffondere
le sue dottrine. Harnack ipotizza che Prassea sia giunto a Roma molto tempo prima di Epigono, sotto
del
martirio
attribuendosi
la
pura,
semplice
e
breve
sofferenza
del
carcere,
mentre
nessun
merito
avrebbe
conseguito
anche
se
avesse
offerto
il
suo
corpo
alle
fiamme,
perché
non
aveva
l’amore
di
quel
Dio,
del
quale
aveva
combattuto
perfino
i
carismi7.
5.
Era
quello
il
tempo,
in
cui
il
vescovo
di
Roma8
stava
ormai
per
riconoscere
le
profezie
di
Montano,
Prisca
e
Massimilla,
e
in
forza
di
questo
riconoscimento
stava
per
riportare
la
riconciliazione
alle
chiese
d’Asia
e
di
Frigia;
ma
quest’uomo
adducendo
false
testimonianze
sui
profeti
stessi
e
sulle
loro
chiese
e
difendendo
le
autorevoli
decisioni
[auctoritates]9
dei
predecessori
del
vescovo,
lo
costrinse
sia
a
richiamare
le
lettere
di
riconciliazione
ormai
spedite
sia
a
desistere
dal
proposito
di
ricevere
i
carismi.
Così
Prassea
rese
al
diavolo
due
servizi10:
estromise
la
profezia
e
introdusse
l’eresia,
mise
in
fuga
il
Paracleto
e
in
croce
il
Padre11.
6.
La
zizzania
di
Prassea
aveva
lussureggiato,
seminata
anche
qui12
(sopra
il
buon
grano)13,
mentre
molti
dormivano
nella
semplicità
della
dottrina;
la
zizzania
fu
poi
scoperta
da
colui
che
Dio
scelse14,
e
sembrava
completamente
sradicata.
Insomma,
il
maestro
di
un
tempo,
aveva
rilasciato
il pontificato di Eleutero, in un tempo, quindi, al quale i ricordi personali dell’autore dell’Elencos non
poteva risalire. Il nome di Prassea era perciò scomparso quando, molti anni più tardi, la controversia
monarchiana si riaccese a Roma a e Cartagine. In tale contesto va ricordato che le notizie di
Tertulliano sono di seconda mano e che lui certamente nel condurre la polemica accentuava degli
aspetti volutamente. Quindi si può pensare che la figura di Prassea a Roma non fosse poi così influente
come lui afferma.
7
Qui Tertulliano fa riferimento alla corrente montanista. Pensando al montanismo dovremmo parlare
più di scisma che di eresia, che spingeva per una riscoperta dei carismi apostolici in particolar modo
di quello della profezia. Nel Pastore di Erma (140) ancora si parla di profeti. Con il tempo, però, man
mano che le comunità si strutturano, il profeta viene meno e quindi non si accettano interventi di
esterni, come erano quelli dei profeti, in quanto la comunità aveva già le sue guide. Questo è il
passaggio dalle comunità itineranti alle comunità stanziali che rompono i rapporti con i missionari.
Un esempio di questa evoluzione ce l’abbiamo nella 3 lettera di san Giovanni (3 Gv 9-10). Anche
nella Didachè abbiamo un’ulteriore testimonianza: si dice che il missionario dopo due giorni deve
andare via, e questo sta a indicare che il passaggio a una comunità stanziale è ormai avvenuto (cf.
Did. IX,3-5). Quando in Asia e in Frigia a opera di Montano (affiancato da Prisca e Massimilla) nasce
la tendenza montanista (i nuovi profeti come si chiamavano loro, i frigi come erano chiamati, infatti
montanisti è un nome tardo) viene subito condannata visto che poteva produrre delle instabilità
all’interno delle comunità. La ragion per cui rinasce il profetiamo invece risulta essere sconosciuta.
Il problema con la gerarchia è più di tipo disciplinare che dottrinale. I montanisti predicavano
un’ascesi più rigida che spingeva a essere più indipendenti dalla gerarchia della comunità; questa
impostazione faceva presa sui cristiani ed era piuttosto diffusa. Lo stesso Ireneo scrive a suo favore.
Secondo Tertulliano anche il vescovo di Roma stava per pronunciarsi a favore del montanismo (anche
se le chiese tra loro erano indipendenti un pronunciamento della Chiesa di Roma sarebbe stato
particolarmente significativo) ma a causa di Prassea questo pronunciamento non sarebbe avvenuto.
8
Non sappiamo con certezza chi fosse, ma secondo i calcoli cronologici dovrebbe essere Papa Vittore
(189-198?).
9
Si tratta di documenti scritti, infatti, presso i Latini, il plurale auctoritates designa documenti scritti,
addotti in giudizio (cf. CICERONE, 1 Orat. 39; 2 Verr. 3; TERTULLIANO, Adverus Nationes II,1,7)
10
L’eretico, che trae ispirazione dal demonio, è l’assassino della verità, interfector veritatis (cf. De
carne Christi 5,3).
11
Paracletum fugavit et Patrem crucifixit. Tertulliano si scaglia contro Prassea sia per la sua visione
di Cristo, sia perché critica il montanismo. Secondo Tertulliano, Prassea ha reso a Roma 2 servizi al
diavolo: 1. ha crocifisso il Padre (dottrina monarchiana – patripassiana nell’espressione latina); 2.
messo in fuga il Paracleto.
12
Si riferisce a Cartagine, anche se non è certo che Prassea in persona si recò in Africa.
13
Cf. la parabola della zizzania, Mt 13,24ss.
14
Cioè Tertulliano.
formali
garanzie
della
sua
resipiscenza,
e
la
sua
dichiarazione
autografa
[chirographum]
è
in
mano
agli
psichici
dinanzi
ai
quali
la
ritrattazione
era
stata
compiuta15.
7.
Poi
silenzio.
In
un
secondo
momento
il
fatto
di
aver
riconosciuto
e
sostenuto
il
Paracleto
disgiunse
anche
me
dagli
psichici16.
Ma
quella
zizzania
dell’eresia
aveva
allora
sparso
i
suoi
semi
dappertutto,
e
così
per
un
certo
tempo
rimase
nascosta,
dissimulando
la
sua
subdola
vitalità,
ed
ora
è
nuovamente
fiorente17.
Ma
sarà
nuovamente
sradicata;
se
Dio
vorrà,
in
questo
mondo,
se
no,
a
suo
tempo
tutto
il
falso
grano
sarà
raccolto
e
bruciato,
insieme
agli
altri
scandali,
nel
fuoco
inestinguibile.
2. Cipriano
di
Cartagine
Pietro
e
Paolo.
Il
loro
rapporto
con
Roma
nelle
testimonianze
antiche.
XXIX
Incontro
di
studiosi
dell’antichità
cristiana.
Roma,
4-‐6
maggio
2000,
Augustinianum,
Roma
2001.
Acerbi,
L.,
Località
e
universalità
nella
Chiesa
antica,
in
A.
Giovagnoli
(a
cura
di),
L’identità
cristiana
tra
località
e
universalità,
Studium,
Roma
2010,
19-‐42.
Bakker,
H.
-‐
Geest
van,
P.
-‐
Loon
van,
H.,
Cyprian
of
Carthage.
Studies
in
his
life,
language,
and
Thought
(=
Late
Antique
History
and
Religion
3),
Peeters,
Leuven
-‐
Paris
-‐
Walpole/MA
2010.
Burini
De
Lorenzi,
C.,
De
aleatoribus:
una
esegesi
taciuta
ma
visibile,
«
Auctores
Nostri
»
6
(2008)
99-‐119.
Carpin,
A.,
Cipriano
di
Cartagine.
Il
vescovo
nella
chiesa.
La
chiesa
nel
vescovo,
Edizioni
Studio
Domenicano,
Bologna
2006.
Cipriano
di
Cartagine,
A
Demetriano.
Introduzione,
testo
critico
e
commento.,
a
cura
di
J.
C.
Fredouille
-‐
A.
Carpin
(=
Sources
Chrétiennes.
Edizione
italiana
5),
Edizioni
San
Clemente
-‐
Studio
Domenicano,
Roma
-‐
Bologna
2008.
Cipriano
di
Cartagine,
A
Donato
e
La
virtù
della
pazienza
(Ad
Donatum
-‐
De
bono
patientiae),
a
cura
di
J.
Molager
-‐
A.
Carpin
(=
Souces
Chrétiennes
Edizione
Italiana
2),
Edizioni
San
Clemente,
Roma
2007.
Cipriano
di
Cartagine,
L’unità
della
chiesa
(De
ecclesiae
catholicae
unitate),
a
cura
di
P.
Siniscalco
-‐
P.
Mattei
-‐
A.
Carpin
(=
Souces
Chrétiennes
Edizione
Italiana
1),
Edizioni
San
Clemente,
Roma
2006.
Cipriano
di
Cartagine,
La
beneficenza
e
le
elemosine
(=
Souces
Chrétiennes
Edizione
Italiana
7),
Edizioni
San
Clemente,
Roma
2009.
15
Prassea dopo essere stato a Roma da quanto si dice sembra si sia trasferito a Cartagine dove ebbe
un certo successo su molti dormientibus multis in simplicitate doctrinae, cioè su coloro che non
possedevano una particolare formazione. Prassea fu scoperto anche a Cartagine e costretto a ritrattare.
Ora in una comunità quando venivano scoperta dottrine che noi definiremmo eretiche, avveniva uno
scontro frontale tra la persona inquisita e uno scelto tra la comunità, in questo caso tra Prassea e
Tertulliano (fu scelto lui in quanto grande teologo e eccelso dialettico). Prassea è costretto a ritrattare
con un documento autografo; il testo latino: caverat pristinum doctor de emendatione sua sembra di
difficile interpretazione; cf. H. Hoppe, Syntax und Stil des Tertullian, Leipzing 1903, p. 17; E.
Lofstedt, Zur Sprache Tertullians, Lund 1920, p. 13. Il documento secondo quello che dice
Tertulliano era custodito nell’archivio dei cattolici (psichici).
16
Tertulliano conosce il montanismo e vi aderisce. Tertulliano differenzia tra cattolici, psichici e
montanisti, spirituali. Difficile dire, tuttavia, quale sia stata la portata di questa separazione:
nonostante le violente polemiche che suscitava (soprattutto in Asia, dove fu più combattuto), il
montanismo infatti non fu una vera e propria eresia della Grande Chiesa, ma, se mai, uno scisma.
17
Prassea nonostante la dichiarazione, approfitta dell’allontanamento di Tertulliano (almeno così si
pensa) riprende la predicazione della sua dottrina monarchiana. A questo proposito sembra
interessante la posizione di R. Cantalamessa, secondo il quale dal testo si può ritenere che Tertulliano
vede una continuità e una connessione tra la propaganda attuale e la predicazione di Prassea e non
che Prassea è venuto meno alla ritrattazione. Se, in realtà, fosse accaduto questo, si può essere certi
che Tertulliano non avrebbe mancato di dirlo e insistervi apertamente. Del resto la prima apparizione
di Prassea è da porsi intorno al 200 e la composizione dell’Adv. Prax. Intorno al 217, si dovrebbe
supporre che Prassea sia restato a Catagine tutto questo tempo. Ciò è privo di ogni testimonianza e di
ogni verosimiglianza (cf. CANTALAMESSA R., Prassea e l’eresia monarchiana, in La Scuola Cattolica
90 (1962) vol I, 28-50).
Cipriano
di
Cartagine,
Opuscoli,
a
cura
di
S.
Matteoli
-‐
A.
Cerretini
-‐
C.
Moreschini
-‐
C.
Dell’Osso
-‐
M.
Veronese
(=
Scrittori
cristiani
dell'Africa
romana
6/2),
Città
Nuova,
Roma
2009.
Corsaro,
F.,
Il
primato
di
Pietro
e
della
Chiesa
di
Roma
nel
De
catholicae
ecclesiae
unitate
di
Cipriano,
in
Pietro
e
Paolo.
Il
loro
rapporto
con
Roma
nelle
testimonianze
antiche.
XXIX
Incontro
di
studiosi
dell’antichità
cristiana.
Roma,
4-‐6
maggio
2000,
Augustinianum,
Roma
2001.
Luiselli,
B.,
De
aleatoribus
Pseudocipriano,
«
Augustinianum.
Periodicum
Semestre
Instituti
Patristici
Augustinianum
»
2/2007
(47)
259-‐281.
Veronese,
M.,
Introduzione
a
Cipriano
(=
Letteratura
cristiana
antica
19),
Morcelliana,
Brescia
2009.
Ad
Donatum
2-‐418
[...]
Nei
processi
e
nei
discorsi
del
foro
una
sontuosa
eloquenza
viene
sfoggiata
con
volubile
ambizione;
ma
quando
si
parla
del
Signore,
di
Dio,
la
pura
sincerità
della
parola19
che
prova
le
ragioni
della
fede
non
si
appoggia
sulla
forza
dell’eloquenza,
ma
sui
fatti20.
Apprestati,
dunque,
ad
ascoltare
parole
non
eleganti,
ma
forti
(non
diserta
sed
fortia)21;
non
abbellite
con
cura
stilistica
per
sedurre
l’attenzione
della
gente,
ma
semplici
e
atte
a
proclamare
la
misericordia
divina
con
la
loro
disadorna
verità.
Ascolta
quanti
senti,
poiché
non
si
apprende
prima,
né
lo
si
comprende
dopo
lunga
ricerca,
ma
copiosamente
lo
si
attinge
per
un
dono
maturante
della
grazia.
3.
Quando
giacevo
nelle
tenebre
d’una
notte
oscura,
quando
esitante
e
dubbioso
fluttuavo
nel
mare
agitato
del
mondo,
vagando
sulle
strade
dell’errore,
ignorando
il
senso
della
mia
vita,
estraneo
alla
verità
e
alla
luce,
ritenevo
estremamente
difficile
e
duro
per
le
mie
abitudini
d’un
tempo
ciò
che
la
misericordia
divina
mi
prometteva
per
condurmi
alla
salvezza,
che
cioè
qualcuno
potesse
nuovamente
rinascere
e,
rinnovato
a
nuova
vita
col
lavacro
dell’acqua
salutare,
deporre
ciò
ch’era
prima
e,
pur
conservando
l’integrità
fisica,
potesse
mutare
nell’animo
e
nella
mente.
Come
è
possibile
–
mi
domandavo
–
una
conversione
così
profonda
da
togliere
all’improvviso
e
facilmente
ciò
che
fin
dalla
nascita
si
è
naturalmente
stratificato
nell’animo,
o
si
è
a
lungo
sviluppato
come
un’abitudine
inveterata?
Queste
cose
allignano
in
noi
con
radici
molto
estese
e
profonde.
Quando
imparerà
la
sobrietà
chi
è
abituato
a
opulenti
banchetti
e
a
ricche
mense?
E
chi
ama
farsi
notare,
sfoggiando
vesti
preziose
d’oro
e
di
porpora,
quando
si
abbasserà
a
un
modo
di
vestire
semplice
e
modesto?
Non
può
restare
privato
cittadino
e
senza
notorietà
chi
ha
goduto
di
alte
cariche
e
di
onori.
Circondato
da
una
falange
di
clienti,
continuamente
adulato
da
un
esercito
di
gente
interessata,
costui
sentirà
come
un
castigo
il
trovarsi
solo.
Inevitabilmente,
come
in
precedenza,
con
lusinghe
persistenti
il
vizio
del
bere
tornerà
a
farsi
sentire,
la
superbia
a
gonfiare,
l’ira
a
infiammare,
la
bramosia
a
inquietare,
la
crudeltà
a
istigare,
l’ambizione
a
blandire,
la
lussuria
a
svilire.
4.
Spesso
mi
trovavo
con
questi
miei
pensieri.
Ero,
infatti,
talmente
legato
ai
molti
errori
della
vita
passata
da
ritenere
di
non
potermene
più
liberare;
disperando
in
una
vita
migliore,
assecondavo
così
i
miei
vizi
tenaci
e
favorivo
i
miei
mali
come
se
18
CIPRIANO DI CARTAGINE, A Donato e La virtù della pazienza (Ad Donatum - De bono patientiae), a cura di J.
MOLAGER - A. CARPIN (= Souces Chrétiennes Edizione Italiana 2), Edizioni San Clemente, Roma 2007, 77-87.
19
Lo stile cristiano dev’essere semplice. Già Seneca voleva che il linguaggio della filosofia avesse questa qualità
(cf. Ep. 40; 49; 75; 100; 114). Questo comportamento si è già riscontrato nella produzione letteraria di Clemente
d’Alessandria, il quale negli Stromati adotta uno stile completamente differente rispetto a quello del Protrettico e del
Pedagogo. Va evidenziato però che nonostante questa presa di posizione di Cipriano, il suo stile comprenderà nel
contempo l’estetica stoica della prosa filosofica e la nuova ars discendi. A suo giudizio la metafora non stona, non essendo
un semplice ornamento, ma un mezzo per insegnare e commuovere facendo penetrare la verità nelle anime. Cf. S. Deléani,
Christum sequi, Étude d’un thème dans l’oeuvre de saint Cyprien, in Études Augustiniennes, Paris 1979, 21 n. 72; 150.
20
Il ricorso ai fatti, preannunciato qui da Cipriano, in opposizione alle eloquentiae vires, fa parte dell’ideale
ciceroniano (cf. Tusc. V,11,32: Rem enim opinor spectari oportere, non verba) come pure di Seneca (cf. Ep. 75,5:
eloquentia ... res potius quam se ostendat). Prima di Cipriano è Minucio Felice che lo raccomanda nel suo Ottavio (15,2).
Per il filosofo e il teologo cristiano i fatti rivestono un’importanza capitale: il cristianesimo è un fatto, è dunque possibile
studiarlo solo tramite il metodo storico. Gli argomenti che tale metodo fornisce danno dei motivi sufficienti di credibilità:
questi ci portano alla fede naturale, puramente intellettuale. È con l’aiuto della grazie che si crede soprannaturalmente, e
Cirpiano svilupperà questa idea nel Ad Quir. III,20.30.42.45.52-53.
21
L’opposizione disertus-fortis si trova già in Cicerone (De orat. 1,54,231). Per il loro stile e la loro vita i cristiani,
secondo Cipriano, devono imitare il Dio forte.
fossero
di
me
stesso
la
parte
più
vera
e
nativa.
Ma
dopo
l’aiuto
dell’acqua
rigeneratrice,
detersa
la
macchia
della
vita
passata,
nel
mio
animo
purificato
e
mondato,
si
diffuse
dall’alto
la
luce;
ricevuto
lo
Spirito
celeste,
la
seconda
nascita
mi
trasformò
in
un
uomo
nuovo.
Improvvisamente
ciò
che
era
dubbioso
divenne
meravigliosamente
certo,
ciò
che
era
impenetrabile
diventò
palese,
ciò
che
era
oscuro
mi
apparve
luminoso,
diventò
facile
ciò
che
prima
pareva
difficile,
e
possibile
ciò
che
prima
appariva
impossibile;
compresi
allora
che
apparteneva
alla
terra
quanto
prima,
nato
dalla
carne,
viveva
soggetto
al
peccato,
mentre
iniziava
ad
appartenere
a
Dio
ciò
che
lo
Spirito
santo
già
vivificava.
Tu
sai
bene
e
con
me
riconosci
che
cosa
ci
ha
tolto
la
morte
di
questi
vizi
e
che
cosa
ci
ha
donato
la
vita
delle
virtù.
Tu
stesso
lo
sai,
perciò
non
insisto.
È
odiosa
vanteria
elogiare
se
stessi,
sebbene
non
possa
considerarsi
ostentazione
–
bensì
gratitudine
–
ciò
che
ascriviamo
non
alle
capacità
umane,
ma
lo
riconosciamo
come
dono
di
Dio;
infatti,
il
non
peccare
più
proviene
dalla
fede,
mentre
la
precedente
vita
peccaminosa
dipende
dalla
debolezza
umana.
È
di
Dio,
ripeto,
è
di
Dio
ogni
nostra
possibilità.
Da
lui
abbiamo
la
vita
e
la
forza,
e
dopo
averne
ricevuto
il
vigore,
possiamo
pregustare
qualcosa
dei
beni
futuri
già
nella
vita
presente.
Solo
il
timore
sia
custode
della
nostra
innocenza
perché
il
Signore,
che
benevolmente
ha
fatto
irruzione
nelle
nostre
anime
con
l’effusione
della
grazia
celeste,
in
forza
delle
opere
di
giustizia
sia
trattenuto
come
ospite
nell’anima
che
diletta,
cosicché
la
sicurezza
ottenuta
non
induca
alla
negligenza
e
l’antico
nemico
non
torni
nuovamente
a
insinuarsi
furtivo.
Ad
Donatum
14:
Solo
Dio
dà
la
vera
sicurezza22
Pertanto,
una
sola
è
la
tranquillità
placida
e
certa,
una
sola
la
sicurezza
stabile
e
ferma,
riservata
a
chi
–
sottratto
alle
turbinose
tempeste
del
mondo
–
stabilmente
si
ancora
al
porto
della
salvezza:
dalla
terra
alza
gli
occhi
al
cielo
e,
ammesso
al
dono
del
Signore,
è
già
vicino
con
la
sua
mente
a
Dio;
qualunque
cosa
terrena
ad
altri
appaia
grande
e
sublime,
nel
suo
intimo
si
gloria
di
non
stimarla.
Nulla
può
domandare,
nulla
desiderare
dal
mondo
chi
è
superiore
al
mondo.
Quale
stabile
e
sicura
protezione,
quale
presidio
celeste
ai
beni
perenni
è
l’essere
liberati
dai
lacci
avvolgenti
del
mondo,
l’essere
purificati
dalle
sozzure
terrene,
tesi
alla
luce
dell’eterna
immortalità!
Allora
si
vedrà
quale
subdola
rovina
ha
provocato
in
noi
l’offensivo
nemico.
Siamo
spinti
ad
amare
di
più
ciò
che
saremo,
avendoci
concesso
di
conoscere
e
condannare
ciò
che
eravamo.
A
ciò
non
serve
il
denaro,
l’intrigo
o
la
violenza,
come
avviene
per
procurarsi
con
immane
sforzo
la
somma
dignità
e
il
potere
umani:
il
dono
di
Dio
è
facile
e
gratuito.
Come
il
sole
naturalmente
brilla,
il
giorno
illumina,
la
fonte
irriga,
la
pioggia
irrora,
così
si
effonde
lo
Spirito
celeste.
Dopo
che
l’anima,
guardando
il
cielo,
ha
riconosciuto
il
suo
creatore,
più
alta
del
sole,
più
sublime
d’ogni
terrena
potenza,
inizia
ad
essere
ciò
che
crede
di
essere.
Ad
Donatum
15:
Esortazioni
finali23
Tu
che
la
milizia
celeste
ha
già
iscritto
agli
spirituali
accampamenti,
conserva
intanto
con
sapiente
integrità
la
disciplina,
praticando
le
sante
virtù.
Sii
assiduo
alla
preghiera
e
alla
lettura.
Ora
parla
con
Dio,
ora
Dio
con
te.
Egli
ti
istruisca
coi
suoi
precetti,
egli
ti
formi.
Nessuno
renderà
povero
chi
lui
ha
arricchito.
Non
può
esserci
alcune
povertà
quando
il
cuore
è
saziato
dal
cibo
celeste.
Ormai
i
soffitti
dorati
e
le
dimore
impreziosite
di
marmi
ti
appaiono
squallide
cose,
sapendo
che
devi
abbellire
e
ornare
ancor
più
te
stesso,
poiché
più
preziosa
è
questa
tua
dimora
in
cui
risiede
il
Signore
come
in
un
tempio,
dove
lo
Spirito
santo
ha
iniziato
ad
abitare.
Dipingiamo
questa
casa
coi
colori
22
CIPRIANO DI CARTAGINE, A Donato e La virtù della pazienza (Ad Donatum - De bono patientiae), a cura di J.
MOLAGER - A. CARPIN (= Souces Chrétiennes Edizione Italiana 2), Edizioni San Clemente, Roma 2007, 111-113.
23
CIPRIANO DI CARTAGINE, A Donato e La virtù della pazienza (Ad Donatum - De bono patientiae), a cura di J.
MOLAGER - A. CARPIN (= Souces Chrétiennes Edizione Italiana 2), Edizioni San Clemente, Roma 2007, 113-115.
dell’innocenza,
illuminiamola
con
la
luce
della
giustizia.
Essa
non
cadrà
mai
in
rovina
per
vetustà
di
anni,
né
si
abbruttirà
col
corrompersi
del
colore
e
dell’oro
alle
pareti.
Tutte
le
cose
artificiose
sono
caduche,
né
garantiscono
stabile
sicurezza
a
chi
le
possiede,
poiché
non
sono
veramente
possedute.
Questa
dimora,
invece,
rimane
col
suo
vivo
ornamento,
nel
suo
intatto
decoro,
col
suo
eterno
splendore.
Non
può
essere
annullata
né
distrutta;
può
essere
soltanto
meglio
trasformata
in
un
corpo
risorto.
De
ecclesiae
catholicae
unitate
4.
Chi
invece
considera
tutto
ciò
con
attenzione
non
ha
bisogno
di
lunghe
trattazioni
e
di
dimostrazioni.
La
prova
della
fede
si
ha
facilmente
con
poche
parole
che
sintetizzano
la
verità.
Il
Signore
parlando
a
Pietro,
disse:
Io
ti
dico
che
tu
sei
Pietro
e
su
questa
pietra
edificherò
la
mia
chiesa,
e
le
porte
degli
inferi
non
la
vinceranno.
A
te
darò
le
chiavi
del
regno
dei
cieli,
e
ciò
che
legherai
sulla
terra
sarà
legato
anche
nei
cieli,
e
ciò
che
scioglierai
sulla
terra
sarà
sciolto
anche
nei
cieli
(Mt
16,18-‐
19).
Ed
egli,
dopo
la
sua
risurrezione,
gli
dice:
Pasci
le
Su
uno
solo
egli
edifica
la
Chiesa,
e
benché
dopo
mie
pecore.
Il
Signore
edifica
la
Chiesa
sopra
la
sua
risurrezione
conferisca
a
tutti
gli
apostoli
Pietro
e
a
lui
comanda
di
pascere
le
pecore
e,
un’uguale
potestà,
dicendo:
Come
il
Padre
ha
sebbene
conferisca
a
tutti
gli
apostoli
un’uguale
mandato
me,
anch’io
mando
voi.
Ricevete
lo
potestà,
tuttavia
ha
costituito
un’unica
cattedra
Spirito
Santo:
se
rimetterete
i
peccati
di
e
ha
disposto
di
sua
autorità
l’origine
e
il
motivo
qualcuno
gli
saranno
rimessi;
se
glieli
riterrete,
dell’unità.
Certamente
anche
gli
altri
apostoli
saranno
ritenuti,
tuttavia
per
manifestare
l’unità
erano
ciò
che
fu
Pietro,
ma
il
primato
è
stato
dispose
di
sua
autorità
che
l’origine
della
stessa
dato
a
Pietro
in
modo
che
appaia
una
sola
iniziasse
da
uno
solo.
Certamente
anche
gli
altri
Chiesa
e
una
sola
cattedra;
tutti
sono
pastori,
apostoli
erano
ciò
che
fu
Pietro,
muniti
insieme
ma
si
mostra
che
c’è
un
unico
gregge
governato
in
pari
grado
dell’onore
e
della
potestà;
ma
con
unanime
concordia
da
tutti
gli
apostoli.
l’inizio
parte
all’unità,
per
indicare
che
la
Chiesa
Come
crede
di
possedere
la
fede
chi
non
tiene
di
Cristo
è
una
sola.
Anche
nel
Cantico
dei
Cantici
ferma
quest’unità
di
Pietro?
Come
crede
di
lo
Spirito
santo
designa
a
nome
del
Signore
essere
nella
Chiesa
chi
abbandona
la
cattedra
di
quest’unica
Chiesa,
dicendo:
Una
sola
è
la
mia
Pietro
sul
quale
è
stata
fondata
la
Chiesa?
colomba,
la
mia
perfetta,
è
l’unica
di
sua
madre,
eletta
della
sua
genitrice.
Come
può
credere
di
possedere
la
fede
chi
non
mantiene
quest’unità
della
Chiesa?
Come
può
pensare
di
essere
nella
Chiesa
chi
si
oppone
e
resiste
alla
Chiesa,
quando
anche
il
beato
apostolo
Paolo
insegna
la
stessa
cosa
e
mostra
il
sacramento
dell’unità,
dicendo:
Un
solo
corpo
e
un
solo
Spirito,
una
sola
la
speranza
della
vostra
vocazione,
un
solo
Signore,
una
sola
fede,
un
solo
battesimo,
un
solo
Dio?
5.
Dobbiamo
mantenere
e
rivendicare
con
fermezza
quest’unità,
soprattutto
noi
vescovi
che
presiediamo
nella
Chiesa,
per
dar
prova
che
anche
lo
stesso
episcopato
è
uno
solo
e
indiviso.
Nessuno
inganni
con
menzogne
i
fratelli,
nessuno
corrompa
la
verità
della
fede
tradendo
con
perfidia
la
fede.
5.
L’episcopato
è
uno
solo,
e
i
singoli
vescovi
nella
propria
parte
lo
possiedono
in
solido.
Una
sola
è
la
Chiesa
che
ampiamente
si
moltiplica
per
la
sua
rigogliosa
fecondità,
come
molti
sono
i
raggi
del
sole,
ma
unica
è
la
luce;
come
molti
sono
i
rami
di
un
albero,
e
unico
è
il
tronco
fondato
su
salde
radici.
Quando
molti
ruscelli
fluiscono
da
un’unica
sorgente,
benché
sembrino
molteplici
per
l’abbondanza
e
la
generosità
dell’acqua,
essi
conservano
l’unità
dell’origine.
Separa
il
raggio
del
sole
dalla
massa
solare;
l’unità
della
luce
non
ammette
divisioni.
Spezza
un
ramo
dall’albero;
il
ramo
spezzato
non
potrà
germogliare.
Taglia
il
ruscello
dalla
sorgente;
il
ruscello
interrotto
inaridisce.
Così
anche
la
Chiesa,
avvolta
della
luce
del
Signore,
diffonde
i
suoi
raggi
su
tutto
il
mondo,
ma
unica
è
la
luce
che
ovunque
si
espande
senza
inficiare
l’unità
del
corpo;
con
esuberante
fecondità
essa
stende
i
suoi
rami
su
tutta
la
terra;
con
larga
abbondanza
fa
scorrere
i
suoi
fiumi
copiosi.
Ma
unico
è
il
principio,
la
sorgente
è
una
sola,
unica
la
madre
feconda
e
ricca
di
figli;
dal
suo
grembo
nasciamo,
del
suo
latte
ci
nutriamo,
dal
suo
spirito
riceviamo
la
vita.
6.
Non
si
può
corrompere
la
sposa
di
Cristo,
poichè
è
intatta
e
pura:
una
sola
casa
conosce
la
santità
di
un
unico
talamo
custodisce
con
casto
pudore.
Essa
ci
conserva
per
Dio
e
al
Regno
destina
i
figli
che
ha
generato.
Chi,
allontanandosi
dalla
Chiesa,
si
unisce
a
un’adultera,
si
separa
dalle
promesse
della
Chiesa,
né
perviene
ai
premi
di
Cristo
chi
abbandona
la
Chiesa
di
Cristo:
è
un
estraneo,
un
profano,
un
nemico.
Non
può
avere
Dio
come
padre
chi
non
ha
la
Chiesa
come
madre.
Se
si
fosse
potuto
salvare
chi
era
fuori
dall’arca
di
Noè,
si
salverebbe
pure
chi
è
fuori
della
Chiesa.
Il
Signore
ci
avverte,
dicendo:
Chi
non
è
con
me
è
contro
di
me,
e
chi
non
raccoglie
con
me
disperde.
Chi
spezza
la
pace
e
la
concordia
di
Cristo
agisce
contro
Cristo;
chi
raccoglie
altrove
fuori
della
Chiesa
disperde
la
Chiesa
di
Cristo.
Dice
il
Signore:
Io
e
il
Padre
siamo
una
cosa
sola;
e
ancora,
è
scritto
del
padre,
del
Figlio
e
dello
Spirito
santo:
E
i
tre
sono
una
cosa
sola.
E
qualcuno
crede
che
quest’unità,
derivante
dalla
stabilità
divina,
mantenuta
salda
dai
sacramenti
celesti,
possa
essere
spezzata
nella
Chiesa
col
dividersi
di
volontà
contrastanti?
Chi
non
conserva
quest’unità
non
conserva
la
legge
di
Dio,
non
conserva
la
fede
del
padre
e
del
Figlio,
non
conserva
la
vita
e
la
salvezza.